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view post Posted: 31/3/2024, 18:10 A proposito della concezione carchiana del multipolarismo - Marxismo

A proposito della concezione carchiana del multipolarismo


di Jean-Claude Martini, 12 aprile 2023



Dall'estate dello scorso anno sino ai giorni nostri, la carovana del (n)PCI e in particolar modo il Partito dei CARC si sono soffermati a più riprese sulla questione del multipolarismo, sulla quale un ampio dibattito si sta dispiegando in seno al movimento comunista italiano: una lotta tra due linee, si potrebbe dire, tra chi ne sostiene la necessità (chi con finalità strategiche, chi con finalità tattiche) e chi lo osteggia e lo combatte in nome della “rivoluzione socialista”. Il (n)PCI, con l'Avviso ai Naviganti 123 del 2 agosto 2022, e il P.CARC, con gli articoli A proposito di Unità Popolare e delle posizioni sul conflitto in Ucraina (11 luglio 2022), Il grande abbaglio del multipolarismo (1 novembre 2022), Multipolarismo: usiamo il marxismo compagni! (28 dicembre 2022), Guerra in Ucraina e ruolo di comunisti e masse popolari in Italia (25 febbraio 2023 – prima risoluzione del VI Congresso), Rovesciare il governo della guerra (5 marzo 2023), Mondo multipolare o nuova ondata mondiale della rivoluzione proletaria (4 aprile 2023) e Ucraina. Piano di pace vs piano di guerra (4 aprile 2023), si sono schierati decisamente con la seconda fazione. Specifichiamo sin da subito che, tra queste due linee, la prima da noi citata rappresenta la sinistra e la seconda, la destra. Dal momento che, dialetticamente, l'uno si divide in due, anche nella linea sinistra convivono una posizione relativamente più avanzata e una relativamente più arretrata: la prima che sottolinea il legame dialettico tra multipolarismo e socialismo e la seconda che effettivamente crede nella possibilità di una transizione pacifica dall'unipolarismo al multipolarismo; nella linea di destra, la posizione relativamente più avanzata è quella di chi privilegia la rivoluzione proletaria al multipolarismo inteso come strategia, mentre quella più arretrata è quella di chi, antidialetticamente, traccia un segno di eguaglianza tra multipolarismo e reazione coi più vari pretesti (“imperialismo russo”, “socialimperialismo cinese”, “opposti imperialismi” ecc.).
Fatta questa doverosa premessa, va evidenziato come l'aspetto principale della contraddizione consista nel carattere avanzato di chi riconosce, coerentemente con l'esigenza dei tempi, la necessità del multipolarismo quale fase di transizione internazionale al socialismo, nel rispetto delle specificità delle varie condizioni e dei vari contesti nazionali, e l'essenza arretrata di chi contrappone i due fenomeni, multipolarismo e rivoluzione socialista. La concezione di fondo del (n)PCI e del P.CARC, che permea tutti gli articoli che abbiamo sopra menzionato, contrappone forzosamente la parola d'ordine e la tattica della costruzione di un mondo multipolare alla strategia della rivoluzione proletaria e dell'edificazione del socialismo e del comunismo, quasi come se la prima potesse “rubare la scena” alla seconda. Tentando di mascherare con concetti “marxisti” questa loro posizione, essi si scagliano contro chi accusano di sostenere l'idea di una transizione pacifica dall'unipolarismo a trazione americana al multipolarismo. Ma, a un esame più attento della loro critica, si scopre che gli unici rimandi che indicano sono un comunicato congiunto del PCI e del PC Svizzero datato 4 dicembre 2016 (Pace e multipolarismo: per una nuova cooperazione internazionalista), la sintesi del convegno di Foligno del PC, svoltosi il 20 novembre 2022 (Sovranità nazionale e mondo multipolare) e un articolo di Radhika Desai pubblicato su La Città Futura il 26 maggio 2018 (Economia geopolitica: la disciplina del multipolarismo), oltre a una menzione di sfuggita riferita al PC, al PC Portoghese e alla rivista Cumpanis nella prima risoluzione del VI Congresso del P.CARC. Analizzando queste fonti, non si può non evidenziare come prima cosa la sostanziale scorrettezza intellettuale del criticare oggi, nel contesto attuale, le posizioni espresse dal tal partito o dalla tale rivista nel 2016 o nel 2018, in una situazione già allora completamente diversa da quella in cui operiamo adesso. La crisi sanitaria globale e l'Operazione militare speciale russa in Ucraina hanno radicalmente cambiato l'assetto politico, economico, finanziario, militare e geostrategico mondiale: è una realtà oggettiva di cui non si può non tenere conto. Se allora potevano avere, tra chi non ha assimilato la concezione comunista del mondo, un qualche diritto di cittadinanza le opinioni per cui tale transizione potesse avvenire in qualche modo pacificamente, col 24 febbraio 2022 tali illusioni si sono completamente e miseramente sgretolate. Dico “tra chi non ha assimilato la concezione comunista del mondo” perché per ogni marxista degno di questo nome era chiaro, come sempre lo è stato, che la rivoluzione o impedisce la guerra o le mette fine, e che non può esservi alcuna transizione pacifica dal regime capitalista-imperialista al socialismo: è quanto venne affermato dai marxisti-leninisti nella lotta mondiale contro il revisionismo già dagli anni '60, oltre che un principio difeso e riaffermato da Lenin contro gli opportunisti della II Internazionale. Come secondo aspetto, fatti salvi il PCI e il PC Svizzero, in nessuno dei documenti citati dal P.CARC si è affermata la possibilità della realizzazione di una transizione dall'unipolarismo al multipolarismo così concepita. La carovana del (n)PCI, dunque, mette in bocca parole mai dette ad altri organismi per far passare sotto una tinta “rivoluzionaria” e “marxista-leninista-maoista” una concezione che di rivoluzionario e marxista non ha assolutamente nulla, ma che cela anzi l'opportunismo di sinistra nelle vesti che ha assunto nell'epoca attuale.
Una militante del P.CARC ha scritto, alla fine dell'anno scorso: «Come Partito dei CARC l’abbiamo scritto: alla crisi generale del capitalismo e al declino del mondo unipolare guidato dagli USA, riteniamo che contrapporre il rimedio del mondo multipolare e immaginare quindi un sistema mondiale basato sull’equilibrio di diverse potenze che accettano di collaborare pacificamente tra loro nel sistema capitalista, sia una speranza irrealizzabile. Se questo fosse possibile non avrebbe senso affermare che oramai da 40 anni siamo immersi nella seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, che questa crisi è entrata nella sua fase acuta e terminale nel 2008, crisi irreversibile e intrinseca al sistema capitalista, crisi economica che trascina con sé la crisi politica (e dei regimi politici della borghesia imperialista), una crisi sociale e culturale il cui unico sbocco è l’instaurazione del socialismo innanzitutto in alcuni degli attuali paesi socialisti. È per questo che: o la rivoluzione socialista previene la guerra imperialista, o la guerra imperialista genera la rivoluzione socialista. Per noi questo principio è ancora valido e trova conferma nella realtà» [1] Perché questo assunto è errato? Precisamente perché esso contrappone la tendenza al multipolarismo allacostruzione della rivoluzione socialista, come se il primo fosse un fenomeno a sé stante, slegato dal movimento storico-sociale del mondo contemporaneo, e non invece una parte integrante e fondamentale dell'avanzata dell'umanità verso il comunismo. La compagna del P.CARC slega, contrappone e divide con una muraglia cinese due concetti, due fattori concreti, che invece sono strettamente legati tra loro. Se mettiamo a paragone le sue riflessioni con quelle pubblicate di recente dal compagno Pablo Bonuccelli, direttore di Resistenza, che descrive il multipolarismo allo stesso modo, notiamo evidentemente che la carovana del (n)PCI non ha capito che cos'è il multipolarismo, come nasce, come si sviluppa e come si manifesta. Bonuccelli, inoltre, dopo aver affermato (contraddicendosi) che il multipolarismo «è la condizione in cui la tendenza alla guerra – “naturale” sbocco della crisi generale del capitalismo – si sviluppa oggi ed è condizione che oggettivamente la favorisce» (come può quindi predicare il pacifismo borghese?), afferma: «Il multipolarismo è espressione di un’ideologia idealista perché non possono e non potranno mai esistere più “potenze mondiali” con cui gli imperialisti Usa non entreranno in guerra per difendere il loro ruolo egemone. Infine, il multipolarismo è espressione di un’ideologia conservatrice perché il precario equilibrio su cui si è retto il mondo negli ultimi trent’anni – posto che di pacifico non c’era niente – è destinato a saltare, è impossibile da mantenere ed è un’illusione pensare di poterlo mantenere» [2] Nonostante ciò, contraddicendosi nuovamente, egli si è lanciato in un'affermazione “ultrasinistra” per cui, se da un lato il multipolarismo “è un'ideologia idealista”, dall'altro si evince che: «Il mondo multipolare esiste già. Cioè esistono già paesi e gruppi di paesi che intaccano l’egemonia degli imperialisti Usa e della loro Comunità Internazionale» [3]
Facciamo chiarezza. I comunisti che analizzano la transizione al mondo multipolare non hanno mai affermato che possano esistere “potenze mondiali con cui gli imperialisti USA non entreranno mai in lotta”: anche nel loro articolo a proposito dell'incontro tra Putin e Xi Jinping, il P.CARC scopre l'acqua calda perché nessuno, né in Russia, né in Cina, né qua da noi, è convinto che tale transizione possa avvenire pacificamente e nell'ambito di una coesistenza con l'imperialismo americano; prova ne sono le esercitazioni militari condotte dai russi, in autonomia e insieme ai cinesi e agli iraniani, nel Medio Oriente e in America Latina, oltre che entro i propri confini e senza citare le navi russe periodicamente inviate nel Mediterraneo. Altra prova sono gli addestramenti militari cinesi nello stretto di Taiwan, che vanno quotidianamente intensificandosi in dimensioni, obiettivi e portata, piuttosto che la rinnovata assertività militare dell'Iran o il continuo sviluppo del deterrente bellico convenzionale e nucleare della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Il multipolarismo è una tattica di cui le forze fautrici dell'indipendenza e del socialismo si servono al fine di facilitare la propria lotta e la propria vittoria.
Dicevamo prima che la contrapposizione carchiana “multipolarismo vs. rivoluzione socialista” introduce l'opportunismo di sinistra poiché caratteristica fondamentale di questa deviazione è quella di mascherare la propria estraneità ai principi rivoluzionari dietro frasari apparentemente ultrarivoluzionari ma in realtà privi di qualsivoglia contenuto, è, in altre parole, una politica sprovvista dei mezzi atti alla sua realizzazione. Come si può, infatti, parlare di “rivoluzione socialista” e “guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata” se neanche ci poniamo il problema di costruire un'organizzazione militare adeguata ai compiti e allo scopo, in grado di dichiarare e condurre con successo la resistenza rivoluzionaria all'imperialismo, alla borghesia e a tutte le forze che controllano l'Italia? Per aggiungere la beffa al danno, la carovana del (n)PCI continua a spingere sulla tattica del “governo di blocco popolare”, che già abbiamo illustrato e confutato a fine 2021 negli Appunti sulla situazione del movimento comunista italiano. Ripetendo come un mantra la parola “organizzazione”, essi non specificano in cosa, concretamente, questa consista, e lasciano tutto alla spontaneità e al “buonsenso” delle organizzazioni operaie e popolari che dovrebbero convincere De Magistris e Landini a ribellarsi apertamente alla Meloni nella prospettiva di combattere la guerra civile e vincerla in nome del socialismo. Ma, paradossalmente, anche se per assurdo questa ipotesi fosse realizzabile, potrebbe prender forma soltanto nel contesto di un mondo multipolare, in cui le mille leve e le mille contraddizioni che si paleserebbero ci consentirebbero, quantomeno, di scrollarci di dosso il giogo europeo e atlantico per trovarci faccia a faccia con la nostra borghesia e nessun altro a sorreggerla, ergo con un nemico mille volte più debole di quanto non lo sia adesso.
La tesi marxista-leninista per cui la rivoluzione socialista o impedisce o mette fine alla guerra va letta alla luce della nostra situazione reale: ha il movimento comunista le forze per poter impedire la terza guerra mondiale con la rivoluzione socialista? No, non le ha. E non le ha perché non si dà i mezzi per costruirsele, non segue la scienza rivoluzionaria ma riprende tesi e concezioni della piccola-borghesia “di sinistra” cercando di combinarle con singole preposizioni del marxismo estrapolate dal loro contesto e svuotate del loro significato rivoluzionario. Ha il movimento comunista, se la guerra scoppiasse domani, le forze per metterle fine? No, non le ha, perché nessuna forza che si richiama al comunismo si è preparata neanche psicologicamente all'eventualità, sempre più vicina, di una guerra. Può farsele, queste forze, certamente. Ma è un'ipotesi e comunque, come la storia successiva alla Seconda guerra mondiale dimostra, non è automatico che al conflitto imperialista segua l'instaurazione del socialismo: ciò dipende dai comunisti di ogni singolo paese. Ciò che invece è più sicuro è che, dalle rovine di una terza guerra mondiale, nascerà un mondo di indipendenza e sovranità in cui gli Stati Uniti non saranno più il padrone incontrastato, come dopo il 1945 essi stessi scipparono tale “scettro” all'impero britannico. Già adesso vediamo queste tendenze in nuce: la dedollarizzazione, un processo fondamentale per capire la natura del multipolarismo e che la carovana del (n)PCI non a caso trascura, sta procedendo a passo spedito anche grazie alla crisi bancaria di marzo; i BRICS si stanno consolidando ed espandendo (Argentina, Algeria e Iran hanno già presentato ufficialmente domanda d'adesione); in Medio Oriente il mondo arabo-islamico si staricompattando superando le storiche divisioni tra sunniti e sciiti grazie all'opera diplomatica della Cina e dell'Iran, opera che ha portato Turchia e Arabia Saudita a restaurare le relazioni diplomatiche con Siria e Iran (il che avrà effetti benefici sulla situazione dei conflitti siriano e yemenita), con un ruolo più elevato anche degli Emirati Arabi Uniti e senza trascurare l'azione analoga di Giordania e Bahrein verso la Repubblica Islamica Iraniana. A livello militare, gli Stati Uniti sono tutt'altro che il “pivot strategico insostituibile” che la propaganda dei loro strateghi militari cerca di dipingere, come dimostrano i molteplici accordi militari conclusi da vari paesi indipendenti e antimperialisti, tra cui il Venezuela, con Russia, Cina e Iran. Da non trascurare anche lo sviluppo degli armamenti della Corea socialista, che certamente diventeranno un punto di riferimento per i paesi sovrani della regione che aspirano a frustrare le manovre di ingerenza e destabilizzazione dell'imperialismo americano. Non bisogna pertanto sottovalutare il fatto che il capitalismo, se non lo si fa cadere, non cade; si rigenera e si adatta alle mutate circostanze lasciando intatta la propria struttura. Ciò considerato, tuttavia, è sbagliato dire, come fa Bonuccelli, che «il mondo multipolare esiste già». Il mondo attuale è ancora unipolare, pur se retto da un unipolarismo in disgregazione per i fattori che abbiamo appena elencato. Prova ne sono, tra le tante, le votazioni all'ONU sulle risoluzioni antirusse relative alla guerra in Ucraina: esse, lungi dall'essere mere formalità, fanno anzi fede dei rapporti di forza che attualmente persistono a livello internazionale. Molti sono stati i casi di paesi, come l'Ungheria e la Serbia, che hanno dovuto votare contro la Russia perché costretti e ricattati dagli americani. Non parliamo, poi, dei paesi satelliti di Washington che votano per puro servilismo e dietro ordinazione del loro padrone d'oltreoceano. Questo è il primo motivo per cui è sbagliato dire che esista già un mondo multipolare.
Il secondo è che, se dovessimo limitarci a considerare la semplice esistenza di paesi esterni al Washington Consensus, che resistono e difendono la loro indipendenza contro gli imperialisti americani, dovremmo concludere che il mondo è rimasto multipolare anche dopo il 1991, giacché il socialismo è rimasto al potere in tutti e cinque i paesi che tutt'oggi lo edificano (Cina, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Cuba, Vietnam, Laos) e, pur non avendo la Russia il ruolo che ha oggi, avevamo altri paesi “dalla nostra parte” come Libia e Iraq, che poi abbiamo successivamente perduto. Paradossalmente, dunque, avremmo avuto una situazione migliore trent'anni fa che non oggi. Ma chiunque abbia contezza delle dinamiche del mondo attuale non potrebbe mai sostenere una simile tesi, per la lontananza che la separa dalla realtà fattuale. Sostenere la tesi di Bonuccelli significa in ultima analisi non saper distinguere tra essere in potenza ed essere in atto: è la stessa incomprensione che si riscontra nel (n)PCI ogniqualvolta asserisce che la “guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata” in Italia sarebbe già in corso poiché esiste il partito che la conduce, il che equivale a pensare di concorrere al Giro d'Italia per il solo fatto di aver comprato una bicicletta (ciò che in gergo logico si chiama condizione necessaria ma non sufficiente). Il mondo contemporaneo è in marcia verso il multipolarismo, ma non è ancora multipolare, poiché la politica dei paesi che intaccano l'egemonia dell'imperialismo americano non è per ora la corrente principale che regola l'ordinamento internazionale vigente. L'altra ragione per cui la tesi del P.CARC nasconde in realtà un tipo di opportunismo di sinistra è data dalla loro posizione sulla guerra in Ucraina, che molti (denigratori e sostenitori) hanno a torto etichettato come “filorussa”, ma che invece è la più neutralista tra tutte quelle assunte nel movimento comunista italiano. Vediamo perché.
Nella prima risoluzione del suo VI Congresso (1-2 aprile 2023), il P.CARC afferma: «La guerra in Ucraina ha fatto emergere alcuni limiti ed errori ideologici che frenano la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato nel nostro paese e a livello internazionale.
Le posizioni più diffuse sono:

– “né con Putin, né con la Nato”, “contro tutti gli imperialismi”. È una linea promossa dal FGC-FC, da Potere al Popolo e altri. A livello internazionale il principale promotore di questa posizione è il KKE, partito comunista greco,

– “contro l’imperialismo Usa, per un mondo multipolare”. È una linea promossa dal Partito Comunista e l’area raccolta intorno all’appello per l’unità dei comunisti e la rivista Cumpanis. A livello internazionale il principale promotore di questa posizione è il PCP, partito comunista portoghese,

– “sostegno alla resistenza ucraina contro l’imperialismo russo”, promossa dal PMLI insieme a partiti e organizzazioni che fanno ideologicamente riferimento al trotskismo, al bordighismo e ad alcuni settori anarchici.

– “sostegno alla Federazione russa contro il governo nazista ucraino” diffusa nella parte più identitaria della base rossa del nostro paese.

Si tratta di posizioni parziali o sbagliate»
[4]
Al netto della divisione tra “posizioni parziali” (?) e “posizioni sbagliate”, come se una visione parziale potesse essere giusta, ciò che colpisce è il magheggio teorico del P.CARC che riesce a collocarsi su posizioni più neutraliste dei neutralisti, schierandosi al contempo “contro gli USA”, “contro la Russia”, “contro l'Ucraina” e...“contro il neutralismo”: né-né-né! Quella del P.CARC è l'esempio plastico di una non-posizione, quale esso assume ogniqualvolta bisogna trattare nel merito un tema su cui la narrazione di regime ha posto il velo del tabù. Rifiutarsi di approfondire le questioni e rifugiarsi nelle solite frasi fatte stereotipate sulla “necessità di promuovere l'organizzazione delle masse popolari contro la guerra” e sulla “priorità dell'instaurazione del socialismo nel nostro paese” a lungo andare svuota di significato anche questi ultimi concetti, che sono punti fermi strategici fondamentali senza i quali, al contrario, niente di tutto ciò che trattiamo qui avrebbe senso alcuno. Dobbiamo renderci conto della situazione in cui ci troviamo attualmente, che è totalmente diversa dai vari contesti descritti nelle opere di Marx, Lenin e Mao. Il P.CARC non fa questo e, per bocca del direttore del suo organo di stampa, afferma: «Per un partito comunista, il “tifo” non è mai un approccio serio. I comunisti hanno l’obbligo di essere conseguenti con quello che dicono e le cose che dicono devono essere coerenti con l’obiettivo e la linea di fare la rivoluzione socialista nel proprio paese. Tifare per la Federazione Russa è semplice, ma anche sbagliato, soprattutto se non si è conseguenti con quella posizione. Essere conseguenti vuol dire prendere l’iniziativa pratica per sostenere la Federazione Russa. Per essere chiari: vuol dire pensare e agire sotto il comando dello Stato Maggiore della Federazione Russa».
Conosciamo bene la tattica carchiana di etichettare sprezzantemente come “tifo” ogni posizione chiara e netta assunta su una determinata questione spinosa, che oggi è la guerra in Ucraina come ieri erano la frattura tra PC e FGC, le azioni destabilizzanti dei curdi in Siria piuttosto che le vittorie delle forze socialiste in America Latina, il ruolo antimperialista della Cina o del governo di Assad o la questione dei diritti civili. Si tratta di una concezione mutuata proprio dal FGC, che fa del neutralismo dogmatico e settario il proprio “marchio di fabbrica” del purismo ideologico fine a sé stesso, e denota unicamente la presunzione di chi ignora completamente ciò di cui si parla ma finge di sapere tutto. Quella di Bonuccelli, quindi, più che un’elaborazione teorica appare una provocazione mirante a creare scientemente dello “scandalo” con “mormorii in sala”: in pratica, dà a intendere che chi sostiene la Russia e la sua Operazione militare speciale in Ucraina sarebbe o dovrebbe diventare un “agente dei russi”; forse se ne sarà reso conto, forse no, ma in ciò è finito oggettivamente per reggere il sacco alla propaganda imperialista delle spie del Copasir e dei pennivendoli dei rotocalchi borghesi più degeneri come La Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa, L'Occidentale, Il Riformista e chi più ne ha più ne metta. Una provocazione, dicevamo, anche piuttosto infantile.
Noi però vogliamo prenderlo in parola, e domandiamo: pensavano e agivano forse sotto il comando dello Stato Maggiore dell'URSS i comunisti che dirigevano la lotta di resistenza contro il nazifascismo? Certamente no, poiché Stalin fu il principale fautore dello scioglimento del Comintern nel 1943, proprio per togliere dal mazzo di carte della propaganda fascista l'etichetta di “spia dei sovietici” ai partiti comunisti. Pensano e agiscono forse sotto il comando dello Stato Maggiore della Russia quei paesi in Asia, Africa e America Latina che hanno sostenuto l'Operazione speciale? Assolutamente no: il Mali ha un governo amico e solidale con la Federazione Russa, ma questo non gli ha arrecato conseguenze negative allorché votò contro la risoluzione proposta dalla Russia in sede ONU relativa alla glorificazione del nazismo; la politica indipendente della Corea socialista è stata riconosciuta e apprezzata come tale dallo stesso governo russo; in Siria è il Presidente Assad che decide se, come e quanto le forze armate russe possono restare nel territorio del paese; l'Eritrea ha alternato voti contrari alle risoluzioni antirusse e astensioni, e così via. Il tipo di relazioni diplomatiche che i paesi indipendenti e in via di sviluppo intrattengono con la Russia e la Cina sono di un tipo diametralmente opposto a quelli di sudditanza dell'Occidente verso gli Stati Uniti; non si può pensare con gli stessi schemi e le stesse categorie che si adottano quando si parla dei rapporti degli altri paesi capitalisti e imperialisti vassalli di Washington. Bonuccelli e il P.CARC, invece, la pensano all'opposto, ma non hanno il coraggio di dirlo e così non spiegano apertis verbis ciò che intendono dire con “pensare e agire sotto il comando dello Stato Maggiore della Federazione Russa” (posto che di iniziative a suo sostegno ve ne sono state eccome). Il risultato finale è che questo tipo di ragionamento lo si potrebbe portare alle estreme conseguenze fino a ritenere che, per stare coerentemente dalla parte del popolo palestinese, bisogna pensare e agire sotto il comando dello Stato Maggiore di Hamas; per solidarizzare davvero con Cuba bisogna pensare e agire sotto il comando dello Stato Maggiore del Partito Comunista Cubano; per essere realmente internazionalisti rispetto alla guerriglia maoista in India bisogna pensare e agire sotto lo Stato Maggiore dei naxaliti, e via dicendo. In poche parole, dovremmo insomma abbandonare del tutto l'internazionalismo proletario: ecco un'altra manifestazione delle oscillazioni verso il gretto nazionalismo tipiche del P.CARC, di cui abbiamo parlato negli Appunti. Perché, allora, il P.CARC non allarga questo ragionamento a tutte queste lotte testé citate? Si tratta di un problema di concezione comune alla quasi totalità del movimento comunista italiano. Quelle che abbiamo citato sono lotte che, pur mettendo in mostra una resistenza eroica e qualche sporadico avanzamento, si trovano tuttavia sulla difensiva, in una posizione che obbliga queste forze a “parare i colpi” dell'imperialismo e a combattere per sopravvivere e non cadere. Si è sempre notata, tra i “comunisti” di casa nostra, la tendenza a “venerare i martiri” piuttosto che a militare per conquistare sempre nuove vittorie, tenendo viva la fiamma di quelle precedenti. Basti guardare a quale culto viene tributato a figure come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg e Che Guevara, piuttosto che alla bandiera dell'URSS, e al florilegio di anatemi che da molti “compagni” piovono su quelle di Stalin, di Mao, dei dirigenti cinesi e coreani, in tutto e per tutto sovrapponibili, quando non ancor più acri, della stessa propaganda imperialista. Impossibile non notare in questa visione del mondo l'influsso del cattolicesimo più deteriore, rafforzata in Italia dall'influenza del Vaticano (che tuttavia non ci rende, come sostiene la carovana del (n)PCI, una “repubblica pontificia”) [5].
In sintesi, la ragione di ciò è che la Russia non solo si è risollevata dalle macerie e si è data i mezzi per resistere e contrattaccare, ma sta anche vincendo la sua guerra che non è contro l'Ucraina e ancor meno contro il popolo ucraino, bensì contro il cosiddetto “Occidente collettivo”. Non ci proponiamo, qui, di fare una disamina particolareggiata della situazione sul fronte, che peraltro cambia di giorno in giorno se non di ora in ora, ma la tendenza stabile fin dall'inizio, pur con alti e bassi, è che l'iniziativa sta nelle mani della Russia, la quale avanza lentamente ma inesorabilmente in base alla sua storica strategia di combattere guerre di logoramento, che inevitabilmente trascinano nelle sabbie mobili anche gli alleati del nemico, oltre ad affondare il nemico stesso (lo si è già visto nella Grande Guerra Patriottica). Si può dire senza tema di smentita che la Cina stessa sta avanzando a passo più svelto nella sua strategia di vittoria sul capitalismo con le sue stesse armi grazie al sacrificio di sangue della Russia, del suo popolo e dei suoi soldati. È la Russia che ha sparigliato le carte in tavola dei vari organismi imperialisti, costringendoli a ridurre al minimo il tam-tam della narrazione pandemica; è la Russia che sta disarmando non solo il regime neonazista ucraino, ma tutta la NATO che gli invia armi, mezzi e mercenari che puntualmente vengono distrutti dall'artiglieria russa; è la Russia che ha prontamente elaborato una strategia di aggiramento e neutralizzazione delle sanzioni rafforzando le proprie relazioni diplomatiche, politiche e commerciali con i paesi indipendenti dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, a cominciare dalla stessa Cina; alla Russia va il merito di aver smascherato, ancora una volta e ancor più brutalmente, l'ipocrisia della propaganda borghese, generando e facendo emergere, fermentare ed espandere l'opposizione di fette sempre maggiori di cittadinanza nei paesi imperialisti di fronte alla socializzazione delle spese e delle perdite “democraticamente” decisa dalle classi dominanti; sempre la Russia ha fatto uscire allo scoperto, parallelamente a ciò, un'isteria razzista e xenofoba finora sotterranea i cui primi promotori sono stati proprio gli “oppositori di tutti i razzismi e i fascismi”, che oggi, per ironia della sorte, sostengono un fascismo palese e spudorato col beneplacito delle “potenze democratiche” (oggi come ieri). Si tratta, dunque, di “tifo”? No, si tratta di analisi concreta della situazione concreta e della conclusione logica che inevitabilmente non può che derivarne e che va tratta esplicitamente. Questo per quanto riguarda le riflessioni di Bonuccelli.
Per quanto attiene, invece, alla tesi congressuale sopra citata, il P.CARC ha effettuato una distinzione superficiale e inesatta, mettendo nel calderone posizioni giuste, posizioni sbagliate e posizioni in tutto e per tutto controrivoluzionarie. Esso ha scorporato la parola d'ordine «Contro l'imperialismo USA, per un mondo multipolare» da quella di «Sostegno alla Federazione Russa contro il governo nazista ucraino», come se dalla prima non derivasse la seconda e come se la seconda non fosse necessariamente completata e ampliata dalla prima. È sbagliato anche dire che i principali promotori della prima siano i compagni del PCP e in Italia il PC e la rivista Cumpanis, mentre la seconda sarebbe sostenuta soltanto da una generica “base rossa nel nostro paese”. Il P.CARC include inoltre queste due posizioni in una piccola lista di teorie che “frenano la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato nel nostro paese e a livello internazionale”. Ma, se le analizziamo più in profondità, scopriamo che è difficile attribuire una paternità della posizione promultipolarismo a un qualsivoglia partito specifico, poiché essa, in ambito internazionale, è sostenuta da tutto il movimento comunista e antimperialista, così come il Partito del Lavoro di Corea e il governo della Corea socialista, che sostengono la Russia sin dal primo giorno dell'Operazione speciale e sono peraltro in prima linea nella lotta per un mondo multipolare contro l'imperialismo americano, non possono certo essere cancellati con un tratto di penna o accomunati banalmente a un'informe “base rossa nel nostro paese” di compagni che pubblicano foto di Stalin su Facebook. Chi ragiona come il P.CARC, ragiona sempre all'inverso di come dovrebbe: si è coperto dietro le bandiere dei paesi socialisti quando si trattava di agire secondo criteri indipendenti e sulla base del proprio contesto specifico (durante il periodo del Covid), mentre ora che è principale l'elaborazione e l'aderenza a una linea comune quale quella da essi attuata, se ne distaccano per voler fare di testa loro e finire, com'è ovvio, fuori strada. Non solo Cina e Russia, ma anche gli antimperialisti venezuelani e i compagni cubani, tanto venerati dai sedicenti “comunisti” nostrani, sostengono a spada tratta la lotta per il multipolarismo e vi partecipano in prima linea da tempi non sospetti.
Il P.CARC sostiene di essere «contro la tesi del multipolarismo spacciata come prospettiva che garantisce “la pace nel mondo”», ma si tratta dello sfondamento di una porta aperta in quanto, per i comunisti, il multipolarismo non è affatto una “prospettiva che garantisce la pace nel mondo”. Il compagno Kim Jong Un, nel suo discorso pronunciato alla VII sessione della XIV legislatura dell'Assemblea Popolare Suprema l'8 settembre scorso, ha affermato: «L’attuale situazione internazionale pone in evidenza l’antagonismo tra giustizia e ingiustizia e tra progresso e reazione, in particolare la struttura delle forze intorno alla penisola coreana, e mostra la transizione dal mondo unipolare, professato dagli USA, al mondo multipolare» [6]. Alla VI sessione plenaria dell'VIII Comitato Centrale del Partito del Lavoro di Corea, tenutasi tra il 26 e il 31 dicembre, egli ha sottolineato che la struttura delle relazioni internazionali è diventata quella della “nuova Guerra fredda” e che la corrente del multipolarismo sta accelerando. Il compagno Ri Jong Su, analista di affari internazionali, ha scritto, nel suo articolo del 7 aprile intitolato L'AUKUS disgrega il sistema di non proliferazione nucleare internazionale e incentiva la corsa al riarmo: «Cina, Russia, Sudafrica, Brasile e altre nuove grandi potenze in via di sviluppo sono emerse rapidamente e il multipolarismo è diventato una tendenza mondiale che non si può ignorare. Questo ha imposto agli Stati Uniti la ricerca di nuovi mezzi per il mantenimento della propria posizione egemonica nell’aumento delle spese militari e nello scatenamento di una nuova Guerra fredda». [7] Come si può facilmente vedere, quindi, i compagni coreani sono tutt'altro che persuasi dall'idea di una “transizione pacifica” dall'unipolarismo al multipolarismo, e si stanno attivamente preparando alla guerra, come dimostrano non solo i recenti test missilistici e nucleari della Corea socialista, ma anche le decisioni della VI sessione allargata dell'VIII Commissione Militare Centrale del Partito del Lavoro di Corea, svoltasi il 10 aprile.
Bisogna distinguere tra le dichiarazioni diplomatiche e le azioni pratiche e concrete: il P.CARC sottolinea le parole dei presidenti e dei funzionari russi e cinesi sul multipolarismo quale strada da seguire per “un futuro di pace e cooperazione”, per poi parlare delle manovre militari e dei preparativi di guerra che conducono. Delle due l'una: o si tratta di parole che hanno un seguito, o si tratta della propaganda di due potenze imperialiste impegnate nella corsa al riarmo per spartirsi sfere d'influenza con gli americani. La corsa al riarmo russa e cinese, come quella nordcoreana, è un'entrata in possesso di mezzi capaci di difendere il proprio paese, il proprio popolo e la propria indipendenza dai tentativi imperialisti sempre più intensi e spudorati di scatenare una terza guerra mondiale. Non si possono mettere a paragone i due fenomeni, per quanto simili possano superficialmente sembrare. Né la Cina, né la Russia, né alcun altro che non rientri nel campo imperialista a guida americana, vuole la guerra. Essa viene ricercata unicamente dagli imperialisti statunitensi, seguiti a ruota dai loro vassalli imperialisti straccioni europei (i sionisti israeliani sono in condizioni meno adatte, viste le difficoltà senza precedenti che stanno attraversando nell'ultimo periodo). Il multipolarismo è in questo senso una tattica concreta per la difesa della pace e la conquista dell'indipendenza, esattamente come lo fu la lotta per la pace e la democrazia contro il fascismo negli anni '30 e '40 e come lo fu quella per la sovranità nazionale contro la NATO negli anni '50. Non può esservi alcun socialismo senza indipendenza. Non possiamo pensare di costruire un sistema socialista e costruirlo in pace con 140 basi militari USA-NATO sul nostro territorio, a meno di non dotarci di un apparato militare talmente forte e sofisticato da dover, nelle nostre condizioni, per forza dover ricorrere comunque a una o più potenze tra quelle che aspirano al multipolarismo.
Sbaglia, pertanto, il (n)PCI, quando afferma che il multipolarismo «È la riedizione aggiornata delle “grandi pensate” di Kautsky (piano del capitale, convivenza pacifica di gruppi imperialisti) delle quali a suo tempo Lenin ha già scritto quanto serviva oppure un riecheggiare la linea della “coesistenza pacifica tra paesi a sistema sociale differente” promossa da Stalin omettendo però gli altri aspetti che accompagnavano tale linea: essa era diretta alla mobilitazione delle masse popolari dei paesi imperialisti contro l’aggressione praticata dalle potenze imperialiste contro l’URSS base rossa mondiale della rivoluzione proletaria e centro dell’Internazionale Comunista» [8] Sbaglia perché il multipolarismo non implica affatto né un “piano del capitale”, né una “convivenza pacifica di gruppi imperialisti”, e lo stesso parallelo con l'URSS di Stalin si rivolge in realtà contro chi lo ha formulato: è vero che la Russia di oggi non è l'URSS del 1943, non è la “base rossa della rivoluzione proletaria mondiale”; ma è un paese, come riconosciuto dalla loro stessa carovana, che funge da punto di riferimento politico e militare per i paesi che difendono la loro indipendenza, la loro sovranità e anche il socialismo (Cina, Cuba, Corea socialista). Oggi, pertanto, la parola d'ordine del multipolarismo è e dev'essere diretta alla mobilitazione delle masse popolari dei paesi imperialisti contro l'aggressione praticata dalle potenze imperialiste tramite il regime fantoccio ucraino contro la Russia, paese indipendente, sovrano e antimperialista che promuove l'abbattimento dell'unipolarismo e dell'egemonia americani sul mondo, favorendo così, in seconda istanza e analogamente alla Cina sul fronte economico e finanziario, anche la nostra lotta per il socialismo e ogni futura rivoluzione popolare e proletaria.
Il P.CARC, che sproloquia a proposito di fantomatiche “idee di mondi multipolari pacificati in cui USA, UE, Russia e Cina convivono pacificamente” e che rifiuta il concetto stesso di mondo multipolare non solo “come prospettiva che garantisce la pace del mondo”, ma anche, e “peggio ancora” (!), “come linea di prospettiva e rivoluzionaria”, si colloca ancora una volta nella stessa barricata dei revisionisti e degli opportunisti di destra e di sinistra. Gridare a perdifiato: «Socialismo! Socialismo! Socialismo!», sia pure nella variante social-riformista del “governo di blocco popolare”, non è e non può in alcun modo essere una linea di prospettiva e tantomeno rivoluzionaria. Il socialismo può affermarsi soltanto come risultante dei vari fattori specifici del contesto nazionale, dato dalla storia, dalla cultura, dagli usi e costumi, dalla situazione rivoluzionaria concreta e dallo sviluppo politico, economico e sociale: questo è uno dei primi e fondamentali insegnamenti del marxismo. Il P.CARC fa appello a “usare il marxismo”, ma è il primo ad accantonarlo. Per instaurare il socialismo bisogna darsi i mezzi concreti a tal fine e sfruttare ogni leva e ogni appiglio che le contraddizioni del sistema capitalista a livello nazionale e internazionale ci offrono, altrimenti ci ridurremo a dei vuoti chiacchieroni buoni soltanto a lanciare slogan “ultrasinistri” e “ultrarivoluzionari” che però non hanno alcun seguito e alcuna concretezza pratica. Questo è ciò che segnò la rovina dei partiti marxisti-leninisti nel secolo scorso e quelli di oggi sembrano non aver ancora, nonostante tutto, imparato la lezione.

Note

[1] www.carc.it/2022/12/28/multipolari...xismo-compagni/
[2] www.carc.it/2023/04/04/mondo-multi...one-proletaria/
[3] Ibidem.
[4] www.carc.it/2023/02/25/guerra-in-u...l-vi-congresso/
[5] Vi sarebbero qui da analizzare le dinamiche relative alla sottomissione agli USA dello Stato
Pontificio, rafforzata con Bergoglio e le sue concezioni relativiste, oltre che la mutazione
sovrastrutturale della borghesia post-sessantottina con cui esse si intrecciano, ma tutto ciò ci
porterebbe via tempo e spazio oltre che farci deragliare dal tema dello scritto [nota di JCM].
[6] https://italiacoreapopolare.wordpress.com/...mento-politico/
[7] https://italiacoreapopolare.wordpress.com/...orsa-al-riarmo/
[8] www.nuovopci.it/dfa/2022/123/avvnav123.html
view post Posted: 28/2/2024, 22:49 L'ufologia sovietica - Canalisation d'égout

Gli UFO nell'Unione Sovietica durante la Guerra Fredda


Traduzione di un
articolo di David Alvarez-Planas,
a cura di Zdanovista



Alcuni specialisti sostengono che fu intorno al 1947, in seguito all'incidente di Roswell nel New Mexico, che Stalin iniziò ad interessarsi alle notizie sempre più numerose ed inquietanti che giungevano al suo ufficio su strani oggetti non identificati che compivano strane evoluzioni nei cieli dell'Unione Sovietica. Alcune fonti suggeriscono che Stalin abbia ordinato a Sergei Korolev, il fondatore del programma spaziale sovietico, di analizzare le informazioni relative al presunto incidente di Roswell e di comunicargli le sue conclusioni. Dopo aver studiato attentamente i rapporti di cui era in possesso, Korolev informò il Cremlino che tutto sembrava indicare l'esistenza degli UFO e che le prove sembravano indicare che si trattava di navi pilotate da esseri intelligenti di origine forse non terrestre. Tuttavia, Korolev concluse anche che questi oggetti non rappresentavano una minaccia per la sicurezza dello Stato sovietico. A quanto pare, altri scienziati sono giunti a una conclusione simile, su richiesta dello stesso Stalin. Dopo aver ricevuto queste informazioni, il Cremlino fece la stessa cosa che avevano fatto altri governi, soprattutto quello nordamericano: negare ufficialmente l’esistenza degli UFO e, parallelamente e segretamente, creare un gruppo di ricerca composto da scienziati di alto livello che indagasse il fenomeno in tutti i suoi aspetti e che riferisse le proprie scoperte soltanto alle massime autorità dell'esercito.

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Anche i rapporti sugli UFO raccolti dai piloti dell'aeronautica sovietica furono nascosti al pubblico. Secondo i dati pubblicati dal giornalista americano George Knapp, tra la metà degli anni '50 e la metà degli anni '60, i piloti segnalarono più di 15.000 avvistamenti UFO. Come afferma Knapp, alcuni casi possono essere dovuti a fenomeni naturali, altri a incidenti tipici della Guerra Fredda (voli non autorizzati, satelliti spia, ecc), ma altri non possono essere spiegati. In non meno di quaranta occasioni, agli aerei da combattimento sovietici fu ordinato di decollare e inseguire oggetti volanti che non potevano essere identificati e che non obbedivano alle istruzioni di atterraggio del controllo aereo. Evidentemente, non poteva trattarsi di fenomeni di inversione termica e altre cose del genere, ma di vere e proprie navi che sorvolavano lo spazio aereo russo senza autorizzazione. Uno di questi casi si verificò nel 1968, a Riga, in Lettonia, e merita di essere sottolineato per la sua spettacolarità e l'elevato numero di testimoni, la maggior parte dei quali piloti dell'aviazione militare altamente qualificati. Mentre una troupe cinematografica stava filmando le evoluzioni di un caccia per un film di propaganda dell'esercito sovietico, il pilota del caccia notò la presenza di uno strano oggetto che volava ad alta quota. Il resto della squadra fu avvisato, puntò le telecamere verso quella zona del cielo e poté registrare un oggetto a forma di triangolo che compiva strane evoluzioni ad alta quota. A diversi combattenti della base fu ordinato di decollare per intercettare lo strano oggetto, ma esso si nascose all'improvviso dietro una nuvola e non fu più visto. Successivamente, si stimò che la nave si trovava a circa 11.000 metri di altezza. La registrazione fu inviata al Cremlino, che la nascose al pubblico per anni e fu classificata come top secret. Solo di recente è stato possibile recuperare e visionare nuovamente il nastro. A parte l'elaborata spiegazione che potrebbe trattarsi di un pallone sonda, nessuno è riuscito a dare una risposta a questo enigma.
Ma mentre il segreto più assoluto avvolgeva tutte le indagini governative sul fenomeno UFO, in URSS cominciò a formarsi un vero e proprio esercito clandestino di ufologi. Naturalmente anche loro furono costretti a mantenere i loro studi nel più stretto segreto. Coloro che studiarono casi di UFO in quel periodo si sentirono seriamente minacciati dalla polizia e dal governo sovietici poiché le loro azioni erano considerate al di fuori della legge. Tra questi ricercatori c'era il prestigioso scienziato Felix Ziegel, considerato il padre dell'ufologia sovietica. Ziegel aveva un dottorato in matematica e astronomia presso l'Istituto di aviazione di Mosca. Si dedicò a cercare di scoprire l'origine di quegli strani oggetti che attraversavano impunemente i cieli della Russia. Ziegel sfidò il sistema sovietico organizzando conferenze in cui spiegava a chiunque lo ascoltasse le conclusioni delle sue ricerche sugli UFO e chiedeva ai cittadini sovietici di denunciare eventuali avvistamenti. Ziegel e i suoi ricercatori crearono una rete di comunicazione artigianale per tenere informati i diversi ricercatori del Paese attraverso la redazione e la distribuzione di bollettini clandestini che erano, come altre pubblicazioni, severamente proibiti dal Cremlino. Si trattava di raccolte di osservazioni e scritti dei ricercatori di cui ciascun destinatario faceva 5 o 6 copie che doveva consegnare ad altrettanti ricercatori. Tutto questo materiale veniva dattiloscritto utilizzando carta carbone e distribuito da messaggeri fidati che ne trasportavano segretamente copie da una persona all'altra. Le informazioni sugli UFO circolarono in modo clandestino fino al 1967.
Nel 1967 sembrò che il governo avesse finalmente cessato di praticare la censura sulle informazioni relative agli UFO. Col senno di poi, si può presumere che si sia trattata niente altro che di una manovra, di un piano studiato dal governo per continuare a tenere sotto stretto controllo le informazioni sul fenomeno UFO. Quell’anno ci fu una vera e propria “ondata” di avvistamenti, soprattutto nella zona dell’Ucraina e nella valle vicino alla foce del Volga. Anche nelle montagne del Caucaso vi furono numerosi avvistamenti, e diversi astronomi che svolgevano il loro lavoro negli osservatori astronomici di quella zona riferirono di aver visto strani oggetti a forma di mezzaluna spostarsi da ovest verso est. Stranamente, e per ragioni che ancora oggi ci sono sconosciute, il governo dell’Unione Sovietica permise alla stampa di riferire la notizia e permise perfino che si formassero gruppi di lavoro indipendenti per studiare questi avvistamenti. Félix Ziegel ottenne dal governo l'autorizzazione a creare un comitato investigativo composto da più di 200 esperti scientifici e militari. Questo comitato si riunì nell'ottobre 1967 presso il quartier generale dei piloti e dei cosmonauti a Mosca per discutere e, se possibile, scoprire l'origine degli avvistamenti di massa. A Ziegel fu permesso di chiedere ai cittadini sovietici di riferire qualsiasi informazione sugli UFO. Fu una vera pietra miliare storica, perché per la prima volta in URSS si poté parlare liberamente del fenomeno UFO. Sfortunatamente, questa situazione non durò a lungo. Pochi mesi dopo l'appello di Zigel ai cittadini sovietici, fu ripristinata la censura sull'argomento e fu nuovamente vietata la segnalazione di avvistamenti UFO. Le autorità imposero nuovamente che la stampa non riferisse più alcun avvistamento e il comitato di Ziegel fu sciolto. Ma perché ciò avvenne? Alcuni credono che il governo fosse spaventato dalle massicce segnalazioni inviate dai cittadini, e temesse che la questione sfuggisse di mano. Altri pensano che il Cremlino abbia cercato di nascondere qualcosa, e che quel qualcosa fosse la certezza che i cieli dell’Unione Sovietica erano ripetutamente violati da navi di sconosciuta provenienza, che facevano orecchi da mercante ad ogni avvertimento dell’esercito e che, inoltre, erano completamente incontrollabili. Infine, c'è chi crede che, in realtà, ciò che si cercava di nascondere fossero le attività di alcune armi segrete sovietiche: aerei spia, satelliti e missili. L'unica certezza è che la faccenda fu gettata alle ortiche e, ancora una volta, gli ufologi sovietici furono costretti a tornare a lavorare in clandestinità. Nonostante i divieti, le informazioni esaustive raccolte dal Comitato Félix Ziegel furono pubblicate dalla stampa. Non appena vennero alla luce le prime notizie, il governo sovietico si rese conto che stavano venendo pubblicate informazioni sensibili (ricordiamo che si era in piena Guerra Fredda) che avrebbero potuto essere usate per compromettere la sicurezza nazionale. Quindi, alla fine il governo russo decose di vietare la pubblicazione di rapporti sugli UFO. Ancora una volta, la censura e l'ostracismo sembrarono prevalere per più di 10 anni in cui la gente smise di parlare pubblicamente di UFO.

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Ma nel 1977 si verificò uno degli incidenti UFO più spettacolari della storia. Infatti, il 20 settembre 1977, prima che il sole sorgesse nella piccola città portuale russa di Petrozavodsk , uno spettacolare spettacolo di luci aeree illuminò il cielo. Questo evento sarebbe diventato uno degli avvistamenti UFO più spettacolari e studiati della storia sovietica. Intorno alle 4 del mattino, civili e militari videro enormi apparizioni a forma di stella muoversi nel cielo. Dapprima la strana formazione sembrò avvicinarsi alla città, per poi subito voltarsi e allontanarsi verso l'orizzonte. Le persone per strada videro quella che descrissero come una specie di medusa luminosa i cui tentacoli emergevano da un nucleo luminoso a forma di disco volante. Lo spettacolo impressionante durò circa 10 minuti. Contemporaneamente e secondo quanto riportato dai testimoni, l'avvistamento fu accompagnato da una serie di strani eventi accaduti sulla terraferma. Sono stati denunciati fenomeni anomali di ogni tipo: odore di ozono, dispositivi elettronici bloccati e guidatori che perdevano il controllo dei propri veicoli. Ma forse il fenomeno più difficile da spiegare è stata la comparsa di buchi perfettamente tagliati nei vetri delle finestre, nei muri degli edifici e nei marciapiedi delle città. Non c'è spiegazione a questo fatto, e non possiamo nemmeno affermare con certezza la relazione tra gli avvistamenti e quelle strane perforazioni, ma la coincidenza di tempo e di luogo è esatta. Non c'erano buchi prima dell'avvistamento, sono comparsi dopo. Era impossibile negare l'avvistamento di Petrozavodsk poiché le testimonianze si contavano a migliaia. Ma si è cercato di fornire una spiegazione ufficiale che calmasse gli animi turbati degli abitanti della zona, e si disse che quell'avvistamento fu provocato dal lancio di un satellite. Quella mattina, infatti fu lanciato un razzo da un centro spaziale segreto situato a nord di Mosca, presso il centro spaziale sovietico di Plesetsk, che trasportava il satellite spia Cosmos 955. A quanto pare, il lancio è coinciso con il momento in cui i testimoni hanno affermato di aver visto le norme UFO. I raggi del sole che stavano per sorgere illuminando da dietro la scia del razzo hanno creato un'immagine simile a quella di una medusa. Sebbene alcuni ufologi abbiano accettato il lancio di quel satellite come causa dell'effetto visivo riportato dai testimoni, molti altri ricercatori continuano ad affermare che questa teoria non spiega completamente l'incidente. Che spiegazione poteva esserci per i fasci di luce che perforavano i vetri delle finestre? Molto semplice: dopo aver analizzato i campioni, l'Istituto meteorologico di Mosca ha stabilito che questi fori erano il risultato di vetri difettosi. Ma allora, quali erano le cause dei buchi nei muri degli edifici o nella pavimentazione delle strade? E che dire dei guasti ai dispositivi elettrici? E gli strani odori che alcuni testimoni hanno riferito? Tuttavia, la cosa più rivelatrice di tutta questa vicenda inquietante è stata la decisione presa dal Cremlino, proprio in seguito al caso Petrozavosdsk, di creare un programma segreto per lo studio degli UFO.

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La notizia dell'incidente di Petrozavosdsk ha avuto rilevanza internazionale ed è stata oggetto di notizie e commenti nei media occidentali. Nelle settimane successive all'avvistamento diversi Paesi europei chiesero spiegazioni sulla natura di questo strano evento. In risposta, l’Accademia delle Scienze dell’URSS chiese al Cremlino il permesso di creare un gruppo di ricerca che avrebbe svolto il proprio lavoro nella massima segretezza. Si è ammesso che la reale natura di molti degli avvistamenti UFO segnalati non era nota, ma si sarebbe cercato di studiarli e di fornire una risposta da un punto di vista strettamente scientifico. Fu così che venne avviato il programma scientifico ufficiale per lo studio dei fenomeni anormali e degli oggetti volanti extraterrestri. E fu così che nel 1978 venne creato quello che posteriormente fu conosciuto come Istituto 22, il cui lavoro, svolto sempre nel più stretto segreto, durerà 13 anni. La ricerca dell'Istituto 22 è stata condotta congiuntamente dall'Accademia delle Scienze dell'Unione Sovietica e dal Ministero della Difesa. Da parte sua, all'esercito è stato ordinato di indagare sull'influenza degli UFO sul funzionamento delle apparecchiature elettroniche militari e se potessero rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale. Il Ministero della Difesa aveva un’enorme capacità di osservare e monitorare tutto ciò che accadeva nei cieli dell’Unione Sovietica poiché disponeva di unità militari dislocate in tutto il Paese. Inoltre, bastava un ordine militare per trasformare tutti i soldati in potenziali osservatori. E così fu: centinaia di migliaia di marinai, soldati e piloti furono mobilitati per monitorare e segnalare gli avvistamenti di UFO nei cieli dell'URSS. Naturalmente a nessuno è stato detto il motivo per cui sono state richieste queste relazioni. E tutte queste informazioni sono state classificate e analizzate dagli scienziati dell'Accademia delle Scienze assegnati al cosiddetto Istituto 22. Il personale del laboratorio non era numeroso. Non c'erano più di 10 persone e quel numero non è mai stato superato. Si trattava di specialisti altamente qualificati in vari campi della scienza. Dai fisici agli esperti di radioelettronica, meteorologia, astrofisica, ecc. Quasi tutte le discipline scientifiche erano rappresentate e il fenomeno UFO veniva studiato da tutte le angolazioni possibili.
Il 4 ottobre 1982 si verificò un incidente che mise il mondo sull’orlo della guerra nucleare. In quegli anni di tensione politica, l’Armata Rossa disponeva di silos sparsi in tutta l’Unione Sovietica che ospitavano missili nucleari a lungo raggio puntati su obiettivi strategici in Occidente. In uno di questi silos, attualmente abbandonato, si verificò un incidente UFO che per poco non provocò la terza, ed ultima, guerra mondiale. Tutto è iniziato intorno alle 18:00 quando gli abitanti della città di Byelokoroviche e alcuni soldati della vicina base militare hanno potuto vedere uno strano oggetto nel cielo. Era un enorme UFO a forma di disco di circa 900 metri di diametro. Nello stesso momento, all'interno del silo, sul pannello di controllo si è accesa una luce di emergenza, collegata direttamente a Mosca. Quella luce indicava che un missile nucleare era in modalità di lancio. Il tenente colonnello Vladimir Plantonev, un ingegnere specializzato in missili che si trovava all'interno del bunker quando si verificarono i fatti, è energico quando afferma che, in qualche modo, qualcosa aveva inserito il codice di lancio corretto. Ma Mosca non aveva ordinato alcun lancio, né nessuno nel bunker aveva toccato il pannello di controllo. Per 15 interminabili secondi i tecnici tentarono in tutti i modi di fermare il lancio, ma la verità era che avevano perso il controllo delle armi nucleari. All'improvviso, senza alcuna spiegazione logica, la sequenza di lancio venne interrotta. L'UFO scomparve e il modulo di controllo del lancio ritornò nella sua posizione normale. La domanda è inevitabile: un UFO potrebbe aver interferito con il controllo del lancio di un missile nucleare? Un team di ricercatori dell'Istituto 22 , il gruppo segreto di ricerca sugli UFO finanziato dallo Stato, si è immediatamente recato alla base missilistica. In brevissimo tempo, esattamente mezza giornata, si constatò che in una vicina base aerea era stata effettuata un'esercitazione militare. Gli investigatori hanno scoperto che l'avvistamento è avvenuto nello stesso momento e nello stesso luogo in cui i militari stavano testando i razzi. Lanciati dagli aeroplani, i razzi fornivano dai 5 ai 7 minuti di illuminazione. Con questa spiegazione (razzi) si è cercato di liquidare l'avvistamento da parte di decine di testimoni dell'enorme UFO a forma di disco di 900 metri di diametro. Inoltre, chi o cosa ha attivato la sequenza di lancio nucleare? Successivamente, i tecnici hanno smontato pezzo per pezzo il sistema di controllo missilistico ma non hanno riscontrato alcun difetto che potesse spiegare l’anomalia. Lo strano incidente non può essere attribuito a un guasto elettronico. Tutto sembrava indicare che in qualche modo qualcosa avesse attivato i codici di lancio corretti.


Dopo aver esaminato l’episodio del silo del missile balistico intercontinentale, il team di ricercatori dell'Istituto 22 ha analizzato diversi avvistamenti in tutto il Paese. Tra i testimoni che hanno affermato di aver visto degli UFO c'erano anche alcuni cosmonauti. Per esempio, lo stesso Yuri Gagarin affermò con forza, nei documenti ZEBRA 3, che gli UFO esistono. Inoltre, il secondo uomo sovietico a viaggiare nello spazio, il cosmonauta Gherman Titov, ha detto di aver visto sette UFO danzare attorno alla sua capsula durante il suo breve volo spaziale. Tuttavia, attualmente e ormai da anni, i cosmonauti, seguendo i rigidi protocolli di sicurezza imposti dalle agenzie spaziali, sono riluttanti a parlare di qualsiasi fenomeno insolito a cui hanno assistito nello spazio. D'altro canto, il timore di essere ridicolizzati e che la loro carriera professionale possa esserne influenzata spinge molti a rifuggire dal parlare chiaramente del fenomeno UFO e delle esperienze vissute nello spazio. Tuttavia alcuni astronauti non esitano a raccontare al mondo le loro esperienze. Per esempio,, l'ex comandante Vladimir Kovalenok della stazione spaziale Salyut-6 ha rivelato di aver visto un oggetto irriconoscibile illuminato da una delle finestre della sua nave, il 5 maggio del 1981. Disse: "L'oggetto aveva una forma ellittica e volò con noi. Volò in linea retta finché non si verificò una specie di esplosione che produsse una bellissima luce dorata. Poi si verificò una seconda esplosione e apparvero due sfere, ma non potevamo più vedere perché eravamo entrati nell'oscurità dell'ombra della Terra". Nella missione MIR del 1991, il cosmonauta Musa Maranov riuscì a registrare uno strano oggetto in video durante un'operazione di attracco di routine. In seguito disse: "Stavo guardando fuori dalla finestra più grande. Era proprio di fronte a me. Conosco tutti i tipi di astronavi, ma quella era diversa". Il dibattito sugli avvistamenti effettuati dagli astronauti americani e russi è ancora vivo. Gli scettici insistono sul fatto che ci siano abbastanza detriti spaziali in orbita da innescare una cascata di avvistamenti di strani oggetti.
A metà degli anni ’80, i leader degli Stati Uniti e dell’URSS tennero diversi vertici con l’obiettivo di ridurre le loro armi nucleari e la tensione tra le due superpotenze. Poco dopo uno di questi incontri, il presidente Ronald Reagan dichiarò che lui e Mikhail Gorbaciov avevano discusso di incontri con extraterrestri. Reagan fece cinque dichiarazioni pubbliche, inclusa una davanti alle Nazioni Unite in cui affermò che se gli UFO rappresentassero una minaccia per la Terra, tutti i Paesi dovrebbero unirsi. Dopo la caduta del regime sovietico, nel 1993 George Knapp si recò in Russia e incontrò Boris Sokolov, il coordinatore dell'istituto 22. Come molti dei progetti scientifici dell'epoca sovietica, il governo ritirò i finanziamenti dopo il crollo dell'URSS e il progetto venne sospeso. Sokolov ha fornito a Knapp alcuni dei file UFO declassificati più recentemente. File che contenevano informazioni sui casi più difficili da spiegare. A quanto pare, l'obiettivo finale dello studio degli avvistamenti UFO da parte dell'esercito sovietico era la speranza di poter ottenere informazioni sulla loro tecnologia e prendere così l'iniziativa nella corsa allo spazio contro gli americani. Il clima di distensione che esisteva a metà degli anni ‘90 permise a Sokolov e allo scienziato Yulii Platov di pubblicare un rapporto con le scoperte dell'istituto 22 intitolato "Storia della ricerca statale sugli UFO in URSS". Questo rapporto afferma che tra il 90 e il 95% dei 3.000 avvistamenti UFO indagati possono essere attribuiti a fenomeni che coinvolgono l'uomo (soprattutto lanci di missili e palloni aerostatici da ricerca), mentre il restante 5-10% non può essere spiegato. Ma nel rapporto si afferma anche che non ci sono ragioni per sostenere che gli avvistamenti inspiegabili abbiano una natura extraterrestre. Tuttavia, questo rapporto ha rivelato solo una parte delle informazioni esistenti. Secondo George Knapp, esiste una vera e propria miniera di documenti del KGB su questo argomento che nessuno ha visto, anche se questa organizzazione ha pubblicato alcuni documenti all'inizio degli anni Novanta. Ma sono in molti a sostenere che i migliori resoconti siano ancora nascosti negli archivi dei servizi segreti russi, eredi degli archivi del KGB. Cos'è successo ai file? Una cosa è certa: solo una minima parte è venuta alla luce e i ricercatori hanno avuto accesso solo alla punta dell'iceberg. Finché non saranno disponibili tutte le informazioni e non saranno esaminati tutti i dossier, non si potrà affermare che quanto pubblicato da Sokolov e Platov sia tutta la verità.

Fonte originale: www.dogmacero.org/2011/01/05/ovnis-en-la-union-sovietica/
view post Posted: 28/1/2024, 19:37 Su un presunto errore del compagno Stalin - Marxismo
Il presente articolo è stato scritto e redatto dagli esponenti di Piattaforma Comunista, nota organizzazione marxista-leninista di tendenza hoxhaista. Non devono perciò stupire i ripetuti e reiterati attacchi nei confronti del Presidente Mao e dell’esperienza dell’edificazione del Socialismo in Cina. Ma nonostante gli attacchi nei confronti del Presidente Mao e le solite vecchie accuse di bucharinismo rivolte contro il PCC, il presente articolo muove anche delle critiche giuste. In particolare, risultano essere corrette due critiche fondamentali rivolte a Mao e ai maoisti: 1) l'ingiusta ed erronea attribuzione da parte dei comunisti cinesi di determinati errori a Stalin, i quali però non furono mai commessi da quest'ultimo; 2) l’erronea concezione (fatta propria specialmente dai maoisti moderni) secondo cui sarebbe il Presidente Mao il formulatore della teoria della continuazione della lotta di classe nel Socialismo. Ritengo dunque che, a discapito degli attacchi degli autori contro il maoismo, sia importante postare questo articolo in questa sezione, poiché ricco di dati e informazioni e portatore di una critica che, sebbene esposta in modo sbagliato, sia sostanzialmente giusta.

Su un presunto errore del compagno Stalin


Fra i tanti miti consolidati che costituiscono il corpus delle accuse da "sinistra" al compagno Stalin, particolare rilevanza ha assunto in questi decenni la tesi a lui attribuita circa la sopraggiunta scomparsa delle classi sociali in URSS e quindi la relativa estinzione della lotta di classe (perlomeno sul fronte interno). La nascita ufficiale di questa tesi attribuita a Stalin viene fatta risalire ai lavori preparatori della nuova Costituzione sovietica del 1936; la legge fondamentale finirebbe appunto per sancire giuridicamente la teoria della fine della lotta di classe. Tale presunta "tesi" staliniana viene di fatto posta ad origine delle cause che favorirono il terreno propizio alla restaurazione del capitalismo da parte dei kruscioviani. La base di questi cosiddetti errori attribuiti direttamente a Stalin (ed alla dirigenza sovietica) viene ravvisata dai nostri "critici-critici" in una certa deviazione di tipo economicista, attribuita generalmente alla "vertigine da successi" conseguiti. Questa deviazione avrebbe portato, a parere di costoro, alla sottovalutazione da parte della dirigenza sovietica della forza di resistenza degli strati sociali e degli elementi, sorti prima e dopo la Rivoluzione d'Ottobre, che volevano la restaurazione del capitalismo in URSS e dunque della necessità della vigilanza rivoluzionaria. Una variante di questa critica concepisce invece l'attenzione del gruppo dirigente bolscevico come esclusivamente concentrata nella sfera internazionale della lotta di classe. Sempre secondo i detrattori di Stalin, egli soltanto negli ultimi anni della sua vita, e in particolar modo nelle parti più "autocritiche" dei "Problemi Economici del Socialismo" (1952), si sarebbe ravveduto (ovviamente sotto… l'influenza di Mao!), abbandonando le sue erronee convinzioni, ed avrebbe fatto propria la necessità della battaglia contro gli elementi borghesi. Anche se, sempre secondo queste critiche, egli avrebbe commesso un ulteriore errore non coinvolgendo adeguatamente le masse operaie in questa lotta. Questa ben nota critica, che tra l'altro (e non certo a caso) finisce per riecheggiare in modo sostanzialmente diretto le infamanti accuse trotskiste (v. per es. testi di Trotskij quali: "La nuova Costituzione dell'URSS", 1936, e "La rivoluzione tradita", 1936) ha a tutt'oggi una certa diffusione e viene usata dai denigratori del bolscevismo per creare confusione, incertezze e dubbi in alcuni giovani compagni. Essa è stata lanciata ed è attualmente sostenuta, nelle sue molteplici varianti, in particolar modo dagli estremisti e dalle forze che in qualche modo si richiamano al maoismo. Il corpus di queste tesi, variamente modulato, può essere individuato oltre che sui testi trotskisti già citati, anche sulla base di alcuni scritti di Mao, o comunque ad esso ufficialmente attribuiti o in ultima analisi a vario titolo riconducibili (si vedano in particolare: il testo di Mao "Sulla contraddizione", 1937, ed alcuni altri saggi ufficiali (anche se probabilmente non tutti scritti direttamente da Mao) racchiusi in: "Sulla questione di Stalin, (Edizioni Oriente 1971) e Mao Tse-Tung: "Su Stalin e sull'URSS (Scritti sulla costruzione del socialismo 1958-1961)" (Nuovo politecnico - Einaudi 1975).
Evidenti sono le motivazioni e le conseguenze di questa accusa che col tempo si è configurata come una vera e propria campagna politico-ideologica contro il compagno Stalin. Attraverso queste tesi: a) si cerca di svilire il leninismo e non si riconosce a Stalin il ruolo di difensore e sviluppatore della teoria marxista-leninista e di vertice più alto mai raggiunto dal movimento proletario internazionale; b) si giunge a demolire, sempre sulla strada prefigurata dai trotskisti, alcuni capisaldi delle tesi leniniste sulla costruzione del socialismo e si sviluppano le tesi revisioniste, fino ad arrivare in ultima analisi - lo si voglia o meno - a non riconoscere le conquiste storiche dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, della creazione dei rapporti socialisti di produzione, della liquidazione delle classi sfruttatrici (ridotte a residui), e perfino a negare la costruzione del socialismo in URSS; c) non si comprendono le vere cause della temporanea sconfitta del socialismo come sistema sociale e della restaurazione capitalista nel campo socialista: comprensione che riteniamo essenziale per la stessa opera di ricostruzione e rafforzamento dei partiti comunisti; d) si avvalora un ipotetico "terzo e superiore stadio" di sviluppo della scienza marxista-leninista, sostituendo Stalin con Mao, accreditando quest'ultimo come il creatore della teoria della continuazione della lotta di classe nel socialismo. Risulta dunque ben evidente la pericolosità di tale tesi all'interno del dibattito politico ed ideologico nel movimento comunista. Tesi che non può essere messa in un cantone con sufficienza, anche se bisogna riconoscere una gran bella faccia tosta a coloro che lanciano certe accuse a Stalin criticando pochi passi di uno scritto, quando proprio lo stesso Mao, sulla base delle tesi revisioniste bukhariniane, non solo non ha condotto una lotta di classe risoluta contro la borghesia nazionale, ma ha al contrario speso fiumi di inchiostro ed improntato le sue tesi strategiche proprio sulla santificazione del ruolo "progressista e rivoluzionario" di questa classe! (si vedano in particolare: "I compiti del partito comunista cinese nel periodo della resistenza al Giappone",1937, "Sulla nuova democrazia", 1940, "La dittatura democratica popolare", 1949, "Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo", 1957).
Andiamo ora ad esaminare alcuni fatti, con la premessa che questo articolo si limiterà a fare luce sull'immaginario "errore del '36", rinviando ad altra occasione ulteriori nostre considerazioni sul processo di restaurazione del capitalismo in URSS avvenuto dopo la morte di Stalin.

Il testo ed il suo significato

Il VII° Congresso dei Soviet dell'URSS, tenutosi nel febbraio del 1935, di fronte agli immensi, radicali cambiamenti avvenuti nella società sovietica, che era "entrata in una nuova fase di sviluppo, nella fase del compimento dell'edificazione socialista e del passaggio progressivo alla società comunista" ("Storia del PC(B) dell'URSS", 1938), aveva deciso di apportare alla Costituzione del 1924 le modificazioni resesi indispensabili per adeguarla alla nuova realtà. In seguito a questa decisione, venne costituita una Commissione speciale sotto la presidenza del compagno Stalin per elaborare e redigere il progetto della nuova Costituzione dell'URSS. Il progetto fu sottoposto ad un enorme dibattito popolare in tutto il paese, che durò vari mesi, e quindi portato in discussione all'VIII° Congresso (straordinario) dei Soviet. L'VIII° Congresso (straordinario) dei Soviet approvò il 5 dicembre 1936 all'unanimità la nuova Costituzione dell'URSS, che sanciva "la vittoria del socialismo e della democrazia operaia e contadina" ("Storia del PC (B), ecc."). La "pietra dello scandalo" viene comunemente individuata in alcune frasi del celebre scritto di Stalin "Sul progetto di Costituzione dell'URSS" - Rapporto all'VIII° Congresso , Straordinario, dei Soviet dell'URSS ( 25 novembre 1936). In questa relazione, che tra l'altro non può essere schematicamente ed in modo semplicistico sovrapposta al testo costituzionale poi approvato, Stalin espose i cambiamenti fondamentali sopravvenuti in quel periodo nel paese dei Soviet ed espresse le sue osservazioni su questo fondamentale documento legislativo. Cosa afferma effettivamente Stalin in questo testo? A costo di sembrare didascalici, riteniamo che il modo migliore, per capire veramente le sue posizioni, sia di riportare il testo originale in tutti quei passaggi che riguardano le critiche oggetto di questo articolo.
Innanzitutto va osservato, come scrive Stalin, che il VII° Congresso dei Soviet aveva deciso che le modifiche da apportare al testo della Costituzione erano finalizzate a "precisare la base economica e sociale della Costituzione, per adeguare la Costituzione all'attuale rapporto tra le forze di classe nell'URSS.". Il grande dirigente bolscevico illustra semplicemente i "cambiamenti sopravvenuti nella vita dell'URSS, nel periodo 1924-1936" e trae le conclusioni in questi termini: "Qual'è la situazione adesso, nel 1936? […] adesso ci troviamo […] nel periodo della completa liquidazione del capitalismo in tutte le sfere dell'economia nazionale" e "In tal modo, la vittoria completa del sistema socialista in tutte le sfere dell'economia nazionale è ormai un fatto. Ma che significa questo? Questo significa che lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo è stato soppresso, liquidato, e la proprietà socialista degli strumenti e dei mezzi di produzione si è affermata come base incrollabile della nostra società sovietica. Come risultato di tutti questi cambiamenti sopravvenuti nell'economia nazionale dell'URSS, esiste oggi un'economia nuova, socialista". Prosegue il testo: "In rapporto con questi cambiamenti sopravvenuti nell'economia dell'URSS, si è modificata anche la struttura di classe della nostra società". Registrando l'abolizione dei rapporti di produzione capitalistici e quindi la scomparsa delle classi possidenti dal punto di vista economico, concludeva che "Tutte le classi sfruttatrici, in tal modo, sono state liquidate". Pertanto "non vi sono più classi antagoniste", "gli interessi delle quali sono ostili e irreconciliabili". A perdurare per un certo tempo nella società sovietica sarebbero state dunque non le classi sfruttatrici, bensì alcune loro irrilevanti sopravvivenze, che sarebbero state definitivamente liquidate con il passaggio allo stadio superiore della società comunista. Ovviamente a Stalin non passa nemmeno lontanamente per la mente di sostenere che nel socialismo non rimanevano dei residui di proprietà privata, che non rimanevano, in particolare, sacche di contadini individuali (anche se essi non avevano più alcuna seria importanza nell'economia del paese), che la permanenza dei rapporti mercantili non avesse una sua nefasta influenza. Quello che interessa al compagno Stalin è di illustrare la struttura di classe della società sovietica: essa era diventata una nuova società socialista in cui "non vi sono più classi antagoniste", composta dalla classe operaia, dalla classe dei contadini e dagli intellettuali; inoltre questi gruppi sociali erano cambiati, erano divenuti dei gruppi sociali, presi nella loro generalità, completamente nuovi, ed "i cui interessi non solo non sono ostili, ma al contrario, sono affini".
Dopodiché Stalin tratta delle premesse e delle "particolarità essenziali del progetto di Costituzione" così come definite dalla Commissione incaricata. Stalin afferma qui molte cose estremamente interessanti e che, come vedremo, smentiscono e negano completamente le accuse dei suoi critici. In particolare alla critica "ultrasinistra", secondo cui la nuova Costituzione sovietica costituirebbe uno "scarto a destra", una "rinunzia alla dittatura del proletariato", e sancirebbe, attraverso la fine del regime di privazione/limitazione del diritto elettorale per determinate categorie, il rinnegamento della dittatura proletaria e l'"apertura" all'infiltrazione dei gruppi antisovietici, ed addirittura porterebbe alla “liquidazione del partito bolscevico” (il vero architrave delle accuse mosse a Stalin), Stalin ribatte, ricordando la lezione leniniana. Ossia, la vittoria del socialismo, la riduzione dei rapporti di proprietà presocialisti a livelli minimali e la liquidazione delle classi sfruttatrici, nonché idonee condizioni internazionali, permettono, in condizioni determinate, di creare una situazione in cui "il potere statale proletario sceglierà altri metodi per schiacciare la resistenza degli sfruttatori" e si aprirà la strada ad una più larga e conseguente democrazia socialista. Effettivamente il capo bolscevico è consapevole della necessità che lo sviluppo dei diritti civili e politici vigenti nella società sovietica deve essere coerentemente adeguato alle conquiste ottenute a livello economico-sociale dalla classe operaia e dalle masse lavoratrici dell'URSS. Per Stalin questa è una delle condizioni indispensabili per rendere invincibile il socialismo, compiere ulteriori passi in avanti verso la costruzione della "società comunista integrale" e mantenere ferreo il legame tra il partito e le masse popolari. Questo "atto dovuto" nella sfera della sovrastruttura (la Costituzione sanciva la vittoria del socialismo solo sul piano strutturale) consolidava la dittatura del proletariato tramite il rafforzamento dell'attività politica e di controllo su tutti i gangli della società e dell'apparato sovietico da parte delle masse lavoratrici e permetteva inoltre di coniugare, lungo un percorso storico del tutto inedito ed inesplorato, le esigenze del costante miglioramento delle condizioni materiali e spirituali delle masse popolari con la persistente necessità della dittatura del proletariato. Gustoso e tagliente è il commento ironico di Stalin circa le paure e le debolezze teoriche di certi critici dogmatici che pretendono a torto di applicare concezioni e categorie politiche in modo indifferenziato a qualsiasi situazione storica ed a scapito della realtà, e che magari pensano che sia possibile allargare la democrazia solo dopo che tutta la borghesia sia completamente e definitivamente scomparsa dalla faccia della Terra. Stalin dice: "Che cosa si può dire di questi critici, con licenza parlando? Se l'allargamento della base della dittatura della classe operaia, e la trasformazione della dittatura in un sistema più agile, e quindi, più potente di direzione politica della società, vengono interpretati da costoro non come un rafforzamento della dittatura della classe operaia, ma come un indebolimento di essa, o perfino come una rinuncia ad essa, allora è lecito domandare: ma sanno, in generale, questi signori, che cosa è la dittatura della classe operaia?". Ed infine, tanto per togliere ogni possibile ulteriore dubbio, ed affossare definitivamente la tesi dei nostri "criticastri", possiamo concludere questo paragrafo con altre lapidarie parole: "Debbo riconoscere che il progetto della nuova Costituzione mantiene effettivamente in vigore il regime della dittatura della classe operaia, così come conserva senza modificazioni l'attuale posizione dirigente del Partito comunista dell'URSS.".

Cosa afferma veramente Stalin?

Partiamo da un primo essenziale e decisivo elemento. Sulla base delle citazioni riportate, è assolutamente evidente che Stalin parla in questo testo, e solamente in questo stretto senso, della scomparsa delle classi dal punto di vista economico, dell'abolizione dei rapporti di classe capitalistici. Lo fa basandosi sulla famosa definizione di classi sociali data da Lenin, ed all'interno del piano di lavoro deciso dalla già ricordata decisione del VII° Congresso: "Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più sanzionati e fissati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nella organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo e la misura in cui godono della parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, dei quali l'uno può appropriarsi il lavoro dell'altro, a seconda del differente posto da esso occupato in un determinato sistema di economia sociale" (Lenin, "La grande iniziativa",1919). Stalin, su questa base e sotto questo unico aspetto, sostiene giustamente che "nella società (e non “nel paese", quasi a sottolineare che si sta qui limitando alla questione dei rapporti sociali di produzione) non vi sono più classi antagoniste" (e non che “non ci sono più le classi” e basta, non che “non ci sono più contraddizioni e contrasti di classe”), in quanto non esisteva sostanzialmente più la proprietà privata dei mezzi di produzione, non esisteva più alcun "gruppo di persone" che potesse "appropriarsi il lavoro dell'altro", non esisteva più lo sfruttamento dei lavoratori. In questa sua "scandalosa" frase riassume dunque, semplicemente, l'analisi della struttura socioeconomica sovietica, senza riferirsi alla dinamica complessiva dello scontro con la borghesia in tutte le sfere della lotta di classe (ad es. nella lotta che proseguiva sul fronte ideologico). Ci sarebbe da chiedersi come mai coloro che straparlano della distinzione fra la categoria di "contraddizioni antagonistiche" e "contraddizioni in seno al popolo", non colgano questa "sottile" differenza nelle argomentazioni staliniane. Dunque, con la sua tesi, Stalin non arriva per nulla alle conclusioni che gli vengono maldestramente accreditate. I cambiamenti avvenuti nella struttura di classe della nuova società sovietica, su cui egli si sofferma, non costituiscono a suo parere un elemento che possa permettere di utilizzare categorie come l'"insieme dei lavoratori della società comunista", al posto delle categorie "classe operaia" e "classe contadina". Al contrario, Stalin sostiene in modo esplicito che: a) la società sovietica è composta da classi sociali; b) che permanevano delle differenze di classe fra la classe operaia e le altre componenti della società sovietica; c) che contraddizioni e differenze di classe economiche, politiche, sociali e spirituali tra le classi sociali sovietiche andavano man mano scomparendo, grazie ad una saggia linea del partito (e non che "erano già scomparse"!).
Sono altresì opportune ulteriori considerazioni riguardo il complesso delle calunnie mosse contro Stalin. Partiamo dalla grottesca tesi della "deviazione economicista", che sarebbe la base teorica delle accuse del '36. Ci sembra francamente ridicolo, oltre che offensivo, accusare Stalin di dare importanza esclusivamente al fattore della sfera economica, ai rapporti di produzione, e di non tener conto della "sovrastruttura socio-politica" e dell'"elemento umano". Stalin rifugge da qualsiasi influsso di determinismo volgare. Egli conosce benissimo gli scritti di Engels, le sue preziose indicazioni, e ne ha sempre costantemente fatto tesoro. Alla faccia dei suoi critici, Stalin ribadisce continuamente nei suoi scritti non soltanto la tesi marxista-leninista sul rapporto dialettico "struttura-sovrastruttura", ma sottolinea con forza la funzione storica e l'importanza della "sovrastruttura", si sofferma in modo puntuale sull'importanza e sulla "funzione immensa" dell'attività cosciente degli uomini, attività che, ad un certo punto dello sviluppo storico, prende il posto del processo spontaneo.
La stessa "sub-accusa" di aver concentrato negli anni ‘20 e ‘30 l'attenzione in modo assolutamente predominante, se non esclusivo, sull'aspetto internazionale della lotta di classe (l'accerchiamento capitalistico), è palesemente strumentale e può essere ribaltata in una clamorosa testimonianza della lungimiranza politica di Stalin. Egli ha esatta coscienza del pericolo terribile in cui versa il paese dei Soviet, il terribile pericolo della guerra quale forma storica reale in cui si incarnava allora concretamente la lotta di classe fra socialismo e imperialismo (che esprime la contraddizione principale fra proletariato e borghesia). L'invasione nazifascista (che avvenne di lì a pochissimi anni) è stata infatti la forma concreta, certo la più estrema e drammatica, assunta dalla lotta di classe che l'imperialismo internazionale ha scatenato, con l'attiva complicità dei residui borghesi interni allo stato socialista, contro il socialismo. Stalin concentra giustamente la lotta sul fronte internazionale, o potremmo dire più giustamente, ingloba e considera la lotta di classe "interna" come un elemento legato allo scontro sul fronte internazionale, che si andava acutizzando in quella precisa fase storica. Il compagno Stalin ha costantemente sostenuto la necessità della permanenza della lotta di classe, del rafforzamento della dittatura proletaria. Le repressioni rigorose del 1937-38 (2 anni dopo la tesi incriminata!) dovrebbero azzittire a sufficienza anche i "critici-critici" più ottusi e dimostrano al contrario che Stalin non ha affatto sottovalutato l'aspetto interno della lotta di classe, la pericolosità del cosiddetto "blocco dei destri e dei trotskisti" e degli altri elementi opportunisti, rappresentanti politici ed ideologici della borghesia. Stalin anzi, denunciando il fatto che i gruppi e gli elementi antileninisti interni (ossia proprio coloro che i falsi critici pretenderebbero non essere presi in considerazione dal grande dirigente georgiano!) erano degenerati completamente ed avevano ricevuto l'appoggio diretto della borghesia imperialista internazionale, diventando così degli agenti controrivoluzionari al servizio dell'imperialismo straniero, ne ha evidenziato la loro pericolosità. Le repressioni del 1937-38 non sono dunque altro che una forma in cui si manifestò la lotta di classe all'interno dell'Unione Sovietica. D'altra parte, per quale motivo (a meno di non correre dietro a Krusciov ed alle sue accuse di paranoia lanciate al XX° Congresso) Stalin sarebbe arrivato da un lato alle conclusioni imputategli, e poi allo stesso tempo avrebbe, all'opposto, inasprito ed acutizzato sul terreno dello scontro sociale la teoria e la pratica della dittatura del proletariato?

Cosa afferma Stalin in altri suoi scritti

Possiamo dunque sostenere a ragion veduta che le critiche a Stalin oggetto di questo articolo sono inesorabilmente smentite dai fatti, completamente destituite di ogni fondamento e palesemente strumentali. Questa conclusione risulta ancora più indiscutibile se analizziamo l'evoluzione del pensiero di Stalin in un periodo storico abbastanza ampio, diciamo nel quinquennio 1934-39. In alcuni scritti chiave di questo periodo, racchiusi nei due rapporti al Congresso del Partito Comunista (Bolscevico), il XVII° del 1934 e il XVIII° del 1939 (ossia: "Sulle deficienze del lavoro del Partito e sulle misure per liquidare i trotskisti e altri ipocriti",1937, "Risposta alla lettera di Ivanov",1938, "Storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS." (con particolare attenzione al suo famoso paragrafo su "Il materialismo dialettico e il materialismo storico",1938), vediamo come le sue posizioni risultano ad un'analisi obiettiva assolutamente precise, chiare e conseguenti. In estrema sintesi ricordiamo, senza soffermarci sui punti già trattati, alcuni aspetti e tesi staliniane che confermano il nostro giudizio:

1) Il passaggio dal capitalismo al comunismo (la società di transizione, il socialismo) abbraccia un intero periodo storico. Stalin è pienamente cosciente delle enormi difficoltà che un paese "storicamente ed economicamente arretrato" incontra nella edificazione della nuova società. Per il dirigente bolscevico, l'abolizione dei rapporti sociali di produzione capitalistici (che rimanevano in forma assolutamente residuale) e la liquidazione della borghesia nel campo economico non comportavano affatto la scomparsa completa, automatica ed immediata della borghesia (e degli strati privilegiati che esprimevano interessi borghesi) nella sfera politica, in quella ideologica, morale, ecc. Inoltre era chiaro ai suoi occhi che i settori sociali borghesi interni (i residui delle classi sfruttatrici liquidate, ma non ancora scomparse definitivamente, alcuni strati intermedi nelle città e nelle campagne, e gli strati tecno-burocratici privilegiati), permanevano ancora in URSS e mantenevano ancora una altissima pericolosità. Essi costituivano un terreno favorevole per la sopravvivenza dei rapporti sociali capitalistici nell'economia e nella coscienza degli uomini e per stimolare la riproduzione delle varie tendenze antisovietiche. La loro pericolosità stava nella forza della tradizione ideologica e culturale, nella formidabile esperienza che essi avevano accumulato nei vari settori dell'apparato statale e della vita sociale, nella enorme capacità di resistenza delle abitudini borghesi, così come si veniva a verificare lungo il percorso della costruzione del socialismo, nel mantenimento della piccola produzione mercantile, specie nelle campagne. Questi settori sociali antileninisti, anche e soprattutto grazie ai loro legami con la borghesia imperialista internazionale, avrebbero continuato ad opporre una disperata resistenza contro il nuovo ordinamento sociale ed a sviluppare e condurre una strenua lotta di classe per la loro sopravvivenza. Una lotta all'ultimo sangue la cui posta in gioco era la vittoria definitiva del socialismo o la restaurazione del capitalismo.

2) Stalin mette in guardia dai residui ideologici delle deviazioni borghesi già annientate che ancora permanevano vivi ed attivi anche fra singoli membri del partito, e dalla possibilità persistente dell'insorgere di nuove manifestazioni di deviazioni opportuniste. Stalin non parla di "degenerazione del partito", come sono abituati a sproloquiare certi ultrasinistri. Avverte però che il partito non è affatto impermeabile all'azione politica ed ideologica degli elementi borghesi presenti in URSS ed alle sirene della borghesia internazionale. Afferma che all'interno del partito (e dello Stato sovietico) è costante la lotta fra il leninismo e le tendenze avversarie. A tale proposito, ancora nel 1937, mette decisamente in guardia e denuncia costantemente i limiti e le deficienze nel lavoro economico, politico ed ideologico che colpiscono tutto il corpo del partito e che sono riscontrabili, in una certa misura, nei quadri e in tutte o quasi le istanze dirigenti, nelle organizzazioni del partito e nelle istituzioni sovietiche. Stalin parla di compagni che dimenticano i pericoli, di confusione mentale, di faciloneria e bonomia politica e opportunista, di dabbenaggine piccolo-borghese che ostacolano pesantemente la vigilanza rivoluzionaria contro i nemici (dentro e fuori i confini sovietici) del socialismo. La loro spiegazione sta per Stalin nella euforia esagerata per i successi dell'edificazione socialista, e nella tendenza economicista (ossia proprio quelle carenze teorico-politiche che i nostri estremisti vorrebbero rovesciare su Stalin!), che hanno fatto "semplicemente dimenticare" o soltanto sottovalutare ai comunisti, soprattutto a quelli meno preparati, fattori quali il pericolo dovuto all'accerchiamento capitalistico, ed ha favorito un atteggiamento politicamente miope ed indebolito il partito. Questi pericolosi atteggiamenti sono sorti, in ultima analisi, sul terreno di importanti insufficienze e lacune del lavoro ideologico e politico (in particolare riguardanti la dottrina marxista dello Stato).

3) Una dimostrazione lampante di quanto Stalin, alla faccia della critica degli ultrasinistri che gli imputano la colpa di considerare soltanto l'aspetto economista e della tecnologia, consideri sommamente l'importanza essenziale del "fattore umano", è il fatto che egli rilancia incessantemente la necessità assoluta ed impellente (per la sorte stessa del socialismo) di liquidare queste deficienze, per sconfiggere ogni elemento che porti l'influenza delle posizioni borghesi nel partito e nella classe lavoratrice. Stalin indica dunque quali misure fondamentali indispensabili: a) la lotta costante per il miglioramento ed il perfezionamento della dottrina marxista-leninista (in particolare dello stato), per rafforzare ed elevare la preparazione ideologica e politica, per una migliore composizione dei quadri dirigenti; b) la necessità di temprare politicamente i quadri, in modo che essi siano capaci di orientarsi e destreggiarsi oltre che nel lavoro economico e tecnico, anche in qualsiasi grande questione politica di carattere interno ed internazionale, farne cioè effettivamente dei leninisti; c) la battaglia politica contro tutti coloro che esprimevano e si facevano portavoce di posizioni errate, facendo in particolare comprendere la centralità del lavoro politico ed organizzativo del partito, perno essenziale e garanzia decisiva, in ultima istanza, anche per i successi nel campo economico; d) la lotta senza quartiere per l'eliminazione delle tendenze borghesi, di ogni sorta di atteggiamenti opportunisti, il rafforzamento della vigilanza politica contro i nemici, interni ed esterni, del socialismo "in qualsiasi campo ed in qualsiasi circostanza", elementi che, insieme alla costante mobilitazione della classe operaia e delle masse lavoratrici e popolari, sono considerati da Stalin, elementi indispensabili per la difesa del socialismo. Come si vede, non vi è una sola riga negli scritti di Stalin che comprova le critiche degli estremisti, ma ve ne sono molte che dicono esattamente il contrario.

Un nodo teorico fondamentale

Stalin, nonostante gli sforzi dei nostri "critici-critici", non solo ha fatto ogni sforzo possibile nella lotta contro la borghesia interna ed internazionale, ma è anche il dirigente che, basandosi sulla originaria elaborazione teorica formulata da Lenin, ha enunciato, nonostante la mancanza di esperienze storiche del movimento operaio da cui trarre insegnamento, la teoria del proseguimento e dell'inasprimento della lotta di classe durante tutto il periodo storico della società di transizione. Nel 1937 Stalin afferma con termini inequivocabili: "E' necessario demolire e buttare a mare la putrida teoria secondo la quale ad ogni passo in avanti che facciamo, la lotta di classe da noi dovrebbe affievolirsi sempre più, secondo la quale, nella misura che otteniamo dei successi, il nemico di classe diventerebbe sempre più mansueto […] Al contrario, quanto più andremo avanti, quanti più successi avremo, tanto più i residui delle vecchie classi sfruttatrici distrutte diventeranno feroci, tanto più rapidamente essi ricorreranno a forme di lotta più acute, tanto più essi cercheranno di colpire lo Stato sovietico, tanto più essi ricorreranno ai mezzi di lotta più disperati come gli ultimi mezzi di chi è condannato a morire. Bisogna tenere conto del fatto che i residui delle classi distrutte nell'URSS non sono isolati. Essi hanno l'appoggio diretto dei nostri nemici al di là delle frontiere dell'URSS. Sarebbe errato pensare che la sfera della lotta di classe sia racchiusa entro le frontiere dell'URSS. Se la lotta di classe si svolge per una parte nel quadro dell'URSS, per un'altra parte essa si estende entro i confini degli Stati borghesi che ci circondano." (Stalin, "Sulle deficienze del lavoro, ecc."). Analizzando i rapporti di forza esistenti a livello internazionale fra socialismo ed imperialismo e sviluppando ulteriormente la teoria marxista-leninista, in particolare sullo Stato socialista, il compagno Stalin lega la possibilità (che continuava ad esistere) della sconfitta del socialismo in URSS all'azione congiunta delle potenze imperialiste internazionali con le tendenze antisocialiste interne, in quanto riteneva che qualsiasi tentativo di restaurazione capitalista dall'interno "non può aversi che con l'appoggio internazionale". Dunque, la vittoria del socialismo in un solo paese può considerarsi definitiva soltanto quando l'accerchiamento capitalistico sarà sostituito dall'accerchiamento socialista, ossia dalla vittoria del nuovo sistema sociale perlomeno in una serie di paesi capitalistici avanzati. Per Stalin è dunque indispensabile l'aiuto del proletariato internazionale congiunto con la mobilitazione generale e "con gli sforzi ancora più seri di tutto il popolo sovietico", cioè l'aiuto reciproco su tutti i fronti della classe operaia internazionale per la vittoria del socialismo. E, ancora, ricorda che: "Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre un'enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato" (Lenin, "Stato e rivoluzione,1917). Ci sembra dunque definitivamente assodato che, per Stalin, stato socialista, lotta di classe e dittatura del proletariato sono tre questioni intimamente interconnesse, e che in sostanza vedranno la loro scomparsa soltanto con la vittoria definitiva del nuovo sistema sociale. Fermo restando ciò, Stalin avverte che la liquidazione delle classi sfruttatrici (nel solo senso ribadito in questo articolo) e le modificazioni dei rapporti di forza sul fronte internazionale permettono di modificare le forme e le funzioni della dittatura del proletariato adeguandola alla nuova realtà che si determina. La "repressione armata all'interno" dello Stato socialista perde così il suo carattere prioritario e la sua funzione fondamentale diventa il puntare tutte le sue armi di vigilanza e repressione contro qualsiasi tentativo di aggressione imperialista dall'esterno.
In conclusione: per Stalin la società comunista non sorge spontaneamente; essa, all'opposto, nasce sulla base degli sforzi di tutti i lavoratori "rafforzando gli organi della dittatura del proletariato, sviluppando la lotta di classe, sopprimendo le classi, liquidando le sopravvivenze delle classi capitalistiche, in una lotta continua tanto contro i nemici interni che contro quelli esterni" (Stalin, "Rapporto al XVII° Congresso del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS,1934). La lotta di classe su tutti i fronti della vita sociale va dunque condotta e mantenuta fino in fondo, contro tutti i nemici, interni ed esterni, fino alla vittoria definitiva del socialismo ed al passaggio al comunismo. La storia e lo sviluppo del Partito comunista è in effetti a ben vedere la storia della acerrima lotta su tutti i fronti fra la linea marxista-leninista rivoluzionaria e le correnti borghesi che si esprimevano attraverso gruppi ed elementi opportunisti ed antileninisti annidati in seno al partito, alla società ed alla stessa classe lavoratrice. E' il compagno Giuseppe Stalin, e non altri, a formulare l'organica teoria dell'inasprimento della lotta di classe nel socialismo. In particolare, fu proprio sulla questione dell'accentuazione della lotta di classe nel nuovo sistema sociale, che assistiamo nel 1929 allo scontro frontale fra Stalin e Bukharin. Stalin bolla a più riprese come balorde e malsane le sciagurate teorie conciliatrici di Bukharin e degli altri opportunisti di destra, teorie che ritenevano necessaria la integrazione pacifica degli elementi capitalisti nella società sovietica consacrando così il collaborazionismo di classe. Questa tesi porta ovviamente diritti al ripudio della lotta di classe ed al concetto stesso di dittatura del proletariato. Ricordiamo peraltro che proprio queste teorie revisioniste di destra sono state, e la contraddizione è in verità soltanto apparente, poi sostanzialmente riprese in forme differenti da Krusciov prima e da Mao dopo. Possiamo in conclusione affermare che, al di là di qualche differenza e di effimeri giri di parole, le svariate deviazioni e correnti opportuniste hanno in realtà un elemento centrale in comune, ossia la negazione del decisivo, seguente, insegnamento leniniano: "Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e anche il grande). E' questo il punto attorno al quale bisogna mettere alla prova la comprensione ed il riconoscimento effettivi del marxismo" (Lenin, "Stato e rivoluzione"). Esiste dunque in realtà una linea diretta, al di là di cosa possano dire o credere i nostri critici, che lega le varie correnti non autenticamente marxiste-leniniste. Le vecchie concezioni socialdemocratiche e conciliatrici e quelle estremistiche di "sinistra" sono le due facce di una stessa medaglia, di una stessa linea, che ha come obiettivo la sconfitta dell'ideologia proletaria ed il mantenimento dell'egemonia politica, ideologica ed organizzativa borghese all'interno del movimento comunista ed operaio. La teoria del mantenimento e dell'inasprimento della lotta di classe dopo la presa del potere, enunciata da Stalin, è un aspetto decisivo del marxismo-leninismo, in quanto essa tocca direttamente il nodo essenziale della dittatura del proletariato. Essa costituisce un punto irrinunciabile di rottura con ogni sorta di teoria e pratica opportunista e conciliatrice, ed allo stesso tempo costituisce uno dei più importanti e decisivi contributi teorici e politici che Stalin ha lasciato in preziosa eredità al movimento operaio e comunista internazionale.

(Da Teoria & Prassi n. 17, gennaio 2007 pagg. 27-34)
view post Posted: 28/1/2024, 19:35 II testamento di Stalin - Letture

II testamento di Stalin


Non sappiamo se Stalin abbia lasciato un testamento politico vero e proprio. Probabilmente un tale documento non esiste. Tuttavia negli interventi noti degli ultimi mesi della sua vita, Stalin lasciò alcune indicazioni fondamentali su taluni problemi storici del movimento comunista e operaio internazionale nel periodo in corso del passaggio dal capitalismo al socialismo sul piano mondiale. Queste indicazioni testimoniano la sua inscuotibile fiducia nella forza espansiva dei principi e della prassi del marxismo-leninismo e confermano la sua sollecitudine per il futuro dell'Urss e del socialismo mondiale. Queste indicazioni riguardano principalmente l'internazionalismo proletario e i compiti storici dei partiti comunisti, i problemi della pace e della guerra e il passaggio al comunismo nell'Urss. Richiamarle non costituisce soltanto una esercitazione storiografica. Il riconoscimento della loro validità riveste un preciso significato politico-ideologico nelle complesse controversie attuali sulle vie del socialismo.

a) L’internazionalismo proletario e i compiti storici dei partiti comunisti


Nell'ultima seduta del XIX Congresso del Pcus. tenutosi nell'ottobre del 1952, Stalin con un conciso intervento ricordò innanzitutto i rapporti di mutuo appoggio sempre intercorsi fra il Pcus e gli altri partiti comunisti, fra l'Urss e gli altri popoli «fratelli». Sottolineò il grande contributo fornito dall'Urss, «reparto d'assalto» del movimento rivoluzionario e operaio internazionale, in specie con la vittoria nella II guerra mondiale che aveva liberato i popoli dell'Europa e dell' Asia dalla minaccia della schiavitù fascista. Dichiarò poi che il difficile «compito d'onore» addossatosi dall'Urss quando era sola, veniva ora agevolato dalla costituzione dei nuovi «reparti d'assalto» delle democrazie popolari, dalla Cina alla Cecoslovacchia. Si rivolse quindi ai partiti comunisti o «operai-contadini» che si trovavano impegnati in lotte, talvolta durissime, sotto il tallone delle «draconiane leggi borghesi». Il loro lavoro, indubbiamente difficile, era tuttavia illuminato dalle esperienze di «errori e di successi» compiute dall'Urss e dalle democrazie popolari. Inoltre - affermò Stalin - la borghesia internazionale si è trasformata in modo molto profondo, è diventata più reazionaria,, ha perso i legami col popolo e quindi si è indebolita. Prima praticava il liberalismo, difendeva le libertà democratico-borghesi. Oggi del liberalismo non rimane più traccia. È scomparsa la cosiddetta «libertà individuale», i diritti della persona sono riconosciuti soltanto a chi detiene il capitale, mentre tutti gli altri uomini sono considerati come «grezzo materiale umano, buono soltanto per essere sfruttato». Anche il principio dell'uguaglianza dei popoli e degli individui è sistematicamente calpestato, i pieni diritti spettano soltanto alla minoranza sfruttatrice. Prima la borghesia si considerava alla testa della nazione e ne difendeva i diritti e l'indipendenza «al di sopra di tutto». Adesso non vi è più traccia del «principio nazionale» e la borghesia «vende i diritti e l'indipendenza della nazione per dollari». Le bandiere delle libertà democratico-borghesi e dell'indipendenza e sovranità nazionali sono state gettate a mare dalla borghesia capitalistica. Tocca ai partiti comunisti risollevare queste bandiere se vorranno raggruppare attorno a sé la maggioranza del popolo e divenire in tal modo la forza dirigente della nazione. Non vi è nessun altro che possa farlo.
Gli ultimi trent’anni di storia della lotta di classe nei paesi capitalistici dimostrano quanto sia ancora valida l'indicazione staliniana. Fra l'altro, quei partiti comunisti - in particolare il Pci e gli altri «eurocomunisti» - che hanno gradatamente rinunciato alla lotta per l'indipendenza nazionale, hanno in pari tempo imboccato la via dei cedimenti dinnanzi alla propria borghesia e all'imperialismo Usa e hanno attentato o spezzato i legami fraterni con l'Urss e gli altri paesi del campo del socialismo. Ma questa capitolazione non ha fruttato neppure sul terreno del mantenimento della «democrazia». Sotto l'incalzare della aggravata crisi globale delle società capitalistiche, anche le libertà democratico-borghesi svaniscono aprendo la via alla «democrazia protetta», all'autoritarismo, quando non addirittura a nuove forme più o meno larvate di fascismo.

b) La pace e la guerra


Verso la fine del 1951 nell'Urss si accese un grande dibattito, che impegnò il partito, le organizzazioni economiche e gli specialisti intorno alla proposta di redazione di un manuale di economia politica che raccogliesse in forma sistematica e i principi scientifici elaborati da Marx e da Lenin ed attuati nella costruzione del socialismo nell'Urss. Stalin intervenne più volte nel dibattito e in una di tali occasioni allargò il discorso ai problemi determinanti della pace, della guerra e dell'imperialismo. Basandosi sulle tesi leniniste dell'imperialismo quale causa principale delle guerre nella nostra epoca ed appoggiandosi sull'esperienza storica della prima metà del secolo, Stalin ribadì il principio dell'inevitabilità delle guerre imperialiste provocate dallo sviluppo ineguale dei vari capitalismi, ma sottolineò anche con forza l'inevitabilità delle guerre fra paesi capitalistici osservando: «Si dice che i contrasti tra il capitalismo e il socialismo sono più forti che i contrasti fra i paesi capitalistici. Teoricamente, certo, questo è vero. È vero anche solo oggi, ai nostri giorni, ma era vero anche alla vigilia della seconda guerra mondiale. E lo capivano, in maggiore o minore misura, anche i dirigenti dei paesi capitalistici. Eppure la seconda guerra mondiale non incominciò con la guerra contro l'Urss, ma con la guerra fra i paesi capitalistici. Perché? Perché, in primo luogo, la guerra contro l'Urss, in quanto guerra contro il paese del socialismo, è più pericolosa per il capitalismo della guerra fra i paesi capitalistici, giacché, mentre la guerra fra i paesi capitalistici pone solo la questione del predominio di determinati paesi capitalistici su altri paesi capitalistici, la guerra control'Urss deve invece necessariamente porre la questione dell'esistenza del capitalismo stesso. In secondo luogo, perché i capitalisti, sebbene a scopo di "propaganda" facciano chiasso circa l'aggressività dell'Unione Sovietica, non credono essi stessi a questa aggressività, poiché tengono conto della politica pacifica dell'Unione Sovietica e sanno che l'Unione Sovietica non attaccherà, dal canto suo, i paesi capitalistici». Notò poi che il movimento in difesa della pace (allora molto ampio, combattivo ed omogeneo) pur essendo prezioso per i fini «democratici» del mantenimento della pace oper scongiurare orinviare una determinata guerra, non era sufficiente ad eliminare l'inevitabilità delle guerre fra paesi capitalistici se non si elevava al livello superiore della lotta per il socialismo. Infatti l'imperialismo continuerebbe a sussistere e a conservare le sue forze e quindi a rendere inevitabili le guerre. Stalin concludeva con un grande monito: "Per eliminare l'inevitabilità della guerra, è necessario distruggere l'imperialismo». La «sottolineatura» staliniana sull'inevitabilità delle guerre fra paesi capitalistici anche nell'epoca della coesistenza e del confronto fra imperialismo e socialismo, è importante, nelle sue molteplici implicazioni, per l'elaborazione di una globale strategia antimperialista da parte del campo mondiale del socialismo e del movimento per la liberazione nazionale e per la pace.

c) La costruzione del comunismo nell'Urss


1 - La questione dello «sviluppo delle forze produttive»

Il vivace dibattito attorno al progetto di un manuale di economia politica marxista-leninista si elevò nel corso del 1952 ad una discussione di fondo sulle vie per il passaggio dal socialismo al comunismo nell'Urss. Si delinearono due posizioni contrastanti: quella staliniana fermamente ancorata ai principi del marxismo-leninismo, e quella che sosteneva la teoria dello «sviluppo delle forze produttive». Stalin nel maggio 1952 concentrò la sua polemica sulle tesi dell'economista Iaroscenko, ben comprendendo che questi rappresentava soltanto la «punta emergente» di un iceberg. Iaroscenko sosteneva che nell'economia politica del socialismo non importava tanto discutere delle categorie (quali: valore, merce, denaro, credito, ecc.) quanto sviluppare i temi dell'organizzazione razionale delle forze produttive, della pianificazione dello sviluppo dell'economia, della «giustificazione scientifica» dell'organizzazione. Iaroscenko andava oltre, sostenendo che nel socialismo la lotta essenziale per edificare la società comunista si riduceva alla lotta per la «giusta» e «razionale» organizzazione delle forze produttive e che il comunismo consisteva nella «più alta organizzazione scientifica delle forze produttive nella produzione sociale». Stalin richiamò innanzitutto la lezione scientifica di Marx che metteva in risalto l'importanza dei rapporti di produzione (rapporti degli uomini fra loro) rispetto ai rapporti degli uomini con la natura (forze produttive), nel processo generale e unitario della produzione sociale, socialista o non. I rapporti di produzione riguardano le forme della proprietà sui mezzi di produzione, quindi i rapporti fra i vari gruppi sociali nella produzione e infine le forme della distribuzione dei prodotti. Subito dopo Stalin chiarì il rapporto dialettico esistente fra i rapporti di produzione e lo sviluppo delle forze produttive, sottolineando il fatto che storicamente i rapporti di produzione possono costituire in certi periodi, quando sono superati, un freno per le forze produttive, ma in altri periodi, una volta rinnovati, costituiscono un fattore di propulsione principale (e citò il rinnovamento dei rapporti di produzione introdotto dalla rivoluzione d'ottobre e approfonditosi nelle campagne con la collettivizzazione degli anni '30). Tutto ciò costituiva la materia essenziale dell'economia politica.
Circa il passaggio al comunismo, Stalin denunciò il semplicismo di Iaroscenko secondo cui la formula del comunismo: «A ognuno secondo i suoi bisogni» poteva essere soddisfatta con una organizzazione razionale delle forze produttive che assicurasse l'abbondanza dei prodotti, e ciò senza mutare fatti economici di fondo, strutturali, quali la proprietà di gruppo colcosiana, la produzione e la circolazione mercantili, ecc…. Non si tratta soltanto di questioni di produzione e di consumo ma dello scopo, del compito che la società pone alla sua produzione sociale. Nel regime capitalistico, scopo supremo della produzione di merci è la creazione di plusvalore, del massimo profitto capitalistico da conseguire con ogni mezzo (sfruttamento dei popoli, militarizzazione, guerre). I bisogni reali degli uomini sono praticamente estranei a tale logica. Al contrario, lo scopo della produzione socialista è l'assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società, mediante l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore. Per Iaroscenko la produzione diventa fine a sé stessa e i bisogni dell'uomo scompaiono: una sorta di riaffermazione del primato dell'ideologia borghese sull'ideologia marxista, qualcosa che riecheggiava le tesi di Bukharin sulla «distruzione dell'economia politica» e sulla «tecnica dell'organizzazione sociale». Dopo queste premesse, Stalin espose i punti di vista marxisti-leninisti sulle condizioni per un passaggio effettivo al comunismo. In primo luogo si dovrà assicurare non una mitica «organizzazione razionale» delle forze produttive, ma uno sviluppo ininterrotto di tutta la produzione sociale con uno sviluppo prevalente dei mezzi di produzione, presupposto per una riproduzione allargata. In secondo luogo, occorre elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo e sostituire gradualmente alla circolazione mercantile un sistema globale di scambio dei prodotti, controllato nell'interesse della società da un centro economico-sociale. In terzo luogo, per promuovere lo sviluppo culturale dei lavoratori occorrerà diminuire la giornata lavorativa a sei o anche cinque ore, migliorare le abitazioni, aumentare i salari reali di almeno due volte, se non più. Soltanto dopo l'attuazione di tutte queste misure preliminari, il lavoro diverrà non più un «pesante fardello» ma - come dicevano Marx ed Engels - «la prima necessità dell'esistenza», «una gioia».

2 - La questione del superamento della proprietà colcosiana

Nel settembre 1952 Stalin fu indotto ad intervenire nuovamente nel dibattito in corso e questa volta per combattere la proposta degli economisti Sanina e Vensger i quali si erano occupati della capitale questione della trasformazione della proprietà colcosiana in proprietà di tutto il popolo. Stalin comprendeva bene che tali proposte costituivano non soltanto la «punta emersa» di un iceberg ma coinvolgevano pure la fondamentale questione dell'alleanza fra operai e contadini nella costruzione del socialismo e nel passaggio al comunismo. Stalin chiarì preliminarmente che la proprietà colcosiana, pur essendo una forma di proprietà collettiva di gruppo e non una proprietà di tutto il popolo, era tuttavia una forma di proprietà di tipo socialista e non capitalista. Misure di nazionalizzazione o di statizzazione erano perciò da considerarsi del tutto inappropriate, anche perché la proprietà di tutto il popolo con l'estinzione dello stato sarebbe finita storicamente per approdare alla socializzazione. Stalin si occupò quindi della principale proposta avanzata dai due economisti e cioè di elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo mediante la vendita in proprietà dei colcos dei principali mezzi di produzione concentrati nelle stazioni di macchine e trattori (SMT). La critica staliniana a tale proposito fu serrata. Innanzitutto era necessario distinguere fra l'attrezzamento agricolo minuto - che veniva correntemente venduto dallo stato ai colcos - e i grossi mezzi di produzione delle SMT. Il primo non decideva in alcun modo le sorti della produzione colcosiana mentre le macchine e i trattori, con la terra, influivano in maniera determinante sulle sorti dell'agricoltura sovietica. Ora, la produttività in agricoltura e l'ascesa continua della produzione agricola nell'Urss dipendevano dal progresso tecnico incessante dei mezzi di produzione, dalla loro continua sostituzione con mezzi più moderni. Ma ciò comportava investimenti giganteschi che potevano essere ammortizzati - a parte le perdite inevitabili - in periodi di non meno di sei-otto anni. I colcos, anche i più prosperi, non potevano addossarsi spese e perdite di tale entità. Soltanto lo stato poteva sostenere tali oneri. Così stando le cose, la proposta di vendita ai colcos delle SMT avrebbe significato perdite e rovina per molti colcos, un declino della meccanizzazione dell'agricoltura e una diminuzione dei ritmi della produzione colcosiana.
Passando ad esaminare l'influenza che la vendita delle SMT ai colcos avrebbe avuto sull'adempimento delle condizioni per il passaggio al comunismo, Stalin rilevò che con la vendita i colcos sarebbero divenuti proprietari dei principali strumenti di produzione, situazione di anormale privilegio non goduta da alcuna azienda sovietica, neppure del settore nazionalizzato. Con ciò la proprietà colcosiana si sarebbe allontanata, non avvicinata, alla proprietà di tutto il popolo e quindi la prospettiva del passaggio dal socialismo al comunismo si sarebbe anch'essa allontanata per questa via. Inoltre un'enorme quantità di strumenti della produzione agricola sarebbe entrata nella sfera della circolazione mercantile. Le conclusioni di Stalin a questo riguardo furono perentorie: «La circolazione mercantile è incompatibile con la prospettiva del passaggio dal socialismo al comunismo... noi marxisti partiamo dalla nota tesi marxista secondo cui il passaggio dal socialismo al comunismo e il principio comunista della ripartizione dei prodotti secondo i bisogni escludono qualsiasi scambio mercantile, quindi anche la trasformazione dei prodotti in merci e al tempo stesso la loro trasformazione in valore». Approfondendo ulteriormente l'analisi, Stalin constatava che i colcos, non essendo proprietari della terra e dei principali mezzi di produzione, erano in realtà proprietari soltanto del prodotto della produzione colcosiana (a parte gli edifici e le aziende individuali dei colcosiani). Tuttavia una buona parte di tale produzione, le eccedenze rispetto alle vendite allo stato, ecc. si riversava sul mercato ed entrava nella circolazione mercantile. Ciò ostacola il processo di elevamento della proprietà colcosiana a proprietà di tutto il popolo. Occorrerà quindi escludere le eccedenze della produzione colcosiana dalla circolazione mercantile e inserirle via via nel sistema dello scambio diretto dei prodotti fra l'industria statale e i colcos. Questo sistema, ancora allo stato embrionale, andrà introdotto gradualmente anche perché presuppone un gigantesco aumento della produzione fornita dalla città alla campagna. Ma la sua progressiva estensione a tutti i rami dell'agricoltura agevolerà anche l'inserimento della produzione colcosiana nel sistema della pianificazione generale e anche per questa via accelererà la transizione dal socialismo al comunismo.
Per trarre alcune prime, per quanto approssimate conclusioni, è necessario delineare un quadro, sia pure molto sommario e in parte lacunoso, degli assetti dell'agricoltura sovietica risultati dal nuovo corso aperto dal XX Congresso del Pcus del 1956 e continuato attraverso gli anni della «destalinizzazione» e della stessa destituzione di Krusciov del 1964. Dalla seconda metà degli anni '50 più volte lo Stato sovietico aumentò i prezzi di acquisto dai colcos dei prodotti più importanti e concesse sgravi fiscali. Nel 1958 venne adottata la fondamentale misura strutturale della vendita da parte dello stato dei mezzi delle SMT ai colcos che ne divennero proprietari. Nel 1964-65 fu vietato alle istanze locali del partito, dei soviet e degli organismi economici, di fissare obbiettivi di produzione ai colcos. Furono ridotte le misure delle consegne obbligatorie allo stato (in particolare per grano, ortaggi, patate, semi oleosi), vennero stabilizzati i prezzi di acquisto e i quantitativi. I crediti ai colcos vennero pagati direttamente dalle banche, senza più l'intermediazione e la compensazione da parte degli organismi degli ammassi. Vennero praticamente annullati i debiti dei colcos verso lo stato, con uno stanziamento di 2.250 milioni di rubli. Fra il 1969 e il '70, in particolare in occasione del II congresso dei colcosiani dell'Urss, vennero adottati nuovi statuti-modello della cooperazione agricola che, unitamente ad altri provvedimenti adottati in quel torno di tempo, comportarono mutamenti profondi nell'ordine della pianificazione, restando attribuite ai colcos le decisioni circa l'estensione delle aree da seminare, il rendimento delle singole coltivazioni del bestiame, mentre lo stato stabilisce la misura delle consegne dei prodotti e della vendita. Ai singoli colcos venne riconosciuta la facoltà di modificare le clausole degli statuti. Non fu più richiesto di precisare l'ammontare del prelievo sui redditi colcosiani da destinare ai fondi sociali. Le relative decisioni furono lasciate ai colcosiani stessi.
In sostanza, i colcos oggigiorno, partendo dal piano statale pluriennale di vendite a prezzi stabili, determinano l'ordine delle loro attività economiche e le priorità nella destinazione dei fondi che all'incirca rimangono fissate come segue: sementi - conti verso lo stato (ammassi, prestiti) - salari - vari. Precedentemente le priorità erano nell'ordine: conti verso lo stato - sementi - salari. I colcos vendono l'eccedenza della loro produzione immettendola sul mercato per la popolazione o cedendola alle cooperative di consumo o agli organismi degli ammassi (a prezzi maggiorati). I pagamenti in moneta si sono andati generalizzando, sostituendo quelli in natura, e ciò sia per i salari colcosiani, sia per i pagamenti dei costi di produzione, debiti verso lo stato, fondi sociali, ecc.. È da notare inoltre che lo sviluppo delle forze produttive nelle campagne ha comportato la nascita e la diffusione di tutto un settore agro-industriale e di mestieri connessi con la trasformazione, conservazione e trasporto dei prodotti, i cui impianti e relativi mezzi di produzione (ad esempio, centrali elettriche, almeno entro certe capacità produttive) sono di proprietà dei colcos. Una rapida rassegna risulterebbe incompleta se mancasse un cenno al settore degli appezzamenti agricoli individuali (concessione della terra a tempo indeterminato), che è un aspetto specifico dei rapporti sociali nell'agricoltura sovietica, sopravvissuto alla collettivizzazione. Negli ultimi anni della direzione kruscioviana si era tentato di limitare questo settore, ma nel 1964 vennero ripristinate le condizioni precedenti. Il 60% della produzione di queste imprese individuali proviene dai colcosiani, il rimanente da operai e impiegati. La famiglia colcosiana ha quindi in uso l'appezzamento individuale e in proprietà la casa e le costruzioni annesse, il bestiame, volatili, piccoli strumenti agricoli e può inoltre avvalersi degli animali, dei pascoli e dei mezzi di trasporto dei colcos. L'importanza e la specializzazione relative di questo settore della produzione agricola può misurarsi dalle seguenti cifre: su una superficie coltivabile pari al 2,7% di quella totale, nel 1977 si allevava circa il 20% del totale di bovini, suini e ovini, mentre la produzione di carne, latte e uova si aggirava attorno al 35% del totale. Una consistente parte di tale produzione viene immessa direttamente nel mercato senza alcun obbligo di consegna. Malgrado la tendenza generale alla diminuzione della parte di popolazione dedita all'agricoltura, la produzione individuale mostra ritmi di sviluppo tendenti alla crescita.
Il senso delle riforme compiute nell'agricoltura sovietica nel periodo post-staliniano sta nell'obiettivo fondamentale di promuovere lo sviluppo delle forze produttive mediante l’interessamento materiale e la partecipazione decisionale dei colcosiani, in un quadro di rapporti economici e giuridici fra stato e colcos che si avvicina molto all’«autogestione». Probabilmente le riforme rispondevano in una certa misura ad esigenze oggettive e ad aspirazioni soggettive reali, in specie se si tiene conto della rigida pianificazione centralizzata precedente e dei grandi sacrifici richiesti per lungo tempo alle masse lavoratrici contadine. Una riprova di tutto ciò potrebbe essere vista nello slancio registrato nella produzione agricola e culminato attorno al 1970 con ottimi raccolti dei prodotti più importanti. Tuttavia l'autonomia economica e la «democrazia colcosiana» portano con sé anche inconvenienti e pericoli seri. È vero che è illusorio costruire il socialismo chiamando le masse lavoratrici a contribuirvi soltanto sulla base dell'entusiasmo o anche della sola convinzione. Ma è anche certo che la proprietà collettiva di gruppo, in specie se rafforzata dal possesso di mezzi di produzione ragguardevoli, e se sottratta in buona parte alla regola di una giusta pianificazione centralizzata e di un corretto e continuo orientamento e controllo politico, costituisce la base per lo sviluppo spontaneo di tendenze psicologiche di massa verso l'egoismo corporativo, l'edonismo e magari il consumismo. Ciò sul terreno soggettivo. Ma sul terreno dei rapporti economici, l'affievolimento del principio centralizzatore della pianificazione e il contemporaneo incremento della circolazione mercantile, fanno riemergere inevitabilmente l'azione di talune leggi economiche inerenti al mercato, tra cui quella della concorrenza ma soprattutto quella della ricerca del profitto. Sulla base della ricerca del profitto, e sia pure di un profitto di gruppo, è breve il passo al processo di una differenziazione economica fra gli strati contadini, per quanto collettivizzati, tanto più se esposti continuamente alla tentazione di un uso e di uno sfruttamento individuale della terra.
È innegabile che le riforme post-staliniane nell'agricoltura hanno comportato una riduzione dell'area della pianificazione centralizzata e un aumento della produzione mercantile con annessa circolazione monetaria e un potenziamento della proprietà collettiva di gruppo. È vero che lo stesso Stalin difendeva la funzione positiva della produzione mercantile e della proprietà collettiva di gruppo nelle condizioni economiche, sociali e politiche del potere socialista sovietico. Ma la sua era una concezione «dinamica» e storicistica del fenomeno. In altri termini, un assetto da utilizzare per un certo periodo (storico) ma con l'impegno risoluto a passare a forme superiori appena possibile. «Nel momento attuale» - scriveva nel maggio 1952 - «questi fenomeni vengono da noi utilizzati con successo per sviluppare l'economia socialista ed essi recano alla nostra società un utile indubbio. Non v'è dubbio che recheranno questa utilità anche nel prossimo futuro; ma sarebbe una cecità imperdonabile non vedere che in pari tempo questi fenomeni cominciano già adesso a frenare il potente sviluppo delle nostre forze produttive in quanto creano ostacoli alla completa estensione a tutta l'economia nazionale, in modo particolare all'agricoltura, della pianificazione statale. Non vi può essere dubbio che più si andrà avanti e più questi fenomeni freneranno l'ulteriore sviluppo delle forze produttive del nostro paese. Di conseguenza, il compito consiste nel liquidare queste contraddizioni mediante la trasformazione graduale della proprietà colcosiana in proprietà di tutto il popolo e mediante l'introduzione - anch'essa graduale - dello scambio dei prodotti invece della circolazione mercantile». Le persistenti difficoltà dell'agricoltura sovietica, i suoi insufficienti ritmi di sviluppo che si ripercuotono sfavorevolmente sull'intera economia socialista e l'accentuazione del fenomeno negli ultimi anni, inducono a ritenere che si tratta proprio del genere di contraddizioni strutturali previste da Stalin. Esse coinvolgono direttamente anche i tempi del processo di transizione al comunismo.
La «destalinizzazione» fu accompagnata da una particolare enfasi propagandistica posta sulla prospettiva ravvicinata della costruzione delle basi materiali e dello stesso passaggio alla fase economico-sociale del comunismo. Il XX Congresso del Pcus indicò l'obiettivo di raggiungere e superare gli Usa nella produzione agricola pro-capite (in particolare latte, burro e carne). Nell'anno seguente fu delineato un piano di 15 anni per cui la costruzione della società comunista diventava «l'obiettivo immediato e pratico del partito e del popolo sovietico». Il XXI Congresso del Pcus del 1959 fu definito il congresso dei «costruttori del comunismo» in una «fase avanzata di costruzione del comunismo» e il piano settennale 1959-65 venne presentato come la «tappa decisiva nella creazione della base tecnico-materiale del comunismo». Oggigiorno, a più di venti anni da quelle enunciazioni trionfalistiche, sono subentrati cautela e realismo. Si continua a sottolineare il ruolo determinante dello sviluppo delle forze produttive. Se ne deduce la possibilità del passaggio al comunismo attraverso un processo graduale e pacifico di integrazione e di compenetrazione delle due forme di proprietà socialista nelle campagne, la proprietà di tutto il popolo e la proprietà collettiva di gruppo. Tuttavia, anche qui la storia non concede all'Urss fasi troppo prolungate di «respiro» o di «grandi NEP». Il socialismo «maturo» potrebbe infradiciare nelle sue stesse basi se la transizione al comunismo ritardasse o venisse procrastinata indefinitamente. D'altra parte, il nuovo approfondimento della crisi generale del capitalismo comporta nuovi conflitti interimperialistici con la connessa tentazione da parte del mondo capitalistico di regolare i conti col campo mondiale del socialismo e con l'Urss. Svanisce il periodo storico della «coesistenza pacifica» e subentra quello delle guerre economiche e della preparazione delle guerre imperialiste. All'Urss incombe ancora una volta il compito storico di fronteggiare, ritardare, deviare o stroncare l'aggressione imperialista, di mantenere e di ristabilire la pace, e comunque di sostenere una pesante corsa agli armamenti e quindi una dura sfida sul terreno economico.
In che modo tali compiti supremi saranno conciliabili col passaggio al comunismo? La risposta è tremendamente ardua. Quel che è certo, è che l'Urss dovrà adottare necessariamente una concentrazione e una pianificazione mai viste di tutte le sue risorse economiche e umane e della sua direzione politica, economica e militare, oltreché favorire processi analoghi nei paesi più o meno avanzati sulla via del socialismo o nel movimento comunista internazionale. È ben difficile che tutto ciò potrà essere conseguito senza un ritorno alla rigorosa definizione ed applicazione in tutti i settori della vita sociale dei principi basilari del marxismo-leninismo.

Fonte: www.resistenze.org/sito/ma/di/sc/madsmost.htm#a06
view post Posted: 28/1/2024, 19:33 Contro la finzione di un marxismo senza Engels - Filosofia
Pur se proveniente dagli ambienti della cosiddetta "Sinistra Comunista" di stampo bordighista, tale articolo mi sembra estremamente documentato, nonché di estrema attualità, dati i tentativi in questi ultimi anni, da parte di vari filosofi revisionisti, di separare Marx da Engels in nome di un "marxismo depurato dalle incrostazioni positivistiche e materialistico-volgari di Engels", un marxismo che, in sostanza, non ha nulla da spartire con Engels e tantomeno con Marx.

Contro la finzione di un marxismo senza Engels


Il marxismo, per sua natura, non è mai stato cosa per intellettuali, i quali, però, si sono da sempre avventati su di esso al fine di proporne improbabili innovazioni e completamenti. Quest’ultima stagione di "crisi del marxismo" forse segna, a differenza delle precedenti, il definitivo distacco dei ceti intellettuali "progressisti" dal campo teorico proletario. Non c’è da augurarsi che così sia: liberandosi dalla zavorra, il marxismo ha tutto da guadagnare. A noi qui preme sottolineare il legame necessario stabilitosi fra le pretese innovazioni teoriche e la progressiva dissoluzione della identità teorica del marxismo. Lungo tutto questo secolo, gli "intellettuali marxisti" hanno continuamente offerto diverse e svariate "interpretazioni" del pensiero di Marx al fine pratico di renderlo, in ogni stagione, il più possibile omogeneo alle fioriture della filosofia borghese via via predominante. Così abbiamo avuto un "marxismo" dialettizzato con l'empiriocriticismo (contro cui si scatenano le giuste furie del mirabile "Materialismo ed empiriocriticismo" di Lenin), poi col bergsonismo, con Croce (Gramsci & C.), con l’attualismo gentiliano (che ha agito anche nella costituzione dell’"operaismo" di Tronti), la fenomenologia (Paci e la sua scuola), il neopositivismo, lo strutturalismo (Althusser e seguaci) e così via. Queste paradossali metamorfosi hanno mostrato solo la totale subalternità dei ceti intellettuali al ritmo veloce con cui nella società borghese si susseguono le mode "culturali", la più assoluta mancanza di autonomia rispetto ai temi e alle forme della cultura ufficiale, l’assenza del minimo intento di separazione dalla stessa anche sul piano meramente etico. Necessariamente, il punto di approdo di questa progressiva dissoluzione dell’unitario e monolitico sistema marxista è stato la di- chiarazione di "morte del marxismo" in due diverse versioni: il marxismo è ritenuto da sempre o una "grande narrazione" senza fondamenti o un paradigma teorico adeguato per l’Ottocento ma oggi completamente obsoleto. Nell’ampio ventaglio di "motivazioni" di questo squallido percorso, è tuttavia individuabile nell’insieme una costante: il ripudio del contributo di Engels alla costruzione della teoria comunista, la finzione di un marxismo senza Engels. Da questo punto per noi decisivo consegue necessariamente, in primo luogo, l’invenzione di un marxismo senza Marx, e, in secondo, la conclusione di una negazione tout court. Conseguenza logica, questa, della premessa da cui ci si avvia: essendo il pensiero dei due fondatori della teoria comunista assolutamente solidale, inventarsi un Engels banalizzatore e travisatore permette di denunciare come "engelsiane" (cioè banali e travisate) molte affermazioni di Marx.

La costante anti-engelsiana

Per il sinistrese con velleità teoriche, Engels sarebbe stato un materialista volgare, un determinista rigido, un hegeliano arcaico ricaduto in una nefasta metafisica naturalistica. L’accusa ha trovato concordi sia i riformisti che i "rivoluzionari". I primi individuano nel materialismo di Engels la negazione dell’umanismo, dell’"autonomia etica" dell’individuo e della "libertà dello spirito". I secondi vedono in esso la negazione del volontarismo, l’illusione del crollo spontaneo del sistema capitalistico o l’altrettanto illusoria affermazione della sua trasformazione graduale. Di qui la ricerca continua di una divergenza profonda tra Marx ed Engels, che ha alimentato una lunga serie di filosofemi senza alcun fondamento storico.
E’ veramente indice di una grossolana malafede la tesi secondo cui Marx avrebbe assistito senza batter ciglio allo stravolgimento della sua filosofia da parte del suo più stretto amico e collaboratore. In realtà, Marx seguì da vicino l’elaborazione de la "Dialettica della natura" e non solo lesse "l’Anti-Dühring" prima della sua pubblicazione, ma ne stese un capitolo. E la cosa ha la sua importanza, perché è proprio su questi due lavori di Engels che ha più insistito l’accusa di aver ripetuto, in forma banalizzata, la "dialettica della materia" di Hegel. Ma, prima di entrare nel merito, è bene osservare che la tesi di un Engels "hegeliano deteriore" si collega a quella che vorrebbe fare di Marx un "kantiano inconsapevole" (come si vede, il risultato è sempre la scomparsa dell’originalità e autonomia del marxismo in quanto tale). Chiunque abbia letto Marx, sa che i suoi riferimenti espliciti a Kant sono scarsissimi e ben poco elogiativi. Da dove nasce allora questa mistificazione? Su un equivoco che mostra tutta la miseria dei nostri "dotti". Marx afferma che il dato è irriducibile all’attività del soggetto pensante e che il reale è qualcosa di più rispetto a ciò che è contenuto nel concetto. Non è antihegeliana e materialistica - esclamano i dotti - questa enunciazione? E non è Kant il solo filosofo tedesco con un po’ di materialismo nel suo pensiero? Ecco dunque provata la dipendenza di Marx da Kant!
Ciò che noi semplici non comprendiamo - e nessun Colletti ce lo spiegherà mai - è per qual motivo la sacrosanta affermazione dell’esistenza di una realtà irriducibile al pensiero (convinzione comune a tutti i non idealisti) debba essere considerata, in sé e per sé, sufficiente prova di kantismo. Come ogni studente liceale sa, se il materialismo non consistesse in altro che nel riconoscimento di una realtà esterna al pensiero, dovremmo considerare materialisti anche Platone e S. Tommaso. Inoltre, esisteva in Inghilterra e in Francia un filone materialista assai più vigoroso di quello kantiano, e Marx lo conosceva benissimo. Comunque, a differenza di un realismo generico, il materialismo è anche il riconoscimento della fisicità del soggetto e di tutte le attività comunemente considerate "spirituali". E, da questo punto di vista, tutto Kant è irrimediabilmente antimaterialista —e, quindi, agli antipodi di Marx. Sono così posti gli elementi sufficienti per entrare nel vivo della questione e rivendicare pienamente il contributo materialistico di Engels alla teoria comunista.

Il nuovo materialismo tedesco dopo il 1850

L’accusa più comunemente rivolta ad Engels è che egli si sarebbe avventurato in una operazione inutile e negativa, quando avrebbe preteso di estendere a dimensione cosmica il materialismo storico di Marx. In pratica, avrebbe confuso dimensione umana e sfera della natura; e la causa di tale errore sarebbe individuabile nel materialismo volgare da cui egli non si sarebbe mai seriamente liberato. La tesi dei critici si può così sintetizzare. La conquista teorica di Marx starebbe nell’aver compreso che gli uomini, mediante il lavoro, entrano in rapporti sociali fra loro e con la natura: non esisterebbe più, a questo punto, una conoscenza della natura se non in funzione della trasformazione della natura stessa da parte dell’uomo; Engels invece retrocederebbe ad una filosofia della natura in sé e per sé. Questa critica è in primo luogo frutto di pura e semplice ignoranza, nel senso che ignora la trasformazione del clima scientifico e filosofico In Europa e specialmente in Germania dopo il 1850. Da questa data, infatti, non è più la filosofia di Feuerbach a rappresentare il paradigma del cosiddetto materialismo volgare: un tale avvenimento pone alla teoria comunista problemi reali di precisazione e completamento. Il nuovo materialismo volgare tedesco - che ha i principali esponenti in autori come Maleschott e Büchner, i quali non considerano più la vita né come una struttura di macchine costruite da dio, né come una proprietà di organismi resistenti alla morte, bensì come un processo continuo a livello cosmico, che attraverso la dissoluzione e la morte trova il terreno per il suo continuo rigenerarsi - supera il generico umanismo naturalistico di Feuerbach per legarsi saldamente alle scienze della natura. Con tale impostazione, esso non si limita più ad affermare la priorità del sensibile (nocciolo del programma feuerbachiano di capovolgimento della teologia in antropologia), bensì mira ad una spiegazione della sensibilità, dell’intelligenza, della moralità in termini rigorosamente biologici.
E’ ovvio che di fronte a questa nuova versione del materialismo volgare la critica di Marx a Feuerbach resta bensì in tutto e per tutto valida, ma appare troppo generica e, alla fine, insufficiente, in quanto il nuovo materialismo pretende di spiegare scientificamente (cioè di inquadrare in una serie di processi materiali obbedienti a leggi) anche il famoso "lato soggettivo" sul quale si era incentrata la critica marxiana. Ora Engels si assume appunto il compito di sviluppare la critica comunista di questa nuova forma di materialismo volgare. E lo fa egregiamente individuandone subito i due più gravi errori. In primo luogo, essa riduce i comportamenti politici, morali e culturali dell’uomo ad attività immediatamente biologiche, senza tener conto della "seconda natura". Inoltre, considera le disuguaglianze sociali come una sorta di stortura rettificabile con il semplice sviluppo della scienza, non attraverso la necessaria lotta di classe. Ora, di fronte a questa nuova impostazione del problema, la critica comunista non poteva più limitarsi ad una banale rivendicazione dell’elemento soggettivo, all’esaltazione di una prassi incondizionata che troverebbe il suo limite unicamente nelle condizioni esterne, e non già nel proprio fondamento fisico e biologico. Limitarsi alla riproduzione della critica a Feuerbach sarebbe equivalso di fatto, sul piano della ricerca scientifica, a collocarsi su un terreno più arretrato dello stesso materialismo rozzo. Solo tenendo presente questo quadro decisivo, il lavoro teorico di Engels diventa una formidabile lezione sull’autonomia del materialismo comunista da ogni legame con lo spiritualismo. Ma c’è un altro avvenimento decisivo che troppo comodamente i critici di Engels tentano di occultare: l’affermazione della teoria evoluzionistica darwiniana, alla quale è opportuno dedicare una breve digressione.

La rivoluzione scientifica di Darwin

Sul finire del Settecento, un biologo francese, Lamarck, aveva già sviluppato una sua propria ed approssimativa "teoria evoluzionistica", presto seppellita dalla restaurazione "fissista", cioè anti-evoluzionista. Su nuove basi scientifiche e in clima culturalmente decisamente più favorevole, Darwin propone una nuova teoria evoluzionistica incentrata su pochi ma chiari concetti: a) la "lotta per l’esistenza", che è la condizione generale di competizione tra gli organismi e che determina l’intera economia della natura; b) la "selezione naturale", che è il risultato necessario delle infinite interazioni tra gli organismi, per cui la comparsa delle differenze individuali può produrre negli organismi stessi situazioni di vantaggio o di svantaggio, che permettono loro di avere una maggiore o minore discendenza; c) l’"ereditarietà dei caratteri acquisiti" Si badi che la selezione naturale non conduce ad un necessario progresso nell’organizzazione dei viventi: alla concezione darwiniana è completamente estranea l’idea metafisica di Lamarck sull’esistenza di una tendenza necessaria al perfezionamento degli organismi. Le scoperte rivoluzionarie di Darwin modificano radicalmente gli schemi concettuali di tutte le scienze naturali rivolte allo studio degli esseri viventi, introducendovi ladimensione storica e proponendosi come seria alternativa alla visione teleologica della natura e all’idea di un piano divino che governi armoniosamente l’economia degli esseri viventi. La visione della natura che ne risulta è decisamente materialistica, e da un lato conferma, dall’altro confluisce, nel "materialismo volgare" tedesco a cui ci siamo sopra riferiti. Sull’onda del successo di Darwin, si forma quel reazionario movimento detto "darwinismo sociale" —il quale in verità non ha niente a che vedere direttamente con Darwin— che ha per programma la riduzione immediata della storia umana a storia della natura. In questa situazione, uno sviluppo in senso "cosmogonico" del materialismo storico marxista era una necessità oggettiva: vedremo nella prossima puntata come Engels se ne fece carico.

Engels critico del materialismo volgare

Gli "intellettuali di sinistra" hanno prodotto e alimentato la convinzione che Engels e Marx abbiano dato due diverse valutazioni del darwinismo, e che di quest’ultimo Engels sia stato sostanzialmente subalterno. Anche questa diceria (come quelle già viste nella prima parte di questo lavoro) non hanno alcun fondamento. Citiamo Marx: "La constatazione della lotta per l’esistenza nella società inglese (del bellum omnium contro omnes) ha condotto Darwin a scoprire nella lotta per la sopravvivenza la legge fondamentale della vita animale e vegetale. Il darwinismo, al contrario, considera questa come una ragione decisiva perché la società umana non possa mai emanciparsi dal suo stato ferino". Attenzione: Marx individua due distinti passaggi, quello che dalla analisi della società capitalistica passa al mondo biologico (operazione propria di Darwin) e quello che dalle teorie sul mondo biologico tenta di passare a teorie politiche riguardanti la società umana in generale (operazione propria del darwinismo sociale). Secondo Marx il primo passaggio (quello di Darwin) è corretto; l’altro è completamente sbagliato.
Se fosse vera la tesi che vuole Engels influenzato dal darwinismo sociale, troveremmo in lui, accanto ad un approccio orientato alla conferma di quanto Marx dice di Darwin, anche (e soprattutto) una rivalutazione del "secondo passaggio" (dal mondo biologico alla società umana in generale). In realtà, Engels fa un’operazione opposta e, se discosta il suo punto di vista da quello di Marx, è per ridimensionare il cauto apprezzamento espresso dall’amico e compagno: "Tutta la teoria darwiniana della lotta per l’esistenza è semplicemente il trasferimento dalla società al mondo animale e vegetale della teoria hobbesiana del bellum omnium contra omnes e della teoria della concorrenza dell’economia borghese, come pure della teoria di Malthus sulla popolazione. Una volta compiuto questo gioco di prestigio (…) è molto facile trasferire di nuovo queste teorie dalla storia naturale alla storia della società, ed è allora un’ingenuità davvero troppo forte affermare di avere con ciò dimostrato che tali affermazioni sono eterne leggi naturali della società". Ricapitolando: mentre Marx, pur avanzando delle riserve sull’utilizzazione di Malthus da parte di Darwin, si compiace del motivo polemico offertogli dall’analogia fra società borghese e mondo animale, Engels insiste maggiormente sull’esigenza scientifica di non confondere la lotta per la vita nella società capitalistica ("terreno artificiale" creato da determinati rapporti di produzione) con quello del mondo animale (svolgentesi su un terreno puramente naturale). La specificità della lotta di classe non può essere ricondotta alla genericità della lotta per la vita —e questa convinzione permetterà a Engels di contrastare ogni presentazione delle istituzioni umane come naturali prolungamenti delle forme di socialità di tipo animale. Insomma, non c’è alcuna subalternità engelsiana rispetto al darwinismo. Al contrario, Engels pone un problema modernissimo ed attuale, quello della saldatura fra due diverse e distinte storicità (storia umana e storia naturale). E lo affronta sviluppando una critica su tre fronti:
- contro ogni concezione astorica della natura (che è anche una critica radicale alla filosofia della natura di Hegel)
- contro il darwinismo sociale
- contro ogni tentazione semplificatrice di tipo vitalistico o meccanicistico.
Questa impostazione di Engels non è affatto scontata. Nei decenni conclusivi del secolo scorso, coloro che si schierarono (giustamente) contro l’ideologia darwiniana commisero l’errore di accettare, tra le varie ipotesi evoluzionistiche, quella che desse l’illusione di una più facile saldatura tra natura e uomo. E’, per esempio, l’errore di Plechanov, che accoglie la teoria evoluzionista "a salti" di Hugo De Vries, proprio per il suo carattere apparentemente più dialettico, antigradualista e rivoluzionario.

Il programma scientifico di Engels

In primo luogo, Engels avanza una critica rigorosa del materialismo volgare rimanendo sul terreno del materialismo —e su ciò abbiamo fin qui già sufficientemente insistito. In secondo luogo, sviluppa una ricca polemica contro gli scienziati positivisti e, contemporaneamente, contro la filosofia dogmatica, proponendo una metodologia scientifica consapevole dei propri fondamenti, rigorosa nelle metodologie di verifica, conscia della mutabilità delle ipotesi. E’ una concezione del rapporto scienza-filosofia che mantiene intatta la sua attualità. In terzo luogo, avanza una acuta tesi sulla storicità della scienza su cui mette conto soffermarsi sia pur brevemente. Solo l’analisi storica delle leggi scientifiche permette di comprendere la non definitività della ricerca e l’impossibilità di fondare programmi scientifici su pretesi "atti intuitivi" atemporali, fuori dal tempo. Ma fin qui ci arriva anche Mach. Engels lo oltrepassa decisamente comprendendo con chiarezza che la storicizzazione del pensiero scientifico riguarda tutto il processo conoscitivo, anche le categorie stesse del conoscere. In Engels la demistificazione della assolutezza dell’atto conoscitivo si somma alla consapevolezza critica della pretesa immutabilità del presente storico, inserendo il divenire della conoscenza entro il divenire generale della realtà, e così recidendo alle radici la tentazione di contrapporre un carattere soggettivo e dinamico del pensare a un carattere oggettivo e statico dell’essere. La frattura pensare/essere viene eliminata da Hegel riducendo l’essere al pensare: al contrario, Engels riconduce il pensare all’essere e alla materia; il pensiero fa parte dell’essere e non costituisce una sostanza diversa da quella della natura materiale. Questi tre punti dell’impianto metodologico engelsiano trovano la loro sintesi nella tesi del materialismo dialettico.

Marx, Engels e la dialettica hegeliana

Rispetto alla dialettica hegeliana, Marx ed Engels hanno una posizione assolutamente solidale che può essere sintetizzata brutalmente in due punti. La dialettica è da considerarsi come un complesso di leggi oggettivamente esistenti, e non come leggi del pensiero di cui la realtà oggettiva costituisca solo una proiezione fenomenica. Perciò si tratta di ritrovare, sul piano empirico, queste leggi della realtà —e tale secondo aspetto è considerato da entrambi il più problematico. Ciò nonostante, sia Marx che Engels, e con pari convinzione, non hanno mai cessato di credere che la dialettica sia utilizzabile da un punto di vista materialistico e hanno sempre respinto la tesi (oggi tornata in voga sull’onda del diffuso pentitismo) secondo cui la dialettica sarebbe intrinsecamente idealistica. Tutto ciò significa che, per Marx ed Engels, la dialettica non è un aspetto prettamente logico, ma permette sia di definire una determinata concezione della razionalità della storia e del ritmo del divenire storico. Questa concezione della dialettica non ha niente a che vedere con l’interpretazione che ne fa il sinonimo di semplice divenire generico, di non staticità, è chiaro che questa visione riduttiva si ispira a Eraclito, non certo a Marx. Il tentativo engelsiano di fondazione del materialismo dialettico si muove quindi, in tutto e per tutto, su una concezione della dialettica identica a quella di Marx.

La dialettica della natura

Engels tenta di dimostrare che le leggi dialettiche sono leggi reali dell’evoluzione della natura. La prima la chiama legge della conversione della quantità in qualità e viceversa, il cui nucleo centrale consiste nell’affermare che una variazione quantitativa modifica la qualità. La seconda è la legge della compenetrazione degli opposti, secondo la quale questi possono essere considerati l’uno separatamente dall’altro solo in astratto e con un procedimento arbitrario. La terza è detta legge della negazione della negazione, secondo cui il divenire dialettico ha luogo per successive negazioni, e la negazione di una negazione non conduce alla semplice affermazione di ciò che viene precedentemente negato (com’è, invece, per la logica formale). Ora, è vero che le prove portate da Engels a sostegno della valenza pratica delle tre leggi appaiono deboli, ma ciò nulla toglie all’importanza della tesi metodologica. C’è infatti un nesso strettissimo fra le tre leggi della "dialettica della natura" e la critica del materialismo meccanicistico: mentre quest’ultimo escludeva per principio dalla scienza lo studio delle qualità, Engels ne rivendica l’importanza dato il rapporto realmente esistente tra qualità e quantità; contro le rigide e astratte schematizzazioni metafisiche che contrapponevano la causa all’effetto, il causale al necessario, la materia allo spirito, l’uomo alla natura, Engels rivendica una metodologia realistica della totalità e della complessità. Contro le concezioni riduzionistiche del movimento meccanico, avanza la terza tesi sulla "negazione della negazione". Il materialismo dialettico postula, dunque, che ogni fenomeno va considerato in tutto il complesso dei suoi rapporti, tenendo conto della molteplicità dei fattori, visti e da vedersi sempre nella loro connessione interna.
Una simile metodologia si contrappone a quella gnoseologica (teoria della conoscenza) che pretende di esaminare il fenomeno isolandone alcune delle parti e immaginando che il rapporto fra la parte e il tutto possa essere chiarito in un successivo momento. L’impostazione engelsiana resta decisiva per lo studio di tutti i fenomeni connessi a situazioni di movimento, che in quanto tali non obbediscono a nessuna regolarità matematica proprio perché il loro orizzonte è una globalità fluida nella cui definizione interviene un numero illimitato di fattori. In questa "unità dialettica", in questo complesso intreccio di fattori, v’è un rapporto di contraddizione che assume una particolare importanza sul piano del metodo della ricerca. Nel campo storico-politico, ciò significa affermare consapevolmente la determinazione delle "volontà individuali" da parte della situazione economico-sociale complessiva, contro l’illusoria pretesa che la determinazione del fine sia non-causata, ma neppure annegando la soggettività nell’anonima "necessità storica": il finalismo è tutto dentro la causalità, non è l’altra faccia della causalità. Per Engels, ciò che l’uomo possiede in più rispetto all’animale è una maggiore capacità di progettazione e una maggiore intelligenza nella determinazione del fine, non una maggiore libertà (un maggior arbitrio) nella scelta di fini diversi.

Dopo Engels

Negli anni ’80 del secolo scorso, la cultura borghese registra a suo modo l’esaurimento del carattere "progressista" della propria classe, e avvia un processo involutivo segnato da una tenace reazione antimaterialistica e, sotto molti aspetti, veramente oscurantista. In primo luogo si afferma un nuovo vitalismo che non solo si oppone al materialismo in nome di uno spiritualismo irrazionalistico, ma tende a considerare il mondo della vita come un ambito del tutto autonomo e irriducibile alla conoscenza fisica della natura. Si riproduce così nuovamente quella scissione fra umano e naturale, fra storico e scientifico, che influisce decisamente anche sulle varie filosofie antimaterialistiche, secondo le quali il mondo esterno è solo un contenuto del pensiero e che declassano la scientificità materialistica a realismo ingenuo. Il nuovo storicismo torna ad affermare, con Hegel, che non c’è vera storia se non dello spirito, e insiste sugli aspetti di individualità irripetibile di ogni evento storico, caricandosi di irrazionalismo fideista e riducendo a intuizionismo ogni metodologia scientifica. Parallelamente, il ruolo della biologia è fortemente ridimensionato a tutto vantaggio delle scienze fisico-matematiche, che impongono modelli epistemologici (cioè di studio del metodo e dei contenuti della conoscenza scientifica) empirico-pragmatisti, secondo cui è l’esperienza stessa a produrre i fenomeni, o platonizzanti (che cioè negano ogni teoria dell’esperienza). La stessa teoria dell’evoluzione viene messa in crisi: la (ri)scoperta delle leggi di Mendel e il sorgere della genetica vengono indirizzati alla confutazione della teoria darwiniana. In questo clima di ritorno di ogni irrazionalismo (vitalistico, idealistico ecc.), largamente differenziato al proprio interno quanto concorde sulla pregiudiziale antimaterialistica, il programma del materialismo scientifico abbozzato da Engels è violentemente emarginato. La tendenza si afferma appieno —con la sola eccezione di Lenin— anche nel campo marxista, entro il quale si diffondono svariati tentativi di interpretazione idealistica del marxismo.
Buona parte di ciò che lungo questo secolo si è autoattribuito l’appellativo di marxista è stato in realtà un prodotto condizionato dall’involuzione della cultura borghese e/o l’erede di una qualche degenerazione del campo teorico di classe. Nella ferma convinzione che un marxismo revisionato in questo o quel punto fosse destinato necessariamente a divenire un non-marxista, la Sinistra Comunista ha sviluppato un patrimonio teorico basato sulla rigorosa difesa del materialismo comunista, e ciò non per fideismo dogmatico, bensì per acquisizione metodologica. La catastrofe complessiva, pratica e teorica, delle vecchie e nuove sinistre opportuniste mostra a chiunque abbia gli occhi per vedere che il punto di partenza per ogni seria costruzione della soggettività di classe sta —come da sempre noi sosteniamo nella piena adesione alla totalità unitaria della teoria marxista.

Fonte: www.quinternalab.org/lavori-in-cors...mo-senza-engels
view post Posted: 17/1/2024, 14:30 Famiglia tradizionale? Il vero socialismo la difende - Scienze Sociali

Famiglia tradizionale? Il vero socialismo la difende


di Francesco Alarico della Scala



Quasi due secoli or sono un retrogrado maschilista, impensierito dall’ascesa delle donne in carriera che stava corrodendo le basi del patriarcato, esclamò con mesta rassegnazione: «Eppure questa situazione che svirilizza l’uomo e toglie alla donna la sua femminilità, senza riuscire a dare all’uomo una vera femminilità e alla donna una vera virilità, questa situazione che nel modo più infame degrada i due sessi e con loro l’umanità, è la conseguenza ultima della nostra tanto decantata civiltà, l’ultimo risultato di tutti gli sforzi compiuti da innumerevoli generazioni per migliorare le loro condizioni e quelle dei loro discendenti!». Era questo un velenoso aforisma uscito dalla penna del misogino Nietzsche? O piuttosto la tirata reazionaria di qualche bigotto esponente della tradizione cattolica? Nossignori: avete appena letto le parole di Friedrich Engels, fondatore assieme a Marx del socialismo scientifico, scritte in nero su bianco nel libro “La situazione della classe operaia in Inghilterra”, ove si appresta a soggiungere che il predominio maschile va criticato proprio alla luce del suo rovescio nella «supremazia della donna sull’uomo, che inevitabilmente è provocata dal sistema [capitalistico] di fabbrica» [1]; quindi il peggior torto del maschilismo fu quello d’aver generato il femminismo quale sua primitiva e meccanica antitesi! Forse questi rilievi desteranno lo stupore e lo sconcerto delle femministe che da tempo immemore hanno saccheggiato la più nota opera di Engels sull’”Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, in cerca d’un appiglio su cui fondare le loro teorie dissolutrici. Ma anche qui il nostro, nel descrivere i sostanziali mutamenti della famiglia nel futuro socialista, si limita a prevedere la socializzazione del lavoro domestico, trasformato in un mestiere come gli altri, e la presa in carico dell’educazione dei figli (e delle relative spese) da parte dello Stato; e chiarisce che l’uguaglianza tra i due sessi «agirà in una misura infinitamente maggiore nel far divenire effettivamente monogami gli uomini, che nel far divenire poliandriche le donne» [2]: – l’esatto contrario del singolare connubio di promiscuità ed ipergamia femminile fiorito in Europa e in America a seguito della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, che dietro la facciata progressista ed emancipativa ha ridotto il sesso a grezzo valore di mercato, alterando l’equilibrio demografico della società e perpetuando il truce meccanismo dell’alienazione capitalistica. Dopodiché il vecchio Engels rimetteva all’effettiva prassi di vita avvenire l’elaborazione dei dettagli del caso. È a questa prassi che occorre dunque rivolgersi per avere un’idea conforme alla realtà e scevra dagli stereotipi del “cultural Marxism” di moda in Occidente.
Gli inizi furono invero turbolenti e contraddittori: nella Russia della Nep la coesistenza di diverse classi antagonistiche e dei rispettivi sistemi economici si rifletteva, sul piano culturale, in una pluralità d’indirizzi di pensiero che coinvolgeva anche la questione famigliare. Nessuno aveva esperienza del cammino da percorrere, per cui si sperimentava di tutto: dall’abolizione dell’alfabeto cirillico al modernismo nell’arte filmica e teatrale, dall’inversione dei rapporti d’autorità tra insegnante e alunno nella scuola al tentativo di forgiare una nuova “cultura proletaria” dal nulla, fino alle misure per il superamento della famiglia. Pertanto ai numerosi diritti concessi alla donna dai codici del 1918 e del 1926 (divorzio, aborto, ecc.) non si accompagnò un’altrettanto univoca e netta indicazione dei nuovi doveri imposti dalla rivoluzione socialista; e questa momentanea incertezza di prospettive trovò eco nella popolarità di cui godettero allora le teorie del “libero amore”. Tuttavia Lenin non faceva mistero della sua profonda ostilità a simili tendenze sinistroidi, a prima vista molto innovative e “progressiste” ma in ultima analisi nocive alla causa del socialismo. Già nelle sue lettere del gennaio 1915 ad Ines Armand il padre del bolscevismo annoverava fra le «rivendicazioni borghesi» in tema d’amore non soltanto la libertà di adulterio e di scarsa serietà relazionale, ma altresì la libertà dalla procreazione [3]. E nella sua lunga conversazione del 1920 con Clara Zetkin egli rimarcò la necessità di «tracciare una linea chiara e indelebile di distinzione tra la nostra politica e il femminismo» sottolineando «i legami indissolubili che esistono tra la posizione sociale e quella umana della donna».
Lenin colse l’occasione per formulare una critica serrata delle teorie sessuali libertarie, all’epoca legate soprattutto alla volgarizzazione della psicoanalisi, secondo cui nella società comunista soddisfare le pulsioni sarebbe stato facile quanto bere un bicchier d’acqua: «Io considero la famosa teoria del “bicchier d'acqua” come non marxista e antisociale per giunta. Nella vita sessuale si manifesta non solo ciò che noi deriviamo dalla natura ma anche il grado di cultura raggiunto, si tratti di cose elevate o inferiori. […] La tendenza a ricondurre direttamente alla base economica della società la modificazione di questi rapporti, al di fuori della loro relazione con tutta l’ideologia, sarebbe non già marxismo, ma razionalismo. Certo, la seta deve essere tolta. Ma un uomo normale, in condizioni ugualmente normali, si butterà forse a terra nella strada per bere in una pozzanghera di acqua sporca? Oppure berrà in un bicchiere dagli orli segnati da decine di altre labbra? Ma il più importante è l’aspetto sociale. Infatti, bere dell’acqua è una faccenda personale. Ma, nell’amore, vi sono interessate due persone e può venire un terzo, un nuovo essere. È da questo fatto che sorge l’interesse sociale, il dovere verso la collettività. Come comunista, io non sento alcuna simpatia per la teoria del “bicchier d’acqua”, benché porti l’etichetta del “libero amore”» [4]. A ragion veduta, era soltanto questione di tempo perché il partito bolscevico si accingesse a correggere la rotta e a purificare dalle idee ostili anche il campo dei rapporti famigliari, di contro alla leggenda metropolitana di un “bolscevismo libertario delle origini tradito da Stalin”, tipica della cattiva storiografia trockista. Lo stesso decreto del 18 novembre 1920 che legalizzò l’aborto precisava come si trattasse di una concessione provvisoria, valida solo «fino a quando le sopravvivenze morali del passato e le gravi condizioni economiche del presente costringeranno ancora una parte delle donne a decidersi per quest’operazione» [5]; – con buona pace dei presunti filo-sovietici odierni che, a rimorchio del politicamente corretto, spacciano quella misura d’emergenza per una grande conquista civile anziché un male necessario.
Le radici del male furono estirpate negli anni ’30, attraverso la liquidazione delle classi sfruttatrici e della loro mefitica influenza ideologica sull’opinione pubblica, attraverso i giganteschi mutamenti sociali innescati dalla collettivizzazione agricola e dai piani quinquennali. Da un lato milioni di donne entrarono nel mondo del lavoro, conquistando l’uguaglianza con gli uomini sul solido terreno dell’economia, dall’altro il socialismo prese a svilupparsi sulla propria base e poté risolvere i problemi morali e demografici senza compromessi, attenendosi ai propri princìpi. Si arrivò così al fatidico ukaz del 27 giugno 1936, che autorizzava l’aborto soltanto se indispensabile a tutelare la salute della donna e del bambino, subordinava il divorzio al consenso di ambedue i coniugi e in generale le decisioni dei genitori ai diritti dei figli. Questi sviluppi smentirono non solo le utopistiche vedute degli estremisti di sinistra, che si auguravano la scomparsa della famiglia come cellula fondamentale della società, ma anche i foschi presagi dei conservatori che per lo stesso motivo – la differenza è unicamente valutativa – osteggiavano il lavoro femminile: «L’attivo lavoro sociale delle donne di casa – scriveva allora B. Svetlov sul Bolshevik, – non soltanto non ha disgregato la famiglia, ma l’ha rafforzata, aiutando la donna a liberarsi dal carattere individualistico, piccolo-borghese della famiglia e a coltivare nei figli la concezione comunista, l’eroismo e l’abnegazione nella difesa della patria» [6]. Nello stesso anno si verificò un importante episodio nella storia dell’arte sovietica: la stroncatura ufficiale della celebre “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Šostakovič. L’opera, tratta da una novella di Leskov, metteva in scena la vicenda di Katerina Izmajlova, giovane benestante costretta a vivere un matrimonio infelice, che s’innamora di un servo e in combutta con questi uccide il marito ed il suocero. «La mercantessa rapace, che ha raggiunto ricchezze e potere attraverso omicidi, viene rappresentata come “vittima” della società borghese», constatava con disappunto la Pravda del 28 gennaio. E per una simile interpretazione “antiborghese”, di denuncia dell’ipocrisia morale prerivoluzionaria, propenderebbe qualsiasi medio esponente della sinistra nostrana. Ma non era questo il caso del Comitato centrale del partito, che con la penna del suo anonimo portavoce sentenziò: «L’autore cerca con tutti i mezzi espressivi, sia musicali che drammatici, di attirare la simpatia del pubblico verso le aspirazioni e le azioni grossolane e volgari di Katerina Izmajlova», poiché «non ha tenuto conto dell’esigenza della cultura sovietica di scacciare da tutti gli angoli del costume sovietico la grossolanità e la crudeltà» [7]. Parole che lasciano intendere quali fossero le priorità del gruppo dirigente sovietico sul fronte famigliare.
Nel suo discorso del 1º ottobre 1938 a una riunione di propagandisti, Stalin si permise addirittura di colmare le lacune storiche dell’opera di Engels – che la espongono alle strumentalizzazioni femministe di cui sopra, – confrontando i vecchi studi di Bachofen con le più recenti ricerche antropologiche che dimostravano come il matriarcato non fosse l’ordinamento famigliare originario della specie umana. Inoltre egli criticò una formula contenuta nella prima prefazione al libro: «Ci sono fatti che l’indagine e la teoria di Engels mettono sullo stesso piano: le strutture familiari e le forme della produzione su un piano di uguaglianza. Marx non fu mai d’accordo con questo punto di vista» [8]. In quanto sede della riproduzione della forza-lavoro, la famiglia è compresa nei rapporti di produzione e ad essi subordinata: rilievo questo che, si noti, esclude in linea di principio le “famiglie LGBT” e l’annesso romanticismo che fa violenza alla teoria. “L’utero è mio e lo gestisco io”, proclamano le femministe. No – risponde il socialismo scientifico, – la procreazione non è un semplice fenomeno naturale, che soggiace ai soli desideri dell’individuo, bensì un processo sociale regolato in funzione delle esigenze della collettività. Ed è bene che sia così: l’“uomo naturalizzato” è anch’esso un prodotto storico, peraltro di qualità assai più scadente, generato dal sistema capitalista che aliena le vocazioni sociali degli uomini e ne stimola il retaggio belluino. D’altra parte, la famiglia non è un mero contratto economico e neppure un fugace legame sentimentale, ma un’istituzione chiamata a garantire la stabilità e la continuità della vita associata, un imprescindibile anello nella catena dei rapporti sociali; «la famiglia è la cosa più seria che esista nella vita» [9], scriveva la Pravda nel maggio 1936.
Commentando la riforma scolastica del 1943, Stalin fece il bilancio del lavoro svolto dal potere sovietico sulla questione femminile e tracciò le prospettive di sviluppo della famiglia sovietica: «Nella fase che è passata, lo Stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell’ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest’idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L’istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l’ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni» [10]. La legislazione degli anni ’30 fu consolidata dall’editto di famiglia del 1944, che riaffermò il divieto di aborto ingiustificato e allungò l’iter per il divorzio, accrebbe i sussidi statali per consentire alle madri di dedicarsi esclusivamente alla crescita dei figli nei primi cinque anni, ecc., onde risanare le enormi perdite di vite maschili nella Grande Guerra Patriottica. Questa tendenza proseguì immutata fino alla metà del decennio successivo, quando con la morte di Stalin ebbe inizio un generale indebolimento della disciplina socialista che interessò anche la sfera famigliare.
Naturalmente il modello sovietico dell’età staliniana non fu replicato alla lettera in tutti gli altri paesi socialisti. Anzi, esistono realtà dall’ordinamento sociale affine che in questo campo hanno seguìto strade molto diverse, ieri la Germania dell’Est e oggi Cuba, benché di regola simili aperture si accompagnino a concessioni ideologiche e culturali al capitalismo. Ma esiste altresì un paese tetragono a qualsivoglia compromesso ideale, che ha fatto della coerenza e della fedeltà ai princìpi socialisti il proprio marchio di fabbrica e ha stupito il mondo intero con l’eccezionale longevità del suo sistema: la Corea del Nord. Quando i comunisti liberarono il paese, reduce dal dramma delle comfort women sfruttate dalle truppe coloniali giapponesi, la società coreana vegetava nel passato feudale. Pertanto una delle prime riforme attuate dal nuovo regime fu la promulgazione della Legge sull’uguaglianza dei sessi, datata 30 luglio 1946, che pose fine alla tradizionale subordinazione della donna, da sempre confinata entro le mura domestiche, priva di diritti sociali e politici, relegata alla funzione di moglie e talvolta di concubina dei signori. Tuttavia i movimenti di liberazione della donna in Corea non seguirono né la strada del femminismo occidentale né, forti dell’esperienza sovietica, quella dei progetti antifamigliari “di sinistra”. A porre i paletti fu proprio una donna: la compagna Kim Jong Suk, moglie del Presidente Kim Il Sung e madre del Generale Kim Jong Il, nonché veterana della guerriglia antigiapponese. Nella primavera del 1946 ella si accinse a ripulire le organizzazioni femminili dalle «scorie del femminismo borghese»: nel riconoscimento dei diritti umani delle donne vedeva tutt’al più «lo slogan del femminismo borghese che, malgrado la presunta difesa delle donne nella società capitalistica, non implica la loro emancipazione per come intesa dalla classe operaia». Chissà cosa avrebbe pensato delle battaglie civili per il free bleeding! Il diritto di voto, ai suoi occhi, era «una rivendicazione per far partecipare le donne alla politica parlamentare, che quindi non ha nulla a che vedere con i diritti politici di cui devono beneficiare le donne lavoratrici». Altro che “quote rosa”!
L’eroina rivoluzionaria prendeva risolutamente le distanze non soltanto dal «programma del femminismo borghese», fatto di garanzie formali ed insignificanti pretese soggettive, bensì pure dal «programma di emancipazione delle donne proletarie un tempo proclamato dalle femministe socialiste», che prevedeva un puro e semplice miglioramento delle condizioni di vita materiali delle donne e ignorava invece la dimensione sociale-normativa della loro esistenza [11]. Si prospettava così una rottura totale con il femminismo di ogni possibile sfumatura. Il 23 ottobre 1947, visitando la Scuola rivoluzionaria che tutt’oggi porta il suo nome, Kim Jong Suk rispose alle affermazioni del direttore politico aggiunto che proponeva un’educazione indifferenziata per maschi e femmine: «Voi credete? Ma le ragazze, oltre alle qualità generali, devono possedere anche quelle proprie del loro sesso, comprese l’arte culinaria e la sartoria. Non si devono trascurare simili discipline» [12]. Nessuna “lotta agli stereotipi di genere”, dunque. Negli anni ’50 e ’60 le donne coreane assolsero un ruolo chiave nella ricostruzione postbellica del paese e nello slancio del movimento Chollima, grazie alla capillare rete di asili e giardini d’infanzia creati dal regime socialista per prendersi cura dei loro figli, all’accesso gratuito all’istruzione di massa e all’attivo coinvolgimento nella vita attiva delle organizzazioni di partito, cui erano particolarmente idonee – a giudizio del caro leader – perché «in genere dolci per natura» e refrattarie al burocratismo [13]. Questa modernizzazione posticipò leggermente il matrimonio, ma il ciclo di vita della famiglia non era affatto in discussione: «Noi non ci opponiamo a che le donne si sposino e mettano al mondo dei figli. È la natura stessa dell’essere umano» [14], specificava Kim Il Sung.
Conclusa l’impegnativa edificazione di un forte Stato socialista industriale, negli anni ’70 e ’80 fu la volta del consolidamento dei nuclei famigliari, indicati da Kim Jong Il come il più sicuro baluardo contro la “furia del dileguare” di hegeliana memoria e la fonte primigenia del patriottismo socialista: «Alcuni pensano che i rivoluzionari comunisti siano persone disumane che si preoccupano unicamente della rivoluzione, ignorando persino le proprie famiglie. Si sbagliano. Amare e rispettare i propri genitori è un obbligo fondamentale dell’uomo. Chi non ama i propri genitori, la propria consorte e i propri figli, che formano i legami di parentela più stretti, non può amare il proprio paese e i propri connazionali» [15]. Le garanzie materiali non mancano: come previsto da Engels, in Corea del Nord le casalinghe sono equiparate agli altri lavoratori e pertanto vengono rifornite di generi alimentari, a titolo pressoché gratuito, dal sistema di distribuzione pubblica; le lavoratrici in maternità dispongono di 150 giorni (240 dall’estate del 2015) di congedo a salario pieno e, al momento del ricovero in ospedale a carico dello Stato, ricevono cospicui premi in denaro; quelle con tre o più figli lavorano per sole 6 ore al giorno; e in ogni caso le donne vanno in pensione a 55 anni e possono dedicarsi interamente alla famiglia [16]. La mentalità popolare trova riflesso nella recente risposta dei novelli sposi Ri Ok Ran e Kang Sung Jin alla domanda di Wong Maye, giornalista dell’Associated Press, su quali fossero i loro obiettivi nella vita: «Avere molti bambini in modo che possano servire nell’esercito e difendere e sostenere il nostro Paese, per molti anni nel futuro» [17].
Ma cosa pensano i nordcoreani del palese declino dell’istituto famigliare e dei suoi valori fondativi in Occidente? L’anziano Presidente Kim Il Sung notava con apprensione nelle sue memorie: «Al giorno d’oggi l’epicureismo si propaga come una malattia contagiosa dall’altro emisfero del nostro pianeta. Questo eccesso d’egoismo, che spinge a ricercare solo il proprio benessere, senza curarsi dei posteri, affligge l’animo d’innumerevoli persone. Alcuni si esimono dal generare discendenti, perché sono un cruccio. Altri rinunciano perfino a contrarre matrimonio. Certo, ognuno è libero di non sposarsi o di non avere figli. Ma che gusto c’è a vivere senza eredi?» [18]. A cavallo tra i due secoli il filosofo Jo Song Baek sottoscriveva le tesi di Zbigniew Brzezinski sulla crisi morale della società americana, lamentando come perfino la Corea del Sud fosse «divenuta una regione priva d’amore autentico, una regione sterile» in seguito al pernicioso influsso della cultura yankee. Le basi ideologiche di questo degrado erano additate nell’indebita “naturalizzazione” dei rapporti coniugali: «L’amore prediletto dal freudismo è un amore inumano, vile e depravato, che si fonda sull’istinto sessuale animalesco». E i legami fra uomo e donna, «se si considera soltanto l’aspetto sessuale, non possono essere autenticamente umani e solidi» [19]. Ce n’è abbastanza per mettere in imbarazzo chi critica l’anarchia del mercato ma si nutre della cultura decadente da esso generata, chi del socialismo reale apprezza l’economia ma non l’etica, chi suol arguire che parole come quelle citate poc’anzi appartengono a uomini del secolo scorso, succubi di convenzioni arretrate, che adesso i tempi sono cambiati e che perfino la Corea si “aprirà” a quel fatuo “progresso” – evocato alla stregua d’una formula magica, – che prima o poi riconduce tutti i popoli nell’alveo della (in)civiltà liberale.
Simili profezie sono perfettamente analoghe, nella forma e nel contenuto, alle gufate di chi da decenni attende invano il crollo del sistema socialista, e ogni giorno ricevono le stesse brutali smentite dalla realtà. «Nessuno può sostituire le madri nel ruolo che svolgono nella formazione dei protagonisti del futuro della patria. Il nome intimo e tenero di madre racchiude il rispetto sociale e la grande speranza riposta nelle donne che circondano i bambini d’amore e d’affetto, sopportando tutte le fatiche del mondo senza batter ciglio. Senza donne non può esserci né famiglia, né società, né avvenire della patria»: – così si legge nella lettera inviata dal giovane leader Kim Jong Un al VI Congresso dell’Unione democratica delle donne di Corea (17 novembre 2016), ove si accenna altresì alla necessità di «instaurare la disciplina morale fra le donne» e ai loro doveri di «padrone di casa», per poi chiudere in bellezza: «La natalità è un importante fattore che influisce sull’avvenire del paese e della nazione. Bisogna incoraggiarla» [20]. Un autentico florilegio di “bigottismo patriarcale”, a detta dei feticisti della novità fine a se stessa, che pure si tengono pervicacemente aggrappati alla vecchia ipotesi sulla “famiglia autoritaria” come luogo di riproduzione della psicologia borghese, ormai obsoleta da circa cinquant’anni a questa parte. La logica del capitale non conosce senso del limite e, come intuì Marx, tende a “sciogliere tutti i corpi solidi”, primo fra tutti il vincolo famigliare. «Con l’individualismo estremo come base morale e spirituale – incalza il Rodong Sinmun del 18 novembre 2016 – nei paesi capitalistici non di rado il marito uccide la moglie, i figli uccidono i genitori e i nipoti uccidono i nonni» [21]: le esplosioni più fragorose fanno luce sul tacito logoramento quotidiano. La liberalizzazione dei costumi contrabbandata dalle sinistre sessantottine non è che l’abito ideologico, mistificante per definizione, di un processo connaturato al declino della metropoli imperialista.
In un paper pubblicato il 13 agosto 2015 sul sito dell’Università Kim Il Sung di Pyongyang, a firma del professor Kim Hong Il, la moda dei “diritti civili” viene derubricata a sintomo della putrefazione del capitalismo: «La decadenza politica e culturale degli Stati Uniti porta con sé la discriminazione razziale, le frodi e gli inganni delle organizzazioni politiche, la criminalità, il divorzio, la gravidanza minorile, il matrimonio omosessuale e l’aborto, “cancri sociali” propri di un’America che ha tempo abdicato alle sane ragioni della società umana» [22]. La Corea del Nord è forse l’unico paese socialista a non aver mai criminalizzato l’omosessualità, riconosciuta come un tratto genetico i cui portatori vanno rispettati e protetti dalle discriminazioni, ma nondimeno si oppone fermamente alla promiscuità e all’esibizionismo della cultura Gay occidentale, alle egoistiche rivendicazioni del matrimonio e delle adozioni, perché incompatibili con le idee socialiste sulla famiglia e sulle sue funzioni sociali [23]. L’aborto non è concepito come un “diritto individuale” di cui valersi a piacimento, bensì come una misura eugenetica al servizio della collettività. «Tutta la medicina è gratuita in Corea del Nord – spiega Alejandro Cao de Benós – e si può ricorrere all’aborto solo previa raccomandazione medica, qualora si verifichi una malformazione fetale, o la vita della madre sia messa a repentaglio, o il bambino non nasca correttamente. […] Non per scelta o per motivi economici» [24]. Il divorzio è certo libero e legale, senonché le tradizioni nazionali – gelosamente difese dal regime socialista sebbene mondate dalle incrostazioni classiste del confucianesimo – lo contemplano come extrema ratio per cui optare preferibilmente d’accordo con i parenti, i quali peraltro condividono l’onta degli ex coniugi per non aver saputo stringere un legame a prova delle temporanee contingenze del sentimento [25]. Come ricorda lo scrittore Davide Rossi, numerose opere letterarie coreane celebrano la ricomposizione dei conflitti sorti in seno alle famiglie, in nome del superiore interesse proprio, dei figli e del paese, e col provvidenziale aiuto del partito [26].
Queste circostanze hanno forgiato in Corea i nuclei famigliari più coesi e stabili del globo terrestre, con 2.000 sole pratiche di separazione avviate in media ogni anno. Quest’ultimo dato è emerso allorché il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne prese di mira la Corea del Nord, il cui Codice Penale non sanziona il vago reato di “molestie” che – come attestano gli eventi degli ultimi mesi – si presta ad interpretazioni soggettive tali da minare le garanzie basilari dello Stato di diritto. Al dibattito dell’8 novembre 2017 i delegati nordcoreani furono costretti a ribadire parecchie ovvietà, ad esempio che le donne possono accedere alle posizioni sociali più elevate qualora superino l’iter necessario, e non mediante la forzata immissione di “quote rosa” negli apparati, oppure che se un superiore le chiede favori sessuali in cambio di promozioni o con minaccia di trasferimento la donna è libera di rifiutare e che il reato di stupro si configura solo in seguito ad un successivo rapporto non consensuale; e conclusero la meritata lezione di buon senso impartita agli accusatori con queste significative osservazioni: «Nella Repubblica popolare democratica di Corea violenza sessuale, molestie sessuali, violenza domestica o stupro coniugale sono parole alquanto strane, la gente non capisce cosa significhino semplicemente perché quei fenomeni non si verificano di frequente e non costituiscono problematiche di rilevanza sociale» [27]. In Corea non si verificano fenomeni come la campagna #MeToo, menzionata in un articolo di Song Jong Ho sul Pyongyang Times del 9 marzo scorso, che sottolinea con gusto le contraddizioni di un Occidente in cui il femminismo è destinato a rimanere uno sterile «wishful thinking», incapace di offrire alle donne una vera emancipazione, malgrado l’unanime sostegno delle istituzioni, dei media e del mondo accademico [28].
In compenso, abbandonato il focolare domestico, le donne sono entrate appieno nei circuiti dello sfruttamento e del consumismo, le relazioni affettive e sessuali sono asservite al denaro e ai volubili capricci dell’egoismo, lo stile di vita frivolo e decadente ha corroso e sciupato le tradizionali qualità femminili, i rapporti fra i sessi sono precari come posti di lavoro e il saldo demografico è compromesso. La superiorità del socialismo si coglie proprio nello stridente contrasto con le donne nordcoreane, delle quali il presidente della KFA ci ha fornito uno splendido ritratto che funge da chiusura ideale per la nostra rassegna: «[…] potrei descrivere la donna coreana come soffice quanto la seta ma anche rigida quanto l’acciaio. Hanno un carattere molto delicato, molto gentile, molto ospitale… Sono davvero come porcellana, sembrano ragazze di porcellana, vero? Ma poi, quando si tratta di correre dei rischi, quando si tratta di prendere un piccone e spaccare la pietra o di impugnare un lanciagranate, sono disposte a farlo in qualunque momento. Così hanno questo duplice profilo, che è molto curioso perché normalmente una donna o ragazza dotata di personalità più forte del solito la manifesta. Ma non in Corea. In Corea dolcezza e cortesia totali verso l’esterno si accompagnano a grande robustezza e ad una spiritualità molto forte, dove l’ideologia è ciò che conta. Per una donna coreana non l’aspetto fisico o il denaro, come nella maggioranza dei paesi capitalistici, bensì l’ideologia è la cosa più importante» [29].

(di Francesco Alarico della Scala, articolo scritto per il sito "Oltre la Linea" il 15 giugno 2018)

Note

[1] K. Marx-F. Engels, Opere, vol. IV, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 375.

[2] F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, Roma, 1963, p. 109.

[3] V. I. Lenin, Opere complete, vol. XXXV, Edizioni Rinascita, Roma, 1955, p. 119.

[4] Riportato in C. Zetkin, Lenin e il movimento femminile, 1925: www.marxists.org/italiano/zetkin/lenin.htm.

[5] Legislazione internazionale: leggi, decreti, progetti di legge, Istituto di studi legislativi, Roma, 1937, p. 265.

[6] Pubblicato ne Lo Stato operaio, voll. XII-XIII, 1938-39, Feltrinelli Reprint, Milano, 1966, p. 356.

[7] In G. Vinay, Storia della musica, vol. X, parte 1, Edizioni di Torino, 1978, pp. 154-155.

[8] Disponibile online in italiano: www.pmli.it/articoli/2017/20171018_...riapartito.html.

[9] Cit. in C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia Sovietica dagli anni Venti agli anni Quaranta: www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuut3n21.htm. Vedi la medesima fonte per le notizie generali sulla politica famigliare sovietica.

[10 ]Cit. in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, novembre 1943, p. 8.

[11 ]Biografia di Kim Jong Suk, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2002, pp. 274-276.

[12] Ibid., pp. 322-323.

[13] Kim Jong Il, Per la formazione d’un maggior numero di quadri femminili, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1988, p. 2.

[14] Kim Il Sung, Opere scelte, vol. III, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1971, pp. 254-255.

[15] Kim Jong Il, Opere scelte, vol. IX, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1997, p. 63.

[16] Informazioni tratte dal dossier La Corea contemporanea, redatto dalla KFA – Italia: https://web.archive.org/web/20120128121849...age2/page2.html.

[17] www.corriere.it/esteri/17_giugno_2...4bfb-bc_4.shtml.

[18] Kim Il Sung, Attraverso il secolo, vol. III, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1993, pp. 337-338.

[19] Jo Song Baek, La filosofia della leadership di Kim Jong Il, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 1999, pp. 189, 183.

[20] Kim Jong Un, Intensifichiamo ulteriormente il lavoro dell’Unione delle donne sotto la bandiera della trasformazione di tutta la società sulla base del kimilsungismo-kimjongilismo, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2017, pp. 11-13.

[21] Rodong Sinmun: la corruzione morale è un prodotto inevitabile della società capitalistica, KCNA, 18 novembre 2016.

[22] www.ryongnamsan.edu.kp/univ/success/social/part/47

[23] Cfr. https://web.archive.org/web/20120128142859...e17.html#link18.

[24] Intervista a Infovaticana, 16 marzo 2015: https://infovaticana.com/2015/03/16/entrevista-cao-de-benos/.

[25] Cfr. Kim Jong Il, Opere scelte, vol. XV, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2014, p. 296.

[26] Davide Rossi, Pyongyang, l’altra Corea, Edizioni Mimesis, Milano, 2012, pp. 71-72.

[27] www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/D...=22373&LangID=E.

[28] https://kcnawatch.co/newstream/1520596839-...t-around-world/.

[29] Intervista a Berlunes, 27 maggio 2014: http://berlunes.com/entrevista-alejandro-cao-benos.
view post Posted: 12/1/2024, 23:16 Il mito del "Bolscevismo Ebraico" - Storia
Al fine di smontare il tanto famigerato mito del "Bolscevismo Ebraico", pubblicherò due articoli che sono stati da me tradotti svariati anni fa. Il secondo articolo contiene alcune affermazioni che, dal punto di vista comunista, risulteranno incorrette. Ma ciò si deve al fatto che l'autore dell'articolo, Israel Shamir, è si un socialista che guarda con ammirazione all'esperienza del Socialismo sovietico, ma è al contempo anche un cristiano praticante. Invito dunque a non dar troppo peso a certe sue affermazioni.


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Il mito del "Bolscevismo Ebraico"



Traduzione a cura di Zdanovista

È un luogo comune nelle idee di estrema destra, specialmente nel credo fascista, la convinzione che "il Bolscevismo faceva parte di una cospirazione Ebraico-satano-sionista" e che "la rivoluzione russa fu finanziata dagli Ebrei". Questa assurdità propagandistica, originata dai tempi dello zar Nicola II, è sempre stata un appello all'antisemitismo, un flagello che ha perseguitato a lungo il popolo russo, strumentale all'ideologia zarista. Questo articolo dimostra la falsità di tale teoria.
È un fatto che, in qualunque Paese, le minoranze oppresse tendano a vedere nelle idee comuniste uno strumento per la propria liberazione nazionale e coloniale, dunque molti Ebrei russi si rivolsero al Bolscevismo, così come pure i curdi, i neri d'America e i turchi abbracciarono le idee comuniste. Tuttavia, secondo "Alle radici della socialdemocrazia russa" di David Lane, nel 1907, al Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, di 105 delegati, il 78% erano russi, l'11% erano Ebrei, il 5% erano transcaucasici (ovvero armeni, azeri e georgiani), il 3% erano baltici e l'1% erano ucraini. Gli Ebrei erano molto ben rappresentati, ma nulla di eccezionale dal momento che i russi costituivano il 50% della popolazione dell'Impero Russo, essendo quindi rappresentati in modo sproporzionato. Secondo Lane, "le differenze principali e più significative tra le due fazioni stanno nel loro contesto nazionale. I bolscevichi erano molto più omogenei, avevano una piccola minoranza di membri Ebrei, ma erano prevalentemente russi" (p. 51). Nel periodo 1917-1932, 78 persone si unirono al Comitato Centrale del Partito, di costoro, 38 erano russi, 13 erano Ebrei, 8 erano ucraini, 8 erano baltici, 5 erano transcaucasici. Costoro erano:

A.S Bubnov, N.I Bukharin, F.E Dzerzhinski, E.M Iaroslavski, M.I Kalinin, L.B Kamenev, A.S Kiselev, V.I Lenin, V.P Miliutin, G.I Petrovski, K.B Radek, Kh.G Rakovski, A.I Rykov, F.A Sergeev, A.G Shliapnikov, V.V Schmidt, I.T Smilga, I.N Smirnov, G.IA Sokolnikov, I.V Stalin, M.P Tomski, L.D Trotsky, G.E Zinoviev, S.G Shaumian, P.A Dzhaparidze, Ia.M Sverdlov, M.S Uritski, A.G Beloborodov, Ia.A Berzin, K.Kh Danishevski, G.E Evdokimov, V.N Iakovleva, A.A Ioffe, V.S Kapsukas, A.M Kollontai, N.N Krestinski, M.M Lashevich, G.I Lomov, M.K Muranov, V.P Nogin, E.A Preobrazhenski, L.P Serebriakov, N.A Skrypnik, E.D Stasova, P.I Stuchka, M.F Vladimirski, A.A Andreev, A.E Badaev, V.Ia Chubar, M.V Frunze, S.I Gusev, S.M Kirov, N.P Komarov, I.I Korotkov, T.S Krivov, V.V Kuibyshev, I.I Kutuzov, D.Z Lebed, I.I Lepse, S.S Lobov, D.Z Manuilski, V.M Mikhailov, A.I Mikoian, V.M Molotov, G.K Ordzhonikidze, V.V Osinski, G.L Piatakov, I.A Piatnitski, A.R Rakhimbaev, Ia.E Rudzutak, G.I Safarov, T.V Saporonov, D.E Sulimov, I.Ia Tuntul, N.A Uglanov, K.E Voroshilov, P.A Zalutski, I.A Zelenski

Fra questi, gli Ebrei erano: Iaroslavski, Kamenev (Rosenfeld), Radek (Sobelson), Sokolnikov (Brilliant), Trotsky (Bronstein), Zinoviev (Apfelbaum), Sverdlov (Yankel), Uritski, Ioffe, Lashevich, Gusev, Piatnitski, Zelenski. Nel 1925, il Comitato Centrale contava 58 russi, 12 Ebrei, 7 transcaucasici, 5 baltici, 5 ucraini e 10 di altre nazionalità. Sebbene gli Ebrei costituissero il 2% della popolazione, nel 1922 erano il 17% del Comitato Centrale. Allo stesso modo, i baltici costituivano lo 0,7 per cento della popolazione dell'Impero, ma erano il 10 per cento del Comitato Centrale (incluso il bielorusso Felix Dzerjinsky, patrono del KGB). Nel 1925, nel Comitato Centrale c'erano anche 2 tedeschi, Vassili Schmidt ed Emanuil Kviring. Nel 1934, dei 139 membri del Comitato Centrale, 72 erano russi e 23 erano Ebrei. Nonostante l'aumento degli Ebrei, la maggioranza dei membri continuò ad essere russa. Nel 1939, su 139 membri, c'erano 11 Ebrei, mentre il 70% dei membri erano russi e il 21% ucraini. Nel 1952, c'erano 3 Ebrei su i 236 membri, e gli Ebrei cessarono quindi di essere una forza politica influente. Tra il 1956 e il 1981, su 948 membri del Comitato Centrale, 6 erano Ebrei. Per fare un confronto, nello stesso periodo il Politburo aveva 1 finlandese, Otto Kuusinen, nonostante il basso numero di finlandesi residenti nell'Unione Sovietica.
Per un confronto con i menscevichi, un gruppo composto da anticomunisti, monarchici e interventisti stranieri durante la Guerra Civile, David Lane, autore de "Alle radici della socialdemocrazia russa", fornisce i seguenti dati:

Bolscevichi: 82 russi, 12 Ebrei, 3 georgiani, 2 armeni, 1 polacco, 1 lettone, 1 ucraino, 1 estone, 1 finlandese, 1 tartaro.
Menscevichi: 33 russi, 28 georgiani, 22 Ebrei, 6 ucraini, 2 polacchi, 1 tedesco, 1 estone, 1 armeno, 1 greco, 1 osseto.

A onor del vero, bisogna ammettere, comunque, che vi furono alcuni settori in cui gli Ebrei esercitavano una forte influenza, posizioni nelle quali detenevano un grande potere come il Commissariato per gli Affari Esteri e il Commissariato per l'Esercito e la Marina (entrambi occupati da Trotsky). Nei principali commissariati militari non c'erano russi, ma c'erano 8 lettoni, 1 tedesco e 34 Ebrei. Comunque, a parte ciò, è evidente, come documentato dai fatti, che l'idea del "Bolscevismo Ebraico" è un mito zarista, antisemita e nazista.

Fonti:

Lane, David. Roots of Russian Social Democracy
Mawdsley, Evan & white, Stephen. The Soviet Elite from Lenin to Gorbachev
Fórum "Revleft". www.revleft.com/vb/russian-revoluti...1876/index.html

Fonte originale: http://apaginavermelha.blogspot.com/2013/0...-judeu.html?m=1


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Governo d'Occupazione Sionista Bolscevico


In difesa dei bolscevichi e del Comunismo sovietico


Israel Shamir, 2 ottobre 2018



Traduzione a cura di Zdanovista

Il presente testo è una discussione su alcuni temi presentati in un recente articolo di Ron Unz (1) sul ruolo degli Ebrei nella rivoluzione sovietica: "Negli ultimi anni della Guerra Fredda, il numero di morti di civili innocenti a seguito della Rivoluzione Bolscevica e dei primi due decenni del regime sovietico è stato stimato in diverse decine di milioni. Ho sentito che questi numeri sono stati sostanzialmente ridotti forse a circa 20 milioni. Ciò che importa, sebbene gli studiosi della storia sovietica discutano su cifre così esorbitanti, è che queste hanno sempre fatto parte del discorso storico standard insegnato in Occidente. Nel frattempo, tutti gli storici sanno perfettamente che la stragrande maggioranza dei leader bolscevichi erano Ebrei. Pochi anni fa, Vladimir Putin dichiarò che gli ebrei costituivano forse tra l'80 e l'85% del governo sovietico nei suoi primi anni (2), una stima che si adatta perfettamente a quella di Winston Churchill all'epoca (3), o quella del corrispondente del London Times Robert Wilton (4) [...] Questi due dati elementari sono stati ampiamente accettati negli Stati Uniti in tutta la mia esistenza".

Il Gulag

“Sono stato in grado di avere pieno accesso a tutti gli archivi, ho scoperto tutto sulle vittime di Stalin e ho preparato un rapporto completo. Tuttavia, ho deciso di metterlo da parte per un'occasione futura. Se l'avessi pubblicato (molto probabilmente avrei perso il lavoro e non mi avrebbero concesso più borse di studio), i miei amici si sarebbero allontanati da me, sarei rimasto solo e comunque nessuno mi avrebbe creduto". Questa schietta confessione risale al 2012 e proviene dalla massima autorità sulla questione delle repressioni durante l'era comunista, il dott. Arseny Rogisnky, fondatore e presidente della Memorial Association (5) una ONG anticomunista russa. Il dott. Rogisnky è morto nel 2017 e i suoi sostenitori americani hanno pianto la sua morte (6). L'associazione Memorial è un vero agente straniero (7), poiché riceve il generoso aiuto del Dipartimento di Stato e della Fondazione George Soros, e il suo presidente, il dott. Rogisnky, è sempre stato un nemico dei sovietici, una persona incapace di essere a favore dei rossi. In cosa consisteva questa terribile verità che il dott. Rogisnky decise di nascondere? "Secondo i miei calcoli - scrive (8) - in tutta l'epoca sovietica dal 1918 al 1987, in base ai documenti esistenti ancora oggi, furono arrestate un totale di 7100000 persone dalle agenzie statali di sicurezza (l'equivalente russo dell'FBI) in tutto il paese. E questa cifra include gli arrestati per vandalismo, contrabbando, falsificazione e molti altri atti criminali". Prima di dire che sette milioni di persone sono una cifra abbastanza alta, bisogna considerare che solo l'anno scorso (2017), in tempi di pace, negli Stati Uniti, sono state arrestate più di dieci milioni di persone, e non solo dall'FBI , le cui statistiche non sono riuscito a trovare. Le cifre russe coprono settant'anni di ribellioni, guerre civili, senza dimenticare la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda, su un vasto territorio che comprende l'Ucraina, l'Asia centrale, il Caucaso, gli Stati baltici e la Russia.
Tra gli arrestati da parte dei servizi di sicurezza dello Stato c'erano decine di migliaia di combattenti di Stepán Bandera (9), nazionalisti ucraini di estrema destra, che avevano combattuto dalla parte della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale e che hanno continuato a combattere fino ad anni 50 inoltrati. Più di 100.000 furono arrestati e più di 150.000 morirono in combattimento (10). I servizi di sicurezza hanno combattuto e arrestato un gran numero di ribelli islamisti in Asia centrale e nelle montagne del Caucaso, i predecessori di Al Qaeda e dello Stato islamico. I servizi segreti statunitensi rifornirono e armarono i ribelli baltici e ucraini, mentre gli inglesi rifornirono gli islamisti. Nonostante ciò, l'FBI russa arrestò solo 7 milioni di persone in 70 anni, la maggioranza delle quali erano semplici criminali o ribelli, dice il dott. Rogisnky, che poi dichiara: “Ecco la cifra finale di 7 milioni per l'intero periodo sovietico. Cosa dovrei fare con queste indagini? L'opinione pubblica afferma che ci furono 12 milioni di arrestati solo nel periodo 1937-1939. Appartengo a questa società, vivo tra queste persone, ne faccio parte, sapevo per certo, in primo luogo, che non mi avrebbero creduto e, in secondo luogo, significherebbe che tutto ciò che ci era stato raccontato finora sulle cifre era falso. Quindi ho messo da parte i miei calcoli per molto tempo, e non è ancora giunto il momento di svelare tutto questo". Il pubblico russo, come quello occidentale, era abituato a cifre molto diverse: 40 milioni di persone sono state uccise da Stalin, ha affermato Roy Medvedev, un importante dissidente; 80 milioni secondo Antónov Ovséyenko; 100 milioni, secondo il cardinale grigio della Perestrojka, A. Yakovlev, molto vicino a Gorbachev e la cui opinione era particolarmente importante poiché fu presentata come "la verità, nient'altro che la verità" negli anni critici 1987-1991. Questo numero includeva "bambini non ancora nati, ma che avrebbero potuto nascere", ha aggiunto tranquillamente, probabilmente ispirandosi alle stime pro-vita dei milioni di bambini uccisi nelle cliniche per l'aborto. Tuttavia, i loro calcoli furono superati dal leader dell'opposizione assassinato Boris Nemtsov, che contava (nel 2003) 150 milioni di vittime di Stalin, troppe per un paese di 200 milioni di persone! Dopo tutto questo, la cifra di 7 milioni sembra abbastanza ordinaria.
I numeri reali sono fra l'altro ancora più bassi. Esistono due documenti, migliori e più affidabili, relativi al numero dei prigionieri e dei condannati a morte ai tempi di Stalin: il rapporto (11) del procuratore generale (e dei suoi collaboratori) a Nikita Kruschev nel 1954, in cui si parlava di 2,5 milioni di persone incarcerate durante il periodo staliniano e 600.000 condannati a morte, e l'indagine approfondita del dott. Victor Zemskov (12). Il dott. Zemskov aveva studiato le attività dei diversi organi di sicurezza dello Stato dal 1921 al 1954 e aveva scoperto che in quel periodo, 650.000 persone erano state condannate a morte (in realtà, non tutte erano state infine giustiziate) e 2,3 milioni di persone erano state condannate a pene detentive, nei 33 difficili anni del governo di Stalin. Zemskov ha anche fornito dati annuali. Durante il terribile anno del 1937, c'erano 1,2 milioni di prigionieri nei Gulag. Confrontiamo questo dato con gli Stati Uniti: nel 2013 c'erano 2,2 milioni di adulti imprigionati nelle carceri statali e federali statunitensi, oltre alle carceri municipali. Ciò equivale a circa l'1% della popolazione adulta residente negli Stati Uniti, contro lo 0,8% per l'Unione Sovietica. Inoltre, 4,75 milioni di persone negli Stati Uniti erano in libertà vigilata, secondo Wikipedia. Nei Gulag c'erano meno prigionieri che nel sistema carcerario americano (13).
Basta con le accuse di terribili massacri al regime bolscevico! Durante l'era sovietica, la popolazione russa crebbe ad un tasso regolare dello 0,60% all'anno, il doppio rispetto al Regno Unito e alla Francia e molto più che nella Russia post-sovietica. L'Impero Russo entrò nella Prima Guerra Mondiale con 160 milioni di abitanti; l'URSS aveva 210 milioni di abitanti nel 1959. Cifre impossibili se diamo credito ai numeri multimilionari della repressione staliniana. Se è così, allora perché "il discorso storico standard come insegnato in Occidente" usa cifre così esorbitanti? La ragione principale è la paura del Comunismo, una paura molto ragionevole e giustificabile per i ricchi di perdere milioni e miliardi. È del tutto logico che usino parte del loro capitale nel tentativo di convincerti che il Comunismo ti fa del male, quando in realtà è detestabile solo per loro. Hanno mentito così tanto e così efficacemente da convincere tutti. Perfino un americano o un inglese poveri hanno paura del Comunismo, poiché pensano che i comunisti porteranno via tutto ciò che hanno, compresi moglie e figli, e li manderanno direttamente al Gulag. Qualche giorno fa, il presidente Donald Trump ha dichiarato (14) alle Nazioni Unite: "Dovunque si è cercato di impiantare il Socialismo o il Comunismo sono stati prodotti solo miseria, corruzione e decadenza. La sete di potere del Socialismo porta solo ad espansione, interventi armati e oppressione. Tutte le nazioni del mondo dovrebbero resistere al Socialismo e alla miseria che produce per tutti". Le nazioni del mondo hanno riso sotto il suo naso. L'odio di Trump per il Socialismo è una buona pubblicità per il Socialismo stesso! Nel suo discorso Trump ha parlato di due paesi secondo lui esemplari, Israele e Arabia Saudita. Questi due paesi potranno anche essere buoni per lui, ma per noi non lo sono. Allo stesso modo, " il Socialismo e il Comunismo" potranno anche essere cattivi per miliardari come Trump, ma sono meravigliosi per la gente comune.
Il problema sta nel fatto che Trump ed altri ricconi non permetteranno mai a nessuno di adottare il Socialismo. È per questo motivo che Trump continuò dichiarando: "Oggi annunciamo nuove sanzioni contro il regime repressivo (del Venezuela) dirette contro i circoli più vicini a Maduro e ai suoi assessori". Quindi, se decidi di avere un sistema socialista nel tuo paese ti pioveranno addosso sanzioni da parte degli Stati Uniti, così come interventi militari, embarghi commerciali e la guerra. Faranno tutto il possibile per condurre te e il tuo paese alla miseria, finché non ti pentirai di aver eletto il Socialismo a sistema del tuo paese. I popoli di Corea e Vietnam hanno eletto il Socialismo come sistema dei propri paesi ed entrambi i paesi furono invasi dagli Stati Uniti, distruggendoli e uccidendo milioni di persone, in modo che dopo aver vinto gli Stati Uniti avrebbero potuto ereditare una terra devastata e distrutta e un'economia in rovina. La Russia fu il primo paese ad impiantare il Socialismo e ci riuscì, miracolosamente, e si sacrificò in modo che anche altre nazioni avessero potuto applicarlo, tanto che anche nazioni non-socialiste come gli Stati Uniti si videro obbligate a concedere alcuni privilegi ai propri lavoratori, privilegi che i lavoratori dei paesi socialisti avevano già acquisito da tempo. I lavoratori americani avevano una vita miserabile prima che la Russia intraprendesse la strada del Socialismo nel 1917, la loro situazione migliorò quando quel paese divenne socialista, ma tornarono alla miseria nel 1991, quando il Socialismo fu smantellato in Russia. Tutte le conquiste del Socialismo russo, come la giornata lavorativa di 8 ore, le pensioni, l'assistenza medica, la stabilità del prezzo degli affitti, le ferie pagate, le vacanze, la sicurezza del lavoro, sono state adottate in Europa, ma ora sono in fase di smantellamento, perché furono i ricchi, alla fine, a vincere. Ovviamente mentono sul Socialismo perché non vogliono che noi lo applichiamo o anche che ci sognamo di farlo. È qualcosa da ricordare e memorizzare ogni volta che ascoltiamo un'altra terribile storia sui bolscevichi.

Gli Ebrei e i bolscevichi

La storia della Rivoluzione Bolscevica diretta dagli Ebrei (il mio amico Ron Unz ha trattato questo tema in due dei suoi articoli più recenti (15) (16)) è un'altra sconvolgente storia proveniente dall'arsenale del terrore e della paura. Ron Unz, un investigatore sincero e diligente, riportò alla luce questa vecchia e dimenticata storia scavando in cerca di verità dimenticate. Sorpresa: non solo sta venendo occultata e dimenticata la verità, ma con il passo del tempo stanno venendo dimenticate anche le fakenews. Questa vecchia menzogna in particolare è stata inventata negli anni 20 e diventò popolare negli anni 30, ed era stata dimenticata a tal punto che oggi si presume che i comunisti siano antisemiti (17) secondo i parametri del discorso moderno. Addirittura, è possibile leggere di Ebrei che litigano con altri Ebrei che intendono ridimensionare l'antisemitismo dei bolscevichi (18). Nel 1994, l'autore Ebreo Arkady Vaksberg scrisse un libro intitolato "Stalin contro gli Ebrei". La sua tesi fondamentale è che Stalin fosse un fanatico antisemita. Il libro di Louis RapoportLa " La guerra di Stalin contro gli Ebrei" rifletteva lo stesso tema. Questa fantasia Ebraica dei comunisti contro gli Ebrei ha un alleato simmetrico nella fantasia degli Ebrei che controllano i comunisti. Entrambi sono false.
Gli Ebrei si unirono al Partito Bolscevico? Molti si, lo fecero, anche se erano molti di più gli Ebrei che sostenevano il governo provvisorio di Alexander Kerenskij, il nemico dei bolscevichi. Il primo ministro Kerenskij infatti batté il record a sostegno delle cause Ebraiche. Fu il suo governo a garantire agli Ebrei la piena uguaglianza. Il governo provvisorio aveva nominato rappresentanti Ebrei in posizioni molto importanti, da governatori a sindaci delle due capitali russe e alla guida degli uffici della pubblica amministrazione. Il principale punto di attrazione verso i bolscevichi da parte delle masse russe era la promessa di porre fine alla guerra, mentre le nazionalizzazioni e la riforma agraria non attraevano molto gli Ebrei. La vittoria dei bolscevichi era vista come dubbiosa nella migliore delle ipotesi o come quasi impossibile. Dunque gli Ebrei in cerca di carriera non si precipitarono verso gli slogan dei rossi. Nonostante ciò, molti Ebrei si unirono comunque al Partito Bolscevico, poiché gli Ebrei sono persone attive, e molti appoggiarono la rivoluzione per la migliore delle ragioni.
Il Comunismo è un Cristianesimo senza Dio, un Cristianesimo secolarizzato, nel linguaggio erudito. Gli Ebrei migliori si sentono immensamente attratti dal Cristianesimo, attratti e spaventati allo stesso tempo, poiché sono condizionati dalla repulsione per il Cristo. Il Comunismo era come una via di scampo per loro, un modo per unirsi al popolo evitando, secondo loro, il terribile nome di Cristo. Al contempo, il Capitalismo neoliberista è un Giudaismo senza Dio, un Giudaismo secolarizzato, quindi la peggior classe di Ebrei è attratta dal neoliberismo. Karl Marx disse che il Capitalismo [neoliberista] è la religione di un Ebreo nei suoi giorni lavorativi, mentre l'Ebraismo è la sua religione durante lo Shabbat, il suo giorno di riposo. Il Capitalismo giudaizza i cristiani, mentre il Comunismo cristianizza gli Ebrei. A lungo andare, il Comunismo non ha funzionato, poiché è impossibile mettere da parte Dio per sempre, egli sa come far valere la sua posizione, però ciò non era chiaro all'ora, quindi molti Ebrei russi si unirono alla rivoluzione per una buona ragione. Altri Ebrei avevano motivazioni poco nobili, cercavano avventura, potere o solo un cambiamento. È più utile, comunque, riflettere sul perché la rivoluzione li abbia accolti. Gli Ebrei non provavano alcun sentimento per il vecchio regime e mostravano ben poca compassione per i russi ordinari. Insieme ai lettoni, costituivano il pilastro della sicurezza dello Stato, erano educati, onesti e altruisti. Perché una rivoluzione possa trionfare, sono necessarie persone spietate, intelligenti e devote. Gli Ebrei erano ancje ottimi organizzatori, tuttavia non sono mai stati la forza guida della rivoluzione.
È vero allora (come dice Putin e come citato da Ron Unz) che gli Ebrei costituivano l'80-85% del governo sovietico nei suoi primi anni? No, non è vero.

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Qui possiamo vedere una fotografia che mostra tutti i 15 ministri del primo governo sovietico, le cui origini etniche sono chiaramente indicate. Fra di loro c'è un solo Ebreo, Lev Trotskij. Nel 1918 venne formato un governo di coalizione fra bolscevichi e sinistra socialrivoluzionaria. La lista di questo governo è perfettamente reperibile online (19). Vi sono solo due Ebrei, entrambi appartenenti al Partito Socialista Rivoluzionario di Sinistra. Se si vuole andare più a fondo, si possono studiare tutti i nomi dei ministri sovietici dall'ottobre 1917 fino alla fine degli anni 20, si scoprirà che, fra i 20 bolscevichi più influenti, c'erano solo 7 Ebrei (20). Perché allora Putin ha detto ciò che ha detto? per sbarazzarsi degli Ebrei che gli chiesero di far trasferire una biblioteca Ebraica, con sede a Mosca, a Brooklyn, New York. Putin voleva dire che gli Ebrei, durante il primo governo sovietico, avevano avuto le loro ragioni per nazionalizzare la biblioteca e che non intendevano invertire la loro decisione e consegnarla agli Ebrei americani. Una risposta intelligente, sbagliata nei fatti, ma molto convincente e lusinghiera per gli Ebrei, degna di Putin. Tutti qui i "rapporti sulla leadership Ebraica dei bolscevichi russi", secondo i termini di Ron Unz (21).
Forse tali notizie non provenivano originariamente da persone affette da "intolleranza e paranoia", ma senza dubbio furono estremamente esagerate al fine di minare la legittimità dei bolscevichi. Ci sono persone che guardano gli Ebrei con sospetto, i politici manipolatori ne sono consapevoli e sosterranno che la persona con cui combattono è Ebrea pur di guadagnarsi simpatie. Basterà una breve ricerca su Internet per "dimostrare" che Stalin e Hitler, Eltsin e Putin, Clinton e Trump sono Ebrei. E questo è applicabile anche alle forze politiche. Dire che un partito è sotto il controllo Ebraico è un modo sicuro per limitare il suo appello in una certa misura. Gli anticomunisti inventarono il termine ZOG (Zionist Ocupation Government) molto prima che questo termine iniziasse ad essere applicato, in maniera più giustificabile, al governo degli Stati Uniti. Furono i menscevichi, gli oppositori dei bolscevichi, ad avere nelle proprie fila il maggior numero di Ebrei, tanto che Stalin, scherzando, una volta disse che sarebbe stato necessario un pogrom per liberarsi dei menscevichi. Nei mesi più decisivi del 1917, tra aprile e novembre, c'erano pochissimi Ebrei a capo del Partito e nessuno aveva accesso agli affari finanziari del Partito
Anche "Il grande appoggio finanziario che ricevettero i bolscevichi da parte delle banche Ebraiche mondiali" è un mito. Ron Unz ha infatti smascherato la vecchia fallacia circa Jacob Shiff, il banchiere Ebreo che si suppone abbia finanziato la causa dei bolscevichi. Unz aveva letto e citato il libro di Kenneth D. Ackerman, pubblicato nel 2016 e intitolato "Trotskij a New York 1917". In effetti, Ackerman cita un rapporto trapelato dai servizi di intelligence militari statunitensi di quel tempo e intitolato " Il Giudaismo e il Bolscevismo" nel quale venivano fatte queste straordinarie affermazioni, tuttavia ha anche smontato questa storia. Il suddetto rapporto è stato scritto da Boris Brasol, l'ex ufficiale russo che aveva partecipato al processo di Mendel Beilis nel 1913, un Ebreo accusato di aver sacrificato un ragazzo di 13 anni a Kiev in un rituale. Negli Stati Uniti, Boris divenne un ardente promotore de "I Protocolli dei Savi di Sion". Un osservatore non così imparziale, diciamo. Il Suo rapporto non si basava su un'indagine di intelligence di alcun tipo. Questo emigrante russo non aveva accesso né ai bolscevichi né al banchiere Schiff, e quando affermò che quest'ultimo aveva pagato Trotskij con diecimila dollari (e non venti milioni come si sostiene) non mostrò mai nemmeno la minima prova. Ackerman nel suo libro continua, afermando: "Quando Lenin e Trotskij presero il potere nel novembre del 1917, Shiff li respinse immediatamente, impedì loro qualunque possibile accesso ai suoi finanziamenti nel futuro e cominciò a finanziare gruppi antibolscevichi, inoltre chiese ai bolscevichi la restituzione di tutto il denaro prestato a Kerenskij".
Shiff non finanziò Trotskij, il futuro Commissario del Popolo per la Guerra (l'equivalente di un ministro della difesa), ma egli fu aiutato comunque dall'Occidente. Non da Shiff, ma dai britannici che cercarono di sabotare i piani bolscevichi per ottenere una pace separata con la Germania. Si credeva che Lenin e il suo gruppo avessero ricevuto l'autorizzazione dell'alto comando tedesco di tornare in Russia nell'aprile del 1917, poiché costituivano una fazione filo-tedesca dei socialdemocratici russi. D'altra parte, si credeva che Trotskij e il suo gruppo avevano l'autorizzazione di canadesi, britannici e americani a proseguire il loro viaggio verso la Russia, perché facevano parte di una fazione filo-anglo-americana. In effetti, Lenin chiese un immediato cessate il fuoco e un trattato di pace separato con la Germania, mentre Trotskij propose la formula "né guerra né pace" e tentò, con un certo successo, di rovinare i negoziati con la Germania. La storia del finanziamento tedesco circolava già con tutto il suo peso, ed è stata discussa sia a favore che contro molto a lungo.
La versione del sostegno finanziario Ebraico ai bolscevichi era molto marginale negli anni successivi alla rivoluzione russa, ai tempi in cui i contemporanei avevano informazioni di prima mano sugli eventi. Ora, una volta che quella generazione è scomparsa, le vecchie false storie sono libere di ritornare a galla. Ron Unz non è solo in questo senso. Nel 2017, anche i media russi anticomunisti giocarono la carta dell'appoggio finanziario Ebraico come forza decisiva dietro la rivoluzione. Non trovarono prove su Schiff e preferirono incarnare questa corrotta influenza Ebraica nella figura di Alexander Parvus (22), noto anche come Israel Gelfand. Parvus è il protagonista principale del libro di Alexander Solzhenitsyn "Lenin a Zurigo". Parvus, un avventuriero e rivoluzionario, in cerca di guadagno personale, cercò, infatti, di entrare in contatto con Lenin che considerava, giustamente, lo stratega più solido del movimento rivoluzionario. Lenin non era tuttavia disposto a collaborare con lui e si rifiutò di incontrare Parvus quando visitò la Russia rivoluzionaria.
L'idea secondo cui "Il denaro Ebraico dirige il mondo" è un'idea molto popolare tra gli Ebrei. Theodor Herzl e, prima di lui, Benjamin Disraeli scrissero del "terribile potere del denaro Ebraico". Oggi, ricchi Ebrei come George Soros e Sheldon Adelson sono orgogliosi della loro influenza nella politica americana. Naturalmente esercitano una certa influenza, ma dubito che qualcuno consideri questa influenza come assolutamente decisiva. I piani di entrambi fallirono: Soros fu espulso da ogni stato dell'Europa orientale (Russia inclusa), Adelson preferì Marco Rubio, ma Trump finì per vincere. In breve, il denaro Ebraico può influenzare gli eventi, può migliorare il destino di politici, scribi, proprietari di media, ma non può definire il nostro futuro. Altrimenti, vivremmo già in una specie di Striscia di Gaza di dimensioni globali. I ricchi Ebrei sono potenti, ma non onnipotenti. La rivoluzione russa fu fatta dal popolo russo, inclusi Ebrei russi, lettoni russi, polacchi russi, ucraini russi, georgiani russi e altri gruppi etnici. È stato un evento immenso che spaventa ancora i ricchi, che cercano di spiegare e convincere tutti, perfino se stessi, che Lenin non tornerà. Ron Unz sta svolgendo un lavoro importante e benefico per il pubblico americano, perché rivela la frode che sta al centro del discorso dominante. Alcune bugie sono così profondamente radicate da scoprirle tutte con un tiro. Gli inganni intorno al Socialismo sono molto più profondi delle storie sull'Olocausto o sull'omicidio di John F. Kennedy. Il che non mi impedisce di aspettare che quest'uomo sincero continui a scavare fino a quando la verità non verrà alla luce.

Note

[1] www.unz.com/runz/american-pravda-holocaust-denial/

[2] www.timesofisrael.com/putin-first-s...-mostly-jewish/

[3] www.fpp.co.uk/bookchapters/WSC/WSCwrote1920.html

[4] https://archive.org/stream/WiltonRobertThe...e/n100/mode/1up

[5] https://es.wikipedia.org/wiki/Memorial_(as...%C3%B3n)

[6] https://nsarchive.gwu.edu/news/russia-prog...insky-1946-2017

[7] https://es.rbth.com/noticias/2016/10/04/on...tranjero_635769

[8] http://old.memo.ru/d/124360.html

[9] https://es.wikipedia.org/wiki/Step%C3%A1n_Bandera

[10] https://topwar.ru/17965-nkvd-protiv-upa-vo...sle-pobedy.html

[11] http://school.rusarchives.ru/bolshoj-terro...-sssr-sn-kruglo

[12] https://en.wikipedia.org/wiki/Viktor_Zemskov

[13] www.northstarcompass.org/nsc0901/gulag.htm

[14] www.theatlantic.com/international/...pt-2018/571264/

[15] www.unz.com/runz/american-pravda-holocaust-denial/

[16] www.unz.com/runz/american-pravda-th...-its-aftermath/

[17] www.washingtontimes.com/news/2003/...6-105043-6895r/

[18] www.algemeiner.com/2018/04/11/the-...ense-of-stalin/

[19] www.unz.com/ishamir/red-zog/#appendix-a

[20] www.unz.com/ishamir/red-zog/#appendix-b

[21] www.unz.com/runz/american-pravda-holocaust-denial/

[22] https://es.wikipedia.org/wiki/Alexander_Parvus

Fonte originale: www.google.com/amp/s/redinternacio...ael-shamir/amp/
view post Posted: 11/1/2024, 21:30 Panspermia, polpi e comete - Scienze Naturali

Panspermia, polpi e comete


Michele Diodati



L’origine della vita sulla Terra è ignota. In ambito scientifico esistono due teorie che provano a spiegare il mistero: l’abiogenesi, preferita dalla gran parte degli scienziati, e la panspermia, difesa da una piccola, ma agguerrita cerchia di studiosi. Questo articolo si propone di spiegare cos’è la panspermia e quali sono le ragioni addotte dai suoi sostenitori.

I protagonisti di questa storia

Nel 1979 la Mondadori pubblicò un libro che lessi avidamente, perché prometteva risposte ai grandi interrogativi esistenziali e cosmologici che, allora come adesso, erano al centro dei miei interessi: “La nuvola della vita”, di Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. Era la traduzione in italiano di un libro pubblicato l’anno prima dalla casa editrice britannica Dent, con il titolo “Life Cloud. The origin of life in the Universe”. L’opera era il manifesto ufficiale della panspermia, la teoria sull’origine cosmica della vita sostenuta dai due autori. Il libro di Hoyle e Wickramasinghe mi è tornato in mente in questi giorni, mentre leggevo l’anteprima di stampa dell’ultimo studio sulla panspermia, in corso di pubblicazione sulla rivista Progress in Biophysics and Molecular Biology. L’articolo, intitolato “Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?”, è un compendio generale sull’ipotesi della panspermia, aggiornato con i risultati scientifici più recenti, tra cui quelli relativi all’analisi del meteorite di Polonnaruwa, caduto nell’isola di Sri Lanka alla fine del 2012. Tra i numerosi autori dell’articolo non c’è ovviamente Fred Hoyle, scomparso nel 2001, ma c’è il suo discepolo e collega Chandra Wickramasinghe, superstite di un sodalizio scientifico durato quarant’anni.
Fred Hoyle, nato in Inghilterra nel 1915, è stato l’autore dei primi due articoli scientifici sulla nucleosintesi di elementi più pesanti dell’elio, cioè il processo che, all’interno delle stelle, a temperature di molti milioni di gradi, conduce alla formazione di elementi come il ferro, a partire da altri più leggeri. L’idea straordinariamente moderna presentata dall’autore, di gusci concentrici in cui avviene la sintesi di elementi via via più pesanti a mano a mano che ci si avvicina al nucleo stellare, è tuttora il paradigma di riferimento per la nucleosintesi nelle esplosioni di supernova. Il nome di Hoyle è legato indissolubilmente alla teoria del Big Bang. Fu Hoyle infatti a coniare l’espressione “Big Bang” (“Grande botto”), nel corso di una trasmissione radiofonica della BBC nel 1949. Ma, ironicamente, usò la locuzione in modo sarcastico, dal momento che era un acceso sostenitore di un modello cosmologico antagonista a quello del Big Bang, cioè la teoria dello Stato stazionario, di cui egli stesso era uno degli autori, basata sull’idea che la materia che riempie l’Universo sia il frutto di una creazione continua. Chandra Wickramasinghe, nato nel 1939 a Colombo, capitale dello Sri Lanka, è un matematico, un astronomo e un astrobiologo. Dopo un periodo di studio a Cambridge sotto la supervisione di Fred Hoyle, è stato a lungo professore di matematica applicata e di astronomia presso lo University College di Cardiff. È autore di decine di libri, molti dei quali dedicati alla divulgazione dell’ipotesi della panspermia, e di oltre 350 articoli scientifici, 75 dei quali pubblicati su Nature. La scienza — è doveroso precisarlo — non si fa con i nomi, per quanto autorevoli, ma con le prove. Tuttavia, poiché né l’abiogenesi, la teoria oggi dominante sull’origine della vita, né la panspermia sono sostenute da prove decisive, è interessante analizzare le idee e le prove indiziarie alla base dell’ipotesi della panspermia, per cercare di capire come mai scienziati di fama come Hoyle e Wickramasinghe abbiano abbracciato con incrollabile convinzione una teoria che la maggior parte dei loro colleghi ha sempre considerato poco più che una curiosità.
Questo articolo è dedicato a delineare il quadro teorico, poco conosciuto, che sostiene l’ipotesi della panspermia, un quadro ricco di spunti bizzarri e di tesi a dir poco controverse, ma che è ispirato nel suo insieme a una visione cosmica sorprendentemente profonda e potente, ricca di fascino e bellezza.

Una probabilità assurdamente piccola

La teoria che gode oggi del maggior consenso, l’abiogenesi, sostiene che la vita sia nata qui sulla Terra a partire da materiali inorganici, alla fine di un lento processo di assemblaggio guidato dal caso, avvenuto molto probabilmente nei camini idrotermali, fessure sommerse di origine vulcanica disseminate sui fondali marini, attraverso le quali sgorga acqua ad alta temperatura, arricchita di zolfo, ferro e altri minerali. La critica radicale di Hoyle e Wickramasinghe (da qui in poi H e W) alla teoria dell’abiogenesi è che la vita è un fenomeno troppo complesso, perché si possa seriamente pensare che si sia sviluppata sulla Terra, per tentativi ed errori, a partire dalla materia inorganica. In “Evolution from Space” del 1981, essi criticarono aspramente la teoria all’epoca più in voga, quella del cosiddetto “brodo primordiale”, che aveva ricevuto formidabile slancio in seguito al celebre esperimento compiuto negli anni ’50 da Stanley Miller e Harold Urey, due scienziati che avevano ricreato in laboratorio quelle che si pensava fossero le condizioni della Terra primordiale. Sottoponendo per una settimana a scariche elettriche una “zuppa” contenente idrogeno, metano, acqua e ammoniaca, Miller e Urey scoprirono che si erano formati spontaneamente numerosi aminoacidi, i componenti base delle proteine e della chimica della vita. Ma gli aminoacidi sono solo precursori della vita, non vita essi stessi. La critica di H e W si appuntò sull’estrema improbabilità che, a partire dagli aminoacidi, potessero essersi formate sulla Terra primordiale, procedendo per tentativi puramente casuali, macromolecole essenziali ai processi vitali quali per esempio gli enzimi.
Gli enzimi sono lunghi filamenti proteici che agiscono come catalizzatori: accelerano o ritardano le reazioni chimiche che consentono il metabolismo delle cellule viventi (chi manca dell’enzima lattasi, per esempio, non è in grado di digerire il lattosio, lo zucchero del latte). H e W calcolarono che le probabilità che possa assemblarsi in maniera casuale, per tentativi ed errori, un enzima perfettamente funzionante, dotato della giusta sequenza di aminoacidi e della forma spaziale corretta, sono non più di 1 su 10²⁰, cioè 1 su 100 miliardi di miliardi. H e W passarono poi a considerare le probabilità in relazione al numero totale di enzimi esistenti: “Di per se stessa, questa piccola probabilità può ancora essere ritenuta accettabile, se si tiene conto che per arrivare all’enzima non ci fu un’unica serie di “lanci”, ma, in base alla teoria, un grandissimo numero di tentativi, verificatisi all’interno di una zuppa organica all’inizio della storia della Terra. Il problema è che ci sono circa duemila enzimi e la probabilità di ottenerli tutti attraverso una serie di tentativi casuali è solo di una parte su (10²⁰)²⁰⁰⁰ = 10⁴⁰⁰⁰⁰, una probabilità assurdamente piccola, che non avrebbe speranza di realizzarsi neppure se l’intero universo fosse fatto di zuppa organica” (Evolution from Space, 1981). Una sola chance contro un totale di combinazioni sfavorevoli rappresentato da 1 seguito da 40.000 zeri: davvero troppo poco, soprattutto se si considera il breve tempo — in termini geologici — che il rimescolamento casuale degli “ingredienti” della vita ebbe a disposizione all’inizio della storia della Terra per passare dalla pura materia inorganica a organismi viventi in grado di riprodursi.
Nell’ipotesi originale dell’abiogenesi, risalente alle formulazioni di Haldane e Oparin, il tempo di incubazione della vita nella “zuppa” calda dei mari primordiali era ancora, tuttavia, di alcune centinaia di milioni di anni: un tempo molto più lungo di quanto non sia ammissibile oggi, in base alle ultime scoperte. Fino a soli tre decenni fa, infatti, le più antiche tracce documentate di forme di vita microbica erano dei cianobatteri fossili risalenti a 3,5 miliardi di anni fa. Poiché la formazione di una crosta terrestre stabile risale a circa 4,3 miliardi di anni fa, restava un intervallo di 800 milioni di anni a disposizione del caso e degli eventi naturali, affinché potesse prodursi nei mari della Terra arcaica la formula giusta in grado di innescare la vita. Ma le scoperte che si sono succedute negli ultimi anni hanno ridotto drammaticamente questa finestra temporale. Uno studio di Matthew S. Dodd e altri autori, pubblicato a marzo 2017 su Nature, descrive la scoperta di possibili microorganismi fossili risalenti a un’epoca compresa tra 3.770 e 4.280 milioni di anni fa, trovati in rocce sedimentarie provenienti da un antico camino idrotermale, in Canada, in una località del Quebec chiamata Nuvvuagittuq. Analogamente, uno studio di Elizabeth A. Bell e altri autori, pubblicato nel 2015, afferma la probabile origine biologica di alcune inclusioni di grafite presenti in uno zircone risalente a 4,1 miliardi di anni fa, trovato a Jack Hills, nell’Australia Occidentale.
Sembra, dunque, che la vita sia cominciata prestissimo sulla Terra, in pieno Adeano, la più antica delle ere geologiche, che si estende tra 4,6 e 4 miliardi di anni fa. Il pianeta stesso si consolidò durante l’Adeano, un’era che vide svolgersi la più infernale e violenta serie di eventi catastrofici che la Terra abbia mai sperimentato: non solo l’impatto gigante con il planetoide Theia, da cui nacque la Luna, ma anche un successivo bombardamento di comete e asteroidi, durato milioni di anni, causato dal probabile spostamento orbitale di Giove e altri pianeti esterni del sistema solare. Di quel bombardamento sono ancora oggi ben visibili le cicatrici: enormi crateri da impatto su Marte e sulla Luna, le cui superfici non sono in grado di rigenerarsi periodicamente come quella della Terra, aiutata dai moti tettonici e dall’erosione delle acque e dell’atmosfera. Chandra Wickramasinghe e gli altri autori dello studio in corso di pubblicazione (il cui primo firmatario è l’immunologo australiano Edward J. Steele) ritengono estremamente improbabile che la vita sia potuta nascere spontaneamente sulla Terra, partendo dalla materia inorganica, nel corso di un’era violenta e altamente instabile come l’Adeano: Noi pensiamo piuttosto che sia più ragionevole proporre l’idea che i particolari reperti di vita microbica trovati nelle rocce canadesi siano stati trasportati da bolidi cometari, solo per essere istantaneamente distrutti e carbonizzati nell’impatto. Le condizioni che con ogni probabilità dominavano nei pressi della superficie crivellata da impatti della Terra tra 4,1 e 4,23 miliardi di anni fa erano troppo estreme, non solo perché la vita potesse evolvere in tutta la sua complessità, ma anche solo perché semplici molecole organiche potessero sopravvivere. Ciò lascia la panspermia come la più plausibile e valida delle opzioni per quanto riguarda l’origine della vita terrestre; i primi microbi molto probabilmente arrivarono sul pianeta attraverso gli impatti di comete e meteoriti” (E. J. Steele et al, "Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?", 22018).
La panspermia, dunque, al contrario dell’abiogenesi, sostiene l’origine extraterrestre della vita: “Dal nostro punto di vista, attentamente ponderato, l’insieme dei dati multifattoriali e delle analisi critiche assemblate da Fred Hoyle, Chandra Wickramasinghe e dai loro numerosi colleghi porta alla conclusione scientifica, minima ma plausibile, che la vita sia stata disseminata qui sulla Terra da comete portatrici di vita non appena le condizioni sulla Terra lo consentirono (circa 4,1 miliardi di anni fa o poco prima); ed è possibile che a partire da allora siano stati trasportati sulla Terra di continuo organismi viventi quali batteri resistenti alle condizioni dello spazio, virus, cellule eucariotiche ed organismi più complessi (ad es. i tardigradi), forse persino uova fecondate e semi di piante, i quali, tutti insieme, hanno contribuito ad accelerare il progresso dell’evoluzione biologica terrestre. Questo processo, sin dal tempo di Lord Kelvin (1871) e Svante Arrhenius (1908), ha il nome scientifico di Panspermia”.

Le comete e il meteorite di Polonnaruwa

L’ipotesi che la vita sia stata portata sulla Terra dallo spazio non sarebbe scientificamente sostenibile, se si basasse unicamente su considerazioni di natura statistica come quelle discusse fin qui (l’estrema improbabilità della formazione casuale degli enzimi, soprattutto in un ambiente sottoposto a condizioni infernali, come quelle esistenti sulla Terra durante l’Adeano). Ben consapevoli di ciò, i fautori della panspermia hanno accumulato un insieme di prove, o meglio di indizi, a sostegno dell’ipotesi dell’origine extraterrestre della vita. A onor del vero, ognuna delle prove da essi addotte è quantomeno opinabile. Tuttavia, prese tutte insieme, formano un quadro coerente, che rende la panspermia — almeno secondo i suoi sostenitori— di gran lunga preferibile all’abiogenesi quale spiegazione dell’origine della vita. Il primo indizio portato a sostegno della teoria riguarda naturalmente le comete, che nell’ipotesi della panspermia hanno un ruolo centrale: se questi corpi primordiali sono stati davvero i vettori della vita, è necessario dimostrare che contengono, o possono contenere, materiale biologico. A tal proposito, uno studio, pubblicato a settembre 1986 su Nature, suggeriva che un evidente picco di assorbimento registrato alla lunghezza d’onda di 3,4 µm negli spettri della cometa di Halley, acquisiti nell’infrarosso a marzo di quell’anno, poteva essere spiegato con la presenza di materiale biologico nella cometa. Hoyle e Wickramasinghe, in un articolo del 1979, avevano già mostrato che le righe di assorbimento negli spettri prodotti da polveri interstellari, in lunghezze d’onda analoghe a quelle osservate per la cometa di Halley, erano perfettamente sovrapponibili a quelle prodotte in laboratorio da batteri ghiacciati e disseccati.
Molto più recentemente, i dati forniti dalla sonda Rosetta e dal lander Philae sulla Cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko sono stati interpretati da Steele e colleghi come chiari indizi a favore dell’esistenza di microorganismi attivi sotto la superficie della cometa. In particolare, la scoperta di ossigeno molecolare e di acqua nei getti emessi in prossimità del perielio dal nucleo della Cometa 67P potrebbero essere interpretati come l’effetto di un’attività microbica; così come potrebbe essere effetto di attività microbica l’emissione di alcool etilico da parte della Cometa Lovejoy: “Microorganismi fotosintetici, operanti vicino alla superficie ai bassi livelli di luce presenti intorno al perielio potrebbero produrre O₂ insieme con composti organici. Inoltre, molte specie di batteri della fermentazione possono produrre etanolo dagli zuccheri, sicché la recente scoperta che la Cometa Lovejoy emette una quantità di alcool etilico pari a 500 bottiglie di vino al secondo può ben essere un’indicazione che un simile processo microbico sta effettivamente operando” (E. J. Steele et al, "Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?", 22018). Per i sostenitori della panspermia, la superficie scurissima delle comete, dall’aspetto simile a catrame, è un altro indizio dei processi biologici che avvengono sotto la loro superficie: l’aspetto catramoso potrebbe essere, infatti, il risultato della degradazione di materiale biologico, che avviene in concomitanza del passaggio al perielio, quando le comete ricevono la massima dose possibile di radiazione solare. Ben prima che si scoprisse che alcuni corpi del sistema solare come Europa, Encelado e Cerere possiedono oceani sotterranei probabilmente riscaldati da fonti di calore interno, Hoyle e Wickramasinghe avevano sostenuto già nel 1985 che qualsiasi corpo ghiacciato delle dimensioni della Luna avrebbe potuto contenere un oceano sotterraneo di acqua liquida, riscaldato dal decadimento radioattivo di una frazione di uranio e di torio in linea con quella tipica del sistema solare. Tali oceani sotterranei potrebbero essere in grado di mantenere per miliardi di anni habitat favorevoli al prosperare della vita microbica.
Anche i nuclei di alcune comete potrebbero aver ospitato depositi di acqua liquida sotto la superficie, riscaldati dal medesimo processo di decadimento radioattivo, almeno per i primi 500 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare. In quelle acque sotterranee extraterrestri potrebbero essersi evoluti — ipotizzano i sostenitori della panspermia — gli organismi chemioautotrofi, cioè quei batteri in grado di ricavare il proprio nutrimento dall’ossidazione di composti inorganici. Ad ulteriore sostegno dell’ipotesi dell’origine extraterrestre della vita, uno studio pubblicato a marzo 2013 sul Journal of Cosmology descrisse le analisi compiute su alcuni frammenti di un meteorite caduto a dicembre 2012 in un campo di riso presso Polonnaruwa, nell’Isola di Sri Lanka. Il gruppo di ricercatori, del quale faceva parte anche Chandra Wickramasinghe, sottopose i frammenti a una serie di test condotti presso laboratori dell’Università di Cardiff e di Gottinga, tra i quali l’analisi degli isotopi dell’ossigeno, la diffrazione dei raggi X e l’osservazione al microscopio elettronico. Dall’insieme delle analisi compiute, gli autori dello studio conclusero che i frammenti analizzati facevano parte certamente di un meteorite di origine cometaria e contenevano inclusioni fossili di natura biologica non contaminate dall’ambiente terrestre. A loro parere, una delle strutture fossili osservate poteva essere un’istricosfera, cioè una specie oggi estinta di microscopica alga marina dotata di flagelli, appartenente ai Dinoflagellati. I flagelli piccoli e sottili del presunto fossile proveniente dallo spazio erano interpretati dai ricercatori come prove indicanti la permanenza in un ambiente a bassa gravità e un rapido processo di congelamento e disseccamento.

Evoluzione guidata dai retrovirus?

Nella visione cosmica della vita propria dei “panspermisti”, i virus, e in particolare i retrovirus, rivestono un’importanza primaria. I virus sono “macchine” biologiche straordinariamente efficaci e, al contempo, incredibilmente piccole: hanno dimensioni nell’ordine delle decine o centinaia di nanometri, spesso minori della lunghezza d’onda della luce visibile. Sono composti da filamenti di acidi nucleici, DNA o RNA, protetti da un guscio proteico detto capside. Sono essenzialmente dei parassiti, in grado di introdursi in ogni tipo di cellula vivente e di riprogrammarla per i propri scopi, cioè per la massima diffusione possibile dell’agente virale, spesso a danno della salute e della stessa sopravvivenza dell’ospite. Organismi di confine tra la vita e il mondo inorganico, i virus racchiudono in uno spazio minuscolo una sorprendente densità d’informazioni e un altrettanto sorprendente potere di controllo sul mondo vivente. Da questo punto di vista, i retrovirus rappresentano una vera eccellenza. Una volta penetrato in una cellula vivente, un retrovirus usa l’enzima DNA polimerasi per generare DNA a partire dal proprio genoma, racchiuso in un filamento di RNA: è l’inverso di quanto accade normalmente nelle cellule, all’interno delle quali è il DNA la fonte da cui origina la produzione di RNA (si chiamano ‘retrovirus’, proprio per via di questo modo inverso di procedere). Una volta prodotto il DNA all’interno della cellula ospite, l’enzima integrasi provvede ad integrare il pezzo di codice genetico prodotto dal retrovirus nel DNA originario dell’ospite. A questo punto il gioco è fatto: ad ogni successiva replicazione di quella cellula, il virus, che da quel momento in poi non è più un retrovirus ma un provirus, sarà replicato direttamente dal DNA della cellula ospite. Se la cellula infettata è un gamete, cioè una cellula sessuale, allora il virus si diffonderà a macchia d’olio nelle generazioni successive, subordinando gli scopi degli organismi infettati ai propri.
Per via della loro piccolezza e densità d’informazione e, soprattutto, per la loro capacità di assumere il controllo sugli organismi viventi, i virus, e in particolare i retrovirus, sono considerati dai fautori della panspermia come gli strumenti ideali per spiegare come l’evoluzione della vita sulla Terra possa essere influenzata da organismi provenienti dallo spazio. L’ipotesi della panspermia non prevede, infatti, che la vita sia stata portata una tantum sulla Terra dalle comete e si sia poi evoluta qui in totale isolamento. Prevede, invece, un continuo apporto di materiali biologici dallo spazio, durato per tutta la storia della vita sul nostro pianeta, con profonde influenze sulla direzione che l’evoluzione ha preso per molte specie viventi. Nello studio in corso di pubblicazione sulla rivista Progress in Biophysics and Molecular Biology, Steele e colleghi rispondono a quella che è la critica più ovvia che viene in mente di fronte a una simile idea, ovvero: “Come può un virus proveniente dallo spazio conoscere in anticipo rispetto alla sua venuta qui la gamma di organismi disponibili, con i quali esso può interagire? […] La risposta corretta a questa domanda [è]: i virus che si originano in un contesto cosmico e l’evoluzione sulla Terra sono inestricabilmente intrecciati” (E. J. Steele et al., Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?, 22018).
Nell’appendice A dello studio l’idea che vi sia una correlazione di origine cosmica tra ogni forma di vita viene chiarita e precisata: “Le prove inerenti la biologia terrestre che abbiamo discusso in questo articolo suggeriscono che l’intero insieme dei pianeti abitabili nella galassia costituisca una singola biosfera interconnessa. Da questo punto di vista, è lecito attendersi che forme di vita esistenti altrove esibiscano schemi convergenti di genotipi e fenotipi, soggetti alla selezione naturale (darwiniana e lamarckiana) all’interno di ciascun habitat planetario”. Anche ammettendo come dato un tale intreccio evolutivo universale tra i virus provenienti dallo spazio e gli organismi viventi da essi infettabili, è però inevitabile chiedersi come facciano i virus trasportati dalle comete a sopravvivere per milioni di anni, esposti a gelo, radiazioni e bombardamenti di particelle cariche. A questa critica, gli autori dello studio replicano che: “Batteri e virus incorporati all’interno di grani di roccia, materiale carbonioso o ghiaccio sono protetti efficacemente dal danno da radiazioni e possono rimanere pienamente vitali per milioni di anni nelle condizioni dello spazio. Microorganismi come i virioni [virus completi di capside], completamente congelati all’interno di corpi cometari, potrebbero rimanere vitali a tempo indeterminato e certamente per tempi cosmologici”. E come la mettiamo con il calore infernale generato dall’ingresso in atmosfera di un corpo cometario o di un suo frammento? Come fanno i virus intrappolati in un bolide a superare lo shock termico e a ritornare vitali una volta giunti al suolo? Per questo — sostengono Steele e colleghi — bastano le dimensioni ridotte e l’enorme numero di esemplari disponibile. “L’estrema piccolezza dei virus implica che essi sono bersagli difficili sia per le radiazioni ionizzanti sia per gli impatti ad alta velocità durante l’ingresso in atmosfera. Ma, se anche la maggior parte degli esemplari finisse distrutta durante il viaggio nello spazio o all’arrivo sulla Terra, ce ne sono talmente tanti nel contesto cosmico da rendere le perdite non decisive: La loro capacità di replicazione significa che sono prodotti, ed esistono, in numero immenso su scale cosmiche; sicché essi (e in minor misura i loro rifornimenti cellulari) possono sopportare enormi perdite da inattivazione, conservando ancora un residuo di milioni di individui sopravvissuti, potenzialmente ancora infettivi”.
In definitiva, i sostenitori della panspermia credono che l’evoluzione della vita sulla Terra, compresa quella della specie umana, sia stata determinata, non solo dalla selezione naturale e dalle mutazioni genetiche in accordo con i principi del neodarwinismo, ma anche, e in misura notevole, da fattori esterni all’ambiente terrestre, che si inquadrano nel lamarckismo (dal nome del biologo francese Jean-Baptiste Lamarck): l’ipotesi, cioè, che le caratteristiche acquisite da un individuo nel corso della propria vita siano trasmissibili geneticamente alla sua progenie. Nel quadro teorico della panspermia, virus provenienti dallo spazio sarebbero i vettori, non solo di drammatiche epidemie come l’influenza spagnola o l’HIV, ma anche di nuove e inaspettate direzioni prese dall’evoluzione dei viventi, per reagire alle infezioni virali.

Polpi extraterrestri

Un possibile caso di evoluzione dirottata verso esiti nuovi e sorprendenti dall’azione di virus provenienti dallo spazio è, secondo lo studio già più volte citato, il polpo. Risalendo nella storia evolutiva della sottoclasse Coleoidea, alla quale il polpo appartiene, fino agli antenati ancestrali, i nautiloidi, fioriti nel tardo Cambriano intorno a 500 milioni di anni fa, si ha quasi l’impressione che il polpo sia un innesto proveniente dal futuro, per la sua sorprendente e improvvisa diversità rispetto alle specie che lo hanno preceduto e con le quali pure mostra affinità: “Il suo grande cervello ed il sofisticato sistema nervoso, gli occhi simili a macchine fotografiche, il corpo flessibile, il mimetismo istantaneo grazie alla capacità di cambiare colore e forma sono solo alcune delle affascinanti caratteristiche che appaiono improvvisamente sulla scena dell’evoluzione. Non è facile ritrovare in alcuna forma di vita preesistente i geni trasformatori che hanno condotto dall’antenato comune nautilus (p.es. Nautilus pompilius) alla comune seppia (Sepia officinalis), al calamaro (Loligo vulgaris) e infine al polpo (Octopus vulgaris). È plausibile allora suggerire che essi sembrano essere stati presi in prestito da un lontano “futuro” in termini di evoluzione terrestre o, più realisticamente, dal cosmo in senso lato. Va da sé che ricorrere a un’origine extraterrestre per spiegare l’emergere di certe caratteristiche rappresenta un’aperta violazione del paradigma oggi dominante” (E. J. Steele et al, "Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?", 22018). I polpi sono senza dubbio animali eccezionali (e non solo per il loro involontario contributo alla buona riuscita di un’insalata di mare): possiedono una spiccata intelligenza, insolite abilità fisiche e sono dotati di un genoma incredibilmente complesso, che conta oltre 33.000 geni codificatori di proteine. Ma quali prove scientifiche è possibile addurre, per sostenere che rappresentano una discontinuità inspiegabile con i normali meccanismi dell’evoluzione darwiniana?
Se non proprio una prova decisiva, esiste un indizio quantomeno interessante. Nelle cellule di molti organismi viventi, compreso l’uomo, la trascrizione del DNA, che avviene attraverso lo RNA messaggero (mRNA), è soggetta in certi casi ad un’ulteriore attività di editing da parte di alcuni enzimi, che modificano lo mRNA trasformando l’adenosina in inosina. Questo meccanismo di editing appare nei calamari e soprattutto nei polpi con una frequenza elevatissima, unica rispetto a qualsiasi animale, uomo compreso, di cui sia stato studiato il trascrittoma. La cosa sorprendente, però, è che tale meccanismo di editing dello mRNA non si è conservato nel cefalopode che discende direttamente dal lontano antenato comune di calamari e polpi, cioè il nautilus. Per Steele e colleghi, questa importante differenza qualitativa nell’espressione genica è la prova che polpi e calamari rappresentano un improvviso salto evolutivo, inspiegabile per mezzo dei convenzionali processi di modificazione genica previsti dal neodarwinismo. Da cosa deriva allora la loro diversità, per i sostenitori della panspermia? Da apporti biologici provenienti dal cosmo, naturalmente. Per esempio, l’evoluzione dal calamaro al polpo è compatibile, secondo gli autori dello studio sopra citato, con una suite di geni inseriti da virus extraterrestri. Ma una spiegazione ancora più convincente, secondo questo gruppo di ricercatori, è che sia giunto sul nostro pianeta in un lontano passato un intero gruppo di geni extraterrestri già perfettamente assemblato e vitale: nulla di meglio, in questo caso, che ipotizzare l’arrivo in massa sulla Terra, intorno a 275 milioni di anni fa, di embrioni di polpo, crioconservati in una o più comete o nella loro scia di detriti, sopravvissuti fortunosamente grazie a un atterraggio morbido e finiti nel loro habitat naturale: l’acqua del mare.
L’idea che embrioni di polpo possano essere giunti sulla Terra sani e salvi, a bordo di una cometa che li ha conservati sotto ghiaccio, integri per chissà quanti milioni di anni, suona a dir poco fantascientifica. Ma idee simili sono al cuore dell’ipotesi della panspermia. Per i sostenitori di tale teoria, lo spazio cosmico è un unico, immenso habitat, nel quale organismi minuscoli ma estremamente resistenti come virus e batteri possono non solo sopravvivere, ma prosperare moltiplicandosi senza fine, anche nelle condizioni estreme di temperatura e irradiazione dei banchi di polveri interstellari, dispersi nello spazio aperto intorno a stelle e sistemi planetari.

Batteri interstellari ed estinzioni di massa

A proposito dell’incredibile potere di replicazione dei batteri, nel libro “Astronomical origins of life” del 1999, Hoyle e Wickramasinghe scrivevano: “Date appropriate condizioni per la replicazione, un tipico tempo di raddoppiamento per dei batteri varia tra le due e le tre ore. Potendo disporre di una fornitura continua di nutrienti, un singolo batterio iniziale potrebbe generare una progenie di 2⁴⁰ batteri in 4 giorni, producendo una coltura delle dimensioni di una zolletta di zucchero. Continuando per altri 4 giorni, la coltura, che ora conterrebbe 2⁸⁰ batteri, avrebbe le dimensioni di uno stagno. Altri 4 giorni e i risultanti 2¹²⁰ batteri avrebbero la scala dell’Oceano Pacifico. Ancora 4 giorni e i 2¹⁶⁰ batteri avrebbero una massa paragonabile a quella di una nube molecolare come la Nebulosa di Orione. E con soli altri 4 giorni, per un totale di 20 giorni dall’inizio, la massa batterica sarebbe pari a quella di un milione di galassie. Nessun processo abiotico possiede un potere replicativo sia pure lontanamente paragonabile a quello della matrice biologica”. Hoyle e Wickramasinghe erano convinti che le nubi di polveri interstellari brulicassero letteralmente di vita microbica, la cui firma, secondo loro inconfondibile, era nitidamente distinguibile negli spettri di molti oggetti astronomici, sui quali Chandra Wickramasinghe in particolare aveva condotto numerose ricerche. Per esempio, lo spettro di una sorgente visibile nell’infrarosso, chiamata GC-IRS7, situata presso il centro galattico, risultava perfettamente sovrapponibile, punto a punto, con le righe di assorbimento osservate in laboratorio, prodotte da esemplari disseccati del batterio Escherichia coli. Secondo i dati forniti dai due autori in “Astronomical origins of life”, la massa totale di materiale biologico di origine batterica, ghiacciato e disseccato, che si trova disperso nelle nubi di polveri interstellari della Via Lattea ammonta al valore formidabile di 10³⁶ kg: qualcosa come 500.000 volte la massa del Sole.
Se è così, allora la vita è disseminata nello spazio in quantità industriale: bisogna solo saperla riconoscere. E le prove accumulate negli ultimi anni, che indicano in modo univoco che esiste nella nostra galassia un numero stratosferico di pianeti potenzialmente abitabili, hanno segnato per i “panspermisti” un ulteriore punto a favore della loro teoria. Se, infatti, i pianeti abitabili sono tanti e la vita può viaggiare dall’uno all’altro trasportata dalle comete o anche solo da piccoli frammenti meteorici, allora non c’è bisogno che nasca in modo indipendente, per abiogenesi, su ciascun pianeta abitabile, cosa ritenuta — come abbiamo visto — assurdamente improbabile. Nell’ottica della panspermia, i pianeti non sono più da considerarsi come isole sperdute nello spazio, separati gli uni dagli altri da un abisso di vuoto invalicabile, ma piuttosto come stazioni di transito di una sterminata rete di comunicazioni cosmiche, resa possibile dall’esistenza di un numero astronomico di vettori di materiale biologico in perenne movimento: le comete. Parlando appunto di comete, nel già citato “Astronomical origins of life” Hoyle e Wickramasinghe scrivevano: “Una singola cometa è un oggetto piuttosto insignificante. Ma il nostro sistema solare ne possiede talmente tante, un numero forse superiore a cento miliardi, che la loro massa totale eguaglia le masse combinate dei pianeti esterni Urano e Nettuno: circa 10²⁹ grammi. Se tutte le stelle nane della nostra galassia sono similmente dotate di comete, allora la massa totale di tutte le comete nella nostra galassia, con le sue 10¹¹ stelle nane, diventa qualcosa come 10⁴⁰ grammi”.
Le stelle con i loro sistemi planetari orbitano intorno al centro galattico, spostandosi di continuo all’interno della galassia. Su scale cosmologiche, capita più volte che due stelle, muovendosi l’una indipendentemente dall’altra lungo le rispettive orbite galattiche, si passino accanto a distanze relativamente brevi. Ciò produce interazioni gravitazionali che perturbano i rispettivi sistemi di comete. Nasce quindi la possibilità che gruppi di comete legati a una delle due stelle che si “sfiorano” siano catturati dalla gravità dell’altra, e viceversa, con relativo scambio di (ipotetico) materiale biologico da un sistema stellare all’altro. In tal modo opera la panspermia, disseminando attraverso la galassia la vita che fiorisce nelle nubi di polveri interstellari, che riposa per milioni di anni sotto la superficie delle comete e che, infine, si deposita, con impatti violenti o attraverso una lieve pioggia di “detriti” biologici, sulla superficie di pianeti come la Terra. All’interno di questa cornice teorica, le estinzioni di massa causate dall’impatto devastante di oggetti di grandi dimensioni, come quello che causò la fine dei dinosauri circa 66 milioni di anni fa, sono come la sutura tra due capitoli successivi nel libro dell’evoluzione, una sutura cucita con il contributo di materiale biologico proveniente dallo spazio: una cometa che colpisce la Terra distruggendo i precedenti habitat, porta con sé anche la nuova vita che permette il successivo ripopolamento del pianeta, indicando nuove strade all’evoluzione. La grande e improvvisa esplosione di diversità biologica che si verificò nel Cambriano è spiegata dai sostenitori della panspermia esattamente in questo modo: “È ben noto che uno o più eventi di estinzione di massa si verificarono alla fine dell’Ediacarano, intorno a 542 milioni di anni fa, all’immediata vigilia dell’esplosione del Cambriano. La dimensione dell’estinzione di massa suggerisce il passaggio del nostro sistema solare attraverso una nube molecolare gigante, che perturbò le orbite di una moltitudine di comete di lungo periodo nella Nube di Oort, dirigendole verso il sistema solare interno e causando impatti con la Terra. Non ci vuole molta immaginazione per considerare l’evento o gli eventi di estinzione di massa del pre-Cambriano collegati all’impatto di una o più supercomete portatrici di vita, con la conseguente disseminazione sulla Terra di nuovi organismi cellulari e geni virali di origine cosmica. È anche possibile che si sia formata una complessa scia di detriti cometari, che causò molteplici impatti nel corso di un arco di tempo stimato in 25 milioni di anni, all’inizio dell’esplosione del Cambriano” (E. J. Steele et al., Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?”, 22018).

L'originale della vita e il Big Bang biologico

Alla base della teoria della panspermia c’è il rifiuto dell’abiogenesi. Come abbiamo visto nella seconda parte di questo articolo, Hoyle e Wickramasinghe calcolarono, secondo loro per difetto, in 1 su 10⁴⁰⁰⁰⁰ le probabilità che gli enzimi indispensabili alla chimica degli organismi viventi siano emersi nella loro totalità, completi e funzionali, al termine di un processo di accumulo puramente casuale di tentativi ed errori, avvenuto nelle condizioni della Terra primordiale. E gli enzimi sono solo uno degli “ingranaggi” necessari al funzionamento della “macchina” della vita. Se i loro calcoli sono corretti, allora potrebbe essere effettivamente insensato credere che la vita sia potuta emergere qui sulla Terra, nei camini idrotermali o altrove, solo grazie al tempo e alla presenza degli ingredienti giusti, assemblati e rimescolati di volta in volta in sequenze casuali. Senza un meccanismo forzato in grado di rendere inevitabile la rapida emersione della vita, il tempo trascorso tra la consolidazione della crosta terrestre e le prime testimonianze fossili di organismi viventi è davvero troppo poco, perché dall’astronomico numero di combinazioni possibili in cui una ventina di aminoacidi possono saldarsi tra loro in catene di polipeptidi siano venute fuori, perfettamente ordinate e funzionali, tutte le lunghissime catene di aminoacidi che formano le proteine e gli enzimi, essenziali per la struttura e il metabolismo degli organismi viventi. Ma rifiutare l’origine terrestre della vita espone la panspermia a quella che è stata, fin dall’inizio, la critica più forte e radicale contro questa teoria: l’aver semplicemente spostato — senza risolverlo in alcun modo — il problema dell’origine della vita dalla Terra a un luogo e un tempo imprecisati della storia dell’universo. Il biochimico Nick Lane, autore di un fortunato libro divulgativo sull’origine e l’evoluzione della vita sulla Terra, liquida la panspermia in una nota di poche righe, bollandola come irrilevante: Neppure il trasporto [dallo spazio] di cellule complete, sostenuto da Fred Hoyle, Francis Crick e altri, rappresenta una soluzione: sposta semplicemente il problema altrove. Potremmo non essere mai in grado di dire esattamente come la vita abbia avuto origine sulla Terra, ma possiamo esplorare i principi che devono governare l’emergere di cellule viventi qui o in qualunque altro luogo. La panspermia evita totalmente di affrontare quei principi, per cui è irrilevante [Nick Lane, “The Vital Question: Why Is Life the Way It Is?” (2015)].
Alla critica radicale di Nick Lane, i sostenitori della panspermia replicano che fissarsi con il considerare la Terra come l’unica sede possibile per l’origine della vita sul nostro pianeta significa rimanere ciechi di fronte all’evidenza di un cosmo biologicamente interconnesso: Non si tiene in nessun conto il fatto ormai riconosciuto che solo nella nostra galassia esistono centinaia di miliardi di pianeti abitabili, con separazioni medie dell’ordine di qualche anno luce. Scambi di materiale biologico tra pianeti adiacenti, e perciò una singola biosfera interconnessa, appaiono inevitabili. A nostro parere, in base alle prove attualmente disponibili, la cosa di gran lunga più probabile è che la vita sia emersa al di fuori della Terra alle origini stesse dell’Universo [E.J. Steele et al., “Cause of Cambrian Explosion — Terrestrial or Cosmic?” (2018)]. Ma quale soluzione dà la panspermia per l’origine cosmica della vita, oltre che rimandarla indietro nel tempo? Il problema centrale, come abbiamo visto, ha a che fare con la probabilità. La vita è un fenomeno così complesso e altamente organizzato, che, di fronte alla sua evidente esistenza qui sulla Terra, esistono solo due possibili alternative:

1) o considerarla un miracolo, la creazione ex novo di un Dio, idea che attiene però alla religione e non alla scienza;

2) considerarla il prodotto inevitabile di una serie sufficientemente lunga di tentativi casuali, operati in un ambiente acquatico sugli ingredienti base della vita: il carbonio innanzitutto, e poi, nell’ordine idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, zolfo, magnesio e altri ancora.

Per i fautori della panspermia, però, la probabilità che questi ingredienti si assemblino nel modo giusto per pura combinazione è così assurdamente piccola da richiedere condizioni eccezionali, che non sono mai esistite nell’universo, se si accetta il modello cosmologico standard, cioè il cosiddetto modello Lambda-CDM. In “The search for our cosmic ancestry” del 2014, ennesimo libro sulla panspermia scritto da Chandra Wickramasinghe, l’autore si domanda (pag. 25): È possibile che la vita si diffonda da un singolo luogo d’origine in una galassia fino a infettare l’intero Universo? Se prendiamo come riferimento l’universo locale, di cui fa parte la Via Lattea, la risposta alla domanda è no. Le distanze intergalattiche sono infatti troppo grandi e lo spazio si espande troppo rapidamente, perché la vita — trasportata dalle comete secondo l’ipotesi della panspermia — possa raggiungere ogni luogo dell’universo, partendo da una singola galassia. Il problema dell’orizzonte, cioè l’impossibilità fisica di comunicare con galassie che si trovano a distanze maggiori di quelle raggiungibili anche viaggiando alla velocità della luce, lo impedisce già in linea di principio. Ma anche considerando solo l’universo locale, la distanza massima percorribile da corpi portatori di vita (lanciati fuori dalla propria galassia d’origine grazie a fortunate interazioni gravitazionali), calcolata da Wickramasinghe in circa 10 megaparsec nell’arco di 10 miliardi di anni, è troppo bassa per produrre una vera panspermia. Purtroppo le cose non migliorano neppure se si suppone che la vita sia emersa molto presto nella storia dell’universo, in un’epoca in cui le distanze intergalattiche erano molto minori di oggi e il problema dell’orizzonte meno drammatico: Nelle cosmologie standard del Big Bang questo problema non risulterà alleviato neppure se si torna a un’epoca precedente dell’Universo. In tutti questi modelli cosmologici, la prima vita e la sua dispersione panspermica possono iniziare solo dopo che la formazione stellare è cominciata e le supernovae hanno prodotto e disperso gli elementi pesanti necessari per la vita. Secondo gli studi più recenti, ciò è accaduto probabilmente circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’Universo aveva circa il 5% delle sue dimensioni attuali e le distanze intergalattiche erano ridotte, di conseguenza, dello stesso fattore. I tempi di trasporto, i limiti di sopravvivenza e il vincolo dell’orizzonte, anche se minori, avrebbero ancora impedito una panspermia su scala cosmologica generale a partire da un’unica origine [C. Wickramasinghe, “The search for our cosmic ancestry”, 2014, pag. 26].
Serve allora una nuova cosmologia, perché possa aversi una vera panspermia universale: una cosmologia che consenta l’emersione della vita prestissimo, quando l’universo è ancora così piccolo, dopo il Big Bang, che le distanze intergalattiche non costituiscono più un problema insormontabile. Un modello totalmente alternativo alla cosmologia mainstream, ma perfetto per le esigenze della panspermia, in effetti esiste: è il modello HGD (Hydro-Gravitational-Dynamics Cosmology), sviluppato da Carl H. Gibson dell’Università della California a San Diego, un esperto di dinamica dei fluidi, e da Rudolph E. Schild, un astrofisico dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Nella cosmologia HGD, effetti di viscosità verificatisi subito dopo il Big Bang producono in soli 300.000 anni la formazione di proto-ammassi di gas che si suddividono e condensano in pianeti di massa terrestre: una quantità enorme di pianeti, più o meno 1.000 miliardi per ciascun proto-ammasso. Pianeti vicini si fondono dando origine alle prime stelle, che, accendendosi, rallentano o bloccano il processo di fusione grazie alla pressione di radiazione. Le stelle più massicce esplodono ben presto come supernovae, fecondando i vicinissimi pianeti con gli elementi necessari per la vita, sintetizzati nei loro nuclei e durante le esplosioni di supernova. Due soli milioni di anni dopo il Big Bang, i nuclei ferrosi e rocciosi dei pianeti ancora in via di condensazione si ricoprono di acqua liquida quando raggiungono la temperatura critica di 647 K (374 °C), grazie alla spaventosa pressione che grava sui loro oceani primordiali, coperti da estese atmosfere di idrogeno e di elio: La chimica organica comincia in questi pianeti comunicanti e nei loro oceani saturi di idrogeno e chimicamente fecondati. Il big bang biologico procede nei 10⁸⁰ o più oceani di acqua calda, schiacciati sotto atmosfere di idrogeno, finché gli oceani congelano a 32 F [0 °C] a 8 milioni di anni [dal Big Bang]: una zuppa primordiale di massa cosmologica. La panspermia cometaria intergalattica è potenziata dall’incremento di 10⁸ nella densità spaziale media delle galassie [C.H. Gibson & R.E. Schild, Journal of Cosmology, 2011]. Riassumendo: nella cosmologia HGD, non bisogna aspettare 500 milioni di anni perché si creino le condizioni per la vita. Tali condizioni si creano pressoché immediatamente, a 2 milioni di anni dal Big Bang, su uno sterminato numero di pianeti (10⁸⁰, cioè 1 seguito da 80 zeri), dotati di oceani di acqua liquida ricchi di nutrienti, nei quali le reazioni chimiche avvengono ad enorme velocità per le particolari condizioni di alta temperatura e pressione elevatissima. In queste condizioni ideali per l’emergere della vita, l’estrema vicinanza dei pianeti, separati gli uni dagli altri da poche unità astronomiche, favorisce gli scambi di materiale biologico attraverso le comete, creando una gigantesca zuppa primordiale interconnessa secondo i principi della panspermia: Queste condizioni ottimali si manterranno per 10 milioni di anni e non potranno mai più essere riprodotte, neppure lontanamente, in qualsiasi epoca cosmologica successiva [C. Wickramasinghe, “The search for our cosmic ancestry”, 2014, pag. 27].

Un Universo infinito e increato

dunque questa la risposta definitiva dei sostenitori della panspermia al problema dell’origine della vita? Un big bang biologico reso plausibile dal modello cosmologico HGD? Non necessariamente. Anche le strutture più piccole che regolano la chimica dei viventi sono così complesse da rendere estremamente improbabile, secondo Wickramasinghe, che si siano formate per abiogenesi. Egli calcola, per esempio, che le probabilità che i ribozimi (filamenti di RNA in grado di catalizzare reazioni chimiche come gli enzimi), si siano formati per tentativi ed errori da un sostrato di materia non vivente siano, anche a valutarle per difetto, non più di 1 su 10¹⁸⁰. Ciò significa che occorrerebbe una sequenza di almeno 10¹⁰⁰ Big Bang di un universo regolato dalla pur favorevolissima cosmologia HGD, per consentire a una probabilità così minuscola di realizzarsi. In definitiva, la nascita della vita dalla materia non vivente è così assurdamente improbabile — ritiene Wickramasinghe — che restano solo due ipotesi percorribili, per giustificare come quella infinitesima probabilità si sia realizzata almeno una volta (cosa che deve essere accaduta, visto che siamo qui a parlarne):

1) il sostrato della realtà è un multiverso e, per puro caso, ci è capitato di nascere in uno di quegli universi, forse l’unico in assoluto, in cui l’evento improbabilissimo dell’emersione della vita dalla materia non vivente si è verificato;

2) viviamo in un universo aperto, eterno e infinito, secondo il modello cosmologico detto dello stato quasi-stazionario.

Delle due possibilità, quella preferita a livello filosofico da Wickramasinghe è la seconda, e non per caso. Il modello cosmologico dello stato quasi stazionario fu proposto infatti dal suo collega di una vita Fred Hoyle e da Halton Arp nel 1990, e fu poi approfondito in uno studio del 1993, frutto di una collaborazione tra Hoyle, Geoff Burbidge e Jayant V. Narlikar. Il modello dello stato quasi stazionario è una sorta di upgrade del principio cosmologico prediletto da Hoyle e Wickramasinghe: lo stato stazionario, cioè un universo eterno, non creato, infinito, nel quale la legge di espansione scoperta da Hubble era spiegata con la creazione continua di nuova materia, così da mantenere stabile la densità media dell’universo. Quel modello divenne insostenibile dopo la scoperta della radiazione cosmica di fondo e dopo che osservazioni telescopiche profonde avevano dimostrato che l’universo evolveva nel tempo e che le galassie primordiali erano differenti dalle galassie dell’universo locale. Lo stato quasi-stazionario risolve i problemi del modello precedente, trasformando il concetto di Big Bang. Non si tratta più di un evento unico, in cui la totalità dell’universo viene all’esistenza una volta per tutte, ma di un evento ricorrente, che rifornisce periodicamente l’universo di nuova materia: Il modello è basato sull’idea che la creazione ha luogo in piccoli big bang, ciascuno dei quali coinvolge circa 10¹⁶ masse solari distribuite su tutto lo spazio e il tempo, in un universo che di per se stesso non ha un inizio [F. Hoyle et al., Astrophysical Journal, 410, 2, 1993]. Ecco la chiave di volta che risolve tutti i problemi della panspermia! In un universo eterno, che non ha un inizio, ma che esiste da sempre e per sempre, c’è già stato tempo a sufficienza perché anche l’assurdamente improbabile si verificasse: in una pozza di acqua calda ricca di tutti i nutrienti necessari, su qualche sconosciuto pianeta perso nella notte dei tempi, tutti gli “ingranaggi” della “macchina” della vita si disposero finalmente nell’ordine giusto, dando inizio a un processo che da allora non si è più fermato e che, di pianeta in pianeta, di cometa in cometa, ha colonizzato ogni angolo del cosmo. O forse il “miracolo” si è ripetuto più volte e forse più volte il ciclo della vita si è interrotto e poi è ripartito: chi lo sa? Tutto, del resto, è possibile, se il tempo a disposizione è infinito…
È a questo punto che l’idea della panspermia comincia a mostrare la sua natura più profonda. Oltre il principio cosmologico e tutta la scienza elaborata a supporto del modello, ci sono un’idea filosofica e quasi un sentimento religioso: Da qualche parte, nell’infinita quantità di materia che esiste in una cosmologia aperta, persino ciò che è super-astronomicamente improbabile accadrà, e si diffonderà fino a diventare una parte integrante e sempre presente del cosmo. Ai fini pratici, ciò vuol dire che non c’è mai stato un tempo in cui non ci sia stata vita. Intuitivamente, possiamo pensare che ciò non sia vero, ma, se lo facciamo, si tratta di una supposizione istintiva di natura culturale. Un buddista, per esempio, potrebbe pensare istintivamente che la vita sia sempre esistita dall’eternità [C. Wickramasinghe, “The search for our cosmic ancestry”, 2014, pag. 28]. Ciò che Chandra Wickramasinghe intendeva dire nel brano citato è che, in un universo eterno, il tempo cosmologico che separa la prima apparizione della vita dal nostro presente è con ogni probabilità così inconcepibilmente lungo da perdere significato: il che equivale a dire che la vita esiste da sempre, anche se, a livello intellettuale, pensando come scienziati, dobbiamo postulare che ci sia stata un’epoca in cui invece non esisteva. Nell’ottica della panspermia, per ciò che a noi umani è dato sapere, la vita, non solo esiste da sempre, ma si è sempre riprodotta solo a partire da una vita precedente, mai dalla pura materia non vivente.

Fonte: https://spazio-tempo-luce-energia.it/il-mi...ca-81e153a47bfd

Edited by Zdanovista - 24/2/2024, 18:33
view post Posted: 11/1/2024, 00:27 Esaminiamo la possibilità dell'esistenza di vita su altri pianeti - Scienze Naturali
Premetto che nel trattare questo argomento non sono affatto imparziale, poiché fin da quando ero bambino sono sempre stato fermamente convinto che il Cosmo sia un'oasi traboccante di ogni genere di forma di vita, e non ho mai messo in dubbio neanche per un secondo questa mia ferrea convinzione.
Dal mio punto di vista, se venissero scoperte delle forme di vita su altri pianeti, che si tratti di civiltà avanzate o di semplici batteri, si tratterebbe di una scoperta epocale dalla quale il Socialismo Scientifico potrebbe solo uscirne rafforzato. Una simile scoperta infatti costituirebbe un colpo mortale per le concezioni idealistiche e religiose che vedono l’Uomo come unico abitante dell’Universo e come essere spirituale uscito direttamente dalla mano di un Creatore supremo ed onnipotente, laddove al contrario l’ateismo scientifico comunista non si porrebbe assolutamente in contraddizione con una simile scoperta. Anzi, oserei dire che la nostra cosmovisione atea, materialista e dialettica implichi quasi implicitamente l’esistenza di altre forme di vita nell’Universo. Il materialismo dialettico, infatti, concepisce l’Universo come infinito nel tempo e nello spazio, giacché dialetticamente parlando non è possibile arrivare ad altra conclusione. Essendo dunque l’Universo infinito nel tempo e nello spazio, è matematicamente certo (date le probabilità infinite) che esistano altre forme di vita nel Cosmo. Dunque, direi che noi comunisti saremmo coloro che più di tutti non potrebbero che gioire di una simile scoperta, poiché essa costituirebbe un’altra prova schiacciante della giustezza e della validità delle nostre posizioni. Dal punto di vista strettamente ideologico, credo quindi che una simile scoperta non costringerebbe ad apportare alcunché alla nostra visione del mondo, tuttavia essa potrebbe produrre un rafforzamento delle nostre posizioni, se non altro in ambito ideologico e filosofico.
Pur trattandosi di pure speculazioni, credo che sarebbe affascinante anche immaginarsi come potrebbero essere strutturate delle eventuali civiltà extraterrestri, e se esse possano basarsi su sistemi sociali simili al Socialismo e al Comunismo. Ebbene, Io credo che dipenda dalle singole condizioni materiali nelle quali ogni civiltà si trova ad operare. Indubbiamente una civiltà molto avanzata capace di compiere viaggi interplanetari ed interstellari deve aver trovato un equilibrio, deve esser riuscita a stabilire un singolo sistema sociale che si confaccia alle proprie necessità e che consenta alla popolazione della suddetta civiltà di vivere in modo stabile, tranquillo e prospero. Viceversa sarebbe totalmente impossibile che questa civiltà riesca a compiere avanzamenti degni di nota e ad esplorare lo Spazio nella maniera più conseguente. Dunque, per ciò che concerne nello specifico le civiltà più tecnologicamente evolute, credo che in linea generale si possa affermare con un certo grado di sicurezza che il loro sistema sociale sia scevro da conflitti interni (quindi dalla lotta di classe e/o dal suo eventuale corrispettivo extraterrestre). Per quel che invece concerne le civiltà più primitive, in molti casi i loro sistemi sociali possono essere certamente caratterizzati dalla lotta di classe o da qualcosa di simile ad essa, ma in alcuni altri casi possono essere anche caratterizzati, come nel caso delle civiltà evolute, da un forte equilibrio e da una grande stabilità. Per chiarire meglio questo concetto credo sia necessario avvalermi di un esempio storico ipotetico, molto vicino a noi: se, ad esempio, il blocco socialista avesse vinto la Guerra Fredda e nel 1989 fosse stato il Capitalismo a crollare anziché il Socialismo, quest’ultimo sarebbe stato instaurato a livello mondiale ed avremmo quindi raggiunto una forte stabilità a livello politico ed economico. Ciononostante saremmo rimasti comunque una civiltà tecnologicamente primitiva (incapace quindi di compiere viaggi interstellari o di attingere totalmente alle risorse energetiche del nostro pianeta e/o del Sole), almeno per un certo periodo. Dunque, la maggior parte delle volte le civiltà primitive sono indubbiamente organizzate in sistemi sociali che hanno alla loro base perpetui conflitti interni, ma in alcuni casi possono anch’esse (come le civiltà evolute) basarsi su sistemi sociali stabili e relativamente privi di antagonismi.
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