Comunismo - Scintilla Rossa

Su un presunto errore del compagno Stalin

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view post Posted on 28/1/2024, 19:37
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Eroe di Leningrado

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Il presente articolo è stato scritto e redatto dagli esponenti di Piattaforma Comunista, nota organizzazione marxista-leninista di tendenza hoxhaista. Non devono perciò stupire i ripetuti e reiterati attacchi nei confronti del Presidente Mao e dell’esperienza dell’edificazione del Socialismo in Cina. Ma nonostante gli attacchi nei confronti del Presidente Mao e le solite vecchie accuse di bucharinismo rivolte contro il PCC, il presente articolo muove anche delle critiche giuste. In particolare, risultano essere corrette due critiche fondamentali rivolte a Mao e ai maoisti: 1) l'ingiusta ed erronea attribuzione da parte dei comunisti cinesi di determinati errori a Stalin, i quali però non furono mai commessi da quest'ultimo; 2) l’erronea concezione (fatta propria specialmente dai maoisti moderni) secondo cui sarebbe il Presidente Mao il formulatore della teoria della continuazione della lotta di classe nel Socialismo. Ritengo dunque che, a discapito degli attacchi degli autori contro il maoismo, sia importante postare questo articolo in questa sezione, poiché ricco di dati e informazioni e portatore di una critica che, sebbene esposta in modo sbagliato, sia sostanzialmente giusta.

Su un presunto errore del compagno Stalin


Fra i tanti miti consolidati che costituiscono il corpus delle accuse da "sinistra" al compagno Stalin, particolare rilevanza ha assunto in questi decenni la tesi a lui attribuita circa la sopraggiunta scomparsa delle classi sociali in URSS e quindi la relativa estinzione della lotta di classe (perlomeno sul fronte interno). La nascita ufficiale di questa tesi attribuita a Stalin viene fatta risalire ai lavori preparatori della nuova Costituzione sovietica del 1936; la legge fondamentale finirebbe appunto per sancire giuridicamente la teoria della fine della lotta di classe. Tale presunta "tesi" staliniana viene di fatto posta ad origine delle cause che favorirono il terreno propizio alla restaurazione del capitalismo da parte dei kruscioviani. La base di questi cosiddetti errori attribuiti direttamente a Stalin (ed alla dirigenza sovietica) viene ravvisata dai nostri "critici-critici" in una certa deviazione di tipo economicista, attribuita generalmente alla "vertigine da successi" conseguiti. Questa deviazione avrebbe portato, a parere di costoro, alla sottovalutazione da parte della dirigenza sovietica della forza di resistenza degli strati sociali e degli elementi, sorti prima e dopo la Rivoluzione d'Ottobre, che volevano la restaurazione del capitalismo in URSS e dunque della necessità della vigilanza rivoluzionaria. Una variante di questa critica concepisce invece l'attenzione del gruppo dirigente bolscevico come esclusivamente concentrata nella sfera internazionale della lotta di classe. Sempre secondo i detrattori di Stalin, egli soltanto negli ultimi anni della sua vita, e in particolar modo nelle parti più "autocritiche" dei "Problemi Economici del Socialismo" (1952), si sarebbe ravveduto (ovviamente sotto… l'influenza di Mao!), abbandonando le sue erronee convinzioni, ed avrebbe fatto propria la necessità della battaglia contro gli elementi borghesi. Anche se, sempre secondo queste critiche, egli avrebbe commesso un ulteriore errore non coinvolgendo adeguatamente le masse operaie in questa lotta. Questa ben nota critica, che tra l'altro (e non certo a caso) finisce per riecheggiare in modo sostanzialmente diretto le infamanti accuse trotskiste (v. per es. testi di Trotskij quali: "La nuova Costituzione dell'URSS", 1936, e "La rivoluzione tradita", 1936) ha a tutt'oggi una certa diffusione e viene usata dai denigratori del bolscevismo per creare confusione, incertezze e dubbi in alcuni giovani compagni. Essa è stata lanciata ed è attualmente sostenuta, nelle sue molteplici varianti, in particolar modo dagli estremisti e dalle forze che in qualche modo si richiamano al maoismo. Il corpus di queste tesi, variamente modulato, può essere individuato oltre che sui testi trotskisti già citati, anche sulla base di alcuni scritti di Mao, o comunque ad esso ufficialmente attribuiti o in ultima analisi a vario titolo riconducibili (si vedano in particolare: il testo di Mao "Sulla contraddizione", 1937, ed alcuni altri saggi ufficiali (anche se probabilmente non tutti scritti direttamente da Mao) racchiusi in: "Sulla questione di Stalin, (Edizioni Oriente 1971) e Mao Tse-Tung: "Su Stalin e sull'URSS (Scritti sulla costruzione del socialismo 1958-1961)" (Nuovo politecnico - Einaudi 1975).
Evidenti sono le motivazioni e le conseguenze di questa accusa che col tempo si è configurata come una vera e propria campagna politico-ideologica contro il compagno Stalin. Attraverso queste tesi: a) si cerca di svilire il leninismo e non si riconosce a Stalin il ruolo di difensore e sviluppatore della teoria marxista-leninista e di vertice più alto mai raggiunto dal movimento proletario internazionale; b) si giunge a demolire, sempre sulla strada prefigurata dai trotskisti, alcuni capisaldi delle tesi leniniste sulla costruzione del socialismo e si sviluppano le tesi revisioniste, fino ad arrivare in ultima analisi - lo si voglia o meno - a non riconoscere le conquiste storiche dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, della creazione dei rapporti socialisti di produzione, della liquidazione delle classi sfruttatrici (ridotte a residui), e perfino a negare la costruzione del socialismo in URSS; c) non si comprendono le vere cause della temporanea sconfitta del socialismo come sistema sociale e della restaurazione capitalista nel campo socialista: comprensione che riteniamo essenziale per la stessa opera di ricostruzione e rafforzamento dei partiti comunisti; d) si avvalora un ipotetico "terzo e superiore stadio" di sviluppo della scienza marxista-leninista, sostituendo Stalin con Mao, accreditando quest'ultimo come il creatore della teoria della continuazione della lotta di classe nel socialismo. Risulta dunque ben evidente la pericolosità di tale tesi all'interno del dibattito politico ed ideologico nel movimento comunista. Tesi che non può essere messa in un cantone con sufficienza, anche se bisogna riconoscere una gran bella faccia tosta a coloro che lanciano certe accuse a Stalin criticando pochi passi di uno scritto, quando proprio lo stesso Mao, sulla base delle tesi revisioniste bukhariniane, non solo non ha condotto una lotta di classe risoluta contro la borghesia nazionale, ma ha al contrario speso fiumi di inchiostro ed improntato le sue tesi strategiche proprio sulla santificazione del ruolo "progressista e rivoluzionario" di questa classe! (si vedano in particolare: "I compiti del partito comunista cinese nel periodo della resistenza al Giappone",1937, "Sulla nuova democrazia", 1940, "La dittatura democratica popolare", 1949, "Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo", 1957).
Andiamo ora ad esaminare alcuni fatti, con la premessa che questo articolo si limiterà a fare luce sull'immaginario "errore del '36", rinviando ad altra occasione ulteriori nostre considerazioni sul processo di restaurazione del capitalismo in URSS avvenuto dopo la morte di Stalin.

Il testo ed il suo significato

Il VII° Congresso dei Soviet dell'URSS, tenutosi nel febbraio del 1935, di fronte agli immensi, radicali cambiamenti avvenuti nella società sovietica, che era "entrata in una nuova fase di sviluppo, nella fase del compimento dell'edificazione socialista e del passaggio progressivo alla società comunista" ("Storia del PC(B) dell'URSS", 1938), aveva deciso di apportare alla Costituzione del 1924 le modificazioni resesi indispensabili per adeguarla alla nuova realtà. In seguito a questa decisione, venne costituita una Commissione speciale sotto la presidenza del compagno Stalin per elaborare e redigere il progetto della nuova Costituzione dell'URSS. Il progetto fu sottoposto ad un enorme dibattito popolare in tutto il paese, che durò vari mesi, e quindi portato in discussione all'VIII° Congresso (straordinario) dei Soviet. L'VIII° Congresso (straordinario) dei Soviet approvò il 5 dicembre 1936 all'unanimità la nuova Costituzione dell'URSS, che sanciva "la vittoria del socialismo e della democrazia operaia e contadina" ("Storia del PC (B), ecc."). La "pietra dello scandalo" viene comunemente individuata in alcune frasi del celebre scritto di Stalin "Sul progetto di Costituzione dell'URSS" - Rapporto all'VIII° Congresso , Straordinario, dei Soviet dell'URSS ( 25 novembre 1936). In questa relazione, che tra l'altro non può essere schematicamente ed in modo semplicistico sovrapposta al testo costituzionale poi approvato, Stalin espose i cambiamenti fondamentali sopravvenuti in quel periodo nel paese dei Soviet ed espresse le sue osservazioni su questo fondamentale documento legislativo. Cosa afferma effettivamente Stalin in questo testo? A costo di sembrare didascalici, riteniamo che il modo migliore, per capire veramente le sue posizioni, sia di riportare il testo originale in tutti quei passaggi che riguardano le critiche oggetto di questo articolo.
Innanzitutto va osservato, come scrive Stalin, che il VII° Congresso dei Soviet aveva deciso che le modifiche da apportare al testo della Costituzione erano finalizzate a "precisare la base economica e sociale della Costituzione, per adeguare la Costituzione all'attuale rapporto tra le forze di classe nell'URSS.". Il grande dirigente bolscevico illustra semplicemente i "cambiamenti sopravvenuti nella vita dell'URSS, nel periodo 1924-1936" e trae le conclusioni in questi termini: "Qual'è la situazione adesso, nel 1936? […] adesso ci troviamo […] nel periodo della completa liquidazione del capitalismo in tutte le sfere dell'economia nazionale" e "In tal modo, la vittoria completa del sistema socialista in tutte le sfere dell'economia nazionale è ormai un fatto. Ma che significa questo? Questo significa che lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo è stato soppresso, liquidato, e la proprietà socialista degli strumenti e dei mezzi di produzione si è affermata come base incrollabile della nostra società sovietica. Come risultato di tutti questi cambiamenti sopravvenuti nell'economia nazionale dell'URSS, esiste oggi un'economia nuova, socialista". Prosegue il testo: "In rapporto con questi cambiamenti sopravvenuti nell'economia dell'URSS, si è modificata anche la struttura di classe della nostra società". Registrando l'abolizione dei rapporti di produzione capitalistici e quindi la scomparsa delle classi possidenti dal punto di vista economico, concludeva che "Tutte le classi sfruttatrici, in tal modo, sono state liquidate". Pertanto "non vi sono più classi antagoniste", "gli interessi delle quali sono ostili e irreconciliabili". A perdurare per un certo tempo nella società sovietica sarebbero state dunque non le classi sfruttatrici, bensì alcune loro irrilevanti sopravvivenze, che sarebbero state definitivamente liquidate con il passaggio allo stadio superiore della società comunista. Ovviamente a Stalin non passa nemmeno lontanamente per la mente di sostenere che nel socialismo non rimanevano dei residui di proprietà privata, che non rimanevano, in particolare, sacche di contadini individuali (anche se essi non avevano più alcuna seria importanza nell'economia del paese), che la permanenza dei rapporti mercantili non avesse una sua nefasta influenza. Quello che interessa al compagno Stalin è di illustrare la struttura di classe della società sovietica: essa era diventata una nuova società socialista in cui "non vi sono più classi antagoniste", composta dalla classe operaia, dalla classe dei contadini e dagli intellettuali; inoltre questi gruppi sociali erano cambiati, erano divenuti dei gruppi sociali, presi nella loro generalità, completamente nuovi, ed "i cui interessi non solo non sono ostili, ma al contrario, sono affini".
Dopodiché Stalin tratta delle premesse e delle "particolarità essenziali del progetto di Costituzione" così come definite dalla Commissione incaricata. Stalin afferma qui molte cose estremamente interessanti e che, come vedremo, smentiscono e negano completamente le accuse dei suoi critici. In particolare alla critica "ultrasinistra", secondo cui la nuova Costituzione sovietica costituirebbe uno "scarto a destra", una "rinunzia alla dittatura del proletariato", e sancirebbe, attraverso la fine del regime di privazione/limitazione del diritto elettorale per determinate categorie, il rinnegamento della dittatura proletaria e l'"apertura" all'infiltrazione dei gruppi antisovietici, ed addirittura porterebbe alla “liquidazione del partito bolscevico” (il vero architrave delle accuse mosse a Stalin), Stalin ribatte, ricordando la lezione leniniana. Ossia, la vittoria del socialismo, la riduzione dei rapporti di proprietà presocialisti a livelli minimali e la liquidazione delle classi sfruttatrici, nonché idonee condizioni internazionali, permettono, in condizioni determinate, di creare una situazione in cui "il potere statale proletario sceglierà altri metodi per schiacciare la resistenza degli sfruttatori" e si aprirà la strada ad una più larga e conseguente democrazia socialista. Effettivamente il capo bolscevico è consapevole della necessità che lo sviluppo dei diritti civili e politici vigenti nella società sovietica deve essere coerentemente adeguato alle conquiste ottenute a livello economico-sociale dalla classe operaia e dalle masse lavoratrici dell'URSS. Per Stalin questa è una delle condizioni indispensabili per rendere invincibile il socialismo, compiere ulteriori passi in avanti verso la costruzione della "società comunista integrale" e mantenere ferreo il legame tra il partito e le masse popolari. Questo "atto dovuto" nella sfera della sovrastruttura (la Costituzione sanciva la vittoria del socialismo solo sul piano strutturale) consolidava la dittatura del proletariato tramite il rafforzamento dell'attività politica e di controllo su tutti i gangli della società e dell'apparato sovietico da parte delle masse lavoratrici e permetteva inoltre di coniugare, lungo un percorso storico del tutto inedito ed inesplorato, le esigenze del costante miglioramento delle condizioni materiali e spirituali delle masse popolari con la persistente necessità della dittatura del proletariato. Gustoso e tagliente è il commento ironico di Stalin circa le paure e le debolezze teoriche di certi critici dogmatici che pretendono a torto di applicare concezioni e categorie politiche in modo indifferenziato a qualsiasi situazione storica ed a scapito della realtà, e che magari pensano che sia possibile allargare la democrazia solo dopo che tutta la borghesia sia completamente e definitivamente scomparsa dalla faccia della Terra. Stalin dice: "Che cosa si può dire di questi critici, con licenza parlando? Se l'allargamento della base della dittatura della classe operaia, e la trasformazione della dittatura in un sistema più agile, e quindi, più potente di direzione politica della società, vengono interpretati da costoro non come un rafforzamento della dittatura della classe operaia, ma come un indebolimento di essa, o perfino come una rinuncia ad essa, allora è lecito domandare: ma sanno, in generale, questi signori, che cosa è la dittatura della classe operaia?". Ed infine, tanto per togliere ogni possibile ulteriore dubbio, ed affossare definitivamente la tesi dei nostri "criticastri", possiamo concludere questo paragrafo con altre lapidarie parole: "Debbo riconoscere che il progetto della nuova Costituzione mantiene effettivamente in vigore il regime della dittatura della classe operaia, così come conserva senza modificazioni l'attuale posizione dirigente del Partito comunista dell'URSS.".

Cosa afferma veramente Stalin?

Partiamo da un primo essenziale e decisivo elemento. Sulla base delle citazioni riportate, è assolutamente evidente che Stalin parla in questo testo, e solamente in questo stretto senso, della scomparsa delle classi dal punto di vista economico, dell'abolizione dei rapporti di classe capitalistici. Lo fa basandosi sulla famosa definizione di classi sociali data da Lenin, ed all'interno del piano di lavoro deciso dalla già ricordata decisione del VII° Congresso: "Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più sanzionati e fissati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nella organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo e la misura in cui godono della parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, dei quali l'uno può appropriarsi il lavoro dell'altro, a seconda del differente posto da esso occupato in un determinato sistema di economia sociale" (Lenin, "La grande iniziativa",1919). Stalin, su questa base e sotto questo unico aspetto, sostiene giustamente che "nella società (e non “nel paese", quasi a sottolineare che si sta qui limitando alla questione dei rapporti sociali di produzione) non vi sono più classi antagoniste" (e non che “non ci sono più le classi” e basta, non che “non ci sono più contraddizioni e contrasti di classe”), in quanto non esisteva sostanzialmente più la proprietà privata dei mezzi di produzione, non esisteva più alcun "gruppo di persone" che potesse "appropriarsi il lavoro dell'altro", non esisteva più lo sfruttamento dei lavoratori. In questa sua "scandalosa" frase riassume dunque, semplicemente, l'analisi della struttura socioeconomica sovietica, senza riferirsi alla dinamica complessiva dello scontro con la borghesia in tutte le sfere della lotta di classe (ad es. nella lotta che proseguiva sul fronte ideologico). Ci sarebbe da chiedersi come mai coloro che straparlano della distinzione fra la categoria di "contraddizioni antagonistiche" e "contraddizioni in seno al popolo", non colgano questa "sottile" differenza nelle argomentazioni staliniane. Dunque, con la sua tesi, Stalin non arriva per nulla alle conclusioni che gli vengono maldestramente accreditate. I cambiamenti avvenuti nella struttura di classe della nuova società sovietica, su cui egli si sofferma, non costituiscono a suo parere un elemento che possa permettere di utilizzare categorie come l'"insieme dei lavoratori della società comunista", al posto delle categorie "classe operaia" e "classe contadina". Al contrario, Stalin sostiene in modo esplicito che: a) la società sovietica è composta da classi sociali; b) che permanevano delle differenze di classe fra la classe operaia e le altre componenti della società sovietica; c) che contraddizioni e differenze di classe economiche, politiche, sociali e spirituali tra le classi sociali sovietiche andavano man mano scomparendo, grazie ad una saggia linea del partito (e non che "erano già scomparse"!).
Sono altresì opportune ulteriori considerazioni riguardo il complesso delle calunnie mosse contro Stalin. Partiamo dalla grottesca tesi della "deviazione economicista", che sarebbe la base teorica delle accuse del '36. Ci sembra francamente ridicolo, oltre che offensivo, accusare Stalin di dare importanza esclusivamente al fattore della sfera economica, ai rapporti di produzione, e di non tener conto della "sovrastruttura socio-politica" e dell'"elemento umano". Stalin rifugge da qualsiasi influsso di determinismo volgare. Egli conosce benissimo gli scritti di Engels, le sue preziose indicazioni, e ne ha sempre costantemente fatto tesoro. Alla faccia dei suoi critici, Stalin ribadisce continuamente nei suoi scritti non soltanto la tesi marxista-leninista sul rapporto dialettico "struttura-sovrastruttura", ma sottolinea con forza la funzione storica e l'importanza della "sovrastruttura", si sofferma in modo puntuale sull'importanza e sulla "funzione immensa" dell'attività cosciente degli uomini, attività che, ad un certo punto dello sviluppo storico, prende il posto del processo spontaneo.
La stessa "sub-accusa" di aver concentrato negli anni ‘20 e ‘30 l'attenzione in modo assolutamente predominante, se non esclusivo, sull'aspetto internazionale della lotta di classe (l'accerchiamento capitalistico), è palesemente strumentale e può essere ribaltata in una clamorosa testimonianza della lungimiranza politica di Stalin. Egli ha esatta coscienza del pericolo terribile in cui versa il paese dei Soviet, il terribile pericolo della guerra quale forma storica reale in cui si incarnava allora concretamente la lotta di classe fra socialismo e imperialismo (che esprime la contraddizione principale fra proletariato e borghesia). L'invasione nazifascista (che avvenne di lì a pochissimi anni) è stata infatti la forma concreta, certo la più estrema e drammatica, assunta dalla lotta di classe che l'imperialismo internazionale ha scatenato, con l'attiva complicità dei residui borghesi interni allo stato socialista, contro il socialismo. Stalin concentra giustamente la lotta sul fronte internazionale, o potremmo dire più giustamente, ingloba e considera la lotta di classe "interna" come un elemento legato allo scontro sul fronte internazionale, che si andava acutizzando in quella precisa fase storica. Il compagno Stalin ha costantemente sostenuto la necessità della permanenza della lotta di classe, del rafforzamento della dittatura proletaria. Le repressioni rigorose del 1937-38 (2 anni dopo la tesi incriminata!) dovrebbero azzittire a sufficienza anche i "critici-critici" più ottusi e dimostrano al contrario che Stalin non ha affatto sottovalutato l'aspetto interno della lotta di classe, la pericolosità del cosiddetto "blocco dei destri e dei trotskisti" e degli altri elementi opportunisti, rappresentanti politici ed ideologici della borghesia. Stalin anzi, denunciando il fatto che i gruppi e gli elementi antileninisti interni (ossia proprio coloro che i falsi critici pretenderebbero non essere presi in considerazione dal grande dirigente georgiano!) erano degenerati completamente ed avevano ricevuto l'appoggio diretto della borghesia imperialista internazionale, diventando così degli agenti controrivoluzionari al servizio dell'imperialismo straniero, ne ha evidenziato la loro pericolosità. Le repressioni del 1937-38 non sono dunque altro che una forma in cui si manifestò la lotta di classe all'interno dell'Unione Sovietica. D'altra parte, per quale motivo (a meno di non correre dietro a Krusciov ed alle sue accuse di paranoia lanciate al XX° Congresso) Stalin sarebbe arrivato da un lato alle conclusioni imputategli, e poi allo stesso tempo avrebbe, all'opposto, inasprito ed acutizzato sul terreno dello scontro sociale la teoria e la pratica della dittatura del proletariato?

Cosa afferma Stalin in altri suoi scritti

Possiamo dunque sostenere a ragion veduta che le critiche a Stalin oggetto di questo articolo sono inesorabilmente smentite dai fatti, completamente destituite di ogni fondamento e palesemente strumentali. Questa conclusione risulta ancora più indiscutibile se analizziamo l'evoluzione del pensiero di Stalin in un periodo storico abbastanza ampio, diciamo nel quinquennio 1934-39. In alcuni scritti chiave di questo periodo, racchiusi nei due rapporti al Congresso del Partito Comunista (Bolscevico), il XVII° del 1934 e il XVIII° del 1939 (ossia: "Sulle deficienze del lavoro del Partito e sulle misure per liquidare i trotskisti e altri ipocriti",1937, "Risposta alla lettera di Ivanov",1938, "Storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS." (con particolare attenzione al suo famoso paragrafo su "Il materialismo dialettico e il materialismo storico",1938), vediamo come le sue posizioni risultano ad un'analisi obiettiva assolutamente precise, chiare e conseguenti. In estrema sintesi ricordiamo, senza soffermarci sui punti già trattati, alcuni aspetti e tesi staliniane che confermano il nostro giudizio:

1) Il passaggio dal capitalismo al comunismo (la società di transizione, il socialismo) abbraccia un intero periodo storico. Stalin è pienamente cosciente delle enormi difficoltà che un paese "storicamente ed economicamente arretrato" incontra nella edificazione della nuova società. Per il dirigente bolscevico, l'abolizione dei rapporti sociali di produzione capitalistici (che rimanevano in forma assolutamente residuale) e la liquidazione della borghesia nel campo economico non comportavano affatto la scomparsa completa, automatica ed immediata della borghesia (e degli strati privilegiati che esprimevano interessi borghesi) nella sfera politica, in quella ideologica, morale, ecc. Inoltre era chiaro ai suoi occhi che i settori sociali borghesi interni (i residui delle classi sfruttatrici liquidate, ma non ancora scomparse definitivamente, alcuni strati intermedi nelle città e nelle campagne, e gli strati tecno-burocratici privilegiati), permanevano ancora in URSS e mantenevano ancora una altissima pericolosità. Essi costituivano un terreno favorevole per la sopravvivenza dei rapporti sociali capitalistici nell'economia e nella coscienza degli uomini e per stimolare la riproduzione delle varie tendenze antisovietiche. La loro pericolosità stava nella forza della tradizione ideologica e culturale, nella formidabile esperienza che essi avevano accumulato nei vari settori dell'apparato statale e della vita sociale, nella enorme capacità di resistenza delle abitudini borghesi, così come si veniva a verificare lungo il percorso della costruzione del socialismo, nel mantenimento della piccola produzione mercantile, specie nelle campagne. Questi settori sociali antileninisti, anche e soprattutto grazie ai loro legami con la borghesia imperialista internazionale, avrebbero continuato ad opporre una disperata resistenza contro il nuovo ordinamento sociale ed a sviluppare e condurre una strenua lotta di classe per la loro sopravvivenza. Una lotta all'ultimo sangue la cui posta in gioco era la vittoria definitiva del socialismo o la restaurazione del capitalismo.

2) Stalin mette in guardia dai residui ideologici delle deviazioni borghesi già annientate che ancora permanevano vivi ed attivi anche fra singoli membri del partito, e dalla possibilità persistente dell'insorgere di nuove manifestazioni di deviazioni opportuniste. Stalin non parla di "degenerazione del partito", come sono abituati a sproloquiare certi ultrasinistri. Avverte però che il partito non è affatto impermeabile all'azione politica ed ideologica degli elementi borghesi presenti in URSS ed alle sirene della borghesia internazionale. Afferma che all'interno del partito (e dello Stato sovietico) è costante la lotta fra il leninismo e le tendenze avversarie. A tale proposito, ancora nel 1937, mette decisamente in guardia e denuncia costantemente i limiti e le deficienze nel lavoro economico, politico ed ideologico che colpiscono tutto il corpo del partito e che sono riscontrabili, in una certa misura, nei quadri e in tutte o quasi le istanze dirigenti, nelle organizzazioni del partito e nelle istituzioni sovietiche. Stalin parla di compagni che dimenticano i pericoli, di confusione mentale, di faciloneria e bonomia politica e opportunista, di dabbenaggine piccolo-borghese che ostacolano pesantemente la vigilanza rivoluzionaria contro i nemici (dentro e fuori i confini sovietici) del socialismo. La loro spiegazione sta per Stalin nella euforia esagerata per i successi dell'edificazione socialista, e nella tendenza economicista (ossia proprio quelle carenze teorico-politiche che i nostri estremisti vorrebbero rovesciare su Stalin!), che hanno fatto "semplicemente dimenticare" o soltanto sottovalutare ai comunisti, soprattutto a quelli meno preparati, fattori quali il pericolo dovuto all'accerchiamento capitalistico, ed ha favorito un atteggiamento politicamente miope ed indebolito il partito. Questi pericolosi atteggiamenti sono sorti, in ultima analisi, sul terreno di importanti insufficienze e lacune del lavoro ideologico e politico (in particolare riguardanti la dottrina marxista dello Stato).

3) Una dimostrazione lampante di quanto Stalin, alla faccia della critica degli ultrasinistri che gli imputano la colpa di considerare soltanto l'aspetto economista e della tecnologia, consideri sommamente l'importanza essenziale del "fattore umano", è il fatto che egli rilancia incessantemente la necessità assoluta ed impellente (per la sorte stessa del socialismo) di liquidare queste deficienze, per sconfiggere ogni elemento che porti l'influenza delle posizioni borghesi nel partito e nella classe lavoratrice. Stalin indica dunque quali misure fondamentali indispensabili: a) la lotta costante per il miglioramento ed il perfezionamento della dottrina marxista-leninista (in particolare dello stato), per rafforzare ed elevare la preparazione ideologica e politica, per una migliore composizione dei quadri dirigenti; b) la necessità di temprare politicamente i quadri, in modo che essi siano capaci di orientarsi e destreggiarsi oltre che nel lavoro economico e tecnico, anche in qualsiasi grande questione politica di carattere interno ed internazionale, farne cioè effettivamente dei leninisti; c) la battaglia politica contro tutti coloro che esprimevano e si facevano portavoce di posizioni errate, facendo in particolare comprendere la centralità del lavoro politico ed organizzativo del partito, perno essenziale e garanzia decisiva, in ultima istanza, anche per i successi nel campo economico; d) la lotta senza quartiere per l'eliminazione delle tendenze borghesi, di ogni sorta di atteggiamenti opportunisti, il rafforzamento della vigilanza politica contro i nemici, interni ed esterni, del socialismo "in qualsiasi campo ed in qualsiasi circostanza", elementi che, insieme alla costante mobilitazione della classe operaia e delle masse lavoratrici e popolari, sono considerati da Stalin, elementi indispensabili per la difesa del socialismo. Come si vede, non vi è una sola riga negli scritti di Stalin che comprova le critiche degli estremisti, ma ve ne sono molte che dicono esattamente il contrario.

Un nodo teorico fondamentale

Stalin, nonostante gli sforzi dei nostri "critici-critici", non solo ha fatto ogni sforzo possibile nella lotta contro la borghesia interna ed internazionale, ma è anche il dirigente che, basandosi sulla originaria elaborazione teorica formulata da Lenin, ha enunciato, nonostante la mancanza di esperienze storiche del movimento operaio da cui trarre insegnamento, la teoria del proseguimento e dell'inasprimento della lotta di classe durante tutto il periodo storico della società di transizione. Nel 1937 Stalin afferma con termini inequivocabili: "E' necessario demolire e buttare a mare la putrida teoria secondo la quale ad ogni passo in avanti che facciamo, la lotta di classe da noi dovrebbe affievolirsi sempre più, secondo la quale, nella misura che otteniamo dei successi, il nemico di classe diventerebbe sempre più mansueto […] Al contrario, quanto più andremo avanti, quanti più successi avremo, tanto più i residui delle vecchie classi sfruttatrici distrutte diventeranno feroci, tanto più rapidamente essi ricorreranno a forme di lotta più acute, tanto più essi cercheranno di colpire lo Stato sovietico, tanto più essi ricorreranno ai mezzi di lotta più disperati come gli ultimi mezzi di chi è condannato a morire. Bisogna tenere conto del fatto che i residui delle classi distrutte nell'URSS non sono isolati. Essi hanno l'appoggio diretto dei nostri nemici al di là delle frontiere dell'URSS. Sarebbe errato pensare che la sfera della lotta di classe sia racchiusa entro le frontiere dell'URSS. Se la lotta di classe si svolge per una parte nel quadro dell'URSS, per un'altra parte essa si estende entro i confini degli Stati borghesi che ci circondano." (Stalin, "Sulle deficienze del lavoro, ecc."). Analizzando i rapporti di forza esistenti a livello internazionale fra socialismo ed imperialismo e sviluppando ulteriormente la teoria marxista-leninista, in particolare sullo Stato socialista, il compagno Stalin lega la possibilità (che continuava ad esistere) della sconfitta del socialismo in URSS all'azione congiunta delle potenze imperialiste internazionali con le tendenze antisocialiste interne, in quanto riteneva che qualsiasi tentativo di restaurazione capitalista dall'interno "non può aversi che con l'appoggio internazionale". Dunque, la vittoria del socialismo in un solo paese può considerarsi definitiva soltanto quando l'accerchiamento capitalistico sarà sostituito dall'accerchiamento socialista, ossia dalla vittoria del nuovo sistema sociale perlomeno in una serie di paesi capitalistici avanzati. Per Stalin è dunque indispensabile l'aiuto del proletariato internazionale congiunto con la mobilitazione generale e "con gli sforzi ancora più seri di tutto il popolo sovietico", cioè l'aiuto reciproco su tutti i fronti della classe operaia internazionale per la vittoria del socialismo. E, ancora, ricorda che: "Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre un'enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato" (Lenin, "Stato e rivoluzione,1917). Ci sembra dunque definitivamente assodato che, per Stalin, stato socialista, lotta di classe e dittatura del proletariato sono tre questioni intimamente interconnesse, e che in sostanza vedranno la loro scomparsa soltanto con la vittoria definitiva del nuovo sistema sociale. Fermo restando ciò, Stalin avverte che la liquidazione delle classi sfruttatrici (nel solo senso ribadito in questo articolo) e le modificazioni dei rapporti di forza sul fronte internazionale permettono di modificare le forme e le funzioni della dittatura del proletariato adeguandola alla nuova realtà che si determina. La "repressione armata all'interno" dello Stato socialista perde così il suo carattere prioritario e la sua funzione fondamentale diventa il puntare tutte le sue armi di vigilanza e repressione contro qualsiasi tentativo di aggressione imperialista dall'esterno.
In conclusione: per Stalin la società comunista non sorge spontaneamente; essa, all'opposto, nasce sulla base degli sforzi di tutti i lavoratori "rafforzando gli organi della dittatura del proletariato, sviluppando la lotta di classe, sopprimendo le classi, liquidando le sopravvivenze delle classi capitalistiche, in una lotta continua tanto contro i nemici interni che contro quelli esterni" (Stalin, "Rapporto al XVII° Congresso del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS,1934). La lotta di classe su tutti i fronti della vita sociale va dunque condotta e mantenuta fino in fondo, contro tutti i nemici, interni ed esterni, fino alla vittoria definitiva del socialismo ed al passaggio al comunismo. La storia e lo sviluppo del Partito comunista è in effetti a ben vedere la storia della acerrima lotta su tutti i fronti fra la linea marxista-leninista rivoluzionaria e le correnti borghesi che si esprimevano attraverso gruppi ed elementi opportunisti ed antileninisti annidati in seno al partito, alla società ed alla stessa classe lavoratrice. E' il compagno Giuseppe Stalin, e non altri, a formulare l'organica teoria dell'inasprimento della lotta di classe nel socialismo. In particolare, fu proprio sulla questione dell'accentuazione della lotta di classe nel nuovo sistema sociale, che assistiamo nel 1929 allo scontro frontale fra Stalin e Bukharin. Stalin bolla a più riprese come balorde e malsane le sciagurate teorie conciliatrici di Bukharin e degli altri opportunisti di destra, teorie che ritenevano necessaria la integrazione pacifica degli elementi capitalisti nella società sovietica consacrando così il collaborazionismo di classe. Questa tesi porta ovviamente diritti al ripudio della lotta di classe ed al concetto stesso di dittatura del proletariato. Ricordiamo peraltro che proprio queste teorie revisioniste di destra sono state, e la contraddizione è in verità soltanto apparente, poi sostanzialmente riprese in forme differenti da Krusciov prima e da Mao dopo. Possiamo in conclusione affermare che, al di là di qualche differenza e di effimeri giri di parole, le svariate deviazioni e correnti opportuniste hanno in realtà un elemento centrale in comune, ossia la negazione del decisivo, seguente, insegnamento leniniano: "Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e anche il grande). E' questo il punto attorno al quale bisogna mettere alla prova la comprensione ed il riconoscimento effettivi del marxismo" (Lenin, "Stato e rivoluzione"). Esiste dunque in realtà una linea diretta, al di là di cosa possano dire o credere i nostri critici, che lega le varie correnti non autenticamente marxiste-leniniste. Le vecchie concezioni socialdemocratiche e conciliatrici e quelle estremistiche di "sinistra" sono le due facce di una stessa medaglia, di una stessa linea, che ha come obiettivo la sconfitta dell'ideologia proletaria ed il mantenimento dell'egemonia politica, ideologica ed organizzativa borghese all'interno del movimento comunista ed operaio. La teoria del mantenimento e dell'inasprimento della lotta di classe dopo la presa del potere, enunciata da Stalin, è un aspetto decisivo del marxismo-leninismo, in quanto essa tocca direttamente il nodo essenziale della dittatura del proletariato. Essa costituisce un punto irrinunciabile di rottura con ogni sorta di teoria e pratica opportunista e conciliatrice, ed allo stesso tempo costituisce uno dei più importanti e decisivi contributi teorici e politici che Stalin ha lasciato in preziosa eredità al movimento operaio e comunista internazionale.

(Da Teoria & Prassi n. 17, gennaio 2007 pagg. 27-34)
 
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