Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by RedSioux

view post Posted: 3/1/2020, 15:33 Iraq, assaltata l'ambasciata USA - Esteri
view post Posted: 2/1/2020, 16:42 Repressione e dintorni - Varie
Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Vademecum per la difesa legale, DeriveApprodi, Roma, 2019
Un tempo non troppo lontano, trovarsi con un manualetto di questo genere tra le mani era l’eventualità più naturale e scontata per qualsiasi militante. Purtroppo, ad oggi, dobbiamo invece constatare che con il progressivo affievolirsi del conflitto attraverso il paese, anche un certo tipo di cultura militante, di sovrastruttura difensiva ad uso dei compagni, ha seguito la medesima traiettoria discendente puntando dritto all’estinzione.


Sono oramai un ricordo i tempi in cui la circolazione di manuali di auto-difesa legale, semplici libretti compilati da compagni più “accorti” o generosi manualetti di guerriglia urbana costituivano il pane quotidiano di una certa letteratura di movimento. Eppure, a fronte di simile inflessione, non sembra corrispondere una sostanziale diminuzione di quell’infame operazione che garantisce lo stipendio a una massa di lavoratori improduttivi e una pioggia di pene a una massa di sfruttati che prende il nome di repressione.

Ovviamente, anche la repressione ha mutato forma e armamentario, e non ci sogniamo di dire che è rimasto tutto tale e quale a vent’anni fa. Talvolta ha scelto strade più avvedute, più subdole, come le scorciatoie amministrative non meno dannose delle canoniche vie penali e, diciamo così, si è messa al passo con i tempi, soprattutto quelli tecnologici.

Ma la sostanza di quest’operazione caratterizzante, dell’atto che forse più di ogni altro rivela la natura politica dello Stato, non sembra aver subito flessioni di sorta.

A queste tendenze si aggiunge, come automatico corrispettivo discorsivo, un dibattito sostanzialmente incentrato sul senso comune – alimentato quotidianamente da una cappa mediatica in tutto e per tutto funzionale a veicolare determinati paletti ideologici nella società – che non riesce più a valutare l’operazione repressiva alla luce di una distinzione di classe. Qualsiasi sia l’operazione, il caso, il fatto repressivo in esame sembra ormai esser passata l’essenza della più infima delle fantasie liberali ovvero la sostanziale estraneità dello Stato di fronte alle classi, la sua, tutto sommato, posizione neutrale rispetto alla società, alla politica, alla Storia. Insomma, quando si parla di Stato, oggi, si ammette implicitamente come prerequisito discorsivo che questo sia il rappresentante dell’interesse comune di tutta la società. Dall’idealizzazione dello Stato etico all’insulsa retorica delle “mele marce” (con un non indifferente salto qualitativo, certo), passano gli anni e mutano i linguaggi ma la merce contrabbandata è sempre la solita favoletta della democrazia borghese: lo Stato è al di sopra delle classi.

Inscrivendosi in un simile orizzonte, appare naturale come qualsiasi tentativo di strappare la questione della repressione a questa retorica sia una fatica di Sisifo, e che sia possibile assistere – dopo che la morte di Cucchi è stata intenzionalmente provocata dal pestaggio di due agenti e che la complessa macchina dell’arma si sia mossa all’unisono per far si che non una verità emergesse da quella storia – a paradossi come il “baciamano del carabiniere” ad Ilaria Cucchi senza che venga battuto ciglio.

Certo, a sfatare questo mito e a riaffermare il principio per cui gli Stati rappresentano il predominio di una classe, anche se non sempre nella forma semplificata e propagandistica di un “comitato di affari” ed eccezione fatta per determinate congiunture storiche in cui si crea un equilibrio tra le classi, basterebbe rivolgere l’attenzione alla storia recente e recentissima del movimento rivoluzionario italiano. Ma dato che questo oggetto misterioso è il gran rimosso della memoria collettiva, non resta che armarsi di buona volontà e combattere le ricadute teoriche e pratiche di questa favola con vecchi e nuovi strumenti.

In questo senso un manualetto come quello che abbiamo sotto gli occhi appare come uno strumento utile, figlio di un’operazione in controtendenza e pertanto primo passo verso una nuova accumulazione difensiva.

Appare tanto più utile perché aggiornato a un momento in cui il paese, soggetto a una smania giustizialista e a un potenziamento dei poteri coercitivi, conosce una nuova accelerazione securitaria generalizzata.

Un’accelerazione che, in modo selettivo, non ha mai smesso di essere esercitata nel momento in cui l’annientamento delle avanguardie politiche di questo paese è apparso necessario agli occhi del potere, dall’omicidio di Carlo Giuliani all’infame operazione messa in moto dalla Questura e la Procura di Torino pochi giorni fa, ma che vive sottotraccia nelle continue operazioni di contenimento cui sono soggette le masse popolari e di cui i tragici casi delle morti in caserma sono solo la punta di un iceberg.
Militantblog
view post Posted: 2/1/2020, 16:17 L'imperialismo si organizza in Libia - Esteri
Libia, il Parlamento della Turchia dà il via libera al dispiegamento di truppe al fianco di al-Sarraj
Il Parlamento di Ankara ha dato il via libera, con 325 voti a favore e 184 contrari, al dispiegamento di militari turchi in Libia per un anno a sostegno del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. La proposta, discussa in mattinata dopo la disponibilità offerta dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e la successiva richiesta di aiuti militari da Tripoli, ha trovato l’appoggio del partito di governo.....
Il fatto quotidiano
view post Posted: 29/12/2019, 11:19 Crisi, lavoratori allo sbaraglio - Varie
Le banche nel mondo annunciano 77.780 licenziamenti, è record dal 2015
L’82% dei posti di lavoro nel 2019 è stato perso in Europa, ma anche in Nordamerica sono svaniti 7.669 impieghi davanti a incertezze economiche, concorrenza e innovazioni tecnologiche
Il sole 24 ore
view post Posted: 22/12/2019, 12:08 Sardine - Interno
Né sardine, né pesci in barile
L’istantanea migliore, a livello di analisi delle “sardine”, l’ha fornita probabilmente “La Stampa”, lo scorso 11 dicembre, vale a dire il giorno dopo la manifestazione di Torino. Il quotidiano padronale, infatti, accomunava la piazza torinese alla contemporanea iniziativa di Milano, in cui seicento sindaci accompagnavano la senatrice a vita Liliana Segre in una passeggiata in Galleria, insieme a migliaia di milanesi, per protestare contro la campagna di offese di cui, incredibilmente, era stata fatta oggetto una sopravvissuta ad Auschwitz. Le due piazze, in effetti, erano assolutamente speculari: promossa dal basso (Torino) e suggerita dall’alto (Milano) si incontravano le due facce dell’Italia “civica e civile”, nella tappa intermedia di un percorso che, nato poco più di un mese fa, avrebbe visto molte città italiane aderire ai flash-mob delle “sardine”.

E la sinistra di classe, e quelli come noi? Infastiditi, inorriditi, incuriositi, indifferenti: abbiamo manifestato, da un mese a questa parte, una gamma di atteggiamenti così vari da confermare l’inossidabile difficoltà a incontrarsi, oggi, nelle idee, prima ancora che nelle lotte e nelle vertenze. Ne deriva che la posizione di chi manifesti una lontananza totale – difficilmente eccepibile, peraltro – dalle sardine finisca quasi per essere giudicata come ‘rozza’, ‘elementare’ e ‘superficiale’, lontana – quel che è peggio – dalla necessaria complessità che caratterizza oggi la politica post-ideologica. Sgomberiamo il campo dagli equivoci: nessuna struttura della sinistra radicale rivendica una piena adesione al neonato movimento, né paiono esserci entusiasti endorsement da parte di intellettuali e testimonial di riferimento, a eccezione del compagno Erri De Luca, che avrà avuto i suoi buoni motivi. Al netto di ciò, non manifestare quantomeno interesse verso le occasionali piazze animate da pesciolini di carta e di cartone era considerato pari a rinunciare a un approccio che mischia Machiavelli e realpolitik e che oltraggia quel tempismo, quella capacità di stare con gli occhi aperti, quella propensione a cogliere l’attimo che dovrebbe caratterizzare ogni militante politico.

Sarà, ma noi vi leggiamo solo il tentativo, quantomeno teorico, di sostituire le nostre attuali difficoltà con la promessa di successi altrui, adottando la tattica del cuculo (entro nel nido e metto le mie uova al posto di quelle di chi il nido lo ha costruito), ma correndo il rischio di svolgere il ruolo dell’ancella. Provocando, peraltro, un duplice imbarazzo: nella padrona di casa (cioè nella piazza) e nell’ancella stessa. Qui non si tratta, giusto per citare un recente documento, di rivendicarsi “un mondo militante più sicuro dei propri valori che della realtà su cui poggia i piedi”, né di indugiare su come farsi notare di più, se arrivare in ritardo alla festa o non arrivare proprio: qui ci limitiamo a segnalare come alla festa non siamo stati invitati e neanche cercheremo di imbucarci. Perché quella festa non ci appartiene, per quanto altri convenuti possano essere nostri potenziali compagni di strada. Rivendichiamo, quindi, il diritto di essere altro rispetto alle sardine, senza per questo considerarle la causa delle nostre sconfitte o delle nostre mancate vittorie. Per una volta, non sono la soluzione, ma neanche parte del problema: rappresentano, invece, l’epifenomeno più attuale di un blocco sociale che è sempre esistito, in questo Paese, per quanto ultimamente a scartamento ridotto.

Stiamo parlando di una borghesia progressista e riflessiva, dotata di un buon capitale, volenterosa e democratica, almeno secondo le linee della democrazia formale. Questo blocco sociale non da oggi ha difficoltà a dialogare con il suo riferimento politico, quel Partito democratico che ha ormai completato la transizione da compagine socialdemocratica a partito liberale, persino con tendenze autoritarie ed egotistiche in alcuni dei suoi esponenti, e continua a mandargli messaggi, nella vana speranza di un suo rinsavimento. I Girotondi, il Popolo viola, singoli iscritti o delegati – protagonisti negli ultimi anni di accorati interventi in assemblee o congressi (e per questo immediatamente celebrati con uno slot su Repubblicapuntoit) – rappresentano l’album di famiglia delle sardine, con un grado di vicinanza o di lontananza dal ceto politico piddino che dipendeva dal contesto e dalla fase storica, ma che non poteva certo configurare come ‘nuovo’ il fenomeno in questione.

Le caratteristiche iniziali delle piazze ittiofile, del resto, non mentivano: ceto medio studentesco e universitario, con buone capacità relazionali, impegnato in lavori cognitivi o prossimo a esserlo (o aspirante a esserlo in futuro), ben educato e multiculturalista, lontano tanto dal becerume fascistoide, quanto dalla materialità delle contraddizioni sociali. La spinta propulsiva, d’altronde, era etica, quasi pre-politica, e l’aggancio con il reale era rappresentato semplicemente dall’emergenzialità elettoralistica (esorcizzare il rischio che Salvini si prendesse anche l’Emilia-Romagna): le nuvole del Paradiso, quindi, e gli Inferi delle urne. Mancava, però, “il livello di mezzo”, vale a dire la terra della dialettica politica. Dato che Santori e gli altri “imprenditori di movimento” non sono, probabilmente, stupidi, le sardine conoscono nel (breve) tempo un’evoluzione e una progressiva raffinazione: il tema dell’inclusione dei migranti, ad esempio, assolve alla duplice funzione di portare un mattoncino construens a quello che fino a poco fa era solo un movimento di critica e di inserirsi con coerenza nello spazio politico che si mira ad occupare (e che è quello più sgombro di offerta, tra l’altro). Il cuore, però, batte altrove, tanto che il sesto dei famosi punti diffusi dopo il 14 dicembre romano rimane un po’ appeso, quasi esogeno rispetto al corpus del documento, che guarda invece alla comunicazione in tutta la sua piena vigenza sovrastrutturale. Un piano ben articolato, valido in entrata e in uscita, tutt’altro che disprezzabile, degno – anzi – di essere studiato e preso ad esempio. Segue, in ordine cronologico e di importanza, l’aspetto “vippaiolo”, rappresentato dalle adesioni e dagli endorsement importanti, che non possono certo essere usati come arma contundente per una critica politica: è responsabilità delle sardine, forse, se Casapound – ormai ossessiva nella sua dimensione del ‘vengo anch’io!?!’ – cerca attenzione come i bambini in crisi di affetto?

È vero, d’altro canto, che le entusiastiche partecipazioni ideali, anche quando non richieste (soprattutto quando non richieste), sono sempre traccia di una compatibilità di fondo. Prendiamo, ad esempio, il caso di Saviano, che non perde neanche questa occasione, dalle colonne di “Robinson la Repubblica”, per spiegare al mondo da che parte deve girare: l’ex ammiratore del Pmli sente l’odore dei riflettori e si precipita in piazza Duomo, esaltando “una piazza senza simboli e senza bandiere, (…) che non appartiene a nessuno, anzi, che appartiene a chi in quel momento c’è”. Da qui il collegamento, del tutto gratuito, tra l’assenza di insegne politiche dentro il flash-mob e l’esistenza di un soggetto politico “che non chiede voti e non promette nulla, ma solo chiami a raccolta perché cambi, prima di tutto, la comunicazione politica”. Agghiacciante, bisogna ammetterlo, soprattutto nell’equazione tra l’anonimato della piazza e il suo impegno “disinteressato”. Per cosa dovrebbe chiamare a raccolta una piazza senza identità? È sufficiente condividere un luogo per poche ore, al fine di avere un sistema di valori condiviso, per quanto declinato in maniera generica ed elementare? Qual è, quindi, la differenza tra il flash-mob sardiniano e il pubblico di un concerto (che pure avrà i suoi punti di riferimento valoriali, corrispondenti a quelli diffusi dal cantante di turno), gli spettatori di una squadra di calcio (che ha una storia, un percorso pregresso, un modo di presentarsi agli avversari) oppure i fedeli presenti all’udienza pubblica del papa, ogni mercoledì? Soprattutto, qual è la differenza tra un gruppo di manifestanti restio a riconoscersi in simboli politici (neanche in quelli più ecumenici e generalisti) e una folla, cioè un non-gruppo destrutturato e pronto a muoversi secondo stimoli imprevedibili ed estemporanei, come il contagio, l’emulazione, il conformismo?

Facile additare i modi di aggregazione salviniani (i proclami “di pancia” e le foto con la Nutella, per la serie ‘un pugno e una carezza’), ma quelli “sardiniani” sono poi così diversi? Certo, i contenuti dei secondi nascono per contrapporsi a quelli dei primi, ma quali sono i confini e quale ne è la profondità? Saviano conclude compiaciuto: “Così accade che scendi in piazza per metterci la faccia, non per nascondere la tua dietro quella di qualcun altro, ma perché il tuo volto, accanto a quello di chi ti è vicino, sia visibile”. Ma se non scendi in piazza dichiarando quale sia la tua appartenenza ideale e la tua identità politica ti limiti a fare una passeggiata stanziale: dato che non tutti hanno la visibilità di Saviano, fare un flash-mob senza insegne vuol dire scegliere un comodo anonimato, che è esattamente l’opposto di “metterci la faccia”. Oppure pensiamo che accostare due facce anonime (due come seimila o ventimila) produca politica di per sé, in una specie di autopoiesi? Qui non si tratta di auspicare una specie di appello scolastico di sigle di partiti e organizzazioni, meglio se comuniste: altre piazze e altre manifestazioni (su Contropiano si ricordava un’altra San Giovanni, esattamente nove anni prima del sabato pomeriggio romano delle sardine) hanno posposto bandiere e striscioni all’immanenza della pratica, ma si trattava di una scelta tattica, coerente con l’opzione della violenza come strumento politico.

Qui, invece, la proibizione di vessilli identitari sottintende come l’Italia “civica e civile” debba essere grigia e muta, magari desiderosa – come da narrazione corrente – di più politica e non di meno politica. Sicuramente intenta, però, a rimestare su quale tipo di politica da esprimere e implementare, con la tentazione dell’ultimo decennio che timidamente comincia ad affacciarsi anche nel banco (di pesci): “immettere nuovi contenuti nella sinistra”. Una frase imparentata con l’altra (“superare la distinzione destra/sinistra”), che puntualmente ha lasciato il paese in mano a Salvini, abile – lui sì – a capire che bisogna focalizzarsi sui contenuti, piuttosto che sugli appellativi. Tanto da aver fatto cose di destra e di estrema destra senza averle chiamate con il loro nome. Poi, però, andiamo a scrutare, tra il lastricato delle piazze delle sardine, e qualche bandiera spicca: è dell’Unione europea ed è ammessa perché non è partitica. “Legittima difesa costituzionale”? “Attivazione politica”? “Esigenza di riscatto”? Sarà, però emerge soprattutto il ruolo di agit-prop (anzi: ‘agit-pop’) mediaticamente spendibile di uno spirito europeista fiaccato dai fatti elettorali e sociali. Solo Saviano fa finta di non capirlo: “Essere un movimento di piazza non offre soluzioni alla diminuzione degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, inferiori del 20 per cento rispetto agli impegni che l’Italia ha preso con l’Unione europea”. Quando, però, il suddetto movimento di piazza appoggia la predazione europea, ogni lamentela come quella suesposta diventa un semplice esercizio di stile oppure la conferma di come un certo salvinismo comunicativo (in base al quale ‘dico, mi contraddico, poi ti maledico’) abbia attecchito un po’ dappertutto. Quel che è certo, comunque, è che “la necessità di contendere l’esercizio del conflitto a Salvini” – come suggerito da Infoaut – non vedrà nelle sardine agguerriti concorrenti.
view post Posted: 22/12/2019, 11:49 Repressione e dintorni - Varie
Quasi 40 anni di carcere comminati in appello, spalmati su 9 persone in totale. E' il bilancio dell'ennesima vendetta a mezzo giudiziario nei confronti di quanto rappresentato dall'esplosione di rabbia sociale del 15 Ottobre 2011 a Roma. In questo caso, si tratta del terzo troncone processuale, che si conclude come era purtroppo facile aspettarsi.
Continua su Infoaut https://www.infoaut.org/precariato-sociale/15-ottobre-2011-continua-la-vendetta-delle-istituzioni
view post Posted: 22/12/2019, 11:27 Sardine - Interno
Ne deduco quindi che non sai nulla più di quanto non sia già stato detto e soprattutto non hai giustificato la tua precedente affermazione. Insisto come per ogni contraddizione che merita di essere studiata per poi poter essere sfruttata.
view post Posted: 20/12/2019, 11:57 Sardine - Interno
CITAZIONE (Petar Savic @ 20/12/2019, 10:33) 
Le persone che partecipano a quelle iniziative (ad esclusione di quelle in buona fede, ma che vivono di illusioni) non appartengono (economicamente o politicamente) alle classi subalterne, ma sono vasti strati di classe intermedia asservita agli interessi della borghesia che sostiene il PD e altre formazioni minori. I lavoratori delle fabbriche, della logistica, dei grandi centri commerciali, i pensionati e i disoccupati, non perdono mica tempo con gente del genere, piuttosto vanno a fare la spesa al sabato.

Siamo sicuri che studenti (tirocinanti in varie forme) e professionisti (ormai sempre più spesso stretti collaboratori con minima autonomia) non appartengano alle classi subalterne?
E poi da dove deriva la tua analisi? Intento oltre alla tua personale percezione
view post Posted: 20/12/2019, 10:16 Sardine - Interno
CITAZIONE (Petar Savic @ 20/12/2019, 09:38) 
Magari si potesse fare un'analisi sulla composizione di classe delle "Sardine" (peccato per il nome, a me piacciono tanto quelle che si mangiano). Probabilmente si tratta di studenti (mantenuti), professionisti, burocrati di Partito, funzionari istituzionali e dipendenti delle società partecipate dei comuni governati dal Pd. Proletari pressoché inesistenti.

Puoi spiegare meglio questo passaggio?
view post Posted: 20/12/2019, 09:56 ingiustizie del capitalismo - Off topic
Haiti:bimbi nati da abusi dei Caschi blu
'Piccoli Minustah' frutto di coercizioni e stupri su minorenni
(ANSA) - NEW YORK, 19 DIC - Una nuova onta sulla missione dell'Onu a Haiti: centinaia di bambini nati da abusi dei caschi blu della missione Minustah su ragazzine di 12 o 13 anni e poi abbandonati. L'accusa è contenuta in un nuovo studio pubblicato su "Conversation", una rivista accademica internazionale sostenuta da un consorzio di università. Tra gli intervistati alcuni hanno citato casi di stupro, ma più spesso il rapporto sessuale avveniva in cambio di un piccolo pagamento o di un pasto.
view post Posted: 13/12/2019, 11:39 Sardine - Interno
Caro compagno anti-sardine, il problema sei tu.

Caro compagno,

Hai detto che il movimento delle sardine è una merda, perché vogliono solo farsi una foto da pubblicare sui social. Forse è così, vogliono solo farsi una foto. Ma guarda quella foto, compagno. Piazza della Repubblica è piena, e pure le vie laterali. Non l'avevamo mai vista così. La partecipazione è sempre un fatto positivo, indice di qualcosa che si muove nella società. La direzione non è mai già scritta. Caro compagno, a rimanere sui social a lamentarsi, stavolta, ci sei rimasto tu: quello che vorrebbe indicare la strada. Quella gente che disprezzi è scesa in piazza, chissà se vedrà il tuo post.

No, caro compagno, non sono (solo) i soliti. Sabato in piazza ho visto l'elettore storico del PD, il 5stelle della prima ora e il trentenne che non ha mai votato, la professoressa di sinistra e l'inquilino delle case popolari, lo studente delle superiori, l'immigrato e l'attivista del comitato territoriale della provincia, c'è il centro (soprattutto,ok) ma anche la periferia. Dici che è “la solita piazza della sinistra”, ma faresti bene a fare un po di inchiesta. Anche per i più pigri, in questo caso, viste le dimensioni del fenomeno, basta chiedere a parenti, amici e colleghi: c'erano? Non c'erano? Che pensano?... forza compagno, senza paura!

Vedi compagno, i movimenti sono sempre una cosa complessa. Sono sempre contraddittori, ambivalenti e pure ambigui. Esprimono quello che nella società si s-muove, ma esprimono sempre anche quello che nella società semplicemente c'è, perchè è dalla società e non dal mondo delle idee che i movimenti nascono. E tu inorridisci per questo. Ieri erano i forconi e poi i gilet gialli, che erano tutti fascisti. Oggi sono le sardine, che sono tutte pedine del PD. Inorridisci e resisti. Ti rivendichi la tua resistenza “nonostante” loro. Tu non riesci a cambiare la società, ma resisti ad essa. I movimenti passano, ma tu resti. Da solo, ma resti. Nessuno movimento apre mai la strada alla rivoluzione, e tu lo sapevi già da prima. Ogni movimento ti sottrae spazio a te, che sennò chissà cosa avresti fatto se non ci fossero stati loro. Poi i movimenti vanno via, e tu lo sapevi già che sarebbero durati poco. E tornerai sui social ma a lamentarti che non ci sono movimenti. La loro assenza giustificherà il tuo immobilismo. Sai, compagno, sei diventato esperto in un arte: trovare sempre un buon motivo per relegare la tua radicalità alle tue enunciazioni e alle tue autorappresentazione. La tua ragion di vita all'autoriproduzione. E se non c'è la rivoluzione è sempre colpa di quegli altri. Quelli che tu vuoi rappresentare. Con i tuoi simboli e i tuoi codici, le tue ragioni, i tuoi discorsi e le tue verità.

Firenze sardine piazza della repubblica

Ho letto i tuoi post su Facebook. In questi giorni hai pensato che il tuo compito fosse spiegare al mondo che le sardine erano un fenomeno costruito dai media e manipolato dal PD. Che al PD gli serviva per le elezioni. Insegnare le cose al mondo, giudicare i movimenti perchè non sono come tu li vorresti. No, compagno. Di fronte a fenomeni come questi, chi vuole trasfromare il mondo, deve avere meno spocchia e più umiltà, meno sentenze e più curiosità. Non è che ti sbagliavi, caro compagno. E' tutto vero: la spinta dei giornali e delle TV, la strumentalità per il PD... E' che dicendo quelle cose hai scoperto l'acqua calda, invece di provare a scoprire quello che non conosci, quello che non si vede, quello che non è noto né palese. Si, compagno. Perchè quando si muovono cose nuove, bisogna partire dalla consapevolezza di non sapere.

Perché tutta quella gente è scesa in piazza? Questa è la domanda giusta. E se ti rispondi che è solo perché glielo ha detto la TV stai solo confermando il mio sospetto che in fondo disprezzi quella gente in nome del quale dici di combattere ma di cui hai tu stesso un idea tremenda, e ti dovresti chiedere se sia proprio questo il problema, il vero motivo per cui nessuno ti segue. Ma comunque, per fortuna, non è così.

Molto è ancora da scoprire, ma un cosa è certa: alla base di questo movimento c'è una genuina voglia di tornare a partecipare, e di farlo in modo nuovo. C'è la voglia di reagire al populismo leghista che in questi anni ha imposto non solo politiche ma anche i termini e i temi del dibattito politico e sociale nel paese. C'è la voglia di non sentirsi soli nelle proprie posizioni e di riconoscersi in un qualcosa di comune. C'è il bisogno di esorcizzare insieme la preoccupazione che una parte di società sente su di sé pensando all'ascesa del leghismo a livello politico e culturale nel paese. La disponibilità a contribuire a qualcosa che possa contare, anche solo facendosi contare ed esprimere così una potenza. La piazza delle sardine non è “il solito corteo”, e anche per questo funziona.

Per te questo movimento “non dice nulla sui problemi sociali e quindi è borghese”. Ma quando i proletari si mobilitano per i loro bisogni e problemi più stringenti, sei lì a misurare il loro di livello di “politicizzazione” e molto spesso concludi, con la stessa velocità, che anche loro non hanno capito nulla. Il punto, compagno, è che di fronte a movimenti che si costruiscono già sulla dimensione della politica, il nostro compito dovrebbe essere quello di scorgere il sociale dietro la dimensione politica esplicita. E viceversa riuscire a rintracciare il politico dei conflitti che si costruiscono ancorati ad una contraddizione sociale.

Ho parlato con molte persone diverse tra loro che sono state in piazza. E' davvero difficile trovare qualcuno che non esprima in qualche forza la propria insoddisfazione per la piazza a cui ha partecipato. Insoddisfazione perché la voce dei capi-sardine non hanno dato le parole a quello che li ha spinti a scendere in piazza. E così è capitato che l'intervento di una ragazza che dopo aver offeso Salvini ha rivendicato come sardina il diritto all'odio verso ciò che lui rappresenta – nella piazza che secondo gli organizzatori doveva essere la piazza contro l'odio e gli insulti – abbia raccolto il più caloroso e appassionato applauso della piazza di tutta la breve serata. E che i tentativi di riparare e stigmatizzare le parole della ragazza da parte di una capo-sardina, subito dopo, siano stati condannate dalla piazza all'attesa di un applauso che non è arrivato e mai arriverà. Vedi compagno? I movimenti sono così. Le loro rappresentazioni politiche dei movimenti costruite dall'alto, quasi mai rappresentano cosa dentro si muove in basso. Ma tu ti fermi sempre sulle prime, pensando da lì di capire le seconde. Ma quella gente, evidentemente, non è un libro bianco su cui i nostri nemici scrivono ciò che vogliono. A volte, addirittura, fanno proprio quello che avresti fatto tu come in questo caso. Avresti applaudito la ragazza e non la capo-sardina. Ma attenzione, compagno, non lo fanno perché glielo hai detto tu.

Caro compagno, mi sembra che tu hai visto nelle Sardine il ritorno del mostro della sinistra. Io vedo quel mostro che è costretto a confrontarsi con la sua inesorabile crisi. Perché è un dato di fatto che il mondo delle organizzazioni della sinistra storica non sarebbe mai stata capace di produrre nemmeno lontanamente questi numeri nelle piazze. Per produrle, oggi, hanno bisogno di altro. Tu vedi spazi che si chiudono. Io vedo un processo profondamente ambivalente. L'estremo vuoto di contenuto “imposto” al movimenti dai capi-sardine appare come l'unica soluzione possibile per tenere insieme l'irriproponibilità di certe retoriche ed ordini discorsivi logori e la difesa dalla possibilità che se ne costruiscano di nuovi. Ed è su quella possibilità di costruire – anche sulle macerie della sinistra – qualcosa di nuovo capace di esprime in nuovi codici, prospettive e ordini del discorso una tensione sociale alla trasformazione e all'alternativa che per noi oggi vale la pena di scommettere. In questo senso, quel vuoto, è ciò che di meglio potessero offrirci i capi-sardine.

Insomma compagno, non sappiamo cosa ne sarà di questo movimento. Se continuerà né come continuerà. Se si daranno dei meccanismi di partecipazione, dibattito e confronto oppure tutto si limiterà alla proposta di comparsa collettiva in giganteschi flash-mob. Se tutto resterà ad uso e consumo del partito democratico, o se questo fenomeno si guadagnerà una sua minima autonomia. Probabilmente le sardine passeranno in fretta, proprio come dici tu. Ma quello che ha mosso migliaia di persone a scendere in piazza resta. Noi avremo la possibilità di tornare a fare quello che facevamo prima, come prima.

È proprio quello che desideri, compagno?
view post Posted: 13/12/2019, 11:09 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (vecio_ @ 11/11/2019, 19:41) 
Ah ok, l'avevo letta come riferita al cittadino medio che in caso di risultati negativi potrebbe avere un'idea sempre più negativa delle nazionalizzazioni in generale (e in chiave borghese come dargli torto, visti i risultati degli ultimi 50 e rotti anni).

Ammetto di essere stato troppo criptico nella mia replica.
Intendevo proprio dire che oggi un partito comunista che intende porsi alla testa della classe operaia non può permettersi di utilizzare parole d'ordine come nazionalizzazione. Pertanto, ritengo, al contrario di quanto afferma Carre, che per l'operaio dell'ILVA o per qualsiasi altro operaio non sia affatto straovvio che "la nazionalizzazione in ambito borghese non ha nulla a che fare con la proprietà di tutto il popolo" Può esserlo per noi, ma non per tutti.
Perciò ritengo che il Partito sbagli nell'appoggiare la linea della nazionalizzazione (io ritengo che sia anche una scelta tattica errata all'origine) senza un previo e approfondito esame circa la natura tattica di tale scelta e prescindendo da qualsiasi spiegazione in merito.
Inserirsi nelle contraddizioni borghesi non significa necessariamente aderire ad una delle proposte formulate da una delle fazioni in lotta tra loro.
view post Posted: 13/12/2019, 10:39 Ilva Taranto - Interno
DAL SINDACALISMO DI BASE AL PADRONE DI STATO
L’interessante evoluzione dell’Unione Sindacale di Base sulla vicenda ex Ilva. Dal presentarsi come alternativa ai Confederali a finire col firmare gli stessi accordi capestro. Dall’inventarsi scioperi inesistenti fino alla richiesta di un nuovo padrone di Stato.

Il 29 novembre il sindacato USB, in concomitanza del corteo ambientalista Friday For Future, ha indetto uno sciopero all’Ilva di Taranto con manifestazione nazionale cui hanno aderito delegazioni operaie di altre città, rappresentanze di partiti di sinistra e studenti. Alla testa del corteo i soliti sindacalisti di professione e politicanti a sciorinare slogan ritriti sulla “difesa della salute a Taranto” e l’urgenza “di un piano di riconversione per l’Ilva”.

Gli operai dell’acciaieria tarantina erano assenti, lo sciopero all’Ilva si è tenuto senza gli operai dell’Ilva, malgrado i toni trionfalistici con cui i dirigenti del sindacato hanno poi parlato di una “partecipazione operaia massiccia e significativa”. Ciò potrebbe portare a pensare che gli operai Ilva non avvertano la necessità di una mobilitazione, che restino indolenti mentre la casa brucia, o invece, più realisticamente, che siano ormai disillusi e non prestino più ascolto alle sirene dei sindacati, anche quelli cosiddetti alternativi come USB, che non siano più disposti a mobilitarsi a comando, a maggior ragione se il comando arriva da chi non ha più alcuna credibilità ai loro occhi.

Appena un anno fa USB e i sindacati confederali sottoscrivevano l’accordo con cui Mittal prendeva in fitto lo stabilimento e si impegnava ad acquisirlo dopo 18 mesi, con la tutela di uno «scudo penale», la garanzia della cassa integrazione e un lascia passare sugli esuberi.

Oggi le contraddizioni a Taranto stanno esplodendo, il padrone va dritto per la sua strada, i bonzi sindacali che sedevano ai tavoli di trattativa e che in ragione della sopravvivenza delle loro parrocchie, grandi o piccole che siano, dovevano far ingoiare agli operai qualsiasi accordo, decidono che è tempo di mobilitarsi. Di fronte al fallimento delle loro ipocrite propagande accusano gli operai di essere degli incoscienti, come è avvenuto davanti ai cancelli della ArcelorMittal il 29 novembre, quando i dirigenti USB hanno tentato invano di forzare gli ingressi. Usano gli operai come massa di manovra per i loro interessi di bottega: ora li vogliono accondiscendenti e comprensivi, pronti ad applaudire ai loro accordi, ora combattivi e intransigenti, quando c’è da far pressione per raggiungere…altri accordi.

Del resto gli operai hanno imparato sulla loro pelle che cosa significa stare al traino della piccola borghesia che tiene le redini dei sindacati: quali vantaggi ne ricaverebbero da chi si fa promotore di “una lotta per la nazionalizzazione e un piano di riconversione”? Gli statalisti incalliti della Rete dei Comunisti e di USB spargono ancora a piene mani l’illusione che con una gestione pubblica dei siti produttivi gli operai vedrebbero tutelati i loro interessi. Chiedono agli operai di cambiare padrone. Dal singolo capitalista al capitalista collettivo, lo Stato.

La nazionalizzazione è l’ultima spiaggia dei riformisti. Quando il baraccone capitalistico scricchiola, e in tempi di congiuntura economica questo è tanto più evidente, si appellano allo Stato affinché il profitto non cessi e lo sfruttamento operaio pure.

Questi sindacalisti da operetta con posizioni tipicamente interclassiste, affasciando interessi operai e quelli delle mezze classi, organizzano manifestazioni che rivendicano la chiusura dello stabilimento e la sua riconversione, come se la lugubre catena dello sfruttamento che si abbatte in primis sugli operai del siderurgico e di conseguenza sulla città, l’obsolescenza impiantistica, il tasso di inquinamento, dipendessero dalla produzione dell’acciaio in sé, non dal modo in cui i padroni estraggono profitti dall’acciaio lavorato dagli operai, cioè da un certo modo di produzione.

Anche nella lotta di Taranto per gli operai sarà fondamentale distinguere i loro precisi interessi da quelli delle altre classi. Prendere le distanze e lottare apertamente contro le direzioni sindacali asservite al padrone e quelle che gettano solo fumo negli occhi è un passaggio indispensabile, con la consapevolezza che nessuna proposta oggi in campo nasce nell’interesse operaio e che per una lotta generalizzata contro i padroni e la loro schiera di funzionari politici e sindacali è necessario muoversi sul terreno politico nell’ottica di una propria indipendenza, di un proprio partito. Il partito operaio.
A.B.
da Operaicontro.it
view post Posted: 10/12/2019, 16:22 Sardine - Interno
CITAZIONE (Khleb @ 9/12/2019, 20:36) 
probabilmente più penetrabili rispetto ai giovani

Compagno Khleb ad ognuno il suo :P
1957 replies since 3/10/2009