Comunismo - Scintilla Rossa

Crisi, lavoratori allo sbaraglio

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view post Posted on 16/8/2013, 11:22

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Napoli. La società licenzia i dipendenti:
tutti a casa tranne il dirigente



Astir, licenziati tutti i dipendenti. Si salva solo uno dei cinque dirigenti, che, con il nulla osta del curatore fallimentare, diventa capo del personale di un’altra partecipata della Regione, la Soresa. I lavoratori presentano esposti alla procura della Repubblica, alla Corte dei conti e alla Guardia di finanza e sottolineano la situazione all’assessore regionale al lavoro, Severino Nappi, che a sua volta ha inviato il materiale a Caldoro e a tutti i servizi interessati chiedendo di verificare la situazione ed eventualmente di intervenire.

Nel loro esposto i dipendenti Astir sottolineano di aver avuto dagli organi istituzionali spiegazioni sempre diverse. Qualcuno ha parlato di un concorso vinto, qualcun altro di un ricorso e qualcun altro ancora di passaggio di cantiere per cessione di contratto. Ma i lavoratori osservano che dalla Soresa non è stato bandito alcun concorso per la qualifica del dirigente che comunque non si è licenziato dalla Astir ma ha ricevuto un nulla osta. Secondo i sindacati, poi, non ci può essere cessione di contratto perchè questa è applicabile solo ai lavoratori a tempo indeterminato assunti a seguito di procedura pubblica, mentre nessun dipendente Astir ha fatto un concorso. Il comando poi dovrebbe essere escluso in presenza di procedura fallimentare. Per questo si chiede di verificare le possibili irregolarità.

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Modena: azienda approfitta del ferragosto
per svuotare la fabbrica e trasferirla in Polonia


Nel giorno di ferragosto lo stabilimento è stato svuotato con dei camion alla volta della Polonia.

Nel giorno di ferragosto la Firem, azienda specializzata nella produzione di resistenze elettriche con sede a Formigine, in provincia di Modena ha svuotato tutto lo stabilimento e l'ha trasferito in Polonia quindici dei quaranta dipendenti, racconta la Gazzetta di Modena, non appena hanno saputo che si stava svuotando la fabbrica, si sono riuniti in presidio permanente dalla tarda serata di ieri impedendo che un ultimo camion carico di materiale lasciasse lo stabilimento. Un tavolo di confronto con la proprietà, attraverso la mediazione di Comune di Formigine e Provincia, sarà avviato tra martedì e mercoledì.

“Pur in un periodo di forti difficoltà economiche – si legge in una nota del Comune – comportamenti come quelli tenuti dai titolari dell'azienda Firem sono censurabili sia nei modi sia nei tempi. Siamo vicini ai lavoratori e alle loro famiglie, disponibili insieme alle altre istituzioni e alle organizzazioni sindacali, ad avviare un confronto serio e costruttivo”.

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view post Posted on 19/8/2013, 12:50

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Detective privati anti-operai. Nuova moda padrona


Mentalità e metodi padronali ottocenteschi, ma potenziati dalle moderne tecnologie.
Rocambolesco licenziamento di un delegato Cobas alla Magna, nel livornese. La parola passa al giudice del lavoro.
Nobilitati da certa letteratura, sembra che i detective privati italiani, ex carabinieri perlopiù, si dedichino invece soprattutto a capire se le mogli mettono le corna, se le fidanzate sono ancora vergini, e se - ancora più prosaicamente - il delegato sindacale possa essere incastrato dal padrone e buttato fuori. Un po' come la Pinkerton negli States, al soldo dei padroni, ai tempi dei primi scioperi e della nascita del movimento operaio.

E' capitato ancora a Guasticce, in provincia di Livorno mentre nella vicina Pisa altri investigatori privati sarebbero alle calcagna degli occupanti di una fabbrica dismessa per cercare motivi utili allo sfratto. Marlowe si rivolterebbe nella tomba.

La direzione della multinazionale Magna, il 5 agosto, ha licenziato il delegato Rsu Cobas dello stabilimento che produce serrature per auto.

Motivazione, secondo il comunicato dei Cobas: «nel corso di un'assenza per malattia, essersi recato, durante la fascia oraria consentita, presso il terreno di sua proprietà per trascorrere qualche ora di relax, dedicandosi a minimali cure del fondo».

Il tutto sarebbe emerso dai controlli svolti, per conto di Magna, da un'"occhio privato" che ha attribuito al lavoratore anche l'ingresso in una casa in costruzione all'interno di un cantiere edile. In realtà, la versione del lavoratore è diversa. Sarebbe semplicemente andato a trovare un conoscente in una casa, che però non era affatto in costruzione. E l'ospite è pronto a dichiarare quanto è davvero avvenuto.

Una relazione inventata di sana pianta, secondo i Cobas, perché doveva servire alla direzione per mettere in piedi una montatura finalizzata a licenziare il delegato.

«E pensare che quella malattia era stata scatenata dal fatto che il capo dell'assemblaggio aveva costretto per due settimane, tra il 6 e il 31 maggio, il lavoratore a operare su postazione fissa in linea di montaggio, attività incompatibile con la sua situazione sanitaria, come risultante da una prescrizione medica del 2004, in base alla quale aveva lavorato per nove anni su macchine individuali».

Due settimane d'inferno, che avevano massacrato l'apparato muscolo-scheletrico del lavoratore. Non soddisfatta di questo risultato, la direzione aveva messo alle calcagna del delegato sindacale, tutt'altro che assenteista, un agente investigativo già dal settimo giorno della sua assenza. E questo in spregio agli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori, che vietano controlli come quelli subiti dal lavoratore: 24 controlli su 45 giorni di assenza.

Il delegato sarebbe finito nel mirino della multinazionale fin da quando era entrato in RSU, nel febbraio 2008, e la direzione aveva rivelato di essere fortemente ostile alla sua presenza ai "tavoli" di trattativa. Logica tipica del pugno di ferro del "padrone delle ferriere".

Spiegano ancora i Cobas locali - Sandro Giacomelli, Federico Giusti, Marcello Pantani - che il delegato ha chiesto per cinque anni il rispetto della rotazione nella gestione della cassa integrazione, prevista dalla legge e dall'accordo sindacale ma mai rispettata dalla direzione. E poi era fissato con la sicurezza ad esempio quando nel febbraio 2011 si inviavano all'assemblaggio pezzi con laccatura non ancora essiccata, che, esalando gas, provocavano malesseri anche gravi (con necessità di pronto soccorso ospedaliero, di uso di bombola d'ossigeno, di invio di intere squadre fuori dall'ambiente di lavoro, ecc.). Nella primavera di quest'anno, per evitare, in piena cassa integrazione, mesi di straordinario al sabato e alla domenica, il delegato proponeva una turnistica che richiamasse in fabbrica i cassa-integrati e scongiurasse la devastazione della salute dovuta alla fatica di un superlavoro ormai assorbente tutta la vita degli operai.

La multinazionale ha tentato in tutti i modi di umilare il lavoratore eletto dai suoi colleghi. Dovette intervenire una lettera del coordinamento Cobas al dirigente in questione per controbattere quella strategia.

Così si è giunti al licenziamento del 5 agosto, ampiamente annunciato non solo da cinque anni e mezzo che per il delegato Cobas sono stati una sorta di calvario sindacale, ma anche dai fuochi d'artificio di ben 4 contestazioni disciplinari (scaricate addosso, tra il 2 e il 31 maggio di quest'anno, dall'accoppiata capo dell'assemblaggio/capo del personale al proprio nemico n. 1), tutte risoltesi in una bolla di sapone per la loro inconsistenza.

«Finché il 22 luglio è arrivato il botto finale, la contestazione cui è seguito il licenziamento del 5 agosto, basata sulla barbarie dell'investigazione di un'agenzia, pagata per fare decisamente un ottimo servizio al committente, pagata per andare illegalmente a ficcare il naso nella vita privata di un cittadino, la cui unica colpa era stata quella di essersi ammalato a causa delle mansioni di lavoro assegnategli illegittimamente.

L'1 agosto il delegato in via di licenziamento e un coordinatore Cobas, che lo accompagnava per un incontro con l'azienda in cui chiarire le questioni sollevate da quelle contestazioni, non sono stati nemmeno ricevuti nell'ufficio del capo del personale, ma sono stati bloccati ai cancelli e fatti "accomodare" nel gabbiotto della vigilanza, raggiunti dopo una decina di minuti d'attesa dal "capo della disciplina" per un'audizione, che avrebbe rappresentato l'ultimo atto della persecuzione di un lavoratore, il quale, durante tutti quegli anni, si era battuto perché venissero rispettati i diritti suoi e dei suoi compagni e delle sue compagne di lavoro, tutti i diritti, compresi quelli al rispetto e alla dignità e al non chinare la testa di fronte al regime da caserma che imperversa in Magna».

Ultimo dettaglio del sadismo aziendale, il 5 agosto, il capo del personale ha telefonato al delegato per invitarlo ad andare a ritirare dalle sue stesse mani il verdetto che lo cacciava fuori dalla fabbrica.

Adesso la parola passerà al giudice del lavoro.

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Londra: stagista muore dopo 72 ore di lavoro


LONDRA - Uno stagista di 21 anni è morto dopo aver lavorato per 72 ore di fila. Moritz Erhardt, studente tedesco che stava facendo un tirocinio nella sede britannica di Bank of America, era a soli sette giorni dalla fine del suo stage estivo. Secondo le testimonianze raccolte dall’Independent, il giovane, che si dice fosse affetto da epilessia, è stato trovato morto nella doccia all’interno del dormitorio per studenti di Bethnal Green, nell’est di Londra. Il suo decesso, di cui restano ancora da chiarire le circostanze, ha aperto però un dibattito, soprattutto su internet, sugli stage nelle grandi banche che troppo spesso sottopongono gli aspiranti manager a massacranti orari di lavoro.
Un ex banchiere ha rivelato all’Independent che di solito i tirocinanti lavorano 14 ore al giorno. "Di solito arrivano a 100-110 ore di lavoro alla settimana - ha aggiunto - ma la gente sa quanto sia difficile e stressante questo tipo di impiego". Comunque, come ha sottolineato il giornale, gli stagisti della Bank of America sono pagati molto bene: circa 2.700 sterline al mese, oltre 3.100 euro.

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view post Posted on 2/9/2013, 13:59

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Licenziato con moglie e tre figli:
«Vendo un rene, non mangiamo più»


PORDENONE - «Siamo in cinque a dover mangiare e solo con i quattrocento euro mensili di mia moglie non ce la facciamo più. È due anni che ho perso il lavoro e dopo aver venduto tutto l’oro e i gioielli di famiglia facciamo fatica a mangiare. Ora è anche finito l’aiuto dei servizi sociali del Comune. Perciò ho deciso di vendere un rene al miglior offerente, solo così posso continuare a sfamare la mia famiglia». L’appello-choc arriva da un licenziato di 54 anni che vive con la famiglia in un piccolo centro della pedemontana pordenonese.

Fino a due anni fa Alessandro era un metalmeccanico manutentore. Ma quando la sua azienda di Bergamo ha chiuso, lui è stato licenziato. «Da quindici giorni - racconta la moglie, che lavora per un’impresa che fa le pulizie negli uffici postali, mangiamo bietole e uova solo grazie a qualche vicino che ha le galline e che ci dà una mano». L’altro giorno è arrivata anche la lettera del Comune dove si dice che il figlio piccolo non può usufruire dello scuolabus perché non sono stati pagati i 52 euro della retta dell’anno scorso.

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view post Posted on 5/9/2013, 14:05

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Fiat-Fiom - Dopo la carota, il bastone.


All’indomani dell’apertura di credito fatta alla Fiom, dopo la sentenza della Consulta, Sergio Marchionne ritira i remi in barca e dimostra che non è affatto disponibile a cedere al sindacato guidato da Maurizio Landini. Nel corso di un incontro a Torino con i firmatari del contratto di gruppo – quindi ancora una volta senza i metalmeccanici Cgil – l’amministratore delegato della Fiat ha annunciato un nuovo investimento di un miliardo su Mirafiori, dove verrà prodotto il Suv della Maserati. Subito dopo, l’affondo: in un comunicato congiunto con Fim, Uilm e gli altri firmatari, e successivamente in una lettera scritta di suo pugno e indirizzata ai dipendenti, ha invitato tutti i lavoratori a confermare la loro fiducia nel contratto e ha chiesto ancora una volta alla Fiom di abbandonare le riserve e aderire.

La Fiom, dal canto suo, non abbassa le penne, e replicherà questa mattina con una conferenza stampa di Landini a Torino. La notizia del miliardo di Mirafiori, seppure definita come «positiva», non soddisfa il sindacato: i lavoratori continueranno a fare cassa, spiegano alla Fiom, e un modello non basterà per far andare a pieno regime uno stabilimento che nel piano del 2010 (il celeberrimo «Fabbrica Italia») avrebbe dovuto gestirne almeno due. Quindi ancora una volta, l’accusa a Marchionne di non rispettare i suoi passati annunci, e una nuova richiesta al governo di convocare un tavolo sull’auto.

Scrivendo ai dipendenti, Marchionne spiega che quello attuale è un momento «in cui è necessario prendere decisioni coraggiose»: perché la Fiat si è ripresa rispetto a quel 2004 in cui lui stesso arrivò al timone («era sull’orlo del fallimento») e poi ha dovuto affrontare la grande crisi, quella iniziata nel 2008, che ha ridimensionato i programmi ambiziosi ipotizzati inizialmente. Ancora, l’ad Fiat spiega che a fine 2013, a causa della debolezza del mercato europeo, quattro big dell’auto «Fiat, Psa Peugeot-Citroen, Ford e General Motors, chiuderanno con perdite di 5 miliardi di euro». Allora è importante che ci si rimbocchi le maniche.

Ai dipendenti, Marchionne chiede di «continuare a tenere fede agli impegni presi nel contratto, nonostante la mancanza di certezze normative che si è creata a seguito della recente pronuncia della Consulta. Abbiamo invocato a lungo quelle certezze, ma ci siamo resi conto che purtroppo non sembrano destinate ad arrivare in tempi brevi. Noi non possiamo più permetterci di aspettare. E non potete farlo neppure voi». Il contratto, «sottoscritto dalla maggioranza dei sindacati che vi rappresentano, e i referendum con cui avete scelto di condividere i nostri progetti di rilancio e andare verso un futuro di modernità ed eccellenza, sono le uniche cose che ci servono ora».

A fronte di questo impegno, Marchionne elenca i prossimi investimenti: a Mirafiori, dove però oltre al miliardo investito chiede la proroga della cassa; a Pomigliano («abbiamo trasferito la produzione della Panda dalla Polonia e creato un impianto modello»;, a Melfi (altro miliardo di euro investiti per la 550X e una Jeep) e a Grugliasco (oltre un miliardo per Maserati 4porte e Ghibli). Quindi l’invito, ma questo inserito nel comunicato congiunto con i sindacati, alla Fiom di accettare le regole basilari della democrazia industriale, aderendo ad un contratto firmato dalle organizzazioni sindacali largamente maggioritarie in Fiat».
La Fiom risponde a tono: «Dalle dichiarazioni stampa dei sindacati firmatari, anche se nella nota congiunta non se ne trova traccia, Mirafiori passa da due modelli, annunciati nel 2010 da Fiat, a un solo modello per la cui realizzazione ci sarebbe bisogno di ulteriore cig, senza certezze sul futuro. Continuiamo a ritenere urgente che il governo convochi un tavolo».
 
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Avellino. Avvisi di garanzia agli operai Irisbus


La Procura della Repubblica di Ariano Irpino (Avellino) ha inviato alcuni avvisi di garanzia ad un gruppo di operai dell'Irisbus che, il 15 ottobre 2011, presidiavano i cancelli della fabbrica per impedirne lo smantellamento dopo l'annucio della Fiat che intendeva dismettere lo storico stabilimento di autobus.

Si tratta di una vera e propria vendetta postuma contro un gruppo di lavoratori combattivi che nel corso del tempo sono stati in prima fila nella Vertenza contro la desertificazione produttiva operata dalla Fiat e contro i vari tentativi di speculazione finanziaria e produttiva nella Valle Ufita.

Ai lavoratori è giunta la solidarietà della Federazione Irpina del Prc, di Ross@ Campania e di numerosi centri sociali della Campania
 
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Napoli. Corteo per l'Astir e per il lavoro


Contro i licenziamenti e la cassa integrazione all'Astir spa e in tutte le altre aziende, a partire dalle partecipate. Corteo stamattina a Napoli per il reintegro di tutti i 458 licenziandi dell'Astir.

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Ricatto di Riva: chiude sette stabilimenti, licenzia 1.500 operai. Nazionalizzare subito!


Il gruppo industriale-finanziario della famiglia Riva, già inquisito per disastro ambientale, ha annunciato che da domani metterà in libertà circa 1.500 lavoratori che operano nelle 13 società riconducibili alla famiglia e oggetto del sequestro di beni e conti correnti per 916 milioni di euro operato dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale. Quella che di fatto si configura come una “serrata” riguarderebbe vari siti produttivi che il gruppo Riva possiede in tutta Italia.

Riva Acciaio ha confermto in una nota la cessazione a partire da oggi di tutte le attività dell’azienda, esterne all’Ilva. Si tratta di sette stabilimenti in cui sono impiegati circa 1.400 lavoratori. La Riva annuncia che verrano chiusi gli impianti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco) e di servizi e trasporti (Riva Energia e Muzzana Trasporti). A Taranto la società interessata dalla ritorsione sarebbe “Taranto Energia”, con 114 dipendenti. L’azienda ha già convocato per domani i sindacati di categoria, pare prospettando problemi per il pagamento degli stipendi. La decisione viene motivata con il sequestro preventivo penale del Gip di Taranto. “Tali attività non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva - afferma l’azienda - e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento Ilva di Taranto”. “La decisione - afferma la società nella nota comunicata al custode dei beni cautelari, Mario Tagarelli, e illustrata alle rappresentanze sindacali dei diversi stabilimenti coinvolti - si è resa purtroppo necessaria poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto, datato 22 maggio e 17 luglio 2013 e comunicato il 9 settembre, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio i cespiti aziendali, tra cui gli stabilimenti produttivi, e vengono sequestrati i saldi attivi di conto corrente e si attua di conseguenza il blocco delle attività bancarie, impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali, fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività”. Non solo: “Riva Acciaio impugnerà naturalmente nelle sedi competenti il provvedimento di sequestro, già attuato nei confronti della controllante Riva Forni Elettrici e inopinatamente esteso al patrimonio dell’azienda - conclude l’azienda -, in lesione della sua autonomia giuridica, ma nel frattempo deve procedere alla sospensione delle attività e alla messa in sicurezza degli impianti cui seguirà, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, la sospensione delle prestazioni lavorative del personale (circa 1.400 unità), a esclusione degli addetti alla messa in sicurezza, conservazione e guardiani degli stabilimenti e dei beni aziendali”.

L’ennesimo ricatto della famiglia Riva, che di fatto usa come ostaggio centinaia di lavoratori, conferma come l’unica soluzione per salvaguardare insieme lavoro, salute e ricchezze del paese sia la nazionalizzazione dell’Ilva e l’esproprio ad una famiglia di prenditori senza scrupoli.
 
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CITAZIONE
L’ennesimo ricatto della famiglia Riva, che di fatto usa come ostaggio centinaia di lavoratori, conferma come l’unica soluzione per salvaguardare insieme lavoro, salute e ricchezze del paese sia la nazionalizzazione dell’Ilva e l’esproprio ad una famiglia di prenditori senza scrupoli.

Vorrei chiedere ai compagni di contropiano: ma chi nazionalizza l'Ilva? Il governo Alfano-Letta? Un diktat di Napolitano?
E' chiaro che prima, o almeno insieme, di lanciare la parola "nazionalizzare", bisogna lanciare altre parole d'ordine.
 
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La nazione unita e ben salda, è una balla borghese e come evidenziato dal compagno Carre, nazionalizzare, equivale, ora, al lanciare il monopolio dal borghese privato, allo stato borghese. Certo, si risolverebbe il caso Riva, ma credete veramente che dall'altra parte, ad aspettare tutti quei lavoratori, ci sia un'ultraterrena carezza di compassione fraterna?
 
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CITAZIONE (carre @ 15/9/2013, 22:53) 
CITAZIONE
L’ennesimo ricatto della famiglia Riva, che di fatto usa come ostaggio centinaia di lavoratori, conferma come l’unica soluzione per salvaguardare insieme lavoro, salute e ricchezze del paese sia la nazionalizzazione dell’Ilva e l’esproprio ad una famiglia di prenditori senza scrupoli.

Vorrei chiedere ai compagni di contropiano: ma chi nazionalizza l'Ilva? Il governo Alfano-Letta? Un diktat di Napolitano?
E' chiaro che prima, o almeno insieme, di lanciare la parola "nazionalizzare", bisogna lanciare altre parole d'ordine.

mi auguro le sottintendano ...
 
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Forse i compagni di Senza Tregua hanno le idee più chiare... L'esproprio non lo vedono in "chiave rivoluzionaria" ma soltanto come semplice risarcimento per i danni cagionati dai Riva.

ESPROPRIARE L’ILVA E I PROFITTI DEI RIVA A TITOLO DI RISARCIMENTO.


Ormai più di un anno è passato dallo scoppio della vicenda Ilva e niente è stato risolto. Era il 26 luglio 2012 quando su richiesta del procuratore Franco Sebastio il gip di Taranto patrizia Todisco emise l’ordine di sequestro senza facoltà d’uso dei sei impianti del’area a caldo dell’industria. Principali elementi d’accusa sono le maxiperizie ambientali ed epidemiologiche che dimostravano (e dimostrano tuttora) la situazione drammatica in cui versa la città di Taranto. Questa ordinanza della Procura, però, è stata scavalcata dall’autorizzazione ambientale integrata (AIA, legge 231) disposta dal ministro Clini sotto il governo Monti. Ciò ha permesso alle installazioni poste preventivamente sotto sequestro di continuare a produrre con le medesime tecnologie di prima.
Analizzando i dati delle emissioni di questi impianti, possiamo vedere come, per esempio, le esalazioni della cokeria (costruita a 300 metri dalle case, dove la distanza minima di sicurezza sarebbe 1900 metri) siano 4 volte superiori al valore stabilito dalle legge (69.6 g/t è il valore stimato, 17,2 g/t è l’inquinamento massimo consentito). Questo alto tasso di inquinamento di benzo(a)pirene (infestante cancerogeno e genotossico) equivale per un bambino a respirare un quantitativo di 700 sigarette l’anno. Situazione particolarmente critica è anche quella del camino E312 dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva noto per le emissioni di diossina. Il valore misurato dal gestore è pari ad 85,5 kg/h contro il valore massimo di 51 kg/h (dunque 1,6 volte superiore). Le 5 famiglie di una palazzina che si affacciavano su questo camino sono state decimate dal cancro.
La contraddizione dell’industria Ilva di Taranto risiede nella sua costruzione “al contrario”: l’area a caldo fu edificata vicina alle case e l’area a freddo lontana, mentre doveva essere fatto l’esatto opposto. Naturalmente “l’inversione” delle aree, similmente agli alti valori di emissione citati sopra, necessiterebbero di una riqualificazione e ristrutturazione del complesso industriale: ma tutto ciò non fu mai preso in considerazione in virtù dei trattamenti costosi che farebbero impennare i costi di gestione, e che causerebbero parallelamente una diminuzione del profitto. Giusto per citare un dato, la copertura dei parchi minerali dell’Ilva costerebbe un miliardo di euro, decisamente troppo per il grande capitale industriale e i grandi interessi monopolistici dei Riva incentrati solo sull’obiettivo dell’ utile.
Il nucleo della Guardia di Finanza coordinato dal tribunale di Milano, ha scoperto come tra il 1996 e il 2006 la famiglia Riva abbia depredato dalle casse aziendali 1 miliardo e 100 milioni trasferiti poi nelle isole del Jersey, paradiso fiscale della Manica. Questi soldi sono stati drenati dalla società “Fire Finanziaria” spa, trasformata in “Riva Acciaio” e poi in “Fire Finanziaria” e trasferiti a società di partecipazione estere e offshore grazie a tre operazioni di passaggi di proprietà di partecipazioni industriali (1995, 1997 e 2003-2006 ) “tutte conseguenti all’acquisizione dall’Iri dell’Ilva spa e quindi – si legge nelle carte dell’inchiesta – fittiziamente intestato a otto trust al fine di agevolarne il riciclaggio e il reimpiego”. Le cessioni tra questi consorzi procuravano alla famiglia enormi plusvalenze giacché “i prezzi delle cessioni erano artificiosi e funzionali a frodare, spostando liquidità dalla holding alle persone fisiche, dall’Italia all’estero”.
Tutto ciò avveniva mentre nella zona di Taranto si registravano innalzamenti delle persone ammalate di tumore. Secondo i periti sentiti dalla procura, negli anni 2004-2010 vi sarebbero stati mediamente 83 morti all’anno a causa del non rispetto dei valori massimi di polveri sottili nell’aria, che salgono però ad 91 se si prendono in considerazione i quartieri geograficamente più vicini alla fabbrica Borgo e Tamburi (dove 70% delle donne soffre di endometriosi e infertilità e gli aborti spontanei sono frequentissimi), mentre le degenze per cause cardio-respiratorie ammonterebbero a 648 all’anno. Ma la situazione peggiore riguarda gli ex operai dello stabilimento tra gli anni settanta e novanta, i quali “hanno mostrato un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%).”
Dunque l’espropriazione del complesso industriale non deve essere considerata una violazione dei diritto di proprietà ma come titolo di risarcimento dei molteplici danni causati dalla famiglia Riva e subiti da tutta la città e provincia di Taranto. Un esproprio che per sua natura non deve richiedere indennizzo. Se si analizza infatti per quale motivo l’acciaio dell’ILVA è rimasto competitivo nel mercato internazionale si capisce pienamente come l’acquisizione del profitto sia legato al danno ambientale. Non potendo contare sul basso costo della forza lavoro, rispetto ai cosiddetti paesi emergenti, i Riva hanno mantenuto il prezzo dell’acciaio competitivo sul mercato internazionale, evitando sistematicamente ogni misura di adeguamento ambientale richiesta. Ma questo profitto che è stato privatizzato ha riversato i suoi danni sull’intera collettività.
Ora che la magistratura ha appurato anche sotto il profilo legale, le responsabilità dei Riva, sarebbe necessario un serio intervento da parte dello Stato, che tuttavia appare assai legato agli interessi economici della grande famiglia Riva, con le sue partecipazioni azionarie in molte società d’interesse strategico. Non si devono aspettare i sequestri della magistratura, che lasciano ai Riva l’arma del ricatto di fermare gli stabilimenti produttivi nel resto d’Italia, mandando a casa migliaia di lavoratori e provocando una catastrofe nell’indotto. E’ necessario espropriare senza indennizzo i beni della famiglia Riva, mandando avanti il lavoro delle industrie oggi paralizzate dal loro ricatto, utilizzare i fondi illegalmente ed illegittimamente ottenuti dalle loro società, per effettuare quella riconversione ambientale dell’Ilva che i lavoratori e i cittadini di Taranto aspettano da anni.
Tutto questo ovviamente non può rimanere sotto il controllo di commissari nominati tra manager, di società ed imprese note e stranote, consiglieri di amministrazione immischiati nelle partecipazioni collettive in aziende, banche, società. I lavoratori e i cittadini di Taranto sono gli unici che possono realmente controllare l’avanzamento dei lavori di bonifica, gli unici che hanno interesse alla tutela del lavoro e della salute, senza che tra questi due elementi si inneschi quel conflitto che oggi il capitale vuole far passare per inevitabile. Taranto non deve essere una nuova Bagnoli
 
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Esproprio ai borghesi, per far guadagnare lo stato borghese..
 
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Se gli utili vengono dati hai danneggiati e l'azienda viene autogestita dai lavoratori cambiano un po le cose, ma siamo ben lontani dal socialismo... Togliere soldi ai Riva e darli alle persone danneggiate (non allo Stato) non mi dispiace...
 
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Questo si, ma la nazionalizzazione, sarà realmente positiva per quei lavoratori?
 
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