Comunismo - Scintilla Rossa

Antonio Gramsci

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CavriagoSkin
view post Posted on 21/1/2008, 17:09




se il parma è magico cicciolina è vergine...

Edited by CavriagoSkin - 22/1/2008, 09:43
 
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Lepontico
view post Posted on 22/1/2008, 09:43




Ma Carre: hai citato continuamente passi che poco hanno a che vedere con il tema che ho posto. Ti ripeto che non sono così ingenuo da non capire l'importanza che può avere un partito comunista, figuriamoci! Ma non è qui il punto.
Hai citato la Comune come esperienza esemplare di dittatura del proletariato (che effettivamente lo è, dato che Marx ed Engels nel descrivere la dittatura proletaria si riferiscono alla Comune): ebbene, la Comune fino a prova contraria non fu un governo retto dal partito comunista! Fu un governo al 100% popolare e di certo non monopartitico. Quell'esperienza fu l'esempio di democrazia diretta, ovvero il proletariato si gestisce da sè e certamente il partito ha un ruolo fondamentale, ma non nella gestione diretta. Questo è quanto dice Marx e io sono completamente d'accordo con lui; ed è anche quanto ho appreso dalla lettura di Gramsci.
Ho capito che secondo te il partito comunista deve essere esso stesso il proletariato, ma è una tua affermazione di valore che io credo convintamente sia impossibile e che in ogni caso non ha nulla a che vedere con il pensiero di Marx o di Gramsci.
Ti ripropongo ancora una volta la gestione della democrazia a Cuba: perchè lì funziona un sistema simile a come l'ho descritto io? Perchè lì il proletariato effettivamente esercita democrazia a prescindere (nella maggior parte dei casi) dal partito comunista? E ti faccio presente che è un sistema che dura ed è duraturo, che infonde la rivoluzione e il suo spirito continuamente nelle masse...come è possibile infondere spirito rivoluzionario nelle masse se queste non possono esercitare democrazia diretta ma lo fa il partito per loro? E non significa niente se è il partito del proletariato e se non è un partito borghese, ma da qui a sostenere che dunque le masse non sentiranno uno scollamento, questo sì, è idealistico! E' una credenza, o un'affermazione di valore tua che non ha riscontro scientifico.




comunque, su Gramsci.
Ieri sera sono stato a una presentazione del libro di Alberto Burgio "per Gramsci". Veramente un ottimo lavoro quello di Burgio!
 
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Lepontico
view post Posted on 22/1/2008, 10:24




CITAZIONE
i problemi però secondo me cominciano a sorgere nel momento in cui il partito si distacca o più o meno dalle esigenze della gente,perciò e bene a mio avviso che il ruolo del partito non rimanga sempre quello di guida del popolo, ma che esso, una volta acquisita la coscienza necessaria(attraverso un lavoro fatto bene dal partito) possa gestirsi in maniera,diciamo, più autonoma dal partito

E' pura utopia che il partito del proletariato sia sempre e per sempre il proletariato stesso, utopia. E tra l'utopia e la democrazia io scelgo la democrazia. Non dovremmo neanche mettere in discussione l'autonomia popolare, la missione dei comunisti non è imporre un governo del partito comunista, ma un governo popolare, che riconosca cioè quali sono gli interessi oggettivi della classe maggioritaria e per fare ciò occorre una cultura dominante chiaramente comunista.
 
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BrigataGaribaldi
view post Posted on 22/1/2008, 11:57




bravo. Un'ottima analisi sulla quale concordo quasi totalmente.
 
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view post Posted on 22/1/2008, 12:10
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compagno

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CITAZIONE (Lepontico @ 22/1/2008, 10:24)
E' pura utopia che il partito del proletariato sia sempre e per sempre il proletariato stesso, utopia. E tra l'utopia e la democrazia io scelgo la democrazia.

No tu scegli le chiacchiere da club radical-chic.
Senza il Partito tu impedisci al proletariato la presa, la gestione del potere ed il socialismo. Il tuo sostenere il Partito è un sostegno a parole, perché nei fatti sostieni la democrazia. Siccome non esiste la democrazia "pura", evidentemente sostieni la democrazia parlamentare borghese, col suo finto multipartitismo e quant'altro.
Caro, Lepontico, non si scappa. Il Partito del proletariato rappresenta, anzi deve rappresentare la gran parte del proletariato, deve essere composto dalla parte migliore del proletariato, deve fare ed attuare tutto quanto ho riportato nei miei precedenti interventi.
E' chiaro che finché la società sarà divisa in classi, ed in classi antagoniste te lo ricordo, non rappresenterà mai tutto il proletariato. Per cui nessuna utopia. L'utopia la lasciamo a chi si lascia irretire dall'idealismo piccolo-borghese che ciancia di vie parlamentari al socialismo e così discorrendo. L'utopia è poter pensare di trasformare veramente il capitalismo senza porsi l'obiettivo assai reale del potere. L'utopia è pensare di spodestare i detentori di tutti i mezzi di produzione con le chiacchiere, con l'elemosine, con la buona volontà, con le "idee giuste", ma, per carità, senza il Partito Comunista.
Solo una idealità traviata dal veleno del revisionismo moderno non capisce che il Partito è indispensabile, ma che non è esso stesso un fine, ma soltanto un mezzo. Il socialismo lo fa il proletariato ed il proletariato stesso compone e decide del suo Partito che lo guida in qualità di Stato Maggiore, nella più impegnativa di tutte le guerre, nella guerra che finalmente il proletariato combatte per i suoi interessi e non per quelli dei padroni. Secondo la tua visione distorta del partito, credi che questo sia un'entità superiore e distaccata dalle masse. Questo è vero per i partiti borghesi, che usurpino o meno il titolo o il simbolo dei comunisti, ma non è vero per il Partito di Lenin, per il Partito di Stalin, per il Partito di Mao, per quei grandi Partti Comunisti, cioè, che hanno saputo portare il proletariato alla vittoria sullo sfruttamento dell'uomo sill'uomo. Lenin e Stalin, stanno a Togliatti e Berlinguer, come Giotto e Michelangelo stanno alla carta da parati!Caro lepontico, la tua è utopia, quindi, ma quella dei caporioni borghesi revisionisti antichi e moderni, è stato tradimento, è stata collusione con il capitale.
 
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timosenko
view post Posted on 22/1/2008, 13:07




quoto in toto carre.
 
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rikycccp
view post Posted on 22/1/2008, 17:38




Sono in gran parte d'accorod con carre, ad eccezione della chiosa finale, in cui mette sullos tesso piano togliatti e berlinguer.
Il primo nonostante gli errori e alcune cedevolezze nei confronti dei partiti borghesi perseguiva la formazione di un forte partito del proletariato, il secondo ha destrutturato e distrutto il medesimo partito, utilizzando alcune teorizzazioni gramsciane e di Togliatti (depurate degli elementi marxisti leninisti); quali la via italiana al socialismo, la democrazia progressiva ecc.

Per tornare a Gramsci: in questi è presente e continua l'analisi sulla formazione dei partiti intesi come trasposizione sull'arena politica di interessi di classi differenti, così alcuni partito vengono a decadere o a pesar meno a seconda delle configurazione e delle evoluzioni delle varie classi nella società.
Da marxisti dovremmo cercare di fare una sintesi fra le tesi di destra di lepontico e quelle di sinistra di carre
 
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view post Posted on 22/1/2008, 19:07
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compagno

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CITAZIONE (rikycccp @ 22/1/2008, 17:38)
Da marxisti dovremmo cercare di fare una sintesi fra le tesi di destra di lepontico e quelle di sinistra di carre

Più che da marxisti, mi sembra un comportamento da "andreottiani"! ;)
 
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rikycccp
view post Posted on 22/1/2008, 22:06




CITAZIONE (carre @ 22/1/2008, 19:07)
CITAZIONE (rikycccp @ 22/1/2008, 17:38)
Da marxisti dovremmo cercare di fare una sintesi fra le tesi di destra di lepontico e quelle di sinistra di carre

Più che da marxisti, mi sembra un comportamento da "andreottiani"! ;)

e allora facciamo gli andreottiani!
scherzi a parte io mi riferivo a un processo dialettico (tesi, antitesi, sintesi)
andreotti le mediazioni le faceva dande poltrone :P
 
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view post Posted on 22/1/2008, 23:21
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compagno

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oppure ... baci.
 
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Lepontico
view post Posted on 23/1/2008, 13:00




Carre, non mi convinci, ma soprattutto noto che non intendi bene ciò che ho scritto, evidentemente non mi so spiegare molto bene.

CITAZIONE
Senza il Partito tu impedisci al proletariato la presa, la gestione del potere ed il socialismo. ....... L'utopia è poter pensare di trasformare veramente il capitalismo senza porsi l'obiettivo assai reale del potere. L'utopia è pensare di spodestare i detentori di tutti i mezzi di produzione con le chiacchiere, con l'elemosine, con la buona volontà, con le "idee giuste", ma, per carità, senza il Partito Comunista.

Quello non è il mio pensiero. Ripeto che io sono convinto della funzione e del ruolo del partito comunista (se ne avessimo uno potremmo anche fare discorsi meno campati in aria) per la presa del potere politico, il partito agisce nella sfera politica, dovrebbe essere uno strumento della classe per la presa del potere politico, accanto all'azione della classe stessa nella società, per l'egemonia ecc. Quindi, ovviamente, ogni partito deve necessariamente ragionare sul potere, ogni partito nasce per prendere o per partecipare al potere, quindi anche il partito comunista. Non credo (magari mi sbaglio, ma l'esperienza mi induce a pensarlo) che senza una struttura partito, o quanto meno una rete di tipo partitica, si possa oggi prendere il potere politico, quindi niente chiacchiere o elemosine, quello non è il mio pensiero.

CITAZIONE
Il tuo sostenere il Partito è un sostegno a parole, perché nei fatti sostieni la democrazia. Siccome non esiste la democrazia "pura", evidentemente sostieni la democrazia parlamentare borghese, col suo finto multipartitismo e quant'altro.

Mi sono posto in un contesto di socialismo, e sono più che convinto di affermare che la democrazia "pura" esiste, eccome se esiste, negarlo significa negare la validità del marxismo. Dunque certo che sostengo la democrazia! Di certo non quella limitatissima e affannata del nostro contesto, mi sono posto in un futuribile contesto di socialismo apposta per quello: di fronte alla gestione del potere da parte del partito (dirigismo, democrazia ma interna al partito, decisioni dall'alto) e alla gestione del potere da parte della base (democrazia), mi schiero senza ombra di dubbio con quest'ultima.
Tu sostieni che in realtà partito comunista e base popolare sarebbero la stessa cosa. Qui è l'utopia. Sarebbe bello se così fosse, ma storicamente non lo è mai stato: come dimostrazione ti presento la Comune e la Russia del '17; nel primo caso l'applicazione diretta della democrazia fu di esempio proprio a Marx nella descrizione della dittatura proletaria, quindi niente da obiettare, c'è solo da notare che proprio perchè era la base, a prescindere da partiti, ad esercitare il potere (con rappresentanza ma diretta), vi parteciparono elementi provenienti da partiti e posizioni politiche diversissime: questo è quello che Marx intende con dittatura del proletariato. Nel caso della Russia rivoluzionaria abbiamo invece l'esperienza dei soviet: appunto, i Soviet! I consigli vennero creati per la partecipazione diretta delle masse nella gestione del potere; che bisogno ci sarebbe stato di creare i Soviet se tanto le masse erano già il partito? Qui è la contraddizione, che dimostra secondo me come la classe è una cosa e il suo partito un'altra, sebbene chiaramente ne rappresenti le istanze in modo diretto ed autentico. Se allora si era convinti che la classe era il suo partito, allora tanto valeva creare i Soviet, si poteva subito far che sostituirli con le sezioni del partito e sostituire i comitati regionali con gli esecutivi politici regionali fino al capo: sostiuire il parlamento con il comitato centrale e il governo con la direzione del pcus. (Notare che nei fatti così si è verificato, è ciò che sostengo da tempo, solo che formalmente e in linea teorica lo stato e il partito sovietico riconosceva in modo chiaro la separazione tra stato e partito, come principio leninista e marxista).
Se dunque un partito è di fondamentale importanza per la presa del potere, altrettanto importante è per la costruzione di una società nuova, importante per infondere sulla società stessa la propria ideologia, creare consenso, egemonia, non coercizione. Lo scopo del socialismo è la liberazione del lavoro, è il "mito" democratico della legge giusta come legge che ognuno darebbe a sè stesso, è in questo caso che Marx, Lenin, e successivamente Gramsci, "idearono" i consigli popolari, i consigli di fabbrica, i Soviet come istituzioni popolari di democrazia diretta, per la gestione del potere; se essi avessero sostenuto che il partito è la stessa cosa della classe che rappresenta sarebbero caduti in una contraddizione poichè uno degli scopi del marxismo e motivo portante della democrazia diretta è dimostrare che la rappresentanza fine a sè stessa è cosa ben diversa dalla rappresentanza diretta. Allo stesso modo loro stessi non avrebbero mai ideato i consigli come luogo specifico, ma avrebbero ideato le sezioni di partito come istituzioni legali! Questo sarebbe dirigismo, ovvero blanquismo, una corrente socialista-utopista che non a caso fu osteggiata da Marx. Il concetto di egemonia, di dittatura del prestigio da parte del partito come vedi è presente nella pratica del primo stato sovietico, quello rivoluzionario, antecedente alla guerra civile, in cui appunto la separazione tra stato e partito era autentica, sancita dal lavoro dei Soviet; al loro fianco il partito si poneva come forza puramente egemone, non come unico detentore del potere.

CITAZIONE
Secondo la tua visione distorta del partito, credi che questo sia un'entità superiore e distaccata dalle masse.

No. Non è la mia visione. Il partito rivoluzionario è il proletariato nel senso che è composto dal proletariato, è l'ovvio detentore della sua ideologia, delle sue istanze prime, ne il più autentico interprete e strumento. Il partito deve agire per infondere la propria ideologia (proletaria) nella società, deve agire per essere egemone, e per creare consenso. Ma una cosa è il partito e un'altra è lo stato socialista.
 
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view post Posted on 23/1/2008, 16:39
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compagno

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Accetto gran parte delle tue osservazioni, tranne che:
1) La democrazia "pura" è una categoria vuota ed idealistica e lo spiega bene Lenin in "Stato e Rivoluzione"
Discutendo sullo Stato si cade abitualmente nell'errore contro il quale Engels mette qui in guardia e che noi abbiamo già prima segnalato di sfuggita: si dimentica cioè che la soppressione dello Stato è anche la soppressione della democrazia, e che l'estinzione dello Stato è l'estinzione della democrazia.
A prima vista questa affermazione pare del tutto strana e incomprensibile: alcuni potrebbero forse persino temere che noi auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non verrebbe osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza; perché in definitiva che cos'è la democrazia se non il riconoscimento di questo principio?
No! La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione della violenza sistematicamente esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra.


E ancora:
Gli Scheidemann e i Kautsky parlano di "democrazia pura" o di "democrazia" in generale per ingannare le masse e per nascondere loro il carattere borghese della democrazia attuale. Continui la borghesia a detenere nelle sue mani tutto l'apparato del potere statale, continui un pugno di sfruttatori a servirsi della vecchia macchina statale borghese! Va da sé che la borghesia si compiace di definire "libere", "eguali", "democratiche", "universali" le elezioni effettuate in queste condizioni, poiché tali parole servono a nascondere la verità, servono a occultare il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione e il potere politico rimangono nelle mani degli sfruttatori e che è quindi impossibile parlare di effettiva libertà, di effettiva eguaglianza per gli sfruttati, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione. Per la borghesia è vantaggioso e necessario nascondere al popolo il carattere borghese della democrazia attuale, presentare questa democrazia come una democrazia in generale o come una "democrazia pura", e gli Scheidemann, nonché i Kautsky, ripetendo queste cose, abbandonano di fatto le posizioni del proletariato e si schierano con la borghesia.
Marx ed Engels, quando hanno redatto insieme per l'ultima volta (nel 1872) la prefazione al Manifesto comunista, hanno ritenuto di dover richiamare l'attenzione degli operai sul fatto che il proletariato non può limitarsi a prendere possesso della macchina statale già pronta (cioè borghese) e a metterla in moto per i propri fini, ma deve invece spezzarla, distruggerla. Il rinnegato Kautsky ha scritto tutto un opuscolo sulla Dittatura del proletariato, nascondendo agli operai questa fondamentale verità marxista, snaturando l'essenza del marxismo, e si può capire che gli elogi intessuti all'opuscolo dai signori Scheidemann e soci siano pienamente meritati, in quanto elogi prodigati dagli agenti della borghesia nei confronti di chi passa dalla parte della borghesia.
Parlare di democrazia pura, di democrazia in generale, di uguaglianza, libertà, universalità, mentre gli operai e tutti i lavoratori vengono affamati, spogliati, condotti alla rovina e all'esaurimento non solo dalla schiavitù salariata capitalistica, ma anche da quattro anni di una guerra di rapina, mentre i capitalisti e gli speculatori continuano a detenere la "proprietà" estorta e l'apparato "già pronto" del potere statale, significa prendersi gioco dei lavoratori e degli sfruttati. Significa rompere bruscamente con le verità fondamentali del marxismo, il quale ha detto agli operai: voi dovete utilizzare la democrazia borghese come un immenso progresso storico rispetto al feudalesimo, ma non dovete nemmeno per un istante dimenticare il carattere borghese di questa "democrazia", la sua natura storicamente condizionata e limitata, non dovere condividere la "fede superstiziosa" nello "Stato", non dovere scordare che lo Stato, persino nella repubblica più democratica, e non soltanto in regime monarchico, è soltanto una macchina di oppressione di una classe su di un'altra classe.
La borghesia è costretta a fare l'ipocrita e a chiamare "potere di tutto il popolo" o democrazia in generale o democrazia pura la repubblica democratica (borghese), che è di fatto la dittatura della borghesia, la dittatura degli sfruttatori sulle masse lavoratrici. Gli Scheidemann e i Kautsky, gli Austerlitz e i Renner (oggi aiutati, purtroppo, da Friedrich Adler) confermano questa menzogna e quest'ipocrisia. Ma i marxisti, i comunisti, la denunciano e rivelano agli operai e alle masse lavoratrici la pura e semplice verità: di fatto, la repubblica democratica, l'Assemblea costituente, il suffragio universale, ecc. sono la dittatura della borghesia, e per emancipare il lavoro dall'oppressione del capitale non c'è altra via che la sostituzione di questa dittatura con la dittatura del proletariato. Solo la dittatura del proletariato può emancipare l'umanità dall'oppressione del capitale, dalla menzogna, dalla falsità, dall'ipocrisia della democrazia borghese, che è la democrazia per i ricchi, e instaurare la democrazia per i poveri, cioè rendere effettivamente accessibili agli operai e ai contadini poveri i benefici della democrazia, che restano oggi (pesino nella repubblica - borghese - più democratica) inaccessibili di fatto alla stragrande maggioranza dei lavoratori.Prendiamo, ad esempio, la libertà di riunione e la libertà di stampa. Gli Scheidemann e i Kautsky, gli Austerlitz e i Renner cercano di far credere agli operai che le attuali elezioni per l'Assemblea costituente in Germania e in Austria si svolgono "democraticamente". è una menzogna, perché i capitalisti, gli sfruttatori, i grandi proprietari fondiari e gli speculatori detengono di fatto i nove decimi delle migliori sale di riunione, i nove decimi delle provviste di carta, delle tipografie, ecc. L'operaio nelle città, il salariato agricolo e il giornaliero nelle campagne sono di fatto estraniati dalla democrazia sia mediante il "sacrosanto diritto di proprietà" (tutelato dai signori Kautsky e Renner, ai quali si è unito, purtroppo, anche Friedrich Adler) sia mediante l'apparato borghese del potere statale, cioè mediante i funzionari borghesi, i giudici borghesi, ecc. L'odierna "libertà di riunione e di stampa" nella repubblica "democratica" (democratica borghese) tedesca è una menzogna e un'ipocrisia, perché è di fatto la libertà per i ricchi di comprare e corrompere la stampa, la libertà per i ricchi di intossicare il popolo con le menzogne dei giornali borghesi, la libertà per i ricchi di avere in "proprietà" particolari dimore, i migliori edifici, ecc. La dittatura del proletariato toglierà ai capitalisti, a vantaggio dei lavoratori, queste dimore, i migliori edifici, le tipografie, i depositi di carta.
( Lenin "Democrazia e dittatura")

E ancora:
La fede nell'universale azione salvatrice della "democrazia" in genere, l'incomprensione della natura della democrazia borghese, storicamente limitata per la sua utilità e necessità, questa fede e questa incomprensione si sono perpetriate nei decenni, per secoli in tutti i paesi e, con forza particolare, in seno alla piccola borghesia. La grande borghesia ne ha viste di tutti i colori e sa bene che la repubblica democratica, come ogni altra forma statale in regime capitalistico, è solo una macchina per schiacciare il proletariato. Il borghese sa tutto questo perché conosce intimamente i dirigenti effettivi e le molle più nascoste (che spesso sono più segrete proprio per questo) di qualsiasi macchina statale borghese. Per la sua condizione economica e per tutte le sue condizioni di vita il piccolo borghese ha minore capacità di far propria questa verità e si culla nell'illusione che la repubblica democratica significhi la "democrazia pura", lo "Stato popolare libero", il potere del popolo fuori o al di sopra delle classi, la pura manifestazione della volontà di tutto il popolo, ecc. ecc. La solidità di questi pregiudizi del democratico piccolo-borghese dipende inevitabilmente dal fatto che egli è estraneo alla lotta di classe più acuta, alla Borsa, alla "vera" politica, e sarebbe assolutamente in antitesi col marxismo aspettarsi che la sola propaganda riesca a sradicare in poco tempo questi pregiudizi.
Le preziose ammissioni di Pitirim Sorokin - Lenin (1918)

2) Nell'Urss di Lenin e di Stalin non esisteva una "dittatura del partito", ma una dittatura del proletariato (vedi Stalin "Questioni del leninismo" cap. V http://www.bibliotecamarxista.org/stalin/q...del_leninis.htm

3) Nel Partito Comunista vige la democrazia del centralismo democratico.

4) La Comune di Parigi è un esempio sia in positivo, ma sia in negativo di ciò che non si deve fare se si vuole mantenere il potere ( e la Comune NON lo mantenne).
Ma la necessità di reprimere la borghesia e di spezzarne la resistenza permane. Per la Comune era particolarmente necessario affrontare questo compito, e il non averlo fatto con sufficiente risolutezza è una delle cause della sua sconfitta.
Lenin - "Stato e Rivoluzione"

Edited by carre - 23/1/2008, 18:22
 
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view post Posted on 22/1/2020, 18:52
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view post Posted on 27/4/2024, 09:13
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l 27 aprile 2024 ricorre l’87°anniversario della morte del compagno Antonio Gramsci, il capo della classe operaia del nostro paese assassinato dal fascismo che lo incarcerò e condannò, tramite il “Tribunale speciale per delitti contro la sicurezza dello Stato”, a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di galera.

Quando fu arrestato, l’8 novembre 1926, Gramsci, oltre ad essere il segretario del Partito Comunista d’Italia – sezione della Internazionale Comunista, era anche deputato eletto per la XXVII legislatura del Regno d’Italia. Godeva quindi dell’immunità parlamentare che il fascismo calpestò sfacciatamente.

L’elezione di Gramsci avvenne cento anni fa, nell’aprile 1924. Come e perché venne eletto deputato, per svolgere la lotta comunista anche dalla tribuna parlamentare, secondo le indicazioni di Lenin?

Riteniamo utile ripercorrere questa pagina di storia, poco conosciuta ma molto interessante.

Dal dicembre del 1923 Gramsci si trovava a Vienna, impossibilitato a tornare in Italia. Con l’avvento del regime fascista era stato infatti emesso un mandato di cattura anche nei suoi confronti. Il Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista, di cui Gramsci faceva parte in quanto rappresentante del Partito Comunista d’Italia (PCd’I), gli aveva perciò suggerito di trasferirsi nella città austriaca per seguire più da vicino la situazione e l’attività comunista in Italia, curare l’attività giornalistica e mantenere i collegamenti internazionalisti.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 1924, che si svolsero con la famigerata legge-truffa “Acerbo”, la direzione del PCd’I propose, già nel gennaio 1924, un blocco di «unità proletaria», ai due partiti socialisti: il PSI di Turati e il PSU di Matteotti.

Il Partito Comunista nell’avanzare questa proposta escluse la possibilità di un accordo di carattere temporaneo, teso al solo scopo di una modifica numerica dei risultati delle elezioni, ma affermò la necessità di concludere un fronte unico permanente tra i partiti posti sul terreno della lotta di classe, interessati perciò non alla semplice affermazione elettorale, bensì al futuro abbattimento dello Stato borghese.

Vi erano dubbi nel PCd’I sull’opportunità di rivolgere la proposta in tali termini al PSU, pregiudizialmente contrario ad una negazione dei principi democratico-borghesi.

Ma tali dubbi vennero superati dalla convinzione che l’inesistenza in Italia di una possibile opposizione democratica e costituzionale poneva anche i riformisti di fronte al problema della lotta contro lo Stato.

È evidente in questa scelta il riavvicinamento del PCd’I alle direttive date, fin dal giugno 1921, dal III Congresso dell’Internazionale Comunista, alle quali si era opposta la direzione bordighista che, essendo ostile alla fusione con la frazione terzinternazionalista del PSI, considerava il fronte unico esclusivamente sul piano sindacale.

Venne, quindi preparata una lettera firmata da Togliatti, che fu inviata ai due partiti socialisti e comunicata alla stampa.

Nella dichiarazione comunista si posero tre pregiudiziali alla formazione del blocco elettorale.

Con la prima, si chiedeva che il blocco operaio accettasse l’indirizzo tattico comunista in quanto «considera la lotta elettorale come un momento dell’azione che il Partito comunista conduce per la formazione di un fronte unico per la difesa degli interessi economici e politici della classe lavoratrice».

Con la seconda, si «approva e conferma la deliberazione di partecipare alla lotta elettorale», ciò in qualunque condizione, escludendo così un’eventuale astensione del blocco proposto.

Con la terza, venne escluso a priori «lo scopo di una restaurazione pura e semplice delle libertà statutarie» respingendo cioè ogni criterio «volto unicamente ad ottenere uno spostamento nei risultati numerici delle elezioni», che partisse da preoccupazioni esclusivamente elettorali.

La ferma decisione partecipazionista dei comunisti rese problematica un’intesa fra i tre partiti, in quanto, sia per i massimalisti sia per gli unitari, la questione della partecipazione o meno, rimaneva invece aperta. Essi, infatti, ritenevano che a favore dell’astensione ci fossero due dati: la situazione nelle province, dove era impossibile la libera manifestazione di volontà, e la legge elettorale, che assicurava preventivamente il successo al governo.

Dopo il passo ufficiale compiuto tempestivamente dai comunisti, pur criticando la loro decisione partecipazionista, non restò alla direzione del PSI che dare mandato di invitare a Roma per il 26 gennaio le rappresentanze dei tre partiti per «prendere una decisione definitiva circa la formazione del blocco socialista di unità proletaria, sia nel senso dell’astensione, che della partecipazione».

Il PSU, invece, inviò al PCd’I una lettera dal tono piuttosto violento, firmata dal segretario Matteotti. Egli accusò i comunisti di aver voluto rendere impossibile un’intesa fissando le pregiudiziali, cioè imponendo l’adozione del partecipazionismo come tattica elettorale ed escludendo qualsiasi blocco di opposizione al fascismo volto alla restaurazione delle libertà statutarie, magari anche con l’appoggio di elementi non appartenenti ai tre partiti di classe. Matteotti rifiutò perciò l’incontro.

A seguito di contatti, venne convocata una nuova riunione per il 28 gennaio. Ma sia riformisti che comunisti, apparvero sempre più rigidi sulle rispettive pregiudiziali.

I riformisti, per bocca di Matteotti, ribadirono l’impossibilità di un blocco positivo e programmatico e posero una questione di principio: «Noi vogliamo lottare contro il fascismo in nome della libertà, voi in nome della dittatura…. Siete disposti a dichiarare che rinunciate alla dittatura, che siete contro tutte le dittature? Se sì, possiamo senz’altro far la lista comune; se no, ciascuno deve andare per la propria strada».

La loro diversa concezione della lotta di classe, il rifiuto della forza per la conquista del potere e la loro fiducia nella possibilità di accordi con gruppi borghesi antifascisti, impedirono di trovare un punto di incontro con i comunisti.

Il PCd’I dal canto suo, esigeva dai riformisti una scelta tra un blocco operaio classista e un blocco di opposizione costituzionale e borghese. Riproposero a questo scopo i quattro punti del blocco proletario: 1) Parola d’ordine: libertà del proletariato. 2) Blocco classista e proletario. 3) La lotta per la conquista della libertà pone il problema dell’abbattimento dello stato fascista. 4) Blocco non esclusivamente elettorale, ma azione comune in tutti i campi della lotta proletaria.

L’ultimo tentativo di accordo venne compiuto il 29 gennaio 1924, quando il PCd’I ripresentò in forma diversa le stesse proposte, naturalmente incontrando ancora l’opposizione del PSU.

Venne allora avanzata dai delegati massimalisti del PSI una mozione che doveva rappresentare il punto di incontro delle opposte tendenze. Pur auspicandovi, infatti, la formazione di un blocco proletario per la riconquista delle libertà politiche e sindacali e per l’abbattimento del regime fascista, vi era tuttavia contenuto il riconoscimento che tale accordo avrebbe potuto realizzarsi solo nel più assoluto rispetto del programma e della fisionomia dei partiti partecipanti.

Fu quindi proposto di dichiarare subito costituito il blocco, ma di riservare la formulazione del piano di azione immediata ed eventualmente successiva ad un Comitato composto dai delegati dei tre partiti.

La mozione però naufragò sul terreno programmatico, inoltre i comunisti non accettarono che la tattica possa essere astensionista, invece che partecipazionista.

A questo punto il PCd’I avanzò ai massimalisti del PSI una offerta di blocco a due, di cui venne naturalmente ribadito il carattere programmatico.

Il 2 febbraio giunse la definitiva risposta negativa della direzione massimalista riunitasi a Milano e che annunciò, subito dopo, la partecipazione alle elezioni con lista propria. L’Avanti continuò la polemica nei confronti dei comunisti. Naturalmente l’Unità ribatté, accusando gli astensionisti di vigliaccheria.

Il PSI, oltre ad essere travagliato dalla corrente astensionista contraria alle decisioni della direzione, è anche corroso dall’atteggiamento tenuto dai “terzini” (la corrente del PSI guidata da Lazzari, vicina alla Terza Internazionale comunista), i quali il 5 febbraio concordarono con il PCd’I una lista elettorale comune, denominata di «Unità proletaria», la quale ebbe come funzione, sia di sostituire agli occhi delle masse il mancato accordo con i socialisti, sia di permettere ai comunisti di presentare all’Internazionale Comunista un fronte unico, seppure con alleati deboli (però radicati nella Venezia Giulia, nelle Puglie, nella provincia di Siena e nel Lazio).

In conseguenza di tali decisioni la direzione del PSI, riunitasi a Roma il 10 febbraio, approvò un ordine del giorno di radiazione dai quadri del partito delle sezioni e dei singoli iscritti oppostisi alla tattica deliberata per le elezioni.

A questo provvedimento i “terzini” reagirono lanciando, attraverso le pagine dell‘Unità (il nome del giornale fu deciso due mesi prima proprio per fare l’unità con i “terzini”), un’esortazione ai loro compagni a non piegarsi al decreto della direzione e a ritirare ugualmente la tessera del partito per l’anno 1924 25.

Sarà proprio in questa lista di “Unità proletaria” con i “terzini” che Gramsci venne eletto deputato alle elezioni-truffa del 6 aprile 1924.

Gramsci ottenne 6.584 voti di preferenza su 41.059 voti di lista in Piemonte, e 1.856 su 32.383 in Veneto, risultando eletto deputato in quest’ultima circoscrizione.

I risultati delle liste di “Unità proletaria” mostrarono la conquista di importanti settori centro meridionali (dal 8,5% del 1921 al 12,09% nel 1924). I “terzini” confluirono nel PCd’I nell’agosto del 1924.

Nel mese di maggio Gramsci lasciò Vienna e poté rientrare in Italia, dopo due anni, grazie all’immunità parlamentare che lo avrebbe garantito dall’arresto; entrò nell’Esecutivo del Partito comunista d’Italia e si trasferì a Roma.

Nel mese di agosto, nella riunione del CC in cui tenne una relazione sulla lotta al fascismo, per lo sviluppo del processo rivoluzionario (si era aperta la crisi seguente all’assassinio di Matteotti), Antonio Gramsci venne eletto segretario del Partito Comunista d’Italia.

Di Antonio Gramsci deputato va ricordato il discorso sulla massoneria, pronunciato a nome del PCdìI alla Camera il 16 maggio 1925, che si concluse con le parole “Il movimento rivoluzionario vincerà il fascismo”. Un discorso che i compagni e le compagne dovrebbero leggere con attenzione.

27 aprile 2024

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
 
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