Comunismo - Scintilla Rossa

Gramsci

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Ceskystev
view post Posted on 25/7/2013, 14:33




Gli amministratori mi perdonino se creo un post gia' esistente, non posso mettermi a cercare, ho tempo solo per aprire la discussione.

CITAZIONE
Gramsci era un intellettuale borghese che negava gli insegnamenti fondamentali di Marx e Lenin, "Il Capitale" e la Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre, oltre al fatto che sosteneva i trotzkisti in URSS. Non ci vedo un nesso logico tra la mia distinzione maoismo-hoxhaismo, il documento e la svolta revisionista...La distinzione tra PSI e PCI quella ci fu per forza, indipendentemente che tu la rinneghi oppure no

Su stalin e gramsci http://lavoropolitico.it/lpnr9bernardini.htm

Faccio notare che se Gramsci non avesse sostenuto la rivoluzione d'Ottobre non avrebbe aderito allantera internazionale e non ci sarebbe stato il distacco con il P.S?i, bisogna infatti ricordare che nella terza internazionale venne detto che tutti i comunisti dove ano perseguire la rivoluzione, abbandonare le vie socialdemocratiche, pacifiche e del compromesso e creare partiti comunisti. Il fenomeno fu importante, cosi' nacquero i partiti comunisti staccati dalla sinistra borghese e dai socialdemocratici stile laburisti.

Lasciamo perdere il rinmegare marx o il capitale, se si sostiene la rivoluzione d'Ottobre si sostiene Marx.

Ho concluso, per ora.
 
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babeuf
view post Posted on 25/7/2013, 16:34




..Bravissimo, quelle sono tesi demenziali. preferisco il Csp a quei dogmatici del Pmli che negano il pensiero del grande sardo.
 
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Ceskystev
view post Posted on 25/7/2013, 16:41




Scusate sempre la pessima grammatica, la tastiera non va proprio.
 
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view post Posted on 25/7/2013, 18:14
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compagno

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https://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=46403527
E' più di due anni che sta nel forum :D
 
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view post Posted on 26/7/2013, 10:52
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compagno

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La Voce 44 del (nuovo)Partito comunista italiano
luglio 2013

Gramsci e la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata

La “guerra di posizione” di Gramsci è sostanzialmente una perifrasi della più esplicita espressione GPR di LD che noi usiamo, prendendola da Mao”.(1)

Pubblichiamo volentieri l’articolo del compagno Folco R. che illustra il contributo di Antonio Gramsci all’elaborazione della strategia della guerra popolare rivoluzionaria come strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti.
Innanzitutto perché il movimento comunista del nostro paese ha assoluto bisogno di affinare la sua elaborazione a proposito delle forme della rivoluzione socialista. Quanto più la nostra lotta avanza, quanto più largamente si sviluppa la guerra che abbiamo iniziato con la fondazione del Partito, quanto più la crisi del capitalismo spinge le masse popolari ad arruolarsi nella GPR come nel periodo 1943-1945 un numero crescente di giovani, di operai, di contadini e di casalinghe si arruolavano nella Resistenza, tanto più è necessario che il Partito impari a tradurre la concezione generale della GPR in iniziative concrete: in campagne, battaglie ed operazioni fino alla mobilitazione delle ampie masse che instaureranno il socialismo in Italia e daranno così il loro contributo alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.
In secondo luogo per dare ad Antonio Gramsci il posto che per l’opera svolta merita nel movimento comunista italiano e internazionale. Contro il travisamento della sua opera compiuto da Togliatti e dai suoi complici e successori che hanno presentato Gramsci come precursore della via pacifica al socialismo, in concreto della rinuncia alla rivoluzione socialista. Ma anche contro l’uso anticomunista che di Gramsci cerca di fare in questi anni la sinistra borghese: essa lo presenta in Italia e nel mondo come un oppositore della concezione e della linea impersonate da Stalin che hanno guidato l’Internazionale Comunista e il movimento comunista fino al 1956. Mentre in realtà proprio Gramsci pur segregato nelle carceri fasciste ha elaborato, alla luce dei compiti della rivoluzione socialista e dell’esperienza del movimento comunista, la critica più esauriente della concezione di Trotzki e della concezione di Bukharin che furono i principali oppositori di Stalin sul terreno dell’orientamento da dare alla rivoluzione in Unione Sovietica e a livello internazionale e della linea con cui perseguirla.
Questi due motivi giustificano ampiamente la pubblicazione del contributo del compagno, benché il suo studio dell’opera di Gramsci sia ancora in corso, cosa che traspare anche dall’incertezza nell’indicare i testi principali tra quelli utili ai fini dell’assimilazione degli insegnamenti di Gramsci a proposito della GPR.
La redazione

Nel n. 43 di La Voce Umberto C. scrive che Gramsci, “unico dirigente comunista ... che ha riflettuto sulla forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti,... elaborò (v. Quaderni del carcere 7 (par. 16), 10(I) (par. 9), 13 (par. 7) e altri) la teoria della “guerra di posizione” che, liberandoci dal linguaggio imposto dalla censura del carcere fascista, oggi chiameremmo guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

La Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata (GPR di LD) è rivoluzione socialista che si costruisce. La GPR di LD, come concezione, si contrappone alla concezione del senso comune (vale a dire dei modi di dire e pensare correnti, frutto del ruolo dominante del clero e della borghesia) secondo cui la rivoluzione socialista scoppierebbe, cioè sarebbe una ribellione spontanea delle masse popolari costrette a condizioni intollerabili. Il movimento comunista al suo inizio (1848) ha ereditato questa concezione e ha inteso la rivoluzione socialista come rivoluzione che scoppia, al modo delle rivoluzioni del passato. Ma questa concezione della rivoluzione socialista faceva a pugni con l’esperienza del movimento comunista che veniva sviluppandosi. I comunisti un po’ alla volta si resero conto di questo contrasto tra la loro concezione della rivoluzione socialista e la pratica della rivoluzione socialista.
Engels fu il primo che espose in modo organico, nel 1895, il concetto che la rivoluzione socialista aveva per sua natura una forma diversa dalle rivoluzioni del passato, che non scoppia ma si costruisce.(2) Ma i partiti socialisti di allora (che erano tra loro collegati nella II Internazionale) non accolsero la sua scoperta. Anche in quelli che si professavano marxisti, come il Partito Socialdemocratico tedesco, l’adesione dei loro dirigenti al marxismo era dogmatica, sia pure in gradazioni diverse. Il comunismo, il socialismo e la rivoluzione socialista erano articoli di fede, che non si traducevano nelle linee che guidavano l’attività corrente dei partiti. Proprio per questo essi non seppero far fronte al loro compito, come venne platealmente dimostrato dagli avvenimenti del 1914. Tra i partiti socialisti di allora, solo il partito di Lenin tradusse nella sua pratica la concezione di Engels. Ma la tradusse senza fare della concezione di Engels un’arma per la lotta contro il dogmatismo, l’opportunismo e l’economicismo.(3) Costruì la rivoluzione in Russia come una GPR di LD, ma senza averne consapevolezza (a conferma che la pratica è in generale più ricca della teoria). Analogamente l’Internazionale Comunista e Stalin nella prima parte del secolo scorso condussero con successo la rivoluzione socialista a livello internazionale come GPR di LD di cui l’Unione Sovietica era la base rossa mondiale, ma non raggiunsero la piena coscienza di quello che stavano facendo. Cosa che lasciò spazio nell’Internazionale Comunista al dogmatismo, all’opportunismo e all’economicismo che vennero alla luce apertamente negli anni ’50 del secolo scorso. Mao Tse-tung fu il primo dirigente di partito che elaborò la concezione della GPR di LD come strategia della rivoluzione socialista. Mao Tse-tung tuttavia enunciò questa concezione come strategia della rivoluzione in Cina, legandola ai caratteri specifici della situazione sociale e politica cinese (Perché in Cina può esistere il potere rosso? - ottobre 1928 in Opere di Mao Tse-tung, Edizioni Rapporti Sociali vol. 2, disponibile sul sito del (n)PCI www.nuovopci.it/arcspip/article0c16.html). In seguito essa venne indicata come strategia della rivoluzione per tutti i paesi coloniali, semicoloniali e neocoloniali in cui la massa della popolazione era ancora formata da contadini. Solo con l’affermazione del marxismo-leninismo-maoismo come terza e superiore fase del pensiero comunista è stata acquisita la concezione che la GPR di LD è la strategia universale della rivoluzione socialista, la strategia che i comunisti devono seguire in ogni paese per vincere.(4)
2. Manifesto Programma del nuovo PCI, Ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pp. 199-201 con le rispettive note 133-138 alle pp. 298-299. Da qui in avanti MP.
3. Tre deviazioni costantemente presenti anche nei partiti dei paesi imperialisti che pur si dicevano marxisti.
Dogmatismo: avere verso il marxismo una relazione analoga a quella del credente verso le dottrine religiose, assumerlo come descrizione del mondo ma non come scienza guida dell’azione per trasformarlo.
Opportunismo: partecipare alla lotta politica borghese unicamente o principalmente per cogliere le possibilità che essa offre (opportunità) di migliorare le condizioni dei lavoratori nell’ambito del sistema di relazioni sociali borghesi.
Economicismo: limitare la lotta di classe alle rivendicazioni di miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro.
4. Vedasi in proposito L’ottava discriminante in La Voce n. 9 novembre 2001 e n. 10 marzo 2002.

Gramsci nella sua condizione di prigioniero dei fascisti dal 1926 alla sua morte nel 1937 non guidò il processo rivoluzionario in Italia, ma elaborando l’esperienza della rivoluzione socialista in Italia e negli altri paesi imperialisti e analizzando anche il modo in cui i bolscevichi avevano vinto in Russia, ha portato contributi importanti alla formulazione della strategia della GPR di LD.(5)
5. Della trasformazione del capitalismo in imperialismo e del cambiamento della forma della rivoluzione Gramsci parla in Q8 §236 p. 1088 e in Q10 § 9, p. 1226 in Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 2001. Da qui in avanti QC.

Di seguito espongo i principali aspetti della GPR di LD che Gramsci ha più o meno largamente elaborato nei suoi Quaderni del carcere. Le citazioni da Gramsci o da altri sono in corsivo. Le evidenziazioni in grassetto sono mie.

1. La rivoluzione proletaria nella fase dell’imperialismo
L'imperialismo è l'ultima fase del capitalismo, ma è anche l'ultima fase della società divisa in classi, quindi chiude non solo un periodo secolare (quello del capitalismo), ma millenario (quello della divisione dell’umanità in classi di oppressi e oppressori, di sfruttati e di sfruttatori). La rivoluzione socialista è quindi differente da tutte le altre rivoluzioni. Nel senso preciso che le precedenti rivoluzioni servivano a una classe per conquistare il potere in una società che restava divisa tra classi di sfruttati e classi di sfruttatori; invece la rivoluzione socialista serve alla classe operaia a conquistare il potere alla testa del resto delle masse popolari per gestire una società che passo dopo passo abolisce la divisione in classi. La forma della rivoluzione è quindi diversa: non è più un’insurrezione che scoppia, in cui una classe si mette alla guida della rivolta delle masse popolari e se ne serve per installarsi al posto di comando come nuova classe sfruttatrice, ma è una rivoluzione che si costruisce passo dopo passo, battaglia dopo battaglia, campagna dopo campagna, come una guerra, nel corso della quale le masse popolari si trasformano perché organizzandosi nel partito comunista e in organizzazioni di massa iniziano a conquistare il ruolo di creatrici consapevoli della storia. La rivoluzione socialista quindi inizia prima della conquista del potere politico e in Italia è già in atto. È rivoluzione in corso d'opera, conquista di egemonia come estensione e radicamento del Nuovo Potere, iniziata come GPR di LD con la fondazione del nuovo Partito Comunista Italiano, nel novembre del 2004.
Il potere, quello che Gramsci chiama egemonia, nella società italiana come in ogni società moderna in ultima analisi è la direzione dell’attività pratica delle masse popolari. La direzione combina la conquista del cuore e della mente delle masse popolari con l’esercizio della coercizione e con l’organizzazione della vita quotidiana in tutti i suoi aspetti.(6)

6. MP, p. 203.


Nel nostro paese la GPR di LD seguirà un percorso determinato da condizioni specifiche, e cioè la strada dell'accumulazione delle forze rivoluzionarie tramite la costituzione e la resistenza del partito clandestino e la sua direzione sulle masse popolari ad aggregarsi in organizzazioni di massa di ogni genere necessarie per soddisfare i propri bisogni materiali e spirituali, a partecipare alla lotta politica borghese onde sovvertirne l'andamento e a condurre le lotte rivendicative, fino all'inizio della guerra civile. Questo è nel nostro paese il corrispondente di quello che è “l'accerchiamento delle città da parte delle campagne” in paesi semifeudali. È impossibile nei paesi imperialisti accerchiare le città dalle campagne, ma è del tutto possibile, e la pratica lo ha mostrato, definire lo specifico sviluppo quantitativo che costituisce la prima fase della GPR di LD e attraverso il quale si va verso la sua seconda fase. Con la guerra civile generata da quello sviluppo quantitativo, inizierà la seconda fase della GPR di LD. L'inizio della guerra civile sarà segnata dalla costituzione delle Forze Armate Popolari che a partire da quel momento contenderanno il terreno alle forze armate della reazione.(7)
7. La Voce del nuovo PCI, n. 17, luglio 2004, p. 31.

2. L’essenza della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata
L’essenza della GPRdiLD consiste nella costituzione del partito comunista come centro del nuovo potere popolare della classe operaia; nella mobilitazione e aggregazione crescente di tutte le forze rivoluzionarie della società attorno al partito comunista; nell’elevazione del livello delle forze rivoluzionarie; nella loro utilizzazione secondo un piano per indebolire il potere della borghesia imperialista e rafforzare il nuovo potere, fino a rovesciare i rapporti di forza, eliminare lo Stato della borghesia imperialista e instaurare lo Stato della dittatura del proletariato.(8)
Gramsci descrive questi tratti essenziali parlando
1) del partito come moderno Principe,
2) di forze rivoluzionarie che si aggregano come volontà collettiva nazionale-popolare di cui il partito è nello stesso tempo l’organizzatore e l’espressione attiva e operante,
3) della elevazione delle forze rivoluzionarie come riforma intellettuale e morale,(9)
4) dell’utilizzo delle forze rivoluzionarie fino all’instaurazione dello Stato socialista, cioè fino al compimento di una forma superiore e totale (cioè riguardante tutti gli aspetti della società, ndr) di civiltà moderna.(10)
La GPR di LD inizia con la costituzione del partito comunista. Il partito comunista si fonda sulla concezione comunista del mondo: “Nella pratica noi abbiamo bisogno di un partito coeso, disciplinato, forte e alla lunga un partito rivoluzionario può essere coeso e disciplinato solo se i suoi membri sono uniti su una sua concezione del mondo (per i movimentisti questo sa di setta, ma è un’accusa che i comunisti si sono spesso sentiti fare) e se personifica ciò che unisce gli operai al di là delle differenze e dei contrasti di categorie e di mestieri, di culture, di nazionalità, di sesso, di tradizioni e che li costituisce come nuova classe dirigente delle masse popolari: la concezione comunista del mondo.”(11)
La concezione comunista del mondo è quella ideologia che passo dopo passo unifica le masse popolari dando loro un obiettivo comune. Di essa Gramsci parla trattando del Principe di Machiavelli: è una concezione viva e concreta, che si materializza nella pratica, non un’astrazione dogmatica.(12) È il materialismo dialettico e la sua forma più avanzata è il maoismo, terza superiore tappa del pensiero comunista.
8. MP, p. 203.
9. Gramsci parla esplicitamente della necessità di dare una direzione consapevole ai moti spontanei delle masse popolari, di elevarli ad un piano superiore in QC, pp. 328-332 (Q3 §48).
10. QC, pp. 1560-1561 (Q13 §1).
11. MP, p. 164.
12. QC, p. 1555 (Q13 §1).

Machiavelli indica come guida della collettività un individuo, un condottiero, un Principe, capace di convincere parlando “alla mente e al cuore” delle masse popolari, cioè con scienza e arte, con il distacco dello scienziato e la partecipazione dell'artista. Oggi la guida delle masse popolari non può più essere un individuo, perché il passaggio rivoluzionario non è sostituire una guida di quelle masse con un'altra, ma guidare le masse a trasformarsi fino a guidarsi da sé. Il soggetto che conduce questo processo non è perciò un individuo, ma un collettivo, che già in sé, proprio perché collettivo, riflette l'esigenza (la possibilità e, a date condizioni, la capacità) che la collettività si governi da sé e sperimenta al suo interno il modo per farlo. Questo soggetto collettivo è il partito comunista ed è con la sua costituzione che la rivoluzione inizia nella forma di GPR di LD.
Dove il partito comunista manca o dove non è ancora sufficientemente forte da potersi porre come guida della mobilitazione delle masse popolari, questa segue altre guide, che possono essere gruppi arretrati o reazionari, o individui che prendono ruolo di capopopolo, come è il caso di Beppe Grillo. Chi critica le masse popolari perché seguono Grillo è un analfabeta politico o un inetto che si rifiuta di analizzare i propri limiti, cioè non si chiede per quali suoi limiti le masse popolari seguono Grillo e non lui o il suo gruppo. Consolandosi con l’idea falsa che le masse popolari sono arretrate, ragiona allo stesso modo della borghesia imperialista, cioè condivide il disprezzo che la borghesia ha nei confronti delle masse popolari.
Il partito che descrive Gramsci è oggi il nuovo PCI con la sua carovana, cioè con le forze che condividono il suo percorso in terre ancora non esplorate, verso mete concrete sì e razionali, ma di una concretezza e razionalità non ancora verificate e criticate da una esperienza storica effettuale e universalmente conosciuta.(13) La carovana del nuovo PCI infatti sta facendo la rivoluzione in un paese imperialista, impresa nuova per il movimento comunista internazionale, e sta sperimentando un metodo nuovo in un paese imperialista, la GPR di LD. Non può quindi contare su esperienze precedenti effettuali, che cioè abbiano avuto efficacia. Non abbiamo esempi da portare a chi esita o dubita.(14)
Chi continua a esitare, a mantenere riserve, a guardare con scetticismo la passione che ci anima, non può comunque rimanere quello che è, perché l’avanzare della crisi gli impone di trasformarsi. Quando la casa è in fiamme bisogna uscire, dice Buddha nella poesia di Brecht.(15)
Se non possiamo portare un esito certo, perché nessuno ha fatto ancora quello che oggi facciamo, portiamo però la passione di chi scopre terre nuove e costruisce cose nuove, la consapevolezza che stiamo realizzando “il sogno di una cosa” che il mondo possiede da tempo: l’abolizione della divisione degli esseri umani in classi di sfruttati e classi di sfruttatori.(16)

13. QC, p. 1558 (Q13 §1).
14. Beninteso a favore e a “dimostrazione” della nostra linea abbiamo da portare e portiamo, oltre all’analisi della lotta di classe in corso oggi, anche l’esperienza della prima ondata delle rivoluzione proletaria: sia dei successi conseguiti con la fondazione delle primi paesi socialisti (a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla creazione dell’Unione Sovietica) che per alcuni decenni svolsero il ruolo di basi rosse della rivoluzione proletaria mondiale, sia delle sconfitte che abbiamo subito. Noi siamo decisamente contrari all’oblio e tanto più alla denigrazione dell’esperienza storica della prima ondata della rivoluzione proletaria e in particolare anche di quella dei primi paesi socialisti. La nostra è una posizione scientifica: noi usiamo l’esperienza, i successi e le sconfitte, per elaborare a un livello superiore la scienza della trasformazione della società borghese in società comunista, la scienza con cui raggiungeremo la vittoria. Questo atteggiamento ci distingue nettamente dalla sinistra borghese, anche da quei suoi esponenti che quasi si dicono comunisti (vedasi ad esempio i fondatori di Ross@ riunitisi a Bologna nell’Assemblea di sabato 11 maggio 2013) e anche da quei cultori del “socialismo del XXI secolo” nostrani e no, alla Luciano Vasapollo e alla Martha Harnecker, che gratta gratta presentano l’importante lotta in corso in Venezuela e in altri paesi dell’America Latina principalmente come alternativa e negazione del socialismo del XX secolo, quello della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei primi paesi socialisti. Che ne direste, in qualsiasi altro campo dell’attività umana, di persone che si dichiarano decise a perseguire un obiettivo ma che ignorano, trascurano o addirittura denigrano l’esperienza di tutti quelli che prima di loro lo hanno perseguito, in nome del fatto che non lo hanno raggiunto?
15. “Non molto tempo fa vidi una casa. Bruciava. Il tetto/era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m’avvidi/che c’era ancora gente, là dentro. Dalla soglia/li chiamai, ché ardeva il tetto, incitandoli/ad uscire, e presto. Ma quelli/parevano non avere fretta. Uno mi chiese,/mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia,/che tempo facesse, se non piovesse per caso,/se non tirasse vento, se un’altra casa ci fosse,/e così via. Senza dare risposta/uscii di là. Quella gente, pensai,/deve bruciare prima di smettere con le domande”. (B. Brecht, La parabola di Buddha sulla casa in fiamme).
16. “Si vedrà allora come da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente.” (K. Marx, Lettera a Ruge, settembre 1943 - Opere complete, Editori Riuniti 1976, vol. 3 pag. 156).


3. La rivoluzione si costruisce
Secondo il senso comune, la rivoluzione socialista scoppia: è quindi un evento ristretto nel tempo, un’insurrezione, una rivolta, una sollevazione popolare spontanea, come detto sopra. Questa concezione si è sedimentata nel senso comune perché le rivoluzioni fino a un certo punto della storia si sono manifestate sempre, dal lato delle masse popolari, come insurrezioni, come esplosioni spontanee dovute al maturare di condizioni che rendevano impossibile il perdurare delle condizioni esistenti. Ma nel senso comune accanto al concetto della “rivoluzione che scoppia” si affaccia il concetto opposto, del “fare la rivoluzione”. Nel primo caso, le masse popolari insorgono a fronte di una situazione che è diventata intollerabile. Il loro quindi è un movimento passivo: un movimento che le masse compiono mosse non da una loro interna trasformazione, ma da fattori esterni determinati dall’azione di altre classi, come un corpo che si muove perché sospinto da un altro. Nel secondo caso, le masse popolari fanno (cioè costruiscono) la rivoluzione: il loro è un movimento attivo. L’attività richiede coscienza: ideazione, programmazione, esame in corso d’opera, bilancio, determinazione, insomma, impegno delle nostre facoltà intellettuali e morali al livello più elevato, perché rivoluzione significa scoprire cose nuove e inventare, e perché la classe avversa usa ogni mezzo, infamia e crudeltà per mantenere il proprio potere.
I due modi di intendere la rivoluzione si distinguono come opposti perché il primo porta la rivoluzione socialista alla sconfitta, il secondo porta la rivoluzione socialista al successo. Il primo modo funziona effettivamente e per millenni, nelle società divise in classi; ma smette di funzionare in un dato momento storico, e precisamente quando sono mature le condizione per l’abolizione della divisione in classi, cioè in Europa alla metà del secolo XIX. In questo momento nasce il soggetto che dirige l’abolizione delle classi, e cioè il movimento comunista cosciente e organizzato (con i suoi partiti, i sindacati e le altre organizzazioni di massa). La pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels nel 1848 ne è “atto di nascita”. Il movimento comunista cosciente e organizzato inizia a fare la rivoluzione, vince solo quando più o meno consapevolmente costruisce la rivoluzione, e quando non lo fa impara a proprie spese che la rivoluzione, ormai, non è più una cosa che scoppia.
La svolta è di importanza storica. Per la prima volta nella storia dell’umanità un cambiamento sociale viene pensato dalle masse popolari che lo attuano, e non determinato da cause esterne ad esse. La coscienza (la ragione e la volontà) degli esseri umani, la loro concezione del mondo, assume un ruolo senza precedenti. Possiamo, e quindi dobbiamo, realizzare l’antico sogno di costruire una società e una civiltà con metodo razionale, e spetta alla classe operaia guidare questo processo.(17)
17. Costruire la società e una civiltà secondo un metodo razionale suscita orrore nel campo della borghesia imperialista. Secondo la concezione borghese del mondo questo è “limitazione della libertà individuale”: in realtà è negazione della libertà della borghesia. La contrarietà all’uso del metodo razionale nella costruzione della rivoluzione socialista, cioè la posizione di quelli che considerano questo metodo limitativo della “spontaneità” delle masse popolari e della loro “insurrezione che si attende”, è un’espressione della concezione borghese del mondo.

Questa concezione del mondo ha tra i suoi fondamenti la consapevolezza che la rivoluzione si sviluppa (si fa) al modo in cui si fa (si promuove e si conduce) la guerra, e oggi la consapevolezza che si tratta di una GPR di LD, sperimentata nei paesi oppressi e semicoloniali in modo consapevole dal Partito Comunista Cinese. Sulla scorta dell’esperienza della rivoluzione socialista in Europa all’inizio del secolo XX, Gramsci spiega che questa strategia vale anche per i paesi imperialisti, quindi anche per l’Italia.

4. La lotta di classe è una guerra
Gramsci descrive la lotta di classe come una guerra. Dice che il passaggio dalla guerra manovrata (e dall’attacco frontale) alla guerra di posizione avviene anche nel campo politico e critica Trotzki che, in un modo o nell’altro, può ritenersi il teorico politico dell’attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatta.(18)
18. QC, pp. 801-802 (Q6 §138). I QC contengono la critica più esauriente che a mia conoscenza sia stata fatta dell’accezione in cui Trotzki fece propria l’espressione “rivoluzione permanente” usata da Marx ed Engels e della concezione che Trotzki costruì all’insegna della “rivoluzione permanente”. Più esauriente nel senso che la critica viene condotta alla luce non solo dei compiti della rivoluzione socialista in Russia e dei compiti dell’Internazionale Comunista negli anni ’20, ma di tutta l’esperienza storica del movimento comunista in Europa e in Russia a partire dalla sua fondazione nel 1848.

Con guerra manovrata o di movimento Gramsci intende quella di chi considera l’attacco come un’operazione rapida e conclusiva, come un’insurrezione popolare di cui il partito comunista prende la testa. È guerra destinata alla sconfitta di fronte a un nemico che a sua volta conduce una guerra pianificata, con tutti gli strumenti politici e militari di cui dispone in grande quantità.
Da quando, a metà del secolo XIX, in Europa diventano mature le condizioni per l’abolizione delle classi, la borghesia mette in campo strumenti politici e militari per impedire che questo avvenga. Nei regimi di controrivoluzione preventiva sono prevalentemente strumenti politici.(19) Quanto più la crisi avanza e si sgretolano i pilastri dei regimi di controrivoluzione preventiva, tanto più la lotta di classe manifesta apertamente il suo carattere di guerra di classe (e tanto più palese diventa l’inconsistenza del movimentismo) (20) Qui, dice Gramsci, si passa alla guerra d’assedio, compressa, difficile, in cui si domandano qualità eccezionali di pazienza e di spirito inventivo.(21) La guerra d’assedio, o guerra di posizione è la GPR di LD contro la borghesia imperialista, e il partito comunista che la conduce deve avere pazienza, fermezza strategica di fronte a qualsiasi attacco nemico e capacità di combattere per tutto il tempo necessario, e spirito inventivo, flessibilità tattica e capacità innovativa quale è necessaria per chi si inoltra in terreno non esplorato, come nel caso della carovana del nuovo PCI.(22)
19. Cosa sono i regimi di controrivoluzione preventiva è spiegato in MP, pp. 46 e seguenti.
20. Movimentismo: limitare la lotta di classe alle forme d’azione conformi al senso comune e alle relazioni proprie della società borghese, escludendo progettualità e tanto più la concezione comunista del mondo. In sostanza equivale a spontaneismo.
21. QC, p. 802 (Q6 §138).
22. Gramsci ritorna sull’opposizione tra guerra di posizione e guerra manovrata o frontale, cioè tra GPR di LD e l’insurrezione il cui scoppio è atteso da spontaneisti, economicisti o movimentisti, in QC, p. 865 (Q7 §16). Qui Lenin è indicato come quello che ha condotto la GPR di LD. Al lato opposto Gramsci pone Trotzki, Sorel, Rosa Luxemburg.





5. Guerra e crisi
Nel §17 del Quaderno 13 il tema è Analisi delle situazioni: rapporti di forza.(23) Gramsci descrive la situazione in cui la guerra tra classi ha luogo. È la situazione rivoluzionaria che si sviluppa in concomitanza con la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale: Gramsci fa riferimento alla prima. Sono evidenti le analogie con la situazione odierna, della seconda crisi generale.

23. QC, pp. 1578-1589 (Q13 §17).

Gramsci parla delle polemiche ideologiche, religiose, filosofiche, politiche che si svolgono attorno ai mille fenomeni in cui la crisi si manifesta (le varie forme in cui la resistenza di operai, lavoratori, masse popolari si esprime, le varie forme di massacro sociale dei governi della borghesia imperialista che si riassumono in una guerra di sterminio non dichiarata contro le masse popolari e, quanto ai fenomeni più eclatanti, i suicidi, l'uccisione delle donne, ecc. ecc.). Queste polemiche hanno un senso solo se convincono e infine si dimostrano vere solo quando vincono. Nello scontro, i comunisti sono sia convincenti che vincenti perché uniscono il fenomeno occasionale alla questione generale, cioè alla crisi; perché hanno una concezione del mondo che da un lato ha conoscenza della natura della crisi, dall'altro ha la strategia per superarla (la GPR di LD). Convincere, cioè conquistare “mente e cuore” delle masse popolari, è questione che decide dell’esito della guerra. Basti vedere tutto l’apparato messo in campo dalla borghesia imperialista per convincere le masse popolari che è giusto vadano alla miseria e alla morte per salvare una classe politica in putrefazione e il sistema finanziario che è alle spalle di questa classe, gestito da un infimo gruppo di criminali a livello internazionale e in ogni paese, che si spacciano per Comunità Internazionale (come spacciano le loro guerre per missioni di pace).
“Una volta date le condizioni oggettive del socialismo, che in Europa esistono da più di un secolo, per la vittoria della rivoluzione socialista il fattore decisivo sono le condizioni soggettive.” (MP, p. 35) Il movimento comunista cosciente e organizzato può quindi costruire la rivoluzione socialista. Gramsci lo conferma dicendo che esistono le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti storicamente, aggiungendo che lo si deve fare perché ogni venir meno al dovere storico aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi, che, cioè, prevalga la mobilitazione reazionaria delle masse popolari, che la borghesia riesca a imporre il fascismo e la guerra.
I comunisti devono risolvere storicamente i propri compiti, dice Gramsci: non farlo prepara più gravi catastrofi. Ossia i compiti che i comunisti devono risolvere sono posti dal corso della storia e identificabili studiando il corso della storia. Questi compiti devono essere assolti. La società che non li assolve incorrerà in catastrofi via via più gravi. La crisi impone che noi lottiamo per fare dell'Italia un nuovo paese socialista. La classe dominante e il senso comune vedono della crisi gli aspetti negativi, ma tutti gli aspetti negativi della crisi hanno origine nel rifiuto di fare ciò che la crisi impone di fare, nel voler persistere in questo sistema economico, sociale e politico, nel voler mantenere questa condizione materiale, nel non voler credere possibile e realizzare il futuro che la crisi impone come necessario.
Non sono né convincenti né vincenti gli economicisti, incapaci di vedere al di là del fenomeno, e i dogmatici, che sostituiscono all'esame della realtà i propri schemi.
Gramsci insiste sul fatto che bisogna assolutamente tenere conto del nesso tra la crisi generale e le sue singole manifestazioni (i singoli fenomeni locali, di settore, del momento, ecc.). Solo così si è in grado di attaccare in modo efficace il nemico. Costringere la nostra azione entro i dettagli, farci disperdere nelle lotte singole è un’arma di guerra nelle mani del nemico. Chi subisce l’influenza ideologica della borghesia (la sinistra borghese e i suoi seguaci) cade facilmente vittima di quest’arma del nemico, perché la stessa borghesia non ha conoscenza teorica del nesso tra generale e particolare, perché non ha e non può avere una scienza della realtà economica, sociale e politica (scienza che le mostrerebbe che il suo regno è finito). L’analisi teorica della realtà fatta dalla borghesia è sempre analisi dei dettagli (analisi unilaterale), non mostra il nesso tra di essi, nesso che solo esso permette di capire il vero ruolo e senso di ogni singolo dettaglio. Tener conto del nesso tra ogni manifestazione e la crisi generale significa inquadrare ogni singola battaglia, ogni singola campagna entro la strategia generale della GPR di LD, costruire la rivoluzione, perché qui si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire.
Dopo l’analisi della situazione Gramsci passa ad esaminare i rapporti di forza, che si articolano in momenti.
Il primo di essi è il dato di partenza, cioè i rapporti di forza tra classi in relazione alla situazione oggettiva, all’assetto economico della società e alla conseguente composizione di classe.
Il secondo momento è quello in cui un classe inizia a prendere coscienza di sé come classe, e qui si muove sul terreno rivendicativo prima e poi su quello della lotta politica che c’è, cioè la lotta politica borghese. Questo passaggio è indicato nel MP come passaggio da lotta rivendicativa a lotta politica e in Europa si attua già alla fine del secolo XIX con la formazione di grandi sindacati e dei partiti socialisti della II Internazionale.
Il terzo momento è passaggio da lotta politica a lotta rivoluzionaria. La classe operaia comprende che per difendere i propri interessi non basta agire nel contesto politico predeterminato dalla borghesia. Nel MP (p. 26) lo si spiega come segue: “Col marxismo gli operai raggiunsero la coscienza più piena della propria situazione sociale. La loro lotta diventò più cosciente, fino ad assumere un carattere superiore. Divenne lotta politica rivoluzionaria, lotta per abbattere lo Stato della borghesia, costruire un proprio Stato e, grazie al potere conquistato, creare un nuovo sistema di produzione e un nuovo ordinamento sociale, eliminare lo sfruttamento e la sua espressione storica: la divisione della società in classi”. In questo terzo momento la classe operaia comprende che i propri interessi di classe sono gli interessi di tutta la società.
In questo terzo momento, il rapporto tra classi è inevitabilmente destinato a sfociare in un rapporto di guerra inteso nel senso classico, cioè rapporto delle forze militari. Gramsci indica che lo scontro militare è un passaggio necessario della rivoluzione socialista. Proprio su questo punto si è concentrato il principale travisamento di Gramsci da parte dei revisionisti moderni, da Togliatti in poi, dall’ottavo congresso del PCI (1956) che consacrò la via pacifica e parlamentare al socialismo come dottrina ufficiale del partito.
Quanto a quelli che, a differenza dei revisionisti, sono per la rivoluzione socialista, ma non per la rivoluzione socialista che si costruisce come una guerra ma per la rivoluzione socialista che scoppia, Gramsci mostra che l’esperienza dice che non è affatto scontato che le crisi economiche generino automaticamente insurrezioni. Il peggiorare delle condizioni economiche non genera necessariamente la mobilitazione delle masse popolari in senso rivoluzionario e all’opposto la mobilitazione delle masse popolari in senso rivoluzionario non richiede che le condizioni economiche siano a un grado determinato di intollerabilità. Che le masse popolari si mobilitino in senso rivoluzionario dipende dall’azione di un partito che guida il percorso loro di battaglia in battaglia, di campagna in campagna fino a culminare nel rapporto militare decisivo, cioè fino al momento in cui la borghesia imperialista che difende il proprio regime è costretta o ad abbandonare il campo o ricorrere alla guerra civile. Questo percorso è descritto qui da Gramsci in dettaglio: si tratta di trovare i punti di minore resistenza del nemico, dove il colpo è più efficace, di capire quali sono le operazioni tattiche immediate, … come si può meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini ecc.
Tutto questo è precisamente sviluppo della GPR di LD in un paese imperialista come l’Italia, di cui qui Gramsci descrive la prima fase, la fase della difensiva strategica, quando la superiorità della borghesia è schiacciante. Il partito comunista deve accumulare le forze rivoluzionarie. Raccogliere attorno a sé (nelle organizzazioni di massa e nel fronte) e in sé (nelle organizzazioni del partito) le forze rivoluzionarie, estendere la sua presenza e la sua influenza, educare le forze rivoluzionarie alla lotta dirigendole a lottare. L’avanzamento del nuovo potere si misura dalla quantità delle forze rivoluzionarie che si raccolgono nel fronte e dal livello delle forze stesse. In questa fase l’obiettivo principale non è l’eliminazione delle forze nemiche, ma raccogliere tra le masse popolari forze rivoluzionarie, estendere l’influenza e la direzione del partito comunista, elevare il livello delle forze rivoluzionarie: rafforzare la loro coscienza e la loro organizzazione, renderle più capaci di combattere, rendere la loro lotta contro la borghesia più efficace, elevare il loro livello di combattività.(24)

24. MP, pp. 203-204. Gramsci si riferisce all’accumulazione delle forze rivoluzionarie parlando di forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano. (QC, p. 1588 (Q13 §17))

6. La rivoluzione socialista non scoppia
C’è la spontaneità e c’è lo spontaneismo. Gramsci critica quelli che per principio rifiutano di imprimere al processo rivoluzionario una direzione consapevole,(25) quelli secondo cui una direzione del genere significa imprigionare, schematizzare, impoverire il processo rivoluzionario, metterci sopra il proprio cappello. Esempio attuale di questa tendenza movimentista è il tentativo di costruire un Movimento Anticapitalista e Libertario (Assemblea di Bologna, 11 maggio 2013).(26)

25. QC, pp. 328-332 (Q3 §48).
26. Vedi la critica diffusa dal nuovo PCI nell’Avviso ai naviganti 18, 5 maggio 2013 in www.nuovopci.it/dfa/avvnav18/avvnav18.html.

• Si proclama movimento, non nel senso che vuole solo unire organizzazioni e classi diverse, indipendentemente dai loro orientamenti particolari in altri campi, in una concreta battaglia politica, ma nel senso che vuole dichiararsi contro lo stato attuale delle cose (il capitalismo), ma rifiuta l’instaurazione del socialismo, il partito comunista e la concezione comunista del mondo (cioè si pone sul terreno della sinistra borghese).
• È contro qualcosa (contro il capitalismo), ma non per qualcosa (il socialismo e il comunismo). Chi volesse essere “per”, dovrebbe fare piani, organizzarsi, così come ogni volta che si vuole costruire una cosa, quale che essa sia.
• È libertario, cioè proclama la libertà in generale, ma non dice “libertà delle masse popolari dal capitalismo”: usa il termine “libertario” perché è quello usato dalle tendenze anarchiche che rifiutano ogni schema, organizzazione, imposizione, regola, disciplina, da qualsiasi parte venga: anche quella che un collettivo si dà, anche quella che la lotta stessa richiede. Li rifiuta al punto da rinunciare alla lotta e restare al capitalismo.
La libertà e il movimento di cui si tratta in questo ennesimo tentativo sono quelli dell’acqua che è libera di muoversi verso il basso. Non c’è pensiero, non c’è riflessione, non c’è bilancio dell’esperienza di chi prima di noi ha lottato, del perché e dove ha vinto o ha perso, non c’è programma per il futuro, e quindi non c’è slancio. Il tutto si riduce, alla fine, al contrario della libertà, a una reazione meccanica (cioè al modo in cui in un meccanismo una parte non si muove di moto proprio, ma per l’impulso che riceve da un’altra) all’attacco del nemico, che invece dispone di eserciti organizzati (che dai tempi dell’antica Roma e anche prima hanno dimostrato sempre di vincere masse in rivolta disorganizzate anche se esse sono in numero dieci e più volte superiore), di un piano per mantenere il proprio potere, ecc.
Gramsci spiega qui come questa che vuole essere libertà si rovescia in risposta meccanica ed espressione di subalternità rispetto alla classe nemica, perché non si qualifica per se stessa, per quello che vuole costruire, ma per il nemico cui si oppone, e quindi dipende da quel nemico al modo in cui un lavoratore dipende dal padrone. Se un gruppo non si sforza di crearsi una propria scienza della realtà e della storia, in definitiva le sue analisi sono quelle della propaganda borghese, sono tratte dai giornali e dai libri della borghesia, seppure letti “a rovescio” (criticandoli, sdegnandosi, denunciandoli, indignandosi, ecc.). Quelli che si muovono in questo senso non sospettano neanche che la loro storia possa avere una qualsiasi importanza, dice qui Gramsci. Quando si occupano di questa storia, per quanto riguarda il contenuto lo fanno usando in campo economico, politico, filosofico i criteri e i dati forniti dalla borghesia, conformi alla concezione borghese del mondo. Quanto alla forma, o parlano e non agiscono e quindi non corrono il rischio di essere smentiti, oppure separano il parlare dall’agire, non riflettono sulla propria pratica, non imparano dagli errori. Quando hanno successo, non lo usano come base per costruire il Nuovo Potere, non lo usano neanche come base per passare a una lotta di livello superiore. Quello che abbiamo ben visto l’anno scorso: fatte le grandi manifestazioni del 31 marzo e del 27 ottobre 2012, lo stato d’animo predominante tra i promotori era: e ora cosa facciamo?
Esistono da tempo le condizioni oggettive che spingono le masse popolari a mobilitarsi per creare la nuova società (rendono necessaria la sua creazione perché non crearla porta a più gravi catastrofi) e quindi il loro movimento è spontaneo come l’acqua del fiume che va al mare. Ma è differente dall’acqua del fiume che va al mare, perché riguarda esseri umani. Questi hanno bisogno di rappresentarsi la strada che seguono: l’acqua va al mare solo in determinate condizioni.
Questa unità della «spontaneità» e della «direzione consapevole», ossia della «disciplina» è appunto la azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi che si richiamano alla massa dice Gramsci e aggiunge che rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarle ad un piano superiore significa lasciare il campo aperta alla borghesia imperialista, che devia la mobilitazione delle masse popolari in senso reazionario. La mobilitazione delle masse in senso reazionario (il fascismo, la guerra) è frutto della rinunzia dei gruppi responsabili [dei comunisti, ndr] a dare una direzione consapevole ai moti spontanei e a farli diventare quindi un fattore politico positivo. Chi nega il principio secondo cui la rivoluzione si costruisce, che deve essere diretta, e diretta come una guerra popolare rivoluzionaria, chi sta ad aspettare “che le masse si muovano” e non vede che le masse si stanno muovendo (ma ovviamente al modo in cui le masse oppresse si possono muovere finché non hanno né obiettivo consapevole e giusto, né organizzazione né direzione), lascia un vuoto che è occupato dalla reazione. Tutti coloro che oggi possono assumere ruolo di governo del paese, in Comitati di Liberazione Nazionale, in Amministrazioni Locali di Emergenza, in un Governo di Salvezza Nazionale, insomma in organismi che mobilitano le masse popolari contro la guerra che la borghesia imperialista muove nei loro confronti, ed esitano a farlo, per quanto esitano sono oggettivamente responsabili della mobilitazione reazionaria delle masse popolari.
I movimentisti sono contrari a fare piani. Secondo loro, dice Gramsci, ogni piano prestabilito è utopistico e reazionario.(27) A chiunque si è rivolto ai movimentisti indicando loro come necessario un percorso verso l’obiettivo della trasformazione rivoluzionaria, è capitato di sentirsi rispondere che il percorso indicato era una imposizione, un tentativo di ingabbiare, di tarpare le ali al movimento spontaneo, e perciò il piano era reazionario e che prevedere un percorso concreto verso la rivoluzione era utopistico.

27. QC, p. 1557 (Q13 §1).

Questo tipo di risposta è espressione di una tendenza generale, diffusa tra le masse popolari ed espressione della loro subalternità, espressione dell’essere ancora sotto l’influenza della concezione borghese nella loro coscienza. È chiaro che la borghesia ha interesse a combattere l’elaborazione di qualsiasi piano volto a rovesciare il suo potere, ed è chiaro ancora di più il suo interesse a dichiarare irrealizzabile l’obiettivo di rovesciare il suo potere. Il massimo che la borghesia imperialista può concedere alle masse popolari è che sognino la rivoluzione come qualcosa che sì ci vorrebbe, ma non potrà mai essere. Eroi ammissibili sono quelli che ci hanno creduto e hanno perso (sono stati sconfitti), il che proverebbe quanto il loro fosse un sogno irrealizzabile. Che Guevara è l’esempio più noto. Chi ha invece guidato le masse popolari alla vittoria, come Stalin che guidò la vittoria contro i nazifascisti, è “dittatore” e “reazionario” per partito preso.
Chi è solo contro, aspetta l’insurrezione e non fa piani, si incanta di fronte a ogni mobilitazione spontanea delle masse popolari per poi cadere in depressione quando quella mobilitazione cessa. Che cessi è inevitabile: se si presume sia una cosa naturale, ha un suo inizio e una sua fine, come nel caso di un temporale, sparpagliandosi in una infinità di volontà singole, dice Gramsci.(28) Questa è la storia dei molti aggregati tipo Uniti contro la crisi, Comitato NoDebito, Comitato NoMontiDay, per citare i più noti operanti negli ultimi due anni: aggregati che sorgono per determinate contingenze, producono iniziative dove la partecipazione delle masse popolari supera le loro aspettative, cosa che non sanno gestire appunto perché non hanno linea, non hanno “piano prestabilito”, per cui i promotori si tirano indietro come apprendisti stregoni incapaci di gestire i “poteri semplici e magici” di cui il 6 aprile 2013 ha saputo parlare un bambino di quinta elementare della provincia di Avellino riferendosi alla classe operaia.

28. QC, p. 1557 (Q13 §1).

Insomma, per non volersi dare norme conformi alle esigenze della realtà, cioè per non voler imparare la dialettica tra libertà e necessità, per volersi mantenere “liberi” nel senso che non ci si vuole inquadrare in alcun partito, che non si vuole seguire alcun piano, e tantomeno quindi tentare una esperienza mai tentata, la rivoluzione in un paese imperialista, cosa tanto nuova e piena di rischi che proporla senza analisi e senza piano è irresponsabilità che rasenta il crimine, per volere mantenere questa attitudine infantile e inaccettabile in qualsiasi attività umana minimamente complessa, si finisce per essere il contrario di liberi, si finisce a essere marionette in mano al nemico.
Nel §7 del Quaderno 13 Gramsci dice che la rivoluzione come insurrezione, funziona per la borghesia dalla Rivoluzione Francese (1789) fino al momento in cui la classe operaia irrompe come nuova classe rivoluzionaria (1848). Dopo questa data la borghesia cessa quindi di essere classe rivoluzionaria in lotta contro il clero e i nobili e si pone in assetto di guerra contro la classe operaia. La guerra contro la classe operaia la borghesia la prepara minutamente e tecnicamente in tempo di pace, con tanto di trincee e fortificazioni entro la struttura massiccia delle democrazie moderne, sia come organizzazioni statali che come complesso di associazioni nella vita civile.(29)

29. QC, pp. 1566-1567 (Q13 §7).

Questa struttura massiccia delle democrazie moderne è regime di controrivoluzione preventiva. La rivoluzione preme, è un movimento oggettivo, e la borghesia costruisce un apparato rifinito nei suoi minimi dettagli per impedire la volontà e la necessità di partecipazione e autogoverno delle masse popolari, contro il singolo delegato sindacale non asservito, contro il centro sociale autogestito, contro un Movimento Cinque Stelle che non accetta i canoni prestabiliti per partecipare al teatrino della lotta politica borghese, e soprattutto contro la massima espressione dell’autonomia e dell’indipendenza della classe operaia e delle masse popolari, il partito comunista. Questo apparato è appunto la controrivoluzione preventiva, applicato nei paesi imperialisti. Contro questo apparato, la strategia dei comunisti è la GPR di LD, con cui l'accumulazione delle forze e la conquista di nuovo territorio (l'espansione dell'egemonia sulle masse popolari a spese della borghesia) sono lavoro altrettanto minuzioso che passo dopo passo arriva allo scontro militare vero e proprio.
Gramsci spiega come sia improponibile una guerra di manovra che sfonda linee nemiche e con ciò si impadronisce dei centri di potere quando dietro alle linee nemiche c’è un intero apparato di cui le linee sono solo il primo fronte.(30) La società, dice è diventata una struttura molto complessa e resistente alle “irruzioni” catastrofiche dell’elemento economico immediato (crisi, depressioni); le superstrutture della società civile sono come il sistema delle trincee nella guerra moderna … né le truppe assalitrici, per effetto della crisi, si organizzano fulmineamente nel tempo e nello spazio, né tanto meno acquistano uno spirito aggressivo. Il consiglio di Gramsci è di studiare la Rivoluzione d’Ottobre alla luce della teoria della GPR di LD. A questo possiamo aggiungere che dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre la borghesia imperialista ha preso tutte le contromisure di cui è capace per non farsi cogliere di sorpresa da una qualsiasi insurrezione.
30. QC, p.1615-1616 (Q13 §24).

Chi presume di irrompere in campo nemico, di seminare nelle truppe avversarie panico e confusione irreversibile, di organizzare le proprie truppe all’improvviso, di creare altrettanto all’improvviso i quadri o di mettere i quadri esistenti in posti di direzione immediatamente riconosciuti da una popolazione in rivolta, di unire immediatamente questa popolazione verso un obiettivo comune, è un mistico, dice Gramsci.(31) Di fatto, chi ragiona in questi termini religiosi, se ne sta fermo in attesa che qualcun altro cominci, o che qualcuno venga da fuori a portare la rivoluzione, dalla Russia o dalla Cina ieri, i popoli oppressi oggi (dalla Palestina, dall’India, dal Nepal, oppure da paesi come il Venezuela, o da Cuba, a seconda delle tendenze preferite).(32)
31. QC, p. 1614 (Q13 §24).
32. QC, p. 1730 (Q14 §68).

L’esame delle posizioni di Gramsci conferma la sua anticipazione di uno dei fondamenti della teoria rivoluzionaria, cioè la strategia della GPR di LD, uno dei contributi più importanti del maoismo alla scienza rivoluzionaria, alla concezione comunista del mondo.(33) Gramsci, oltre a questo, ha dato altre anticipazioni molto importanti. Lo studio in corso dell’opera di Gramsci è recupero di queste preziose anticipazioni che Gramsci ha elaborato, per dare la luce giusta alla sua statura di dirigente del movimento comunista a livello nazionale e internazionale e soprattutto per continuare la sua opera fino alla realizzazione degli obiettivi per cui ha dato la vita.
Folco R.
33. L’esame è svolto sui riferimenti di Gramsci alle due forme contrapposte di strategia per la rivoluzione, cioè l’insurrezione e la GPR di LD, elencati nelle voci guerra di movimento e guerra di posizione del Dizionario gramsciano a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza (Carocci editore, Urbino, 2011).
 
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rednoize
view post Posted on 27/7/2013, 17:17




Compagni io di Gramsci consiglio la lettura delle "note sul Machiavelli.." e soprattutto "il materialismo storico e la filosofia di Benedetto croce"
Anche io sono scettico riguardo il pensiero di Gramsci.

Bisogna che l'eredità della filosofia classica tedesca sia non solo inventariata, ma fatta ridiventare vita operante e per ciò fare occorre fare i conti con la filosofia del Croce, cioè per noi italiani essere eredi della filosofia classica tedesca significa essere eredi della filosofia crociana, che rappresenta il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca ………solo la filosofia della prassi sia la concezione conseguentemente "immanentistica". Sono specialmente da rivedere e criticare tutte le teorie storicistiche di carattere speculativo. Si potrebbe scrivere un nuovo Anti-Dühring che potrebbe essere un "Anti-Croce" da questo punto di vista, riassumendo non solo la polemica contro la filosofia speculativa, ma anche quella contro il positivismo e il meccanicismo e le forme deteriori della filosofia della prassi………..ma depurata questa da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità e a puro umanesimo [...]. Non solo la filosofia della prassi è connessa all'immanentismo ma anche alla concezione soggettiva della realtà, in quanto appunto la capovolge, spiegandola come fatto storico.
Gramsci-il Materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce"

Parlando d’ immanentismo assieme al empiromonismo e all’empiriocriticismo Lenin in “Materialismo ed empiriocriticismo sotiene che«Noi respingiamo, scriveva, di primo acchito tutte le premesse filosofiche comuni a questa trinità»,cioè la vecchia tesi idealistica per cui la coscienza è esistenza.”il contadino che vende il suo grano, entra in "rapporto" con i produttori mondiali del grano sul mercato mondiale ma senza averne coscienza; senza aver coscienza dei rapporti che si stabiliscono in seguito a questi scambi. La coscienza sociale riflette l'esistenza sociale, questo è il pensiero di Marx .


Sembra evidente che in Gramsci il centro del cambiamento è la volontà del singolo e non della classe

Ogni individuo,dice Gramsci,non solo è la sintesi dei rapporti esistenti, ma anche della storia di questi rapporti, cioè il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco in rapporto alle loro forze.
Ciò è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento, ecc………..
Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell'uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea in quanto già conosce, ammira, crea, ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose di cui non può non avere una certa conoscenza ………
Nella premessa devono essere contenute, già sviluppate o in via di sviluppo, le condizioni materiali necessarie e sufficienti per la realizzazione dell'impulso di volontà collettiva; ma è chiaro che da questa premessa materiale calcolabile quantitativamente, non può essere disgiunto un certo livello di cultura, un complesso cioè di atti intellettuali e da questi un certo complesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione a tutti i costi.Perciò si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento»
Gramsci-il Materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce"

Marx:
Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale determina il processo della vita sociale, politica e spirituale in generale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, è al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza

Nell’articolo di Gramsci la rivoluzione contro il capitale parlando della rivoluzione dei bolscevichi

La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologie più che di fatti...(il pensiero) in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero (dei bolscevichi) pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell'economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebollizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace.
 
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Ceskystev
view post Posted on 31/7/2013, 08:41




CITAZIONE
teorie storicistiche di carattere speculativo. Si potrebbe scrivere un nuovo Anti-Dühring che potrebbe essere un "Anti-Croce" da questo punto di vista, riassumendo non solo la polemica contro la filosofia speculativa, ma anche quella contro il positivismo e il meccanicismo e le forme deteriori della filosofia della prassi………..ma depurata questa da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità e a puro umanesimo

E' stato in parte fatto da Galvano Della Volpe e da Antonio Banfi. I loro scritti sono rari e difficili da comprendere, ma essi sono l'inizio di cio' che Gramsci aveva intuito e che non ha potuto fare.


CITAZIONE
Ogni individuo,dice Gramsci,non solo è la sintesi dei rapporti esistenti, ma anche della storia di questi rapporti, cioè il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco in rapporto alle loro forze.
Ciò è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento, ecc………..
Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell'uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea in quanto già conosce, ammira, crea, ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose di cui non può non avere una certa conoscenza ………
Nella premessa devono essere contenute, già sviluppate o in via di sviluppo, le condizioni materiali necessarie e sufficienti per la realizzazione dell'impulso di volontà collettiva; ma è chiaro che da questa premessa materiale calcolabile quantitativamente, non può essere disgiunto un certo livello di cultura, un complesso cioè di atti intellettuali e da questi un certo complesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione a tutti i costi.Perciò si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento»

Io non vedo cosa debba essere da imputare a Gramsci su questo ragionamento. Gramsci riprende un concetto marxista e lo evolve, cioe' che il cambiamento di classe dipende dal cambiamento del singolo che a sua volta influenza ancora quello di classe. Non Puo' esserci un cambiamento di classe prima del cambiamento del singolo e il singolo a sua volta e' influenzato dai cambiamenti di classe. Insomma e' tutto un processo materialista e storico avviato e che e' in continua evoluzione. Tutto si gioca sull'influenza del singolo con il complesso, esattamente come in un organismo, che e' formato da tante cellule e dove il cambiamento di come determinate proteine vengono sintetizzate influenza l'organismo e l'organismo le influenza a sua volta, evolvendosi. L'idea che il singolo sia passivo nei confronti di un cambiamento globale e' un idea troppo vicina alla matrice hegeliana del pensiero di Marx, Hegel infatti diceva che lo stato era una forma superiore di questa idea che permeava il mondo, che appunto era immanente, ecco cosa sta criticando Gramsci, questo residuo hegeliano. Hegel diceva che lo stato, essendo una forma superiore rispetto al singolo cittadino, poteva quasi essere considerato, idealisticamente, come entita' a se e superiore a qualsiasi modificazione o carattere del cittadino, noi pero' sappiamo che cosi' non e', lo stato e' fatto da classi e questo ne e' subordinato e viene modificato dal cambiamento dei rapporti di classe. Il singolo non e' incosciente del rapporto globale e non si fa trascinare, dice Gramsci, ma e' colui che contribuisce a questo cambiamento, facendo pero' parte di un complesso piu' grande, che a sua volta lo influenza, e' come la sovrastruttura che nasce dalla struttura e la influenza a sua volta.


Quella della coscienza sociale e' uno degli argomenti principali del pensiero marxista che deve essere quello di oggi, cioe' del marxismo leninismo contestualizzato ai nostri giorni, cosi' come a sua volta Lenin contestualizzo' il marxismo al suo tempo. Non lo si deve vedere come qualcosa di anticomunista o come una deviazione, ma come geniali pensieri di una mente che pero' non ebbe la possibilita' di lasciarci piu' di questo, a causa della sua morte prematura e delle sue condizioni.
 
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view post Posted on 31/7/2013, 14:25
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Ma siamo sicuri che non stiamo creando false opposizioni e anche supposte evoluzioni? Da sempre nel patrimonio del movimento comunista, da Marx ed Engels insomma, la dialettica tra esistenza e coscienza vede la prima come oggettiva fondamentale e la seconda come soggettiva- principale, fondata sulla prima ma capace di smuoverla (nella società attraverso la lotta di classe). E chiaro poi che l'atomo della classe è comunque l'individuo che è negato nella propria coscienza se ragiona da individuo in sè (individualismo - falsa coscienza - idealismo-soggettivismo) e la cui liberazione passa per la liberazione collettiva di tutti gli sfruttati.
L'articolo "La rivoluzione contro il capitale" di Gramsci è uno splendido esempio di critica, addirittura provocatorio, contro il "marxismo ossificato" economista e positiva della Seconda Internazionale: l'oggettivo rimane tale finchè il soggettivo non lo riesce a cambiare. Dovremmo imparare questa lezione e lo spirito profondamente rivoluzionario che vi sottende...
 
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view post Posted on 2/10/2014, 08:21
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Una delle più grossolane trivialità diffuse dai politicanti opportunisti e dagli intellettuali borghesi sulla figura e l’opera di Antonio Gramsci, è la presunta lontananza, o addirittura il contrasto, fra le sue posizioni e quelle sostenute da Lenin e Stalin, di conseguenza la presunta vicinanza con le idee di Trotsky.
La leggenda ha origini remote e ben orchestrate. Cominciò “Il Messaggero” fascista, che il 12 maggio 1937 annunciando la morte di Gramsci parlò in modo tanto ignorante quanto vigliacco della “sua fedeltà a Trotsky”. Successivamente, negli anni ’60 e ’70 dello
scorso secolo il “trotskismo” di Gramsci fu il pane quotidiano degli imbroglioni revisionisti che in tal modo costruivano l’indegna mitologia dell’estraneità o addirittura dell’avversione fra il “buono” Gramsci e “il cattivo” Stalin.
In realtà, dall’esame dei testi emerge esattamente l’opposto, cioè una coincidenza con le posizioni bolsceviche e una netta critica delle posizioni trotzkiste e degli altri oppositori di Stalin. Lasciamo dunque la parola a Gramsci.

Nell’attività di dirigente e segretario del Partito comunista d’Italia
Nel 1924 Gramsci, nel suo intervento alla “Conferenza di Como”, per la prima volta tracciò un parallelo fra Trotsky e Bordiga (che
pure avevano divergenze fra di loro), criticando entrambi:

L’atteggiamento di Trotskij in un primo periodo può essere paragonato a quello attuale del compagno Bordiga. Trotskij, pur partecipando “disciplinatamente” ai lavori del Partito, aveva col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile a quello di Bordiga - creato un senso di malessere in tutto il partito il quale non poteva non avere sentore di questa situazione. […] Ciò dimostra che una opposizione - anche se mantenuta nei limiti di una disciplina formale - da parte di spiccate personalità del movimento operaio, può non solo impedire lo sviluppo della situazione rivoluzionaria ma può mettere in pericolo le stesse conquiste della Rivoluzione. (Gramsci, La costruzione del Partito comunista. 1923-1926, Einaudi, Torino, 1971).

L’anno successivo, Gramsci proseguendo la lotta per la bolscevizzazione del Partito, affermò che le posizioni di Trotsky sul “supercapitalismo americano” erano pericolose e da respingere perché

rinviando la rivoluzione a tempo indeterminato sposterebbero tutta la tattica dell’Internazionale comunista […] e sposterebbero pure la tattica dello Stato russo, poiché se si rimanda la rivoluzione europea per un’intera fase storica, se, cioè, la classe operaia russa non potrà, per un lungo periodo di tempo, contare sull’appoggio del proletariato di altri paesi, è evidente che la rivoluzione russa deve modificarsi. (dal Verbale della relazione di Gramsci al Comitato centrale del Partito comunista d’Italia del 6 febbraio 1925)

Gramsci fu sempre consapevole dell’importanza della lotta alle deviazioni dal leninismo e al frazionismo. Perciò nello stessa relazione dichiarò:

Nella mozione si dovrebbe, inoltre, dire come le concezioni di Trotskij e soprattutto il suo atteggiamento rappresentano un pericolo, in quanto la mancanza di unità nel partito in un paese in cui vi è un solo partito, scinde lo Stato. Ciò produce un movimento controrivoluzionario. […] Dalla questione Trotskij si dovrebbero, infine, dedurre degli insegnamenti per il nostro partito. Trotskij, prima degli ultimi provvedimenti, si trovava nella posizione in cui attualmente si trova Bordiga nel nostro partito:
egli aveva nel Comitato centrale una parte puramente figurativa. La sua posizione costituiva uno stato tendenziale di frazione, così
come l’atteggiamento di Bordiga mantiene nel nostro partito una situazione frazionistica obbiettiva. […] L’atteggiamento di Bordiga, come fu quello di Trotskij, ha delle ripercussioni disastrose. (Ibid.)


Sempre nel 1925, in occasione del V Plenum dell’Esecutivo allargato dell’Internazionale, la delegazione italiana, guidata da Gramsci, si schierò senza riserve a favore delle posizioni di Stalin riguardo la critica a Trotsky. Per Gramsci la scelta della costruzione del socialismo in URSS, nelle condizioni dell’accerchiamento capitalistico, era perfettamente aderente alle necessità di un periodo caratterizzato dalla relativa stabilizzazione capitalista e dal rallentamento dell’ondata rivoluzionaria. Di qui l’intransigente critica a Trotsky, alla sua strategia della “rivoluzione permanente”, che riteneva sbagliata, semplicistica, insufficiente, e la sua convinta adesione alla strategia e alla politica del gruppo dirigente bolscevico, che ribadirà, come vedremo, nei Quaderni del carcere.
In Gramsci è stata sempre presente la preoccupazione per la coesione del Partito russo di cui aveva bisogno il proletariato, a livello nazionale ed internazionale. In quegli anni, in cui le divergenze fra il partito sovietico e il blocco trotskista e zinovievista erano divenute programmatiche, Gramsci mise più volte in guardia sui rischi di disgregazione su cui la borghesia internazionale avrebbe certamente fatto leva per abbattere il potere proletario in Russia.
A proposito della lotta intrapresa dal CC del PCR (b) contro il blocco delle opposizioni di Trotsky, Zinoviev e Kamenev, Gramsci scrisse:

Una quistione infatti è preminente nei provvedimenti presi collettivamente dal Comitato Centrale e dalla Commissione di Controllo del Partito comunista dell’U.R.S.S.: la difesa dell’unità organizzativa del Partito stesso. E’ evidente che su questo terreno non sono possibili né concessioni né compromessi di sorta, chiunque sia l’iniziatore del lavoro di disgregazione del partito, di qualsiasi natura e ampiezza siano i suoi meriti passati, qualunque sia la posizione che ha a capo dell’organizzazione comunista [...] Perciò anche noi riteniamo che tutta la Internazionale debba stringersi solidamente intorno al Comitato Centrale del Partito Comunista dell’URSS per approvarne l’energia, il rigore e lo spirito di decisione nel colpire implacabilmente chiunque attenti all’unita del Partito. (Provvedimenti del C.C. del P.C. dell’U.R.S.S. in difesa dell’unità del Partito e contro il lavoro frazionistico, in “l’Unità”, 27 luglio 1926).

Dalla stessa preoccupazione per l’unità organizzativa ed ideologica del Partito sovietico, e le sue ripercussioni interne e internazionali (in particolare per la lotta che si stava conducendo in Italia per lo sviluppo del Partito), è ispirata la famosa “Lettera al Comitato Centrale del Partito comunista sovietico” dell’ottobre 1926 (pubblicata in Gramsci, Scritti politici, III, Editori Riuniti, 1973).
In questa lettera Gramsci intervenne, a nome dell’Ufficio politico del Partito comunista d’Italia, nel duro scontro politico che si stava sviluppando in URSS fra il gruppo dirigente bolscevico e l’opposizione trotskista-zinovievista, dichiarando “fondamentalmente
giusta la linea politica della maggioranza del CC del Partito comunista dell’URSS” guidato da Stalin. Malgrado Gramsci fosse solo parzialmente informato sulla situazione russa, il suo schieramento con la maggioranza leninista sui contenuti della lotta in atto fu netto e inequivocabile. L’accusa di sostanza al blocco frazionista delle opposizioni è durissima e motivata da una ragione di principio che Gramsci precisò in termini molto chiari:

Ripetiamo che ci impressiona il fatto che l’atteggiamento del blocco delle opposizioni [cioè Zinoviev, Kamenev e Trotzky] investa tutta la linea del comitato centrale, toccando il cuore stesso della dottrina leninista e dell’azione del nostro partito dell’Unione. E’ il principio e la pratica dell’egemonia del proletariato che vengono posti in discussione, sono i rapporti fondamentali di alleanza tra operai e contadini che vengono turbati e messi in pericolo, cioè i pilastri dello Stato operaio e della Rivoluzione.

Da convinto sostenitore dei principi leninisti, Gramsci nella stessa lettera criticò a fondo “la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l’origine dei pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti” identificandola in quella “tradizione della socialdemocrazia e del sindacalismo, che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi in classe dirigente”.
Si tratta di una presa di posizione che Gramsci rafforzò ulteriormente nella successiva “Lettera a Togliatti” del 26 ottobre 1926, nella quale, riflettendo sulla lentezza del processo di bolscevizzazione dei partiti occidentali, scrisse:

La discussione russa e l’ideologia delle opposizioni gioca in questo arresto e ritardo un uffizio tanto più grande, in quanto le opposizioni rappresentano in Russia tutti i vecchi pregiudizi del corporativismo di classe e del sindacalismo che pesano sulla tradizione del proletariato occidentale e ne ritardano lo sviluppo ideologico e politico. (Ibid.)

E concluse precisando:

La nostra lettera era tutta una riquisitoria contro le opposizioni, fatta in termini non demagogici ma appunto perciò più efficace e più seria. (Ibid.)

E’ dunque completamente priva di fondamento un’interpretazione di queste lettere volta ad avvalorare la visione di un “Gramsci trotskista” o oscillante. Allo stesso tempo è chiarissimo da quale parte stava Gramsci nella lotta sviluppatasi nel Partito russo: dalla parte della maggioranza bolscevica dei membri del Partito.

Nei Quaderni del carcere
Come è noto i revisionisti sostengono che Gramsci nei Quaderni del carcere non parla di Stalin, se non indirettamente, e quando accenna all’URSS staliniana si esprime in modi critici (vedi ad es. le tesi di G. Vacca in "L’URSS staliniana nell’analisi dei Quaderni dal carcere", in Gorbacev e la sinistra europea, Roma 1989, p. 75). Si tratta di menzogne e mistificazioni senza ritegno, perché i passi dei Quaderni del carcere che si occupano del socialismo sovietico, sono tutti a favore di Lenin e Stalin e contro Trotsky.
Le questioni cruciali che Gramsci affrontò nei Quaderni per difendere il bolscevismo e criticare Trotsky e sono quattro: 1) la teoria della rivoluzione permanente; 2) le fasi della rivoluzione, la strategia e la tattica conseguenti; 3) l’industrializzazione in URSS; 4) il rapporto fra internazionalismo e politica nazionale.
Passiamo dunque in rassegna le relative note dei Quaderni del carcere, sulla base dell’edizione curata dall’International Gramsci Society (IGS). Il testo corrisponde a quello dell’Edizione critica a cura di V. Gerratana, pubblicata da Einaudi nel 1975. Fra parentesi quadre inseriamo le necessarie spiegazioni degli pseudonimi (ad es. nei Quaderni Lenin viene chiamato Ilici, Stalin viene chiamato Bessarione, Trotzky a volte viene chiamato Bronstein, altre volte Leone Davidovici, oppure Davidovich) e delle perifrasi usate da Gramsci per sfuggire alla censura fascista.
1. Gramsci scrisse di Trotsky già nel Quaderno 1, in chiusura di un’importante nota titolata “Direzione politica di classe prima e dopo l’andata al governo”. In essa, prendendo spunto dalle vicende del Risorgimento italiano, si riferì alle enormi e inedite problematiche a cui si trovò di fronte il governo dei Soviet. In questa nota Gramsci affrontò direttamente la parola d’ordine trotskista della “rivoluzione permanente”:

A proposito della parola d’ordine «giacobina» lanciata da Marx alla Germania del 1848 [l’idea della rivoluzione ininterrotta] è da osservare la sua complicata fortuna. Ripresa, sistematizzata, elaborata, intellettualizzata dal gruppo Parvus-Bronstein [Helphand-Trotzky], si manifestò inerte e inefficace nel 1905 e in seguito: era una cosa astratta, da gabinetto scientifico. La corrente [il bolscevismo] che la avversò in questa sua manifestazione intellettualizzata, invece, senza usarla «di proposito» la impiegò di fatto nella sua forma storica, concreta, vivente, adatta al tempo e al luogo, come scaturiente da tutti i pori della società che occorreva trasformare, di alleanza tra due classi [la classe operaia e i contadini] con l’egemonia della classe urbana [la classe operaia].

Per Gramsci il moderno “giacobinismo” si esprimeva anzitutto in una politica di alleanza con i contadini, sotto l‘egemonia della classe operaia. Dunque, Gramsci valorizzava la giusta politica bolscevica, che Stalin portò avanti, contro la tesi trotskista della “rivoluzione permanente”. Questa tesi respingeva l’importanza dei contadini poveri quale forza rivoluzionaria ed esprimeva completa sfiducia nella capacità del proletariato di dirigere tutti gli sfruttati e gli oppressi nella rivoluzione, giungendo all’impossibilità di edificare il socialismo in un solo paese.
La nota citata si chiude con una durissima accusa nei confronti di Trotsky, che viene paragonato al borghese reazionario Crispi:

Nell’un caso [Trotsky], temperamento giacobino senza il contenuto politico adeguato, tipo Crispi; nel secondo caso [i bolscevichi] temperamento e contenuto giacobino secondo i nuovi rapporti storici, e non secondo un’etichetta intellettualistica.

E’ interessante osservare che questa stessa nota venne ripresa quasi integralmente nel Quaderno 19, scritto nel 1934-35, cioè dopo la definitiva rottura con il trotskismo.
Gramsci tornò sulla questione della “rivoluzione permanente” nel Quaderno 7, § 16, in una famosa nota dal titolo “Guerra di posizione e guerra manovrata o frontale”:

È da vedere se la famosa teoria di Bronstein [Trotsky] sulla permanenza del movimento non sia il riflesso politico della teoria della guerra manovrata (ricordare osservazione del generale dei cosacchi Krasnov), in ultima analisi il riflesso delle condizioni generali-economiche-culturalisociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare «trincea o fortezza». In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che appare come un «occidentalista» era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici [Lenin] era profondamente nazionale e profondamente europeo. Bronstein nelle sue memorie ricorda che gli fu detto che la sua teoria si era dimostrata buona dopo... quindici anni e risponde all’epigramma con un altro epigramma. In realtà la sua teoria, come tale, non era buona né quindici anni prima né quindici anni dopo.

Dopo aver contrapposto Lenin a Trotsky, Gramsci aggiunse dopo poche righe:

La teoria del Bronstein [Trotsky] può essere paragonata a quella di certi sindacalisti francesi sullo sciopero generale e alla teoria di Rosa [Luxemburg] nell’opuscolo tradotto da Alessandri: l’opuscolo di Rosa e la teoria di Rosa hanno del resto influenzato i sindacalisti francesi.

2. Nelle sue riflessioni, Gramsci collegò la questione della “rivoluzione permanente” alla questione del passaggio dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione”. In particolare, dopo la sconfitta della rivoluzione in Germania nel 1923 e il passaggio su posizioni difensive del movimento operaio, Gramsci si convinse che il problema dello sviluppo del processo rivoluzionario in Europa dovesse essere rielaborato, comprendendo i motivi del momentaneo fallimento e stabilendo compiti rivoluzionari adeguati alla nuova fase. La riflessione del Quaderno 6, § 138 è dedicata a questa fondamentale problematica strategica e tattica:

Passaggio dalla guerra manovrata (e dall’attacco frontale) alla guerra di posizione anche nel campo politico. Questa mi pare la quistione di teoria politica la più importante, posta dal periodo del dopo guerra e la più difficile ad essere risolta giustamente. Essa è legata alle quistioni sollevate dal Bronstein [Trotsky], che in un modo o nell’altro, può ritenersi il teorico politico dell’attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatta.

Nell’affrontare il complesso problema dell’alternativa, o meglio della combinazione, fra “tattica di assalto” e “tattica di assedio” che si era posto nel dibattito dell’Internazionale Comunista, Gramsci partì da una considerazione di straordinaria importanza, sistematicamente ignorata dai revisionisti e dai riformisti: "tutto ciò indica che si è entrati in una fase culminante della situazione politico-storica, poiché nella politica la «guerra di posizione», una volta vinta, è decisiva definitivamente”.
Sulla base di questa considerazione, a cui era pervenuto analizzando la profonda crisi di capacità di direzione e di governo della borghesia, ma anche la maggiore resistenza dell’apparato statale in Occidente e l’esistenza di vasti strati intermedi, Gramsci aggiunse nel Quaderno 7, § 16:

Mi pare che Ilici [Lenin] aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente nel '17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente. […] Questo mi pare significare la formula del «fronte unico» […] Solo che Ilici non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi di società civile ecc.

Siamo nel cuore del programma di ricerca che Gramsci condusse nei Quaderni. Ma c’era anche un altro aspetto fondamentale dei
metodi strategici e tattici imposti dai rapporti di forza storicamente creatisi, quello relativo all’Unione Sovietica. Al riguardo Gramsci annotò:

La guerra di posizione domanda enormi sacrifizi a masse sterminate di popolazione; perciò è necessaria una concentrazione inaudita dell’egemonia e quindi una forma di governo più «intervenzionista», che più apertamente prenda l’offensiva contro gli oppositori e organizzi permanentemente l’«impossibilità» di disgregazione interna: controlli d’ogni genere, politici, amministrativi, ecc., rafforzamento delle «posizioni» egemoniche del gruppo dominante, ecc.

Si tratta di un’aperta adesione alla linea di Stalin, al rafforzamento della dittatura del proletariato, una politica “in cui si domandano qualità eccezionali di pazienza e di spirito inventivo”, ma che era l’unica vincente in quella concreta fase storica. Una linea diametralmente opposta a quella di Trotsky.
3. Come abbiamo visto, un aspetto fondamentale della “guerra di posizione” era rappresentato dalla difesa del potere sovietico e dalla costruzione del socialismo. Anche per quest’ultimo aspetto si ponevano dilemmi acuti. Estremamente interessante è la critica che Gramsci formulò all’inizio di una celebre nota (Quaderno 4, § 52):

Americanismo e fordismo. La tendenza di Leone Davidovi [Trotsky] era legata a questo problema. Il suo contenuto essenziale era dato dalla «volontà» di dare la supremazia all’industria e ai metodi industriali, di accelerare con mezzi coercitivi la disciplina e l’ordine nella produzione, di adeguare i costumi alle necessità del lavoro. Sarebbe sboccata necessariamente in una forma di bonapartismo, perciò fu necessario spezzarla inesorabilmente.

Gramsci affrontò qui una delle questioni cruciali dell’aspro dibattito che coinvolse il PCR(b) e l’Internazionale Comunista negli anni ’20 del Novecento: quella delle forme e dei ritmi della industrializzazione e della NEP. Agli occhi di Gramsci, la figura di Trotsky è quella del massimo rappresentante di una tendenza dannosa, una sorta di “americanismo”, basato sulla costrizione, il comando e i sistemi militari. Cioè dell’introduzione forzata e accelerata di forme di produzione, di vita quotidiana e di cultura direttamente legate alle esigenze del capitale privato (non a caso Gramsci ricordò l’“interesse di Leone Davidovi [Trotsky] per l’americanismo. Suo interesse, suoi articoli, sue inchieste sul «byt» [vita, stile di vita] e sulla letteratura”). Nella stessa nota Gramsci affermò che "il principio della coercizione nel mondo del lavoro era giusto […] ma la forma che aveva assunto era errata” e avrebbe condotto a un esito disastroso”.
Dunque, si trattava di una posizione inconciliabile col leninismo, che contraddiceva la “ritirata temporanea” della NEP e avrebbe
portato alla rottura dell’alleanza con i contadini e alla rovina del potere sovietico. Era perciò una tendenza da schiacciare senza remore, poiché mirava alla restaurazione del capitalismo. Su ciò Gramsci non ha mai manifestato dubbi, tant’è che in altre due occasioni spiegò ed approvò la liquidazione di Trotsky: nel Quaderno 14, § 76 inquadrando la liquidazione di Trotsky come “un episodio della liquidazione «anche» del parlamento «nero» che sussisteva dopo l’abolizione del parlamento «legale»”, e nel Quaderno 22 (databile al 1934), quando riferendosi alla tendenza trotskista ribadì “la necessità inesorabile di stroncarla”.
4. Veniamo infine ad un’altra nota di eccezionale importanza: quella contenuta nel Quaderno 14, § 68, nella quale Gramsci, traendo spunto dal discorso di Stalin all'Università Sverdlov di Mosca del 9 giugno 1925 (vedi nota di chiusura), pose direttamente in antitesi Stalin (Bessarione) e Trotsky (Davidovici). Scrive Gramsci, approfondendo il tema dell’internazionalismo e della politica nazionale:

Scritto (a domande e risposte) di Giuseppe Bessarione [Stalin] del settembre 1927 su alcuni punti essenziali di scienza e di arte politica. Il punto che mi pare sia da svolgere è questo: come secondo la filosofia della prassi [il marxismo] (nella sua manifestazione politica) sia nella formulazione del suo fondatore [Marx], ma specialmente nella precisazione del suo più recente grande teorico [Lenin], la situazione internazionale debba essere considerata nel suo aspetto nazionale. Realmente il rapporto
«nazionale» è il risultato di una combinazione «originale» unica (in un certo senso) che in questa originalità e unicità deve essere
compresa e concepita se si vuole dominarla e dirigerla. Certo lo sviluppo è verso l’internazionalismo, ma il punto di partenza è
«nazionale» ed è da questo punto di partenza che occorre prender le mosse. Ma la prospettiva è internazionale e non può essere che tale. Occorre pertanto studiare esattamente la combinazione di forze nazionali che la classe internazionale [il proletariato] dovrà dirigere e sviluppare secondo la prospettiva e le direttive internazionali [del Comintern]. […] Su questo punto mi pare sia il dissidio fondamentale tra Leone Davidovici [Trotsky] e Bessarione [Stalin] come interprete del movimento maggioritario [il bolscevismo]. Le accuse di nazionalismo sono inette se si riferiscono al nucleo della quistione. Se si studia lo sforzo dal 1902 al 1917 da parte dei maggioritari [i bolscevichi] si vede che la sua originalità consiste nel depurare l’internazionalismo di ogni elemento vago e puramente ideologico (in senso deteriore) per dargli un contenuto di politica realistica.


E’ chiaro come il sole che Gramsci nel delineare il “dissidio fondamentale” tra Trotsky/Davidovici e Stalin/Bessarione si schierò decisamente con Stalin, l’interprete del bolscevismo che a suo giudizio impostò e risolse correttamente il problema della combinazione di forze nazionali che la classe internazionale deve dirigere e sviluppare nella prospettiva del comunismo mondiale.

Uno dei migliori bolscevichi
Alla luce dei testi, risulta priva di qualsiasi fondamento un’interpretazione del pensiero di Gramsci in senso trotskista.
Dall’opera gramsciana, comprese le riflessioni contenute nei Quaderni del carcere, emerge invece in modo inequivocabile la spietata critica a Trotsky. In tutti in passi ove Gramsci parla di Trotsky il contenuto è sempre di aspra polemica. Allo stesso tempo, Gramsci valutava positivamente le scelte compiute da Lenin e Stalin, approvava in pieno la politica dei bolscevichi, compreso quei tratti che oggi la borghesia e i revisionisti racchiudono nel concetto fuorviante di “totalitarismo”. In nessuno scritto o discorso, nè in libertà, nè in prigione, Gramsci ha espresso un giudizio negativo e tanto meno ha denigrato la direzione del Partido bolscevico e il compagno Stalin. I falsari del moderno revisionismo, gli illusionisti del “socialismo del 21° secolo” e tutti gli intellettuali borghesi e reazionari sono così smentiti su tutta la linea.
Antonio Gramsci fu un grande dirigente rivoluzionario del proletariato, un gigante del pensiero e dell’azione comunista che ha sempre combattuto le deviazioni antileniniste, ha sempre difeso la dittatura del proletariato, il sistema della democrazia operaia incarnata nei consigli (soviet), contro la falsa democrazia borghese e le sue varianti socialdemocratiche (ad es. l’odierna “democrazia partecipativa”), ha sempre insistito sulla necessità di una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società attraverso
l’abbattimento dello Stato borghese e si è sempre mantenuto fedele al marxismo-leninismo e al socialismo proletario, fino all’ultimo giorno della sua esistenza.
Come scrisse il Comintern in occasione della morte di Gramsci, causata da lunghi anni di carcere e maltrattamenti fascisti:

Strettamente legato alle masse, capace di istruirsi alla scuola delle masse, sapendo comprenderne tutti gli aspetti della vita sociale, rivoluzionario inflessibile, fedele fino al suo ultimo soffio all’Internazionale Comunista e al suo partito, Gramsci ci lascia il ricordo di uno dei migliori rappresentanti della generazione di bolscevichi che nelle file dell’Internazionale Comunista fu edificata nello spirito della dottrina di Marx, Engels, Lenin, Stalin, nello spirito del bolscevismo.

Strappare il grande dirigente comunista Antonio Gramsci dalle grinfie borghesi, revisioniste e opportuniste è un importante compito del proletariato rivoluzionario.

Giugno 2014

Tratto da "Teoria & Prassi", organo di stampa di Piattaforma Comunista

Edited by Sandor_Krasna - 22/3/2015, 19:21
 
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Antonio Gramsci - Il movimento torinese dei Consigli
Materiale di studio per i CdP di base
Rapporto inviato nel luglio 1920 al Comitato Esecutivo dell'Internazionale comunista. Pubblicato per la prima volta in russo, in tedesco e in francese nell'Internazionale Comunista, 1920, n. 14 e ripubblicato in italiano senza firma nell'Ordine Nuovo, quotidiano, 14 marzo 1921, anno 1, n. 73. www.nuovopci.it/classic/gramsci/mvtorcon.htm, quotidiano, 14 marzo 1921, anno 1, n. 73. www.nuovopci.it/classic/gramsci/mvtorcon.htm

Presentazione della redazione di La Voce
In La Voce n. 47 nell’articolo Principi, metodi e problemi del lavoro operaio del Partito di cui raccomandiamo lo studio a ogni compagno e a ogni Comitato di Partito (CdP) di base, la compagna Vera Z. diceva che i Consigli di Fabbrica degli anni ’70 sono stati un ottimo precedente a cui ispirarsi. E in proposito raccomandava la lettura del rapporto fatto recentemente da un operaio del CdF della Philco (Ponte S. Pietro - Bergamo) anni ’70 per il mensile del P.CARC Resistenza (www.carc.it/index.php?view=article&id=1935). Dimenticava di dire che i CdF degli anni ’70 non si svilupparono a un livello superiore e andarono invece ad esaurirsi perché non vi era ancora un Partito comunista che li valorizzasse nell’ambito della sua strategia per instaurare il socialismo. Analogo è il bilancio da fare per i Consigli di Fabbrica degli anni ’20. Ma sia i Consigli degli anni ‘20 che quelli degli anni ’70 mostrano sia che pur in situazioni molto diverse gli operai arrivano a costituire organismi loro propri di questo genere, sia che per svilupparsi oltre questi organismi hanno bisogno che il Partito comunista valorizzi il loro ruolo di nuove autorità locali e li faccia protagonisti della sua strategia di rivoluzione socialista, della Guerra Popolare Rivoluzionaria. È quello che noi oggi facciamo nell’ambito della lotta per costituire il Governo di Blocco Popolare (GBP): le Organizzazioni Operaie (OO) create nelle aziende capitaliste devono “occupare la fabbrica e uscire dalla fabbrica” e farsi così promotrici con le Organizzazioni Popolari (OP) della costituzione sia di Amministrazioni Comunali d’Emergenza (ACE) sia del GBP.
Proponiamo quindi ai nostri compagni e ai CdP di base lo studio accurato del bilancio che Antonio Gramsci stese nel luglio 1920 a proposito dei Consigli di Fabbrica formati a Torino della primavera del 1920 perché siamo convinti che troveranno molti spunti per migliorare il loro lavoro operaio. Da notare che nel 1920 Gramsci non trae ancora dall’esperienza dei CdF la lezione che determinante è il ruolo del Partito comunista promotore della rivoluzione socialista. Il bilancio di Gramsci resta per così dire sospeso in aria: si ferma alla denuncia dell’incapacità rivoluzionaria del PSI e delle organizzazioni sindacali e all’esaltazione e riconoscimento della potenzialità rivoluzionaria degli operai.


Uno dei membri della delegazione italiana, testé ritornato dalla Russia sovietica, riferì ai lavoratori torinesi che la tribuna destinata per l'accoglienza della delegazione a Kronstadt era fregiata colla seguente iscrizione: "Evviva lo sciopero generale torinese dell'aprile 1920".
Gli operai appresero questa notizia con molto piacere e grande soddisfazione. La maggior parte dei componenti la delegazione italiana recatasi in Russia erano stati contrari allo sciopero generale dell'aprile. Essi sostenevano nei loro articoli contro lo sciopero che gli operai torinesi erano stati vittime d'una illusione e avevano sopravvalutato l'importanza dello sciopero.
I lavoratori torinesi appresero perciò con piacere l'atto di simpatia dei compagni di Kronstadt ed essi si dissero: "I nostri compagni comunisti russi hanno meglio compreso e valutato l'importanza dello sciopero di aprile che non gli opportunisti italiani, dando così a questi ultimi una buona lezione".

Lo sciopero di aprile

Il movimento torinese dell'aprile fu infatti un grandioso avvenimento nella storia non soltanto del proletariato italiano, ma di quello europeo, e possiamo dirlo, nella storia del proletariato di tutto il mondo.
Per la prima volta nella storia, si verificò infatti il caso di un proletariato che impegna la lotta per il controllo sulla produzione, senza essere stato spinto all'azione dalla fame o dalla disoccupazione. Di più, non fu soltanto una minoranza, un'avanguardia della classe operaia che intraprese la lotta, ma la massa intera dei lavoratori di Torino scese in campo e portò la lotta, incurante di privazioni e di sacrifici, fino alla fine.
I metallurgici scioperarono un mese, le altre categorie dieci giorni. Lo sciopero generale degli ultimi dieci giorni dilagò in tutto il Piemonte, mobilitando circa mezzo milione di operai industriali e agricoli, e coinvolse quindi circa quattro, milioni di popolazione.
I capitalisti italiani tesero tutte le loro forze per soffocare il movimento operaio torinese; tutti i mezzi dello Stato borghese furono posti a loro disposizione, mentre gli operai sostennero da soli la lotta senza alcun aiuto né dalla direzione del Partito socialista, né dalla Confederazione Generale del Lavoro. Anzi, i dirigenti del Partito e della Confederazione schernirono i lavoratori torinesi e fecero tutto il possibile per trattenere i lavoratori e contadini italiani da qualsiasi azione rivoluzionaria colla quale essi intendevano manifestare la loro solidarietà coi fratelli torinesi, e portare a essi un efficace aiuto.
Ma gli operai torinesi non si perdettero d'animo. Essi sopportarono tutto il peso della reazione capitalista, osservarono la disciplina fino all'ultimo momento e rimasero fino dopo la disfatta fedeli alla bandiera del comunismo e della rivoluzione mondiale.

Anarchici e sindacalisti

La propaganda degli anarchici e dei sindacalisti contro la disciplina di partito e la dittatura del proletariato non ebbe alcuna influenza sulle masse, anche quando, causa il tradimento dei dirigenti, lo sciopero terminò con una sconfitta. I lavoratori torinesi giurarono anzi di intensificare la lotta rivoluzionaria e di condurla su due fronti: da una parte contro la borghesia vittoriosa, dall'altra contro i capi traditori.
La coscienza e disciplina rivoluzionaria, di cui le masse torinesi hanno dato prova, hanno la loro base storica nelle condizioni economiche e politiche in cui si è sviluppata la lotta di classe a Torino.
Torino è un centro di carattere prettamente industriale. Quasi tre quarti della popolazione, che conta mezzo milione di abitanti, è composta di operai: gli elementi piccolo-borghesi sono una quantità infima. A Torino vi è inoltre una massa compatta di impiegati e tecnici, che sono organizzati nei sindacati e aderiscono alla Camera del Lavoro. Essi furono durante tutti i grandi scioperi a fianco degli operai, e hanno quindi, se non tutti, almeno la maggior parte, acquistato la psicologia del vero proletario, in lotta contro il capitale, per la rivoluzione e il comunismo.

La produzione industriale

La produzione torinese è, vista dal di fuori, perfettamente centralizzata e omogenea. L'industria metallurgica con circa cinquantamila operai e diecimila impiegati e tecnici occupa il primo posto. Soltanto nelle officine FIAT lavorano trentacinquemila operai, impiegati e tecnici; nelle officine principali di questa azienda sono impiegati sedicimila operai che costruiscono automobili di ogni genere coi sistemi più moderni e perfezionati.
La produzione di automobili è la caratteristica dell'industria metallurgica torinese. La maggior parte delle maestranze è formata da operai qualificati e tecnici, che non hanno però la mentalità piccolo-borghese degli operai qualificati di altri paesi a esempio dell'Inghilterra.
La produzione automobilistica, che occupa il primo posto nella industria metallurgica, ha subordinato a sé altri rami della produzione, come l'industria del legno e quella della gomma.
I metallurgici formano l'avanguardia del proletariato torinese. Date le particolarità di questa industria, ogni movimento dei suoi operai diventa un movimento generale di masse e assume un carattere politico e rivoluzionario, anche se al principio esso non perseguiva che obiettivi sindacali.
Torino possiede una sola organizzazione sindacale importante, forte di novantamila iscritti, la Camera del Lavoro. I gruppi anarchici e sindacalisti esistenti non hanno quasi nessuna influenza sulla massa operaia, che si pone ferma e decisa dalla parte della sezione del Partito socialista, composta, nella maggior parte, di operai comunisti.
Il movimento comunista dispone delle seguenti organizzazioni di battaglia: la sezione del partito, con 1.500 iscritti, ventotto circoli con diecimila soci e ventitré organizzazioni giovanili con duemila soci.
In ogni azienda esiste un gruppo comunista permanente con un proprio ente direttivo. I singoli gruppi si uniscono a seconda della posizione topografica della loro azienda in gruppi rionali, i quali fanno capo a un comitato direttivo in seno alla sezione del partito, che concentra nelle sue mani tutto il movimento comunista della città e la direzione della massa operaia.
--------- Manchette
La concezione comunista del mondo è una scienza.
Chi sostiene che le attività con cui gli uomini hanno fatto e fanno la loro storia non possono essere oggetto di conoscenza scientifica, in definitiva ha una concezione religiosa del mondo: crede che almeno una parte del mondo sia per sua natura misteriosa e inconoscibile.
Ci sono riformisti di due generi: gli opportunisti (non vogliono correre rischi e mirano a trovarsi una nicchia nella società borghese) e gli arretrati (non sono ancora arrivati a pensare che la società come è oggi l’hanno fatta gli uomini e gli uomini sono capaci di cambiarla).

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Torino capitale d'Italia

Prima della rivoluzione borghese, che creò l'attuale ordinamento borghese in Italia, Torino era la capitale di un piccolo Stato, che comprendeva il Piemonte, la Liguria e la Sardegna. In quell'epoca predominava a Torino la piccola industria e il commercio.
Dopo l'unificazione del regno d'Italia e il trasporto della capitale a Roma, sembrava che Torino dovesse correre pericolo di perdere la sua importanza. Ma la città sorpassò in breve tempo la crisi economica, e divenne uno dei centri industriali più importanti d'Italia. Si può dire che l'Italia ha tre capitali: Roma, come centro amministrativo dello Stato borghese, Milano come centro commerciale e finanziario del paese (tutte le banche, gli uffici commerciali e gli istituti finanziari sono concentrati a Milano), e infine Torino come centro industriale, dove la produzione industriale ha raggiunto il massimo grado di sviluppo. Col trasferimento della capitale a Roma, da Torino emigrò tutta la piccola e media borghesia intellettuale che fornì al nuovo Stato borghese il personale amministrativo necessario per il suo funzionamento: lo sviluppo della grande industria attirò invece a Torino il fiore della classe operaia italiana. Il processo di sviluppo di questa città è, dal punto di vista della storia italiana e della rivoluzione proletaria italiana, interessantissimo.
Il proletariato torinese divenne così il dirigente spirituale delle masse operaie italiane che sono vincolate a questa città da molteplici legami: parentela, tradizione, storia e da legami spirituali (l'ideale per ogni operaio italiano è di poter lavorare a Torino).
Tutto ciò spiega il perché le masse operaie di tutta l'Italia erano desiderose, andando perfino contro la volontà dei capi, di manifestare la loro solidarietà collo sciopero generale di Torino; esse vedono in questa città il centro, la capitale della rivoluzione comunista, la Pietrogrado della rivoluzione proletaria italiana.

Due insurrezioni armate

Durante la guerra imperialista del 1915-18, Torino vide due insurrezioni armate: la prima insurrezione, che scoppiò nel maggio 1915, aveva l'obiettivo di impedire l'intervento dell'Italia nella guerra contro la Germania (in questa occasione venne saccheggiata la Casa del popolo); la seconda insurrezione, nell'agosto del 1917, assunse il carattere di una lotta rivoluzionaria armata su grande scala.

La notizia della Rivoluzione di marzo in Russia era stata accolta a Torino con gioia indescrivibile. Gli operai piangevano di commozione quando appresero la notizia che il potere dello zar era stato rovesciato dai lavoratori di Pietrogrado. Ma i lavoratori torinesi non si lasciarono infinocchiare dalla fraseologia demagogica di Kerenski e dei menscevichi. Quando nel luglio 1917 arrivò a Torino la missione inviata nell'Europa occidentale dal Soviet di Pietrogrado, i delegati Smirnov e Goldemberg, che si presentarono dinanzi a una folla di cinquantamila operai, vennero accolti da grida assordanti di "Evviva Lenin! Evviva i bolscevichi!".
Goldemberg non era troppo soddisfatto di questa accoglienza; egli non riusciva a capire in che maniera il compagno Lenin si fosse acquistata tanta popolarità fra gli operai torinesi. E non bisogna dimenticare che questo episodio avvenne dopo la repressione della rivolta bolscevica del luglio, che la stampa borghese italiana infuriava contro Lenin e contro i bolscevichi, denunciandoli come briganti, intriganti, agenti e spie dell'imperialismo tedesco.
Dal principio della guerra italiana (24 maggio 1915) il proletariato torinese non aveva fatto nessuna manifestazione di masse.

Barricate, trincee, reticolati

L'imponente comizio che era stato organizzato in onore dei delegati del Soviet pietrogradese segnò l'inizio di un nuovo periodo di movimenti di masse. Non passò un mese, che i lavoratori torinesi insorsero con le armi in pugno, contro l'imperialismo e il militarismo italiano. L'insurrezione scoppiò il 23 agosto 1917. Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie della città. Gli insorti, che disponevano di fucili, granate e mitragliatrici, riuscirono persino a occupare alcuni quartieri della città e tentarono tre o quattro volte di impadronirsi del centro ove si trovavano le istituzioni governative e i comandi militari.
Ma i due anni di guerra e di reazione avevano indebolito la già forte organizzazione del proletariato, e gli operai inferiori di armamento furono vinti. Invano sperarono in un appoggio da parte dei soldati; questi si lasciarono ingannare dall'insinuazione che la rivolta era stata inscenata dai tedeschi.
Il popolo eresse delle barricate, scavò trincee, circondò qualche rione di reticolati a corrente elettrica e respinse per cinque giorni tutti gli attacchi delle truppe e della polizia. Caddero più di 500 operai, più di 2.000 vennero gravemente feriti. Dopo la sconfitta i migliori elementi furono arrestati e allontanati e il movimento proletario perdette di intensità rivoluzionaria. Ma i sentimenti comunisti del proletariato torinese non erano spenti.
Una prova se ne può trovare nel seguente episodio: poco tempo dopo l'insurrezione di agosto ebbero luogo le elezioni per il Consiglio amministrativo dell'Alleanza cooperativa torinese, una immensa organizzazione che provvede all'approvvigionamento della quarta parte della popolazione torinese.

L'Alleanza cooperativa

L'ACT è composta della Cooperativa ferrovieri e dell'Associazione generale degli operai. Da molti anni la sezione socialista aveva conquistato il Consiglio di amministrazione, ma ora la sezione non era più in grado di esplicare un'attiva agitazione in mezzo alle masse operaie.
Il capitale dell'Alleanza era per la maggior parte costituito di azioni della cooperativa ferroviaria appartenenti ai ferrovieri e alle loro famiglie. Lo sviluppo preso dall'Alleanza aveva aumentato il valore delle azioni da 50 a 700 lire. Il Partito riuscì però a persuadere gli azionisti che una cooperativa operaia ha per scopo non il profitto dei singoli ma il rafforzamento dei mezzi di lotta rivoluzionaria, e gli azionisti si accontentarono di un dividendo del tre e mezzo per cento sul valore nominale di 50 lire, anziché sul valore reale di 700 lire. Dopo l'insurrezione dell'agosto si formò, con l'appoggio della polizia e della stampa borghese e riformista, un comitato di ferrovieri che si propose di strappare al Partito socialista il predominio nel consiglio amministrativo. Agli azionisti si promise la liquidazione immediata della differenza di 650 lire fra il valore nominale e quello corrente di ogni azione; ai ferrovieri si promisero diverse prerogative nella distribuzione dei generi alimentari. I riformisti traditori e la stampa borghese misero in azione tutti i mezzi di propaganda e di agitazione per trasformare la cooperativa da un'organizzazione operaia in una azienda commerciale di carattere piccolo-borghese. La classe operaia era esposta a persecuzioni di ogni genere. La censura soffocò la voce della sezione socialista. Ma ad onta di tutte le persecuzioni e tutte le angherie, i socialisti, che non avevano per un solo istante abbandonato il loro punto di vista, che la cooperativa operaia è un mezzo della lotta di classe, ottennero di nuovo la maggioranza dell'Alleanza cooperativa.

Il Partito, socialista ottenne 700 voti su 800, quantunque la maggioranza degli elettori fossero impiegati ferrovieri, dai quali ci si aspettava che dopo la sconfitta dell'insurrezione di agosto avrebbero manifestato una certa titubanza e perfino delle tendenze reazionarie.

Nel dopoguerra

Dopo la fine della guerra imperialista il movimento proletario fece rapidi progressi. La massa operaia di Torino comprese che il periodo storico aperto dalla guerra era profondamente diverso dall'epoca precedente alla guerra. La classe operaia torinese intuì subito che la III Internazionale è un'organizzazione del proletariato mondiale per la direzione della guerra civile, per la conquista del potere politico, per l'istituzione della dittatura proletaria, per la creazione di un nuovo ordine nei rapporti economici e sociali.
I problemi della rivoluzione, economici e politici, formavano oggetto di discussione in tutte le assemblee degli operai. Le migliori forze dell'avanguardia operaia si riunirono per diffondere un settimanale di indirizzo comunista, l'Ordine Nuovo. Nelle colonne di questo settimanale si trattarono i vari problemi della rivoluzione; l'organizzazione rivoluzionaria delle masse che dovevano conquistare i sindacati alla causa del comunismo; il trasferimento della lotta sindacale dal campo grettamente corporativista e riformista, sul terreno della lotta rivoluzionaria, del controllo sulla produzione e della dittatura del proletariato. Anche la questione dei Consigli di fabbrica fu posta all'ordine del giorno.
Nelle aziende torinesi esistevano già prima piccoli comitati operai, riconosciuti dai capitalisti, e alcuni di essi avevano già ingaggiato la lotta contro il funzionarismo, lo spirito riformista e le tendenze costituzionali dei sindacati.
Ma la maggior parte di questi comitati non erano che creature dei sindacati; le liste dei candidati per questi comitati (commissioni interne) venivano proposte dalle organizzazioni sindacali, le quali sceglievano di preferenza operai di tendenze opportuniste che non avrebbero dato delle noie ai padroni, e avrebbero soffocato in germe ogni azione di massa. I seguaci dell'Ordine Nuovo perorarono nella loro propaganda in prima linea la trasformazione delle commissioni interne, e il principio che la formazione delle liste dei candidati dovesse avvenire nel seno della massa operaia e non dalle cime della burocrazia sindacale. I compiti che essi assegnarono ai Consigli di fabbrica furono il controllo sulla produzione, l'armamento e la preparazione militare delle masse, la loro preparazione politica e tecnica. Essi non dovevano più né compiere l'antica funzione di cani da guardia che proteggono gli interessi delle classi dominanti, né frenare le masse nelle loro azioni contro il regime capitalistico.

L'entusiasmo per i Consigli

La propaganda per i Consigli di fabbrica venne accolta con entusiasmo dalle masse; nel corso di mezzo anno vennero costituiti Consigli di fabbrica in tutte le fabbriche e officine metallurgiche, i comunisti conquistarono la maggioranza nel sindacato metallurgici; il principio dei Consigli di fabbrica e del controllo sulla produzione venne approvato e accettato dalla maggioranza del congresso e dalla maggior parte dei sindacati appartenenti alla Camera del Lavoro.
L'organizzazione dei Consigli di fabbrica si basa sui seguenti principi: in ogni fabbrica, in ogni officina viene costituito un organismo sulla base della rappresentanza (e non sull'antica base del sistema burocratico) il quale realizza la forza del proletariato, lotta contro l'ordine capitalistico o esercita il controllo sulla produzione, educando tutta la massa operaia per la lotta rivoluzionaria e per la creazione dello Stato operaio. Il Consiglio di fabbrica deve essere formato, secondo il principio dell'organizzazione per industria; esso deve rappresentare per la classe operaia il modello della società comunista, alla quale si arriverà attraverso la dittatura del proletariato; in questa società non esisteranno più divisioni di classe, tutti i rapporti sociali saranno regolati secondo le esigenze tecniche della produzione e della organizzazione corrispondente, e non saranno subordinati a un potere statale organizzato. La classe operaia deve comprendere tutta la bellezza e nobiltà dell'ideale per il quale essa lotta e si sacrifica; essa deve rendersi conto che per raggiungere questo ideale è necessario passare attraverso alcune tappe; essa deve riconoscere la necessità della disciplina rivoluzionaria e della dittatura.

Ogni azienda si suddivide in reparti e ogni reparto in squadre di mestiere: ogni squadra compie una determinata parte del lavoro; gli operai di ogni squadra eleggono un operaio, con mandato imperativo e condizionato. L'assemblea dei delegati di tutta l'azienda forma un Consiglio che elegge dal suo seno un comitato esecutivo. L'assemblea dei segretari politici dei comitati esecutivi forma il comitato centrale dei Consigli che elegge dal suo seno un comitato urbano, di studio per la Organizzazione della propaganda, la elaborazione dei piani di lavoro, per l'approvazione dei progetti e delle proposte delle singole aziende e perfino di singoli operai, e infine per la direzione generale di tutto il movimento.

Consigli e commissioni interne durante gli scioperi

Alcuni compiti dei Consigli di fabbrica hanno carattere prettamente tecnico e perfino industriale, come a esempio il controllo sul personale tecnico, il licenziamento di dipendenti che si dimostrano nemici della classe operaia, la lotta con la direzione per la conquista. di diritti e libertà; il controllo della produzione della azienda e delle operazioni finanziarie.
I Consigli di fabbrica presero presto radici. Le masse accolsero volentieri questa forma di organizzazione comunista, si schierarono intorno ai comitati esecutivi e appoggiarono energicamente la lotta. contro l'autocrazia capitalista. Quantunque né gli industriali, né la burocrazia sindacale volessero riconoscere i Consigli e i comitati, questi ottennero tuttavia notevoli successi: essi scacciarono gli agenti e le spie dei capitalisti, annodarono rapporti con gli impiegati e coi tecnici per avere delle informazioni d'indole finanziaria e industriale; negli affari dell'azienda essi concentrarono nelle loro mani il potere disciplinare e dimostrarono alle masse disunite e disgregate ciò che significa la gestione diretta degli operai nell'industria.

L'attività dei Consigli e delle commissioni interne si manifestò più chiaramente durante gli scioperi; questi scioperi perdettero il loro carattere impulsivo, fortuito e divennero la espressione dell'attività cosciente delle masse rivoluzionarie. L'organizzazione tecnica dei Consigli e delle commissioni interne, la loro capacità di azione si perfezionò talmente che fu possibile ottenere in cinque minuti la sospensione dal lavoro di 16 mila operai dispersi in 42 reparti della Fiat. Il 3 dicembre 1919 i Consigli di fabbrica diedero una prova tangibile della loro capacità di dirigere movimenti di masse in grande stile; dietro ordine della sezione socialista, che concentrava nelle sue mani tutto il meccanismo del movimento di massa, i Consigli di fabbrica mobilitarono senza alcuna preparazione, nel corso di un'ora, centoventimila operai, inquadrati secondo le aziende. Un'ora dopo si precipitò l'armata proletaria come una valanga fino al centro della città e spazzò dalle strade e dalle piazze tutto il canagliume nazionalista e militarista.

La lotta contro i Consigli

Alla testa del movimento per la costituzione dei Consigli di fabbrica furono i comunisti appartenenti alla sezione socialista e alle organizzazioni sindacali; vi presero, pure parte gli anarchici, i quali cercarono di contrapporre la loro fraseologia ampollosa al linguaggio chiaro e preciso dei comunisti marxisti.
Il movimento incontrò però la resistenza accanita dei funzionari sindacali, della direzione del Partito socialista e dell'Avanti!. La polemica di questa gente si basava sulla differenza fra il concetto di Consiglio di fabbrica e quello di Soviet. Le loro conclusioni ebbero un carattere puramente teorico, astratto, burocratico. Dietro le loro frasi altisonanti si celava il desiderio di evitare la partecipazione diretta delle masse alla lotta rivoluzionaria, il desiderio di conservare la tutela delle organizzazioni sindacali sulle masse. I componenti la direzione del Partito si rifiutarono sempre di prendere l'iniziativa di una azione rivoluzionaria, prima che non fosse attuato un piano di azione coordinato, ma non facevano mai nulla per preparare ed elaborare questo piano.
Il movimento torinese non riuscì però ad uscire dall'ambito locale, poiché tutto il meccanismo burocratico dei sindacati venne messo in moto per impedire che le masse operaie delle altre parti d'Italia seguissero l'esempio di Torino. Il movimento torinese venne deriso, schernito, calunniato e criticato in tutti i modi.
Le aspre critiche degli organismi sindacali e della direzione del Partito socialista incoraggiarono nuovamente i capitalisti i quali non ebbero più freno nella loro lotta contro il proletariato torinese e contro i Consigli di fabbrica. La conferenza degli industriali, tenutasi nel marzo 1920 a Milano, elaborò un piano d'attacco; ma i "tutori della classe operaia", le organizzazioni economiche e politiche non si curarono di questo fatto. Abbandonato da tutti, il proletariato torinese fu costretto ad affrontare da solo, colle proprie forze, il capitalismo nazionale e il potere della Stato. Torino venne inondata da un esercito di poliziotti; intorno alla città si piazzarono cannoni e mitragliatrici nei punti strategici. E quando tutto questa apparato militare fu pronto, i capitalisti cominciarono a provocare il proletariato. È vero che di fronte a queste gravissime condizioni di lotta il proletariato esitò ad accettare la sfida; ma quando si vide che lo scontro era inevitabile, la classe operaia uscì coraggiosamente dalle sue posizioni di riserva e volle che la lotta fosse condotta fino alla sua fine vittoriosa.

Il Consiglio nazionale socialista di Milano

I metallurgici scioperarono un mese intero, le altre categorie dieci giorni; l'industria in tutta la provincia era ferma, le comunicazioni paralizzate. Il proletariato torinese fu però isolato dal resto dell'Italia; gli organi centrali non fecero niente per aiutarlo; ma non pubblicarono nemmeno un manifesto per spiegare al popolo italiano l'importanza della lotta dei lavoratori torinesi; l'Avanti! si rifiutò di pubblicare il manifesto della sezione torinese del partito. I compagni torinesi si buscarono dappertutto gli epiteti di anarchici e avventurieri. In quell'epoca si doveva avere a Torino il Consiglio nazionale del Partito; tale convegno venne però trasferito a Milano, perché una città "in preda a uno sciopero generale" sembrava poco adatta come teatro di discussioni socialiste.
In questa occasione si manifestò tutta l'impotenza degli uomini chiamati a dirigere il Partito; mentre la massa operaia difendeva a Torino coraggiosamente i Consigli di fabbrica, la prima organizzazione basata sulla democrazia operaia, incarnante il potere proletario, a Milano si chiacchierava intorno a progetti e metodi teorici per la formazione di Consigli come forma del potere politico da conquistare dal proletariato; si discuteva sul modo di sistemare le conquiste non avvenute e si abbandonava il proletariato torinese al suo destino, si lasciava alla borghesia la possibilità di distruggere il potere operaio già conquistato.
Le masse proletarie italiane manifestarono la loro solidarietà coi compagni torinesi in varie forme; i ferrovieri di Pisa, Livorno e Firenze si rifiutarono di trasportare le truppe destinate per Torino, i lavoratori dei porti e i marinai di Livorno e Genova sabotarono il movimento nei porti; il proletariato di molte città scese in sciopero contro gli ordini dei sindacati.
Lo sciopero generale di Torino e del Piemonte cozzò contro il sabotaggio e la resistenza delle organizzazioni sindacali e del Partito stesso. Esso fu tuttavia di grande importanza educativa perché dimostrò che l'unione pratica degli operai e contadini è possibile, e riprovò l'urgente necessità di lottare contro tutto il meccanismo burocratico delle organizzazioni sindacali, che sono il più solido appoggio per l'opera opportunista dei parlamentari e dei riformisti mirante al soffocamento di ogni movimento, rivoluzionario delle masse lavoratrici.

Tratto da La Voce n.48 www.nuovopci.it/voce/voce48/agtorino.html
 
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Alcuni vips che omaggiano il nostro amato padre

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da La Riscossa

LA FORMAZIONE SECONDO ANTONIO GRAMSCI



di Marco Barricata

Antonio Gramsci del quale oggi ricordiamo l’anniversario della nascita(1891) fu il primo convinto teorico dell’utilità delle scuole di Partito per preparare Ideologicamente e culturalmente le masse (condizione questa ritenuta necessaria, al pari di altre).

Come sappiamo Gramsci non solo si occupo’ di educazione, cultura, etica e formazione ma soprattutto riteneva tutte queste attività fra loro collegate.

Nel 1919 insieme ai compagni di Torino, fondò la scuola di cultura e propaganda socialista, rivolta soprattutto agli operai che si poneva come obiettivo di

“diventare padroni del pensiero e dell’azione, per essere artefici della propria storia”.

Per contrapporsi al modello educativo borghese, Gramsci individuo’ come centrale soggetto la classe operaia che andava alfabetizzata e educata politicamente e culturalmente.

In quest’ottica la scuola di Partito era per lui il fondamento della cultura e del lavoro teorico e doveva abbracciare tutti i campi del sapere.

La scuola di Partito doveva unire l’impostazione ideologica con la prospettiva rivoluzionaria e dare a un’avanguardia proletaria la capacità a sua volta, di formare e istruire i quadri del Partito, sempre col fine di trasformare la società.

È Gramsci stesso al I corso di scuola interna del Partito nel 1925, a fornire i dettagli sul tipo di materie da insegnare alla scuola: materialismo storico, politica generale, storia del PCI e dei suoi principi organizzativi, economia politica, storia del capitalismo, guerra e crisi del sistema, la società comunista e la fase transitoria di autogoverno del proletariato (dittatura del proletariato), dottrina comunista sullo Stato, le 3 Internazionali dei lavoratori, la storia del Partito Bolscevico, dei Soviet e la politica industriale Sovietica, la storia del commercio e della cooperazione internazionale, la politica finanziaria borghese, i sindacati e i principi rivoluzionari del Partito.

Il corso si avvaleva di dispense e fascicoli riguardanti temi specifici (la politica sindacale, la questione operaia e contadina) con schemi per migliorare la conversazione in pubblico e consigli didattici per studiare autonomamente.

Una curiosità, Gramsci non usava mai l’espressione buona lettura rivolgendosi ai Compagni ma bensì buono studio!

Il Partito per Gramsci doveva selezionare i migliori fra gli operai e diffondere fra gli studenti il concetto di aiuto reciproco e incentivare lo studio di gruppo ma si raccomandava anche di scrivere al Partito per avere chiarimenti su qualsiasi difficoltà o dubbio.

Infine per Gramsci lo studio non doveva essere schematismo ma doveva sempre essere finalizzato all’autodisciplina intellettuale e all’autonomia.

Dagli scritti di Gramsci su questi temi, il Partito subito dopo la II guerra mondiale, trae lo spunto per creare il noto modello pedagogico comunista che diventerà poi in breve tempo, celebre in tutto il mondo.

 
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view post Posted on 4/3/2021, 13:06
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Compagni, sapreste indicarmi in quali opere di Gramsci vengono descritti i concetti di "blocco storico", "egemonia culturale" e "conquista delle casematte"?
 
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Compagni, sapreste indicarmi in quali opere di Gramsci vengono descritti i concetti di "blocco storico", "egemonia culturale" e "conquista delle casematte"?

Allora, sul blocco storico Gramsci scrive

«La struttura e le superstrutture formano un «blocco storico», cioè l’insieme complesso e discorde delle soprastrutture sono il riflesso dell’insieme dei rapporti sociali di produzione. Se ne trae: che solo un sistema di ideologie totalitario riflette razionalmente la contraddizione della struttura e rappresenta l’esistenza delle condizioni oggettive per il rovesciamento della praxis. Se si forma un gruppo sociale omogeneo al 100% per l’ideologia, ciò significa che esistono al 100% le premesse per questo rovesciamento, cioè che il «razionale» è reale attuosamente e attualmente. Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale).»

(Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Quaderno 8 (XXVIII), § 182)

Sull'egemonia ve ne è un disegno fin da "I giornali e gli operai", e "Socialismo e Cultura"; qui il primo

www.bibliotecamarxista.org/gramsci%...li%20operai.htm

Ma bisogna comunque fare attenzione a distinguere tra egemonia politico-culturale ed egemonia politico-intelletuale, sulla prima Gramsci scrive

«1 È ancora possibile, nel mondo moderno, l’egemonia culturale di una nazione sulle altre? Oppure il mondo è già talmente unificato nella sua struttura economico-sociale, che un paese, se può avere «cronologicamente» l’iniziativa di una innovazione, non ne può però conservare il «monopolio politico» e quindi servirsi di questo monopolio per farsene una base di egemonia? Quale significato può avere oggi il nazionalismo? Non è esso possibile solo come «imperialismo» economico-finanziario, ma non più come «primato civile» o egemonia politico-intellettuale?
2 Forme di «neolalismo». Il neolalismo come manifestazione patologica individuale. Ma non si può impiegare il termine in senso metaforico, per indicare tutta una serie di manifestazioni culturali, artistiche e letterarie, se non manifestazioni di neolalismo culturale? Nei periodi di crisi si hanno le manifestazioni più estese e molteplici di neolalismo. La lingua e le lingue. Ogni espressione ha una «lingua» storicamente determinata, ogni attività intellettuale e morale: questa lingua è ciò che si chiama anche «tecnica» e anche struttura. Se un letterato» si mettesse a scrivere in un linguaggio personalmente arbitrario (cioè diventasse un «neolalico» nel senso patologico della parola) e fosse imitato da altri, si parlerebbe di «Babele» delle lingue. La stessa impressione non si prova per il linguaggio (tecnica) musicale, pittorico, plastico ecc. Questo punto è da esaminare e da meditare. Dal punto di vista della storia della cultura, e quindi anche della «creazione» culturale (da non confondersi con la «creazione artistica», ma da avvicinare invece alle attività «politiche» – e infatti in questo senso si può parlare di una «politica culturale») tra l’arte letteraria e le altre arti (figurative e musicali o orchestriche) esiste una differenza che bisognerebbe definire e precisare in modo teoricamente giustificato e comprensibile. L’espressione «verbale» ha un carattere strettamente nazionale-popolare-culturale; una poesia di Goethe, nell’originale, può essere capita e vissuta solo da un tedesco; Dante può essere capito e rivissuto solo da un italiano colto ecc. Una statua di Michelangelo, un brano musicale di Verdi, un balletto russo, un quadro di Raffaello ecc. può essere capito quasi immediatamente da qualsiasi cittadino del mondo, anche non cosmopolita, anche se non ha superato l’angusta cerchia di una provincia del suo paese. Tuttavia questo è così solo in apparenza, superficialmente. L’emozione artistica che un giapponese o un lappone prova dinanzi a un quadro di Raffaello o ascoltando un brano di Verdi è una emozione artistica; lo stesso giapponese o lappone non potrebbe non restare insensibile e sordo se ascoltasse recitare una poesia di Dante, di Goethe, di Shelley; c’è quindi una profonda differenza tra l’espressione «verbale» e quella delle arti figurative, della musica ecc. Tuttavia, l’emozione artistica del giapponese o del lappone dinanzi a un quadro di Raffaello o ad un brano musicale di Verdi non sarà della stessa intensità e calore dell’emozione artistica di un italiano medio e tanto meno di un italiano colto. Cioè accanto o meglio al di sotto dell’espressione di carattere «cosmopolita» de linguaggio musicale, pittorico ecc., «internazionale», c’è una più profonda sostanza culturale più ristretta, più «nazionale-popolare». Non basta: i gradi di questo «linguaggio» sono diversi: c’è un grado «nazionale-popolare» (e spesso prima di questo un grado provinciale-dialettale-folclorico), poi un grado di una determinata «civiltà», che può determinarsi dalla religione (per esempio cristiana, ma divisa in cattolica e protestante e ortodossa ecc.), e anche, nel mondo moderno, di una determinata «corrente culturale-politica». Durante la guerra, per esempio, un oratore inglese, francese, russo, poteva parlare a un pubblico italiano nella sua lingua incompresa delle devastazioni tedesche del Belgio: se il pubblico simpatizzava con l’oratore, se cioè il suo modo di pensare coincideva all’ingrosso con quello dell’oratore, il pubblico ascoltava attentamente e «seguiva» l’oratore, si può dire lo «comprendesse». È vero che nell’oratoria non è solo elemento la «parola»: c’è il gesto, il tono della voce, ecc., cioè un elemento musicale che comunica il leitmotiv del sentimento predominante, della passione principale e l’elemento «orchestrico», il gesto in senso largo, che scandisce e articola l’onda sentimentale e passionale. Per una politica di cultura queste osservazioni sono indispensabili, per una politica di cultura delle masse popolari sono fondamentali. Ecco la ragione del «successo» internazionale del cinematografo modernamente e, prima, del «melodramma» in particolare e della musica in generale.»

(Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Quaderno 9 (XIV), § 132)

Mentre invece sulla seconda si sofferma principalmente parlando degli intellettuali organici. Sulla celebre conquista delle casematte del potere essa è sostanzialmente una strategia che deve seguire il proletariato nella sua lotta. Gramsci infatti ci insegna che «la lotta del proletariato contro il capitalismo si svolge su tre fronti: quello economico, quello politico, e quello ideologico. La lotta economica ha tre fasi: di resistenza contro il capitalismo, cioè la fase sindacale elementare; di offensiva contro il capitalismo per il controllo operaio sulla produzione; lotta per l’eliminazione del capitalismo attraverso la socializzazione. Anche la lotta politica ha tre fasi principali: lotta per infrenare il potere della borghesia nello Stato parlamentare, cioè per mantenere o creare una situazione democratica in equilibrio tra le classi che permetta al proletariato di organizzarsi; lotta per la conquista del potere e per la creazione dello Stato operaio, cioè un’azione politica complessa attraverso la quale il proletariato mobilita intorno a sé tutte le forze sociali anticapitalistiche (in prima linea la classe contadina) e le conduce alla vittoria; fase della dittatura del proletariato organizzato in classe dominante per eliminare tutti gli ostacoli tecnici e sociali, che si frappongono alla realizzazione del comunismo.»

(Antonio Gramsci, Per una preparazione ideologica di massa, Introduzione al primo corso della scuola interna del partito. Firmato in versione originale La sezione agitazione e propaganda del Partito comunista. Pubblicato in forma incompleta sul n.3-4 del marzo-aprile 1931 de Lo Stato Operaio.)

E che quindi «nella sua prima fase sindacale la lotta economica è spontanea, cioè nasce
ineluttabilmente dalla stessa situazione in cui il proletariato si trova nel regime borghese, ma non è di per sé stessa rivoluzionaria, cioè non porta necessariamente all’abbattimento del capitalismo, come hanno sostenuto e continuano a sostenere con minor successo i sindacalisti. Tanto è vero che i riformisti e persino i fascisti ammettono la lotta sindacale elementare, anzi sostengono che il proletariato come classe non debba esplicare altra lotta che quella sindacale. Perché la lotta sindacale diventi un fattore rivoluzionario occorre che il proletariato l’accompagni con la lotta politica, cioè che il proletariato abbia coscienza di essere il protagonista di una lotta generale che investe tutte le questioni più vitali dell’organizzazione sociale, cioè abbia coscienza di lottare per il socialismo. L’elemento «spontaneità» non è sufficiente per la lotta rivoluzionaria: esso non porta mai la classe operaia oltre i limiti della democrazia borghese esistente. È necessario l’elemento coscienza, l’elemento «ideologico», cioè la comprensione delle condizioni in cui si lotta, dei rapporti sociali in cui l’operaio vive, delle tendenze fondamentali che operano nel sistema di questi rapporti, del processo di sviluppo che la società subisce per l’esistenza nel suo seno di antagonisti irriducibili, ecc.» (Ibidem)

Quindi la rivoluzione è spontanea lotta sindacale "coscientizzata" sotto l’azione del partito, che ha ruolo di educatore e coordinatore del processo rivoluzionario, volta alla conquista del potere politico, come infatti sostiene Lenin «Per realizzare questa rivoluzione sociale il proletariato deve conquistare il potere politico, che lo renderà padrone della situazione e gli permetterà di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono al suo grande obiettivo. In questo senso la dittatura del proletariato è la condizione politica necessaria della rivoluzione sociale.» (Vladimir Lenin, Sulla rivoluzione proletaria e sulla dittatura del proletariato, Casa Editrice in Lingue Estere, Pechino 1960, pag. 8 Ed. Ing.)

Chiedo scusa per le eccessive citazioni ma spero di aver reso chiaramente.
 
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