Comunismo - Scintilla Rossa

La borghesia imperialista italiana spera in altre guerre di rapina per rafforzarsi nella crisi, Italia in guerra

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view post Posted on 6/1/2014, 12:24

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La borghesia imperialista italiana spera in altre guerre di rapina per rafforzarsi nella crisi e scarica sui proletari e masse popolari 5 milardi di spese militari. L'opposizione parlamentare è inconsistente, la rivoluzione è l'unica soluzione...

Armamenti, nel 2014 niente spending review per la Difesa: spese per 5 miliardi



Cacciabombardieri, navi da guerra, blindati ed elicotteri da combattimento, cannoni, siluri, bombe, droni e satelliti spia. E' la lista della spesa che l'apparato militare italiano ha in serbo nonostante l'opposizione parlamentare e le polemiche sugli F-35. Un "investimento" che non ha a che fare con la sicurezza nazionale, ma è il costo occulto delle missioni internazionali, prima fra tutte l'Afghanistan. E dal ministro Mauro arriva soltanto un "no comment"


Armamenti, nel 2014 niente spending review per la Difesa: spese per 5 miliardi

Generali e ammiragli brindano all’inizio di un nuovo anno di spese pazze in armamenti alla faccia della crisi. Nel 2014 la Difesa si prepara a spendere altri 5 miliardi di euro in cacciabombardieri, navi da guerra, blindati ed elicotteri da combattimento, cannoni, siluri, bombe, droni e satelliti spia. Impermeabili a ogni spending reviewe refrattari a qualsiasi controllo parlamentare, gli stati maggiori continuano a sentirsi intoccabili. Ma l’anno che viene potrebbe riservare loro qualche sorpresina.

Il 2013 verrà ricordato come l’anno in cui il Parlamento, pungolato dall’opposizione di Sel e Cinque stelle e facendo leva su un’articolo della riforma militare del 2012, ha osato esercitare le proprie prerogative di controllo sui programmi di riarmo della Difesa. A partire dai famigerati F35 da 150 milioni di euro l’uno, per cui le mozioni approvate da Camera e Senato il 26 giugno e 7 luglio impegnavano il governo a non procedere a nessuna “ulteriore acquisizione” in attesa delle conclusioni di un’apposita indagine conoscitiva parlamentare. Un’inaudita insolenza per i vertici militari, che hanno immediatamente reagito attraverso il Consiglio supremo di Difesa presieduto da Giorgio Napolitano lanciando un duro monito: “Niente veti del Parlamento sulle spese militari”. E infatti, incurante della volontà del Parlamento, il ministro della Difesa Mario Mauro ha continuando ad autorizzare di nascosto la firma di nuovi contratti per centinaia di milioni di euro.

IL MINISTERO: “NUOVE COMMESSE? NO COMMENT”. Il 27 settembre scorso, oltre a saldare l’ultima rata da 113 milioni dei primi 3 aerei già acquistati (e già pagati per 350 milioni di euro), è stato firmato il contratto d’acquisto definitivo di altri 3 aerei per 403 milioni (per i quali in precedenza erano stati anticipati 47 milioni). Successivamente, non è dato sapere quando, sono anche stati versati 60 milioni di anticipo per ulteriori 8 aerei (che la Difesa vuole acquistare nel 2014, anno in cui intende inoltre dare anticipi per altri 10 aerei). Quando queste informazioni di “ulteriori acquisizioni” – trapelate dagli Stati Uniti – sono state riferite in commissione Difesa, diversi parlamentari, sentitisi presi in giro, hanno chiesto immediate spiegazioni e hanno preteso di avere accesso a tutti i documenti contrattuali. Niente da fare: il ministro Mauro si è limitato a ribadire (nemmeno di persona, ma per bocca di un messaggio letto in aula il 18 ottobre dal sottosegretario all’Agricoltura…) che a suo giudizio le mozioni parlamentari “non incidono sulle politiche di acquisto già determinate”. A più riprese ilfattoquotidiano.it ha chiesto alla Difesa dettagli sull’avanzamento dei contratti del programma F35, rimbalzando contro un cortese muro di gomma e ottenendo alla fine solo un secco ma eloquente “no comment”.

“Queste ulteriori acquisizioni sono contra legem - taglia corto Gianpiero Scanu, capogruppo Pd in commissione Difesa – così come lo è l’ostinata resistenza della Difesa a ogni controllo parlamentare sulle sue politiche di spesa. Un potere di controllo che è stato introdotto nella legislazione italiana con una norma dall’aspetto innocuo ma di portata dirompente: l’articolo 4 della legge 244 del 31 dicembre 2012. Dal giorno della sua approvazione è in atto uno scontro durissimo, una continua guerra di posizione tra il Parlamento e la Difesa che non vuole accettare questa legge che pone fine a decenni di spese incontrollate. L’indagine conoscitiva parlamentare sugli F35, che qualcuno voleva chiudere frettolosamente a dicembre senza alcuna presa di posizione, proseguirà fino a febbraio e si dovrà concludere con un documento prescrittivo che la Difesa dovrà rispettare”. Quale sarà questa ‘prescrizione’ non è ancora dato sapere ma, dopo la svolta renziana del Pd, tra gli addetti ai lavori c’è chi ipotizza (e chi teme) un congelamento del programma o un suo ulteriore forte ridimensionamento. Durante la campagna per le primarie, il sindaco di Firenze aveva dichiarato: “Gli F35 sono soldi buttati via, io ho proposto il dimezzamento”.

E GLI F-35 “ABBATTONO” GLI EUROFIGHTER. Ipotesi a parte, al momento ciò che fa testo rimane il cosiddetto Dpp (Documento programmatico pluriennale) della Difesa per il triennio 2013-2015 presentato lo scorso aprile dall’allora ministro della Difesa Di Paola – oggi consulente di Finmeccanica – che dei 5 miliardi di spesa totale allocata per il nuovo anno su decine di programmi di riarmo (guarda la tabella) ne assegna oltre mezzo (535,4 milioni per la precisione) agli F35 della Lockheed Martin. Questo mentre si continua a investire il doppio (un miliardo l’anno, anche nel 2014) nel programma aeronautico alternativo Eurofighter – rara concretizzazione della tanto auspicata cooperazione industriale europea nel settore difesa e principale concorrente del programma americano – che invece la Difesa ha deciso di tagliare proprio per far posto agli F35, nonostante tutti gli esperti del settore lo ritengano ampiamente sufficiente a soddisfare da solo le esigenze della nostra Aeronautica (come lo è per la Luftwaffe tedesca, che infatti ha scelto Eurofighter rinunciando agli F35), per giunta con indiscutibili vantaggi in termini di costi di manutenzione, di ricaduta tecnologica e occupazionale e, non ultimi, di autonomia operativa vista la comproprietà dell’hardware, che invece rimane sotto esclusivo controllo americano sugli F35: veri e propri “aerei a sovranità limitata”.

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Edited by Skatered - 9/12/2015, 17:17
 
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view post Posted on 18/3/2014, 20:25

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non vogliamo nè F35, nè Eurofighter!
Si discute degli F35 ma aumentano le spese per gli Eurofighter


Mettere a fuoco le spese militari effettive nel nostro paese non è un affare facile. Soprattutto quando sulle forniture e le tecnologie agisce una crescente competizione tra le multinazionali europee e quelle statunitensi. Orientare una commessa sulle prime o le seconde, significa affari per miliardi di euro e/o di dollari per i rispettivi complessi militari-industriali. Mentre si discute dei costi degli F-35, stimati in 12 miliardi di euro, si scopre che il preventivo di spesa per i caccia “europei” Eurofighter destinati all’Italia, ha superato ogni record: il documento ufficiale indica in 21,1 miliardi di euro la spesa per questi aerei. Il costo risulta aumentato di ben 3 miliardi rispetto alla previsione formulata lo scorso anno, che si fermava a 18,1 miliardi. Nel corso del 2013 soltanto per comprare gli Eurofighter il ministero Sviluppo Economico ha previsto 1.1 miliardi di euro.
L'Eurofighter Typhoon, in sigla EFA (European Fighter Aircraft), è un velivolo multiruolo con ruolo primario di caccia da superiorità aerea e intercettore. È stato progettato e costruito da un consorzio di aziende e Stati europei costituitosi nel 1983 e comprendente anche l'Italia. Le quote rispettive erano all’inizio il 33% per la British Aerospace, 33% per la DaimlerChrysler Aerospace (DASA) tedesca, 21% per Alenia Aeronautica e 13% per la CASA spagnola. Tuttavia al momento della firma dell'ultimo contratto, le quote furono ridistribuite con 37%, 29%, 20% e 14% rispettivamente. A febbraio il governo tedesco ha comunicato la volontà di ridurre gli ordini futuri del caccia europeo EFA da 180 a 143 velivoli. “Dovremmo comprarne ancora di meno”, ha dichiarato Hans-Peter Bartels, responsabile della Commissione Difesa del Bundestag: “Sarebbe opportuno limitare la flotta di Eurofighter a 108 mezzi, quanto basta alle nostre necessità”. Gianluca De Feo sul settimanale L’Espresso sottolinea che “Oggi il caccia europeo viene offerto sui mercati internazionali, soprattutto quelli arabi e asiatici, in competizione con velivoli americani e francesi. Ma ha un limite: è un jet perfetto per il combattimento aria-aria, manca invece di sistemi avanzati per l'attacco al suolo”. Le modifiche per rendere l’EFA anche capace di combattimento aria-terra e attacco al suolo hanno un costo che per ora i governi europei impegnati nel progetto non intendono assumersi. Il costo di ogni velivolo è salito, e dai 50 milioni di dollari del 1998 ai quasi 80 milioni di dollari e oltre (ad esempio, l'Austria, cliente export, ha pagato i suoi Eurofighter oltre 110 milioni di euro l'uno, pari a oltre 140 milioni di dollari).
I primi velivoli di questo tipo sono entrati in servizio, nell'Aeronautica Militare, presso la base aerea di Grosseto, tra le file del 4º Stormo caccia, solo il 20 febbraio 2004. Gli Eurofighter italiani sono stati utilizzati nei bombardamenti contro la Libia nel 2011, insieme ai Tornado.

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view post Posted on 20/3/2014, 16:16

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f35 jsf: perché perseverare?


Qualche giorno fa il ministro della difesa, la sedicente democratica – nata a Genova il 20 maggio 1961, e tutt’ora vivente nella delegazione di San Pier d’Arena – Roberta Pinotti ha affermato che il programma di acquisto, da parte del Governo italiano, dei cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighters sarà rivisto: finalmente una buona notizia, corroborata dalle dichiarazioni concordanti del presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Don Matteo Renzi.
L’entusiasmo, si fa per dire, però si ferma qui: visto e considerato che lo stesso ministero della Difesa yanqui ha definito i velivoli in questione “obsoleti ed inaffidabili” – durante il volo si formano delle crepe sulla carlinga e sulle ali – non si riesce realmente a capire perché non addivenire alla cancellazione integrale di un progetto la cui assoluta inutilità è dimostrata dalle parole, sopra riportate, pronunciate dai gerarchi del Pentagono.
A ben vedere ci sarebbero persino gli estremi giuridici per annullare il contratto di fornitura, e rientrare in possesso di quanto già sborsato dai vari esecutivi che si sono succeduti in questi anni, da quando – fu il Delinquente di Arcore, nel 2009, a sottoscrivere l’impegno – l’Italia si è imbarcata in questa truffa: è evidente che gli aeroplani in questione posseggono dei difetti di fabbricazione che li rendono non idonei all’uso a cui sono destinati.
Per questo la cosa più sensata da fare sarebbe rivolgersi alla Magistratura borghese per ottenere – a causa della scoperta di vizi occulti che non potevano essere ragionevolmente conosciuti al momento della stipula dell’accordo – la dichiarazione di nullità del contratto, e la contestuale restituzione di quanto indebitamente corrisposto.
Stupisce (a dire il vero non più di tanto) che nessuno della falsa sinistra istituzionale italiana si schieri chiaramente su questo versante, lasciando al solo movimento NO F35 – e ad alcune realtà di matrice marxista-leninista – il compito di battersi contro questa totale idiozia.

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Cosa sono gli F-35 e perché costano tanto?
https://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=54666807
 
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view post Posted on 5/12/2014, 17:37

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RENZI AUMENTA LE SPESE MILITARI CON I FONDI PER LO SVILUPPO DEL LAVORO



- LA POLITICA MILITARE DEL GOVERNO RENZI - dal nuovo numero di proletari comunisti giornale del PCm Italia

Renzi gioca alla battaglia navale
(Da Il Manifesto di Giulio Marcon) 5.12.2014

"Spese militari. La commissione difesa della Camera: sì all'acquisto di 15 navi da guerra con 10 miliardi di euro


La portaerei Cavour
Ieri la Commissione Difesa (dopo la Commissione Bilancio) della Camera dei Deputati ha dato il via libera al nuovo programma di una quindicina di navi militari – dotate di armamenti di tutto punto – che nei prossimi 19 anni ci portera’ a spendere piu’ di 5,4 miliardi di euro. Si tratta di pattugliatori –corredati di mitragliatrici, cannoncini, lanciasiluri ed altri raffinati sistemi d’arma – che si aggiungono al programma delle fregate FREMM iniziato una decina di anni fa e che anche questo ci costa più di 5 miliardi. In tutto, oltre 10 miliardi di euro per una “battaglia navale” senza senso, finanziata con i soldi presi dai fondi dello “sviluppo economico”: fondi che potrebbero esse più utilmente spesi per sostenere i settori industriali in crisi del nostro paese. Soldi che potrebbero essere utilizzati per rilanciare le imprese che rischiano di chiudere e per gli investimenti nel campo delle energie rinnovabili, nella mobilità sostenibile, nelle nuove tecnologie.
Tra l’altro tutti questi soldi –che si trovano, per l’appunto, sui capitoli di spesa del ministero dello sviluppo economico– non vengono mai contabilizzati (come anche i fondi stanziati per le missioni militari all’estero, un miliardo l’anno) come spese della difesa e questo porta a sottovalutare la spesa militare nel nostro paese. Come ha efficacemente dimostrato l’ultimo rapporto della campagna Sbilanciamoci (www​.sbi​lan​cia​moci​.org) investiremo nel 2015 per le spese militari ben 23,5 miliardi di euro, solo qualche milione in meno rispetto al 2014: nonostante la spending review, la spesa militare non viene sostanzialmente intaccata. Agli oltre 10 miliardi di spese per le navi militari, vanno aggiunti i 13 miliardi per gli F35. E’ vero che ci sono mozioni che chiedono il dimezzamento della spesa per i cacciabombardieri, ma per ora la Pinotti fa finta di niente.
Dice la ministra che bisogna aspettare il libro bianco sulla difesa (ancora in alto mare, si potrebbe dire) per definire i sistemi d’arma di cui abbiamo bisogno. Però, la Pinotti non ha aspettato il libro bianco per imporre una spesa di 5,4 miliardi per questa nuova “battaglia navale” nel mediterraneo. Dicono al governo che queste navi serviranno anche al soccorso,all’anti-inquinamento, all’aiuto umanitario, a salvare le vite dei migranti nel mediterraneo. Non si capisce a cosa servano lanciasiluri e cannoni per salvare le vite dei migranti: una vera ipocrisia. Se sommiamo la spesa degli F35 a quella delle FREMM e alla spesa di queste nuove navi e di altri sistemi d’arma (come i sommergibili) arriviamo a sforare i 25 miliardi di euro. Se poi mettiamo insieme tutti gli investimenti pluriennali nei sistemi d’arma (Eurofighter, blindati Vbm, ecc) arriviamo alla stratosferica cifra di 43 miliardi di euro. Una spesa colossale e ingiustificata. “Ma a chi dobbiamo dichiarare guerra?”, ci sarebbe da chiedersi...
Tra le due portaerei (la Cavour e la Garibaldi), le fregate FREMM, i quattro sommergibili U-212, la quindicina di nuovi pattugliatori siamo ben attrezzati per una inutile “battaglia navale” che fa contenti ammiragli e capitani di vascello (e il business dell’industria militare), ma che impoverisce drammaticamente un’altra “battaglia” ben più importante: quella del lavoro e della lotta alla povertà."

Governo Renzi e la politica estera e militare dell'Italia imperialista - da Proletari comunisti

"Quando il governo Renzi si è insediato e tutta la fase della sua “scalata” (come dice lui) del PD e del governo, Renzi è sembrato disinteressarsi del tutto della politica estera, della politica militare e della presenza dell'imperialismo italiano nel contesto della Nato nel mondo.
A distanza di alcuni mesi dal suo insediamento, Renzi come persona ha continuato più o meno sullo stesso piano, ma il suo governo certamente no, perchè il governo Renzi, di cui i padroni e gli industriali in particolare sono gli azionisti di maggioranza, è pur sempre un governo della borghesia imperialista italiana, e l'imperialismo italiano è parte integrante del'imperialismo europeo, che in realtà in qualto tale non esiste come elemento sovranazionale reale, dell'Alleanza imperialista Nato a egemonia Usa.
Quindi, qualsiasi governo, si può dire ce su questo piano va in automatico e che generali, Servizi, Ministeri degli Esteri e della Difesa sono dentro poteri obiettivamente più importanti e più influenti dei temporanei capi di governo.
Nel governo Renzi ministeri importanti di questa natura sono affidati a piccoli personaggi ignobili, la Pinotti, prima la Mogherini e ora Gentiloni, e quando più scadenti,insignificanti sono questi personaggi tanto più importanti sono questi campi – la Difesa, la Politica estera – che sono sottratti sostanzialmente al dominio della politica politicante che caratterizza il governo e Renzi ancor più; i ministri diventano quindi dei semplici portavoci, segretari o segretarie, più segretarie, dei gestori reali della politica estera e della difesa. E con un'aggravante, che questi poteri si esercitano senza alcuna mediazione, parlamentare e politica, e questi ministri hanno una sorta di eccesso di zelo che li fa peggiori di molti dei ministri dei precedenti governi.
La Mogherini sia nella politica estera italiana, sia ora nella politica europea è una pura portavoce delle decisioni delle potenze imperialiste dominanti in Europa, e sulle grandi questioni, vedi Ucraina, Iraq, ecc., dell'imperialismo dominante, quello Usa.
Così come la squallida ex pacifista Pinotti al ministero della Difesa agisce come grottesco Ufficio stampa delle decisioni dei militari e della Nato.
Il risultato è quindi che all'ombra di Renzi si assiste alla crescita delle spese militari e dell'interventismo imperialista. Anzi, nei prossimi mesi vedremo quando dentro al spirale del nuovo acutizzarsi della tendenza alla guerra nei diversi scenari del mondo trascini il nostro paese.
Il governo Renzi, quindi, è pienamente schierato con i nazisti in Ucraina e a sostegno del regime di Kiev, nonostante sia evidente che gli interessi economici di alcuni sostenitori della borghesia italiana siano in aperto contrasto con questo indirizzo, dati i loro legami con la Russia di Putin. Per cui si finisce per assistere ad una sorprendente recita in cui Berlusconi e Salvini si fanno portavoce della continuità dei legami con la Russia di Putin, cosa che risulta perfino ironica se si pensa che all'inizio le obiezioni sulla Mogherini venivano anche dalle pressioni statunitensi che temevano l'indirizzo filo Russia di governanti italiani memori anche della posizione dell'ultimo governo di Berlusconi. Invece, la Mogherini immediatamente entrata al ministero si è dimostrata tra lepiù filoamericane in Europa e questo le è servito da pass pere l'attuale carica che riveste.
Il governo Renzi si è schierato in prima fila per il nuovo intervento imperialista in Iraq, organizzato dall'imperialismo Usa nel quadro della presunta crociata anti Isis, facciata della volontà di mantenere le grinfie sul petrolio, su tutta l'area, anzi di occupazione delle posizioni nel “domino” della nuova fase della contesa con la Russia e la Cina. Anzi, il governo italiano tramite il ministero della Difesa ha organizzato in fretta e furia un invio di armi obsoleti ai kurdi che sono diventate materia di scandalo e di solita figura da “imperialismo straccione” zelante.
Il governo Renzi si è sprecato nel sostegno e nell'amicizia ad Israele mentre questi massacrava donne e bambini a Gaza.
Il governo Renzi si fa promotore attivo di un nuovo intervento militare in Libia, in reda al caos post Gheddafi e si può dire che non c'è campagna lanciata da Obama, o dichiarazione di Obama che non veda Renzi fargli da controcanto zelante, che quindi predispone l'imeporialismo irtaliano a nuove sciagurate avventure militari.
Sul fronte militare il governo continua l'operazione degli ultimi governi di piazzisti dell'industria bellica, di salvaguardia dell'incremento delle spese militari; nonostante si chiami al taglio tutti i ministeri e in tutte le forme possibili, qui i tagli quando ci sono, sono dentro piani e programmi delle forze armate esistenti da anni che vogliono ammodernare e rendere piùefficiente la macchina militare liberandola da una zavorra di militare civile o militari anziani che è in contrasto con la funzione attuale delle forze armate nelle guerre presenti e future.
Così sugli F35 si mantiene questa dotazione di aerei divenuti ormai senza sponsor, se non quelli puramente e semplicemente degli interessi dei padroni dell'industria bellica in Usa e Italia.
Con Renzi al governo e questi ministri è come se fossimo in resenza di un governo ombra in materiadi Esteri e Difesa fuori dal controllo del parlamento, della stampa e, quindi, in una oscurità voluta che ci trascina nel vortice delle guerre in corso e che fa del nostro governo una sorta di “servo padrone” ancora principalmente dell'imperialismo Usa...

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view post Posted on 9/12/2014, 13:56

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- F 35 - le bugie del governo Renzi e della sua segretaria alla Difesa PINOTTI -
i sindacati confederali complici dell'economia di guerra e della guerra



dalla stampa locale

F-35, l’Italia ne compra altri due per far lavorare lo stabilimento di Cameri
A fine novembre siglato l’acquisto di nuovi caccia, in forse le commesse straniere

L’impianto Faco a Cameri dove si sta lavorando ma al di sotto delle potenzialità progettate
A Oleggio ritorna l’attenzione sugli F-35 e sulle prospettive per lo stabilimento Faco di Cameri, dove si assemblano i supercaccia targati Lockheed Martin. Almeno in teoria l’impianto novarese, costato 800 milioni allo Stato, dovrebbe realizzare oltre a quelli italiani anche i velivoli destinati a Olanda e Norvegia. Ma il primo Paese non ha ancora fatto sapere se onorerà l’impegno di ordinare i 37 esemplari annunciati e il secondo ne sta ricevendo 4, ma direttamente dagli Stati Uniti.
La situazione attuale è di uno stabilimento che lavora a neanche un sesto della sua potenzialità: 3-4 aerei all’anno rispetto ad una capacità di 2 al mese, con l’impiego - secondo i dati forniti a Oleggio da un sindacalista di Alenia - di 320-330 addetti, di cui per altro 150 sono trasfertisti provenienti da Caselle, che è in crisi nera. Siamo lontanissimi dai 10 o anche 6 mila posti di lavoro sbandierati dai sostenitori del progetto.
Il Governo è tra l’incudine del Parlamento che frena gli acquisti e il martello dell’esigenza di preservare l’operatività industriale di Cameri. La mozione del Pd approvata il 24 settembre alla Camera prevede di «riesaminare l’intero programma con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario», ma invita anche a procedere «tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità». L’indicazione è cioè di ridurre e rallentare gli ordini, ma non fino al punto di mettere in crisi la Faco, che va alimentata con un minimo di commesse. E siccome quelle straniere non arrivano, deve pensarci l’Italia.
Il compromesso si è tradotto nell’acquisto di altri due caccia per il 2014. Il contratto è stato firmato il 21 novembre nell’ambito dell’ottavo lotto di produzione a basso rateo, che ne comprende in totale 43. I due nuovi esemplari entreranno in produzione a Cameri nei prossimi mesi, con consegne 2016-17, mentre avanza la lavorazione dei primi 6. Il primo, sulle linee dal luglio 2013, sarà consegnato alla fine del 2015.
Resta il problema dei costi, ancora spaventosamente alti. Gli ultimi due F-35 hanno un prezzo «nudo» di 75,7 milioni di euro l’uno, cui vanno aggiunti il motore (15,6) e una serie di oneri accessori che, insieme alla quota dei costi non ricorrenti, raddoppieranno il prezzo base: circa 180 milioni di per un aereo ancora «immaturo», contro i meno di 60 di un Eurofighter Typhoon completo della versione più avanzata.

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view post Posted on 27/12/2014, 16:24

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Spese militari 2015: intoccabili, come sempre



La Legge di Stabilità 2015 prevede anche per l’anno entrante quasi 18 miliardi di spese militari a carico del solo ministero della Difesa, di cui oltre 5 miliardi per l’acquisito di nuovi armamenti. Niente spending review come negli altri capitoli della spesa pubblica, dunque, se non per poca cosa. Di fatto sono le stesse cifre del 2014, limate solo di poche centinaia di milioni. Ma, come è noto, a stanziare soldi per le spese militari intervengono anche i portafogli di altri ministeri.

Il budget militare complessivo è composto infatti sia dal bilancio ufficiale del ministero della Difesa e dai finanziamenti, ormai strutturali, che gravano sui ministeri di Sviluppo Economico per i programmi di riarmo e su quello delle Finanze per le missioni militari all’estero.

Nel 2015 saranno disponibili per le forze armate – esclusi i Carabinieri che acchiappano soldi sia qui che nel capitolo sicurezza – di 14 miliardi di fondi propri, dei quali oltre 10 per il personale (in lieve aumento rispetto al 2014), poco più di un miliardo per le spese di esercizio (lieve calo) e 2,7 miliardi per nuovi armamenti, ai quali vanno sommati i ben 2,8 miliardi di contributi del Ministero dello Sviluppo Economico (circa 200 milioni in meno rispetto 2014) e quasi un miliardo del fondo Mef per le missioni militari all’estero (stessa cifra del 2014) .

Il contributo del ministero dello Sviluppo Economico intitolato “Partecipazione al Patto Atlantico e ai programmi europei aeronautici, navali, aerospaziali e di elettronica professionale” comprende per il 2015 un miliardo e mezzo per nuovi aerei ed elicotteri (la cifra è destinata per metà ai cacciabombardieri “europei” Eurofighter, il resto verrà speso tra gli elicotteri militari Nh90 e Eh101 e i caccia da addestramento M346), circa 700 milioni per nuove navi da guerra (le fregate Fremm e avvio del nuovo programma navale), almeno 200 milioni per i carri blindati Freccia e finanziamenti minori per il programma “Soldato Futuro” per la digitalizzazione delle forze terrestri e per i satelliti spia Sicral 2.

Il programma di spesa per gli F35, che rientra nei 2,7 miliardi di investimenti in armamenti, resta invece a carico del Ministero della Difesa. Per conoscerne però i dettagli occorre attendere aspettare a marzo quando verrà pubblicato il Documento programmatico pluriennale della Difesa, nel quale si vedrà non solo se la spesa annuale prevista (644 milioni nel 2015 e 735 nel 2016) verrà ridimensionata, ma anche se i costi d’acquisizione dell’intero programma F35 (10 miliardi) verranno dimezzati come deciso dal Parlamento lo scorso 24 settembre. Ipotesi questa che gli Stati Uniti stanno cercando di contrastare con ogni mezzo.

http://contropiano.org/economia/item/28300...ili-come-sempre
 
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view post Posted on 20/1/2015, 14:43

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AUMENTA LA PRESENZA MILITARE STATUNITENSE IN ITALIA da PC -

proletari comunisti-PCm Italia fa appello al rilancio dell'azione unitaria di massa antimperialista nel nostro paese

La profonda crisi di sovrapproduzione in cui si trova intrappolato il sistema capitalista ha inasprito i contrasti tra le principali potenze imperialiste e intensificato la loro aggressività. Assieme alle dispute economiche e politiche si moltiplicano i focolai di guerra, accelera la corsa al riarmo, si rafforzano le alleanze militari.
Sebbene gli Stati Uniti siano ancora la principale potenza economica e militare, la loro egemonia è scossa dall’avanzata di altre potenze imperialiste e capitaliste. La Cina, la Russia, il Brasile, l'India cercano di sottrarsi al dominio delle vecchie potenze imperialiste, di infrangere il dominio del dollaro, di guadagnare influenza su scala globale e regionale. La Germania e la Francia si muovono in maniera più indipendente, entrando spesso in contrasto di interessi con gli USA.
Il mutamento dei rapporti di forza, la feroce concorrenza per i mercati e le materie prime, per il controllo delle fonti di energia e delle sfere di influenza, ha come logica conseguenza un cambiamento delle strategie belliche delle potenze imperialiste.
In questo contesto, si spiega la riorganizzazione delle forze militari USA in Europa, funzionale allo spostamento degli interessi strategici nordamericani verso est, a sostegno dei loro alleati nel Baltico, in Polonia, in Ucraina, in Georgia, in Moldova, per stringere d’assedio e minacciare la Russia, così come per bloccare le ambizioni tedesche.
Questa riorganizzazione interessa anche l’Italia, dove il numero dei militari statunitensi è destinato a salire: sono in arrivo altri 200 soldati, che si aggiungeranno ai 10.700 presenti.
Questo progetto gode dell'appoggio del governo Renzi, fedele lacchè degli USA.
Il nostro paese – considerato dagli USA una piattaforma geostrategica per le loro aggressioni - continua ad essere un tassello fondamentale della strategia militare che punta a un aumento del confronto militare con Russia e Cina.
Da quando furono firmati gli accordi e i protocolli segreti con gli USA, l’Italia ha visto ipotecata la sua sovranità nazionale e la sua sicurezza per la presenza di basi e forze militari statunitensi nel nostro territorio.
L'appartenenza alla NATO - un'organizzazione di guerra e di terrore - è l’espressione di una politica di vassallaggio e di sottomissione agli Stati Uniti, con gravissimi riflessi in politica interna (ad es. i condizionamenti politici, la strategia della tensione).
Allo stesso tempo, la partecipazione delle truppe italiane alle missioni di guerra contro paesi con i quali non abbiamo mai avuto il minimo problema, comporta ripercussioni disastrose.
Le contraddizioni interimperialiste possono sboccare, come avvenuto in passato, in un conflitto militare per una nuova ripartizione del mondo, con incalcolabili conseguenze.
La politica di guerra e la presenza militare statunitense in Italia va contro gli interessi operai e popolari, ci trasforma in un obiettivo militare di prim’ordine in caso di guerra tra le grandi potenze.
Noi comunisti (marxisti-leninisti), assieme a tutte le forze rivoluzionarie, democratiche, agli amanti della pace, denunciamo la presenza militare statunitense in Italia, esigiamo lo smantellamento delle centinaia basi USA e NATO, l'uscita dalla NATO e la sua dissoluzione.
Chiamiamo a intensificare la lotta contro la politica di guerra dell'imperialismo, per il ritiro immediato delle truppe all’estero, per dire no agli F-35 e al MUOS, per la drastica riduzione delle spese militari e l’aumento di quelle sociali, per la solidarietà ai popoli in lotta contro l'imperialismo e la reazione.
Chiamiamo alla realizzazione di un ampio Fronte popolare contro i pericoli di guerra imperialista, l'offensiva del capitalismo e le trasformazioni reazionarie, sulla base dell'unità di lotta della classe operaia.
La libertà, l’indipendenza, la sicurezza e sovranità popolare sono incompatibili con la permanenza in un'organizzazione militare aggressiva, il cui unico obiettivo è servire agli interessi dall'imperialismo nordamericano.
La lotta contro la minaccia di una nuova guerra imperialista è inseparabile della lotta per il socialismo. La borghesia non ha mai voluto mettere in discussione le basi militari straniere e l'appartenenza alla NATO. Senza una rottura rivoluzionaria da cui scaturisca un Governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati non sarà possibile avere una politica estera basata sulla pace, la solidarietà e l'amicizia con tutti i popoli.
19 gennaio 2015
Piattaforma Comunista
 
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Il governo acquista gli F35. E’ la guerra bellezza!!


ll governo Renzi ha deciso di attuare il programma F35, che costerà quasi 12 miliardi di euro, e che prevede l’acquisto da parte dell’Italia di 90 caccia Jsf di produzione statunitense. Il progetto originario ne prevedeva 131. Il governo, nonostante l’opposizione della sinistra e del mondo pacifista, ha voluto mantenere l’impegno. La notizia, fatta circolare dall’agenzia Reuters, ha trovato conferma dall’ufficio del Pentagono addetto agli F35: “L'Italia comprerà almeno 90 F-35. Il numero giusto (jet) per l'Italia per avere il ruolo industriale che vuole è 90, una cifra che ci permette di garantire le esigenze di difesa del paese“ afferma una nota del portavoce del Pentagono. Ma la notizia viene confermata anche da autorevoli fonti militari italiane, secondo le quali si sta lavorando per portare a casa quel numero di velivoli ma con un taglio consistente dello stanziamento originario. In serata, è arrivata la presa di posizione anche del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che in un tweet (ormai pare che si debba twittare su tutto) ha scritto: “Nessuna conferma, nessuna disdetta. Numero di 90 è stato stabilito dal precedente Governo. Il programma prosegue secondo l’illustrazione data al Parlamento”. L’11 dicembre scorso, il Pentagono aveva comunicato di avere scelto l’Italia per la manutenzione della fusoliera dei caccia F35 costruiti da Lockheed Martin, con la Gran Bretagna come paese di sostegno. L’impianto da tempo indicato per l’assemblaggio delle fusoliere degli F35 è quello di Cameri, vicino Novara. “Il riconoscimento del sito di Cameri quale unica struttura in Europa per le attività di logistica e manutenzione ad alto contenuto tecnologico degli F-35 rappresenta un’ulteriore conferma dei livelli di eccellenza di Finmeccanica in campo aeronautico», aveva commentato l’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti. L’Italia si conferma così partner strategico degli Stati Uniti in materia di armamenti e forse non solo di quelli. Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa a Palazzo Madama aveva commentato così l’annuncio del Pentagono a dicembre: “Questa è una decisione molto importante, perché oltre a confermare l’ottima capacità industriale italiana nel settore aeronautico, è anche un riconoscimento dell’autorevolezza che l’Italia sta riacquistando nel mondo. Si conferma, infine, il solido rapporto di amicizia tra l’Italia e gli Usa”. Non la pensano affatto così un gruppo di ex alti ufficiali dell'Aereonautica Militare e di ex dirigenti dell'Alenia, i quali a marzo del 2014 avevano inviato un documento proprio alla Commissione Difesa sconsigliando l'acquisto degli F35 e motivandolo ampiamente: "E’ significativo – osservano gli estensori del documento – che né Francia né Germania partecipano al JSF, solo il Regno Unito fra le potenze della nostra dimensione è nel programma; da notare però che il Regno Unito ha un bilancio della difesa che è tre volte il nostro ed inoltre ha un rapporto unico con gli Usa”. Inoltre con gli F35 – si legge nella relazione inviata alla Commissione Difesa – “la nostra industria aeronautica retrocede agli anni 60″, cioè al livello di “manifattura su licenza americana”, “vanificando gran parte della crescita tecnologica e progettativa acquisita faticosamente” negli ultimi decenni, visto che nel programma JSF la nostra industria è “esclusa dalle aree tecnologiche più appetibili (motore, guerra elettronica, radar ed altri sensori, integrazione dei sistemi elettronici di bordo e stealth )” a causa dei “vincoli di segretezza posti dal Congresso su moltissime parti del progetto che devono rimanere di esclusiva pertinenza americana”. In pratica una fregatura da molti punti di vista.

Dunque 90 caccia F 35 verranno pagati e acquistati dall’Italia alla Lockeed statunitense nonostante alcune mozioni avessero cercato in qualche modo di imbrigliare le azioni del governo Renzi. Solo a settembre dello scorso la Campagna “Tagliamo le ali”, così commentava un esito del dibattito parlamentare a che a noi era parso tutt’altro che soddisfacente: “Pur non condividendone l’impostazione, che conferma esplicitamente la partecipazione al programma F-35, la nostra Campagna considera un passo comunque positivo l’approvazione della mozione a prima firma Scanu (PD) che impegna il Governo a un dimezzamento del budget complessivo iniziale a disposizione di caccia. Ciò comporterebbe, se confermato, un’ulteriore diminuzione sul numero complessivo di velivoli a partire dai 131 previsti inizialmente. Di questa riduzione la nostra Campagna non può che essere contenta” scrivevano allora i pacifici pacifisti aggiungendo “L’impegno che ci prendiamo è però quello di vigilare per verificare la concretezza e l’efficacia delle azioni che il Governo vorrà intraprendere al riguardo”. Se saranno di parola avranno il loro bel da fare. Soprattutto perché nel clima di guerra che ormai si respira a pieni polmoni, la "spesa pubblica militare" sembra essere l’unico capitolo a non trovare ostacoli o moralisti sulla propria strada.

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Imperialismo italiano: interventismo - militarismo - profitti di armi e guerre - 2 giugno in piazza in tutta Italia - Proletari comunisti-PCm Italia
Armi, l’export sale a 2,6 miliardi (+23%). Finiscono per colpire anche lo Yemen
Cronaca


Depositata la relazione al Parlamento. Nel 2014 il valore globale delle licenze di esportazione è tornato a salire superando quello del 2013. Le destinazioni privilegiate sono Nordafrica e Medio Oriente (28%). Oltre 2,5 miliardi di transazioni bancarie segnalate, in cima Deutsche Bank e le italiane BNL e Unicredit



Non è solo che aumentano ancora le armi prodotte in Italia per l’esportazione. Il fatto è che i caccia militari sauditi, compresi gli Eurofighter acquistati da Finmeccanica, continuano a bombardare lo Yemen. E sono affiancanti nell’offensiva delle forze aeree di Emirati Arabi, Egitto, Bahrein, Giordania, Qatar e Kuwait: anche questi clienti dell’industria bellica italiana. Proprio così, le armi italiane arrivano dove non dovrebbero. Ed è pure scritto nell’ultima Relazione al parlamento sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, riferita all’anno 2014, consegnata il 30 marzo scorso dal Sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri alle cinque commissioni permanenti di Camera e Senato. Ma nessuno batte ciglio, se non le associazioni per il disarmo e il circuito Nigrizia, che segue da sempre la polveriera africana. Eppure quelle stesse armi in Yemen colpiscono obiettivi militari dei ribelli sciiti ma anche quartieri residenziali, campi profughi, strade, ponti, mercati, mezzi pubblici, benzinai, fabbriche, uffici postali, e perfino scuole, ospedali e magazzini delle organizzazioni internazionali.
Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo le prime tre settimane di bombardamenti (25 marzo-15 aprile) hanno provocato la morte di almeno 650 civili – tra cui 150 bambini – oltre a 2.200 feriti e 150mila sfollati. Altre centinaia di civili sono morti nelle ultime settimane: 58 solo il 1° maggio nel bombardamento dell’ospedale Raheda nei pressi della città di Taiz. Onu, Amnesty e Human Rights Watch denunciano gravissimi crimini di guerra, compreso l’uso di armi vietate come le bombe a grappolo.
Germania e Svezia hanno prudentemente sospeso le forniture militari all’Arabia Saudita prima ancora che iniziassero i raid aerei, per non gettare benzina sul fuoco mediorientale vendendo fiammiferi al principale piromane. Per l’Italia, invece, Riyad si conferma il primo cliente extra-Nato, in barba alla legge 185/90 che impedisce di esportare armamenti verso paesi in guerra. Seguono a ruota, tra i migliori compratori, tutti gli altri paesi arabi attualmente belligeranti in Yemen, Emirati Arabi in testa, destinatari di enormi forniture militari italiane. Nemmeno un fiato dal Parlamento, che ancora non si è degnato di esaminare l’ultima relazione annuale del Governo sull’export militare italiano, consegnata alle Camere pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti in Yemen. Sono anni che i parlamentari non adempiono a questo dovere, ma questa volta difficilmente potranno esimersi data la lampante illegalità di queste esportazioni.
Secondo la relazione governativa consegnata il 30 marzo a Camera e Santo, nel 2014 il Ministero degli Esteri ha autorizzato esportazioni militari verso l’Arabia Saudita per un valore di 300 milioni di euro (tra esportazioni definitive per 163 milioni, e temporanee per 137 milioni) consistenti in artiglieria, bombe, missili, razzi e velivoli, oltre ai residui di consegne per i caccia Eurofighter. Analogo il valore, 304 milioni, dell’export (tutto definitivo) autorizzato verso gli Emirati Arabi Uniti: blindati, armi a microonde, bombe, missili, armi pesanti, leggere e munizioni e velivoli. Seguono, tra gli altri clienti mediorientali, l’Egitto (32 milioni), il Bahrein (25 milioni), la Giordania (11 milioni), il Qatar (1,6 milioni) e il Kuwait (0,4 milioni): tutti impegnati nella sanguinosa guerra in Yemen – oltre che nella campana militare anti Isis in Iraq e Siria. L’unico grosso cliente mediorientale del made in Italy bellico che al momento non partecipa alla guerra in Yemen è l’Oman, terzo destinatario extra-Nato dopo Arabia ed Emirati con commesse per 272 milioni. Quasi nulle le nuove esportazioni autorizzate nel 2014 verso Israele, alla cui aeronautica militare Finmeccanica sta ancora consegnando trenta caccia da addestramento M346 pagati 450 milioni di euro.
Il Medio Oriente in guerra si conferma il miglior partner commerciale extra-Nato dell’industria militare italiana (28% del mercato), che nel 2014 ha registrato una netta ripresa dell’export rispetto all’anno precedente: +23% per le autorizzazioni alle esportazioni definitive (2.65 miliardi), quadruplicate quelle alle esportazioni temporanee (1,6 miliardi) e +21% per le consegne effettuate (3,3 miliardi). Un risultato importante per il comparto bellico nazionale e per il suo più stretto alleato commerciale: le banche che gestiscono le transazioni finanziarie tra i governi. La parte del leone la fa Deutsche Bank con il 32% delle operazioni (832 milioni), seguita da Bnp Paribas con il 13% (328 milioni) e Barklays con il 10% (269 milioni). Al business partecipano ovviamente anche le banche italiane: BNL (6,6%, 172 milioni), Unicredit (5,3%, 138 milioni), Banco di Brescia (4,4%, 114 milioni), UBI Banca (3,3%, 85 milioni), Intesa San Paolo (1,9%, 50 milioni), Banca Valsabbina (1,5%, 40 milioni), Banca Etruria (1,5%, 40 milioni), Carispezia (34 milioni), BP Emilia Romagna (33 milioni), CR Parma e Piacenza (11 milioni), Carige (8 milioni) e altre con operazioni per importi minori (BCC Cernusco, BP Spoleto, Banca delle Marche, BPM, BP Friuladria, Banca della Versilia e Lunigiana).

http://proletaricomunisti.blogspot.it/2015...o-italiano.html
 
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LA MOGHERINI PARLA DI IMMIGRAZIONE,
MA PREPARA LA MISSIONE MILITARE A GUIDA ITALIA



Federica Mogherini ha definito la situazione nel Mediterraneo "senza precedenti", invocando una risposta "eccezionale, immediata e coordinata" da parte di una coalizione internazionale. Ma in nome della difesa della vita degli immigrati, ha chiesto aiuti ai paesi di origine e di transito dei migranti, migliori controlli alle frontiere in Libia e nei paesi confinanti, una serie di missioni contro i trafficanti di esseri umani e gli scafisti e la suddivisione dei profughi attraverso un meccanismo di quote tra i Paesi dell'Unione.
L'Alto commissario Ue ha detto anche che il mandato dell'operazione navale in acque libiche è in via di elaborazione a Bruxelles e verrà sottoposto al Consiglio Europeo del 18 maggio.
Le proposte dell'Alto commissario Federica Mogherini sono state ufficialmente definite come "preoccupanti" da parte dei libici: "Il governo libico non è stato consultato da parte dell'Unione Europea. Ci hanno lasciato all'oscuro di ciò che sono le loro vere intenzioni sul tipo di azioni militari che stanno per prendere nelle nostre acque territoriali: questo è davvero preoccupante. [...] Vorremmo sapere come pensano di distinguere tra le imbarcazioni dei trafficanti e quelle dei pescatori". ha dichiarato Ibrahim Dabbashi, ambasciatore libico all'Onu.
L'obiettivo della Mogherini è ottenere una risoluzione Onu con il beneplacito, o il silenzio, di Cina e Russia e porre l'Italia alla guida di una coalizione internazionale. l'Alto commissario Ue vorrebbe affrontare l’emergenza migranti nel Mediterraneo con una risoluzione ispirata al “Chapter VII” della Carta Onu, uno strumento giuridico che potrebbe autorizzare un’azione di forza con l'obiettivo di sbaragliare i trafficanti di uomini.
Secondo il Guardian il piano Mogherini prevede una serie di attacchi militari contro le imbarcazioni degli scafisti in Libia per frenare l’afflusso dei migranti verso l’Europa attraverso il mar Mediterraneo; quindi, affondare i barconi o, comunque, impedirne la partenza anche con la forza, minando le basi del business dei trafficanti.
Oltre alla risoluzione al Consiglio di Sicurezza Onu Federica Mogherini porterà al Consiglio Esteri Ue del 18 maggio prossimo una proposta per la creazione di un Cmc, acronimo inglese per "Concetto di gestione di crisi": si tratta di una missione euromediterranea di cui l'Italia assumerebbe la guida (per motivi geografici più che pratici), avendo anche facoltà di proporne comandante e sede (che potrebbe essere Roma). Il lancio della missione potrebbe avvenire definitivamente il prossimo giugno: secondo le indiscrezioni stampa Regno Unito, Francia e Spagna sarebbero già nella lista dei partecipanti e si ritiene che non dovrebbe essere difficile coinvolgere oltre dieci Paesi dell'Unione.
Il Cmc di fatto potrebbe essere una soluzione parallela, o alternativa, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu: obiettivo è un pattugliamento europeo delle acque internazionali mediterranee più efficace, e semmai intervenire su richiesta dei governi libici, fino ad avvenuta risoluzione Onu per permettere l'avvicinamento alle coste ed eventuali truppe di terra antiscafisti.

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L'Italia sempre più verso uno Stato di Guerra! Il 2 giugno in piazza ovunque per contrastare



Spese militari, nessun taglio agli F35. Anzi, il budget complessivo aumenta
La Difesa ha deciso di ignorare le decisioni del Parlamento sul dimezzamento del budget per l’acquisto dei caccia. Il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2015-2017 conferma 90 aerei, 30 nei prossimi sei anni. Solo una riduzione del 10% su contratti 2015. La motivazione: “Il programma (F35, ndr) necessita una stabilità in termini finanziari che è funzionale ad evitare di perdere le risorse sino ad oggi investite"
di Enrico Piovesana | 21 maggio 2015

Dopo un anno di dichiarazioni in senso contrario, la Difesa ha deciso di ignorare le decisioni del Parlamento sul dimezzamento del budget per l’acquisto dei cacciabombardieri F35, come anticipato ad aprile da IlFattoQuotidiano.it. La spesa complessiva del programma non solo rimane quella prevista, ma è stata ritoccata all’insù, superando quota 13 miliardi. E’ ufficiale, scritto nero su bianco nel Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa per il triennio 2015-2017, con tanto di motivazione: “Il programma (F35, ndr) necessita una stabilità in termini finanziari che è funzionale ad evitare di perdere le risorse sino ad oggi investite, alla credibilità internazionale delle capacità produttive nazionali e alla dimostrazione pratica di saper gestire un’eventuale futura manutenzione e aggiornamento del velivolo a livello europeo”. Nel documento si continua a parare di “90 velivoli per la flotta italiana”, compresi i quindici F35 a decollo corto ed atterraggio verticale (quelli per le portaerei) incomprensibilmente destinati all’Aeronautica – e per i quali era stato ipotizzato un ripensamento. Gli “oneri complessivi” per l’acquisto degli aerei per i prossimi vent’anni rimangono, infatti, gli stessi indicati nei documenti programmatici degli anni scorsi: 10 miliardi di euro – cui vanno aggiunti gli 850 milioni già spesi per lo sviluppo. Ma, a ben guardare, le altre voci di spesa previste per il programma risultano aumentate di quasi 400 milioni: 360 milioni in dieci anni per il completamento dello stabilimento produttivo di Cameri (già costato 795,6 milioni) e 35 milioni in più rispetto ai 465 previsti per i lavori di predisposizione delle basi aeree di Amendola (Foggia), Grottaglie (Taranto) e Ghedi (Brescia) e della portaerei Cavour cui sono destinati gli F35. Se si conta anche il cambio sfavorevole euro/dollaro – perché si paga tutto in dollari – bisogna aggiungere al conto almeno altri 100 milioni per le spese di sostegno alla produzione e successivo sviluppo del programma previste fino al 2047 (900 milioni di dollari). Rimane invariato anche il crono-programma generale delle acquisizioni, con l’acquisto di altri 30 velivoli nei promisi sei anni, oltre agli 8 già comprati, come previsto dalla pianificazione fatta dalla Difesa negli ultimi anni. Il documento presenta il programma come una “notevole diminuzione” rispetto a quanto previsto: “Originariamente lo sviluppo approvato del programma prevedeva che sarebbero stati acquisiti entro il 2020, un totale di 101 aeroplani. Oggi, il Governo intende procedere entro tale data all’acquisizione di un numero di velivoli sino a 38 unità”. La previsione citata, in realtà, è stata abbandonata dalla Difesa tre anni fa, quando si decise di ridurre il programma da 131 a 90 aerei. L’unica vera concessione fatta dalla Pinotti è una lieve riduzione (meno del 10%) sulle poste finanziarie assegnate al programma F35 per l’anno in corso: erano previsti 644,3 milioni di euro, ne verranno invece spesi effettivamente 582,7. Nessuna cifra è indicata per i prossimi anni (per il 2016 era prevista una spesa di 735,7 milioni): “Le poste finanziarie a decorrere dall’e.f. 2016 saranno definite, tenuto conto sia degli impegni presi dal Governo in sede parlamentare e sia del processo di Revisione Strategica indicato nel Libro Bianco, e recepite, successivamente, nell’ambito della ‘Legge sessennale per gli investimenti militari’ che sarà sottoposta all’approvazione del Parlamento”.

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Lo scalo pugliese di Grottaglie sarà centro aerospaziale dei droni



Governo nazionale, Regione Puglia, Finmeccanica e forze armate candidano lo scalo aeroportuale “Marcello Arlotta” di Grottaglie, Taranto, a futura base europea per la sperimentazione aerospaziale dei droni.
Il 14 maggio si è insediato nell’aeroporto tarantino il tavolo tecnico che dovrà definire le regole per l’integrazione dei velivoli a pilotaggio remoto nello spazio aereo civile. All’iniziativa hanno preso parte, tra gli altri, l’amministratore unico di Aeroporti di Puglia S.p.A., Giuseppe Acierno; i direttori generali dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), Alessio Quaranta e dell’Ente per l’assistenza al volo (Enav), Massimo Bellizzi; il presidente dell’Agenzia spaziale italiana, Roberto Battiston; i rappresentanti degli Stati Maggiori dell’Aeronautica e della Marina militare, nonché gli amministratori di alcune delle imprese interessate al progetto droni, prima fra tutte Alenia Aermacchi (Finmeccanica) che dal 2006 a Monteiasi–Grottaglie produce per la statunitense Boeing le sezioni di fusoliera in fibra di carbonio dell’aereo 787 Dreamliner.
“Il programma di sviluppo dello scalo di Grottaglie si articolerà su tre principali direttrici: manifatturiera, logistica e sperimentazione di soluzioni aeronautiche con e senza pilota”, concordano i partecipanti al tavolo tecnico. “L’ampiezza, la flessibilità operativa, l’essere inserita nel corridoio di volo per aerei non pilotati e la collocazione geografica dell’infrastruttura, rendono l’aeroporto tarantino un asset nazionale ed europeo unico. Grottaglie può proporsi come luogo idoneo per i Test Range dell’aviazione e, non ultimo, per i mezzi a pilotaggio remoto”. L’obiettivo di industriali, centri di ricerca, forze armate e Regione Puglia è quello d’intercettare una parte dei finanziamenti del nuovo programma Ue per la ricerca e l’innovazione “Horizon 2020” (ammontare complessivo 80 miliardi di euro, 13 dei quali provenienti dall’Italia).
Le autorità pugliesi hanno posto grande attenzione al settore aerospaziale e al business internazionale che potrà derivare a breve e medio termine dallo sviluppo dei velivoli a pilotaggio remoto, civili e militari. “Abbiamo posto alla base della nuova programmazione 2014–2020 la realizzazione a Grottaglie di un’infrastruttura caratterizzata da favorevoli condizioni logistiche e meteo e abbiamo avviato un significativo progetto di ampliamento dello scalo che tiene conto, peraltro, delle esigenze espresse dai partner industriali coinvolti in questo ambizioso programma di insediamento produttivo”, afferma il governatore uscente Niki Vendola, dal 2014 alla guida di Nereus, la rete delle regioni spaziali d’Europa. La Regione ha promosso inoltre la creazione del Distretto tecnologico aerospaziale (Dta) pugliese, società consortile senza fini di lucro a cui aderiscono alcune imprese del settore aerospaziale, università e centri di ricerca pubblici e privati presenti in Puglia. Nel maggio 2014 la Dta ha firmato a Tolosa un accordo di cooperazione internazionale per lo sviluppo del settore aerospaziale con Aerospace Valley (AV) della regione Midi-Pyrenées (Francia) ed il Distretto per le tecnologie e le applicazioni spaziali “si-Cluster” greco.
“Sempre in ambito spaziale, per Grottaglie si aprono prospettive anche nell’ambito della ricerca e dello sviluppo dei voli suborbitali, che dovrebbero consentire di viaggiare a velocità finora impensabili e coprire in poco tempo anche voli transoceanici”, ha dichiarato il presidente dell’Agenzia spaziale italiana (ASI), Roberto Battiston. L’Agenzia spaziale ha sottoscritto una convenzione con la Regione Puglia per la valorizzazione dell’infrastruttura tarantina. “Proprio a marzo scorso, a Washington, nella sede dell’Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti, è stato firmato un Memorandum di cooperazione tra ENAC e Federal Aviation Administration, per lo sviluppo del trasporto commerciale sub spaziale e Grottaglie potrebbe esserne uno dei punti di riferimento”, riferisce l’ASI. Sono già una decina le imprese e i gruppi industriali che hanno manifestato la volontà di attivare a Grottaglie investimenti per centinaia di milioni di euro: tra essi compaiono Alenia, Selex ES, AgustaWestland, Vitrociset, Ids, Sipal, ecc. Le aziende del gruppo Finmeccanica, in particolare, sono impegnate attualmente con altri partner europei nella realizzazione di due prototipi di grandi droni d’attacco e bombardamento aereo, il nEUROn e l’Euro-drone.
Il sedime aeroportuale di Grottaglie si estende all’interno di un perimetro di poco superiore ai 6 Km, su una superficie di 160 ettari. Dal 2013 lo scalo è inserito nella lista degli aeroporti di “rilevanza nazionale” del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e vanta la pista più lunga di tutto il sud Italia (3.200 metri di lunghezza) per gli atterraggi dei pesantissimi aerei cargo Boeing 747-400 LCF su cui intervengono le maestranze di Alenia Aemacchi. Nonostante le sue enormi potenzialità per il traffico aereo civile, Grottaglie è in massima parte utilizzato solo a fini militari. Dal 1982 ospita la stazione aerea “Maristaer” della Marina militare che gestisce le attività del gruppo di volo “Grupaer” operante sui cacciabombardieri imbarcati a decollo verticale AV-8B “Harrier II” e del “Grupelicot 4” basato su elicotteri AB 212 ASu/ASW per la lotta antinave e antisommergibile e AB 212 NLA e SH-3D “Sea King” a supporto del Reggimento “San Marco”, del Gruppo operativo incursori del Comsubin e di altre forze speciali d’assalto italiane e Nato. Oltre alle guerra navale e anfibia, i reparti di Grottaglie concorrono alle attività di trasporto tattico, ricognizione, scorta armata a mezzi terrestri, ricerca e soccorso in mare, evacuazione medica, assistenza in caso di calamità naturali e “controllo anti-immigrazione clandestina”. Attualmente è in corso la sostituzione di tutti i vecchi AB-212 con i nuovi elicotteri NH-90 NFH testati al Centro Aeromarittimo di Luni-Sarzana (La Spezia).
A partire dal 2017, Grottaglie accoglierà anche i primi esemplari del cacciabombardiere di ultima generazione F-35B, versione a decollo verticale STOVL. Nei piani di Aeronautica e Marina, nella base tarantina saranno rischierati sino a 30 di questi costosissimi velivoli da guerra. Il ministero della Difesa ha già stanziato 3 milioni di euro circa per la “progettazione esecutiva e la realizzazione di un fabbricato per la sistemazione di un simulatore di volo” per la Marina e 1,25 milioni per la costruzione di un magazzino per i pezzi di ricambio e gli strumenti necessari all’aggiornamento dei velivoli destinati all’Aeronautica militare. Oltre che da Grottaglie, i cacciabombardieri F-35 opereranno pure da un secondo scalo pugliese, quello di Amendola (Foggia), che ospita oggi il centro di comando e controllo operativo di tutti i droni in dotazione alle forze armate italiane.

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IMPERIALISMO ITALIANO ASSASSINO! IL 2 GIUGNO ROVINIAMOGLI LA FESTA
DA UN ARTICOLO DE IL FATTO QUOTIDIANO:
Armi, Made in Italy che vola: “Export 30 milioni in aree in guerra del Nord Africa”




Secondo l'ultimo rapporto dell'istituto "Archivio Disarmo" dal titolo "Armi leggere, guerre pesanti", nel 2014 le es
portazioni italiane di pistole, fucili e carabine sono state pari a 453 milioni, lievemente inferiori al 2013, ma superiori alla media del decennio. Proprio nel momento in cui si prepara un intervento armato in Libia di cui l'Italia dovrebbe assumere il comando, l'eventuale coalizione internazionale potrebbe trovarsi puntati contro armamenti fabbricati nella Penisola

Dal profondo Nord della Val Trompia, terra di fabbriche di armi e di leghisti, non si è mai interrotto il flusso di pistole, fucili e proiettili verso quelle parti dell’Africa che ribollono di tensioni e conflitti e da cui fuggono a decine di migliaia i disperati che cercano di scampare alle carneficine. Anche l’anno passato, con la Libia dilaniata dalle faide tra clan e senza più un potere centrale riconoscibile, e il resto del Maghreb, dall’Algeria alla Tunisiaall’Egitto, sempre sul punto di esplodere, sono andati assai bene gli affari delle imprese italiane, Beretta in testa. Nel complesso sono ammontate a circa 30 milioni di euro le esportazioni di pistole, fucili, carabine e simili verso quelle regioni. Insieme al Nord Africa anche il Medio Oriente, dall’ Arabia Saudita alla Siria, compresi Iran e Iraq sotto l’attacco degli assassini del Califfato dell’Isis, ha ricevuto dall’Italia un buon numero di pistole e fucili. Rapporto armi
Questi dati preoccupanti emergono da un corposo rapporto dell’istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo dal titoloArmi leggere, guerre pesanti curato da Antonio Lamanna e daMaurizio Simoncelli. I dati utilizzati sono quelli ufficiali contenuti nel database dell’Istat. Le conclusioni fanno riflettere: nel2014 le esportazioni italiane di questi micidiali strumenti sono state pari a 453 milioni, leggermente inferiori a quelle dell’anno precedente, ma superiori alla media delle esportazioni del decennio. In sostanza dallo studio viene fuori che in questa lunga fase di crisi soprattutto delle esportazioni, l’industria italiana delle armi è una delle poche a reggere bene la botta senza subire sostanziali effetti recessivi.
La produzione e l’esportazione di armi ai quattro angoli del pianeta contribuisce alla ricchezza della Val Trompia (provincia di Brescia) e garantisce il lavoro a migliaia di operai di quella zona. Il rovescio della medaglia, però, è che quei prodotti vengono venduti con assoluta disinvoltura (anche se ovviamente nel sostanziale rispetto delle leggi e dei trattati internazionali) pure a paesi dove infuriano le guerre e a quelli segnalati da diverse organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Right e Escola de Pau, per le reiterate violazioni dei diritti per situazioni di tensione o di conflitto armato. Nazioni come l’Ucraina o la Russia, la Colombia e il Messico. In pratica è ragionevole supporre che le armi italiane contribuiscano a rendere ancora più aspri e sanguinosi i conflitti in atto.
Nel caso del Nord Africa c’è un di più. Proprio nel momento in cui a livello internazionale si prepara un intervento armato in Libia di cui l’Italia dovrebbe assumere formalmente il comando con l’intento di interrompere il flusso di migranti organizzato da bande criminali, lo studio di Archivio disarmo attesta che dalla stessa Italia partono a decine di migliaia le armi destinate a quei paesi. Ordigni che con ogni probabilità saranno usati anche e forse soprattutto da quei mercanti di morte contro i quali vengono inviate le nostre missioni militari. C’è il rischio in pratica che da una parte e dall’altra si sparino proprio con le stesse armi made in Italy.
Al primo posto tra i paesi importatori di armi leggere italiane ci sono gli Stati Uniti con il 42% del totale. In Usa le armi italiane sono assai apprezzate, soprattutto dopo che a metà degli anni 80 del secolo passato l’esercito americano decise di adottare per i propri soldati proprio una pistola Beretta, la famosa M9, rimasta in dotazione all’Us Army fino alla fine dell’anno passato. Negli Stati Uniti il possesso di armi per uso di difesa personale è un diritto garantito dalla Costituzione oculatamente protetto dalla Nra (National Rifle Association), ritenuta una delle lobby americane più potenti. Sull’altro piatto della bilancia c’è il fatto che proprio la diffusione di massa di ordigni micidiali è ritenuta la causa principale del numero abnorme di assassinii e di conflitti a fuoco. C’è poi il pericolo che l’enorme quantità di armi in circolazione amplifichi gli effetti dei ricorrenti momenti di tensione, come è successo di recente con il rinfocolarsi dei conflitti razziali.

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Armi, dall’Italia i pezzi per gli F16 egiziani che bombardano in Yemen e Libia FONTE
 
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F35, il governo ordina altri quattro aerei. Salgono a 14 i velivoli acquistati dall’Italia



Firmato un nuovo contratto da 35 milioni con Lockheed Martin: lo si legge sul sito del Pentagono. L'accordo è relativo all’ordine di un nuovo lotto (il 10°) comprendente 2 aerei convenzionali e 2 in ‘versione portaerei’. La cifra, una caparra di prenotazione, riguarda solo i componenti a lunga consegna, mentre il grosso del pagamento - 150 milioni a velivolo - verrà versato a rate alla conferma d’acquisto (2016) e poi alla consegna.


Lontano dai riflettori e forte della sua maggioranza, il governo Renzi tira dritto sugli F35, sicuro di sbaragliare senza clamori anche le ultime deboli resistenze parlamentari di chi vuole il ridimensionamento o la cancellazione dell’impopolare e costosissimo programma militare.
Solo grazie al sito web del Pentagono veniamo a sapere che la Difesa italiana ha firmato a inizio giugno un nuovo contratto con Lockheed Martin ordinando altri quattro F35 e portando così a 14 il totale dei velivoli acquistati finora dal nostro Paese. Il contratto, da circa 35 milioni di euro, è relativo all’ordine di un nuovo lotto di F35 (il decimo) comprendente quattro aerei: due convenzionali e due in ‘versione portaerei’ a decollo corto e atterraggio verticale. La cifra, una sorta di piccola caparra di prenotazione, riguarda solo i componenti a lunga consegna (Long Lead Items), mentre il grosso del pagamento - 150 milioni di euro ad aereo – verrà versato a rate alla conferma d’acquisto (2016) e poi alla consegna. E’ stato firmato anche un altro contratto datato 30 giugno, da circa mezzo milione di dollari: ennesimo pagamento per lo sviluppo del software di bordo che prosegue, con enormi difficoltà e ritardi, dal 2002.La Difesa – che entro l’anno acquisterà definitivamente i due F35 del lotto precedente ordinati due anni fa – sta seguendo la tempistica di acquisizione prevista dalla pianificazione contrattuale originaria calcolata sul totale di 90 velivoli: sei aerei nel 2013, due nel 2014, due quest’anno (dovevano essere tre), quattro il prossimo (quelli appena ordinati), cinque all’anno nel triennio 2017-2019 e nove nel 2020. Esattamente i 38 velivoli previsti entro tale data dal Documento Programmatico Pluriennale (Dpp) presentato dalla Difesa a inizio giugno, che infatti conferma il budget complessivo del programma, circa 13 miliardi di euro, stabilito nel 2012 dopo la riduzione da 131 a 90 aerei. Budget che invece, secondo la ‘mozione Scanu’ approvata lo scorso settembre, deve essere dimezzato.

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