Comunismo - Scintilla Rossa

Ucraina, scendono in campo gli Stati Uniti

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view post Posted on 18/8/2018, 16:58
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addàrivenì baffone

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La solidarietà tedesca per i nazisti ucraini





In Germania, qualche voce si leva a denunciare il fatto che uomini dei battaglioni neonazisti ucraini vengano curati in strutture sanitarie della Bundeswehr e a chiedere perché la stessa preoccupazione non venga dimostrata anche nei confronti dei civili del sudest dell’Ucraina. Ciò, ha detto Alexander Neu (deputato di Die Linke al Bundestag) “può esser interpretato come solidarietà” al regime golpista di Kiev. Secondo Deutsche Welle, i primi “lazzeretti volanti” – velivoli della Luftwaffe – furono organizzati già nel marzo 2014, per condurre in ospedali di Berlino, Amburgo, Coblenza e Ulma manifestanti di majdan gravemente feriti. Ad oggi, almeno un centinaio di feriti ucraini (sia dell’esercito, che dei battaglioni nazisti) pare abbiano sostenuto un periodo di riabilitazione in Germania, a spese del governo tedesco.

Al proposito, aveva di recente suscitato scalpore il saluto nazista (nel video, dal minuto 7,14 al minuto 8), finito sotto gli obiettivi di DW, con cui uno dei 14 feriti giunti all’aeroporto di Berlino aveva salutato un camerata. Il nazista ucraino, si sentiva evidentemente “di casa”, in un paese in cui, in risposta a una interrogazione della deputata di Die Linke, Martina Renner, al Bundestag è stato reso noto che diverse organizzazioni neonaziste tedesche avrebbero compilato “Liste di nemici”, con i dati di almeno 35.000 politici e antifascisti.

La Renner aveva domandato anche se il governo federale si sia preoccupato di informare le persone inserite nella lista. “Il risultato è altamente preoccupante”, ha detto la deputata di Die Linke. “Da quando fu scoperta l’attività del gruppo terroristico NSU (Nationalsozialistischer Untergrund) vari elenchi con nomi e indirizzi di almeno 35.000 persone sarebbero stati trovati in mano a terroristi e estremisti di destra, ma solo tre interessati sono sono stati informati dalle autorità federali“. “Il governo federale ignora semplicemente la minaccia terrorista di destra“, chiosa l’organo del DKP, “Unsere Zeit”; non si spiega in altro modo, come mai “la polizia criminale federale non abbia informato nemmeno una manciata delle decine di migliaia di persone finite nelle liste”.

Liste, a quanto pare, del tipo di quella che il sito nazista ucraino “Mirotvorets” sta stilando da tempo con i nomi di oppositori del regime golpista e anche di politici, giornalisti o semplici cittadini stranieri, “colpevoli” di denunciare il regime banderista di Kiev. O come quelle che, secondo dnr-hotline.ru, originali “ispettori scolastici” (composti per lo più da esponenti delle organizzazioni nazionaliste) hanno cominciato a compilare in diverse regioni ucraine e in cui vengono inseriti scolari e studenti sospettati di “umori separatisti”, “attività filo-russe” o rei di mettere in dubbio la “santità” dei komplizen nazisti di OUN-UPA. Le liste vengono passate agli organi di polizia e nei confronti dei sospettati vengono elevate multe, con l’obbligo di lavori “socialmente utili”. Cercheremo di rieducarli, ha dichiarato un esponente di “Tridente Stepan Bandera” (nome di battaglia “Boia”) e cominceremo a “purgare con cura i loro cervelli; poi prenderemo in consegna genitori e insegnanti“.

Chissà se alla Bundeswehr, nel prendersi cura degli uomini dei battaglioni neonazisti ucraini, terranno di conto del rapporto dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani, relativo alle violenze commesse da parte di esercito e battaglioni neonazisti nel 2014 contro la popolazione civile di Ilovajsk.

Nel 2014, dopo un iniziale periodo in cui le milizie popolari furono costrette a cedere una serie di centri del Donbass, per concentrarsi nella difesa di Donetsk, tra agosto e settembre Ilovajsk si trovò al centro di una sacca che, di lì a poco, portò alla maggiore disfatta ucraina nell’intero conflitto nel Donbass, insieme a quella di Debaltsevo, nel febbraio successivo.

L’occupazione della cittadina, pur di non lunga durata, con l’arrivo dei battaglioni “Azov”, “Donbass” e “Šakhtërsk” si trasformò in un autentico inferno per la popolazione civile. Nel rapporto ONU si ammette che il ricorso ad armi con “azione esplosiva in aree popolate, senza osservare i principi di distinzione, proporzionalità e adozione di misure precauzionali”, causò la morte di almeno 36 civili, la distruzione o il danneggiamento di un terzo delle abitazioni singole e di 116 palazzi civili”.

Nel rapporto si parla anche di civili rimasti uccisi non sotto i bombardamenti, ma assassinati direttamente dalle forze ucraine; di persone – in particolare, maschi da 30 a 66 anni, sospettate di simpatie per le milizie popolari – torturate dai neonazisti del battaglione “Donbass”. Detta così e con un asettico, bestiale riferimento alle cifre nude e crude, potrebbe sembrare che i trentasei civili uccisi a Ilovajsk siano “poca cosa”, confrontati, ad esempio, con gli oltre duecento nella sola Gorlovka, o i più di cento bambini e ragazzi rimasti sotto le bombe di Kiev in tutto il Donbass; ma è significativo che l’ONU renda sempre più spesso noti i risultati delle proprie indagini.

Già lo scorso giugno, l’Alto commissariato aveva registrato 201 “testimonianze degne di fede, relative a 321 violazioni dei diritti umani” in Ucraina, nel periodo gennaio-maggio 2018, la cui responsabilità veniva addebitata sia al governo che ai raggruppamenti armati estremisti ucraini, con decine di morti e feriti civili sotto i bombardamenti e il danneggiamento mirato di infrastrutture civili (stazioni di filtraggio dell’acqua potabile, linee elettriche, distruzioni di raccolti, ecc.) nelle aeree abitate delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk.

Significativo, nota news-front.info, che l’unico riferimento alla Russia citato nel rapporto ONU sia indiretto e di fonte ucraina, costituito dalla formulazione secondo cui, a partire “dal 27 agosto 2014, le forze ucraine rimasero accerchiate da gruppi armati, che, secondo il governo ucraino, ricevevano rinforzi in reparti armati e armi dalla Federazione Russa“.

In realtà, Mosca era intervenuta per convincere le milizie popolari a lasciare aperto un corridoio, per permettere l’evacuazione delle forze ucraine accerchiate; le milizie (pare che tra i comandanti ci fossero anche “Givi” e “Motorola”) avevano posto come unica condizione che gli ucraini abbandonassero la sacca disarmati. Alla sortita del grosso delle forze di Kiev in pieno assetto di combattimento, la risposta fu l’annientamento di circa la metà di esse.

Che significato attribuire dunque alla “sensibilità” tedesca per i neonazisti ucraini? Vien da dire che appaiano assolutamente centrate le parole pronunciate sabato scorso dal Ministro della difesa russo Sergei Šojgu. In un’intervista al canale “Rossija 24” e rispondendo indirettamente alle dichiarazioni fatte nell’aprile scorso dall’omologa tedesca Ursula von der Leyen, secondo cui con la Russia bisogna parlare da posizioni di forza, Šojgu ha detto che è necessario guardare “alla storia. E dopo quello che la Germania ha fatto nel nostro paese, credo che almeno per altri duecento anni non si debba tornare sulla questione”. La Ministra tedesca si riferiva alla necessità di aggravare le sanzioni anti-russe, ovviamente accusando Mosca e non Kiev, del non rispetto degli accordi di Minsk sul Donbass. “Se non sapete leggere, chiedete ai nonni” ha detto Šojgu, “cosa significhi parlare con la Russia da posizioni di forza, Probabilmente loro ve lo possono raccontare”.
 
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view post Posted on 19/8/2018, 11:19
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addàrivenì baffone

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La guerra in Donbass e l'idea del referendum




Situazione in Donbass. Intensi tiri di artiglierie e mortai pesanti da parte ucraina, negli ultimi due giorni, concentrati sull'area meridionale del fronte con la DNR. Arrivo di rinforzi nella zona di Troitskoe, come in preparazione di un attacco lungo la direttrice di Debaltsevo, nella LNR. Le milizie della LNR denunciano l'uso della popolazione civile quale scudo per le provocazioni ucraine: si continua infatti a concentrare artiglierie, corazzati e sistemi “Grad” a ridosso degli agglomerati civili controllati da Kiev, in modo che le milizie non possano rispondere al fuoco: le ultime segnalazioni in tal senso giungono da Stanitsa-Luganska e Novoivanovka.


Anche a livello individuale non mancano le “imprese” delle forze golpiste. L'agenzia Novorosinform scrive che lo scorso 18 luglio le forze ucraine hanno abbandonato lungo la linea del fronte con la DNR il corpo di un ex miliziano, evidentemente morto sotto tortura e sul cui cadavere sono stati esplosi colpi di arma da fuoco per inscenarne la morte in combattimento. Andrej Gordeev – questo il nome dell'ucciso – aveva servito nelle milizie nel periodo 2014-2015 ed era stato catturato dalle truppe di Kiev il 14 luglio, mentre si trovava a Mariupol (sotto controllo ucraino) in visita a una ragazza, facendo evidentemente affidamento sulla veridicità dell'appello ucraino “Ti attendono a casa”, con cui si cerca di persuadere i miliziani a consegnare le armi, prospettando loro l'amnistia. Il comando delle milizie della DNR ha rinnovato l'appello a non “credere alle false promesse provocatorie degli assassini ucraini; è il loro lavoro, per attirare ingenui cittadini nel loro territorio". Secondo Novorosinform, si stanno moltiplicando gli episodi di ex miliziani o semplici simpatizzanti di DNR e LNR catturati, imprigionati e anche torturati dalle forze ucraine.






E si moltiplicano anche i casi in cui non si cerca nemmeno di nascondere l'attività degli istruttori NATO tra le forze di Kiev. L'ultimo episodio sarebbe stato scoperto dalla ricognizione della LNR nell'area di Aleksandrovka, nel rione di Stanitsa-Luganska. Secondo i comandi della LNR, paesi della NATO usano l'Ucraina e le forze ucraine per sperimentare in corpore vili i propri metodi di combattimento, servendosi anche della presenza di mercenari da Paesi baltici e dell'Europa orientale.

Tre giorni fa, due miliziani della LNR sono stati uccisi da cecchini ucraini, cui le forze di Kiev fanno sempre più ricorso: anche in questo caso, i reparti di tiratori scelti all'interno di diverse brigate ucraine vengono addestrati da istruttori NATO. Ai più alti livelli – Stato maggiore e Ministero della difesa – operano su base permanente 44 consiglieri di 13 diversi paesi dell'Alleanza atlantica.


Sul campo, a dispetto della tante volte annunciata decisione di Kiev di ritirare dal fronte i battaglioni neonazisti che, dopo gli enormi crimini commessi ai danni dei civili nei primi periodi dell'aggressione al Donbass, hanno poi operato principalmente quali “plotoni di fuoco amico” contro i richiamati poco propensi al combattimento, ecco che torna al fronte “Pravyj Sektor”. Il 17 luglio, l'organizzazione ha dato vita al 1° battaglione del Corpo volontario ucraino, composto di un gruppo di fuoco, una prima compagnia di assalto, una seconda compagnia di supporto e una terza compagnia di fucilieri. “Sarà difficile, ma interessante” ha dichiarato il comandante del nuovo battaglione”: sarà interessante vederne comportamento quando, invece dei civili inermi, avrà di fronte milizie forti di quattro anni di guerra.


E' in questa situazione che si inquadra la questione dell'idea che Vladimir Putin avrebbe lanciato a Donald Trump, durante il summit di Helsinki, di un referendum, sotto egida ONU, sullo status non solo di DNR e LNR, ma dell'intero Donbass.


Come scrive “Colonelcassad”, dato che gli accordi di Minsk non prevedono alcun referendum, ma dato anche che ad ogni piè sospinto si ripete che “non c'è alternativa a Minsk”, allora la proposta potrebbe rappresentare una via d'uscita dal cul de sac in cui sono finiti quegli accordi. Vicolo cieco che vale pure per le questioni del ventilato contingente di pace ONU o dell'armamento della missione OSCE, o anche del tentativo fatto coi colloqui Volker-Surkov di aggirare l'esclusione di Washington sia dagli accordi di Minsk, sia dal cosiddetto “formato normanno”. Del resto, nota iarex.ru, il destino dell'Ucraina si decide a Washington: dunque, inutile continuare con Berlino o Parigi e tantomeno con Kiev. Ma, anche sulla questione del referendum, le posizioni sono distanti, per non dire opposte.


Washington e Kiev pretenderanno quasi sicuramente, come condizioni esclusive, che il referendum si tenga dopo il passaggio dei confini sotto controllo ucraino, dopo l'elezione di autorità ucraine in Donbass (con la partecipazione anche dei partiti fascisti ucraini) e, soprattutto, che il controllo sullo svolgimento sia ucraino, escludendo il coordinamento con DNR e LNR. Di fatto, nota iarex.ru, si entrerà in un circolo vizioso senza fine.


In effetti, la reazione di Kiev è stata più che prevedibile. La vicepresidente della Rada, Irina Gerashchenko, ha dato in escandescenze alla sola parola: "nessun referendum sotto le canne dei fucili, in un territorio in cui da quattro anni i cervelli sono lavati dalla propaganda russa e dove comandano le marionette del Cremlino”. Più o meno dello stesso tono le parole del viceministro per i Territori occupati, Georgij Tuka: "Né Trump né Putin sono in grado di cambiare la Costituzione ucraina; può farlo solo il popolo ucraino e noi non riconosciamo alcun referendum nei territori occupati". Il Ministro degli esteri Pavel Klimkin ha definito l'idea del referendum un “tentativo di prova generale del disfacimento dell'Ucraina”. Referendum impossibile dai punti di vista politico e giuridico, ha detto Klimkin e “nessuno, letteralmente nessuno” crede alla possibilità di una libera e sincera espressione di volontà popolare “sotto la pressione della Russia”.


Dunque, conclude Aleksandr Zubcenko, perdurante l'attuale regime a Kiev, non è possibile alcun referendum. Poroshenko ha da tempo iniziato la propria campagna elettorale e nel suo programma è scritto “piena liberazione di Donbass e Crimea”, anche se è vero che non trova appoggio tra la popolazione l'altro slogan di “guerra fino alla vittoria per la liberazione dei territori occupati”. Oltre il 70% della popolazione è per “la fine della guerra a Oriente”.


Un po' di gioco al “poliziotto cattivo e quello buono” al Ministero degli interni. Il vice ministro, Vadim Trojan, ha ordinato ai reparti di frontiera di tenersi pronti per il ritorno del Donbass sotto controllo ucraino, secondo il “Meccanismo dei piccoli passi” messo a punto dal Ministro Arsen Avakov. Da parte sua, quest'ultimo, che appena pochi mesi fa aveva recato a Washington il proprio piano di variante di forza per il Donbass, si sarebbe improvvisamente messo sulla via del compromesso, esprimendosi per la possibilità che al Donbass venga riconosciuto il diritto all'uso della lingua russa, la cui negazione aveva rappresentato uno dei cardini della resistenza al golpe di majdan. Avakov avrebbe rilasciato la relativa dichiarazione a Ukrainskaja Pravda, considerata dai più una sorta di “megafono” del Dipartimento di stato.


Ora, come riportava la Tass già venerdì scorso, stando alle parole del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale USA, Garret Marquis, non sembra proprio che la Casa Bianca intenda acconsentire all'idea del referendum, dato che gli accordi di Minsk “non consentono la possibilità di tenere un referendum” e inoltre, dice Marquis, “l'organizzazione del cosiddetto referendum in una parte di Ucraina non controllata dalle autorità di Kiev non sarebbe legittima". Può darsi che, proprio nella consapevolezza delle reazioni USA, anonime fonti diplomatiche russe abbiano intenzionalmente fatto trapelare la notizia – pare che Trump avesse chiesto a Putin di aspettare a parlarne pubblicamente - in considerazione del fatto che difficilmente l'idea possa trovare consensi al Congresso, e più invece nell'opinione pubblica.


D'altra parte, è il caso di notare come appaia fuor di luogo ogni riferimento al referendum con cui nel marzo 2014 la Crimea decise il ritorno nella compagine russa: oggi, la proposta è di accordare uno status speciale all'intero Donbass, mantenendo la regione nella compagine ucraina, con un'autonomia significativamente maggiore. Anche se è vero che l'eventuale ammissione di un tale referendum, porterebbe legittimazione anche a quello crimeano, finora non riconosciuto a livello internazionale.


E, nel Donbass? Come ha dichiarato a News Front Aleksandr Iljashevic, del quotidiano “Enakievskij rabocij” della DNR, il referendum che la DNR tenne per proprio conto nel 2014 si sarebbe forse “dovuto organizzare in altro formato, con osservatori internazionali; ma, all'epoca, all'estero non se ne volle sapere. Oggi in Donbass non si nota particolare euforia per l'idea del referendum o, quantomeno, non tanta come quando si discuteva dell'introduzione di forze di pace. La notizia è stata accolta in modo tranquillo; probabilmente, perché la gente non crede che si possa davvero tenere. Sorge subito la domanda: e allora, perché non si è tenuto prima? E' chiaro a tutti che il referendum è il momento con cui tali guerre debbano concludersi: la via più civilizzata e il modo più semplice per conoscere la volontà degli abitanti del Donbass. E Kiev e Washington lo avversano perché sanno che gli abitanti del Donbass voterebbero contro l'attuale regime ucraino”.
 
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view post Posted on 31/8/2018, 17:02
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addàrivenì baffone

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È stato ucciso poco fa Alexander Zakharchenko, leader della DNR in un attentato dinamitardo mentre si trovava in un Bar.

https://it.sputniknews.com/mondo/201808316...ciso-a-donetsk/

Dormitona delle forze di sicurezza?
 
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view post Posted on 31/8/2018, 17:20
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CITAZIONE
Dormitona delle forze di sicurezza?

Tolstykh, Pavlov "Motorola", Mozgovoy, Dremov, Valery Bolotov, Tsypkalov, Bednov, Zhilin, ne muoiono di comandanti laggiù...
 
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view post Posted on 31/8/2018, 17:41

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CITAZIONE (Kollontaj @ 31/8/2018, 18:20) 
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Dormitona delle forze di sicurezza?

Tolstykh, Pavlov "Motorola", Mozgovoy, Dremov, Valery Bolotov, Tsypkalov, Bednov, Zhilin, ne muoiono di comandanti laggiù...

le forze di sicurezza dormono davvero!
 
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view post Posted on 9/9/2018, 12:41
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addàrivenì baffone

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Donbass: grossi (ed equivoci) avvicendamenti ai vertici della DNR



Mentre sono in corso da giorni grossi preparativi ucraini – di cui l’assassinio del Presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko appare essere un tassello, ancorché fondamentale – in vista di un attacco su larga scala alle Repubbliche popolari del Donbass, avvicendamenti tutt’altro che privi di significato avvengono proprio ai vertici della DNR.

Sul piano militare, secondo la ricognizione delle milizie popolari, le forze ucraine avrebbero formato un gruppo d’assalto, forte di oltre 12.000 uomini, per attaccare la DNR e, insieme a questi, ben sei divisioni di artiglieria sarebbero state spostate verso Velikaja Novoselka, 90 km a ovest di Donetsk. Le milizie, in caso di aspro acutizzarsi della situazione, starebbero pensando a una mobilitazione generale e al richiamo dei riservisti. Sul fronte della LNR, Kiev avrebbe concentrato una quindicina di obici di grosso calibro, semoventi e trainati, nell’area di Rubežnyj, un centinaio di km a nordovest di Lugansk, pronti a muovere verso la linea di demarcazione.

A livello politico, il Consiglio del popolo della DNR ha nominato Presidente del consiglio dei ministri a interim lo speaker dell’assemblea e capo della delegazione ai colloqui di Minsk, Denis Pušilin. Nella stessa seduta del Consiglio, è stata anche annunciata la prossima nomina della Commissione elettorale centrale, in vista delle elezioni fissate, sia nella DNR che nella LNR, al prossimo 11 novembre.

La nomina di Pušilin fa seguito alla decadenza, anche formale, di tutti i poteri del Presidente della DNR – per ovvie ragioni – e dei Ministri: Zakharčenko presiedeva infatti anche il Consiglio dei Ministri. L’incarico a Pušilin è la diretta conseguenza della sentenza della Procura generale, che ha dichiarato illegittima la nomina di Dmitrij Trapeznikov a capo provvisorio della Repubblica e ha definito il Consiglio del popolo unica autorità legittimata, secondo la Costituzione, ad adottare tale decisione.

Il Consiglio dei Sindaci delle città della DNR si è dichiarato concorde con la sentenza della Procura, ricordando che la nomina di Trapeznikov, a poche ore dall’assassinio di Zakharčenko, era stata “una misura straordinaria e temporanea. Ora, quando tutti ci siamo ripresi dallo shock della tragedia, è necessario tornare alla lettera della legge”. Più tardi, lo stesso Trapeznikov ha rilasciato una simile dichiarazione, di approvazione degli avvicendamenti al vertice.

Nella tarda serata, Pušilin ha reso nota la lista dei Ministri, quasi tutti cambiati rispetto al precedente Gabinetto e tutti qualificati come “facente funzione”, fino alle elezioni. Secondo una fonte, Ekaterina Matjuščenko avrebbe conservato il posto al Ministero delle finanze; mentre la carica sinora tenuta da Aleksandr Timofeev, al Ministero delle imposte, è andata Evgenij Lavrenov. Tre Ministri, nominati vice premier, dirigeranno altrettanti blocchi ministeriali: analisi e sviluppo strategico, politiche sociali, bilancio e finanze.

Ma, secondo un’altra fonte, la Matjuščenko e la presidente della Banca centrale, Irina Nikitina, sarebbero fuggite in Russia, insieme ad altri ex dirigenti della cerchia di Aleksandr Zakharčenko, tra cui i suoi ex consiglieri Aleksandr Kazakov e Aleksandr Pašin, mentre Trapeznikov, secondo dnr-live, sarebbe “riuscito ad accordarsi con Mosca e avrebbe conservato il posto di vice premier”.

La prima voce di una fuga in Russia “eccellente” era stata quella riguardante il Ministro delle imposte, Aleksandr Timofeev (tra i feriti meno gravi nell’attentato del 31 agosto) accusato di appropriazioni varie. Nella mattinata di ieri, il direttore di una delle più grandi imprese agroindustriali della Repubblica, la “Kolos D”, Vadim Savenko, aveva accusato Timofeev di aver sottratto all’azienda valori per 850 milioni di rubli. Secondo Savenko, nel novembre 2017, su disposizione diretta del Ministro, nonché vicepresidente del Consiglio dei ministri, un “gruppo armato, guidato dal direttore dell’impresa statale “Zarja Agro”, Gennadij Krjaževyj, aveva fatto irruzione sul territorio della “Kolos” e sulla base di presunti documenti in possesso del Ministero, circa la qualifica di “beni giacenti” riferita all’intera proprietà della “Kolos” – beni mobili, patrimonio zootecnico e produzione agricola – di fatto se ne era impossessato”.

Timofeev, dice Savenko, avrebbe “abusato della fiducia accordatagli dai vertici del DNR, che gli avevano affidato la direzione fiscale della Repubblica”, utilizzando la carica per “l’arricchimento personale e il rafforzamento della propria autorità”. In serata, una nuova accusa si è aggiunta contro Timofeev: quella di “essersi appropriato” di una serie di imprese di trasporti, le cui perdite, dal 2015, ammonterebbero a oltre 100 milioni di rubli. Secondo gli imprenditori che accusano Timofeev, egli avrebbe sottratto loro le aziende dietro la copertura della “nazionalizzazione”.

Come detto, tutto “in ordine” con Dmitrij Trapeznikov, a parte la dichiarazione sulla illegittimità e provvisorietà della sua nomina. Per la verità, qualche voce circa le sue “credenziali” come vice premier erano circolate in passato. E si erano appuntate sulle sue manovre per piazzare ai posti chiave propri personaggi, aggirando Zakharčenko: o meglio, personaggi fedeli a Rinat Akhmetov, il maggior oligarca ucraino, i cui forti interessi nel Donbass gli hanno fatto tenere (perlomeno fino a una certa fase) posizioni “non univoche” tra Kiev e le milizie. Nel 2016, l’allora comandante del battaglione delle milizie della DNR “Vostok”, Aleksandr Khodakovskij (che qualcuno dà quale possibile alternativa a Pušilin nella corsa elettorale del 11 novembre, nonostante i suoi non più ottimi rapporti con Mosca) scriveva che gli uomini di Akhmetov nella DNR erano Maksim Leščenko, capo dell’amministrazione presidenziale, e Trapeznikov, suo vice.

Stando alle voci, quest’ultimo, funzionario amministrativo del rione Kujbyšev di Donetsk, era entrato nel giro di Akhmetov quale capo degli ultras dello “Šakhtër” che, a differenza degli ultras della “Dinamo” di Kiev, o del “Metallist” di Kharkov o del “Karpaty” di Lvov, già durante la cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004 avevano avversato il nuovo potere di Kiev. L’ascesa di Trapeznikov era iniziata allorché egli, in concomitanza a una visita a Donetsk dell’inviato presidenziale russo, Vladislav Surkov, aveva organizzato la protesta degli imprenditori locali contro il Codice fiscale della repubblica e le ispezioni straordinarie: il tutto, diretto contro il Ministro delle imposte Timofeev. Dopo di che, Trapeznikov aveva cominciato a riunire intorno alla sua persona i vice sindaci delle maggiori città, aggirando i primi cittadini, per costruire la propria cerchia di potere.

“Quando Dmitrij Trapeznikov avrà terminato di costruire la propria verticale del potere” scriveva Khodakovskij, “allora potrà occupare la carica più alta nella DNR. Zakharčenko ora gode del sostegno assoluto della popolazione; ma quando tutti i posti chiave saranno occupati da uomini di Trapeznikov, allora forse il popolo non potrà più aiutare il capo della Repubblica. Quando vincerà Trapeznikov, vincerà Akhmetov e allora tutti gli slogan sulla Russkaja Vesna e la Repubblica senza oligarchi rimarranno slogan. E allora, perché saranno morti gli uomini migliori del Donbass?”.

Dunque, cosa si cela dietro l’assassinio di Zakharčenko? La mano di Kiev nasconde anche la lotta tra “nazionalizzatori” e “privatizzatori”, concentrata evidentemente nelle branche strategiche mineraria e metallurgica? E ancora: quanto potrebbe esser stata, o essere, pesante, la mano allungata sulle preziosissime risorse del Donbass dai corrispondenti colossi russi e ucraini del settore, a loro volta legati reciprocamente da interessi industriali e finanziari, come testimonierebbero i rapporti tra l’oligarca ucraino Sergej Kurčenko e l’influente consigliere presidenziale russo Vladislav Surkov, posto dal Cremlino a “curare” le faccende della DNR e, in particolare, di Zakharčenko?

Ora dunque, come scriveva ieri Andrej Babitskij su life.ru, sarebbe interessante conoscere il vero compito della miriade di agenti del FSB russo, sbarcati a Donetsk sin dal giorno successivo l’assassinio di Zakharčenko e ufficialmente inviati a indagare sul delitto, e che sembra stiano mettendo sottosopra ogni possibile “armadio” ministeriale, alla ricerca di scheletri che potrebbero portare benissimo a Kiev, ma anche a Mosca. Non a caso, a quanto ci dicono semplici cittadini di Lugansk riparati in Russia, per l’omicidio del capo della DNR, il dito viene puntato soprattutto a ovest, ma anche a est.
 
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view post Posted on 9/9/2018, 22:16
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http://www.lariscossa.com/2018/09/07/dichi...d-zakharchenko/

in effetti oltre alla contraddizione tra la Resistenza del Donbass nel suo complesso da un lato e il regime filostatunitense e filoUe di Kiev dall'altro, la stessa Resistenza è divisa al suo interno dalla contraddizione tra settori di borghesia burocratica e capitalista legati alla Russia e le forze autenticamente popolari, di cui un rappresentante era sicuramente il martire Zakharchenko...
 
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view post Posted on 8/12/2018, 16:42

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IL REGIME DI KIEV – UNA CREAZIONE DI UN FRANKENSTEIN OCCIDENTALE



Il presidente russo Vladimir Putin ha espresso il concetto in modo sintetico quando ha recentemente avvertito che le prospettive di pace in Ucraina sono trascurabili finché le autorità attuali a Kiev rimarrano al potere. Peggio ancora, viste le nuove provocazioni suscitate dal regime di Kiev, l’intera regione è minacciata di conflitto e persino di guerra totale.

Sembra chiaro – e penalmente riprovevole – che il regime di Kiev e il suo presidente Petro Poroshenko siano intenzionati a trascinare gli Stati Uniti e l’alleanza militare della NATO in una guerra con la Russia.

continua qui ---> www.controinformazione.info/il-reg...VeUlrQa_lNjIdtk
 
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view post Posted on 19/2/2019, 15:40

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Ucraina: violazione della libertà



Higinio Polo | Rebelión
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

09/02/2019

Il prossimo 31 marzo si svolgeranno le elezioni presidenziali in Ucraina, evento in cui si fronteggiano i diversi candidati del regime emersi dal colpo di Stato di Maidan nel 2014, per appropriarsi delle molle politiche per proseguire la folle corsa al saccheggio e alla spogliazione a cui hanno sottoposto il paese. Le elezioni si svolgono tra coloro quelli che si sono avvantaggiati del colpo di Stato, che si sono arricchiti dal saccheggio del paese negli ultimi anni e che ora cercano di contrattare le chiavi del potere e continuare ad arricchirsi.

Tra i candidati vi è l'attuale presidente Petro Poroshenko, un uomo corrotto e profondamente impopolare, con poche possibilità di essere rieletto; Yulia Timoshenko, una donna arricchita con le oscure reti di corruzione nella compagnia ucraina del gas e dei contratti di fornitura e che era leader della "rivoluzione arancione"; e Yuriy Boyko, ex ministro di Yanukovych e vecchio nemico di Aleksandr Turchinov, uno dei primi golpisti del 2014. Ce ne sono anche altri meno rilevanti di candidati, come Andriy Sadovyi, Sindaco di Leopoli (una delle città dove il nazismo ucraino è più diffuso) e leader del partito Samopomich (Auto Aiuto), che è definito simile alla Democrazia Cristiana; o Valentyn Nalyvaichenko, che dopo il colpo di stato è stato nominato capo della SBU, servizi segreti ucraini.

Le garanzie democratiche sono inesistenti: il terreno politico è riservato ai partiti del regime, che tuttavia si combattono tra loro in mezzo a intrighi, manipolazioni e sporche operazioni. Pertanto, il governo Poroshenko non vuole candidati scomodi e quindi, la candidatura di Petro Simonenko (Segretario Generale del Partito Comunista di Ucraina), per le elezioni presidenziali è stata respinta dalla Commissione Elettorale centrale, che ha deciso di negare la sua registrazione in aperta violazione dei diritti democratici. Tale decisione non trova corrispondenza nemmeno tra le leggi stesse adottate dal Parlamento ed è in palese contraddizione con i documenti firmati dall'Ucraina con l'Unione europea, in cui si esprime un impegno a rispettare i principi democratici, la libertà e i diritti umani.

In risposta alle indicazioni del governo golpista di Petro Poroshenko, le agenzie ufficiali ucraine hanno imposto le loro condizioni, emarginando e perseguitando tutte le organizzazioni politiche che combattono contro le istituzioni e il potere di coloro che hanno beneficiato del colpo di Stato del Maidán del 2014. Il colpo di Stato che ha inaugurato gli anni dell'arbitrarietà e della repressione è stato organizzato, sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, che hanno militarmente addestrato mercenari nei campi polacchi nelle settimane che hanno portato al rovesciamento di Yanukovych. Il Parlamento golpista ha poi espulso i 32 deputati comunisti che erano stati eletti nelle elezioni precedenti e il Ministero della Giustizia e i tribunali amministrativi hanno vietato l'attività del Partito Comunista di Ucraina. Nè sono stati fatti progressi nelle indagini della terribile mattanza dei sindacati di Odessa, dove i teppisti di Maidan hanno bruciato quarantadue persone vive: a alcuni hanno fatto saltare la testa mentre gridavano viva l'Ucraina.

Da allora, il governo golpista ha promosso una legislazione che cerca di cancellare dalla memoria del paese ogni riferimento ai comunisti, alla Repubblica socialista sovietica ucraina, all'Unione Sovietica, imponendo nelle scuole, nelle università e sui mezzi di comunicazione una vergognosa manipolazione della storia del paese. A tal fine, il parlamento golpista ha approvato la legge chiamata "decomunistizzazione" che era così arbitraria da essere considerata un abuso da parte della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa e tra le questioni in sospeso su cui la Corte Costituzionale ucraina deve pronunciarsi.

Nulla può essere previsto con un regime come quello dell'Ucraina, nel cui governo ci sono ministri apertamente fascisti, il cui programma prevede l'integrazione del paese nella NATO, il rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti, le cui truppe frequentemente partecipano alle esercitazioni militari nel paese e a cui Kiev ha offerto anche l'apertura delle basi militari e navali e la prosecuzione del saccheggio che ha reso l'Ucraina uno dei paesi più poveri in Europa. Il governo di Poroshenko, così come i partiti politici emersi dal sistema Maidán, è il protagonista di uno scandaloso regime di corruzione, nepotismo e saccheggio dei beni pubblici e continua ad imporre una dura repressione contro i comunisti e la sinistra, negando l'adempimento degli accordi di Minsk per porre fine alla guerra in Donbass, mentre ancora bombarda il territorio, invia squadre della morte, come quella che ha ucciso il leader del Donbass, Aleksandr Zajarchenko e dando copertura per il dispiegamento militare degli Stati Uniti e della NATO nel Mar Nero, con le pericolose conseguenze che ciò può avere per il mantenimento della pace in quella regione e in tutta Europa.

La violazione di libertà e democrazia che impedisce a Petro Simonenko di candidarsi alle elezioni presidenziali ucraine, dovrebbe spingere il governo spagnolo, l'Unione europea e il Parlamento europeo a intervenire in difesa dei principi democratici, condannando l'azione del governo di Kiev e richiedendo la loro immediata rettifica, in modo che Simonenko sia in grado di registrare la sua la candidatura alle elezioni presidenziali. E' molto dubbio che ciò avvenga, naturalmente, perché ora Madrid e Bruxelles hanno occhi solo per guardare verso Caracas, anche se non c'è dubbio che l'Unione europea, le organizzazioni democratiche, i sindacati, dovrebbero esprimere la loro solidarietà al Partito Comunista ucraino, in difesa della libertà.
 
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UCRAINA CONTRO DONBASS. ATTACCO UCRAINO SULLA LINEA DEL FRONTE – 6 MORTI, PIÙ FERITI

DONETSK, DPR – Dichiarazione di emergenza del rappresentante ufficiale della Polizia popolare della DPR del 4-19.

” Il nemico non si arrende nei suoi tentativi di esacerbare la situazione in prima linea il giorno prima del secondo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina”.

Così, verso le sei del pomeriggio, sperando che i nostri difensori fossero meno vigili, dopo una falsa dichiarazione della parte ucraina sull’introduzione unilaterale del regime della “tregua di Pasqua”, il nemico, con due gruppi di sabotaggio e ricognizione di 10-12 persone, ha tentato di entrare segretamente nel territorio della Repubblica. Durante il loro tentativo, i nostri esploratori li hanno scoperti.

https://www.controinformazione.info/ucrain...ONz7Qvfe-FLW74Y
 
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addàrivenì baffone

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Le elezioni ucraine hanno visto la cricca smaccatamente filo-atlantista di Poroshenko perdere miseramente. Il maiale aveva fatto campagna elettorale sul rafforzamento dell'esercito, l'imposizione dell'ucraino in un paese a ancora a maggioranza russofona, e l'imposizione della religione "nazionale" con lo scisma dal patriarcato di Mosca. Il tutto mentre il popolo a maggioranza chiedeva la fine della guerra e il miglioramento delle condizioni di vita. Proprio un fenomeno nell'intercettare gli umori delle masse. Il nuovo che avanza, Zelensky, alla fine sarà, a mio avviso, solo una foglia di fico per imbonire la frustrazione popolare da un lato e il permettere una riassetto sul fronte oligarchico (praticamente Ucraina gli oligarchi sono quasi dei signori della guerra, si liquidano a vicenda senza troppi complimenti, quando va bene la fazione sconfitta va in galera o in esilio, non sarà il caso del porco che pare abbia avuto un salvacondotto da UE-USA), però probabilmente ci sarà un approccio leggermente meno isterico alla questione guerra del Donbass e della Russia. Secondo voi può anche essere frutto di una politica un po' più accomodante dei trumpiani verso la Russia? Ad ogni modo non ci saranno grossi stravolgimenti all'esterno, almeno parrebbe così.

Ucraina. Zelenskij dà cappotto a Porošenko



L’oligarca Petro Porošenko non è più Presidente dell’Ucraina golpista; al suo posto subentra lo showman Vladimir Zelenskij, pedina riconosciuta dell’oligarca concorrente Igor Kolomojskij. Rispetto ai primissimi exit poll, che davano il comico televisivo al 78,8% e Porošenko al 21,2%, il risultato che pare ormai pressoché consolidato (come sempre, il computo definitivo necessita di verifiche che andranno avanti qualche giorno) dopo lo scrutinio del 91% delle schede, vede Zelenskij attestarsi attorno al 73%. A poco sembra ormai servire il 54,73% dei voti a favore di Porošenko, da lui raccattati dopo lo scrutinio della totalità dei seggi all’estero.

Tutte le previsioni delle ultime settimane sembrano così essersi avverate: dal viatico di Emmanuel Macron al giovin candidato, al peso “relativo” di Angela Merkel nell’assicurare a Porošenko, al massimo, il rinvio della galera e addirittura – come gli viene promesso a parole dall’avversario – un posticino da qualche parte della struttura golpista ucraina. D’altronde, le esternazioni di Vladimir Zelenskij a proposito dei suoi rapporti con “i banditi del Donbass”, lasciano intendere che l’esperienza dell’ex Presidente possa essergli oltremodo utile e quest’ultimo ha dichiarato di non voler “lasciare la politica”.

Senza voler indagare tanto a fondo, dopotutto, le mosse di quei vertici internazionali che davvero contano in Ucraina (e non solo) non lasciavano particolari speranze a una figura divenuta abbastanza scomoda per la rappresentazione che dell’Ucraina postmajdan si vuol dare a livello internazionale. Per il servizio che il paese è chiamato ad assicurare nello scenario geopolitico, di contenimento della Russia, la figura del Presidente non è poi quella che più conta. Lo aveva ribadito a inizio aprile la delegata regionale della Banca Mondiale, Satu Kahkonen, rivolgendosi al rappresentante speciale USA per l’Ucraina, Kurt Volker, dando per ormai certa la vittoria di Zelenskij e scrivendo nero su bianco di voler vedere sulla poltrona di Primo Ministro l’attuale Ministro degli interni Arsen Avakov, che, alla fine, si è rivelato davvero l’ago della bilancia di tutta la campagna elettorale, con il suo peso nelle strutture di polizia e con le proprie posizioni apertamente filo-Zelenskij.

Quest’ultimo, stando alle prime dichiarazioni del suo quartier generale, avrebbe intenzione di “avviare contatti con la Russia”, per “concludere la guerra nel prossimo futuro”. Dal canto suo, Porošenko, secondo copione, ha confermato che la sua frazione, alle elezioni parlamentari d’autunno, farà di tutto per impedire la formazione di una “maggioranza filo-russa” alla Rada: “Il nuovo presidente avrà una forte opposizione, molto forte” ha detto. In ogni caso, ha dichiarato ancora Petro, “nessuno ha mai dubitato che io personalmente e tutta la mia squadra siamo pronti a dare una mano al presidente in tutte le sue decisioni che incontreranno gli interessi nazionali dell’Ucraina e ci avvicineranno all’Unione europea e alla NATO”.

Mancano ancora reazioni dirette della leadership russa, che certamente attende il risultato definitivo del voto. Nelle passate settimane, quasi a rispondere a quanti, non solo in Ucraina, tendevano a presentare Zelenski, come “agente del Cremlino”, la Russia aveva puntualizzato quanto poco consone fossero all’appianamento dei rapporti tra Mosca e Kiev, varie esternazioni del candidato, a proposito della “annessione della Crimea”, della “aggressione russa”, del “Donbass come territorio occupato”, ecc. Oggi, la portavoce del Ministero degli esteri, Marija Zakharova, ha scritto su feisbuc che, con l’elezione di Zelenskij, l’Ucraina ha la possibilità di “riavviare” il proprio corso, “non nel senso di una ridistribuzione” dei flussi di capitali “da una tasca all’altra; ma in senso reale … non sulla base della forza, ma sulla base di un’agenda nazionale”. Tutto da vedere. Di fatto, da queste elezioni presidenziali sono stati esclusi alcuni milioni di cittadini ucraini rifugiati in Russia dopo il golpe del 2014 e gli abitanti delle Repubbliche popolari del Donbass.

Proprio dalle scelte nei confronti del Donbass, Vladimir Zelenskij dimostrerà quanto di diverso il suo patron, l’oligarca Igor Kolomojskij, finanziatore dei nazisti di Prevyj Sektor, si differenzi dall’oligarca momentaneamente messo all’angolo Petro Porošenko. Tra poco più di una settimana, ricorre il tragico quinto anniversario di quel massacro di innocenti antimajdanisti perpetrato, il 2 maggio 2014 alla Casa dei sindacati di Odessa, dai nazisti che fanno capo, tra gli altri, allo speaker della Rada Andrej Parubij; una carneficina di cui le “indagini” ufficiali hanno sinora incolpato solo il “forte vento”. Vedremo se “l’uomo nuovo” Vladimir Zelenskij avrà qualcosa di diverso da dire.
 
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KIEV STRACCIA DI FATTO GLI ACCORDI DI MINSK SUL DONBASS



Ancora una volta, segnali contraddittori per la soluzione del conflitto in Donbass, ma che, in ogni caso, sfociano nella continuità dell'aggressione terroristica seguita da Kiev e dai suoi mandanti, sia che sulla poltrona presidenziale sieda il businessman Petro Porošenko o che, come dall'aprile 2019, l'amico dell'oligarca Igor Kolomojskij, l'attore Vladimir Zelenskij.
Ancora una volta, segnali contraddittori per la soluzione del conflitto in Donbass, ma che, in ogni caso, sfociano nella continuità dell’aggressione terroristica seguita da Kiev e dai suoi mandanti, sia che sulla poltrona presidenziale sieda il “biznessmen“[1] Petro Porošenko o che, come dall’aprile 2019, l’amico dell’oligarca Igor Kolomojskij, l’attore Vladimir Zelenskij.

Il 22 luglio il servizio stampa del Ministero degli esteri della Repubblica popolare di Donetsk ha annunciato una “svolta”: i delegati del gruppo di contatto ai colloqui di Minsk hanno approvato un pacchetto di misure aggiuntive per il controllo sul cessate il fuoco. Ciò è stato possibile, hanno detto a Donetsk, grazie alla “nostra ferma posizione e al sostegno di principio da parte della Russia. Speriamo che Kiev mostrerà volontà politica e osserverà rigorosamente il regime del cessate il fuoco a tempo indeterminato in vigore dal 21 luglio 2019, insieme alle misure di controllo concrete firmate oggi”.

Misure che, secondo l’agenzia EADaily, dovrebbero entrare in vigore il 27 luglio: questo almeno è quanto ha dichiarato Boris Gryzlov, plenipotenziario russo al gruppo di contatto, che ha espresso la soddisfazione di Mosca per l’accordo.

E, sempre per il 27 luglio, Petro Porošenko ha indetto una manifestazione a Kiev contro Vladimir Zelenskij, accusato di “tradimento della patria” per la prevista entrata in vigore dell’accordo. Mentre l’ex capo nazista di “Pravyj sektor” e attuale comandante dell'”Esercito volontario ucraino”, Dmitro Jaroš, ha esortato i suoi compari a non rispettare “l’ordine criminale” sul cessate il fuoco, definendo “capitolazione di fronte al Cremlino” la rinuncia a dirette azioni di guerra.

Il fatto è che, nei 12 mesi trascorsi dalla firma del cessate il fuoco, non sono mai cessati i bombardamenti ucraini sul Donbass. Secondo le ultime informazioni del 25 luglio, le forze di Kiev, facendosi scudo dei villaggi nelle regioni di Donetsk e di Lugansk sotto controllo ucraino, hanno bersagliato con tiri di mortaio e razzi anticarro i territori delle Repubbliche popolari. Nella DNR, colpite la periferia di Donetsk e il villaggio di Petrovskij. Tiri di mortaio si sono ripetuti il 26 luglio contri i villaggi della DNR di Kominternogo, Krutaja Balka, Vasil’evka e Kaštanovoe. I reparti ucraini continuano a dislocare artiglierie e mezzi corazzati nella cosiddetta “zona grigia”, la striscia lungo tutta la linea del fronte che, in base agli accordi di Minsk, dovrebbe essere smilitarizzata per una profondità di alcuni chilometri.

Nel corso dell’ultima settimana, secondo le informazioni diffuse dalle milizie della Repubblica popolare di Donetsk, le forze ucraine hanno martellato circa 50 volte la DNR, esplodendo poco meno di 200 proiettili di mortai e lanciagranate, sparando su 17 centri abitati della Repubblica. In un anno di “cessate il fuoco”, le forze di Kiev lo hanno violato circa 4.000 volte, ai danni della DNR, esplodendo qualcosa come 35.000 proiettili di vario calibro. Come risultato, 5 civili sono rimasti uccisi e una settantina feriti; 37 abitazioni sono andate distrutte e circa 800 danneggiate, insieme a 121 infrastrutture. Nell’ultima settimana, anche la Repubblica popolare di Lugansk è stata colpita sette volte: tiri di mortai da 120 mm e di artiglierie da 122 mm sono stati esplosi contro i villaggi di Logvinovo, Kalinovka, Sanžarovka. Bersagliate anche Donetskij, Frunze, Znamenka; vari edifici sono rimasti danneggiati.

Il fatto è che, nei 12 mesi trascorsi dalla firma del cessate il fuoco, non sono mai cessati i bombardamenti ucraini sul Donbass. Secondo le ultime informazioni del 25 luglio, le forze di Kiev, facendosi scudo dei villaggi nelle regioni di Donetsk e di Lugansk sotto controllo ucraino, hanno bersagliato con tiri di mortaio e razzi anticarro i territori delle Repubbliche popolari.In effetti, se sul piano militare Kiev non ha mai rispettato il cessate il fuoco, anche sul piano politico non ha mai adempiuto alcuna delle disposizioni degli “accordi di Minsk”, sottoscritti nel febbraio 2015 da Berlino, Parigi, Mosca e Kiev. Ora, anche sul piano formale, Kiev si è, di fatto, ritirata da quell’intesa. Lo ha fatto il 15 luglio, allorché la Rada ha adottato una risoluzione per l’indizione di elezioni locali al prossimo 25 ottobre, escludendone le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Tanto che, il 23 luglio, il Ministero degli esteri russo ha chiesto di chiarire la decisione al riguardo: gli accordi di Minsk prevedono infatti proprio elezioni nelle Repubbliche popolari. Il 26 luglio, in un colloquio telefonico con Vladimir Zelenskij, Vladimir Putin ha ribadito che la risoluzione del 15 luglio è in contrasto con gli accordi di Minsk e mette in pericolo le prospettive di accordo. Ma Kiev ha deciso che le elezioni nella DNR e nella LNR si terranno quando “verranno ritirati tutti i gruppi armati illegali, controllati e finanziati dalla Russia; verrà ripristinato il pieno controllo dell’Ucraina sul confine statale, tutti i gruppi armati illegali e i mercenari che operano nei territori temporaneamente occupati dell’Ucraina saranno disarmati, l’ordine costituzionale e la legge saranno ripristinati”.

Da Lugansk sottolineano che la decisione della Rada testimonia “ufficialmente e in maniera documentata che Kiev rifiuta di adempiere gli obblighi derivanti dalla risoluzione 2202 ONU e dai paragrafi 9, 11 e 12 degli accordi di Minsk, che prevedono il trasferimento della frontiera solo dopo le elezioni e solo dopo una soluzione politica globale, la creazione di una milizia popolare in alcune aree e lo svolgimento di elezioni locali secondo una legge speciale ucraina”.

A parere degli osservatori di Russkaja Vesna, dopo il passo ucraino, la Russia potrebbe ora prendere l’iniziativa. Tra gli errori della diplomazia russa, scrive l’agenzia, c’è l’ignoranza dei valori europei e occidentali, che si basano sempre sul denaro. È inutile, scrive Rusvesna, inserire nell’agenda negoziale valori “astratti”, quando dall’altra parte “siede un imbroglione i cui antenati si sono arricchiti scambiando perline di vetro con oro indiano. Si ha l’impressione che la diplomazia russa abbia timore a parlare di soldi”. Le sanzioni adottate “aggirando ONU e OMC sono illegali. La distruzione delle infrastrutture civili nel Donbass a opera di Kiev è un crimine. Occorre intentare milioni di cause per quanto sofferto dai cittadini del Donbass a causa degli arbitrii di UE e USA e dei crimini di Kiev”. Di fronte al ritiro unilaterale ucraino dagli accordi di Minsk, scrive Rusvesna, Mosca dovrebbe “convocare il Consiglio di sicurezza ONU e dichiarare il diritto della Russia, paese garante, a condurre un’operazione di pace in caso di aggravamento del conflitto”. È necessario dichiarare l’Ucraina colpevole del mancato rispetto degli accordi di Minsk, sin dalla loro adozione; istituire “un tribunale internazionale per i crimini di guerra dei militari ucraini e dei mercenari ucraini e stranieri in Donbass; occorre che UE, Canada, Australia e USA” – tra i maggiori, anche se non unici, sponsor militari di Kiev – finanzino il “reinsediamento degli abitanti del Donbass, con non meno di 100.000 euro a persona; si deve obbligare Kiev a pagare i compensi sociali ai profughi del Donbass, per circa 12 miliardi di euro. Si deve inoltre inserire nella Costituzione ucraina lo status di paese neutrale, col rifiuto di schierare truppe straniere”. Ciò è necessario, conclude Rusvesna, dal momento che gli europei e gli occidentali “sanno che ogni guerra si fa per soldi ed essa scoppia quando la pace è più costosa della guerra. La somma di 1,3 trilioni di euro da richiedere alla UE è di diverse volte inferiore alle perdite umane e materiali subite dal Donbass in questi sei anni di guerra”.

Difficilmente, almeno per il momento, Mosca farà proprie queste proposte.

Intanto a est ha fatto notizia – per la verità, più in Russia che in Ucraina – un video-messaggio con cui uno degli ex alleati di Petro Porošenko, il “biznessmen”[1] David Žvania (georgiano; cittadino ucraino dal 1999) si definisce “ex membro del gruppo criminale” che, con a capo l’ex presidente ucraino, ha alimentato e sfruttato le proteste di majdan per il rovesciamento violento del potere e l’arricchimento personale dei membri del gruppo.
David Zhvania. David Žvania (georgiano; cittadino ucraino dal 1999) si definisce "ex membro del gruppo criminale" che, con a capo l'ex presidente ucraino, ha alimentato e sfruttato le proteste di majdan per il rovesciamento violento del potere e l'arricchimento personale dei membri del gruppo.

“Sono stato anche io membro del gruppo criminale”, ha detto Žvania, “insieme a Vitalij Kličkò, Arsenij Jatsenjuk, Aleksandr Turčinov (nell’ordine: sindaco di Kiev, ex Primo ministro ed ex primo Presidente ad interim dell’Ucraina golpista) e altri”. Abbiamo finanziato majdan, alimentato gli umori di protesta sui media, contrastato le iniziative di pacificazione del governo di Nikolaj Azarov, condotto “negoziati separati con i deputati del Partito delle Regioni, negoziato con ambasciate straniere”, ha detto l’ex deputato.

Io e Pavel Klimkin (ambasciatore in Germania dal 2012 al 2014 e poi fino al 2019 Ministro degli esteri) abbiamo “organizzato il trasferimento di 5 milioni di euro, attraverso l’ambasciata ucraina a Berlino, a un funzionario europeo di alto livello, perché fosse garantito il sostegno UE a Porošenko come candidato alla presidenza”. Žvania si è detto pronto a testimoniare contro l’ex presidente, nel processo che vede quest’ultimo accusato di corruzione, anche se ha dichiarato di non credere che Zelenskij riesca a far condannare Porošenko e anzi ne prevede il ritorno in grande stile ai vertici ucraini. Anche perché, dice Žvania, la squadra di Zelenskij si sta sgretolando sotto i nostri occhi: l’attuale presidente non si è rivelato all’altezza delle aspettative di Kolomojskij, l’oligarca concorrente di Porošenko che lo aveva sostenuto alle presidenziali.

Žvania ha anche citato la somma di 3,4 miliardi di dollari dirottata dall’ex presidente verso proprie società offshore. “Siamo riusciti a intimidire Azarov, primo ministro sotto Viktor Janukovič, e lui ha rassegnato le dimissioni”, ha detto Žvania. Dopo le dimissioni di Azarov, “ci si è aperta la strada per il potere”, aggiungendo che l’ex presidente Janukovič, riparato in Russia a inizio 2014, è “un codardo che ha ceduto alle intimidazioni; eravamo sicuri che non avrebbe resistito alla pressione e sarebbe fuggito”. Secondo le sue parole, inizialmente l’obiettivo del gruppo era solo quello di “controllare i flussi di denaro e non quello di rovesciare il governo”. Ma, poi, “nel gennaio 2014, abbiamo sentito la debolezza del governo e ci siamo avviati alla completa eliminazione del presidente eletto. Volevamo ottenere tutto, realizzare un colpo di stato. E l’abbiamo fatto”.

In effetti, nulla di sensazionale; nulla che non si sappia ormai da almeno sei anni: le ruberie dei golpisti, ansiosi di intascare anch’essi una parte dei soldi che entravano nel clan Janukovič; le lotte a coltello tra raggruppamenti criminali-oligarchici, ognuno forte della propria banda nazista. Žvania non ha detto nulla di clamoroso e, in fondo, ha condiviso fino in fondo la politica di Porošenko e non è detto che le sue attuali esternazioni non nascondano dispute nient’affatto “ideali”, come quando, una quindicina di anni fa, aveva rotto col suo precedente patron, il defunto oligarca russo Boris Berezovskij, per questioni di “vil valsente”. Žvania non ha detto nulla sulla ex premier Julija Timošenko – di cui era stato Ministro per le situazioni d’emergenza nel 2005 – che nel 2014 voleva bombardare il Donbass con le atomiche; nulla sull’oligarca Igor Kolomojskij, che finanziava le bande neonaziste che hanno terrorizzato e martirizzato i civili nel Donbass; nulla dei nazisti ucraini che, quando il Caucaso russo era sconvolto dai raid terroristici islamisti, esortavano a unire le forze contro Mosca, così come oggi arruolano “volontari” per dar man forte agli azeri contro gli armeni; poco o nulla del sostegno UE ai golpisti; soprattutto: nulla dei maggiori burattinai di majdan e dei loro obiettivi geo-strategici nell’area a ridosso della Russia. Nulla, su una guerra terroristica d’aggressione che Kiev non ha alcuna intenzione di cessare. In fondo, Žvania ha ridotto tutta la questione a una fame di soldi criminali; che c’è stata, sicuramente, e c’è tuttora; come c’è stata e c’è tuttora anche da parte di quei burattinai d’oltreoceano – basti ricordare solo gli affari della famiglia Biden: padre Joe, ex vice presidente USA sotto Obama e attuale candidato alla presidenza; e il figlio Hunter, legato alla società di estrazione del gas “Burisma” in Ucraina – che, mentre dirigono la guerra per procura, si preoccupano di imporre a Kiev la privatizzazione delle terre, a vantaggio delle multinazionali alimentari ed energetiche americane ed europee.

Tutte cose che si sanno; e che sanno anche tutti quegli esponenti liberal-fascisti del PD che, per anni, a partire da quando incitavano nazionalisti e nazisti dai palchi di majdan Nezaležnosti, hanno urlato alla “svolta democratica” intrapresa a Kiev nel 2014 e che continuano a sostenere il corso golpista dell’Ucraina post-majdan. Ma, quantomeno, un “pentito di mafia” ha ricordato loro il vile prezzo del sostegno “ideale”, niente affatto interessato, per carità, a quella “svolta”: “5 milioni di euro, attraverso l’ambasciata ucraina in Germania, a un funzionario europeo di alto livello”. Chissà se gli euro-deputati del PD ne avessero sentito l’odore.
 
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view post Posted on 25/10/2020, 09:17
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addàrivenì baffone

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È morto il comandante compagno Markov, della brigata fantasma che ha combattuto contro i fascisti per la libertà della sua terra e del suo popolo.

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"Possono odiarci. Ma noi non possiamo, sono nostri fratelli". Muore in Donbass Alekseij Markov, comandante del battaglione Prizrak
25-10-2020 09:00



Possono odiarci. Ma noi non possiamo, sono nostri fratelli. Muore in Donbass Alekseij Markov, comandante del battaglione Prizrak

di Sara Reginella


Alekseij Markov, comandante del Battaglione Prizrak, è morto il 24 ottobre nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, nella regione del Donbass. Le prime informazioni disponibili riportano come causa del decesso un incidente d’auto avvenuto nella stessa regione di Lugansk, anche se va precisato che al momento non vi sono dettagli definiti sull’accaduto.

Alcuni anni fa, ho avuto l’onore di conoscere il comandante Markov, detto Dobrij (dal russo “buono”), durante uno dei miei viaggi in Donbass. Fu lui a condurmi personalmente al fronte di Lugansk, dove si combatte tutt’ora una guerra fratricida scoppiata nel 2014.

Fu lui l’erede politico del comandante Alexei Mozgovoy, padre della stessa Prizrak, ucciso in un attentato terroristico nel maggio 2015.

In memoria di Alekseij Markov, uomo coraggioso e idealista, riporto l’intervista da lui rilasciatami durante l’esperienza al fronte, inedita nella sua versione integrale.
Alcuni estratti sono contenuti nel documentario “Start Up a War. Psicologia di un conflitto”, che girai in quegli anni. All’epoca, Alekseij Markov ricopriva il ruolo di vice comandante del battaglione.


Di seguito l’incipit e l’intervista integrale con il suo punto di vista su una guerra troppo spesso dimenticata, quella del Donbass.






Sono Markov Alekseij Genadievich sono una persona normalissima, non ho mai avuto a che fare con le armi in vita mia, ma in questo momento sono il vice comandante del battaglione Prizrak, mi trovo qui (in Donbass, n.d.a.) dal novembre 2014.



Può parlarmi del battaglione Prizrak e della sua storia?

La brigata Prizrak, poi divenuta battaglione, è nata grazie alla volontà e alla leadership del nostro comandante Alekseij Borisovich Mozgovoy. La suddivisione si è rivelata come una delle più efficienti nel combattimento sul territorio della Repubblica Popolare di Lugansk.
La Prizrak non è diventata subito una suddivisione leggendaria, all’inizio era costituita da un piccolo gruppo di persone raccolte intorno ad Alekseij Mozgovoy, riunite con l’unico scopo di difendere Lugansk e la regione di Lugansk dalle truppe punitive della Giunta ucraina, che ha realizzato il colpo di stato a Kiev. Il nome Prizrak nacque quando i mass media ucraini dichiararono che la suddivisione di Mozgovoy era stata del tutto sterminata con i bombardamenti aerei. Quando invece membri della Prizrak tornarono, la gente iniziò a guardarli come se fossero fantasmi e da lì è nata l’idea di denominare la suddivisione come “Prizrak” (in russo: “fantasma”, n.d.a.).
Presto è diventata una delle più famose suddivisioni di volontari che dichiarava apertamente come lo scopo dei combattimenti fosse quello di creare, nella nostra Repubblica, un potere popolare e di combattere per i diritti dei lavoratori. Proprio per questo nella Prizrak si reclutavano persone con orientamento a sinistra, anche se c’erano pure tanti altri soggetti, monarchici, di diversa religione, cosacchi. Si combatte una guerra contro gli oligarchi e per il potere del popolo e questo aspetto ha riunito tra loro persone completamente diverse, con ideologie e visioni del Mondo qualche volta opposte.



Quindi qui ci sono persone da diverse parti del Mondo unite contro l’oligarchia. È corretto dire che qui si combatte anche una guerra contro il nazismo?

Assolutamente, è chiaro che noi abbiamo sottolineato più volte il fatto che non stiamo combattendo contro l’Ucraina, contro gli Ucraini, ma siamo qui per aiutare l’Ucraina e gli Ucraini a liberare il proprio paese dalla presa al potere da parte della Giunta pro-nazista. Gli Ucraini sono e saranno sempre il nostro popolo fraterno. Inoltre, nonostante la maggior parte delle persone che vive in Donbass si consideri russsa, noi non abbiamo intenzione di annetterci alla Russia. Siamo qui per difendere i civili dalle truppe della Giunta ucraina e aiutare gli stessi Ucraini a liberarsene. Questo è il nostro unico scopo.


Invece, cosa è accaduto ai comunisti ucraini in questi anni?

Bisogna dire la verità ed essere onesti, negli ultimi anni, il Partito Comunista ucraino era tale solo a parole. In realtà era uno dei partiti della pseudo democratica Repubblica Parlamentare che non perseguiva come scopo un cambiamento della situazione nel paese. Molti veri comunisti non consideravano il Partito Comunista ucraino come tale e lo chiamavano “la palude”, a indicare che da lì non poteva nascere niente che avesse un valore.
Dopo l’inizio di questi avvenimenti, in Donbass, il partito ha preso una posizione molto vigliacca e non ha sostenuto la lotta del popolo contro gli oligarchi e contro il nazismo. Ha cercato piuttosto di mantenere il “proprio posto” dentro al Parlamento ucraino, ha cercato di mantenere le proprie posizioni a Kiev.
Alla fine però, qualsiasi stato nazista prima o poi arriva a ritenere che, poiché il comunismo è una forma do giustizia sociale troppo popolare, occorre vietarlo a livello legislativo. Non c’è dunque da meravigliarsi di quello che è successo in Ucraina: qualsiasi stato fascista, come prima cosa inizia a vietare alle persone di pensarla diversamente. Così in Ucraina hanno vietato anche le idee comuniste e alla fine, il partito comunista ucraino ha perso la propria posizione e non ha acquistato nessuna autorevolezza qui in Donbass. Mi dispiace dirlo, ma è la verità.


Che cosa significa per lei comunismo?

Per me il comunismo è una teoria scientifica, sociale, economica e politica che descrive uno sviluppo della società civile possibile e desiderabile. Per me il comunismo non è un credo come una religione e non è una cieca speranza nel fatto che qualcuno arrivi e faccia del bene. Sono i passi concreti che aiutano a cambiare l’attuale società civile e ad innalzarla ad un livello più alto del proprio sviluppo, per creare una società in cui qualsiasi persona possa sviluppare il proprio potenziale. Noi abbiamo fatto un buon tentativo durante l’Unione Sovietica, che purtroppo si è rivelato impraticabile. Però questo non significa che la storia si concluda con quell’esperienza. La storia non finisce mai. Perciò è possibile che tra tre, cinque, dieci anni, noi assisteremo ad un tentativo che andrà buon fine.


Il comandante Mozgovoy, in riferimento agli scontri con il popolo ucraino, disse: “Stiamo combattendo una guerra contro la nostra immagine allo specchio”. Cosa pensa di questa affermazione?

Sì, sono d’accordo, non è un segreto che il colpo di stato di Maidan nel 2014 sia stato ispirato e finanziato dai Governi occidentali e più concretamente dagli Stati Uniti. Senza un così grande supporto finanziario, non ci sarebbe stata nessuna Maidan. Proprio il supporto finanziario e politico all’opposizione ha portato, all’epoca, al colpo di stato di Kiev e al potere delle forze pro-naziste.
La Russia non poteva intervenire in una situazione in cui uno stato così grande (come l’Ucraina), che per tanto tempo è stato unito con la Russia stessa, si trasformava in un “rifugio protetto” per il nazismo, dove i Russi sono considerati persone di serie b. Nonostante questa considerazione verso i Russi, ascoltando i discorsi via radio, durante i combattimenti sentivamo che i nostri avversari ucraini erano soliti passare dalla lingua ucraina alla lingua russa, cui sono più abituati. Questo significa che dall’altra parte combattono persone russe come noi. A queste persone è stata però introdotta in testa l’idea che esista una nazione ucraina di quaranta mila anni, cui è seguita una discendenza… come se la Russia dormisse e non vedesse l’ora di far del male a quella nazione. Pensano che non appena sconfiggeranno i Russi, non appena vieteranno la lingua russa e cacceranno tutti i Russi in Russia, otterranno un alto stile di vita con gli stipendi e le pensioni che ci sono in Europa.
Mi dispiace vedere come queste persone siano state prese in giro e come i burattinai occidentali sfruttino il loro sangue e le loro morti per perseguire i propri interessi, mentre in realtà noi ci rendiamo conto che dall’altra parte ci sono persone come noi. Loro possono odiarci, possono pensare che siamo l’unico male al mondo, ma noi non possiamo odiarli, sono nostri fratelli. È per questo noi chiamiamo questa guerra “fratricida” e la vogliamo terminare al più presto possibile. E l’unica possibilità di terminare questa guerra è cacciare via la Giunta pro-nazista da Kiev.


Crede che in futuro sarà possibile un dialogo con l’Ucraina, con l’Europa e con gli Stati Uniti?

Io vedo da quanto tempo la Turchia cerca di entrare nell’Unione Europea e per quanto ne so io, nessuno dei paesi firmatari è entrato. Perciò credo che gli stati europei e gli Stati Uniti possono considerare l’Ucraina come una comoda piattaforma militare, una sua marionetta, ma non la considereranno mai un paese europeo. Per loro, l’Ucraina è solo una risorsa economica. Dubito che gli Stati Europei desiderino accogliere quaranta milioni di persone e un paese con una pesante situazione economica. Credo che l’Europa abbia già problemi con la Grecia e il Portogallo.


Qual è il suo desiderio per le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk?

Io vorrei che le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk si unissero in un’unica Repubblica e che col tempo fossero incluse anche la regione di Odessa e quella Kharkov. Potremmo anche chiamarle “Novorussia”, un nuovo distretto federale della Russia. Non importa, quel che conta è che al più presto termini questa guerra e che le persone tornino ad una normale vita di pace, così che i figli crescano in uno stato adeguato, senza prese in giro e senza che le teste delle persone siano riempite di sciocchezze, come quella “secondo cui l’Ucraina sarebbe la più antica nazione del Mondo, di quarantamila anni, o quella per cui il Mar Nero sarebbe stato scavato dagli Ucraini”.
Io vorrei che la gente vivesse nella normalità. Questo è il mio unico desiderio. E come sarà il tipo di stato, non ha importanza. Se le persone potranno mantenere la propria cultura, la propria consapevolezza, il nome che sarà dato al loro paese sarà secondario.
 
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