Comunismo - Scintilla Rossa

Crisi, lavoratori allo sbaraglio

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view post Posted on 20/3/2020, 13:23
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vietcong

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Coronavirus: "I musei comunali sono chiusi ma addetti alla biglietteria vanno lo stesso al lavoro"
La denuncia arriva dal sindacato Usb: "Diritto alla salute prioritario, sospendete le attività"
Redazione www.romatoday.it
19 marzo 2020 19:22
 
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view post Posted on 20/3/2020, 17:25
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Coronavirus, l’Asp assume infermieri ma “a partita Iva e a 12 euro l’ora”, protestano i sindacati
Il bando per l’assunzione degli infermieri è una offesa per questi professionisti”. A sostenerlo è sono le siglle sindacali Nursind e Fgu Gilda Unams che denunciano compensi compensi troppo bassi e mancanza di tutele per i sanitari che saranno assunti a partita Iva. Secondo Aurelio Guerriero e Giuseppe D’Anna, rispettivamente segretario territoriale del Nursind e coordinatore provinciale Fgu Gilda Unams dipartimento Università, “pagare un infermiere 12 euro l’ora, al lordo delle tasse, è un’offesa alla professione”.

I sindacati criticano l’ultimo dell’Asp Palermo che ha deciso di reclutare infermieri e Oss per fronteggiare l’emergenza Covid 19. “Siamo rimasti molto stupiti – dicono – quando abbiamo letto nel bando alla voce compenso l’importo di 12 euro per l’infermiere e 10,50 circa per gli Oss, tutto con partita Iva. Non si può pagare un professionista infermiere 12 euro da cui togliere le tasse, per altri senza che abbia alcuna tutela. Senza offesa per nessuno, un operaio non specializzato guadagna di più e certamente, specialmente in questo momento, rischia meno di infermieri e Oss”.
Un allarme che era stato lanciato anche dal Nursind Sicilia per voce del coordinatore regionale Claudio Trovato. I due segretari hanno chiesto l’intervento dell’Opi di Palermo, l’ordine delle professioni infermieristiche di Palermo, e della Fnopi, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, a salvaguardia della dignità della professione. “Eroi sì, ma siamo professionisti ormai laureati e non permetteremo a nessuno di calpestare la nostra dignità. Chiediamo quindi di modificare il bando e adeguare i compenso agli standard previsti dalla normativa della professione”.

E' solo uno dei tanti esempi sparsi per le regioni d'Italia.
 
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view post Posted on 23/3/2020, 17:37
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facciamo_turni

Dallo scorso 10 marzo le misure per evitare il propagarsi del covid_19 sono diventate ancora più strette e ferree, sono state chiuse scuole di ogni grado, musei, ristoranti, pub, è stato incentivato lo smart working e sono stati chiusi tutti i servizi ritenuti non essenziali. Però come abbiamo già osservato con precedenti articoli il concetto di “servizio essenziale” sembra mutare significato quando si va a scontrare con gli interessi di grandi aziende, e così vediamo che call center dove non vengono rispettate le misure di sicurezza sono rimasti aperti e nelle strade ogni via vai sembra cessato, tranne quello dei riders e dei lavoratori della logistica. Proprio su quest’ultimo settore vogliamo concentrarci in questo articolo.

Il decreto del Consiglio dei Ministri lasciava aperta la possibilità della vendita on-line e quindi della consegna a domicilio senza far discrimine su quali articoli fossero essenziali o meno. In questo scenario vediamo che uno dei leader mondiali nella vendita online come Amazon non ha ritenuto necessario diminuire la produzione o come minimo adottare quelle misure che avrebbero garantito, durante questa emergenza sanitaria, la sicurezza dei propri lavoratori dato che assumere tali misure avrebbe comportato una contrazione dei profitti. Così abbiamo assistito a scene sempre più disarmanti, lavoratori nei magazzini senza alcun livello di sicurezza hanno continuato a lavorare a ritmi sempre più incessanti, corrieri che entrano in contatto con migliaia di persone e a cui non vengono fornite le giuste protezioni, e tutto ciò semplicemente nel nome del profitto.

In questa condizione si trovano i corrieri Amazon, che per lo più lavorano per aziende che gestiscono appalti riguardanti la consegna dei prodotti. Riportiamo qui la testimonianza di un giovane lavoratore, che chiameremo Simone, impiegato presso una s.r.l. di circa 200/300 dipendenti che gestisce una parte dell’appalto delle consegne per Amazon su Roma.

Marco, come la maggior parte dei lavoratori impiegati in questo settore, che vede occupati anche genitori con famiglia, va avanti con contratti a tre o sei mesi senza alcuna sicurezza che a fine periodo questi vengano rinnovati.

“All’indomani del dcdm del 10 marzo l’azienda ha continuato la sua attività come se nulla fosse e senza adottare alcuna misura di sicurezza, così martedì 11 quattordici corrieri si sono rifiutati di partire con le consegne, a meno che non fossero stati forniti guanti e mascherine. Come risposta l’azienda ha lasciato a casa per più di una settimana questi lavoratori. Ha deciso di attuare un’opera di mobbing invece di prendere sanzioni ufficiali dato che ciò avrebbe rischiato di far intervenire il sindacato”. Gli chiediamo se Amazon abbia preso delle posizioni ufficiali su misure da adottare: “ Amazon non ha fatto arrivare nessuna comunicazione riguardo misure di sicurezza da attivare, soprattutto a noi che non siamo suoi diretti dipendenti ma dipendiamo da un’azienda che gestisce un appalto, quello che ci viene detto è semplicemente di cercare di evitare i contatti diretti con i clienti, quindi lasciando i pacchi negli ascensori o fuori dalle porte di casa” e prosegue “ è più una misura di tutela verso il cliente, che verso i lavoratori, più per far vedere che l’azienda tiene alla salute dei clienti”.

Alla domanda se l’azienda abbia adottato qualche misura ci dice che “ad oggi ogni corriere ha a disposizione una mascherina da chirurgo, che però sappiamo bene essere fondamentalmente inutile, e un paio di guanti di lattice, che si rompono dopo poco e con turni da dieci ore non forniscono alcuna protezione. I camion vengono utilizzati da più corrieri nell’arco della giornata ma non vengono igienizzati, siamo noi che dobbiamo pensare a farlo con prodotti personali. Da pochi giorni per entrare in magazzino e prendere i prodotti dobbiamo stare in fila, entrare non più di venti alla volta e rispettare il metro di distanza (misure adottate anche in seguito allo stato di agitazione nei magazzini, ndr)”.

“Chi appartiene a fasce più sensibili, come padri e madri con figli piccoli o con anziani a carico, se insiste e porta delle motivazioni “ convincenti” è esonerato dal lavorare come corriere, non so bene in che forma avvenga tutto ciò dato che neanche su questo sono uscite direttive ben precise dall’azienda”. Così continua la nostra fonte, che si lascia poi andare a una considerazione personale: “È assurdo che noi stiamo tutto il giorno in giro, durante quella che è a tutti gli effetti una pandemia e un’emergenza non solo a livello nazionale, per consegnare beni di dubbia necessità e non veniamo neanche tutelati, non ci si preoccupa di quella che è la nostra salute, non ci si ferma un giorno per riorganizzare i luoghi e il modo in cui lavoriamo, non si rallentano i ritmi di lavoro, non si interrompe la distribuzione di alcuni beni evidentemente non essenziali e tutto questo in nome di un guadagno che non può e non deve diminuire. Dall’azienda ci arrivano messaggi motivazionali, in cui ci ricordano quanto è essenziale quello che facciamo e che la popolazione ci è riconoscente per il servizio che forniamo, che siamo necessari durante questa emergenza”.

Quello che sembra chiaro è che coloro che più saranno grati a chi continua ad essere sfruttato e a lavorare senza le misure di sicurezze necessarie sono soltanto gli imprenditori delle grandi aziende di e-commerce e consegna domicilio, che oggi persino da una situazione di emergenza nazionale hanno potuto ricavare profitti sempre più alti a spese dei lavoratori.
 
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view post Posted on 23/3/2020, 19:23
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Radio Popolare


Il nuovo decreto doveva chiudere le fabbriche e invece le ha riaperte




Doveva essere il decreto che chiudeva le fabbriche, è stato il decreto che le ha riaperte.

L’annuncio di un provvedimento per ridurre il numero di persone in circolazione legate a lavori non necessari, per ridurre la potenziale diffusione del coronavirus, seppur tardivo, era arrivato sabato sera.

Il Presidente del Consiglio Conte era intervenuto dopo giorni di silenzio su questo tema, un silenzio rotto prima dagli scioperi, poi da sindaci e medici di Bergamo e Brescia, che chiedevano a gran voce un decreto per lo stop alle fabbriche per fermare la circolazione di centinaia di migliaia di persone. Si è ripetuto invece lo scenario già visto attorno all’istituzione della zona rossa di Bergamo, invocata da più parti, ma mai nata proprio per le pressioni degli industriali su Regione e governo.

L’annuncio di sabato di Conte ha generato confusione e incertezza, mentre la firma vera e propria è arrivata a sole 12 ore dalla riapertura delle aziende.

Nella versione definitiva vengono recepite praticamente tutte le richieste degli industriali: 80 categorie di imprese considerate essenziali identificate da un codice, apertura degli studi professionali, autocertificazione delle imprese, tre giorni di tempo per adeguarsi.

Il codice in questione si chiama “Ateco”, è quello attraverso cui gli istituti di statistica classificano le attività produttive.

“Lunedì apriamo, poi vedremo”
La giornata di domenica è stata all’insegna delle pressioni di Confindustria sul governo, e dei dubbi di lavoratori ed aziende.

Mentre il presidente degli industriali Boccia chiedeva modifiche a Conte in una lettera pubblica, le associazioni di categoria scrivevano ai loro affiliati invitandoli a tenere aperto, contando proprio sulle ampie concessioni del governo. “Lunedì apriamo, poi vedremo” è il tenore di messaggi e telefonate che i capi del personale hanno mandato ai dipendenti fino a tarda sera. In alcuni casi, l’annuncio delle aperture delle fabbriche e attività è arrivato proprio dopo la firma del decreto.

Insomma anziché chiudere, il decreto ha riaperto molte aziende e fabbriche.

La partita vera si è giocata soprattutto sul settore metalmeccanico, che resterà in buona parte attivo nonostante, secondo il sindacato, ci fossero le condizioni per sospendere gran parte delle produzioni. Il paragrafo chiave che spalanca le maglie del decreto è quello in cui si indica che potranno proseguire le produzioni funzionali al mantenimento delle filiere necessarie, previa autocertificazione: di fatto un liberi tutti, secondo i sindacati, cui si uniscono i dubbi di quali imprese saranno considerate “strategiche”, e del fatto che molte aziende hanno più di un codice Ateco, allargando ulteriormente le maglie di ciò che potrà restare operativo.

Il problema dei controlli
Resta il problema dei controlli, già di fatto inesistenti sull’applicazione del protocollo tra governo-industriali-sindacato, con poche decine di aziende in cui è stata verificata l’applicazione delle norme di tutela contro il coronavirus.

In questo caso si partirà dall’autocertificazione delle imprese che dovranno comunicare la loro apertura al Prefetto, che solo dopo se lo riterrà opportuno potrà stabilire dei controlli. Di fatto le verifiche restano nell’ambito del rapporto tra azienda e sindacati.

Se molte grosse imprese, dove la presenza del sindacato è radicata, hanno già chiuso i battenti proprio in virtù degli accordi con le RSU, il problema sarà nel tessuto della piccola media impresa dove spesso il sindacato è mal visto e inesistente.

Cosa fa il sindacato?
Mentre domenica diventava sempre più chiaro che nel decreto sarebbero state recepite le modifiche chieste da Confindustria, da Cgil Cisl e Uil si chiedeva di evitare modifiche e per la prima volta veniva evocato uno sciopero generale, che ovviamente non coinvolgesse le filiere essenziali.

Questa mattina però, nel tweet della Cgil la parola “generale” non compariva più.

I sindacati metalmeccanici – come dicevamo è in questo settore che si gioca la partita – hanno già indetto scioperi a livello territoriale iniziati questa mattina in diverse fabbriche in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia. Dai delegati e dai lavoratori sale la richiesta di uno sciopero generale, confermato invece per mercoledì 25 marzo dal sindacato di Base USB.

Cosa cambierà nei prossimi giorni?
Tirando le somme, oggi e forse fino a mercoledì cambierà ben poco. E anche da giovedì la riduzione sarà probabilmente minima e contraddittoria rispetto a quel “restate a casa” che si continua ad invocare.

Alla rigidità sui comportamenti individuali, ancora non è corrisposta altrettanta fermezza verso le imprese, perdendo ancora giorni preziosi in cui centinaia di migliaia di lavoratori costretti a lavorare per produzioni non essenziali continueranno a circolare su auto, bus, treni, e lavorare senza protezioni adeguate, come molti di loro hanno denunciato a Radio Popolare. Nel timore di mettere a rischio sé stessi, i loro colleghi, i loro cari.

Paure e rabbia ben sintetizzate da uno dei tanti messaggi arrivati in queste ore a Radio Popolare:

Lavoro a Treviglio, nel cuore del focolaio. Domenica mi chiama il mio caporeparto dicendo che da domani è chiuso…. ed entrambi lo davamo per scontato con tutto quello che c’è in piedi. Mi richiama alle 20.30, hanno cambiato idea. Mi dice che domani si lavora. Non siamo una ditta strategica. Quello che mi indispone è con tutto quello che succede in questa area dove si muore come mosche si manda allo sbaraglio come fanti sul Carso la gente… per cosa poi? Carne da macello ecco cosa siamo. Altro che fare giustamente il culo ai vecchietti che non stanno a casa, ai runner o ai finti passeggiatori di cani! Io debbo presentarmi… se non daranno mezzi adeguati di protezione (ma chi li quantifica e qualifica?) me ne verrò via, per fortuna posso permettermelo, coperto dall’articolo 18. Ma molti colleghi sono assunti post Jobs Act o agenzie. Questo giusto per raccontarvi cosa è il lavoro nella civile Lombardia della bassa Bergamasca ai tempi del coronavirus.
 
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view post Posted on 29/3/2020, 16:34
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view post Posted on 30/3/2020, 10:03
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vietcong

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Coronavirus, sciopero nel deposito Amazon di Calenzano. Proteste in Piemonte, Lazio e Lombardia
I lavoratori chiedono il rispetto delle misure di sicurezza definite nel protocollo siglato a livello nazionale e quindi il comitato di monitoraggio tra sindacati e azienda previsto dallo stesso protocollo
 
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view post Posted on 1/4/2020, 18:56
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LA DISDETTA DI 20 LAVORATORI A CANCELLI CHIUSI NEL MEZZO DELLA PANDEMIA


La Riscossa

Nel bel mezzo della grave emergenza sanitaria e in un momento d’impossibilità d’azione a causa dell’isolamento che questa ci riserva: è proprio di questi giorni la notizia del licenziamento che ha investito 20 lavoratori a Staff Leasing dello stabilimento fiorentino della GKN, dove si producono semiasse per FCA e altre case automobilistiche.
Scavalcando gli accordi siglati in Regione Toscana risalenti a poco prima lo scoppio della pandemia che prevedono il mantenimento del livello occupazionale, nonché le disposizioni del governo circa la sospensione dei licenziamenti al tempo dello stato emergenziale, GKN decide che per questi lavoratori basta una semplice mail per condurli dalla condizione di “essenziali” a disoccupati.
Per comprendere meglio quanto sta accadendo e quali saranno le prospettive di lotta in difesa dei posti di lavoro una volta rientrati in fabbrica, abbiamo intervistato un operaio dello stabilimento, Matteo Moretti RSU GKN.
Cosa è lo Staff Leasing e come può l’azienda avere la facoltà di licenziare 20 lavoratori durante l’emergenza sanitaria, sebbene il governo abbia “sospeso” i licenziamenti?
Innanzitutto mi preme dire che i 20 lavoratori a Staff Leasing sono in GKN dal 2015 e non sono stati sempre sotto questa forma contrattuale. Inizialmente erano dei lavoratori dell’agenzia interinale, inseriti in azienda e formati. Erano assunti principalmente per coprire il lavoro estivo ed entravano a far parte di un bacino d’utenza che l’azienda doveva richiamare quando doveva avvalersi di lavoratori cosidetti flessibili.
Questo gruppo di lavoratori, che aveva già raggiunto un’anzianità importante, si è poi ritrovato a doversi scontrare con il Decreto Dignità che sancisce il limite a 12 mesi del lavoro in somministrazione. Così l’azienda ha raggirato la nuova legislazione facendo assumere i lavoratori a tempo indeterminato dall’agenzia.
Questo è lo Staff Leasing: lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’agenzia interinale che vengono “affittati” alle aziende. Una delle forme di precariato più subdole. Come RSU ci siamo sempre opposti fermamente a questa soluzione con iniziative, assemblee e giornate di sciopero. Tra l’altro, questi operai lavorano in punti nevralgici dello stabilimento perché sono stati formati nelle celle di assemblaggio più moderne. Di fatto, in GKN, così come in tante altre fabbriche, avviene il processo di Industria 4.0. Ma se per l’azienda questo comporta il vantaggio di importanti sgravi fiscali, dal canto nostro questo processo mette a rischio la tenuta occupazionale dello stabilimento poiché si va verso un’ automazione spinta.
Questi 20 lavoratori sono stati “scaricati” da GKN a mezzo mail grazie ad un semplice preavviso di recessione di due mesi previsto dal contratto commerciale stipulato tra le due parti, ma tuttavia, continueranno a risultare assunti dall’agenzia. Questo è quanto sta accadendo, per ora. L’azienda ha preso questa decisione a fabbrica chiusa per emergenza sanitaria e ciò che al momento possiamo fare in questa condizione è portare la questione all’attenzione pubblica e istituzionale.
L’azienda minacciava da tempo questi esuberi ma di recente eravate giunti ad un accordo che vedeva anche la firma della Regione Toscana. Adesso l’azienda si sottrae unilateralmente a questo impegno approfittando della condizione d’isolamento imposta dall’emergenza sanitaria. Le istituzioni come rispondono? Quale intervento vi aspettate da esse?
GKN si trova in una fase di ristrutturazione che risale a prima di questa emergenza sanitaria. Circa 2 anni fa l’azienda è stata acquisita da una società di investimento, la Melrose, che sta operando tagli in tutte le GKN nel mondo. Inoltre, nell’ultimo anno e mezzo abbiamo visto cambiare per ben 6 volte il direttore di stabilimento, quindi è una situazione pregressa di grande confusione, sia sotto il punto di vista finanziario dei vertici che a livello produttivo.
Il tentativo di rilasciare questi lavoratori era già in atto da un po’ di tempo però, essendo in fabbrica e potendo confrontarci con le varie direzioni aziendali che ci siamo trovati di fronte, lo abbiamo sempre respinto. La situazione si è riproposta più volte fino ad arrivare, lo scorso febbraio, ai tavoli istituzionali della Regione dove è stato siglato un accordo in cui l’azienda s’impegnava a mantenere i livelli occupazionali e sanciva un percorso di stabilizzazione dei lavoratori a Staff Leasing attraverso un bacino di assunzione – e non di richiamo come risultava nell’accordo preesistente – per ordine di anzianità di servizio.
Oltre a non rispettare gli accordi, la decisione dell’azienda è totalmente scellerata perché i 20 lavoratori non sono licenziati a tutti gli effetti poiché assunti a tempo indeterminato dall’agenzia la quale, teoricamente, dovrebbe ricollocarli in un altro posto di lavoro ma di fatto, in questo momento di piena emergenza ciò è inverosimile.
Per quanto riguarda le istituzioni, abbiamo visto in questi giorni già attivarsi sia il comune di Campi Bisenzio che l’organizzazione sindacale che insieme a noi segue la vicenda (Fiom CGIL). Speriamo che ci sia un intervento anche della Regione Toscana e l’auspicio è quello anche di arrivare ad una legislazione che intervenga anche su situazioni del genere, perché non esiste solo il licenziamento vero e proprio, ma ci sono anche i licenziamenti mascherati che ricadono sui soggetti più deboli come possono essere i nostri Staff Leasing ma anche le false partite IVA.
Ad oggi (29 marzo) si registra ancora un aumento di contagi da Coronavirus in Toscana: qualora il 6 aprile si confermi per voi la riapertura dei cancelli della fabbrica, questi 20 lavoratori saranno nuovamente catapultati dall’isolamento domestico alle loro postazioni produttive, ancora a rischio contagio, ma con un destino già segnato per quanto riguarda la posizione dell’azienda. Questo è inaccettabile.
La nostra situazione produttiva, ad oggi, vede la fabbrica totalmente ferma dal 16 marzo. È stato contrattato dalla RSU con l’azienda sulla base del protocollo del 14 marzo scaturito dall’incontro tra governo, organizzazioni sindacali e Confindustria. A nostro avviso, un accordo completamente inadatto alla situazione, che si limita a scaricare sulle spalle delle RSU e RLS, tra l’altro non sempre presenti nelle aziende, la responsabilità di valutare le sanificazioni e la messa in sicurezza degli stabilimenti, anziché ordinare il blocco delle produzioni non essenziali che sarebbe dovuto essere immediatamente disposto.
Ad oggi, l’azienda – vuota – è stata sottoposta alla pulizia e sanificazione di tutti i reparti, ovviamente nel momento in cui i lavoratori torneranno dentro, la sanificazione viene meno. Quindi, al rientro, bisognerà riprendere immediatamente i tavoli con l’azienda sotto l’aspetto della sicurezza. Da quanto si sente dire dal governo, probabilmente le riaperture saranno procrastinate in relazione all’andamento attuale dell’epidemia. Ma la nostra situazione non è legata solo al Coronavirus, bensì anche ad una produzione che già prima della pandemia era in calo poiché il settore auto attraversa da tempo una crisi, in particolare segnata da un cambio epocale della motorizzazione, quale il passaggio dal diesel e benzina all’elettrico e all’ibrido. Quando ripartiremo, pensiamo che sarà fatto in forma ridotta. E sì, questi lavoratori si troveranno a tornare a lavoro – ricordiamo che non sono operai che stanno ai margini dell’attività produttiva ma al centro di essa – sapendo che il 26 maggio potrebbero non essere più con GKN. Una situazione che a livello psicologico pesa. Si tratta di persone che hanno famiglia, che vengono da una situazione di precariato che va avanti da anni. Abbiamo lavoratori che arrivano dal disastro dell’Elecrolux di Scandicci, lavoratori che hanno sulle spalle anni di sconfitte e ripercussioni sulle loro tasche e sulle loro famiglie. Quello che noi faremo sarà sicuramente andare ad un incontro con l’azienda non appena rimetteremo piede in fabbrica e naturalmente valuteremo con i lavoratori, le organizzazioni sindacali e le istituzioni qualsiasi tipo di iniziativa.
I licenziamenti saranno effettivi dal 26 maggio, quando probabilmente l’emergenza sarà rientrata e la produzione ripresa. Considerato quanto detto fin qui, c’è la preoccupazione che questo attacco alla parte più vulnerabile dell’azienda possa rivelarsi successivamente come la punta di un iceberg? Quale direzione pensate debba assumere la lotta dei lavoratori GKN?

Come indicato prima, la nostra condizione di difficoltà a livello aziendale arriva da lontano. Uno o due direttori fa, eravamo giunti ad una discussione che vedeva l’azienda dichiarare un esubero legato a 50 lavoratori, dovuto all’avanzamento del processo di automazione legato a Industria 4.0 che vede, nel reparto di assemblaggio delle celle di montaggio, nel nostro caso dei semiasse, una riduzione da 4 operai per turno di lavoro a 2 o addirittura un solo lavoratore per cella. È evidente che questo processo si sta abbattendo, in GKN come in altre aziende, sull’occupazione. Così, in merito a ciò, eravamo dentro una discussione lentissima, che prevedeva di valutare una forma di prepensionamenti per i lavoratori più anziani, colpiti anch’essi dalle varie riforme pensionistiche che si sono succedute, dalla Fornero a seguire, e dunque privilegiare questo scarico produttivo legandolo a essi, prevedendo da parte nostra uno scambio che avrebbe permesso un piano di assunzione a tempo indeterminato degli Staff Leasing, così come è stato poi siglato al tavolo con la Regione mediante il mantenimento del livello occupazionale. L’emergenza epidemica ha bloccato tutto e la preoccupazione è che questa discussione resti lettera morta e che l’azienda proceda con la disdetta del contratto commerciale degli Staff Leasing per arrivare poi anche a licenziamenti/prepensionamenti. Cercheremo di togliere dal tavolo questo scenario.
Come lavoratori innanzitutto e come organizzazione sindacale, oltre al blocco dei licenziamenti, la nostra richiesta è legata a quella di un piano industriale: vogliamo capire e sapere qual è il futuro dello stabilimento. Se a causa di questa pandemia, il processo che già era in corso subirà un’accelerazione e dovessimo arrivare ad un taglio drastico del personale, ovviamente la risposta dei lavoratori non potrà che essere presente.
Le nostre mobilitazioni si basano sempre su quello che viene discusso nelle assemblee. Abbiamo un organismo di discussione delle nostre condizioni molto ampio. Normalmente le RSU hanno a disposizione 7 ore annue di assemblea, noi tramite accordo le abbiamo aumentate a 10.
Siamo 19 delegati di reparto di cui 7 RSU e 12 delegati di raccordo, una forma che si rifà ai consigli di fabbrica.
Oltre a questo, abbiamo istituito un gruppo che si chiama Collettivo di Fabbrica che comprende una quarantina di lavoratori.
Insomma, se la situazione si renderà drastica, anche noi arriveremo a decisioni drastiche.
 
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view post Posted on 2/4/2020, 06:36
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CITAZIONE (carre @ 1/4/2020, 19:56) 
Questi 20 lavoratori sono stati “scaricati” da GKN a mezzo mail grazie ad un semplice preavviso di recessione di due mesi previsto dal contratto commerciale stipulato tra le due parti, ma tuttavia, continueranno a risultare assunti dall’agenzia. Questo è quanto sta accadendo, per ora.

Lo Stato borghese gli ha agevolato il compito, anche con i provvedimenti emergenziali
D. L. 6/2020 art. 3
6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto e' sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilita' del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti
 
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view post Posted on 2/4/2020, 09:02
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view post Posted on 2/4/2020, 09:40
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da SENZATREGUA

È ormai da qualche settimana che il Presidente del Consiglio, nel tentativo di arginare il contagio da Covid-19, ha deciso di mettere l’Italia in quarantena, invitando tutti i cittadini a “restare a casa”. Moltissimi lavoratori, nonostante la decisione di chiudere i servizi non essenziali, sono quotidianamente obbligati a spostarsi per raggiungere il proprio luogo di lavoro. È evidente, infatti, che in pochi possano lavorare da casa tramite smart-working. Tra coloro i quali sono obbligati ad uscire ci sono i lavoratori dei trasporti pubblici, in particolare quelli del TPL (trasporto pubblico locale), che non possono restare a casa poiché forniscono un servizio essenziale.

Ne abbiamo parlato pochi giorni fa con Antonio (nome di fantasia), autista GTT, l’azienda pubblica di trasporti torinese, che ci ha raccontato cosa vuol dire lavorare in prima linea al tempo di una pandemia globale. “La situazione è grave: è evidente che le misure per tutelarci vengano prese sempre a “danno” fatto, senza riuscire sul serio a prendere delle misure di sicurezza efficaci. La decisione di chiudere la porta anteriore dell’autobus vicina all’autista è arrivata una settimana dopo l’ordinanza di chiusura delle scuole, ad esempio, e su indicazione delle organizzazioni sindacali”.

Gli chiediamo dei DPI (dispositivi di sicurezza individuali) e se per caso l’azienda li abbia forniti. La risposta è negativa: “Non abbiamo niente. Le mascherine non sono mai arrivate, quella che uso l’ho comprata io; prima ci davano un paio di guanti a testa, ma ormai sono giorni che li aspetto, sembra non ci diano più nemmeno quelli. Immagino siano finiti. Ad un certo punto l’azienda aveva parlato di fornirci delle salviette disinfettanti, ma anche quelle, come le mascherine, non sono mai pervenute”.

L’unica cosa che fornisce GTT è il gel disinfettante per le mani “Ma il dispenser si trova in deposito, e puoi riempirlo solo se ti presenti con un boccettino adatto, altrimenti ti disinfetti le mani ad inizio e fine turno. Tornando a ciò che si diceva prima, è sempre e solo grazie alle pressioni del sindacato se, da una settimana a questa parte, abbiamo ottenuto la possibilità di avere turni che iniziano e finiscono in deposito, per sanificare le vetture ad ogni inizio turno. Prima, se finivamo in linea il nostro turno, non ci davano neanche l’alcool per disinfettare il volante che aveva toccato il collega poco prima”.

Antonio ci racconta poi che il personale addetto alla sanificazione dei veicoli è ormai ridotto al minimo, a causa dei continui tagli che GTT ha operato prima dell’emergenza sanitaria. Riprende: “È inaccettabile che l’azienda ci faccia lavorare senza le misure di sicurezza necessarie, e che siano i lavoratori a farsi carico del peso, soprattutto economico, di queste”. Dice però anche: “Tutto sommato sono ancora fortunato: non faccio linee centrali o che passano vicino ai grandi mercati cittadini. Se lavorassi su quelle linee sarei sicuramente più a rischio. Oltretutto, ora che hanno anche ridotto il servizio, gli autobus sono più affollati e meno sicuri. I tagli fatti sono stati indiscriminati e attuati senza tener conto della reale affluenza delle linee”.

Sì, perché GTT per far fronte all’emergenza, oltre ad aver chiuso i centri di servizio al cliente e le biglietterie ferroviarie, si è vista costretta a ridurre l’orario di servizio: infatti, quando la Regione Piemonte ha deciso di chiudere scuole e università, il comune di Torino e l’Agenzia Metropolitana hanno, di comune accordo, disposto una prima riduzione di circa il 25% delle corse, a cui l’azienda si è adeguata; dal 18 marzo, poi, il servizio è stato ridotto ulteriormente, arrivando a ciò che oggi corrisponde all’incirca al 50% del servizio ordinario, e non solo: anche la metropolitana subirà una riduzione del servizio, arrivando ad aumentare l’attesa della vettura nelle ore di punta.

“Mi sembra paradossale – ci dice – che in questo momento si riduca in maniera così drastica il servizio, mettendo a repentaglio non solo la nostra salute, ma anche quella degli utenti, che si trovano accalcati, spesso sprovvisti di mascherine e guanti, senza poter rispettare le distanze di sicurezza minima imposte dai decreti. Molte di queste persone sono lavoratori che ogni giorno si muovono per andare a lavorare: così facendo si aumenta solamente il rischio del contagio.”

E aggiunge: “In questo momento non prenderei l’autobus da passeggero: troppo pericoloso. Sappiamo che l’azienda è obbligata a mantenere il servizio, ma ora vorremmo sicurezze e tutele. Fa rabbia che il Comune e l’Agenzia Metropolitana, in un momento simile, antepongano i propri profitti alla salute dei lavoratori e dei cittadini: invece di aumentare le corse, per diminuire il rischio di contagio, decidono di tagliare il servizio per risparmiare sulla manutenzione dei veicoli, sulle spese di esercizio e sull’erogazione degli stipendi. Pochi giorni fa poi è arrivata la notizia della cassa integrazione per noi dipendenti. Una batosta. Alla mancanza di sicurezza ora si somma anche l’incertezza che deriva dall’annuncio della cassa. C’è tanta preoccupazione, anche perché ancora non sappiamo le modalità effettive con cui l’azienda deciderà di muoversi”.

Infatti ora a spaventare gli autisti non c’è solo il rischio del contagio, accompagnato dalla totale mancanza di DPI che possano realmente tutelarli mentre svolgono quello che è un servizio essenziale, ma anche l’incertezza che deriva dall’annuncio della cassa integrazione, e la conseguente decurtazione del 20% sugli stipendi, arrivato la sera del 25 marzo: infatti, GTT, di fronte al crollo dei passeggeri e delle entrate da essi derivate, avrebbe deciso di ricorrere al fondo bilaterale di solidarietà, ovvero l’equivalente della cassa integrazione, per i suoi 4.200 dipendenti. Nella giornata del 27 marzo, a seguito delle trattative che le organizzazioni sindacali, di base e confederate, hanno portato avanti con l’azienda, abbiamo ottenuto qualche informazione circa le modalità con cui la cassa integrazione sarebbe stata attivata. La cassa è partita dal 30 marzo, a rotazione in ordine alfabetico, per nove settimane, assicurando il 20% delle giornate lavorative.
 
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view post Posted on 2/4/2020, 17:09
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CHE FURBI I PADRONI! Michael Manley, amministratore delegato di FCA ha scritto una lettera a tutti i dipendenti comunicando che, da aprile e per tre mesi, si taglierà lo stipendio del 50 per cento: "Proteggere la salute finanziaria dell'azienda è responsabilità di tutti, a partire naturalmente da me e dal team di leadership - sottolinea Manley - al fine di raggiungere questo obiettivo, dal mese di aprile e per i prossimi tre mesi, ridurrò il mio stipendio del 50% e i membri del Group Executive Council (Gec) ridurranno il loro del 30%». Inoltre «Chiederemo alla maggior parte dei dipendenti nel mondo non ancora impattati da riduzione di orario o ammortizzatori sociali di partecipare a questo sacrificio comune accettando un differimento temporaneo del 20% dello stipendio". Ha scritto ancora Manley nella lettera ai dipendenti. "Il processo - spiega il capo di FCA varierà a seconda del Paese e potrebbero essere necessari accordi specifici". Peccato che il 50% di uno stipendio megagalattico resta sempre uno stipendio inimmaginabile per un lavoratore. Mentre il 20% in meno (pur differito) di un salario di 1200 € di un padre di famiglia significa il 20% in meno di pane, pasta, benzina, bollette e affitto! Senza contare poi la somma enorme che risparmierebbe l'azienda moltiplicando il 20% di salario per il numero totale dei dipendenti!
Se ci sono problemi di salute finanziaria, ci domandiamo dove siano finiti gli utili che sono stati realizzati spremendo gli operai sulle linee di produzione. Con questa crisi cambierà il mondo. Se i signori delle multinazionali hanno intenzione di usare il coronavirus per scaricare i loro problemi finanziari e di mercato come sempre sui lavoratori devono cambiare rotta , non faranno più come sempre hanno fatto. Questa volta nessuno sarà più disposto ad accettare ricatti e peggioramento delle condizioni di lavoro. Il Partito Comunista sarà al fianco di ogni lotta dei lavoratori.

Marco Rizzo
 
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view post Posted on 4/4/2020, 09:34
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da Partito Comunista

DUSSMANN: UN'ALTRA STORIA DI ORDINARIO SFRUTTAMENTO



Dussmann Italia è una società multiservizi che opera nei settori della sanità, delle mense e della pulizia, con capofila in Germania. La divisione Italia ha un fatturato di oltre 500 milioni di euro (dati 2018), decine di sedi sul territorio italiano per circa 17.000 dipendenti.

Dal 2 Marzo migliaia di lavoratori Dussmann che non possedevano i requisiti per poter accedere alla stabilizzazione degli ex LSU (Lavoratori Socialmente Utili) e degli appalti storici, sono stati impiegati in altri appalti, oppure si sono visti sospendere il rapporto di lavoro “fino a nuove disposizioni”.

Nei giorni scorsi il Partito Comunista ha incontrato una rappresentanza di lavoratrici dell'azienda colpite dalle scelte padronali. Queste operatrici, dallo scorso 2 Marzo, si trovano in stato di sospensione dal lavoro attraverso l'applicazione dell'articolo 34 del CCNL multiservizi e l'azienda non ha provveduto a richiedere la cassa integrazione guadagni lasciando così a casa migliaia di dipendenti senza lavoro, senza busta paga e senza alcuna informazione su ciò che sarà il loro futuro.

Dal momento in cui sono stati pubblicati i requisiti necessari alla stabilizzazione dei contratti ex LSU e appalti storici, i lavoratori e le lavoratrici si sono subito mobilitati per chiedere al MIUR e all'azienda cosa sarebbe successo a tutti coloro che non avrebbero avuto i requisiti per poter accedere alla stabilizzazione, ad oggi la risposta si è limitata ad una sospensione lavorativa di una parte di questi lavoratori esclusi dai parametri ministeriali.

La paura più grande delle lavoratrici è che Dussmann stia attendendo che siano loro stesse a decidere di rassegnare le dimissioni per ridurre l'impatto economico aziendale e che stia sfruttando il Decreto Cura Italia e le difficoltà connesse alla diffusione del Corona virus per farle cedere il prima possibile.

Il Partito Comunista non le lascerà sole nella lotta che stanno affrontando per la loro sopravvivenza.
 
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444 replies since 16/8/2013, 11:22   7340 views
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