Comunismo - Scintilla Rossa

Crisi, lavoratori allo sbaraglio

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view post Posted on 8/11/2013, 15:06

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"Sempre di più gli italiani che lavorano nonostante la malattia".
Lo dicono i medici al convegno Fimmg


Negli ultimi due anni, con l'aggravarsi della crisi economica, sono sempre di piu' gli italiani che vanno al lavoro anche quando sono malati o chiedono al medico di andare a lavorare. E' questa la sensazione che ormai da tempo raccolgono i medici di famiglia, come e' emerso al convegno della Federazione italiana medici medicina generale (Fimmg), in corso a Roma. Non ci sono i numeri, per il momento, ma il fenomeno viene descritto in modo chiaro a livello pubblico.
Le ragioni, dal punto di vista contrattuale, sono molte, e riguardano le norme che legano la produttività in busta paga alla presenza sul luogo di lavoro. Al di là di questo, però, la denuncia dei medici mette in luce il peso del lavoro nero nell'economia del paese. E' nelle zone del lavoro nero, infatti, che la presenza sul posto di lavoro riguarda la totalità della retribuzione. Infatti, come sottolineano i medici, i settori dove il fenomeno si manifesta più frequentemente sono i call center e la distribuzione commerciale.
''Il fenomeno e' particolarmente evidente nel Nord Est – Guido Marinoni, componente del Consiglio nazionale della Fimmg – dove la crisi sta colpendo pesantemente e la paura di perdere il lavoro e' grande. Cosi' pero' c'e' il rischio di vedere ridotti i buoni risultati ottenuti con la vaccinazione antinfluenzale, per la maggiore circolazione dei virus''.
A chiedere di lavorare al medico, nonostante la malattia, sono soprattutto le categorie piu' deboli, come donne e giovani. ''Negli ultimi tempi - aggiunge Alfredo Petrone, responsabile medici Inps della Fimmg - abbiamo notato la richiesta di andare a lavorare, nonostante la malattia. Ovviamente noi non ci facciamo influenzare nella decisione medica, ma il fenomeno esiste. A chiedere di tornare subito a lavoro sono soprattutto le donne e i giovani, in particolare quelli impiegati nella grande distribuzione e nei call center''.
A sollevare il problema della condizione lavorativa e del diritto al riposo è anche la mobilitazione contro l’apertura festiva degli esercizi commerciali. L'otto dicembre “migliaia di dipendenti del commercio saranno obbligati a lavorare per tenere aperti centri commerciali e megastore".
"Dopo aver gia' perso il diritto alle domeniche - continua l'Usb - in aggiunta ai bassi salari e ai turni massacranti, i lavoratori del commercio vengono sistematicamente privati anche dei diritti piu' elementari come quello al riposo e alla gestione del tempo di vita, al poter trascorrere una festivita' con i propri cari".
 
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view post Posted on 9/11/2013, 12:11

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Roma. Campidoglio assediato dagli autisti dell’Atac in lotta


E' una immagine esemplare quella vista ieri pomeriggio in Campidoglio. Da una parte centinaia di autisti dell’Atac in lotta da alcuni giorni con il blocco degli straordinari (cosa che ha mandato in tilt il trasporto urbano a Roma), dall’altro una sparuta pattuglia di Cgil Cisl Uil Ugl che verranno ricevuti in Campidoglio nonostante non siano più rappresentativi dei lavoratori dell’Atac che stanno lottando.

"Marino tiranno sei peggio di Alemanno", denunciano i cori degli autisti dopo che il Sindaco ha deciso di non riceverli perché non sono rappresentati. "Al massimo” dice Marino, possono essere ricevuti dai capigruppo". In coda all'incontro con la delegazione sindacale ufficiale di Cgil Cisl Uil Ugl verrà ricevuta delegazione autisti Atac dai capigruppo.

La piattaforma degli autisti auto organizzati prevede i seguenti punti: "Vetture funzionanti, tempi di percorrenza adeguati. Ferie certe di cui usufruire. Rispetto del codice stradale. Sblocco dei paramentri per avanzamenti di carriera. corresponsione della una tantum.

L'assemblea degli autisti dell’Atac ha deciso di continuare con il rifiuto dello straordinario fino a domenica prossima. Mentre il giorno dello sciopero generale indetto da Cgil, Cisl e Uil, in segno di protesta gli autisti effettueranno gli straordinari. "Non abbiamo voluto accettare le briciole di un incontro con i capigruppo del Consiglio comunale. Ce ne andiamo", dichiara Micaela Quintavalle, autista della rimessa di Tor Pagnotta.

rytw

 
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Il piano industriale Telecom, verso il disastro per i lavoratori


Continuiamo ad occuparci della vicenda Telecom, che vede coinvolti circa 55.000 lavoratori in Italia e altri 30.000 nel mondo. Lavoratori che in queste settimane stanno con il fiato sospeso a causa delle decisioni e delle tensioni interne al Consiglio di Amministrazione di questo colosso ormai in crisi.

Due giorni fa, Marco Patuano, Amministratore Delegato di Telecom Italia ha presentato il piano industriale 2014-2016. Un piano pieno di criticità, che non a caso ieri è stato accolto molto male dalle borse. Ma andiamo con ordine.

Come si sa Telecom Italia, pur continuando a fare cospicui profitti – parliamo di 2,777 miliardi di euro di flussi di cassa, che sono finiti in buona parte in cedole per i soci e dividendi per gli azioni, non certo una buona scelta per un’azienda chiamata a ristrutturare un grosso debito e i cui lavoratori hanno visto anche diminuire le loro retribuzioni –, ha i conti in rosso. Il gruppo di telecomunicazioni ha chiuso i primi nove mesi dell’anno perdendo circa 902 milioni, arrivando a un debito netto di 29 miliardi di euro, con le agenzie di rating che declassano in continuazione il suo titolo.
In queste condizioni, e con il fiato sul collo di Telefonica (la compagna spagnola che sta provando la scalata a Telecom, e che ha chiuso il suo terzo trimestre con un utile di 3,145 miliardi di euro), il piano industriale si è rivelato un tentativo di fare cassa che sa di “ultima spiaggia”.

Scartata la via di una ricapitalizzazione attraverso i soci, Patuano ha infatti annunciato:

- un convertendo, ovvero la richiesta di un prestito straordinario da 1,3 miliardi, che sarà trasformato obbligatoriamente in azioni della società a novembre 2016. Una somma importante, che è pari a più del 10% dell’intero valore di mercato della stessa Telecom Italia, a testimonianza del grado di disperazione della dirigenza della compagnia. In ogni caso ieri mattina il collocamento del prestito obbligazionario si è concluso con “successo”, con il pessimo risultato che Telecom ora è ancora più dipendente da banche, fondi, grandi investitori;

- 4 miliardi di dismissioni con “la cessione di Telecom Argentina, la vendita delle torri in Italia e Brasile”, oltre alla dismissione di immobili, già avviata con la vendita di un palazzo a Milano per 75 milioni. Operazioni in ogni caso da finalizzare nel corso del prossimo anno e non priva di rischi, nonché di violazioni dei diritti dei lavoratori, come si sottolinea in quest’articolo;

- il congelamento del dividendo 2014;

- la “separazione funzionale”, come ha affermato Patuano, “della rete”. Ancora una volta si affaccia cioè una proposta inutile, quella dello scorporo, che i lavoratori hanno già più volte respinto perché non dà garanzia sulla tenuta dei livelli occupazioni e sulla tenuta dei diritti e dei salari. La separazione della rete italiana dal resto del gruppo e il suo passaggio dentro una nuova società rappresenta infatti solo un incognita più che una possibilità di rilancio. Comunque l’accordo con la Cassa Depositi e Prestiti, la sola che potrebbe finanziare la rischiosa operazione, resta difficile a causa dei debiti di Telecom.

Il piano non è piaciuto né all’ASATI, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom, né a Marco Fossati del gruppo Findim (ex-Star), che da settimane sgomita per contrapporsi a Telco (ormai a maggioranza spagnola). Fossati ha anche chiesto la convocazione di un’assemblea straordinaria, che si terrà a metà dicembre, per revocare l’attuale CDA del gruppo.

Ma la cosa più grave è che il piano non è piaciuto ai mercati. Telecom Italia, che è il sesto gruppo per fatturato alla Borsa di Milano, ha registrato ieri un calo sul listino di un sostanzioso -5,56, a dimostrazione di come il futuro della società, e dunque quello dei suoi lavoratori, che come al solito saranno i primi a pagare le conseguenze di questa situazione, sia alquanto incerto. Ma allora, prima che il disastro si materializzi, sarebbe il caso di ascoltare le proposte che proprio i lavoratori, che dell’azienda sono la vera ricchezza e che conoscono il settore meglio dei dirigenti, hanno elaborato.
 
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Pavia. Chiude la Merck Sharp & Dohm. I lavoratori in assemblea

La Merck Sharp & Dohm, multinazionale americana del farmaco, nel giugno del 2013 ha informato i propri dipendenti della volontà inderogabile di abbandonare l'Italia, chiudendo, alla fine del 2014, lo stabilimento di Pavia, ultimo rimasto in Italia e uno degli ultimi in Europa. Nel contempo la MSD procede alla messa in mobilità dei lavoratori della rete commerciale con sede a Roma.
La fabbrica di Pavia, che soddisfa la quasi totalità del fabbisogno mondiale di un farmaco antidiabetico, a detta della stessa casa madre è uno dei fiori all'occhiello di tutto il gruppo. Su mandato dei lavoratori, l’USB di Pavia organizza il 23 novembre prossimo dalle ore 10.00, presso la sala "C. BARBIERI", in Piazza Italia a Pavia, un'assemblea pubblica per coinvolgere l’intera cittadinanza sulla vicenda Merck Sharp & Dohm. L'assemblea indetta dalla USB intende dare parola a chi fino ad ora non l'ha avuta - i lavoratori e alla città intera - con l'intento di avanzare proposte che possano salvare i 270 posti di lavoro.

Merck, il tradimento della multinazionale
http://pallaroni-pavia.blogautore.repubbli...multinazionale/
 
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Pendolari come il bestiame, ma Moretti vuol raddoppiare le tariffe


Non c'è limite all'infamia, è risaputo. Ma ogni volta che ce la ritroviamo davanti restiamo sopresi, come se "oltre" un certo punto non si potesse andare. E invece ci vanno....

Sappiamo tutti, spesso per esperienza diretta, in quali condizioni infami - appunto - siano costretti a viaggiari pendolari che raggiungono casa e lavoro con i treni regionali. Carrozze sporche, vetri e porte rotte, riscaldamenti a palla in estate e frigoriferi in inverno, ritardi esasperanti e "regolari", corse in dimuzione e passeggeri stipati come carne da macello mentre va al macello.

Sappiamo anche che questo è l'effetto di una scelta "imprenditoriale" delle Ferrovie dello Stato sotto la gestione di Mauro Moretti, ex sindacalista della Cgil arrivato sull'altro lato della barricata in meno di una notte (potenza dei "sani princìpi" del sindacalismo complice). Una scelta che ha privilegiato l'Alta velocità e le tratte "redditizie", mandando in malora tutto il resto in quanto "con ricavi non all'altezza delle spese". Ricordiamo, en passant, che le Ferrovie sono effettivamente proprietà dello Stato, per il buon motivo che nessun imprenditore privato si metterebbe a gestire il trasporto pubblico al di fuori - appunto - delle "tratte redditizie" (la clientela business sull'AV, principalmente tra Roma e Milano). Non a caso la Italo di Montezemolo e Della Valle si esercita quasi soltanto su tratte così.

Se questa è la condizione quotidiana dei pendolari, il termine "di Stato" dovrebbe indicare un servizio necessario anche se strutturalmente in perdita, con la differenza - come dappertutto - a carico della fiscalità generale. Prezzi "sociali" insomma, perché altrimenti la residenza fuori dalle metropoli cesserebbe d'essere un'alternativa; peraltro molto "incentivata" nei decenni scorsi, con effetti dopanti sui prezzi del mecato immobiliare.
 
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Valencia (Spagna): la polizia chiude e sgombera la Tv pubblica


La Televisione pubblica della regione di Valencia ha interrotto le sue trasmissioni alle 12.19 di questa mattina, mentre in onda c’era un programma speciale realizzato in diretta a partire dalla mezzanotte, da quando cioè il governo locale aveva decretato la chiusura del canale televisivo. Così come è successo alcuni mesi fa alla catena televisiva statale ellenica Ert, all’ordine di chiusura i lavoratori hanno risposto con la disobbedienza, autogestendo le frequenze e continuando a trasmettere. Ma la resistenza di Canale 9, o Nou (in catalano) è durata poche ore.
Fino a quando numerosi agenti di polizia, accompagnati dai liquidatori nominati dal Consell – il governo autonomo valenciano gestito dalla destra del PP – hanno fatto irruzione negli studi della RTVV ed hanno sgomberato a spintoni i giornalisti e i tecnici dell’emittente pubblica che hanno cercato, in diretta, di opporsi alla chiusura lanciando slogan - “¡No tenéis vergüenza!", "¡Fabra dimisión!" e "¡Ladrones!" – contro la destra e il capo del governo regionale che hanno approfittato dei tagli di bilancio imposti dall'Unione Europea e dal governo centrale di Madrid per attaccare un canale pubblico che forniva da anni informazione e intrattenimento nella versione locale della lingua catalana.
Mentre scriviamo lo sgombero dell’edificio è ancora in corso, molti lavoratori sono riuniti nella hall principale mentre la polizia ha preso possesso della regia. L’ordine di sgomberare immediatamente la sede televisiva pubblica di Burjassot (Valencia) in maniera anche violenta se i lavoratori non avessero ubbidito, era arrivato in mattinata dal Tribunale Superiore di Giustizia della Comunità Valenciana. Durante la notte giornalisti e tecnici avevano impedito fisicamente ai liquidatori nominati dal governo regionale di accedere alle installazioni della tv pubblica, evitando per alcune ore che i funzionari prendessero il controllo della regia della RTVV per interrompere le trasmissioni come ordinato. La polizia aveva cercato di irrompere nell’edificio alcune ore fa, ma era stata respinta da un cordone formato dai lavoratori dell’ente pubblico che urlavano ‘non si chiude’.

La tv pubblica della regione meridionale spagnola è la seconda a cadere sotto il colpo dell’austerity imposta ai Piigs dall’Unione Europea, dopo la Ert greca.
Non è detto che sia l’ultima vittima di un violento processo di distruzione dei beni comuni e del patrimonio pubblico che nel settore dei media e dell’informazione ha già causato la chiusura di numerosi quotidiani e riviste e l’accelerazione di un processo di concentrazione e monopolio della comunicazione nelle mani di pochi gruppi industriali e finanziari privati.
La chiusura dei canali tv e radio pubblici non solo accresce il monopolio dell'informazione in pochi e 'fidati' centri, ma risolve in parte anche il problema dello "snellimento" della pubblica amministrazione che da tempo è un diktat della Commissione Europea e del Fondo Monetario Internaziona..

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view post Posted on 24/12/2013, 17:55

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Napoli: Natale per tutti o per nessuno!


Un centinaio di precari, disoccupati e studenti napoletani si sono dati appuntamento oggi in piazza Medaglie D’Oro per una giornata di assedio al lusso al grido “Natale o per tutti o per nessuno!” per denunciare il livello di precarietà insostenibile in cui la crisi mette un'ampia parte della popolazione. Una condizione che non è di tutti, perchè c’è anche chi sulla crisi sta lucrando profitti e privilegi.

In piazza si sono ritrovati attivisti, disoccupati, studenti e famiglie di realtà per la lotta per la casa, alcune persone con lo sfratto esecutivo insieme ad altre semplicemente autoconvocate tramite la rete.
Chi come noi non ha un euro in tasca, a Natale non ha niente da festeggiare e allora è l’occasione per denunciare la situazione ormai intollerabile in cui ci troviamo. Così, come accade in altre parti d’Italia, si è deciso di assediare i luoghi del lusso, delle caste e dei privilegi.
Da piazza Medaglie d’Oro per eludere la blindatura della polizia si ci è spostati con metropolitana e funicolare fino a piazza Amedeo, nel cuore della Napoli ricca e da li è cominciato un corteo selvaggio che ha attraversato via dei Mille, Piazza dei Martiri, via Chiaia, via Roma. Le vie del consumo, dei prodotti costosi e spesso inarrivabili, quelle dove c’è chi fattura anche dieci-quindicimila euro al giorno. Con uno striscione di apertura “Natale per Tutti o Per Nessuno!” si sono bloccate a singhiozzo le strade, facendo informazione e sanzionando con lanci di uova alcuni dei negozi del lusso, come Swarovski, Ferragamo e Armani e sanzionando con petardi la sede di Confindustria in piazza dei Martiri.
Intanto ad Acerra altri disoccupati e precari hanno occupato il Castello Baronale.

La Napoli precaria che si ribella al carovita
 
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view post Posted on 25/12/2013, 10:10

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Le “Feste” che la borghesia regala ai proletari in Sicilia... crisi nera per il lavoro e i suicidi degli operai


Oggi le pagine del quotidiano La Repubblica dell'edizione di Palermo fanno un quadro nerissimo della situazione lavorativa in Sicilia che purtroppo viene confermata, nelle stesse pagine, dal suicidio di un operaio precario di 55 anni in cassa integrazione da due mesi e dal tentativo di suicidio di un altro operaio che si è tagliato le vene per stipendi arretrati che non arrivano.
In questi articoli vengono riportate interviste ai sindacalisti confederali che come al solito sembrano cadere dalle nuvole, mentre fanno carriera sindacale e politica gestendo accordi di ogni tipo con i padroni e le istituzioni che portano lavoratrici e lavoratori alla disperazione.
Si conferma anche la nullità dell'azione di governo dell'attuale presidente della Regione, Crocetta, quello della “rivoluzione”.
Cgil-Cisl-Uil, istituzioni e padroni tutti complici e corresponsabili di una situazione già terribile per migliaia di disoccupati, precari e lavoratori, i quali devono prendere in mano il proprio destino per farla finita una volta e per tutte con chi porta le masse alla disperazione.


***


Crisi nera, a rischio 36 mila posti di lavoro
dall'edilizia all'industria, agli alberghi all'Etna Valley: un 2014 pieno di incognite



Trentaseimila siciliani rischiano di perdere il lavoro da qui alla fine del prossimo anno. Nel giorno del sit-in delle tute blu di Ansaldo Breda davanti ai cancelli chiusi dello stabilimento di Carini e dell'allarme sul possibile addio alla Sicilia del colosso dei call center Almaviva, Cgil, Cisl e Uil tracciano una stima shock sulle vertenze pronte a esplodere e sugli effetti della crisi. Crisi che colpisce tutti i settori: dall'edilizia all'industria, dalla formazione professionale ai rifiuti, fino a fiori all'occhiello come l'Etna Valley. “E ai 36 mila – dice Claudio barone, leader della Uil – si potrebbero aggiungere i 20mila precari degli enti locali, la cui salvezza è ancorata all'approvazione della Finanziaria e al superamento del patto di stabilità”.


EDILIZIA E INDUSTRIA
Sono i settori più colpiti dalla crisi: da sola, l'edilizia dal 2008 a oggi ha lasciato sul terreno 50 mila posti di lavoro, e per l'anno prossimo ii sindacati prevedono alti 20 mila licenziamenti, non va meglio l'industria che assiste alla morte delle maggiori realtà. È il caso della Fiat di Termini Imerese: i 1.100 operai potrebbero essere licenziati già a metà aprile, se non sarà trovata una soluzione alternativa al Lingotto. Stessa sorte potrebbero subire a febbraio i 196 lavoratori della Keller, azienda di Carini in crisi da oltre vent'anni, i cui lavoratori hanno esaurito tutti gli ammortizzatori sociali. Sempre a Carini rischiano il posto i 147 della Ansaldo Breda, per i quali la società ha chiesto la cassa integrazione e che potrebbe trasformarsi in licenziamento. E i 200 lavoratori della Italtel: la cassa integrazione scadrà nel 2014 e per loro l'azienda potrebbe chiedere l'esubero.


RIFIUTI
Secondo le stime della Cisl, in mille rischiano di perder il posto nel caos della riforma regionale del sistema. “Negli ultimi giorni 283 lavoratori dell'Ato Palermo 1 e della Coinres – spiega Dionisio giordano, della Cisl – hanno ricevuto lettere di licenziamento, perché - nell'attesa che si attui il passaggio dagli Ato alle Srr – i comuni gestiscono il servizio in totale autonomia e assenza di regole, affidando la gestione a ditte private. E la situazione è destinata a peggiorare”.


FORMAZIONE PROFESSIOANLE
“In attesa della riforma – commenta Michele Pagliaro della Cgil Sicilia - gli enti di formazione hanno comunicato l'intenzione di ridurre il personale nel 2014. A rischio sono dai tremila ai quattromila addetti. La riforma non parte, non c'è una prospettiva chiara e gli enti tagliano.”


TRASPORTO PUBBLICO LOCALE
La Cgil teme che il taglio del 10 per cento dei trasferimenti previsti nella Finanziaria regionale si traduca in una riduzione del personale. Per il trasporto su strada i sindacati ipotizzano la perdita di 600 posti di lavoro, mentre quello marittimo subirà un taglio di 200 addetti.


CALL CENTER
Almaviva, colosso internazionale del settore, rischia di soccombere sotto i colpi dell'inerzia della Regione. Da oltre un anno l'azienda, presente a Palermo e a Catania con seimila dipendenti, chiede alla Regione una nuova sede. In cambio sarebbe disposta a trasferire la sede legale nell'Isola pagando qui le tasse, e a creare un polo di Information Technology. Ma da Palazzo d'Orleans tutto tace, e Almaviva minaccia di andare via.


ELETTRONICA E FARMACEUTICA
Meditano l'addio anche le multinazionali dell'Etna Valley. “La farmaceutica – dice Ferruccio Donato, della Cgil – rischia di subire duri colpi: la Pfizer, il colosso americano che a Catania dà lavoro a 700 persone, ha perso l'esclusiva sulla produzione di un farmaco che dal 2014 potrà essere prodotto ovunque nel mondo, il che ci fa temere per e ricadute sull'Isola. La microelettronica arranca e sono in 400 a rischiare il posto alla Micron, la multinazionale americana che minaccia di ridurre il personale.


COMMERCIO E TURISMO

In 134 potrebbero essere licenziati nei prossimi mesi da Acqua Marcia, la società che gestisce alberghi storici come Villa Igiea e l'Hotel delle Palme di Palermo, che potrebbe chiudere. E anche per il commercio si prospetta un altro anno duro. “Pensiamo ai 180 dipendenti Despar di Trapani, Palermo e Agrigento – commenta Mimma Calabrò, della Fisascat-Cisl – o agli 800 del gruppo Aligrup della Sicilia occidentale. Senza contare le centinaia di negozi che ogni mese chiudono i battenti. Non si può assistere inermi alla morte di interi settori produttivi.”

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view post Posted on 26/12/2013, 10:45

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Morti sul lavoro, il 2013 finisce e nulla è cambiato



Anche il 2013 si avvia a fine e per quanto riguarda le morti sul lavoro nulla è cambiato.I dati dell’Osservatorio indipendente di Bologna, diretto dall’amico Carlo Soricelli, ex operaio metalmeccanico in pensione, al 24 Dicembre 2013, ci dicono che nel 2013 sono morti sul lavoro oltre 1180 lavoratori (stima minima) e molto probabilmente a fine anno saranno oltre 1200: http://cadutisullavoro.blogspot.it/
Il mio pensiero va ai lavoratori che purtroppo non ci sono più e ai loro familiari, che passeranno un Natale molto triste senza di loro.
Io ci ho provato a far si che cambiassero le cose, che aumentasse la sicurezza sul lavoro: Dio solo sa se ci ho provato!
Ho fatto anche aprire una procedura d’infrazione a livello europeo, perchè la legge per la sicurezza sul lavoro italiana (Dlgs 81/08, modificato dal Dlgs 106/09 dall’ex Governo Berlusconi), violava alcuni punti della direttiva europea quadro 89/391/CEE.
Per questa procedura d’infrazione (2010/4227), per cui è stato emesso un parere motivato il 21 Novembre 2012:

http://www.aitep.eu/it/public/downloads/UE...testo_unico.pdf

probabilmente verremo deferiti alla Corte di Giustizia Europea se non prenderemo provvedimenti a breve.Ma purtroppo chi veramente avrebbe il potere di cambiare le cose o non ci sente o fa finta di non sentirci!Con il DL 69/2013 (detto decreto fare), il Governo Letta ha addirittura “semplificato le norme per la sicurezza sul lavoro”, ma purtroppo queste modifiche ridurranno la sicurezza sul lavoro, non la aumenteranno.
Anzi, probabile che la Commissione Europea aprirà anche un ulteriore procedura d’infrazione per la sicurezza sul lavoro, perchè diverse di queste modifiche violano delle direttive europee, tra cui l’esonero dagli obbighi di cui ai titoli IV del DLgs 81/08 sui Cantieri temporanei o mobili, che viola la direttiva 92/57/CEE sulle prescrizioni minime nei cantieri temporanei o mobili, le proroghe di adeguamento anticendio ,che viola la direttiva europea 89/391/CEE.

Come se per aumentare la sicurezza sul lavoro, bisogna ridurre le norme per la sicurezza sul lavoro, visto che diversi datori di lavoro considerano la sicurezza sul lavoro, come un costo insostenibile per le loro imprese.
Però, o non sanno o fanno finta di non sapere, che la mancata sicurezza sul lavoro ha un costo sociale spaventoso per lo Stato, oltre 45 miliardi di euro l’anno.
L’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, 3 anni fa(fine agosto 2010) disse (poi in parte rettificato) “robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci”.
Mentre 1200 morti sul lavoro ogni anno, quelli possiamo ancora permetterceli?
Purtroppo è così che viene vista la sicurezza sul lavoro in Italia: che tristezza!
Inoltre, sono anni che vado dicendo che va modifricato il TU 1124/65 che regola i risarcimenti per gli infortuni e le morti sul lavoro, perchè è una vergogna che la morte di un lavoratore venga risarcita dall’Inail solo con un assegno una tantum di rimborso spese funerarie di 2046 euro e 81 centesimi.
Purtroppo questa legge assurda, che ha quasi 50 anni, prevede infatti che hanno diritto alla rendita a superstite, in caso di infortuni mortali, coniugi e figli e, se assenti, gli ascendenti viventi e a carico del defunto, che contribuiva quindi al loro mantenimento. Perciò non hanno diritto alla rendita, ad esempio quei genitori delle vittime del lavoro che non risulti ricevessero contributi al mantenimento, dal loro caro ammazzato dall’insicurezza nei luoghi di lavoro.
Ho fatto anche una petizione che ha raccolto molte adesioni per far modificare il TU 1124/65, ma nulla, nessuno mi ha preso in considerazione.
Quello che mi domando è questo: ma in Parlamento c’è Marco Bazzoni o altre persone?
Perchè se come sembra ci sono altri (io lavoro in fabbrica da Settembre 1994, cioè da quasi 20 anni), perchè non fanno qualcosa di concreto perchè aumenti la sicurezza e salute nei luoghi di lavoro?
Quanti infortuni e morti sul lavoro ci devono essere ancora?
Ogni anno mi faccio la stessa domanda, ma niente cambia in meglio per la sicurezza sul lavoro, facciamo come i gamberi, un passo in avanti e due indietro!
Un Paese che si definisce civile come l’Italia non può permettersi tutti questi infortuni e morti sul lavoro: è così difficile da capire?

*Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze

25 dicembre 2013

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BASTARDI ASSASSINI, A BRINDISI UCCIDONO DI LAVORO A UDINE DI NON LAVORO...

...in nome del profitto è ora di rilanciare la battaglia per fare piazza pulita di questo sistema di sfruttamento e morte.

Ieri a Brindisi al petrolchimico Incidente sul lavoro, autista muore schiacciato


BRINDISI – Un uomo è morto poco dopo le 14 in un incidente sul lavoro all’interno del Petrolchimico di Brindisi. Secondo una prima parziale ricostruzione, l’uomo sarebbe rimasto schiacciato da un pullman di linea per il trasporto interno dei dipendenti del Petrolchimico mentre stava eseguendo lavori di riparazione sullo stesso mezzo. Sul posto al momento ci sono i vigili del fuoco e i soccorritori del 118.

La vittima dell’incidente avvenuto nel petrolchimico di Brindisi è Claudio Saraceno, 57 anni, autista della ditta Ciccimarra di Cisternino (Brindisi) che si occupa di trasporti con autobus. Era residente a Cellino San Marco (Brindisi). A quanto si è appreso, era sceso dal pullman utilizzato per il trasporto dei pendolari per riparare un guasto, quando per cause ancora non chiarite è stato travolto e schiacciato dallo stesso mezzo. L’esatta dinamica viene ricostruita in questi frangenti gli ispettori Spesal della Asl oltre con i poliziotti della questura di Brindisi. All’interno del Petrolchimico si sono recati anche i famigliari della vittima, giunti a Brindisi dopo aver ricevuto notizia della morte del 57enne. Il pullman è stato sottoposto a sequestro.


oggi a Udine un operaio si è suicidato per la paura di perdere il lavoro


Udine, l’uomo è stato trovato morto in casa. Fino a ieri era al presidio di Campoformido. I sindacati: aveva manifestato forti preoccupazioni per il suo futuro. I colleghi: la dirigenza non si presenti ai funerali

UDINE. Vent’anni fa aveva perso il lavoro alla Danieli, ma era riuscito a ripartire, trovando un’occupazione alle latterie friulane di Campoformido.
Ora quegli antichi problemi sono riapparsi in tutta la loro gravità. Non ce l’ha fatta a reggere questo nuovo peso e a 54 anni Giuseppe Bassi di Godia, ha deciso di farla finita, togliendosi la vita nel garage della sua abitazione di Udine.
E’ morto così un operaio delle latterie friulane, che fino al giorno prima aveva partecipato ai presidi dei sindacati per difendere il posto di lavoro. Secondo la testimonianza di alcuni sindacalisti a lui vicini l’uomo in questi giorni aveva più volte manifestato una forte preoccupazione per il rischio di perdere nuovamente il lavoro.
Nello stabilimento la tensione è altissima e i sindacati temono di non riuscire più a gestire la protesta.
Dai colleghi dell’uomo è anche arrivato un duro monito ai dirigenti delle Latterie: “Non si presentino ai funerali”.
Bassi era anche impegnato nel sociale: era presidente della squadra di calcio dilettanti della Fulgor di Godia.
28 dicembre 2013

noi condividiamo la rabbia dei compagni di lavoro di Giuseppe Bassi ma i padroni non solo non li vogliamo ai funerali dei nostri morti ma vogliamo giustizia. Una giustizia che questo stato ci nega e che per ottenerla dobbiamo lottare insieme.

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view post Posted on 1/1/2014, 16:38

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Afragola. Esproprio proletario all'Ipercoop, i disoccupati: «Abbiamo fame»


Afragola. Scene che ricordano gli anni Settanta: i senzatutto organizzati nei movimenti che svuotano gli scaffali dei supermercati per poi passare davanti alle casse senza pagare.

Sta succedendo all'Ipercoop di Afragola, dove da stamane i senzalavoro aderenti al Movimento dei disoccupati autorganizzati di Acerra e gli operai del Comitato di lotta cassintengrati e licenziati della Fiat di Pomigliano hanno riempito i carrelli della spesa dell'ipermercato. E ora pretendono di passare la barriera delle casse senza pagare. Sul postoi sono sopraggiunti i carabinieri. "Non abbiamo soldi e abbiamo fame: il terremoto vero è la nostra vita", gridano i manifestanti.

fonte: http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/esp...ie/414981.shtml
 
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view post Posted on 3/1/2014, 14:11

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Mantova: MOL si prende la raffineria. Il 90% degli operai a casa


Con l'inizio del nuovo anno come programmato parte il progetto della multinazionale ungherese MOL di acquisizione e conversione del polo produttivo di Mantova dove sorge la raffineria petrolifera IES di proprietà del gruppo ENI.
E' infatti scaduta il 31 dicembre la convenzione per il trasporto e la lavorazione di greggio da Porto Marghera (Venezia) al capoluogo lombardo; la multinazionale magiara ha così via libera per trasformare l'area in un approdo di tipo logistico dove stoccare e procedere alla distribuzione di prodotti finiti.
In sintesi, la notte del 20 dicembre sindacati e padronato fanno il regalo di Natale ad oltre 400 operai, firmando un accordo fatto di inviti alla mobilità, elemosine e la notizia che saranno solo 85 gli operai reimpiegati nel nuovo impianto logistico MOL.
Lo scorso 2 dicembre si è tenuto il tavolo di crisi presso il Ministero dello Sviluppo Economico a Roma, al quale hanno partecipato comune, provincia e regione Lombardia unitamente alle sigle di categoria dei sindacati confederali, dell'UGL e alle RSU. Per parte padronale era presente l'Amministratore Delegato di IES che ha illustrato il progetto ormai definito da MOL, colpevolmente assente all'incontro.
I successivi incontri del 4 dicembre in regione e dell'11 di nuovo a Roma non hanno spostato di una virgola la situazione per gli oltre 400 operai direttamente impiegati dall'azienda, ai quali ne vanno aggiunti almeno altrettanti grazie all'indotto generato da lavorazioni così complesse.
All'assemblea dello scorso 7 novembre la situazione era ovviamente tesa, con i confederali come al solito impegnati a tentare di vendere fumo agli operai: sono stati loro stessi infatti attraverso i quattro RLSA aziendali a diradare la nebbia del progetto di conversione, sollevare il reale problema di accordi già presi da tempo tra ENI e MOL, ricordare il fatto che già da metà ottobre la controllata del cane a sei zampe VERSALIS stia provvedendo alla costruzione di un nuovo impianto petrolifero in Ungheria. E soprattutto sollecitare un incontro diretto con i vertici della multinazionale italiana, reale proprietaria di IES.
Tutte motivazioni puntualmente spente dai sindacati, impegnati al Ministero di Zanonato a discutere di salvaguardia e manutenzione degli impianti e della reindustrializzazione del sito; ne sia prova e conferma il verbale nel quale non si registrano solleciti da parte delle cosiddette parti sociali di coinvolgere le due multinazionali al tavolo romano, tanto meno quello territoriale in regione.
E dire che l'annuncio ufficiale di acquisizione da parte degli ungheresi della Italiana Energia e Servizi risale al novembre del 2007, coerentemente con i progetti espansivi di MOL che ha già da tempo le mani in Croazia (con le raffineria INA di Rijeka e Sisak), Austria (conMOL Austria Handels GmbH) e Slovenia (MOL Slovenia), senza scordare gli investimenti nella vicina Slovacchia attraverso SLOVNAFT.
Dal canto suo, MOL informa sprezzante tramite il proprio sito internet di avere lanciato l'investimento a Mantova "nonostante la pesante situazione economica in Italia", di "mantenere una ragionevole parte di lavoratori per rafforzare la propria competitiva posizione sui mercati italiani" e che "ci si aspetta che la nuova operazione porti maggiori benefici in termini finanziari rispetto a quelli registrati in passato con il progetto italiano della raffineria". Il progetto espansivo magiaro punta ad aprire la strada verso il Mediterraneo ed all'intero sud Europa.
Gli avvenimenti degli ultimi quattro mesi mostrano in maniera oggettiva e per l'ennesima volta l'assenza di una progettualità industriale da parte del governo italiano, passivamente in balia dei poteri economico-finanziari dei potenti di turno. Solo lo scorso 7 ottobre era stato proprio il MISE attraverso Giampiero Castano, uno dei suoi dirigenti, a sollecitare il blocco del progetto di MOL; un autunno intenso per gli operai e le operaie, che avevano fatto partire lo sciopero ad oltranza con un corteo cittadino (che ha registrato la solidarietà della quasi totalità dei mantovani), facendo funzionare al minimo gli impianti e convocando a gran voce governo e prefettura.
Le stime per un così drastico ridimensionamento delle attività in Strada Cipata parlano di una sola trentina di addetti che resterebbero a lavorare nei capannoni di MOL, con un taglio occupazionale che si aggira intorno al 90% indotto escluso. Ed anche lo scorso ottobre su questo blog si segnalava il dirompente effetto-crisi in città, con l'esplosione degli sfratti (quasi tutti per morosità incolpevole) e l'allarmante dato delle oltre 5000 case sfitte sul territorio comunale.

Si capiscono dunque le gravi e pesanti responsabilità sociali che gravano sulle spalle di chi ha gestito la situazione (CGIL,CISL,UIL,UGL) unitamente alle istituzioni territoriali ed al governo stesso. Resta vivissimo l'invito di andarsi a vedere documenti e dichiarazioni in parte qui riportati attraverso i link, per vedere l'escalation di pura nefandezza morale di chi ancora si arroga la paternità della gestione delle vertenze del lavoro.
Il milionesimo invito per operaie ed operai a fare da soli, documentando contemporaneamente sui vari capi d'accusa del padronato e dei suoi zerbini.
Mattia Laconca - Operaio,Pavia
 
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view post Posted on 3/1/2014, 16:54

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LA PARABOLA DELLE OPERAIE DI MELFI
Spegnete gli entusiasmi per la "svolta" Fiat, le donne stanno già pagando la politica di Marchionne.


Da Fulvia D’Aloisio
"...L'impatto fortissimo di una fabbrica di auto che assume il 18% di donne, a sud. L'emancipazione dei vecchi lavoretti, le trasformazioni sociali e la vita da "famiglie metalmeccaniche". E poi la crisi, con il ritorno della vecchia economia informale. Così adesso alle donne di Melfi può capitare di fare 3 giorni da operaie e 3 da estetista, per sostenere il reddito familiare...
Le donne in tuta amaranto di Melfi, al sorgere dello stabilimento della Fiat nel 1993, avevano caratterizzato il passaggio alla nuova fabbrica integrata e al modello giapponese inaugurando, proprio nel sud d’Italia, ciò che i teorici dell’organizzazione hanno denominato, non senza qualche perplessità, post-fordismo...
Nella grande fabbrica di Melfi denominata Sata, della superfice di 2 milioni e 700.000 metri quadrati, con una previsione di produzione, all’avvio dello stabilimento, di 450.000 vetture annue, le donne hanno avuto un peso numerico in apparenza non così significativo: il 18% della manodopera, su un totale complessivo previsto di 7.000 dipendenti, che attualmente, secondo la Fiom, si attestano sui 5.700 circa. Si tratta tuttavia della percentuale femminile più alta mai avuta in Fiat, dove la media femminile è del 12%, e di una valenza culturale che va molto al di là del dato numerico: donne metalmeccaniche in Basilicata, una regione con forti ritardi di sviluppo industriale e con una disoccupazione femminile tra le più alte d’Italia, dove queste donne hanno segnato realmente, dal punto di vista antropologico che qui si assume, una svolta nel mondo del lavoro, nei tempi della vita locale, negli equilibri familiari e sociali e nei ruoli di genere. Famiglie Fiat, createsi all’interno dello stabilimento con unioni nate sul posto di lavoro, hanno organizzato la loro vita di coniugi metalmeccanici incastrando turni differenti, in modo da poter gestire alternativamente la vita di coppia e i compiti di cura della famiglia, nel quadro di una crescente collaborazione paritaria, molto più articolata di quella che si poteva rintracciare nelle generazioni dei loro genitori: famiglie dove si riscontra dunque il modello dual earner, ancora così faticoso nella sua piena diffusione in Italia, affermatosi progressivamente a Melfi e in piccoli paesi dove le donne lavoravano sì nelle campagne, ma solo in supporto dei mariti, in maniera quindi invisibile e non riconosciuta, dove i retaggi di vecchi modelli patriarcali facevano ancora sentire la loro eco, dove la cura della famiglia ricadeva in maniera pressoché esclusiva nei compiti ascritti alle donne...
I percorsi di emancipazione variegati e multiformi che hanno interessato le donne della Sata, portando anche a nuove famiglie ricostituite fondate su più moderni rapporti tra vecchi e nuovi nuclei familiari, sembrano subire una battuta d’arresto con la crisi attuale. Lo scenario odierno è preoccupante, ma soprattutto molto contradditorio rispetto alle conquiste comunque ottenute venti anni fa, al momento dell’assunzione. Le giovani donne, tutte al di sotto dei 32 anni, in maggioranza diplomate, avevano vissuto lo stacco, in apparenza definitivo, rispetto ad un passato di precarietà lavorativa, di lavoro temporaneo e in nero, caratterizzato da assenza di tutele e violazioni dei diritti: insomma lavori minuscoli, per usare la famosa espressione di Aris Accornero; avevano raggiunto finalmente una condizione di lavoro tutelata e garantita, stabile, anche se di fatto avevano pagato con un lavoro duro e con una complessiva retrocessione del contratto, rispetto alle altre fabbriche Fiat, quella che nel contesto era stata comunque una conquista di sicurezza lavorativa e di status agiato. Attualmente, molte di loro sono le prime ad adoperarsi per riprendere i loro vecchi “lavoretti” in nero, come estetista domiciliare, come rappresentanti per marchi di prodotti per la casa, collaboratrici domestiche o assistenti per gli anziani, allo scopo di integrare i sempre più esigui redditi da operaie decurtati dalla cassa integrazione...
Oggi che il mercato automobilistico segna battute d’arresto in tutto l’occidente, e la Fiat (ormai Fiat-Chrysler) fatica molto più di altri marchi, la posizione e lo status delle donne della Sata sono gravemente minacciati: quale destino le attenda dipende dalla ristrutturazione in atto a Melfi, dalla produzione di due nuovi modelli (500 X e Mini Suv Jeep), dall’ulteriore anno di lavoro ridotto e di cassa integrazione che separa dall’avvio della nuova produzione.
Le donne della Fiat patiscono, assieme ai loro colleghi uomini, le ristrettezze dello stipendio ridotto con la cassa integrazione guadagni, vivono un clima di crescente tensione lavorativa, di impossibilità in questa delicata fase di manifestare esigenze fondamentali, come l’astensione dal lavoro per malattia o l’impossibilità di sostenere postazioni pesanti, dovute alle ridotte capacità lavorative: il timore di poter perdere il lavoro, di una eventuale riduzione del personale conseguente alla ristrutturazione inducono, a torto o ragione, a sopportare e a stringere i denti, anche in funzione di una settimana lavorativa articolata su soli tre giorni a settimana e su pause a singhiozzo


Da A. Leogrande.
"...In questi vent’anni la vita alla catena di montaggio non è stata una passeggiata. Nel 2004 una vibrante protesta bloccò per quasi un mese la produzione, con la richiesta dell’adeguamento dei salari agli altri stabilimenti del gruppo e dell’eliminazione della famigerata “doppia battuta” che regolava i turni, simbolo dell’organizzazione del lavoro nella fabbrica toyotista. Quella fu, per certi versi, l’ultima fiammata operaia meridionale: una lotta non per la difesa del lavoro che scompare, ma per il miglioramento netto delle sue condizioni e dei suoi rapporti... Con la mutazione della Fiat-Chrysler marchionniana, che getta nel limbo il futuro degli stabilimenti italiani, dal momento che – anche dopo l’acquisizione del 100% della Chrysler – la loro sorte deve ancora essere tracciata caso per caso e valutata sul mercato, quella emancipazione femminile si sta corrodendo.
In attesa della ristrutturazione delle linee per i nuovi modelli (proprio in Basilicata verrà prodotta la nuova jeep) e in presenza di una notevole crisi di mercato dei vecchi, è stata avviata una lunga fase di cassa integrazione. La settimana è articolata su soli tre giorni di lavoro, e le pause a singhiozzo sono frequenti. Di fronte alla contrazione netta del reddito, le famiglie operaie soffrono notevolmente. Così ritornano i lavori minuscoli di ieri: “molte di loro sono le prime ad adoperarsi per riprendere i loro vecchi lavoretti in nero, come estetista domiciliare, come rappresentanti per marchi di prodotti per la casa, collaboratrici domestiche o assistenti per gli anziani”.
La parabola delle operaie di Melfi rischia di essere la parabola della deindustrializzazione del Sud, altrove già potentemente in atto. Sono loro la punta dell’iceberg di un profondo sommovimento in atto in tutto il Mezzogiorno..."
 
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view post Posted on 4/1/2014, 10:37

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FIAT/CHRYSLER AL 100%... CONTRO GLI OPERAI!


Gli operai licenziati della Lear, indotto Fiat di Termini Imerese, da un lato, e il sorriso degli Agnelli dall'altro, è questa l'immagine, riportata da alcuni telegiornali di ieri, che più si avvicina al significato vero del colpo della famiglia Agnelli/Elkann guidata da Marchionne nell'acquisto del 100% della Chrysler. Gli operai licenziati e in cassa integrazione da un lato e la Fiat/Chrysler dall'altro, (e i sindacalisti Bonanni e Angeletti applaudono mentre la Camusso ancora si chiede che cosa intende fare Marchionne!!!).
Gli operai perdono, sia negli Stati Uniti che in Italia, e la Fiat/Chrysler vince in questa battaglia. E le chiacchiere di tutti i politici, i sindacalisti e dei pennivendoli dell'informazione sull'abilità di Marchionne servono a far dimenticare l'esistenza degli operai e a confondere le acque sul tipo di operazione portata avanti. Meno male che tra di loro qualcuno, tra un elogio e l'altro dice anche qualcosa di vero... Stiamo parlando di uno degli articoli del sole24ore di ieri che dice: “Vince l'abilità negoziale del manager” che è stato capace di aspettare il momento buono. E il momento buono, quello dello sciacallo, è arrivato: detta con le parole del giornalista: “Fonti a Wall Street ci fanno capire che uno degli assi nella manica di Marchionne era anche la debolezza finanziaria di Veba, i conti da pagare sono enormi, il fondo medico era in difficoltà e non poteva permettersi di aspettare troppo a lungo.” Ecco il segreto di Marchionne!

Quindi, siccome il fondo pensionistico Veba era in difficoltà dal punto di vista finanziario e non si potevano pagare più l'assistenza e le spese mediche degli operai, i dirigenti del fondo sono stati costretti ad accettare l'offerta di Marchionne di 3 miliardi e 700 milioni di dollari invece dei 5 miliardi richiesti che era il valore del 41,5% delle azioni ancora in mano al fondo.

Quindi gli operai americani che già avevano rinunciato a molti diritti “per salvare la fabbrica” (licenziamenti, salari più bassi per chi è rimasto, divieto di sciopero fino al 2015...) con un peggioramento generale delle loro condizioni di lavoro, e conseguentemente di vita, hanno dovuto piegare la testa anche su questo. E non è ancora finita, dato che il sindacato dell'auto americano Uaw (United Automobile Workers) si è dovuto impegnare anche in altro: “la Uaw assumerà alcuni impegni finalizzati a sostenere le attività industriali di Chrysler e l'ulteriore implementazione dell'alleanza Fiat-Chrysler – si legge nella nota – tra cui l'impegno ad adoperarsi e collaborare affinché prosegua l'implementazione dei programmi di world class manufacturing [uno dei metodi per sfruttare al meglio la forza lavoro riducendo tutti i costi] e a contribuire attivamente al raggiungimento del piano industriale di lungo termine del gruppo”. A quante cose devono ancora rinunciare gli operai?

Quanto l'operazione sia positiva per le casse degli Agnelli ce lo dicono la “grande soddisfazione da parte del Lingotto” come dice il giornalista, che conferma quanto tutto l'andamento della “contrattazione” sia servito a fare risparmiare soldi agli Agnelli che non ha dovuto uscire soldi per ricapitalizzare, cioè per rafforzare finanziariamente l'azienda aggiungendo altri capitali; il tutto si deve chiudere entro 20 gennaio prossimo:
la cifra complessiva dell'accordo è di 4 miliardi e 350 milioni di dollari;
dalle casse della Fiat escono in contanti solo 1 miliardo e 750 milioni;

il resto somiglia molto ad una grande presa in giro perché sarà pagato dalla liquidità presente nelle casse della Chrysler con dividendo straordinario da 1,9 miliardi di dollari, e cioè la Fiat paga il fondo Veba con gli stessi soldi degli operai...

fonte
 
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view post Posted on 8/1/2014, 16:23

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Disoccupati come nel '77, urge rivolta



Come nel 1977, peggio che nel 1977. La disoccupazione giovanile raggiunge - dati Istat di stamattina - la stratosferica percentuale del 41,6%. C'è poco da consolarsi spiegando che, statisticamente, questo numero rappresenta la proporzione tra disoccupati "giovani" e totale dei disoccupati. Sono comunque 659mila...

Ma non va bene per nessuna generazione in età lavorativa. A novembre 2013, gli occupati si sono ridotti a 22 milioni 292 mila, con una perdita ulteriore dello 0,2% rispetto al mese precedente (-55 mila) e del 2,0% su base annua (-448 mila).

Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce pertanto di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precednete e dell'1% rispetto a dodici mesi prima.

ddp1



Il numero di disoccupati è invece salito a 3 milioni 254 mila, con un aumento dell'1,8% rispetto al mese precedente (+57 mila) e del 12,1% su base annua (+351 mila). La crescita tendenziale della disoccupazione è più forte per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%).

Il tasso di disoccupazione è perciò salito pari al 12,7%, in aumento di 0,2 punti percentuali in un solo mese e di 1,4 punti nei dodici mesi.

I disoccupati tra i 15-24enni - i giovani, per l'appunto - sono 659 mila. L'incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all'11,0%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e in aumento di 0,4 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 41,6%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,0 punti nel confronto tendenziale.

Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni invece diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-24 mila unità) mentre resta sostanzialmente invariato rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività si attesta al 36,4%, stabile in termini congiunturali e in aumento di 0,1 punti percentuali su base annua.

La diminuzione degli inattivi - in presenza di una forrte disoccupazione - si spiega abbastanza semplicemnte: gli anziani che vanno in pensione, nonostante l'infame riforma firmata Fornero, sono comunque più dei giovani che arrivano all'"età lavorativa".

Perché stiamo peggio del '77? Perché c'è ancora scarsa opposizione sociale, soprattutto nelle fasce giovanili. E dire che oggi non si può più nemmeno contrapporre seriamente "garantiti" e "non garantiti" (come qualche idiota cominciò a teorizzare allora), perché i primi non esistono più (dopo lo svuotamento dell'art. 18). Stiamo peggio perché la crisi va peggiorando invece di "finire", le politiche imposte dalla Troika provocano deflazione e chiusure in tutti comparti dell'economia, e gli Stati nazionali non hanno più poteri di intervento in campo economico. Insomma: un'altra "legge 285" - quella del '77 - oggi non è possibile. In questo quadro politico europeo, cert
 
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444 replies since 16/8/2013, 11:22   7340 views
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