Comunismo - Scintilla Rossa

Crisi, lavoratori allo sbaraglio

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view post Posted on 10/7/2018, 11:41
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Sud Tribune

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L'illusione di una destra "popolare" si infrange contro la realtà dei fatti: in Austria è reintrodotta la giornata lavorativa di dodici mesi e in Italia la Lega cerca di introdurre una tassa che favorirebbe soltanto i ricchi. E' necessario lavorare proprio su questi argomenti, smascherare la destra padronale e dimostrare che solo i comunisti difendono realmente il popolo, perché nascono in seno ad esso, a differenza delle destre.
 
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view post Posted on 25/11/2018, 15:11

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pernigotti: no alla ricollocazione. nessuna fiducia nelle promesse dell’ingannapopolo di maio

(da slai cobas sc)
Pubblicato il 25/11/2018 di pennatagliente
Ma basta con l’insopportabile tricolore… la bandiera dei lavoratori in lotta è rossa

Pernigotti, agli operai l’avvertimento degli ex colleghi di Bistefani
Oggi i dipendenti della fabbrica casalese, chiusa due anni fa, hanno incontrato i colleghi di Novi Ligure: “Non credete alle rilocalizzazioni: alla fine quasi nessuno riesce a trasferirsi”. Presente anche una delegazione dei metalmeccanici Ilva e Bundy. Intanto si lavora a un corteo e a uno spettacolo con Claudio Lauretta

NOVI LIGURE – I dipendenti della Pernigotti non mollano: anche stamattina erano davanti ai cancelli della fabbrica nonostante la richiesta di sgombero avanzata ieri dall’azienda, sul presupposto che l’occupazione dello stabilimento avrebbe di fatto bloccato la produzione. Un termine – occupazione – che i sindacati non vogliono usare: «Alla Pernigotti i dipendenti sono in sciopero a oltranza e sono riuniti in assemblea permanente». D’altronde, di produzione da bloccare sostanzialmente non ce n’è e la mossa di Pernigotti rischia solo di esacerbare gli animi dei lavoratori che da più di due settimane hanno dato vita a una protesta vivace
Questa mattina a portare la propria solidarietà sono arrivati i metalmeccanici dell’Ilva di Novi e della Bundy Refrigeration di Borghetto Borbera. C’era anche una rappresentanza di ex lavoratori della Bistefani di Casale – dove si producevano i biscotti krumiri – che hanno lanciato un avvertimento ai colleghi novesi. «La fabbrica di Villanova Monferrato è stata chiusa nel 2016 e la produzione trasferita nella sede centrale della Bauli a Castel d’Azzano, nel veronese – hanno raccontato – Ai dipendenti è stato offerto un incentivo per trasferirsi. Molti pur di non perdere il lavoro l’hanno fatto, ma poi si sono resi conto che non era una scelta economicamente sostenibile sul lungo periodo». Morale: su 112 lavoratori solo una dozzina sta ancora lavorando nello stabilimento Bauli, gli altri sono tornati a casa.

https://pennatagliente.wordpress.com/2018/...-slai-cobas-sc/
 
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view post Posted on 27/11/2018, 20:59
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https://scintillarossa.forumcommunity.net/...&st=285#newpost

unità tra lavoratori oltre gli steccati sindacali, mi pare la tendenza giusta...
 
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Yenan
view post Posted on 29/1/2019, 19:38




Non sapevo dove postarlo, se esiste in questo forum un thread più consono al contenuto dell'articolo non esitate a spostarlo!

pc 29 gennaio - Trasporto aereo e Alitalia. Tra profitti capitalistici e lotte dei lavoratori

La mobilitazione del 28 gennaio

di Daniele Cofani
(operaio Alitalia)


Nel 2018 i ricavi passeggero per kilometro sono aumentati del 6,2% rispetto all’anno precedente e nel 2019 l’1% del Pil mondiale (900 miliardi di dollari) sarà speso per i viaggi aerei, a dichiararlo è Alexandre de Juniac direttore generale e Ceo di Iata (associazione internazionale del trasporto aereo) durante il “Global media day” di Ginevra. A novembre 2018, rispetto al periodo precedente, c’è stato un aumento medio della domanda internazionale di passeggeri del 6,6%, trainata principalmente dai vettori europei: in Europa l’aumento della domanda è stato del 9% seguita dagli Usa al 6.1%, Asia-Pacifica 6%, America Latina 5.8% e Medio Oriente 2,8%, in Italia la domanda passeggeri è cresciuta del 5,7% rispetto al periodo precedente. Assolutamente un settore in salute in cui, anno dopo anno, si continuano a stimare e prevedere tassi di crescita sia per quanto riguarda i passeggeri e le merci che i relativi ricavi. Un settore trainante per il turismo e l’economia di numerosi Stati in cui, però, la liberalizzazione del mercato, in assoluto tra le più spietate, e la privatizzazione di aeroporti e compagnie di bandiera, ha di fatto reso un servizio pubblico, con finalità di salvaguardia e rispetto delle esigenze e necessità di intere comunità e Paesi, in uno strumento di profitto in mano a speculatori privati senza scrupoli che, con il supporto dei governi e delle organizzazioni sindacali compiacenti, ha basato le proprie “fortune” su un sistema impostato sullo sfruttamento dei lavoratori e dei territori.

Lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori: Fiumicino, Linate e Malpensa
Ormai la concorrenza tra le varie compagnie si misura ben poco con i servizi offerti, quasi
tutti a pagamento, ma si basa principalmente sul costo del lavoro che viene abbattuto attraverso salari da fame, produttività alle stelle e precarietà diffusa, ma anche mediante terziarizzazioni di attività dove si arriva a utilizzare perfino false cooperative in cui si misura il massimo livello di sfruttamento attraverso ricatti salariali ed occupazionali, dove a farne le spese sono fette di popolazione più povera e lavoratori immigrati.
Tra gli esempi più lampanti possiamo citare senza dubbio lo scalo di Fiumicino, le cui attività sono state delegate alla famiglia Benetton attraverso l’acquisizione e il controllo della società di gestione Aeroporti di Roma, oggi di proprietà del gruppo Atlantia, azienda di famiglia. Ci troviamo, di fatto, di fronte ad un servizio pubblico in concessione ai privati che, finanziandosi con le tasse e tariffe aeroportuali (soldi pubblici), ne ricavano poi profitti personali, né più né meno di come funziona per le autostrade.
Non molto differente la situazione negli scali milanesi di Linate e Malpensa dove la storica società di gestione SEA, dalla quale nel 2014 sono state scorporate (terziarizzate) le attività di Handling verso la società Airport Handling, è di proprietà al 55% del comune di Milano e per il resto della società privata F2i, quest’ultima società infrastrutturale in questi giorni ha anche acquisito il 55% dello scalo triestino.

Il caso Alitalia
All’interno di questa centrifuga del trasporto aereo internazionale, si trova anche Alitalia che dal 2008 ad oggi è di fatto fallita 3 volte ed è in procinto di cambiare di nuovo la propria ragione sociale, (appunto per la terza volta in 10 anni) e tutto ciò non è accaduto perché Alitalia è stata estranea al “gioco” del dumping sociale con la rincorsa al ribasso dei salari e dei diritti o perché in Italia il mercato del trasporto aereo non sia fiorente, anzi tutt’altro: Alitalia in Europa è tra le compagnie, anche paragonata con le Low Cost, con il costo del lavoro più basso e nel nostro Paese viaggiano circa 180 milioni di passeggeri all’anno con previsioni di crescita. Alitalia è stata scientificamente ridimensionata a favore di un progetto ben preciso!
Nel 2000 Loyola De Palacio, commissario europeo per i trasporti, dichiarò che in Europa dovevano rimanere solo 3 grandi compagnie di bandiera a svolgere traffico aereo globale (intercontinentale) e dovevano appartenere ai 3 Stati più industrializzati della EU, Francia (AirFrance), Germania (Lufthansa) e Gran Bretagna (British Airways), tutte le altre dovevano gestire solamente il traffico ancillare. A distanza di 18 anni le dichiarazioni dell’ex commissario sono divenute più che realtà: proprio AirFrance, Lufthansa e British sono le 3 compagnie europee che hanno avuto la maggiore espansione del traffico intercontinentale, avendo un ruolo di primo piano all’interno delle alleanze internazionali insieme alle altre big mondiali dei cieli. Un processo avvenuto molto rapidamente anche grazie alla liberalizzazione del mercato del settore aereo, iniziato nei primi anni 2000 facilitando il proliferare delle compagnie Low Cost, fattore che ha messo in crisi le compagnie aeree tradizionali soprattutto degli Stati minori della EU, che, sotto i colpi di un’efferata concorrenza, in alcuni casi anche sleale, sono andate a perdere pian piano il controllo di ampie fette di mercato, non solo nazionale ma anche internazionale e globale.
Di questo scenario hanno approfittato le grandi compagnie al fine di conquistare e ampliare il controllo del traffico globale attraverso acquisizioni azionarie o totali delle compagnie in crisi o in fallimento. Alitalia è uno dei più evidenti esempi: fallita nel 2008 ne fu, falsamente, salvata “l’italianità” (con 10 mila licenziamenti) dal governo Berlusconi in contrapposizione al piano di vendita ai franco-olandesi del precedente governo Prodi. Falsamente perché nella nuova NewCo il primo azionista fu proprio AirFrance-KLM che, detenendo il 25% delle azioni, gestì gran parte della politica industriale della nuova Alitalia-Cai attraverso una presenza predatoria che di fatto bloccò e ridusse lo sviluppo del lungo raggio da e per l’Italia a favore di Parigi ed Amsterdam e assoggettò le attività di manutenzione della Divisione Manutenzione di Fiumicino portando in terra d’oltralpe numerose rilavorazioni.
Il risultato fu fallimentare tantoché nel 2014 Alitalia si ritrovò sull’orlo di un nuovo fallimento, e l’allora governo Letta/Renzi, invece di nazionalizzare la ex compagnia di bandiera, decise di cederne la cloche al cavaliere bianco emiratino di Etihad che chiese il sacrificio di ulteriori 2000 licenziamenti per dare il via libera all’acquisizione del 49%. Chiaramente anche questa esperienza basò le sue fondamenta su un piano predatorio da parte degli emiratini, i quali spostarono il baricentro del traffico intercontinentale di Alitalia da Fiumicino verso Abu Dhabi e si impossessarono del controllo dei passeggeri AZ acquisendo il programma di fidelizzazione (MilleMiglia). Fu un totale disastro che terminò con la richiesta di ulteriori sacrifici per i lavoratori Alitalia i quali, finalmente, memori dei precedenti “salvataggi”, risposero con determinazione e forza rispedendo a casa tutti gli speculatori privati presenti ancora nella compagine azionaria: gli scioperi del 2017 e il referendum d’aprile, guidati dalle attiviste ed attivisti della Cub Trasporti ed AirCrew Committee, furono un’onda d’urto che mise in crisi tutte le grandi organizzazioni sindacali e la politica tutta, aprendo un non più rinviabile dibattito sul fallimento delle privatizzazioni e sull’importanza della gestione pubblica di asset strategici per il Paese.

Il governo giallo-verde e le nuove minacce di licenziamenti
Alitalia fu posta in amministrazione straordinaria dall’ex ministro dello sviluppo economico Calenda ed ora, dopo roboranti promesse elettorali, con parole d’ordine come zero esuberi e nazionalizzazione, ci sembra di essere tornati indietro come nel gioca dell’oca, indietro al 2008 rispetto la situazione commissariale, al 2014 rispetto le prospettive di un’ennesima vendita ad uno o più diretti concorrenti, ma rispetto anche al referendum del 2017 vista la pretesa di un ulteriore ridimensionamento con licenziamenti e tagli in cambio di investimenti. Con l’avvento del nuovo governo giallo-verde il dossier Alitalia, dopo un breve e sciagurato passaggio al ministero dei trasporti, è passato sotto la gestione del Mise nella veste del ministro Di Maio il quale, dopo aver attaccato per tutta la campagna elettorale la terna commissariale nominata dal predecessore Calenda, lascia Gubitosi e Co. alle redini della compagnia con evidenti risultati nefasti: mentre i media mainstream ci raccontano di misere migliorie di risultati riguardo i ricavi da passeggeri, si “dimenticano” di evidenziare le perdite di gestione che ad oggi ammontano a 1,5 milioni al giorno che con il passare del tempo stanno velocemente erodendo la cassa composta solamente da ciò che rimane dei 900 milioni del prestito ponte. Unico passaggio fin ora effettuato dal governo a novembre’18, è stato l’entrata in partita delle Ferrovie dello Stato attraverso una proposta di acquisizione di Alitalia condizionata e condizionante attraverso dei vincoli, tra cui la partecipazione cospicua nella NewCo di un partner internazionale del settore, quindi un concorrente, e la possibilità di fare arrivare l’alta velocità direttamente all’interno degli aeroporti con garanzie di un ridimensionamento della rete nazionale di Alitalia sovrapposta a quella ferroviaria. Passaggio avvenuto parallelamente all’addio di Luigi Gubitosi (commissario guida di Alitalia), che lascia spontaneamente il timone della compagnia per andare a svolgere il ruolo di A.D. presso TIM: non solo non è stato destituito dal governo, ma è stato addirittura premiato…
FS, nella veste del suo A.D. Battisti, preso l’impegno di presentare un piano industriale entro il 31 gennaio’19, rinviato poi a febbraio, ha iniziato delle serrate trattative con i 2 principali concorrenti che hanno attestato interesse al bando di vendita, il duetto franco-americano Delta Air Lines/AirFrance-KLM e la tedesca Lufthansa. Entrambe le proposte prevedono un ridimensionamento con licenziamenti e tagli: i tedeschi pretendono una dura ristrutturazione con la “messa a terra” di circa 40 dei 118 aerei operativi in AZ con relativi 6 mila esuberi, compresi i lavoratori dell’Handling che sarebbero totalmente esclusi dalla procedura, inoltre esigono la maggioranza azionaria e la governance su attività e tratte. I franco-americani propongono un piano più “soft” in cui sarebbero solo 8 gli aerei esclusi dall’attuale flotta e gli esuberi si attesterebbero a quota 2/3 mila con una percentuale azionaria pari al 40% ma con l’opzione del totale controllo della guida operativa e delle rotte intercontinentali, le più remunerative, anche attraverso la connotazione della nuova Alitalia nella prossina joint venture transatlantica e nell’alleanza SkyTeam in cui la compagnia italiana avrebbe, in ogni caso, un ruolo marginale.

Centrodestra, centrosinistra, gialloverdi: tutti le stesse politiche padronali
Il dato è uno ed inequivocabile: il governo si appresta a vendere e privatizzare per la terza volta in 10 anni la ex compagnia di bandiera italiana attraverso un ulteriore ridimensionamento, con altre migliaia di licenziamenti, in nome di un rilancio che mai potrà essere garantito da nessuno dei diretti concorrenti, i quali sarebbero interessati solo a impossessarsi del controllo del ricco mercato del trasporto aereo della penisola attraverso, appunto, l’acquisizione della rete dei collegamenti in capo ad Alitalia. Sarebbe il più grande tradimento dell’inconfutabile mandato dei lavoratori Alitalia rappresentato da mesi di dura lotta e dal risultato referendario, mandato che mai accetterebbe l’ennesimo ridimensionamento con conseguenti licenziamenti e tagli, e soprattutto non accetterebbe, dopo i governi di centrodestra e centrosinistra, un ulteriore diniego anche da parte del governo del “cambiamento” a rendere di nuovo pubblica quella che dovrebbe essere la compagnia di bandiera italiana. Anche un’eventuale partecipazione pubblica al 51% non assicurerebbe l’autonomia del controllo operativo della compagnia e di conseguenza del trasporto aereo nazionale, ma sarebbe funzionale solo come garanzia per i papabili acquirenti e alleati che, non a caso, pretendono da subito la governance sulle tratte. Abbiamo l’esempio portoghese dove, il governo del “bloqueio à esquerda”, sceneggiando una ri-nazionalizzazione della compagnia di bandiera Tap, ha solamente versato soldi pubblici a garanzia dei privati, i quali continuano ad avere la totale governance senza favorire nessuno sviluppo e senza nessun beneficio per i lavoratori: continuano a rimanere esternalizzate tutte le attività di Handling e i lavoratori Tap, insieme ai colleghi Iberia ed Alitalia, hanno i salari più bassi d’Europa a confronto, oltre che con le compagnie di riferimento, anche con alcune Low Cost.
L’assurdo si evidenzia ancora di più se andiamo a consultare i dati del traffico aereo in Italia: Assoaeroporti ci informa che nel 2018 negli aeroporti italiani sono “atterrati” 185 milioni di passeggeri con un aumento di circa il 6% rispetto al 2017 dove, a farla da padrone, sono stati l’aeroporto di Roma-Fiumicino (42 milioni) e Milano-Malpensa (25 milioni) i due Hub intercontinentali. In tutto ciò Alitalia trasporta non più di 25 milioni di passeggeri l’anno e rinunciare, per l’ennesima volta, ad un suo sviluppo, significherebbe lasciare campo aperto ai big dei cieli e alle Low Cost, proprio in un anno in cui, alcune di loro, mostrano una determinata sofferenza, in parte dettata dalle mobilitazioni dei piloti e assistenti di volo che con forza hanno rivendicato migliori condizioni, in parte dovute dalla questione Brexit che vede coinvolte le compagnie Low Cost britanniche Ryanair ed EasyJet ma anche il gruppo IAG di cui fanno parte la British Airways, le spagnole Iberia e Vueling, l’irlandese AirLingus e la Norwegian, le quali, nel dopo Brexit, in previsione degli accordi, potranno viaggiare liberamente all’interno dell’Europa solamente se la loro quota azionaria sia al 51% in possesso di una o più società EU, al contrario gli sarebbero concesse solo tratte dirette da/per Regno Unito ed EU.

L'"imperialismo dei cieli" e la necessità di una lotta internazionale
Come appare evidente dai fatti e dall’analisi fin qui evidenziati, il settore aereo, di sua natura, vive in un sistema internazionale in cui la fanno da padrone i grandi capitali provenienti dagli Stati più potenti del globo, una sorta di "imperialismo dei cieli" in cui Paesi come Usa, Cina, Emirati Arabi, Francia, Germania, Gran Bretagna, controllano la gran parte dei flussi e dei ricavi anche attraverso la guida delle più importanti alleanze del settore (SkyTeam, OneWold, StarAlliance), in cui le compagnie minori, con una dimensione cosiddetta regionale, svolgono solo un servizio ancillare.
È chiaro che per opporsi a tutto ciò non potranno essere sufficienti, anche se importanti, le lotte intraprese singolarmente nei vari territori o aziende/compagnie, ma la strada da percorrere sarebbe tentare di unificare le rivendicazioni e le iniziative a partire da una base nazionale per poi estenderla a livello internazionale.......
 
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view post Posted on 1/2/2019, 15:46

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Logistica. A Piacenza i fascisti stanno con i padroni e contro i lavoratori

http://contropiano.org/news/politica-news/...atori-2-0111998
 
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da oggi entra in vigore per arcelor mittal l’immunità penale.
i padroni ottengono sempre quello che vogliono, gli operai perdono sempre…



(da taranto contro)

… e viene loro negato lavoro, sicurezza, salute, diritti, salario. Si conferma che ogni governo in questo sistema capitalista è un comitato d’affari della borghesia.

NON C’E’ ALTERNATIVA PER GLI OPERAI E LE MASSE POPOLARI CHE ORGANIZZARSI PER ROVESCIARE QUESTO SISTEMA DEI PADRONI!

*****
Da Gianmario Leone
pubblicato il 04 Settembre 2019

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 3 settembre 2019, n. 101 recante ‘Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali‘. Il provvedimento entrerà in vigore oggi, 5 settembre…
L’art. 14 del decreto è quello riguardante le ‘Disposizioni urgenti in materia di ILVA S.p.A‘. Il testo dell’articolo prevede la modifica del famoso articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, quello che introdusse l’esimente penale.

continua qui: https://pennatagliente.wordpress.com/2019/...taranto-contro/
 
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Padroni, governo e cgil-cisl-uil, ovvero la “concertazione”
che licenzia operai e rende eterna la cassa integrazione


(da slai cobas sc)
Pubblicato il 01/10/2019
di pennatagliente

da operai contro
LE FABBRICHE SOSPESE NEL NULLA
Risulta sempre più evidente che i capi sindacali hanno scelto, come unica risposta alla chiusura delle fabbriche ed ai licenziamenti, la Cassa Integrazione Straordinaria. Sollevano i padroni da ogni responsabilità economica e costringono gli operai a vivere con un miserabile sussidio dello Stato
Caro Operai Contro,
meno di un mese fa Di Maio era ancora ministro del lavoro. Per più di un anno ci ha tempestati con gli effetti salvifici del “decreto dignità”. Erano tutte balle, oggi 300 mila lavoratori a stragrande maggioranza operai, di 160 aziende in crisi (indotto compreso) sono in cassa integrazione, sul piano inclinato verso il licenziamento.
Citiamo per tutte Alitalia, Mercatone 1, fino ai casi di storie infinite come Alcoa o le Acciaierie di Piombino e l’ex Fiat di Termini Imerese, o quelli “indefinibili” quali l’Ilva, o gli accordi “trappola” tipo Whirlpool ecc. Questi i nomi più famosi tra le 160 aziende per lo più sconosciute alle cronache.
Nel solo mese di giugno di quest’anno, l’incremento tendenziale della Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria), è stato addirittura del 99,8 per cento. Nei primi 6 mesi del 2019 la Cigs è salita del 41,84 per cento, con in testa l’industria e l’edilizia.
Un balzo dovuto anche al fatto che l’anno scorso il primo governo Conte, nel tentativo di frenare il dilagare dei licenziamenti immediati, ha ripristinato la Cigs per cessata attività che il governo Renzi aveva cancellato con il Jobs act.
300 mila lavoratori sospesi nel nulla che le aziende hanno potuto espellere senza tante storie, con la collaborazione di un sindacalismo rinunciatario, arenato sulle esigenze del padrone e del suo profitto: tagliare personale per sostituirlo con contratti precari, o chiudere la fabbrica, o trasferirla ecc.
La prassi è la solita. Il padrone comunica in modo più o meno mascherato gli “esuberi”. Il sindacato converge con la richiesta aziendale della cassa integrazione, (o la richiede quando il padrone punta al licenziamento diretto), ma non innesca alcuna seria lotta operaia contro i licenziamenti.
La Cigs nei fatti diventa l’obbiettivo e la “soluzione” del sindacato. La lotta contro i licenziamenti comunque mascherati, viene abbandonata in partenza. La Cigs non viene usata come condizione momentanea nella lotta contro i licenziamenti, bensì per prolungare l’agonia degli operai marchiati come “esuberi”.
Non è più accettabile una condizione simile. Un esercito di 300 mila uomini tenuti fermi a marcire senza lottare, senza una meta, una direzione in cui muoversi, mentre avanza lo spettro della disoccupazione.
A maggio 2019 la domanda di disoccupazione (Naspi) è aumentata del 1,3 per cento in un anno, pari a 104.800 nuovi disoccupati. Sia Cigs che Naspi nel primo semestre 2019 sono salite a doppia cifra percentuale.
In molte aziende, quando il padrone dichiara gli esuberi, il sindacato promette e simula una risposta di lotta, ma finisce tutto con qualche ora o al massimo un giorno sui cancelli.
Nelle assemblee il funzionario sindacale di turno, dice che al tavolo del ministero “andremo a vedere le carte”. Al ritorno verrà ufficializzato se si tratta di crisi di ristrutturazione, o riorganizzazione, o riconversione o se interverrà l’amministrazione straordinaria, o altro. In seguito il sindacato introdurrà il “piano di ricollocazione” che in realtà non ricolloca nessuno. Come dimostra, tanto per fare un esempio, l’accordo all’Astom di Sesto San Giovanni (Mi) in cui, dopo 2 anni, nessun operaio è stato “ricollocato”.
Spesso il sindacato non convoca in assemblea con regolarità i cassaintegrati. Restano per mesi abbandonati a se stessi ognuno per conto suo. Il padrone spera così che si disperdano senza clamori, prima ancora che finisca la Cigs. Anche il sindacato tira un sospiro di sollievo, se tanti cassaintegrati non si presentano più alle ultime assemblee, quando con la fine della Cigs si avvicina il licenziamento e la disoccupazione.
La rabbia e la protesta, che tante volte gli operai esprimono quando vengono intervistati sui cancelli e si sfogano, non hanno la possibilità di esprimersi e trasformarsi in lotta, perché il sindacato non la organizza. Non ha, e non vuole avere, obbiettivi oltre la Cigs, pur sapendo che, anche se prorogata, alla fine della Cigs ci sono i licenziamenti. La ricollocazione è solo uno specchietto per allodole.
In ogni fabbrica e in ogni posto di lavoro, ci sono sicuramente operai decisi a rompere il ghiaccio per fermare un sindacalismo fallimentare. Questi operai possono e devono farlo! Con proposte di lotta e chiarimenti con i propri compagni di lavoro, anche riunendosi fuori dalla fabbrica, impegnandosi per organizzarsi collettivamente. Individuare operai combattivi in altre fabbriche con i quali collegarsi.

https://pennatagliente.wordpress.com/2019/...-slai-cobas-sc/
 
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view post Posted on 4/10/2019, 17:35
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addàrivenì baffone

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A Padova l'azienda Tigotà del boia Gottardo, una delle più ributtanti realtà della grande distribuzione organizzata in Italia ha costretto al crumiraggio infame i dipendenti dei suoi negozi per andare contro allo sciopero dei magazzinieri centrali di Padova (da dove mandano la merce nei negozi in tutto il centro-nord). Lo schiavista Gottardo è un habituè dello sfruttamento più regressivo che colpisce i lavoratori della logistica https://mattinopadova.gelocal.it/padova/cr...peva-1.15425567 e nonostante le inchieste, dalle quali si è sempre salvato, ha continuato per sua strada, i lavoratori del magazzino di Padova tuttavia stanno lottando strenuamente da più di un anno contro questo infame creandogli non pochi disagi tanto da doverlo spingere ad arruolare gli scarti del genere umano: i crumiri.


Padova, scontro fra lavoratori a Tigotà: «Sciopero», «Vogliamo lavorare»



Terzo giorno di presidio davanti al magazzino del gruppo Gottardo. Un centinaio di dipendenti sfila in corteo, la polizia tiene a distanza le due fazioni

PADOVA Sciopero e contro-sciopero tra lavoratori nella stessa azienda, giovedì 3 ottobre in corso Spagna, intorno al magazzino padovano di Tigotà, marchio del gruppo Gottardo specializzato in prodotti per la casa e la bellezza. Una trentina di lavoratori, impiegati ogni giorno nella logistica di Tigotà ma dipendenti di una cooperativa esterna, tutti aderenti al sindacato Adl-Cobas, hanno presidiato l’ingresso del magazzino per il terzo giorno consecutivo. Invece, nel perimetro aziendale, altri lavoratori, questi assunti direttamente da Tigotà, hanno esposto due striscioni di Tigotà in segno di protesta contro lo sciopero. Alla vista dei colleghi, i manifestanti di Adl-Cobas hanno urlato frasi come «Vergogna» e «Servi dei padroni». Poco dopo, dal vicino quartier generale di Tigotà, è partito un corteo con un centinaio di dipendenti, tra cui molte commesse che hanno sfilato lungo corso Spagna e hanno scandito il coro «Vogliamo lavorare». I manifestanti di Adl-Cobas sono andati incontro al corteo, e la polizia ha bloccato la strada in assetto anti-sommossa per tenere a distanza le due fazioni. Adl-Cobas protestava contro il mancato rinnovo di 17 contratti a tempo determinato nel magazzino Tigotà di Broni (Pavia), e per chiedere alcuni miglioramenti contrattuali. «I nostri lavoratori sono stufi di subire questi blocchi pretestuosi – ha detto Stefania Casonato, responsabile delle risorse umane di Tigotà – Se questa situazione non si sblocca, i 700 negozi serviti dai magazzini di Padova e Broni resteranno chiusi e questi lavoratori resteranno a casa».
 
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"Lavoratori contro lavoratori"

Un capolavoro della classe borghese!
 
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addàrivenì baffone

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oltre 600 lavoratori rischiano di finire sul lastrico:

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Aziende bolognesi in crisi, ore decisive
Le vertenze di Bredamenarini, La Perla e Mercatone Uno sul tavolo oggi e domani del Ministero dello Sviluppo

https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019...sive-237926287/
 
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«Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire»: Milano, le minacce in azienda a una dipendente
I racconti delle lettrici del «Corriere»

Le parole affidate a un «emissario» dal datore di lavoro, con lo scopo di spingere una dipendente a dimettersi. «Ma io non cedo»

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca...ayeOKpO7Na1EIyw
 
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Dati 2018
Eurostat. In Campania il 41,4% della popolazione a rischio povertà, top Ue
Reddito sotto 60% media nazionale; in Sicilia il 40,7%

In Campania e in Sicilia oltre quattro persone su dieci sono "a rischio povertà" ovvero hanno un reddito disponibile dopo i trasferimenti sociali inferiore al 60% di quello medio nazionale. Si tratta del livello più alto in Ue.[..]
 
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CITAZIONE
Terracina. Sparava verso i braccianti per farli lavorare di più: arrestato

Tra non molto sarà legale con gran parte dei lavoratori d'accordo!
 
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vietcong

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Truffato con un corso finto, un disoccupato si suicida
Business della Formazione. Un giovane calabrese era convinto di conseguire il diploma di operatore socio sanitario. Business della formazione: sei arrestati nel cosentino e nel napoletano
Claudio Dionesalvi | Il Manifesto 24.10.2019

Spendere 2mila euro, impegnare tempo ed energie in un ospedale «fantasma», nella speranza di acquisire il titolo per svolgere un umile lavoro nelle corsie di un ospedale o di una clinica. Alla fine ritrovarsi truffati, con della carta straccia in mano. [..]
 
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