Comunismo - Scintilla Rossa

L'antistalismo del Che

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folagra
view post Posted on 6/9/2011, 14:19




Il socialismo secondo Che Guevara
Il pensiero di Ernesto Che Guevara ha vissuto una profonda evoluzione. Dalla critica crescente al modello sovietico fino all'elaborazione di una riflessione originale
7 ottobre 2007 - Michael Löwy (Autore di «La Pensée de Che Guevara», Syllepse, Parigi, 1997. )
Fonte: Il Manifesto (www.ilmanifesto.it)


Giorno dopo giorno, Ernesto Che Guevara ha abbandonato le illusioni iniziali sull'Urss e sul marxismo di stampo sovietico. In una lettera del 1965 al suo amico Armando Hart (ministro cubano della cultura), critica duramente il «conformismo ideologico» che a Cuba si manifesta nella pubblicazione di manuali sovietici per l'insegnamento del marxismo - un punto di vista analogo a quello sostenuto nello stesso periodo da Fernando Martinez Heredia, Aurelio Alonso e dai loro amici del dipartimento di filosofia dell'Università dell'Avana, editori della rivista Pensamiento critico. Questi manuali - che chiama i «mattoni sovietici» - «hanno l'inconveniente - scrive - che non ti lasciano pensare: il Partito l'ha già fatto al tuo posto e tu devi solo digerire la lezione».
Sempre più esplicitamente, si percepisce la ricerca di un modello altro, un metodo diverso di costruzione del socialismo più radicale, più egualitario, più solidale.
Il «Discorso di Algeri»
L'opera del Che non è un sistema chiuso, un ragionamento compiuto che ha una risposta per tutto: su molte questioni - la democrazia socialista, la lotta contro la burocrazia - la sua riflessione rimane incompleta, interrotta dalla morte nel 1967 e dunque incompiuta. Ma, a questo riguardo, Martinez Heredia fa bene a sottolineare: «L'incompiutezza del pensiero del Che (...) ha anche aspetti positivi. Il grande pensatore indica dei problemi e dei percorsi (...), pretende dai suoi compagni che pensino, studino, uniscano pratica e teoria. Se si assume il suo punto di vista, diventa impossibile dogmatizzare il suo pensiero e convertirlo in un (...) blocco (...) di proposizioni e prescrizioni».
In un primo tempo - dal 1960 al '62- Guevara ha riposto molte speranze nei «paesi fratelli» del cosiddetto «socialismo reale». Dopo alcune visite in Unione sovietica e negli altri paesi dell'Est, e dopo l'esperienza dei primi anni di transizione verso il socialismo a Cuba, si mostra sempre più critico. Le sue divergenze sono espresse pubblicamente in diverse occasioni e in particolare, nel 1965, nel celebre «Discorso d'Algeri». Ma il suo tentativo di formulare un approccio originale al socialismo inizia negli anni 1963-'64, durante il grande dibattito economico che coinvolge Cuba.
Tale dibattito contrappose allora i fautori di una sorta di «socialismo di mercato», con autonomia delle aziende e ricerca del profitto- come in Urss - a Guevara, che difendeva la pianificazione centralizzata fondata su criteri sociali, politici ed etici: piuttosto che premi di produzione e prezzi determinati dal mercato, egli propone di rendere gratuiti alcuni beni e servizi. Una questione, tuttavia, rimane poco chiara negli interventi del Che: chi prende le decisioni economiche fondamentali? In altri termini, il problema della democrazia nella pianificazione.
Su questo e su molti altri temi, alcuni documenti inediti di Guevara recentemente pubblicati a Cuba offrono nuove prospettive. Si tratta delle sue «Note critiche» al Manuale d'economia politica dell'Accademia delle scienze dell'Urss (edizione spagnola del 1963) - uno di quei «mattoni» di cui parlava nella lettera a Hart - redatte durante il suo soggiorno in Tanzania e soprattutto a Praga, nel 1965-'66: né un libro né un saggio, ma una collezione d'estratti dell'opera sovietica spesso seguiti da commenti acidi e ironici.
Da molto tempo, troppo tempo, si attendeva la pubblicazione di questo documento. Per decenni è stato «fuori circolazione»: solo qualche ricercatore cubano è stato autorizzato a consultarlo e citarne dei passaggi. Grazie a Maria del Carmen Ariet Garcia del centro studi Che Guevara dell'Avana, che ne ha curato l'edizione, esso è ora a disposizione dei lettori interessati. Questa edizione aggiornata contiene d'altronde altri materiali inediti: una lettera a Fidel Castro dell'aprile 1965, che fa da prologo al libro; note su degli scritti di Marx e di Lenin; una selezione dei verbali delle conversazioni tra Guevara e i suoi collaboratori del ministero dell'industria (1963-'65) - già parzialmente pubblicate in Francia e in Italia negli anni '70; lettere a diverse personalità (Paul Sweezy, Charles Bettelheim); brani di un'intervista con il periodico egiziano Al-Taliah (aprile 1965).
L'opera testimonia allo stesso tempo l'indipendenza mentale di Guevara, la presa di distanza dal «socialismo reale» e la ricerca di una via radicale. Essa mostra anche i limiti della sua riflessione.
Cominciamo da questi: il Che, fino a quel momento - si ignora se la sua analisi a tale proposito sia proseguita nel 1966-'67 - non ha capito la questione dello stalinismo. Egli attribuisce le impasse dell'Urss negli anni '60... alla nuova politica economica (Nep) di Lenin! Certamente, ritiene che, se Lenin avesse vissuto più a lungo - « Ha commesso l'errore di morire», annota con spirito- ne avrebbe corretto gli aspetti più arretrati. Rimane tuttavia convinto che l'introduzione di elementi capitalistici con la Nep abbia portato a profonde derive, andando nel senso della restaurazione del capitalismo, che si osserva nell'Unione sovietica del 1963.
Tuttavia, non tutte le critiche di Guevara alla Nep sono fuori luogo. Esse coincidono talvolta con quelle dell'opposizione di sinistra (in Urss) del 1925-'27; per esempio, quando osserva che «i quadri si sono alleati al sistema, costituendo una casta privilegiata». Ma l'ipotesi storica che rende la Nep responsabile delle tendenze procapitalistiche nell'Urss di Leonid Brejnev è evidentemente poco pertinente. Non che Guevara ignori il ruolo nefasto di Stalin... In una delle «Note critiche» affiora questa frase precisa e sorprendente: «Il terribile crimine storico di Stalin fu l'aver disprezzato l'educazione comunista e istituito il culto illimitato dell'autorità». Se questa non è ancora un'analisi del fenomeno staliniano, ne è già un categorico rigetto.
Nel «Discorso d'Algeri», Guevara esigeva dai paesi che si dichiaravano socialisti di sbarazzarsi «della loro tacita complicità con i paesi occidentali sfruttatori», che si traduceva in rapporti di scambio ineguale con i popoli in lotta contro l'imperialismo. La questione riappare più volte nelle «Note critiche» sul manuale sovietico. Mentre gli autori dell'opera ufficiale sottolineano l'«aiuto reciproco» tra i paesi socialisti, l'ex-ministro dell'industria cubana deve ammettere che ciò non corrisponde alla realtà: «Se l'internazionalismo proletario guidasse gli atti dei governi di ogni paese socialista (...) sarebbe un successo. Ma l'internazionalismo è sostituito dallo sciovinismo (della grande potenza o del piccolo paese) o la sottomissione all'Urss (...). Questo distrugge i sogni onesti dei comunisti del mondo».
Il cesto di granchi
Qualche pagina più avanti, commentando ironicamente l'elogio da parte del manuale della divisione del lavoro tra paesi socialisti fondata su una «fraterna collaborazione», Guevara osserva: «Quel cesto di granchi che è il Consiglio di mutuo aiuto economico smentisce tale affermazione nella pratica. Il testo si riferisce a un ideale possibile solo attraverso la pratica reale dell'internazionalismo proletario, ma oggi esso è tristemente assente». Nella stessa direzione, un altro passaggio constata con amarezza che, nei rapporti tra paesi che si rivendicano socialisti, si trovano «fenomeni d'espansionismo, di scambio ineguale, di concorrenza, finanche di sfruttamento e certamente di sottomissione degli stati deboli ai forti».
Infine, quando il manuale parla della «costruzione del comunismo» in Urss, il critico pone la domanda retorica: «Si può costruire il comunismo in un solo paese?» Un'altra nota in tal senso: Lenin, constata il Che, «ha nettamente affermato il carattere universale della rivoluzione, cosa che in seguito è stata negata» - un riferimento trasparente al «socialismo in un solo paese».
La maggior parte delle critiche di Guevara al manuale sovietico corrisponde ai suoi documenti economici degli anni 1963-'64: difesa della pianificazione centrale contro la legge del valore e contro le fabbriche autonome regolate dal mercato; difesa dell'educazione comunista contro le motivazioni monetarie individuali. Si preoccupa anche dell'interesse materiale dei dirigenti delle fabbriche, che considera come un principio di corruzione.
Guevara difende la pianificazione come l'asse centrale del processo di costruzione del socialismo, in quanto «libera l'essere umano dalla condizione di cosa economica». Ma riconosce - nella lettera a Fidel - che a Cuba «i lavoratori non partecipano alla costruzione del piano».
Chi deve pianificare? Il dibattito del 1963-'64 non aveva dato una risposta. È in questo campo che le «Note critiche» del 1965-'66 presentano i progressi più interessanti: alcuni passaggi pongono chiaramente il principio di una democrazia socialista in cui le grandi decisioni economiche sono prese dal popolo stesso. Le masse, scrive il Che, devono partecipare all'elaborazione del piano, mentre la sua esecuzione è una questione puramente tecnica. Nell'Urss, secondo lui, la concezione del piano come «decisione economica delle masse, consapevoli del proprio ruolo» è stato sostituito da un placebo, mentre le leve economiche determinano tutto. Le masse, insiste, «devono avere la possibilità di dirigere il loro destino, decidere quanto va destinato all'accumulazione e quanto al consumo»; la tecnica economica deve operare con queste cifre - decise dal popolo -, e «la coscienza delle masse deve assicurare la sua realizzazione».
Il popolo deve decidere
Il tema torna a più riprese: gli operai, scrive, il popolo in generale, «decideranno sui grandi problemi del paese (tasso di crescita, accumulo-consumo)», anche se il piano sarà opera di specialisti. Una separazione così meccanica tra le decisioni economiche e la loro esecuzione è discutibile; ma, con queste formulazioni, Guevara si avvicina notevolmente all'idea di pianificazione socialista democratica. Non ne trae ancora tutte le conclusioni politiche - democratizzazione del potere, pluralismo politico, libertà d'organizzazione -, ma non si può contestare l'importanza di questa nuova visione della democrazia economica.
Queste note possono essere considerate una tappa importante nel cammino di Guevara verso un'alternativa comunista democratica al modello sovietico. Un percorso brutalmente interrotto, nell'ottobre del 1967, da assassini boliviani al servizio della Central intelligence agency (Cia).
Note:

(Trad. di Angela D'Alessandro)
Copyright Le Monde diplomatique/il manifesto.

Che Guevara e i Paesi dell'Est.


Relazione di Antonio Moscato al seminario annuale della fondazione Che Guevara.

Acquapendente, 15-17 giugno 2001

Michael Löwy mi ha regalato ieri una copia di un suo piccolo libro su Guevara pubblicato nel lontano 1969 da Feltrinelli. Lo avevo letto con piacere a suo tempo, ma lo avevo perduto e in parte dimenticato. Rileggendolo ho avuto una conferma che già allora non era impossibile capire l’atteggiamento critico dell’ultimo Guevara nei confronti di quei paesi che egli chiamava ancora convenzionalmente “socialisti”, ma su cui esprimeva dubbi e critiche sempre più severe. Certo molte di esse sono rimaste inedite, soprattutto quelle più esplicite, come quei passi delle note critiche al Manual de economia política dell’Accademia delle scienze dell’URSS, in cui Guevara aveva commentato alcune affermazioni del libro con questa annotazione: “questo riguarda l’URSS, non il socialismo”. Il che voleva dire implicitamente che quando scriveva quel testo, a Dar es-Salaam, dove aveva dovuto ritirarsi nel novembre 1965, dopo il fallimento dell’impresa nel Congo, l’URSS per lui non era socialista.

Ma lasciamo da parte per un momento gli inediti, anche se una piccola ma non insignificante parte di essi non sono più tali, dato che sono stati pubblicati in Francia da Maspero, in Italia prima dal Manifesto e poi in forma più organica da Massari, e nessuno da Cuba ne ha mai smentito l’autenticità. Altri sono stati citati largamente da Carlos Tablada, nella nuova edizione italiana del suo prezioso libro dedicato al pensiero economico di Guevara, che nel 1987 aveva ricevuto il premio Casa de las Américas ed era stato elogiato dallo stesso Fidel Castro, ma era stato pubblicato poi nello stesso anno con moltissimi tagli “suggeriti” dai redattori cubani (tagli al testo di Tablada, ma anche a molte frasi del Che…). La prima edizione era stata subito pubblicata in italiano dalla Erreemme, la seconda, apparsa inizialmente in Belgio, è stata tradotta in italiano dal Papiro di Sesto San Giovanni nel 1996.[1]

Nelle oltre 70 pagine di Introduzione alla nuova edizione c’è un’ampia utilizzazione di brani inediti tratti dalle note al Manuale, ma anche da trascrizioni di conferenze o lettere a compagni cubani che le avevano fatte leggere e copiare a Tablada. Tuttavia anche questo lavoro, che pure contribuisce meglio di altri a ricostruire l’itinerario politico e teorico del Che nella sua fase più matura, è stato ignorato tranquillamente in Italia dai nostalgici del “socialismo reale”, che usano magari il ritratto del Che sulle magliette, ma si guardano bene dal leggerne gli scritti e utilizzarli per capire che cosa è accaduto tra il 1989 e il 1991. Eppure quello straordinario autodidatta che era Guevara aveva previsto quella sconfitta, osservando dall’interno di Cuba le contraddizioni del sistema sorto in URSS ed esportato poi in tanti paesi: un sistema che di fronte ai sintomi inequivocabili della crisi cercava di guarire usando come medicina elementi di capitalismo, invece di correggersi tentando di ritornare alle origini.

Guevara invece, e lo hanno confermato più volte molti dei suoi collaboratori più stretti, a partire da Orlando Borrego, nei numerosi convegni organizzati a Cuba dopo il discorso di Fidel Castro del 1987 che invitava a studiare il pensiero del Che, aveva sostenuto che quando un aereo smarrisce la rotta, non deve cercarla a caso dal punto in cui è arrivato, ma deve tornare verso il punto di partenza. E la metafora veniva esplicitata: bisogna tornare a Lenin, bisogna leggere tutto quello che ha scritto dal 1917 in poi, senza per questo accettarlo in blocco acriticamente. Ma bisogna ripartire dai dibattiti degli inizi degli anni Venti, perché dopo non si è prodotto più nulla di paragonabile a quella ricerca teorica.

A questo proposito va detto che quei convegni sono stati un momento importante per la comprensione del pensiero del Che, soprattutto perché avevano incoraggiato a parlare molti di quelli che durante i quindici anni di dominazione ideologica sovietica praticamente incontrastata avevano dovuto tacere, o almeno non pubblicare nulla. In uno di essi parlarono alcuni dei consiglieri sovietici e cecoslovacchi, che avevano fatto esperienze straordinarie accanto al Che, giunti a Cuba nel 1988 con tutte le inquietudini di una fase in cui le contraddizioni dei paesi in cui vivevano si avvicinavano all’esplosione. Quei convegni fecero balenare la speranza di una effettiva ripresa dello studio del pensiero di Guevara, ma furono solo un breve momento circoscritto, di cui rimase traccia quasi soltanto negli Atti pubblicati a Cuba intirature limitate e spesso messi in circolazione in dollari.[2]

Il più importante lavoro collettivo, promosso da quel Centro studi sull’America in cui si erano raccolti molti degli intellettuali cubani che avevano diretto a suo tempo la rivista Pensamiento critico, si concretizzò in un libro in due tomi, Pensar al Che, di cui pochi anni dopo è uscita in Italia un’ampia ed esauriente selezione in un solo volume a cura di Adriana Chiaia presso l’editore Teti, col titolo Attualità del Che.[3] Ma anche se quel libro era uscito a Cuba con l’avallo di una Prefazione importante (il ministro della cultura e leader storico della rivoluzione Armando Hart), non aveva contribuito molto a diradare l’ignoranza sul pensiero del Che in quella sinistra italiana che continua a venerare il “guerrigliero eroico” e a ignorare il pensatore lungimirante.

In ogni caso, anche senza tenere conto di tutti questi squarci nel velo di reticenza e di censura che aveva occultato a lungo la ricchissima produzione dell’ultimo Guevara, e prima che questi brani e queste testimonianze fossero accessibili, era possibile ricostruire l’itinerario politico del Che nell’ultimo periodo della sua vita. Ho già accennato a quello che scrisse alla fine degli anni Sessanta il giovane Michael Löwy, ma vorrei ricordare quanto io stesso, ben prima di avere accesso per la prima volta nel 1993 e 1994 a parte degli inediti del Che, avevo potuto scrivere in alcuni saggi apparsi su “Latinoamerica”.[4] Almeno per quanto mi riguarda, lo spunto fondamentale era venuto da alcuni degli scritti editi ufficialmente a Cuba e in tutto il mondo: Il socialismo e l’uomo a Cuba, il messaggio alla Tricontinentale (Creare due, tre, molti Vietnam), e soprattutto il discorso al secondo Seminario afroasiatico di Algeri del febbraio 1965. Grazie ad essi ho avuto lo stimolo a cercare quegli inediti, di cui conoscevo solo vagamente l’esistenza e di cui intuivo l’importanza proprio per il riserbo da cui erano circondati.

Chi ha ignorato dunque la portata della critica del Che maturo, magari aggrappandosi a citazioni isolate di lettere del periodo giovanile, o a suoi discorsi del primissimo periodo di conoscenza dei paesi del blocco sovietico (quando egli stesso, di ritorno dal primo viaggio in URSS, ammetteva di poter essere scambiato per “Alice nel continente delle meraviglie” per i suoi resoconti entusiastici), evidentemente non capiva la sua riflessione solo perché non la voleva capire. E su questo ritorneremo a proposito delle ragioni che spiegano la mancata pubblicazione a Cuba di questi inediti, anche vent’anni dopo la dissoluzione dell’URSS.


Una periodizzazione necessaria

Comunque, anche se dovrebbe essere ormai chiarita da tempo (la si ricostruisce tra l’altro da tutte le biografie del Che- magari discutibili, ma basate su una lettura attenta dei suoi scritti- uscite nel trentesimo anniversario della morte), va introdotta come argomento preliminare una periodizzazione del pensiero di Guevara.

Una periodizzazione è necessaria per qualunque pensatore, specialmente se immerso in un movimento reale con il quale dialoga, in cui interviene, che lo stimola e lo condiziona. Quando Lenin, già malato, seppe che in suo onore si era deciso di pubblicare tutti i suoi scritti, si irritò molto: a che serve, diceva, quello che ho scritto è sempre stato pensato in un momento dato, in polemica con qualcuno, in un contesto che ora è difficile ricostruire. Evidentemente intuiva con preoccupazione che uso si sarebbe fatto delle sue opere, codificate in una specie di canone del “leninismo”, che poi un corpo di sacerdoti avrebbe dovuto selezionare e piegare all’uso del momento. Tanto più che le Opere (complete ma non troppo…) pubblicate in ordine cronologico sarebbero state di fatto, per molteplici ragioni, accessibili solo a una ristrettissima cerchia, mentre al volgo sarebbero state proposte quelle compilazioni metastoriche e anacronistiche di citazioni avulse dal contesto, che avevano come modello antichissimo la scelta ecclesiastica dei brani biblici da propinare al popolo durante la messa e che avranno molti imitatori, fino a culminare nella Cina della cosiddetta “rivoluzione culturale proletaria” nel famoso Libretto rosso delle citazioni del presidente Mao Tsedun.

Questo metodo anche a Cuba è stato a volte riproposto per Guevara, con varie compilazioni di brani raccolti per temi anziché cronologicamente, quasi sempre brevissimi e incompleti, e senza riferimento all’occasione in cui erano stati scritti: utili soprattutto per ricavarne citazioni da inserire in un discorso rituale, si direbbe.[5] Una di queste raccolte è stata tradotta e diffusa largamente in Italia (con la solita esca editoriale di una copertina con la classica foto di Korda stilizzata in rosso, nero e oro) con il nome significativo di Ideario. Ciò vuol dire che si propongono delle idee di Guevara da prendere, meditare, magari imparare a memoria, come si fa con la Bibbia o il Talmud, prescindendo dai processi reali in cui si sono sviluppate, modificate, o dal fatto che siano state abbandonate perché sostituite da una nuova posizione formatasi grazie all’esperienza pratica e al confronto con le idee di altri.

Bisogna dunque distinguere un primissimo periodo, in cui il giovane Ernesto comincia a interessarsi confusamente di politica e fa quindi anche alcuni riferimenti all’URSS o ad altri paesi “socialisti”. In alcune lettere scherzose ai familiari del 1953-1954, ad esempio, si firma Stalin II, o allude attraverso la parola cifrata “cortisone” ai paesi “oltrecortina” (termine usato dalla stampa borghese e che nessun comunista allora poteva accettare). Le frasi di quel periodo testimoniano solo il suo livello di partenza, prima che l’esperienza del Guatemala lo spingesse verso un diretto impegno politico, e l’incontro con Hilda Gadea lo aiutasse a uno studio sistematico di testi di Marx e di Lenin.

Nel 1954 comincia la fase che chiamerei dell’apprendistato politico, che si protrae fino al 1961. Negli scritti e discorsi di quel periodo si possono trovare ancora notevoli ingenuità nel valutare URSS, Cecoslovacchia e Cina al momento dei primi viaggi, ma anche l’inizio di un vivace spirito critico per tutto quanto è alla portata della sue esperienza diretta: dal rifiuto delle ovazioni alla sua persona, alla riscoperta di quella tradizione “eretica” del movimento operaio cubano che era stata sistematicamente rimossa e calunniata dagli stalinisti. Penso in particolare ad Antonio Guiteras, che nel quadro del settarismo sfrenato del “Terzo periodo” dell’Internazionale comunista era stato definito “il più gran fascista” dell’America Latina, perché era un rivoluzionario con un ruolo importante, ma fuori del controllo del partito (la stessa sorte era capitata a Sandino, di cui pochi mesi prima della sua morte la stampa comunista internazionale dava per scontato che si fosse venduto all’ambasciatore statunitense, precisando perfino per quanti dollari…).

È vero che l’attenzione per Guiteras non era del solo Guevara, e si doveva anzi soprattutto a Fidel Castro, che aveva studiato attentamente la rivoluzione degli anni Trenta, e che all’esempio di Guiteras si era rifatto persino nella scelta del Cuartel Moncada; ma indubbiamente il riconoscimento del ruolo di quel generoso e sfortunato protagonista della terza rivoluzione cubana si differenziava nettamente dal “settarismo” degli stalinisti che lo avevano calunniato per anni (d’altra parte Fidel non poteva dimenticare neppure che nel 1953 in tutto il mondo la stampa di tutti i partiti comunisti filosovietici, inclusa “l’Unità”, aveva presentato l’assalto al Moncada come un’impresa di gente equivoca vestita “con uniformi americane”…).


Il cruciale 1962

L’anno in cui Guevara comincia a riflettere e a porsi domande sui paesi socialisti e sui loro sostenitori a Cuba e nel mondo è il 1962: in quell’anno c’era già stata una prima verifica della qualità degli aiuti sovietici, cechi, ecc., sul ritardo tecnologico degli impianti forniti, e anche sul comportamento dei consiglieri provenienti da quei paesi, una parte dei quali avevano finito per essere attratti dal clima della rivoluzione, mentre altri pretendevano i privilegi a cui erano abituati e manifestavano un’arroganza burocratica nei confronti dei subalterni cubani.

Tuttavia, sono le due grandi crisi di quell’anno ad accelerare la riflessione nel giovane gruppo dirigente della rivoluzione cubana. Quella di marzo è provocata dal comportamento dell’apparato proveniente dal Partido socialista popular, che si era impossessato rapidamente delle ORI, le “organizzazioni rivoluzionarie integrate” che univano in un solo embrione di partito i rivoluzionari numerosi ed entusiasti ma impreparati provenienti dal Movimento 26 di luglio, i quadri agguerriti e ben indottrinati del PSP, e quanto rimaneva del Direttorio rivoluzionario che aveva tentato dall’Avana di contestare l’egemonia del 26 di luglio. Il gruppo raccolto intorno ad Aníbal Escalante aveva imposto a tutti i livelli “quadri fidati” (cioè scelti con una logica di cricca all’interno di chi proveniva dal partito stalinista, a prescindere dalle loro capacità e dai meriti rivoluzionari), e grazie ad essi aveva introdotto ovunque un conformismo bigotto e censorio, che scatenò le ire di Castro e l’indignazione di Guevara.

In ottobre poi c’era stata la “crisi dei missili”, che portò il mondo sulla soglia di un conflitto atomico. In tutti e due i casi emergeva una responsabilità dell’URSS, diretta nel secondo (con un atteggiamento del gruppo dirigente sovietico nei confronti di quello cubano che ricordava quello statunitense dei decenni precedenti), indiretta ma inquietante nel primo: a impossessarsi della nuova organizzazione erano stati i filosovietici più zelanti, anche se in questo caso non si parlò apertamente di ingerenze inammissibili di diplomatici sovietici come accadrà nel gennaio 1968 al momento dalla seconda crisi Escalante (quella della cosiddetta “microfrazione”). Invece di bollare l’operazione per quello che era, cioè stalinista classica, la si definì eufemisticamente “settarismo”, ma non c’erano dubbi sulla fonte di ispirazione.

Anche il discorso di Guevara del 18 maggio 1962 alla Seguridad rivela che in quell’anno egli aveva già ben presenti i rischi di degenerazione burocratica. Dopo avere accennato abbastanza genericamente a come gli errori di un governo possono provocare un’insurrezione delle masse, nella Bolivia di Villarroel e nell’Ungheria del 1956 - casi diversi tra loro, ma che avevano offerto occasioni preziose all’imperialismo - il Che ammetteva che anche a Cuba si era andati in questa direzione:

[…] Nosotros somos mucho más culpables, dirigentes del Gobierno con la obligación de ser perspicaces, pero anduvimos por ese camino que se ha llamado sectario, que es mucho más que sectario, estúpido; el camino de la separación de las masas, el camino de la ligación rígida a veces, de medidas correctas a medidas absurdas, el camino de la supresión de la crítica, no solamente de la supresión de la crítica por quien tiene legítimo derecho de hacerlo, que es el pueblo, sino la supresión de la vigilancia crítica por parte del aparato del Partido que se convirtió en ejecutor, y al convertirse en ejecutor perdió sus características de vigilancia, de inspección. Eso nos llevó a errores serios económicos, recuérdense que sobre la base de todos los movimientos políticos está la economía, y nosotros cometimos errores económicos, es decir, fuimos por el camino que al imperialismo le interesaba. Ellos ahora quieren destruir nuestra base económica mediante el bloqueo; mediante todas estas cosas nosotros los íbamos ayudando.[6]

Guevara non precisava quali erano stati i gravi errori in economia, ma si spostava subito sul terreno politico, alludendo a una corresponsabilità proprio dei responsabili dei “servizi” di sicurezza. Ma allargava il discorso ai CDR:

Los Comités de Defensa [de la Revolución], una institución que surgió al calor de la vigilanza popular, que representaba el ansia del pueblo de defender su Revolución, se fue convirtiendo en un hazlo todo, en la imposición, en la madriguera del oportunismo. Se fue convirtiendo en una organización antipática al pueblo. Hoy creo poder decir, con mucha razón, que los CDR son antipáticos al pueblo.[7]

Guevara sottolineava che i CDR avevano assunto questa funzione negativa soprattutto nelle campagne, grazie alle quali il movimento rivoluzionario aveva trionfato, ma dove i contadini erano stati lasciati in mano a “opportunisti di ogni genere”. E subito dopo diceva: attenti che anche i corpi di sicurezza possono fare, e in parte hanno fatto, lo stesso. Alludeva a un caso specifico, il “terrore bianco” inventato a Matanzas da un “gruppo rivoluzionario fuori controllo” (cioè gli stalinisti del PSP) per scatenare il “terrore rosso”; tuttavia accennava anche a casi di tortura, in una forma cauta ma inequivocabile:

Nosotros tenemos la gran virtud de habernos salvado de caer en la tortura, en todas las cosas tremendas en que se ha caido en muchos países defendiendo principios justos. Establecimos un principio que Fidel defendió mucho siempre, de no tocar nunca a la gente, aun cuando se le fusilara al minuto, y puede ser que haya habido alguna excepción, yo conozco alguna excepción.[8]

Non c’è dubbio che la prima frase che ho riportato in corsivo alludesse ai “paesi socialisti”, e aveva un senso particolare, perché il primo aiuto fornito dall’URSS a Cuba fu la consulenza per la creazione dei servizi di sicurezza. Quanto alla tortura, la prima affermazione veniva incrinata dall’accenno alle possibili eccezioni, e poi distrutta dalla frase finale: “io ne conosco qualcuna”… E il Che aggiungeva, per rafforzare l’allarme: “qui si viene a sapere tutto, anche ciò che a volte non si legge sulla stampa […] e che alla fine ci giunge alle orecchie. […]. Si viene a sapere tutto, e così anche dei soprusi e delle ingiustizie che commette un’organizzazione, per quanto clandestina. Il popolo ha modo di conoscere molte cose e le sa valutare a fondo” (p.436 ed. it., cit.)..

Nello stesso discorso, che formalmente era dedicato all’influenza della rivoluzione cubana in America Latina, e che cominciava effettivamente con una rassegna dei problemi dei principali paesi del continente, si insisteva soprattutto sul fatto che i veri e più pericolosi controrivoluzionari sono quei dirigenti che rendono omaggio alla rivoluzione e ne violano la morale ricercando privilegi. Sono passati appena due mesi dalla crisi delle ORI, ed è chiaro a chi alludeva il Che. Sono gli stessi della cordata di Aníbal Escalante, sferzati da Fidel nei discorsi di marzo:

Contrarrevolucionario es todo aquel que contraviene la moral revolucionaria, no se olviden de eso. Contrarrevolucionario es aquel que lucha contra la Revolución, pero también es contrarrevolucionario el señor que valido de su influencia consigue una casa, que después consigue los carros, que después viola el racionamiento, que después tiene todo lo que no tiene el pueblo, y que lo ostenta o no lo ostenta, pero lo tiene.[9]

È interessante che, sferzando questo particolare tipo di controrivoluzionario da colpire con forza o annientare - e che “utilizza le sue relazioni, buone o cattive, a profitto personale” - il Che non deleghi il compito di combatterlo alla Seguridad, ma al contrario avverta che bisogna vigilare particolarmente all’interno dei corpi di sicurezza: l’opportunismo è un nemico della rivoluzione, che ramifica ovunque manchi il controllo popolare, ed è tanto più pericoloso come problema negli organismi in cui il controllo deve avvenire dall’alto per evidenti ragioni di segretezza. In questi casi bisogna essere inflessibili per ragioni di giustizia (e la rivoluzione è stata contro l’ingiustizia), ma anche per ragioni politiche:

todos aquellos que, hablando de Revolución violan la moral revolucionaria, no solamente son traidores potenciales a la Revolución, sino que además son los peores detractores de la Revolución, porque la gente los ve y conoce lo que se hace, aun cuando nosotros mismos no conociéramos las cosas o no quisiéramos conocerlas, las gentes las conocían.[10]

Guevara sottolineava che il compito era duro, perché “l’entusiasmo di quest’anno non è lo stesso dell’anno passato”. C’è una certa difficoltà a recuperare, perché se in passato “creare fiducia negli uomini e nella rivoluzione era facile”, ora “qualche piccola cosa si è perduta”. Quando la “fiducia viene tradita o incrinata, non è più facile recuperarla”.[11]

Questo testo era stato pubblicato a Cuba fin dal 1977, poi in italiano era apparso su Quetzal nel dicembre 1987, prima di essere inserito negli Scritti scelti curati da Roberto Massari. In molti passi Guevara rivelava inequivocabilmente un’inquietudine di fronte alle prime manifestazioni dell’assimilazione degli organismi nati dalla rivoluzione al modello burocratico proposto dai consiglieri sovietici. Ma quanti dei suoi ammiratori a parole si sono degnati di prenderlo in esame, di interpretarlo, di leggerlo almeno per capire che è in quel difficile 1962 che inizia la riflessione originale del Che?


Il dibattito sull’economia del 1963-1964

Subito dopo la riflessione si concentra sull’economia. Il linguaggio è cauto e in parte cifrato, ma non c’è dubbio che la preoccupazione principale è quella di non imitare meccanicamente l’URSS, di cui Guevara comincia a cogliere sempre meglio le contraddizioni e la pericolosità dei rimedi ricercati. Sul dibattito economico del 1963-1964, che mi è impossibile trattare nei limiti di tempo e spazio di questa relazione, rinvio alla efficace presentazione che ne ha fatto Roberto Massari nel suo Che Guevara, pensiero e politica dell’utopia, alla relazione che Michel Lövy presenterà in questo stesso convegno e agli scritti di Ernest Mandel – che a quel dibattito partecipò a fianco del Che - ripubblicati utilmente nel 1998 nel primo dei “Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara”.

Accanto agli scritti più propriamente economici, in gran parte editi, si infittiscono in quegli anni gli interventi pronunciati da Guevara in varie occasioni, registrati e trascritti pazientemente da qualcuno degli ascoltatori, e poi passati di mano in mano dattiloscritti, senza essere pubblicati. Solo una parte di essi è stata raccolta nel tomo VI dell’edizione fuori commercio curata già nel 1967 da Orlando Borrego in poche centinaiadi copie, destinate ai dirigenti e ai collaboratori più stretti.[12]

Diversi di questi inediti sono stati riportati (sia pur non integralmente, per non violare le disposizioni di Aleida March, vedova del Che e gelosa custode dei suoi scritti inediti) da Carlos Tablada nella Introduzione alla nuova edizione del suo libro cui si è già accennato. Uno di essi, una conferenza tenuta dal Che il 3 dicembre 1964 a studenti e professori della Facoltà di Tecnologia ed economia della Università di Oriente a Santiago di Cuba, rivela fin dall’inizio una profonda insofferenza nei confronti dei metodi pedagogici che si stavano introducendo a Cuba:

Da qualche parte bisogna pur cominciare, no? Io non cercherò di convincervi. Cercherò di fare una cosa che voi fate pochissimo in questa facoltà, e cioè pensare. […] Il nostro metodo di pensiero lo consideriamo assolutamente marxista, rigorosamente marxista, ma con una caratteristica speciale: e cioè che noi siamo giunti a questo sistema marxista con il metodo del pensare ed agire noi stessi, in risposta a tutta una serie di problematiche concrete imposteci dalla vita cubana.[13]

L’aggressività del Che si spiega probabilmente con il fatto che quella facoltà si era schierata dalla parte degli economisti sovietici, e probabilmente il suo intervento era stato introdotto da qualche pedante con una lezioncina di marxismo da manuale. Nel corso delle tre pagine riportate da Tablada egli spiega che Marx aveva appena abbozzato nella Critica al programma di Gotha una “prognosi” del socialismo come società di transizione, che Lenin aveva poi sviluppato, accennando a un periodo di transizione al socialismo. “Bisogna ancora chiarire tutta una serie di cose. Perché lo schema di Marx dei due periodi è diventato uno schema in tre periodi? E qual è l’essenza del fenomeno imperialista e come agisce nei paesi dipendenti che sono sotto il suo controllo?”.[14] Sono i temi sui quali Guevara sta riflettendo e su cui trova del tutto insoddisfacente il “Manuale di economia” sovietico adottato nelle università.

Guevara dice soprattutto una cosa in aperto contrasto con il marxismo-leninismo dogmatico:

Marx ha fatto degli errori, e anche Lenin di tanto in tanto. E di fatto Lenin ha fatto degli sbagli che ha poi rettificato varie volte. […] Quando si discute intorno a Lenin e si porta avanti la sua bandiera, si possono innescare polemiche a non finire, perché in ogni momento, in ogni concreta situazione storica, Lenin ha avuto qualcosa da dire, qualcosa di giusto, qualcosa di corretto e di rivoluzionario per quel dato momento storico, ma che non si può ripetere meccanicamente per altri e successivi momenti storici.[15]

C’era in più parti una implicita polemica con le affermazioni trionfalistiche del famoso Manuale sulla classe operaia dei paesi imperialisti. Poi, in una frase conclusiva staccata purtroppo dal contesto, una risposta secca a qualcuno di cui possiamo immaginare la domanda accusatoria: “Esattamente! Ho detto che nel sistema di calcolo economico si erano introdotti elementi di capitalismo”.[16] Gli zelanti citatori di frasi di Lenin erano ovviamente scandalizzati: il “sistema di calcolo economico” proposto dagli economisti sovietici non solo veniva respinto dal Che, ma si affermava oltretutto che conteneva “elementi di capitalismo”!

Ho già ricordato che l’Introduzione di Tablada alla nuova edizione italiana, e quindi questo testo, erano disponibili in italiano fin dal 1996. Pochi ne hanno tenuto conto, e ogni volta che ne parlo trovo uno stupore sospettoso: ma davvero il Che criticava l’URSS e la sua influenza ideologica su Cuba? Ma non se ne era andato via dall’isola per irrequietezza e spirito di avventura, come si è sempre detto?

Eppure, fin dal 1969, quando ampi stralci furono pubblicati sulla rivista mensile “il manifesto”, si potevano leggere accenni dello stesso genere nei colloqui al Minind.[17] Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire...

Lascio però definitivamente da parte le polemiche con quelli che hanno ignorato ogni testimonianza sull’evoluzione del Che per continuare a ripetere banalità sulla sua figura, e anche con coloro che, pur avendo mezzi economici notevoli e legami importanti a Cuba, hanno continuato a pubblicare di Guevara prevalentemente testi giovanili poco significativi, oppure collages di articoli mal tradotti e mal curati, rinunciando alla battaglia per rendere accessibili a tutti gli scritti della maturità. Non ho i mezzi, né le autorizzazioni per pubblicare in forma completa questi inediti, ma ritengo di dovere cominciare a fare intravedere qualcosa del più importante di essi, per rafforzare la battaglia contro questo inammissibile ritardo, che si sta trasformando in una censura di fatto.[18]


Il “Manuale di economia politica”

Il Manuale di economia politica arriva a Cuba nel 1961, nella sua terza edizione, curata “alla luce delle fondamentali decisioni del XXI Congresso del PCUS” da Ostrovitianov, Leontiev, Laptev ed altri; sostituiva e correggeva la seconda edizione decisa dopo il XX Congresso del PCUS, che a sua volta aveva preso il posto di quella staliniana. Non era semplicemente un manuale di economia: era una summa teologica del “marxismo leninismo”.

Guevara dapprima fu felicissimo di ricevere dai “fratelli maggiori” un testo che affrontava tutti i problemi del genere umano, dalla nascita delle comunità primitive alla schiavitù, dal feudalesimo allo sviluppo del capitalismo, e poi presentava in modo didascalico (in un totale di 700 pagine) il modo capitalista di produzione, l’imperialismo, il colonialismo, il “modo socialista di produzione”, per finire col “passaggio graduale al comunismo”, nel quadro del sistema economico socialista mondiale…

Nel maggio 1961 aveva discusso vivacemente sull’utilità di testi di questo genere con Karol, che aveva vissuto in URSS gli anni decisivi della sua formazione, ed era preoccupato nel vedere sugli scaffali delle librerie cubane i manuali di Mitin, di Kostantinov, perfino del ciarlatano Lisenko.[19]

Guevara stentava a capire l’inquietudine del suo interlocutore: dapprima aveva rivendicato il “diritto-dovere di assicurare la formazione politica e ideologica del popolo”, dichiarando che in un paese esposto a rischi tremendi “sarebbe criminale e assurdo lasciare alla gente il diritto di esitare tra la buona e le cattive ideologie”. A Karol, il quale pazientemente gli descriveva i difetti di quelle opere, Guevara rispondeva che, anche se non conosceva neppure quei testi, bisognava usarli: “vogliamo formare i nostri giovani il più rapidamente possibile nell’ideologia socialista, e siamo ovviamente obbligati a utilizzare i manuali dei paesi socialisti. Ne avete altri da consigliarci?”.[20]

La discussione si era sviluppata per ore, e Guevara aveva esposto una singolare concezione dell’inevitabilità in quella fase dell’assunzione del modello sovietico:

Ogni rivoluzione comporta, lo si voglia o no, piaccia o no, una parte inevitabile di stalinismo, perché ogni rivoluzione deve fronteggiare l’accerchiamento capitalista. Noi abbiamo dovuto imparare in poco tempo cos’è il blocco economico, la sovversione, il sabotaggio e la guerra psicologica che l’imperialismo può condurre contro un paese rivoluzionario. Noi sappiamo cheè una necessità assoluta difendersi dall’accerchiamento imperialista, e l’invasione del 17 aprile ci ricorda che nessuna misura, nessun sacrificio è superfluo su questo terreno”.[21]

Il 17 aprile, ovviamente del 1961, cioè Playa Girón, non c’entrava niente con lo stalinismo: erano stati il consenso diffuso a una rivoluzione originale e autoctona e l’armamento delle masse a sconfiggere in poche ore gli invasori, che pure erano più numerosi e meglio armati di quelli che nel 1954 avevano piegato il Guatemala di Arbenz. Quando l’URSS aumenterà la sua presa su Cuba dopo la morte del Che, una delle prime misure suggerite dai consiglieri militari sovietici fu proprio il disarmo delle milizie popolari. Furono ricostituite - con la consulenza vietnamita - solo negli anni Ottanta, dopo l’annuncio dei sovietici che non si sarebbero impegnati a difendere Cuba, e dopo la clamorosa verifica di Grenada, dove nel 1983 gli ufficiali cubani addestrati dai sovietici si arresero immediatamente ai marines, mentre i lavoratori cubani dell’aeroporto opposero una durissima resistenza, subendo gravi perdite.[22]

Ma Guevara, ovviamente, allora non poteva neppure immaginare cosa avrebbe comportato l’estensione dell’influenza ideologica sovietica dopo la sua morte. “La gente si educa attraverso l’azione”, obiettava a Karol,che secondo lui voleva trasformare Cuba in “un seminario di intellettuali, o un caffè parigino dove si discuterebbe dei meriti rispettivi dei libri recenti”. Mentre raccoglieva inconsciamente la calunnia e il disprezzo stalinista per la discussione, il Che riproponeva una pedagogia basata sull’esperienza diretta e non sull’indottrinamento forzato e dogmatico. Paradossalmente, era più vicino all’ottimismo di Rosa Luxemburg che a Stalin e ai suoi epigoni. Karol fu colpito dal ragionamento in base al quale il Che pensava che Cuba non corresse il rischio di un assimilazione allo stalinismo perdurante in URSS. Gli parve assai più ricco di quelli dei presunti “destalinizzatori” di Mosca, pur essendo sostanzialmente sbagliato:

La situazione di Cuba non può essere comparata a quella dell’URSS dopo la rivoluzione. I sovietici non solo dovevano proteggersi dalla minaccia esterna, ma anche costruire, senza alcun aiuto straniero, le industrie di base necessarie per il loro sviluppo economico. Non è il caso nostro. Noi riceviamo dagli altri paesi socialisti tutto l’aiuto necessario. L’industrializzazione non costerà sacrifici al nostro popolo. Al contrario, porterà vantaggi immediati che permetteranno di liquidare la disoccupazione. Lo stesso accade nel campo agricolo. In URSS la resistenza alla collettivizzazione delle campagne ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo dello stalinismo. Da noi, la riforma agraria ha corrisposto, subito, alle rivendicazioni contadine e le ha pienamente soddisfatte. Per questo le condizioni di un’evoluzione stalinista non esistono a Cuba: il fenomeno non può riprodursi da noi.[23]

L’intuizione corretta era quella che collocava lo sviluppo e l’estensione dello stalinismo in un contesto di tremendi sacrifici imposti alla popolazione; l’ingenuità era quella di sottovalutare la grande capacità di assimilazione strutturale e culturale della burocrazia sovietica, consolidata ormai da alcuni decenni, e che aveva imposto il suo “modello”, nato come risposta empirica all’arretratezza della Russia, anche a paesi ben più sviluppati, come la Cecoslovacchia o la Germania orientale.

Comunque Guevara concluse che “per imparare a dirigere un paese, a pianificarne l’economia, a costruire il socialismo” i giovani cubani dovevano studiare “i libri dei paesi socialisti che ci hanno preceduto su questa via”.[24] Più che all’URSS, su cui comincia ad avere qualche dubbio, pensa alla Cecoslovacchia, perché ha una superficie e una popolazione comparabili con quelle di Cuba, e “ha sviluppato un sistema di pianificazione molto efficace”, che si dovrebbe riprodurre per il primo piano quadriennale cubano:

Ma non abbiamo abbastanza quadri per mettere in atto noi stessi un simile sistema. Allora, che fare? Lasciare i nostri giovani dibattersi permolti anni, o invitare degli esperti cechi perché ci aiutino e formino i nostri quadri economici? Non c’è da pensarci su due volte: invitiamo i cechi![25]

E i cechi arrivarono. Probabilmente, appena stabilito un rapporto di fiducia reciproca e di confidenza, informarono il Che sullo stato disastroso dell’economia del loro paese, che nel 1963 avrebbe visto per la prima volta una diminuzione netta del reddito nazionale.[26] Comunque, a modificare il suo giudizio, oltre all’effetto indiretto del caso Escalante (alla testa di una cordata di “comunisti ortodossi” formatisi da anni proprio sui “manuali” sovietici) e della crisi dei missili, a cui abbiamo già accennato, contribuirono in modo determinante le riflessioni autonome sulle sue stesse esperienze. Così, quando provò a leggere il famoso Manuale che aveva dapprima accettato a scatola chiusa, scoprì tra l’altro che esaltava quel ruolo “progressista” della borghesia nazionale di cui aveva verificato l’inconsistenza nella sua prima esperienza politica nel Guatemala di Jacobo Arbenz del 1954:

Al desarrollarse en las colonias una industria propia, crece la burguesía nacional, que ocupa una situación doble: de una parte, el yugo del imperialismo extranjero y de la supervivencias feudales se interpone en su camino hacia la dominación económica y política; pero de otro lado, comparte con los monopolios extranjeros la explotación de la clase obrera y los campesinos. Por cuanto la lucha de liberación nacional y de los pueblos de los países coloniales y dependientes tiende ante todo a derrocar la dominación del imperialismo, a conquistar la independencia nacional y a suprimir las spervivencias feudales, la burguesía nacional participa en esta lucha y desempeña cierto papel progresivo.[27]

Il Che commentava seccamente, nella nota 46:

Historicamente fue cierto, hoy es falso. En los países de más larga esperiencia de seudo-independencia política, como son la mayoría de los latinoamericanos, el proceso de alianza entre las burguesías y los capitales imperialistas se venía gestando desde hace tiempo, la Revolución cubana produjo un verdadero choque de alarma que fué escuchado por los explotadores autoctonos. Por otra parte, la lucha contra los residuos feudales es muy problemática, ya que también se produce una alianza entre los explotadores de diversos sectores y los grandes terratenientes incursionan en la industria y el comercio. En América la formación de la burguesía adquiere un matiz parasítario desde el primer momento, constituyendo las llamadas burguesías importadoras, dependientes en absoluto de los capitales monopolistas. La lucha contra la burguesía es condición indispensable de la lucha de liberación, si se quiere conducir a un final irreversiblemente exitoso (Indonesia, en el ejemplo contrario).[28]

Anche una frase sulla fusione tra il proletariato dei paesi a capitalismo sviluppato e quello delle colonie scandalizzava il Che, che commentava: “Falso de toda falsedad [assolutamente falso]”, e spiegava che non c’era un punto di contatto tra le masse proletarie dei paesi imperialisti e quello dei paesi dipendenti, dal momento che tutto contribuisce a separarle. Guevara osservava che i proletari dei paesi imperialisti ricevono le briciole dello sfruttamento coloniale e diventano complici; ma anche quelli dei paesi dipendenti, pur pagati molte volte meno, hanno pur sempre uno stipendio e si preoccupano per una certa stabilità dei loro posti, di fronte alla grande offerta di lavoro dei contadini senza terra cacciati dalle loro case, che sono la vera forza rivoluzionaria.[29]

Il Che era anche infastidito dalla retorica trionfalistica che definiva, a colpi di citazioni di Lenin, il capitalismo come “agonizzante”. Bisogna essere prudenti, e non ingenerare illusioni. Preferiva il termine “maturo”. Un uomo maturo non può avere più cambiamenti fisiologici, ma non è agonizzante e, analogamente, “el sistema capitalista llega a su madurez total con el imperialismo, pero ni siquiera este ha aprovechado al maximo sus posibilidades en el momento actual, y tiene una gran vitalidad”.[30]

È stridente il contrasto tra il rigore di Guevara e le semplificazioni degli ideologi del regime burocratico che coprivano con frasi rivoluzionarie e previsioni ottimistiche una pratica consolidata di collaborazione con l’imperialismo. Molte delle note sono di questo tipo: il Che denuncia, ad esempio, la sottovalutazione dell’acuta concorrenza tra monopoli rivali, e anche tra diversi paesi imperialisti, che tuttavia può provocare “una incesante marea de innovaciones tecnicas [una marea ininterrotta di innovazioni tecnologiche]” ed anzi la cosiddetta “revolución técnica [rivoluzione tecnologica]” (Manual, p. 250, n. 50).

Inoltre, anche quando concorda nella sottolineatura delle contraddizioni tra capitale e lavoro, il Che osserva che “es necesario enfatizar, una vez más, que el oportunismo ha pasado a una inmensa capa de la clase obrera de los países imperialistas”, che si potrebbe definire come aristocrazia operaia. Al margine annotava di ricercare statistiche comparative sui salari degli operai di paesi imperialisti e di quelli dipendenti.[31] Poco più avanti, si indigna ancora per una frase in linea col nuovo corso sul passaggio pacifico al socialismo:

En las condiciones actuales, en que existe un poderoso campo del socialismo, en que sigue ahondándose la crisis general del capitalismo, en que se desintegra cada vez más el sistema colonial y en que las ideas del socialismo, la democracia y la paz poseen una grandiosa fuerza de atracción para toda la humanidad trabajadora, se da la posibilidad real de que, en tales o cuales países capitalistas o salidos de la sujeción colonial, la clase obrera llegue al poder pacíficamente, a través del parlamento.[32]

Il commento è secco e bruciante: “esta cantanela [sic] del parlamento no la creen ni los italianos, que no tienen otro dios”.[33] L’espressione “los italianos” allude ovviamente al PCI, nei confronti del quale Guevara aveva espresso francamente il suo fastidio, rifiutando ad esempio un’intervista all’Unità, che pure era stata sollecitata dalla sua stessa madre che con Saverio Tutino, ottimo corrispondente di quel giornale all’Avana, aveva fatto amicizia, vivendo nello stesso albergo.[34] La motivazione era che non stimava un partito che aveva un 25% di voti e non faceva nulla per la rivoluzione. Molti dirigenti del PCI che visitarono Cuba, tra cui Pietro Ingrao, rimasero sconcertati e irritati dalle brusche critiche di Guevara.[35]

Le annotazioni di questo genere, che smentiscono il quadro idilliaco di un mondo in evoluzione verso il socialismo per effetto delle “grandi conquiste dei paesi socialisti”, sono numerosissime, ma riguardano solo indirettamente il giudizio critico del Che sui paesi dell’Est, attraverso la polemica con le loro mistificazioni ideologiche sulle “magnifiche sorti e progressive” del proletariato. Una di questa va però segnalata, per un aspetto interessante: di fronte a una frase che dichiara possibile il trionfo della rivoluzione socialista, quando esista un proletariato rivoluzionario e la sua avanguardia (naturalmente unita in un solo partito politico…), Guevara osserva:

Los casos de China, Vietnam y Cuba ilustran lo incorrecto de la tesis. En los dos primeros casos la participación del proletariado fué nula o pobre, en Cuba no dirigió la lucha el partido de la clase obrera, sino un movimiento proclasista [sic] que se radicalizó luego de la toma del poder político.[36]

La frase che ho evidenziato in corsivo sarebbe sconvolgente nella Cuba degli ultimi trenta anni, in cui è stato evitato accuratamente ogni accenno al mancato appoggio alla rivoluzione da parte delPSP (di cui Guevara peraltro accetta l’autoproclamazione a “partito della classe operaia”). L’argomento è diventato un tabù al punto che Camilo Guevara, in un dibattito a Roma, si stupì di fronte a una domanda che gli chiedeva perché suo padre si era fidato del Partito comunista boliviano, e rispose che anche suo padre era comunista, ed anzi a Cuba c’era stato un partito (sul cui nome era incerto se fosse stato “socialista” o “popular”) che aveva avuto un ruolo importante nella rivoluzione...[37]

Ma veniamo alla parte del Manuale dedicata proprio ai “paesi socialisti”. Una delle frasi che appaiono vuote al Che riguarda i successi e la cooperazione tra di essi:

En el transcurso de un período corto, los países del campo socialista sentaron las bases para una estrecha colaboración económica, basada en el ayuda mutua fraternal. Al lado del viejo mercado mundial capitalista, surgió un nuevo mercado mundial: el mercado mundial de los países socialistas, que se fortaleció rápidamente. Este mercado crece ininterrumpidamente, gracias a su desarrollo sin crisis y al incontenible auge de la producción en los países del campo del socialismo. Así, pues, habiéndose desgajado del sistema capitalista, en el periodo de la posguerra, una serie de nuevos países, y como resultado de ello, se formó y se desarrolla victoriosamente el sistema socialista de la economia mundial.[38]

Il testo proseguiva assicurando che così si era assestato un nuovo colpo al sistema dell’imperialismo. E Guevara annotava:

Demasiado idílico. Aunque las crisis en el sentido plenamente capitalistico no se conocen, las dificultades de los ultimos años en las democracias populares de Europa y la catástrofe triguera de la URSS indican que también se suceden interrupciones serias en la progresión.[39]

L’affermazione del Manuale che il socialismo si distinguerebbe da tutte le formazioni sociali precedenti per l’allargamento ininterrotto della produzione, ed anzi che “el socialismo acaba con la contradicción entre el carácter social de la producción y la forma privada, capitalista, de la apropiación” e che grazie a questo “no conoce la contradicción entre producción y consumo” e quindi si trova al sicuro dalle crisi di sovrapproduzione “y està, por consiguiente, en condiciones de poder ampliar la producción ininterrumpidamente” (il concetto di incremento ininterrotto ritorna molte altre volte nella stessa pagina del Manuale), spinge Guevara ad osservare che, se questo può entro certi limiti essere vero per l’URSS che è un “país continente”, non lo è sicuramente per la Cecoslovacchia, “donde un mercado exterior cada vez más exigente fué desplazando articulos de técnica congelada, provocando descensos en la producción global del país”.[40] Alla fine del 1965 il Che era abbastanza informato sugli scricchiolii del paese più industrializzato del Comecon, e conosceva probabilmente la diagnosi fatta dagli economisti critici come Ota Šik, anche se non condivideva la terapia che essi proponevano.

E quando il Manuale, riprendendo un documento ufficiale del XXI Congresso del PCUS, affermava che l’URSS, non essendo più circondata dall’assedio capitalista non correva più rischi di restaurazione capitalista (anzi, si precisava,“ya no hay en el mundo fuerzas capaces de restaurar el capitalismo en nuestro país, de hacer derrumbarse el campo socialista”, sicché il pericolo di restaurazione sarebbe stato eliminato definitivamente), Guevara osservava prudentemente che questa osservazione poteva essere oggetto di discussione:

Las ultimas resoluciones economicas de la URSS se semejan a las que tomó Yugoeslavia cuando eligió el camino que la llevaría a un retorno gradual hacia el capitalismo. El tiempo dirá si es un accidente pasajero o entraña una definida corriente de retroceso. Todo parte de la erronea concepción de querer construir el socialismo con elementos de capitalismo, sin cambiarles realmente la significación. Así se llega a un sistema hibrido que arriba a un callejón sin salida.[41]

Guevara contestava anche che fosse stata eliminata la contraddizione tra città e campagna e che anzi ci fosse una unità di interessi di classe tra operai e contadini (“esto no lo ha corroborado la práctica en la URSS ni en las democracias populares. Las diferencias y el antagonismo son palpables y se contradicen en escaceses y carestias periódicas”)[42]

Proprio esaminando la situazione delle campagne (in particolare nei kholchos, che il Che pensa siano da considerare “presocialisti”) Guevara osserva più volte che quanto è descritto nel manuale è proprio dell’URSS e non del socialismo.[43] In un’altra nota scrive che “habitualmente en este libro se confunde la noción de socialismo con lo que ocurre praticamente en la URSS”.[44] A proposito delle “categorie economiche” che secondo il Manuale sarebbero generate dal regime socialista, il Che annota che “es muy discutible la existencia de estas llamadas categorias económicas. A lo más, se podrá decir que son categorias económicas de la URSS, no del socialismo (cálculo economico, por ejemplo)”.[45] E poco dopo ribadisce che “se pretende conocer leyes económicas cuya existencia real es discutible”. Il risultato è che sbattendo ad ogni angolo “con las leyes económicas del capitalismo que subsisten en la organización económica soviética”, gli si darà un nuovo nome. “Se continua adelante con el auto-engaño, ¿hasta cuando? No se sabe, ni como se solucionará la contradicción”.[46]

Guevara è implacabile con tutte le formule vuote, come il “centralismo, uno de los mitos ampliamente divulgados [il centralismo, uno dei miti largamente diffusi]”, ma che è solo una frase che nasconde le più diverse strutture politiche, ed è quindi carente di contenuto reale. Smantella anche le citazioni dal XXI Congresso del PCUS, osservando che presentare come un successo il dissodamento delle terre verginiè un errore, anche se meno grave di quel “complejo de inferioridad ideologico [complesso ideologico di inferiorità]” che ha portato alla famosa velleitaria sfida con gli Stati Uniti, che quel Congresso pensava di raggiungere e superare in una ventina di anni. A questo proposito c’è un accenno critico alla Cina, che con la stessa logica nel 1958 si era proposta di raggiungere l’Inghilterra.

Una frase retorica sullo sviluppo pianificato della collaborazione economica tra i paesi socialisti, basata sulla più razionale utilizzazione del potenziale produttivo, nell’interesse di ciascun paese e di tutto il campo socialista in generale, in base alla “divisione socialista internazionale del lavoro”, lo spinge a una considerazione molto dura:

De nuevo esta idea, tan justa en su expresión teórica, tropieza con caracterizaciones éticas. Si el internacionalismo proletario presidiera los actos de los gobernantes de cada país socialista, a pesar de ciertos errores de concepto en que pudieran incurrir, sería un éxito. Pero el internacionalismo es reemplazado por el chovinismo (de poca potencia o pequeño país), o la sumisión a la URSS, manteniendo las discrepancias entre otras democracias populares (CAME).[47]

Guevara nella stessa nota osservava che era difficile catalogare questi atteggiamenti, soprattutto senza un’analisi profonda e documentata delle motivazioni di ciascun paese, ma concludeva che“lo cierto es que atentan contra todos los sueños honestos de los comunistas del mundo [quel che è certo è che minacciano gli onesti sogni di tutti i comunisti del mondo]”. E dato che nel lungo periodo sulle meraviglie della “divisione socialista internazionale del lavoro” era inserita una frasetta sulla necessità di “tener en cuenta, asimismo, el desarrollo de las relaciones económicas entre los dos sistemas mundiales, el socialismo y el capitalismo [tener conto, analogamente, dello sviluppo dei rapporti economici tra i due sistemi mondiali, il socialismo e il capitalismo]”, Guevara, diffidente, osservava che probabilmente si pensava a una pianificazione in vista dell’estensione di queste relazioni.

A proposito dei piani annuali come articolazione di quelli quinquennali, esaltati dal Manuale, il Che osserva poi seccamente:

Los planes anuales, en la forma praticata en Cuba, son una rémora. Cada año, como explica luego el texto, se reparten las angustias del anterior, como si todo comenzara de nuevo, y se da el caso de fabricas con una actuación brillante un año y desastrosa el secundo, debido a la falta de materia prima. Si el sistema es malo en los países socialistas cercanos, con una gran independencia, en Cuba, alejada miles de kilometros y con permanentes problemas de pagos, fué desastroso.[48]

Altre osservazioni sono meno sorprendenti, perché ripetono quanto scritto negli articoli e interventi del dibattito economico (ad esempio che “uno de los graves fallos del sistema soviético” va ricercato nel fatto che “los estimulos morales son olvidados o relegados”.[49] Oppure, di fronte a un’affermazione trionfalista sul “Banco del Estado de la URSS [la Banca di Stato]”, che sarebbe il “banco más poderoso del mundo [la banca più potente del mondo]” grazie alle filiali collocate nella capitali delle repubbliche sovietiche, dei territori e regioni, e in quasi tutti i distretti del paese, Guevara scrive maliziosamente:

También posee filiales en Londres y Paris (un poco enmascarados). Uno se puede preguntar si todo esto no influirá en los metodos y concepciones de la dirigencia soviética, así como las instituciones crediticias pertenecientes al partido argentino influyen en su linea de acción política.[50]

Il paragone di Guevara con il Partito comunista della sua Argentina è interessante, e spiega bene che la critica del Che alla maggior parte dei partiti comunisti latinoamericani non era solo ideologica o morale, ma partiva dalla consapevolezza del loro inserimento, subalterno ma totalmente complice, nel sistema capitalistico.[51]

Le ultime notazioni sono più teoriche. Gli autori del Manuale, sulla base delle indicazioni del XXI Congresso del PCUS, parlano di passaggio graduale al comunismo, e annunciano che i metodi coercitivi dello Stato saranno sostituiti dagli stimoli economici e dal lavoro educativo affidato alle cosiddette “organizzazioni sociali”. Peraltro si teorizza che lo Stato continuerà ad essere necessario anche dopo la “costruzione del comunismo”. Guevara è sempre più irritato. Come è possibile pensare di “construir el comunismo en un solo país [costruire il socialismo in un paese solo]”? E conclude questa nota osservando che “hay muchas afirmaciones en este libro, que se parecen a la formula de la santísima trinidad: no se entiende, pero la fe la resuelve”.[52] Quanto all’eliminazione dei metodi coercitivi, il Che osservava:

No se entiende como pueden suprimirse los métodos coercitivos y reemplazarlos por económicos. Si se hacen automaticos estos, se vuelve a una sociedad anárquica, si se guian por un plan central, el Estado debe estar allí para velar lo que sucede (o debe suceder) […] Los obreros, el pueblo en general, decidirán sobre los grandes problemas del país (tasa de crecimiento, es decir, acumulación, consumo, tipos fundamentales de producción, obras sociales, artículos perecederos o de largo uso), en las localidades decidirán sobre sus problemas concretos (los que no rebasen su ambito), pero el plan y la producción serán obra de los especialistas, y ni pueden cambiarse por voluntades individualizadas, aunque sean en forma de colectivos. El quid está en considerar la organización económica como una gran maquinaria y vigilar que las cumpla, pero no introducirse en su engranaje.[53]

In questo processo Guevara non vedeva alcun ruolo utile dei sindacati, su i quali si esprimeva in tono sprezzante, forse in parte per la sua lettura affrettata e superficiale (probabilmente a causa di una traduzione troppo sommaria da parte di qualcuno dei consiglieri sovietici) del famoso dibattito sovietico del 1920 sui sindacati. Guevara infatti aveva scambiato la posizione di Trotskij (ostile allora ai sindacati, per motivi analoghi ai suoi) con quella di Lenin, a cui Trotskij si avvicinò invece più tardi, ammettendo di avere sbagliato (ma il Che probabilmente non lo seppe mai…). Ma a fargli assumere quella posizione era anche la sua esperienza cubana, non entusiasmante, che descrive in varie conversazioni al Minind. In una di quelle non pubblicate dal Manifesto nel 1969 e quindi non riprese negli stessi Scritti scelti curato da Roberto Massari, ci sono passi di notevole interesse:

Son la mayoria – y eso es bueno decirlo – de los dirigentes sindicales, son gente que no tienen apoyo de masa. Como no tienen apoyo de masa, no tienen un prestigio ganado en las masas, eligen el camino más sencillo, ¿cual es? Hacerse portador de las masas, es decir, la masa dice y yo trasmito y hay que hacer lo que la masa dice; y entonces después le dicen a la masa: “¡Ah!, no, el gobierno dice y yo trasmito” […] No es una política conseguente con la clase obrera, ni se ayuda, mucho menos, al Gobierno.[54]

Più in là, nella stessa conversazione al Ministero dell’Industria del 14 luglio 1962, Guevara pronuncia una sentenza definitiva:

De una cosa yo estoy convencido y es que el sindicato es una rémora que hay que tender a destruir, no destruirlo por el sistema de agotarlo, sino destruirlo como se deberá destruir al Estado en un momento, por el sistema de la superación de la gente hasta llegar a que sea innecesaria esta istitución llamada sindicato. No apruevo ningún papel dinámico, no apruebo que juegan ningún papel movilizador. Aquí se hicieron los sindicatos mecanicamente. Porque en la Unión Soviética hay sindicatos administrativos se hicieron los sindicatos administrativos en Cuba. Bien, yo quisiera preguntar, ¿que han hecho los sindicatos en cada uno de los Ministerios? No han sido capaces de juntar gente para ir a cortar cuatro cañas, no han sido capaces de dar un ejemplo de nada. En este Ministerio, por suerte, ni siquiera han planteado cosas, reivindicaciones administrativas. En otros lados lo han planteado también. ¿Que papel tan pobre es ese de una institución recientemente creada para jugar el papel de copia al carbón de la experiencia histórica de otro país?

Eso no es marxista: eso fue una equivocación de las tantas que cometemos nosotros, sancionados por todos nosotros, por supuesto, yo también, el Ministro; por el Consejo de Ministros; pero es un error y así cometemos errores.[55]

Concludendo con la panoramica sull’inedito per eccellenza, quelle critiche al Manuale sovietico che solo poche decine di persone a Cuba hanno potuto leggere (mentre El che en la revolución cubana, tirato in duecento copie o poco più, nonostante le precauzioni è stato letto o sbirciato da un numero assai più grande di compagni), vorrei ricordare ancora almeno due passi dello stesso genere. Il Manuale afferma, come al solito trionfalisticamente:

La construcción del comunismo en la URSS y del socialismo en los países de democracia popular se realiza en condiciones de una creciente y cada vez más fuerte colaboración fraternal entre los Estados del sistema socialista mundial: […] El desarrollo de la colaboración entre todos los países del campo socialista se traduce en la aceleración del auge de la economía de todo el sistema mundial del socialismo. Y esto hace que en el campo socialista no se den ni puedan darse fenómenos de expansión, de cambio no equivalente, de lucha de competencia, de explotación y sojuzgamiento de los Estados débiles por los fuertes.[56]

Guevara osserva in due note quasi analoghe che le cose vanno diversamente; in particolare, in riferimento all’ultima frase citata, dice che i rapporti URSS-Albania e Cina-Cuba smentiscono queste affermazioni. Sono i casi più esplosivi, ma ce ne sono altri che per ragioni tattiche o per timore non sono venuti apertamente alla luce.[57] E quanto alla prima considerazione generale il Che precisa:

Objetivamente inexacto. La teoría podría plantear el problema del desarrollo inegual también para el socialismo, la práctica ha planteado el problema de contradicciones insalvables. De índole ideológica, a veces, tienen siempre un contenido material, económico. De allí las posiciones que toman la URSS, la China, Rumanía o Cuba en problemas aparentemente desligados de la economía.[58]

Qui è evidente che Guevara, in base all’esperienza ma anche all’acquisizione piena del metodo marxista, riesce a comprendere, dietro il fumo dell’ideologia, la base materiale delle contraddizioni tra i “paesi socialisti”. Ed è interessante (andrebbe meditato da tutti coloro che contro ogni evidenza hanno continuato per molti anni a considerare la Cina il faro della rivoluzione mondiale, anche dopo il cruento soffocamento della “rivoluzione culturale proletaria”) che Guevara metta sullo stesso piano l’atteggiamento dell’URSS verso l’Albania e quello della Cina verso Cuba, che evidentemente gli era stato preannunciato nel suo ultimo viaggio in Cina, ai primi di febbraio del 1965, anche se il taglio delle forniture di riso e la rinuncia all’acquisto di zucchero (per punire Cuba per il mancato allineamento con Pechino) si sarebbero concretizzati successivamente alla sua partenza.

Il giudizio conclusivo sul Manuale (senza riferimento di pagina, come quello già ricordato della nota 135), rivela un’approssimazione ancora confusa al problema della responsabilità di Stalin, che contrappone ai suoi successori - che giustamente disprezza - senza però avere un quadro preciso delle sue posizioni. Tuttavia, di fronte alla corsa all’utilizzazione di elementi capitalistici da parte dei dirigenti dell’URSS, il Che conclude che il fatto che siano così poche le voci che si oppongono pubblicamente al nuovo corso filocapitalista in URSS, dimostra quale sia stato “el tremendo crimen de Stalin: el haber despreciado la educación comunista e instituido el culto irrestricto a la auctoridad.”.[59] Ossia mette giustamente in conto a Stalin i successori che ha selezionato sterminando la vecchia guardia bolscevica..

Una parte della riflessione di Guevara sulle società dell’Est era stata sviluppata su un terreno empirico a partire dal 1962 (ma c’è anche qualche notazione precedente), e riguarda il livello tecnologico degli impianti acquistati nei paesi “socialisti”, messi a confronto con altri provenienti dai paesi capitalistici. Varrà la pena di parlarne in un prossimo “Quaderno”, affrontando più sistematicamente il pensiero economico del Che.


Alcuni problemi da chiarire

Guevara ha finito di scrivere le sue note critiche sul Manuale sovietico alla fine del 1965 o nei primi mesi del 1966. Nello stesso periodo, nel quadro della rivoluzione culturale, sullo stesso argomento circolava in Cina un testo di Mao non ufficiale (cioè non inserito nel “canone”, ma largamente riprodotto e circolante tra le guardie rosse e i militanti del partito).[60] Il testo di Mao è più sistematico, e si concentra solo su 68 punti, anziché su 221 come quello di Guevara. Come ho già spiegato, ho potuto scorrere velocemente in un tempo relativamente breve il testo del Che, copiandone solo alcune parti, sia per ragioni di tempo, sia per garantire chi mi permetteva la lettura che non mi sarei fatto tentare dallo scoop, e non avrei cercato di pubblicare il testo integralmente. Le parti copiate sono ovviamente quelle che mi sono sembrate più interessanti, ma dato che rappresentano circa un quarto del totale, rendono più difficile il confronto con il testo cinese, che avevo letto quasi venti anni prima e che non mi venne in mente subito (e comunque non mi ero portato a Cuba).

La questione è di un certo interesse, sia perché alcune consonanze ci sono (la polemica contro gli incentivi materiali, il problema del “passaggio pacifico”, ecc.), sia perché il luogo in cui Guevara ha concluso il suo lavoro gli poteva consentire di prendere visione di questo tipo di materiale: Dar es Salaam era infatti la capitale africana con la più grande ambasciata cinese, con una funzione importante nella penetrazione maoista in Africa, e non è da escludere che in quei mesi ci siano stati dei contatti discreti tra il Che e qualche diplomatico di Pechino attratto dal suo ruolo e dalle sue analisi. Il Che era clandestino, ma la sua presenza poteva essere stata rilevata nonostante la riservatezza, o poteva essere stata comunicata da qualche dirigente congolese filocinese.

Ho posto la questione a due persone che in quella fase furono vicine al Che: la vedova, che lo raggiunse e contribuì a scrivere sia il bilancio della spedizione (Pasajes de la guerra revolucionaria. Congo), sia le note al manuale. Ma non ha saputo o voluto accennare a un eventuale contatto anche indiretto con qualche rappresentante cinese, che poteva avergli fornito una versione di quel testo, che circolava proprio in quegli anni. Lo stesso mi ha risposto l’allora ambasciatore in Tanzania Pablo Rivalta, molto meno reticente, ma anche meno interessato alla questione, che tuttavia mi ha confermato che prima di ritirarsi dal Congo Guevara tentò di raggiungere con una lettera Ciu En-lai per ottenere aiuto.

Eppure il giudizio del Che sulla Cina si era molto modificato rispetto agli entusiasmi iniziali del 1962-1963: era arrivato alla conclusione che nonostante le aspre polemiche Cina e URSS avessero comportamenti analoghi (lo aveva detto pubblicamente nell’ultimo discorso pubblico, ad Algeri nel febbraio 1965, e lo aveva scritto implicitamente nel messaggio alla Tricontinentale).[61] La lettera a Ciu En-lai si spiegherebbe meglio ipotizzando che Guevara potesse avere avuto informazioni interessanti di prima mano sullo scontro interno al gruppo dirigente cinese, che di lì a poco sarebbe esploso nella “grande rivoluzione culturale proletaria”.

In quello scontro, anche se mascherata da dibattiti su un’opera teatrale e portata poi tra le masse col filtro di un linguaggio stereotipato e mistificante, era centrale la questione della difesa della Cina da una possibile aggressione, e quindiil problema del rapporto con l’URSS. Si doveva cercare un accordo con essa per ottenere anche a caro prezzo politico l’armamento necessario, o si doveva ricercare lo scontro frontale - come avverrà poi anche militarmente sul confine dell’Ussuri - considerandola il “nemico principale”? Non si può escludere che le proposte cubane di fronte unico dei paesi socialisti in difesa del Vietnam, e per il disinnesco del conflitto ideologico attraverso la costituzione di un terzo polo rivoluzionario (Cuba, Vietnam e Corea del Nord), presentate dal Che a Ciu En-lai in quel cruciale febbraio 1965, possano essere state respinte ufficialmente ma accolte con qualche segnale di disponibilità da una parte del gruppo dirigente maoista, che era alla vigilia della sua più grande divisione.

Non ci sono dati concreti, ma c’è un indizio importante. Dopo l’ultima visita del Che a Shangai il silenzio scese sulla sua figura. Sulla stampa cinese non fu neppure dato l’annuncio della sua morte, mentre i giornali dei gruppi filocinesi (e in Europa filoalbanesi) pubblicavano articoli di grottesche critiche settarie all’avventura piccolo-borghese di Guevara. Nei bollettini interni, che in Cina come in tutti i paesi che si erano modellati sull’esempio sovietico erano destinati ai vari livelli della nomenklatura, invece per alcuni anni (fino al 1980) continuarono le critiche al Che. Evidentemente c’era qualcuno che lo apprezzava. Poi ci furono anni di totale silenzio.

Nel 1995, invece, in Cina fu pubblicato un libro di volgare denigrazione del Che, scritto da un cinese residente negli Stati Uniti. Improvvisamente su diverse riviste uscirono lettere polemiche nei confronti del libro, in difesa di Guevara. Il governo cubano, che con quello cinese ha avuto negli anni successivi al crollo dell’URSS buone relazioni, ha protestato, e ha ricevuto come risposta la richiesta di inviare alcuni libri sul Che. Tra tutti, i dirigenti cinesi hanno scelto di pubblicare due libri degli infaticabili biografi cubani di Guevara e della rivoluzione, Adys Cupull e Froilán González; tutti e due, a mio parere, di dubbia utilità per far conoscere il pensiero di Guevara in un paese che l’ha nascosto più di ogni altro (a parte l’Albania, che imitava aggravandoli i difetti del “paese-guida”). L’affermazione non implica un giudizio negativo sui due libri, ma si basa sul fatto che l’uno è un’appassionata biografia della madre del Che, l’altro una completissima cronologia, preziosa per ogni studioso di Guevara (io stesso l’ho sempre a portata di mano durante il mio lavoro), ma di non facile lettura per chi non ha avuto nessun altra informazione.[62]

Tuttavia anche se insufficiente a risarcire i cinesi per il lungo silenzio su Guevara, l’iniziativa editoriale ha innescato sviluppi imprevedibili: quando i due libri sono stati tradotti e pubblicati, i due autori sono stati invitatialla presentazione a Pechino, e lì hanno scoperto che i traduttori erano stati gli interpreti di Guevara durante i suoi incontri con Mao e gli altri dirigenti. Ne sono scaturite lunghe interviste, che diventeranno presto un libro di grande interesse, anche se non si può escludere che anche nell’attuale fase dietro le testimonianze fornite ci possa essere qualche mossa dello scontro politico in atto.[63]

Riferisco queste notizie in modo sommario, dal momento che i due autori, che ho incontrato all’Avana in marzo, hanno promesso di dare - subito dopo l’uscita del loro nuovo libro - ai nostri “Quaderni”, di cui sono anche redattori, un articolo o un’intervista su questa interessante questione.


Il silenzio su Guevara a Cuba

Nel corso della relazione ho ripetutamente sferzato coloro che in Italia si sono tappati gli occhi e le orecchie. Al momento della stesura del testo da pubblicare sulla base degli appunti e della registrazione, ho ricercato un po’ di materiale cubano sul derrumbe, il crollo dell’URSS. Ho trovato alcune cose pregevoli, ad esempio di José Bell Lara, che a Cuba vive e insegna, mai cui testi su questo importante problema sono stati pubblicati in Spagna da SODePAZ e in Italia da “Bandiera rossa”. Ho riletto anche la spiegazione di Carlos Rafael Rodríguez, che sulla “Gaceta de Cuba” sosteneva che il crollo delle democrazie popolari era prevedibile, ma non quello dell’URSS, perché aveva fatto una grande rivoluzione… Su questo tono anche le conversazioni di Fidel con Tomás Borge.[64]

Ma ho ritrovato anche un libro pubblicato nel 1994 per orientare i docenti di “marxismo” (gli stessi che prima si chiamavano di “marxismo-leninismo”, e che conservavano la stessa metodologia pur vergognandosi del vecchio nome). Il collettivo di autori era coordinato da Román García Baez, un simpatico e amichevole professore incaricato di dirigere il dipartimento “di marxismo” presso il MES, il ministero dell’Educazione superiore.

Il libro mi era parso a suo tempo decente, tenuto conto del clima in cui era nato e dello stato d’animo dei curatori, che avevano perso le vecchie certezze e ne cercavano di nuove. Stentavano in genere a capire che non si trattava di rivedere e correggere i vecchi manuali, come avevano fatto sempre i sovietici, ma che andavano aboliti, spingendo docenti e studenti a leggere direttamente i testi marxiani, ma anche le pagine più inquiete dell’ultimo Lenin, e, perché no, la critica anticipatrice dell’Opposizione di Sinistra e di Trotskij, che aveva colto le contraddizioni del sistema.[65] All’interno del volume avevo trovato qua e là anche delle osservazioni interessanti, ma non avevo fatto un esame meticoloso delle fonti (avevo comunque notato molti sociologi latinoamericani e vari intellettuali europei che non avrei preso in troppa considerazione). La rilettura mi ha tuttavia turbato per molti aspetti, oltre a quello già notato a suo tempo: l’attribuzione del crollo a un presunto “modello eurosovietico”, per salvare Cina, Vietnam e Corea del Nord da ogni sospetto di aver avuto a che fare con quel modello e di poter essere raggiunti in tempi successivi dalla stessa crisi. Comunque, dopo un controllo a tappeto, ho scoperto che di Guevara in tutto il libro di 200 pagine c’era una sola citazione, generica e banale, e non molto pertinente, in uno dei saggi. Ecco uno dei prezzi pagati alla censura degli scrittidel Che maturo: dal naufragio del “socialismo reale” si esce annaspando e aggrappandosi a questo o quel politologo (c’è perfino Dahrendorf…), mentre ci sarebbe a disposizione un’ottima guida, il Che, per “riportare l’aereo indietro verso il punto in cui si è smarrita la rotta”.


[1] Carlos Tablada Pérez, Economia, etica e politica nel pensiero di Ernesto Che Guevara, Il Papiro, Sesto San Giovanni (MI), 1996.

[2] Particolarmente interessanti gli Atti della Conferencia teórica sobre el pensamiento económico del Comandante Ernesto Che Guevara. Memorias, Editora política, La Habana, 1990. La conferenza siera svolta il 26 e 27 aprile del 1988 ed era stata convocata dal segretariato del Comitato centrale del Partito comunista di Cuba.

[3] Pensar al Che, prefacio de Armando Hart Dávalos, recopilación Centro de Estudios sobre América, editorial José Martí-Centro de Estudios sobre América, La Habana, 1989. Edizione italiana ridotta: Attualità del Che, a cura di Luis Suárez Salazar e Adriana Chiaia, coedizione Editorial José Martí-Teti editore, Milano, 1997.

[4] Antonio Moscato, Gli scontri ideologici degli anni Sessanta, in “Latinoamerica, nn. 27-28, luglio-dicembre 1987, pp. 55-63; Antonio Moscato, Guevara e il “socialismo reale”, in “Latinoamerica, nn. 33-34, gennaio giugno 1989, pp. 83-102; Antonio Moscato, Le ultime battaglie, in “Latinoamerica, n. 65, settembre 1997, pp. 29-48. Per alcuni aspetti può anche essere utile anche il mio articolo su La riscoperta di Guevara a Cuba oggi, apparso sul numero 50-51 della stessa rivista, dato che passava in rassegna tutti i convegni dedicati al Che nei primi anni dopo il XX anniversario e il discorso di Fidel.

[5] Una parziale eccezione è l’ampia compilación de textos curata da un ampio collettivo della scuola di partito col titolo El hombre y la economía en el pensamiento de Che, Editora Politica, La Havana, 1988. Pur essendo raggruppata per temi e non cronologicamente, un sistema di note permette di ricostruire le fonti, tra cui il tomo VI della raccolta curata da Borrego, El Che en la revolución cubana. Anche se nel 1987 Carlos Tablada aveva inserito quella raccolta nella sua bibliografia, si trattava comunque di un’importante novità, che consentiva ai lettori di conoscere almeno qualche passo dell’ultimo Guevara. Quanto quella raccolta fosse precedentemente “protetta” lo rivela un episodio: Aurelio Alonso, uno dei redattori di Pensamiento critico, aveva regalato la sua copia alla Biblioteca nazionale José Martí, di cui era direttore, ma quando anni dopo si recò per consultarla non ne trovò traccia.

[6] [“Siamo noi ben più colpevoli, noi dirigenti del governo che abbiamo il dovere di essere perspicaci, mentre abbiamo imboccato la via cosiddetta settaria, ma che è piuttosto stupida che non settaria: la via del distacco dalle masse; la via dell’accostamento a volte rigido di misure corrette a misure assurde; la via della soppressione della critica, non solo la soppressione della critica per chi ha legittimo diritto di esercitarlla, cioè il popolo, ma la soppressione della vigilanza critica da parte dell’apparato del Partito, che è diventato un esecutore e, per essere diventato un esecutore, ha perso le caratteristiche di vigilanza, di ispezione. Questo ci ha portato a gravi errori economici, e va ricordato che alla base di ogni movimento politico sta l’economia, mentre noi abbiamo commesso errori economici, vale a dire abbiamo imboccato la strada che interessava all’imperialismo farci imboccare. Adesso loro vogliono distruggere la nostra base economica attraverso il blocco; con tutte queste cose noi lo andavamo aiutando a mano a mano”]. Cfr. Ernesto Che Guevara, Escritos y discursos, Editorial de Ciencia Sociales, La Habana, 1985², vol. 9, pp. 197-223, tradotto parzialmente in: Ernesto Che Guevara, Scritti scelti, erreemme, Roma, 1993, vol. II, pp 432-438.

[7] [“I Comitati di Difesa, un’istituzione che si formò nel vivo della vigilanza popolare, che esprimeva l’ansia del popolo di difendere la propria rivoluzione, si sono andati trasformando in un tuttofare, un’imposizione, in un covo d’opportunismo: si sono trasformati in un’organizzazione antipatica al popolo. Oggi credo di poter dire, del tutto a ragione, che i CDR sono antipatici al popolo”.]. Il passo si trova a p. 217 dell’edizione cubana e a p.434 di quella italiana citate nella nota precedente.

[8] [“Noi abbiamo la grande virtù di avere evitato di incorrere nella tortura, in tutte quelle cose terribili in cui si è caduti in molti Paesi pur difendendo principi giusti. Stabilimmo un principio, regolarmente ribadito da Fidel, quello di non toccare mai la gente, anche quando la si dovesse fucilare subito dopo, e può darsi che ci siano state eccezioni - io ne conosco alcune”.]. Il passo si trova a p. 218 dell’edizione cubana e a p. 434 di quella italiana, cit. I corsivi sono miei.

[“Controrivoluzionario è chiunque viola la morale rivoluzionaria, non dimenticatevene. Controrivoluzionario è chi lotta contro la rivoluzione, ma anche il signore che si avvale della sua influenza per ottenere una casa, e poi ottiene le automobili, poi aggira il razionamento e alla fine ha tutto quello che il popolo non ha (l’ostenti o meno, a ogni modo ce l’ha)”.]. Il passo si trova a p. 219 dell’edizione cubana e a p. 437 di quella italiana, cit.

[9] [“Controrivoluzionario è chiunque viola la morale rivoluzionaria, non dimenticatevene. Controrivoluzionario è chi lotta contro la rivoluzione, ma anche il signore che si avvale della sua influenza per ottenere una casa, e poi ottiene le automobili, poi aggira il razionamento e alla fine ha tutto quello che il popolo non ha (l’ostenti o meno, a ogni modo ce l’ha)”.]. Il passo si trova a p. 219 dell’edizione cubana e a p. 437 di quella italiana, cit.

[10] [“tutti coloro che parlano di rivoluzione e violano la morale rivoluzionaria non solo sono potenziali traditori, ma sono i peggiori detrattori della rivoluzione, perché la gente li vede e sa quello che fanno. Quand’anche non conoscessimo le cose, o non volessimo conoscerle, la gente comune le veniva a sapere”.]. Il passo si trova a p. 221 dell’edizione cubana e a p. 438 di quella italiana, cit.

[11] Dalla prima parte del testo risulta che l’inquietudine riguardava solo il comportamento arrogante e “settario” dei filosovietici, ma non l’URSS in quanto tale, di cui si dava per scontato che aveva la forza per distruggere l’imperialismo alla radice, e la volontà di farlo in caso di attacco statunitense a Cuba (Escritos y discursos, cit. p. 214). La delusione per l’atteggiamento dell’URSS nella crisi di ottobre sarebbe stata fortissima.

[12] Borrego non figura tuttavia come curatore, mentre l’unica indicazione nel frontespizio, oltre al titolo El Che en la revolución cubana è il Ministerio del Azúcar come editore. Non è indicato neanche l’anno, che dovrebbe essere tuttavia il 1967.

[13] C. Tablada, op. cit., p. 45.

[14] Ivi, p. 46.

[15] Ibidem.

[16] Ivi, p. 47.

[17] Inseriti poi, dal 1993, in E. Guevara, Scritti scelti, cit. pp. 536-579. Si veda in particolare quanto affermato dal Che nell’incontro del 5 dicembre, due giorni dopo la conferenza di Santiago, alle pp. 565-567.

[18] Non ho “autorizzazioni” per i primi inediti, che nel 1993 mi è stato gentilmente concesso di visionare dalla vedova del Che, Aleida March; dopo avermi visto al lavoro a lungo nell’archivio privato ricavato nello studio di Guevara mi autorizzò a copiare alcune centinaia di pagine, fidandosi giustamente della mia parola: avevo promesso, su sua richiesta, di utilizzare i testi senza pubblicarli, o meglio senza pubblicarne nessuno integralmente. D’altra parte, la sua richiesta non era fatta a titolo personale, ma si basava su disposizioni del “Consiglio di Stato”, cioè di fatto di Fidel Castro. Nel 1994 non mi fu possibile ottenere l’accesso ad altri documenti che mi erano stati promessi, e mi fu fatto capire che in quell’anno non sarebbe neppure stato possibile copiare quegli stessi testi che avevopotuto riprodurre nel 1993. Non ne conosco con certezza la ragione, ma mi permetto di supporre che, nel quadro della nuova politica di dollarizzazione e di apertura ai capitali stranieri, sarebbe stato inutile e anzi controproducente proseguire in quellariscoperta del Che promossa dallo stesso Fidel nel 1987. Non ho comunque neppure la possibilità di pubblicare integralmente gli altri inediti che negli anni successivi ho potuto visionare (e in parte trascrivere) presso amici cubani, in genere ex collaboratori del Che, oppure studiosi del suo pensiero, che ringrazio per la fiducia accordatami. Saranno loro, che vivono a Cuba e vogliono continuare a farlo, a decidere liberamente quando sarà possibile sormontare gli anacronistici divieti e pubblicare tutto integralmente senza remore.

[19] K. S. Karol, Les guerrilleros au pouvoir, Robert Laffont, Paris, 1970, p. 55.

[20] Ibidem. Negli anni successivi Guevara avrebbe trovato un testo d’insieme che gli sarebbe parso assai più utile dei manuali dogmatici sovietici, il Trattato marxista di economia di Ernest Mandel, che ho visto nel suo studio nell’edizione originale di Juillard del 1962; ma era già tardi per poterlo introdurre in luogo o almeno a fianco del manuale sovietico.

[21] K. Karol, op. cit., p. 56.

[22] L’ufficiale cubano che comandava la piccola guarnigione e che una volta tornato a Cuba fu destituito, venne soprannominato dall’ironia popolare “Ténis Tortolò”, (ténis sono le scarpe da ginnastica, che alludevano alla velocità con cui era scappato dal combattimento).

[23] Ivi, pp. 56-57.

[24] Ivi, p. 57.

[25] Ibidem.

[26] Sui rapporti con i consiglieri cechi, a partire da Waltr Komarek, rimangono parecchi problemi da chiarire. In primo luogo sarebbe utile sapere se Guevara si era procurato tramite loro i rapporti riservati sullo stato dell’economia inviati alla segreteria del partito da alcuni economisti comunisti, tra cui Ota Šik, che nel 1968 avrebbe esposto pubblicamente la sua diagnosi in una serie di conversazioni alla TV ceca, apparse poi anche in italiano: Ota Šik, La verità sull’economia cecoslovacca, Etas Kompass, Milano, 1969.

[27] [“A mano a mano che si sviluppa nelle colonie un’industria locale, cresce la borghesia nazionale, che si trova in una duplice situazione: da un lato, il giogo dell’imperialismo straniero e dei residui feudali ne intralciano il cammino verso il predominio economico e politico; dall’altro lato, però, condivide con i monopoli stranieri lo sfruttamento della classe operaia e dei contadini. Nella misura in cui la lotta di liberazione nazionale e dei popoli dei paesi coloniali e dipendenti tende innanzitutto ad abbattere il dominio dell’imperialismo, a conquistare l’indipendenza nazionale e a sopprimere i residui feudali, la borghesia nazionale partecipa a questa lotta e svolge in qualche modo un ruolo progressista”.]. Academia de Ciencias de la URSS, Manual de economía política, La Habana, Editorial de Ciencias Sociales, s.d. (ma 1961), p. 244.

[28] [“Storicamente è sicuro, ma oggi è sbagliato. Nei paesi con più lunga esperienza di pseudo-indipendenza politica, come sono la maggioranza di quelli latinoamericani, il processo di alleanza tra le borghesie e i capitali imperialisti era in gestazione da tempo; la Rivoluzione cubana ha provocato un vero e proprio grido d’allarme, ascoltato da tutti gli sfruttatori autoctoni. Per altro verso, la lotta contro i residui feudali è molto problematica, visto che anche qui si genera l’alleanza tra gli sfruttatori di vari settori e i grandi latifondisti fanno incursioni nell’industria e nel commercio. In America la formazione della borghesia assume un’impronta parassitaria fin dal primo momento, costituendo le cosiddette borghesie importatrici, assolutamente dipendenti dai capitali monopolistici. La lotta contro la borghesia è condizione indispensabile della lotta di liberazione, se si vuole approdare a un risultato irreversibilmente vittorioso (Indonesia, come esempio del caso contrario)”.] Ernesto Che Guevara, Preguntas sobre la enseñanza de un libro famoso (Manual de economía política de la Academia de lasCiencias de la URSS), dattiloscritto, p. 10, n. 46. Ho tuttavia l’impressione che la numerazione delle pagine, ma forse anche quella delle note, potrebbe avere un valore solo relativo. Ho infatti potuto esaminare il dattiloscritto solo per poche ore, senza poterlo fotocopiare (cosa peraltro difficile e costosissima a Cuba fino a pochi anni fa), copiandone solo alcune parti. Ho potuto confrontare i miei appunti con quelli di altri cubani che lo hanno esaminato in vari periodi e circostanze, ricavando la conclusione che ne esistono diverse versioni, con diversa impaginazione e numerazione. Quella definitiva sarà probabilmente quella preparata per la stampa da Maria del Carmen Ariet già da diversi anni, ma che non ho potuto esaminare. Aleida March, di cui Maria del Carmen Ariet è la principale collaboratrice, nel 1994 mi aveva raccomandato di pazientare, perché riteneva che il testo sarebbe stato pubblicato nel 1997, in occasione del trentesimo anniversario della morte. Guevara aveva cominciato ad annotare e commentare il Manuale già prima della partenza per il Congo, e poi riprese a lavorarci con l’aiuto della moglie a Dar es Salaam, alla fine del 1965. Quella che ho potuto in parte trascrivere è verosimilmente l’ultima o una delle ultime, come si può dedurre dall’accenno, proprio in questa nota 46, alla tragedia dell’Indonesia, in cui nell’autunno del 1965 la collaborazione di classe dei comunisti con la “borghesia nazionale” si era conclusa in uno spaventoso bagno di sangue in cui perirono tra 500.000 e 700.000 comunisti e appartenenti alla minoranza cinese, considerati loro alleati e comunque oggetto di pogrom in quanto “diversi” e dediti al commercio (i cinesi nell’ultimo secolo hanno avuto nell’area del Pacifico una funzione di capri espiatori analoga a quella assegnata agli ebrei in diverse fasi della storia europea).

[29] Manual, cit., p. 247; Preguntas, cit., p. 10, n. 47.

[30] [“il sistema capitalistico perviene alla sua completa maturità con l’imperialismo, ma neanche questo ha ancora sfruttato al massimo le sue potenzialità in questo momento, e presenta una grande vitalità”.]. Manual, cit., p. 248; Preguntas, cit., p. 11, n. 48.

[31] [“occorre ancora una volta porre l’accento sul fatto che l’opportunismo ha investito uno strato enorme della classe operaia dei paesi imperialisti”.]. Manual, cit., p. 253; Preguntas, cit., p. 12, n. 52.

[32] [“Nelle attuali condizioni, in cui esiste un forte campo socialista, in cui continua ad approfondirsi la crisi generale del capitalismo, in cui il sistema coloniale si disintegra sempre più e gli ideali del socialismo, della democrazia e della pace possiedono una grandiosa forza di attrazione per l’intera umanità lavoratrice, si dà la possibilità concreta che, in questo o quel paese capitalista o uscito dalla dominazione coloniale, la classe operaia arrivi pacificamente al potere, per via parlamentare”.]. Manual, cit., p. 335.

[33] [“A questa cantilena del parlamento non ci credono neanche gli italiani, che pure non hanno altro dio”.]. Preguntas, cit., p. 16, n. 72.

[34] Saverio Tutino ne ha parlato in più occasioni, e ne ha scritto nella sua singolare autobiografia, in cui intreccia ricordi e riflessioni attuali con brani del suo diario. Saverio Tutino, L’occhio del barracuda, Feltrinelli, Milano, 1995, p. 132.

[35] Armando Cossutta, in un articolo apparso nell’ottobre 1992 su “Liberazione” in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Guevara, parlava del tono sprezzante nei confronti della rivoluzione cubana e dello stesso Fidel usato da Mario Alicata in una riunione della Direzione del PCI, dopo un viaggio all’Avana. Sorvolava invece sulla frase sugli “strateghi da farmacia” con cui Giorgio Amendola, il leader della “destra” del PCI, si riferiva al Che (ma dopo la sua morte disse che ce l’aveva con i suoi imitatori). Ma Cossutta ha sempre mantenuto un forte legame con il suo maestro e protettore Amendola, che univa al più aperto riformismo un rifiuto di mettere in discussione l’URSS e la sua storia, e che tentò di contrapporre una sua Storia del PCI a quella di Spriano, troppo poco ortodossa. Anche Pietro Ingrao, il leader della cosiddetta “sinistra” del PCI (qui le virgolette ci vogliono assolutamente) “non rimase ben impressionato dall’incontro con il comandante Ernesto Guevara”. Lo scrive Aldo Garzia, che è sempre stato molto vicino a Ingrao, nel suo monumentale libro C come Cuba. Alla conquista dell’isola del tesoro, elleu multimedia, Roma 2001, p. 471.

[36] [“I casi della Cina, del Vietnam e di Cuba dimostrano la scorrettezza di questa tesi. Nei primi due casi la partecipazione ddel proletariato è state nulla o scarsa, a Cuba la lotta non è state diretta dal partito della classe operaia, ma da un movimento filoclassista radicalizzatosi dopo la presa del potere politico”.] Manual, cit., p. 261; Preguntas, cit., p. 12, n. 55. Il corsivo è mio.

[37] Camilo era nato il 20 maggio 1962, e non aveva ancora tre anni al momento della partenza del padre per il Congo. La sua formazione, a differenza di quella della primogenita Hildita, è stata analoga a quella di tanti giovani cubani che hanno cominciato le scuole superiori dopo la morte del Che, sotto l’influenza ideologica schiacciante degli stalinisti provenienti dal PSP, che anche dopo avere sacrificato Aníbal Escalante durante la seconda crisi del gennaio 1968, hanno preso in poco tempo il controllo quasi completo dell’educazione e della cultura. Emblematica la soppressione della rivista “Pensamiento crítico” e del Dipartimento di Filosofia nel 1971. Una data che non a caso coincide con il fallimento della grande zafra dei dieci milioni di tonnellate, fallimento che ridimensionò i tentativi di Fidel di conquistare una maggiore indipendenza economica dal blocco “socialista” (subito dopo avverrà infatti anche l’ingresso nel Comecon). Il dibattito con Camilo Guevara, a cui partecipavo insieme a Enzo Santarelli, si svolse nella libreria del Manifesto.

[38] [“In un breve arco di tempo, i paesi del campo socialista gettarono le basi per una stretta collaborazione economica, fondata sul reciproco aiuto fraterno. Accanto al vecchio mercato mondiale capitalistico nacque un nuovo mercato mondiale dei paesi socialisti, che si rafforzò rapidamente. Tale mercato cresce ininterrottamente, grazie al suo sviluppo senza crisi e all’inarrestabile incremento della produzione nei paesi del campo del socialismo. Essendosi poi sganciati dal sistema capitalistico, nella fase del dopoguerra, tutta una serie di nuovi paesi, e proprio in conseguenza di questo, si formò e si sviluppò vittoriosamente il sistema socialista dell’economia mondiale”.]. Manual, cit., p. 279.

[39] [“Troppo idilliaco. Ancorché non si conoscano le crisi nell’accezione propriamente capitalistica, le difficoltà degli ultimi anni nelle democrazie popolari d’Europa e il disastro del grano in URSS stanno ad indicare che anche lì si susseguono gravi interruzioni dell’avanzamento”.]. Preguntas, cit., p.13, n. 58.

[40] [“il socialismo pone fine alla contraddizione tra la natura sociale della produzione e la forma privata, capitalistica, dell’appropriazione (...) non conosce la contraddizione tra produzione e consumo (...) e quindi è in condizioni di potere espandere ininterrottamente la produzione ” (...) “un mercato estero sempre più esigente ha progressivamente scalzato via articoli prodotti con una tecnologia ormai congelata, determinando cali nella produzione complessiva del paese”.]. Preguntas, cit., p. 25, n. 113; il passo del Manual è a p. 457.

[41] [“non esistono più nel mondo forze in grado di restaurare il capitalismo nel nostro paese, di far crollare il campo socialista” (...) “Le ultime risoluzioni economica dell’URSS somigliano a quelle adottate dalla Jugoslavia quando scelse la strada che l’avrebbe portata a un graduale ritorno al capitalismo. Il tempo dirà se si tratta di un incidente passeggero o se implica una decisa tendenza all’arrtramento. Tutto parte dalla concezione erronea di cercare di costruire il socialismo con elementi di capitalismo, sensa cambiarne effettivamente il senso. Per cui si perviene a un sistema ibrido che finisce in un vicolo cieco.”]. Preguntas, cit., p. 20, n. 93; il passo del Manual è a p. 412. Era del tutto svanito l’entusiasmo ingenuo del 1959 per la Jugoslavia,“un paese in cui si lavora con uno spirito magnifico, si fanno cose stupende, c’è una grande libertà di discussione.” (Ernesto Che Guevara, Opere, Feltrinelli, Milano, 1969, v. IV, p. 367).

[42] [“questo non lo ha confermato la pratica in URSS né nelle democrazie popolari. Le differenze e l’antagonismo sono palpabili e in contraddizione per penurie e carestie periodiche.]. Preguntas, cit., p. 21, n. 94; il passo del Manual è a p. 413

[43] Preguntas, cit., p. 22, nn. 96, 98.

[44] [“di norma in questo libro si confonde il concetto di socialismo con quanto in pratica accade in URSSS”.]. Preguntas, cit., p. 29, n. 135. Non c’è il riferimento a una pagina specifica del Manual, sicché questa si può considerare un’osservazione generale.

[45] [“è molto discutibile l’esistenza di queste cosiddette categorie economiche. Tuttalpiù si potrebbe dire che si trata di categorie economiche dell’URSS, non del socialismo (ad esempio, calcolo economico)”.]. Preguntas, cit., p. 23, n. 106; il passo del Manual è a p. 446.

[46] [“si presume di conoscere leggi economiche la cui reale esistenza è discutibile” (...) sbattendo a ogni angolo “con le leggi economiche del capitalismo che sopravvivono nell’organizzazione economica sovietica” (...). “Si va avanti con l’autoinganno. Fino a quando? Non si sa, e neanche come si risolverà la contraddizione”.]. Preguntas, cit., p. 24, n. 107.

[47] [“Di nuovo questa idea, così giusta nella sua formulazione teorica, inciampa in contraddizioni etiche. Se l’internazionalismo proletario ispirasse le azioni dei governanti dei paesi socialisti, indipendentemente da certi errori concettuali in cui potrebbero incorrere, sarebbe un successo. Ma l’internazionalismo è rimpiazzato dallo sciovinismo (da poca potenza o da piccolo paese), o dalla sottomissione all’URSS, mantenendo le discrepanze tra altre democrazie popolari (COMECON)”.]. Preguntas, cit., p. 26, n. 120; il passo del Manual è a p. 474.

[48] [“I piani annuali, nella forma attuata a Cuba, costituiscono un freno. Ogni anno, come spiega in seguito il testo, si dividono le ristrettezze precedenti, cone se tutto ricominciasse da capo, e si dà il caso di fabbriche con eisultati brillanti un anno e disastrosi il secondo anno, per la mancanza di materia prima. Se il sistema non è buono nei paesi socialisti vicini, con grande indipendenza, a Cuba, lontana chilometri e con persistenti problemi di pagamenti, è stato disastroso”.]. Preguntas, cit., p. 27, n. 125; il passo del Manual è a p. 480.

[49] [“Una delle pecche gravi del sistema sovietico” (...) “gli incentivi morali sono dimenticati o marginali”.]. Preguntas, cit., p. 35, n. 159.

[50] [“Possiede anche filiali a Londra e a Parigi (un poco mimetizzate). Ci si può chiedere se tutto ciò non influirà sui metodi e le concezioni della direzione sovietica, così come gli istituti creditizi di proprietà del partito argentino influiscono sulla sua linea di intervento politico”.]. Preguntas, cit., p. 41, n. 193; il passo del Manual è a p. 627.

[51] D’altra parte il PCA avrebbe superato ogni previsione pessimistica del Che nel 1976, trovando qualcosa di positivo (in nome delle forniture di grano all’URSS) perfino nella giunta di Videla, che assassinava non solo i rivoluzionari del PRT o Montoneros, ma anche tanti militanti di base del partito.

[52] [“ci sono molte afsserzioni in questo libro che somigliano alla formula della santissima trinità: non si capisce, ma la fede risolve la cosa”.]. Preguntas, , p. 43, n. 204; il passo del Manual è a pp. 656-657.

[53] [“Non si capisce come possano eliminarsi i metodi coercitivi sostituendoli con quelli economici. Se questi diventano automatici, si ritorna a una società anarchica, se li si guida tramite un piano centralizzato, lo Stato deve stare lì a vigilare su quel che succede (o deve succedere) (...) Gli operai, il popolo in genere, decideranno sui grandi problemi del paese (saggio di sviluppo, cioè accumulazione, consumo, tipi di produzione fondamentali, lavori sociali, beni perituri o di largo consumo), nei vari luoghi decideranno sui loro problemi concreti (queliche non vanno oltre il loro ambito), ma il piano e la produzione saranno di spettanza degli specialisti, né si possono cambiare per volontà individuali, anche se di tipo collettivo. Il punto è considerare l’organizzazione economica come un grande macchinario e vigilare che funzioni, senza però inserirsi nei suoi ingranaggi”.]. Preguntas, cit., p. 43, n. 203.

[54] [“Sono la maggioranza - ed è bene dirlo - dei dirigenti sindacali, sono persone che non godono del sostegno di massa... Poiché non godono del sostegno di massa, non hanno un prestigio acquisito in seno alle masse, scelgono la strada più semplice, e quale? Farsi portavoce delle masse e cioè: la massa dice e io trasmetto e bisogna fare ciò che la massa dice; quindi poi dicono alla massa: Ah! no, il governo dice e io trasmetto (...) Non è una politica coerente rispetto alla classe operaia né si aiuta - tutt’altro - il Governo”.]. El Che en la revolución cubana, cit., t. VI, p. 267.

[55] [“Di una cosa sono sicuro, ed è che il sindacato è un freno che va distrutto, ma non con il sistema di esaurirlo, ma distruggerlo come si dovrebbe distruggere lo Stato in un momento, con il metodo di superarlo da parte della gente, e alla fine arrivare a rendere inutile questa istituzione. Non ci trovo nessun ruolo dinamico, non trovo che svolgano un ruolo mobilitante. Qui i sindacati sono stati costruiti meccanicamente. Poiché in Unione sovietica vi sono sindacati amministrativi, si sono fatti sindacati amministrativi a Cuba. Bene, vorrei chiedere, che cosa hanno fatto i sindacati in ciascun ministero? Non sono stati in grado di mettere insieme qualcuno che andasse a tagliare quattro canne, non sono stati in grado di dare l’esempio su niente. In questo ministero, per fortuna, non hanno di certo posto questioni, rivendicazioni amministrative. Da altre parti lo hanno fatto. Non è povero il ruolo di un’istituzione creata da poco per svolgere il ruolo di copia con carta carbone dell’esperienza storica di un altro paese? Questo non è marxista: e uno dei tanti errori che commettiamo, avallati da tutti noi, probabilmente anche da me, che sono Ministro, dal Consiglio dei Ministri, ma è un errore e di errori ne commettiamo”.].Ivi, p. 272.

[56] [“La costruzione del comunismo nell’URSS e del socialismo nei paesi di democrazia popolare avviene in condizioni di una crescente e sempre più forte collaborazione fraterna fra gli Stati del sistema socialista mondiale: (...) Lo sviluppo della collaborazione tra tutti i paesi del campo socialista si traduce nell’accelerazione dello sviluppo economico dell’intero sistema mondiale del socialismo. E questo fa sì che nel campo socialista non si diano né possano darsi fenomeni di espansione, di scambio diseguale, di lotta concorrenziale, di sfruttamento e soggiogamento degli Stati deboli ad opera di quelli forti”.]. Manual, cit., pp. 680-681.

[57] Preguntas, cit., n. 212.

[58] [“Oggettivamente inesatto. La teoria potrebbe porre il problema dello sviluppo diseguale anche per il socialismo; la pratica ha posto il problema di contraddizioni ingiustificabili. Di natura ideologica, talvolta presentano regolarmente un contenuto materiale, economico. Di qui le posizioni assunte dall’URSS, dalla Cina, dalla Romania o da Cuba in questioni in apparenza non legate all’economia”.]. Preguntas, cit., n. 211.

[59] [“il crimine tremendo di Stalin: avere disprezzato l’educazione comunista e istituito il culto incondizionato dell’autorità”.]. Preguntas, cit., p. 47, n. 221, del dattiloscritto, ma senza riferimento a una pagina del Manual.

[60] In Italia questo ed altri testi dello stesso genere e periodo sono stati tradotti contemporaneamente nel 1975 presso due case editrici: Mao Tse-tung, Note su Stalin e il socialismo sovietico, a cura di Hu Chi-hsi, Prefazione di Aldo Natoli, Laterza, Roma-Bari, 1975; Mao Tse-tung, Su Stalin e sull’URSS. Scritti sulla costruzione del socialismo, Introduzione di Gianni Sofri, Einaudi, Torino, 1975.

[61] Sul difficile rapporto del Che con la Cina rinvio a quanto ho scritto nell’introduzione a In Bolivia con il Che. Gli altri diari, Massari editore, Bolsena, 1998, pp. 42-49.

[62] Adys Cupull e Froilán González, Canto inconcluso. Una vida dedicada al Che, Editora política, La Habana, 1998; Adys Cupull e Froilán González, Un hombre bravo, Editorial Capitán San Luis, La Habana, 1994.

[63] In questo quadro vanno collocati anche i preziosi documenti (verbali di riunioni del Politbjuro, ecc.) fatti uscire dalla Cina a evidenti scopi interni (rafforzare la lotta dei riformatori contro i conservatori). I documenti, raccolti da Zhang Liang (uno pseudonimo) e curati da due importanti sinologi, Andrew J. Nathan e Perry Link, con la supervisione di Orville Schell, sono stati pubblicati anche in Italia con il titolo: Tienanmen, Rizzoli, Milano, 2001. Può essere che alcune “informazioni” fornite dagli intervistati ai due storici cubani, che si occupavano per la prima volta della Cina, fossero destinate allo stesso scopo (ad esempio la “notizia” che tra i dirigenti cinesi quello più amico del Che fosse Den Tsiao-ping, che non appare molto verosimile, ma si spiega probabilmente col fatto che i due interpreti, che hanno molto sofferto al tempo della rivoluzione culturale, sono convinti sostenitori della svolta di Deng).

[64] Una critica puntuale delle interpretazioni di Carlos Rafael Rodríguez è nella seconda edizione aggiornata del mio libro Intellettuali e potere in URSS (1917-1991), Milella, Lecce, pp. 236-240. Il testo di Fidel è stato tradotto anche in Italia: Fidel Castro, Un chicco di mais, conversazione con Tomás Borge, il Papiro, Sesto San Giovanni (MI), 1994.

[65] Una preziosa testimonianza sulle ultime letture di Guevara in Bolivia, che conferma che proprio a Trotskij avesse fatto ricorso per capire quello che stava accadendo in URSS, è fornita dai quaderni sequestrati dalla CIA al Che dopo la sua cattura alla Quebrada del Yuro, pubblicati da Carlo Feltrinelli nel 1998 e ignorati incredibilmente dalla grande stampa: Ernesto Che Guevara, Prima di morire. Appunti e note di lettura, Feltrinelli, Milano, 1998.

 
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view post Posted on 6/9/2011, 14:35
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compagno

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Da che pulpito .....!
il titolo del topic non mi sembra che corrisponda alla lettera dell'articolo. Al massimo corrisponde alle intenzioni dei commentatori.
 
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folagra
view post Posted on 6/9/2011, 14:42




«Il terribile crimine storico di Stalin fu l'aver disprezzato l'educazione comunista e istituito il culto illimitato dell'autorità»

Ernesto Guevara
 
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Klim Voroshilov
view post Posted on 6/9/2011, 14:45




Non ho letto tutto ma, oltre al titolo fourviante, non si capisce perchè il Che, nel 1963, abbia scritto una prefazione così entusiastica al libro El partido marxista-leninista, contenente alcuni discorsi del Comandante Fidel Castro e, udite udite, un capitolo del Manuale di marxismo-leninismo di Otto V. Kuusinen, ovvero un "mattone sovietico" coi fiocchi.

CITAZIONE
«Il terribile crimine storico di Stalin fu l'aver disprezzato l'educazione comunista e istituito il culto illimitato dell'autorità»

Ernesto Guevara

Fonte?
 
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view post Posted on 6/9/2011, 14:53
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compagno

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CITAZIONE (Klim Voroshilov @ 6/9/2011, 15:45) 
Fonte?

Rocchetta.
Quella del plin-plin.
 
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view post Posted on 6/9/2011, 16:16

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ma cosa vi aspettate possa scrivere un antistalinista socialdemocratico come Michael Löwy?
cn le sue teorie strumentalizza il che per guadagnare fiducia e proporre così regimi revisionisti... speculando persino sui problemi ambientali con l'invenzione dell'ecosocialismo (*)

"....intellettuali di sinistra come il cubano Fernando Martinez Heredia, i francesi François Chesnais e Michael Lowy, la sudafricana Rita Edwards, lo statunitense James Petras e il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti hanno indicato il socialismo come unica alternativa alla distruzione operata dalla barbarie capitalista in tutto il mondo. Il grande male dell'umanità oggi ha un solo nome: il capitalismo, la cui radice, ha sottolineato Lowy, è la proprietà privata dei mezzi di produzione. Eliminare questo male alla radice è appunto il compito del socialismo: di un socialismo che non ha nulla a che vedere con la "povera caricatura burocratica" di quello dell'Est europeo; ma è il socialismo per cui molte persone hanno dato la loro vita. Come Rosa Luxemburg, con la sua lotta instancabile in difesa della Rivoluzione e della democrazia;...."

"...La prospettiva dell’Ecosocialismo del XXI secolo è configurata anche nel manifesto di Michael Lowy e Joel Kovel, in cui viene rilevato, tra l’altro che «se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e si frammenta nelle barbarie appena descritte, allora affermiamo anche che è necessario costruire un socialismo capace di superare le crisi che il capitale ha provocato nel tempo. E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, se scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere. Allo stesso modo in cui la barbarie è cambiata in modo da rispecchiare il secolo trascorso dal momento che Luxemburg ha espresso la sua speranzosa alternativa, il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo..."


(*) sono un accanito ambientalista ma termini simili, come "ecosocialismo", mi sembrano ridicoli... una società socialista che si rispetti, solo perché è tale, sa prendere coscienza dei problemi e cerca di seguire sempre la giusta strada per risolverli o almeno cerca di arginarli il più possibile... l'utilizzo di termini simili è strumentale e serve a disorientare la gente...
 
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Belfagor
view post Posted on 6/9/2011, 16:37




CITAZIONE
Come Rosa Luxemburg, con la sua lotta instancabile in difesa della Rivoluzione e della democrazia

Sentir nominare una persona del calibro di Rosa Luxembourg (così come Che Guevara) da simile gentaglia mi fa accapponare la pelle. Ancor più vergognosi sono i miseri trucchetti logici, quando non le deliberate omissioni, che questi cialtroni operano per spacciare le loro idee revisioniste come autentiche tesi socialiste.

"Eliminare questo male alla radice è appunto il compito del socialismo." E fin qui ci siamo. Ma subito dopo, ecco che con un abile gioco di prestigio compaiono le classiche definizioni filotrockiste di "burocrazia" e "rivoluzione tradita", il tutto senza la minima argomentazione. Molto probabilmente, anche i ragionamenti scientifici e dialettici sono un'ingombrante lascito del XX secolo che il glorioso socialismo del XXI secolo non vede l'ora di lasciarci alle spalle. E ci sta riuscendo pienamente, fra l'altro.

Scusate se è un po' OT.
 
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view post Posted on 6/9/2011, 16:43

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anche io ero ot, nn ho discusso lo scritto, ma era per fare capire chi è colui che scrive e se può avere interessi a divulgare certe idiozie...
 
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folagra
view post Posted on 9/9/2011, 09:04




[“il crimine tremendo di Stalin: avere disprezzato l’educazione comunista e istituito il culto incondizionato dell’autorità”.]. Preguntas, cit., p. 47, n. 221, del dattiloscritto, ma senza riferimento a una pagina del Manual.

La fonte c'è.
 
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view post Posted on 9/9/2011, 10:16

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labili prove queste...
la paura di stalin nel mondo borghese è stata sempre tanta, anche ora che è morto fanno paura le sue idee.. l'infangamento della sua opera non ha mai conosciuto limiti.. sono stati falsificati documenti, persino nella stessa unione sovietica, come in questo caso https://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=40883229.... ciò nn è difficile e su stalin, se si vuole essere obiettivi, bisogna stare attenti più che in altri casi sulla provenienza di certe fonti... l'immagine del "che" ormai da tempo è diventata commerciale, persino i borghesi la sfruttano e sul suo conto scrivono cani e porci... chiunque ha messo sulla sua bocca ciò che ha voluto e gli ha fatto comodo...
noi nn giudichiamo stalin da queste scemenze di comodo, divulgate dai media borghesi, ma dalla reale sua opera ancora visibile, se nn si fa uso dei paraocchi imposti dai borghesi, dai fascisti e dai falsi comunisti...
 
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view post Posted on 9/9/2011, 10:30
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compagno

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CITAZIONE
La fonte c'è

No, caro. Allo stato attuale non hai citato alcuna fonte.
 
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view post Posted on 9/9/2011, 10:46
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Lettera (non pubblicata) a "Liberazione"

Spett.le "Liberazione"
all'att.ne del Direttore
Piero Sansonetti
Fax 06 - 441 83 254

Caro Direttore,
mi sembra che dall'articolo di Luca Pelle ("Liberazione", 17 dicembre 2005), come del resto da tutta la recente polemica sul Che Guevara inedito, non emerga chiaramente il succo della questione. Si parla di "un Guevara fortemente infastidito dal fatto che del manuale voluto da Stalin fossero uscite numerose versioni - in relazione ai cambiamenti che si verificavano nell'URSS - e preoccupato del fatto che gli studenti cubani fossero costretti a studiare quel testo". Con l'uso generico e indiscriminato del termine "stalinismo" si oscura che la preoccupazione del Che verteva sulle trasformazioni in Unione Sovietica e i loro riflessi nel manuale di economia dopo la morte di Stalin. In una lettera del 4 dicembre 1965 ad Armando Hart, Guevara sottopone un piano di pubblicazioni di classici del marxismo, inserendovi Stalin (addirittura sottolineato nella lettera), mentre include Trotzky tra i "grandi revisionisti", accostandolo a Krusciov. Se non si dicono queste cose, non si capisce nulla del Che.

Aldo Bernardini°

20 dicembre 2005

°professore di Diritto internazionale alla Facoltà di Scienze Politiche presso l’ Università di Teramo, ex rettore dell’ Università di Chieti
 
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Varshavîanka
view post Posted on 9/9/2011, 12:54




bernardini ha ancora una cattedra all'univrsità di teramo? sul sito dell'università nn compare
 
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view post Posted on 9/9/2011, 13:40

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Aldo Bernardini :)
CITAZIONE
bernardini ha ancora una cattedra all'univrsità di teramo? sul sito dell'università nn compare

il prof bernardini è andato in pensione proprio quest'anno, dopo quarant’anni di onorato insegnamento in diritto internazionale all’università degli studi di teramo e più volte rettore e preside di facolà... qui

https://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=25134013
 
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view post Posted on 9/9/2011, 17:55
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CITAZIONE (Varshavîanka @ 9/9/2011, 13:54) 
bernardini ha ancora una cattedra all'univrsità di teramo? sul sito dell'università nn compare

Questo qui vuol fare le pulci alle mie fonti.... :D
 
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14 replies since 6/9/2011, 14:17   394 views
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