Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by Khleb

view post Posted: 10/10/2020, 14:57 Stalin e la lotta per le riforme democratiche - Grover Furr - Edizioni SR Web-inediti
Premessi limiti e i soggettivismi dell'articolo, che ci sono, ed è vero anche perchè si tratta di una interpretazione storiografica, credo che l'interesse sia non tanto nell'avvalorarne semplicemente i contenuti (discutibili talvolta, Zhukov è pur sempre uno storico borghese per quanto non anti-staliniano) quanto piuttosto nello spunto di riflessione sulle origini effettive del revisionismo in seno al PCUS. Furr stesso non nega quanto affermi: cioè che Stalin e la dirigenza riuscirono efficacemente ad arginare certe tendenze nocive di alcuni elementi burocratici, semmai che questi tentativi di arginamento non furono portati fino in fondo, anche per la sopraggiunta morte di Stalin (e di Zdanov stesso prima ancora), tanto da impedire quello che poi fu il termidoro Kruscioviano. Infatti mi sembra storicamente scorretto quanto affermi:

CITAZIONE
E per quale motivo questa presunta “burocrazia al potere” non liquidò mai Stalin

non lo liquidò in vita, ma post-mortem, e liquidando Stalin col XX Congresso, liquidarono anche il marxismo-leninismo in URSS. Del resto la dura lotta contro la burocrazia che vide il compagno Stalin in prima fila non avrebbe avuto senso se questa lotta interna (riflesso della lotta di classe fuori dal partito fra vecchi e nuovi elementi della società) non avesse avuto motivo di essere o fosse stata solo un problema di piccola portata. E di conseguenza il revisionismo sarebbe l'atto di una singola figura (Krusciov) che dal nulla e da solo avrebbe rovesciato le sorti della storia, insomma una lettura totalmente idealistica.
Poi sui singoli aspetti della narrazione ci sono anche in questo scritto probabilmente delle estensioni e forzature, ma, ripeto, è solo un spunto di riflessione interessante non da prendere per oro colato.
view post Posted: 5/10/2020, 10:44 Per ridere con le vignette - Bar Toto Cutugno
Don Acerbo, dopo essere uscito dall'ospedale per il covid testimonia ancora la sua fede....cristiana

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view post Posted: 5/10/2020, 10:30 Paranoie - Canalisation d'égout
se volete "emigrare" in Yankeeland e avete militato o militate in un qualsiasi partito comunista, siete persona non grata

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view post Posted: 5/10/2020, 10:18 omossessuali - Scienze Sociali
una bella analisi sulla questione, se la impostassero così la loro propaganda anzichè fare autogol fornendo assist a destra e a sinistra con la contrapposizione diritti civili-sociali, sarebbe anche meglio.
view post Posted: 23/9/2020, 22:39 L'imperialismo si organizza in Venezuela - Esteri

Perseguendo la liberazione nazionale e il socialismo: una conversazione con Oscar Figuera



Cira Pascual Marquina | venezuelanalysis.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/09/2020

Il segretario generale del Partito Comunista Venezuelano parla di una nuova coalizione di forze di sinistra che punta a rimettere il processo bolivariano di nuovo in moto.

Oscar Figuera è il segretario generale del Partito Comunista Venezuelano [PCV]. Quando era un operaio metalmeccanico di 17 anni nello stato di Aragua, ha fatto la sua gavetta come organizzatore sindacale nella Centrale Unitaria dei Lavoratori Venezuelani [CUTV, la federazione sindacale guidata dal PCV], diventandone segretario generale nel 1986. Oggi, Figuera è un membro dell'Assemblea Nazionale [legislatura 2016-2020]. In questa intervista esclusiva, Figuera parla a VA delle recenti trasformazioni del capitalismo venezuelano e della Alternativa Rivoluzionaria popolare, una ampia coalizione che punta a raggruppare le forze chaviste di sinistra in un fronte che sia indipendente dal PSUV.

Nel 2018 il PCV, il PPT [Patria Per Tutti] e altri partiti del Grande Polo Patriottico [GPP] hanno supportato la campagna presidenziale di Nicolas Maduro. Tuttavia, in mesi recenti il PCV, il PPT e altre organizzazioni politiche si sono unite per creare la Alternativa Rivoluzionaria Popolare [APR]. Questa coalizione elettorale presenterà candidati indipendenti per le elezioni parlamentari del 6 dicembre. Cosa è cambiato nella politica venezuelana dal 2018 e cosa puoi dirci riguardo all'APR?

Prima di tutto, va detto che l'APR non è una iniziativa elettorale, anche se è scaturita nella sua attuale forma dalle vicine elezioni. Questo è un progetto con una proiezione strategica che deve andare oltre il processo elettorale. Per noi, il processo elettorale è una opportunità tattica per raggruppare le forze, le correnti rivoluzionarie e altre espressioni del chavismo di base. Serve a costruire uno spazio per la costruzione condivisa di una agenda popolare.

Infatti, l'APR nasce da coalizioni precedenti come il Blocco Rivoluzionario Popolare [Bloque Popular Revolucionario] e l'Alleanza Patriottica Anti-Imperialista [Alianza Patriotica Anti-Imperialista]. L'obiettivo dell'APR e dei suoi precursori è di unire la classe operaia e contadina e le forze comunitarie in ottica rivoluzionaria.

In altre parole, il nostro obiettivo strategico non sono le elezioni del 6 dicembre ma il raggruppamento delle correnti rivoluzionarie popolari che si identificano con le proposte più avanzate di Chavez.

Siamo stati cauti nel nostro modo di procedere perché vediamo l'imperialismo come il nemico più grande del popolo venezuelano ed è per questo che abbiamo supportato la corsa alla presidenza di Maduro nel 2018. Ma la verità è che, al di là della crisi capitalistica, l'esaurimento del modello [di sviluppo economico] basato sulla dipendenza e la rendita e l'impatto dell'assedio imperialista, ci sono molte prove che indicano una trasformazione politica reale del progetto delle forze di governo [in Venezuela].

La morte di Chavez è stata un colpo tremendo al processo bolivariano. In effetti, ha avuto effetti per l'intero continente - e direi sul mondo - ma ovviamente l'impatto più grande e duro è stato sul progetto venezuelano.

I processi politici progressisti che sono andati al potere in America Latina nell'ultimo paio di decenni hanno avuto un carattere socialdemocratico e riformista. I processi avevano aspirazioni basse e quando sono state raggiunte hanno iniziato a retrocedere. Nonostante questo, il discorso politico di Chavez ha dato al processo bolivariano alcuni elementi che lo rendono diverso dagli altri processi [nel continente].

Perché? Perché Chavez, nonostante il socialismo non fosse ancora stato costruito, era convinto che il socialismo fosse la via. Oggi, i politici chavisti parlano del socialismo in maniera meccanica, ma non sono impegnati nel suo raggiungimento. Gli ufficiali del governo dissociano discorso e prassi: parlano di socialismo e liberazione nazionale ma in termini reali le politiche economiche e la linea di condotta politica hanno un carattere borghese liberale.

Quindi, riassumendo, il carattere di classe del governo attuale differisce da quello del governo di Chavez.

Il nostro scontro con il governo non è personale. Non abbiamo problemi con i rappresentanti del governo, preso uno alla volta… infatti, coloro che cadono in un approccio personalista alla politica danneggiano il movimento popolare cancellando il carattere di classe dello scontro.

Le contraddizioni di classe, che si esprimono nei progetti politici ed ideologici, si sono acutizzate. È per questo che, da una parte, il PCV fa un appello per un processo di demarcazione, raggruppamento e scontro quando si tratta di problemi interni del Venezuela. Dall'altra parte, chiediamo di mantenere l'unità sul fronte anti-imperialista.

Quando parla della svolta borghese-liberale del governo, stai dicendo che rappresenta un nuovo settore della borghesia?


Si e questo si connette alla sua domanda precedente. La frattura non è nuova. Qua parlerò per conto del PCV. Una delle prime differenze importanti che avevamo con il governo, nella sua attuale incarnazione, è che esso considera il socialismo una figura retorica: non riguarda il fare, ma il dire. Questo non è un problema nuovo.

Nel XV Congresso del nostro partito [2017] abbiamo deciso che, per poter avanzare, dovevamo confrontarci con il governo, definire i nostri obiettivi separati e accumulare forze. Perché abbiamo formulato questo orientamento? Perché crediamo che il progetto politico venezuelano si sta muovendo all'indietro e che il progetto strategico di liberazione nazionale e di avvicinamento alla costruzione del socialismo si è interrotto. Siamo in ritirata e ciò è utile solo per la ricomposizione del capitale.

Dopo quel congresso, durante la campagna presidenziale del 2018, abbiamo avuto un dibattito molto acceso per decidere se il nostro partito dovesse supportare la candidatura di Nicolas Maduro o meno. Le preoccupazioni variavano dalle politiche economiche, del lavoro e sociali del governo all'esistenza di una estesa corruzione e di burocratismo. Ulteriori questioni erano la limitazione della democrazia partecipativa e protagonistica così come i meccanismi di controllo statali (e semi-statali) che erano stati messi in piedi per limitare l'ampiezza dell'organizzazione popolare e a volte perfino per liquidarla.

Dopo due giorni di intenso dibattito, il Partito Comunista arrivò alla decisione di supportare la candidatura presidenziale di Maduro solo dopo la firma di un accordo vincolante. Questo accordo vincolante impegnava il governo, tra le altre cose, ad opporsi ai monopoli, reintrodurre i diritti dei lavoratori e invertire le politiche agrarie in corso. In altre parole, abbiamo elaborato un documento che puntava alla liberazione nazionale, sempre con il socialismo come obiettivo finale. Il 28 febbraio 2018, Nicolas Maduro firmò quell'accordo.

Eppure, il governo ha rapidamente rotto l'accordo dopo l'elezione di Maduro. Lo ha fatto continuando a implementare politiche liberali e tramite pratiche anti-democratiche. Nell'attuale contesto elettorale, questo ci ha lasciato con due opzioni: continuare a supportare un progetto strategico che va contro gli interessi delle masse, i nostri principi e il progetto stesso di Chavez; o costruire una alternativa popolare. Abbiamo optato per la seconda possibilità.

Da qui nasce l'APR. È impegnata per la liberazione nazionale e il socialismo mentre si scontra con riformismo, fascismo e imperialismo.

Il 17 agosto il PCV, il PPT e altre organizzazioni hanno lanciato ufficialmente l'APR in una conferenza stampa, dicendo alla nazionale che l'APR avrà una singola lista elettorale indipendente per le elezioni dell'Assemblea Nazionale. Quattro giorni dopo, la Corte Suprema del Venezuela è intervenuta nei confronti del PPT, la seconda forza più grande nell'APR, imponendo una leadership ad hoc che era disposta a partecipare in una coalizione elettorale con il PSUV. Cosa possiamo trarre da tutto questo?

L'interferire negli affari interni del PPT da parte della Corte Suprema è una espressione della lotta di classe in corso. Il Venezuela è un paese capitalista e, di conseguenza, lo stato ha un carattere borghese. Inoltre, negli ultimi anni, c'è stato un cambiamento: un nuovo nucleo borghese è emerso all'interno del governo o in stretta relazione con esso. Stiamo parlando di un nuovo settore della borghesia, che adotta un linguaggio socialista ma ha bisogno di mantenere lo stato borghese se vuole mantenere la sua ricchezza e i suoi privilegi sociali recentemente acquisiti.

Molte persone che andarono al potere con Chavez nel '98, la maggioranza di loro provenienti da settori della classe media, si sono uniti alla borghesia. La loro condizione di classe è cambiata e nel processo, la loro coscienza si è modificata a sua volta. Vediamo le radici di questo nel fatto non è emersa una organizzazione realmente rivoluzionaria, capace di dirigere il processo bolivariano. Tra le forze al governo, la Corte Suprema esprime gli interessi di coloro che ora esercitano il potere, sia politico che economico. Per mantenere i suoi privilegi economici, il settore degli arricchiti ha bisogno di una lista elettorale unita, anche se questo vuol dire prendere il controllo, attraverso un intervento giudiziario, di un partito chavista come il PPT.

In ogni caso, l'APR andrà avanti, sia come un progetto a lungo termine sia come un fronte elettorale per le elezioni di dicembre. Ovviamente, la nuova configurazione del PPT supporterà le candidature imposte dal PSUV, ma l'APR presenterà la sua proposta per l'assemblea nazionale composta dal[la maggioranza del] PPT, il PCV e tutte le organizzazioni di base, comunarde e chaviste che hanno unito le proprie forze.

Nell'APR non ci sono capi. Stiamo costruendo uno spazio comune. Solo il PCV, a quanto pare, ha una candidatura valida [a causa dell'intervento della Corte Suprema nei confronti del PPT], ma i candidati che appariranno sulla nostra lista rappresentano una alleanza con le forze che hanno una prospettiva rivoluzionaria e condividono gli obiettivi strategici.

In altre parole, non è cambiato molto nell'APR da quando la Corte Suprema è intervenuta sul PPT: c'è ancora la convinzione collettiva del fatto che il processo bolivariano deve correggere il proprio corso. La svolta liberale del governo non risolverà la crisi che affligge le masse impoverite. Il nostro credo collettivo è che l'APR debba esprimere gli interessi dei settori espropriati in queste elezioni ed oltre.

Hai parlato della "svolta liberale" del governo. Potresti essere più preciso?


Il PSUV - non la sua base, ma la sua direzione - sta rapidamente avanzando verso la liberalizzazione dell'economia al fine di garantire la ricomposizione del capitalismo. Questo significa che le privatizzazioni sono in voga, i contratti collettivi vengono eliminati e il diritto dei lavoratori di organizzarsi ridotto, mentre il salario minimo rimane sotto i 2 US$ al mese. Nel mentre i campesinos - il cui diritto alle terre incolte era stato riconosciuto da Chavez - vengono rimossi violentemente e la terra data da nuovi e vecchi tierratenientes [grandi proprietari terrieri].

Vediamo anche una tendenza verso la criminalizzazione delle lotte. Campesinos, comunardi e lavoratori vengono messi dietro le sbarre, mentre ufficiali corrotti sono liberi e fascisti ricevono il perdono presidenziale. Il caso dei lavoratori della PDVSA Aryenis Torrealba e Alfredo Chirinos è emblematico: sono stati arrestati più di sei mesi fa con accuse false. Il loro crimine reale? Stavano denunciando importanti schemi corruttivi nella PDVSA. Ad oggi rimangono in carcere senza processo.

Qual è l'obiettivo della lotta elettorale in questo momento? L'idea è di fare pressione al governo? Costruire una opposizione di sinistra?

Nel processo bolivariano, le elezioni sono diventate la principale forma di lotta e per il momento rimangono tali. Il modo in cui la lotta di classe si sviluppa determinerà se emergeranno altre forme di lotta.

Per noi, le elezioni di dicembre sono anche un momento tattico nel processo di raggruppamento e accumulazione di forze. In aggiunta, le elezioni sono uno spazio per la lotta ideologica. Questo è molto più importante in un momento in cui ampi strati della popolazione sono disposti ad ascoltare. Ovviamente, ci sono gruppi settari che si isolano dal dibattito, ma esiste indubbiamente una sete per una alternativa popolare all'interno del chavismo.

Le elezioni sono uno spazio per promuovere il dibattito ideologico, presentare proposte e confrontare i programmi di ciascuna organizzazione. Le elezioni sono utili a unire e ricomporre le forze e questo è precisamente quello che l'APR sta cercando di fare. Infine, l'Assemblea Nazionale è anche una tribuna per difendere gli interessi del popolo venezuelano davanti al riformismo liberale al potere, denunciando al contempo l'aggressione imperialista.

Non è un segreto che ci sono grandi crepe o spaccature all'interno del processo bolivariano. Senza personalizzare la questione, chi è responsabile per le spaccature tra il governo bolivariano e una ampia fetta del movimento popolare, incluso il PCV?


Andiamo dal generale al particolare. Le radici della rottura possono essere trovate nelle crescenti contraddizioni di classe all'interno del processo bolivariano, che si ampliano man mano che la crisi del capitalismo dipendente e basato sulla rendita spinge una parte sempre e sempre maggiore della popolazione in condizioni francamente catastrofiche.

Questo proprio perché non personalizziamo la situazione. Non è una questione di X o Y che fanno questo o quello. Riguarda gli interessi di classe all'interno di una organizzazione. Ogni frazione di classe ha una espressione politica e quelle espressioni politiche si mettono a confronto. Personalizzare queste questioni nasconde l'essenza delle contraddizioni.

Insomma, non sappiamo cosa succederà, ma questo sarà deciso dai rapporti di forza nella lotta di classe.

Oggi, si dice comunemente che in Venezuela abbiamo bisogno di unità, usando l'analogia della "fortezza assediata", a causa del pericolo reale che l'imperialismo USA pone alla sovranità del Venezuela. L'APR e il PCV come concepiscono l'unità in questa difficile situazione?

Parlerò della visione del PCV, dato che l'APR è ancora in costruzione e ci sono dibattiti in corso.

Il PCV concepisce l'unità su due livelli. Da una parte, deve esserci una ampia alleanza antimperialista e antifascista e pensiamo che debba essere il ruolo del Grande Polo Patriottico [GPP]. Invece di tentare di liquidare altre forze patriottiche, il GPP dovrebbe essere uno spazio per la preservazione collettiva della nostra sovranità. Le differenze al livello nazionale non dovrebbero essere causa di liquidazione. Infatti, il GPP ha un grande potenziale per forgiare una ampia alleanza antimperialista e antifascista.

Dall'altra parte, c'è la necessità di costruire una unità rivoluzionaria sulla base degli interessi di classe della classe operaia, dei campesinos, comunardi e altri settori popolari. Costruire questo tipo di unità è urgente affinché le organizzazioni rivoluzionarie non diventino una appendice del riformismo addomesticato.

Dobbiamo metterci insieme nel contesto della lotta anti-imperialista mentre, al livello nazionale, dobbiamo scontrarci con le tendenze che vogliono liberalizzare l'economica.

L'APR è precisamente lo spazio per costruire l'unità rivoluzionaria della classe operaia, dei campesinos, dei comunardi e delle masse popolari, che dovrebbero incorporare anche gli intellettuali rivoluzionari e i settori onesti delle forze armate
view post Posted: 22/9/2020, 21:03 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE
Dico solo che ci troveremo un PC 2.0 che anziché dire(come fa ora il PC) "no, ma figurarsi, concorriamo alle elezioni, ma mica vogliamo fare la rivoluzione così eh", dirà invece esplicitamente e direttamente "rivoluzione con le elezioni". [...] Per quanto mi riguardi e per gli elementi sopraelencati, secondo me si tratterà di una fusione sotto parole d'ordine molto generali e non troppo conflittuali in nome della non-frammentazione e del radicamento effettivo.

E ho il sospetto che con quell' "avanguardie EFFETTIVE" intenda partiti e movimenti(o elementi entro di essi) EFFETTIVI, PaP e PCL compresi.

Marò Ruhan, stai facendo una previsione a tinte foschissime XD secondo me un tantinello affrettata oltre che esagerata nelle conclusioni. Sinceramente penso che al peggio finiranno nell'inconcludenza, più che nel "la rivoluzione con le elezioni". Cmq vediamo come va sto film, ad oggi stiamo parlando purtroppo del nulla; parlo in generale delle varie tattiche di tutti questi fini strateghi.
view post Posted: 22/9/2020, 20:25 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
Tu stai partendo dal presupposto che vogliano fare alleanze elettorali o fusioni con sti soggetti (a quanto ne so PaP nemmeno partecipa a sto cosiddetto fronte unito). Da quello che dicono loro non è proprio questo il loro senso di movimento "costituente". Anche perchè paradossalmente lo stesso PC se si riconferma il format marchigiano le alleanze elettorali le stanno già facendo. Poi magari Mustillo sarà un malintenzionato e avrai ragione tu, che finiscano male può anche essere. Questo sulla parte delle intenzioni (per farla breve diciamo che non condivido la tua "malizia", come dici tu). Sul fatto che all'atto pratico si siano infognati in una situazione che li condannerà all'irrilevanza o a subire gli umori di sindacati, frattaglie politiche varie degli elementi di questo cosiddetto fronte unico, invece ho più di qualche timore. Insomma che condannando il settarismo e il velleitarismo a scivolarci dentro ci siano finiti loro.
view post Posted: 22/9/2020, 20:03 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
Con tutto che la dirigenza FGC stia facendo i suoi errori, soprattutto nella questione pratica di questo cosiddetto fronte unito (si sta profilando un certo velleitarismo di fondo, forse inevitabile viste le premesse dalle quali sono partiti) - quindi concordo in parte con la tua critica - non credo sia però questo l'obbiettivo dei mustilliani:

CITAZIONE
dare vita all'ennesimo Blob/Calderone comunista magari munito di nuovi simboli risciacquati e nuove parole d'ordine moderate

Dall'altra parte c'è la strategia rizziana ormai improntata totalmente sull'elettoralismo fine a sé stesso, tra l'altro pure portato avanti in modo contraddittorio (vedi Marche e Toscana). Insomma non mi pare che le posizioni del PC, che poi hanno portato alla scissione dei giovani, stiano avendo riscontro d'alcun ché, pur rimanendo nell'elettoralismo il partito non avanza, anzi arretra. Spero che pure loro le facciano due riflessioni critiche anziché dire "buon 1%". Da una parte la padella dall'altra la brace.
view post Posted: 22/9/2020, 18:52 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
Una riflessione in merito, la posto qui perchè fa il paio con i vostri interventi.

DOPO QUESTE ELEZIONI: SUPERARE L’IRRILEVANZA CON UNA VERA COSTITUENTE COMUNISTA




Ha ragione chi tra gli osservatori politici, analisti, giornalisti ha commentato che a vincere queste elezioni è stata la stabilità. Una sorta di conferma, in alcuni casi quasi plebiscitaria, del potere costituito tanto a livello nazionale quanto locale, il cui vero significato va ben al di là di una semplice consultazione elettorale. Un dato quindi che dovrebbe farci riflettere come preludio di una potenziale via d’uscita dalla crisi in atto, a tutto vantaggio del capitale.

Ma procediamo per passi. Ad uscire rafforzato dal voto è certamente l’asse di governo. La spallata annunciata da parte del centrodestra fallisce in Puglia e Toscana. La vittoria del Sì al referendum cementa l’asse della maggioranza PD con i Cinque Stelle, blindando il Governo fino alla fine della legislatura, salvo macroscopici imprevisti, e tramutando definitivamente i cinque stelle in parte del campo di centrosinistra che si contrappone alla destra Salvini-Meloni. Difficile pensare ad elezioni politiche data la situazione generale, la pandemia, le scadenze istituzionali tra cui l’elezione del Presidente della Repubblica. Difficile pensarci anche a causa di quella forza centripeta rappresentata dalla consapevolezza della futura diminuzione del numero dei Parlamentari che trasforma i deputati di Cinque Stelle, Italia Viva, e di Forza Italia, nei più feroci avversari di ogni scioglimento delle Camere.

L’Italia si avvia così a discutere l’ennesima legge elettorale, risultando pressoché l’unico Paese al mondo a modificare il sistema elettorale quasi ad ogni legislatura da trent’anni a questa parte, sintomo evidente della crisi latente che però trova sempre una sua stabilizzazione. Il PD incassa la modifica degli equilibri interni alla maggioranza e passerà all’attacco sul MES/Recovery Fund e sulle riforme, rompendo l’ormai inesistente resistenza grillina.

Risultati referendum costituzionale 2020 riduzione numero parlamentari
I risultati ufficiali della consultazione

La vittoria del Sì, scontata, si palesa in proporzioni nette. È un dato di fatto che la sinistra schierata per il No sia apparsa ancora una volta agli occhi delle classi popolari forza di difesa dello status quo, interessata a mantenere proquota i propri privilegi, insieme alle altre microformazioni politiche (Radicali, Renziani ecc…) sostenitrici del No. Le ragioni del No hanno ottenuto maggiori consensi nei quartieri bene delle città, mentre nelle periferie il Sì ha stravinto. Un elemento solo apparentemente contraddittorio rispetto ai risultati del voto elettorale nelle regioni, ma che di fatto testimonia la capacità egemonica delle classi dirigenti di costruire elementi di sintonia con le classi popolari nel raggiungimento indisturbato delle proprie finalità. Nei fatti questo referendum ci riguardava poco. Il nostro No è stato convinto solo dalla necessità di non prestare il fianco ad un conclamato e formalizzato peggioramento del quadro istituzionale, di fronte ad un peggioramento nei fatti già verificatosi da tempo.

Tanto gli argomenti a favore del Sì erano pretestuosi, quanto quelli a favore del No erano davvero poco comprensibili – non a torto – da parte della stragrande maggioranza dei lavoratori e delle classi popolari. L’utilizzo politico del risultato del referendum, trasformato parzialmente in un plebiscito sul Governo, è stato certamente una mossa intelligente di Conte.


Il peso della pandemia sulle elezioni

Il Governo Conte, alla prova dei fatti, si sta dimostrando tutt’altro che incompetente, tanto da resistere persino all’assedio mediatico di quanti volevano sostituirlo con un Governo di unità nazionale. Nelle stesse ore in cui in Italia ci sono meno di duemila nuovi contagi al giorno in Francia e Germania la quota è tredicimila, ossia sette volte tanto. La Francia ha annunciato nuove zone rosse con metà del Paese chiuso, in Spagna nello scorso weekend si sono registrati oltre 31.000 nuovi casi, il Regno Unito si appresta a varare nuove misure di contenimento.

Allontanare lo spettro di un nuovo lockdown è la prima preoccupazione di Confindustria e di tutti i settori del capitale italiano. Sulla base della capacità dei rispettivi governi di arginare la diffusione del virus evitando o riducendo i periodi di blocco della produzione, si giocheranno le nuove guerre commerciali, la tenuta o la conquista di quote di mercato. La pandemia è un enorme rimescolamento di carte, messa in discussione di equilibri tra settori capitalistici, stati, alleanze internazionali, e questo i capitalisti lo sanno bene.

Ma evitare una nuova chiusura è anche la prima aspirazione dei settori della piccola e media borghesia, dei lavoratori autonomi che sperano di riprendersi velocemente dalla crisi e persino dei lavoratori dipendenti, che in larga parte sono impauriti – tutt’altro che pronti a mobilitarsi in massa – per la perdita dei posti di lavoro. La richiesta/speranza di tornare il prima possibile alla “normalità”, quella stessa normalità che è parte del problema, è più forte di ogni spinta verso la contestazione. La paura e il timore passivo vincono sull’attivazione e la lotta, la speranza che tutto possa risolversi e l’idea di delegare la soluzione prevalgono sulla consapevolezza di dover prendere in mano il proprio destino. È qui, di fronte a tutte le contraddizioni del capitale, che si dimostra, nella realtà, la sua straordinaria capacità egemonica, la sua pervasività in campo culturale e sociale, come freno potente ad ogni cambiamento.

Nonostante siano già stati persi centinaia di migliaia di posti di lavoro, il governo ha agito con intelligenza. Ha frenato le richieste immediate degli industriali che, invocando la libertà assoluta di licenziamento avrebbero messo a rischio la pace sociale del Paese, e – agendo da vero e proprio capitalista collettivo di fronte agli egoismi individuali delle imprese – ha assicurato così una gestione più diluita della crisi, rendendola affrontabile con minori sconvolgimenti. Ha incassato prestiti a Bruxelles come richiesto, che consentono elargizioni dirette per le imprese, avviando quel programma di investimenti pubblici attraverso incentivi che chiedevano settori dell’edilizia, ma garantendo al tempo stesso ampi profitti al settore bancario attraverso la cessione dei crediti. Ha distribuito fondi a pioggia per assicurare la pace sociale nel momento più acuto dell’emergenza. Quanto potrà durare tutto questo? Vedremo.

Il capitale, forte di una egemonia indiscussa, sta riuscendo fino ad oggi nell’impresa di presentare la pandemia come un fattore del tutto naturale, riuscendo cioè a mascherare efficacemente le concause della sua diffusione e dei suoi effetti che sono tutte invece frutto della direzione e delle scelte economiche e politiche che sono dettate dalle esigenze del capitale stesso. Il virus è un fattore naturale, la riduzione dei posti letto negli ospedali no, come non lo è la catena di contagio sui luoghi di lavoro, e non lo sono state le scelte politiche che hanno ritardato la chiusura lo scorso inverno aggravando i numeri di contagiati e morti.

Vincenzo De Luca Zaia
A sinistra Vincenzo De Luca (PD), a destra Luca Zaia (Lega)

L’emergenza come fattore naturale ed estraneo, unisce, compatta e soprattutto nasconde. La riprova è che all’esito di questa tornata elettorale vengono confermati pressoché tutti i Governatori regionali, esponenti di partiti responsabili dei tagli alla sanità effettuati in questi anni, vince il partito guidato da un segretario che come governatore del Lazio ha contribuito a chiudere decine di ospedali. A queste elezioni nessuno, insomma, ha chiesto il conto per quanto accaduto, accontentandosi di valutarne la gestione immediata di fronte all’emergenza assoluta della pandemia: Zaia stravince perché il Veneto non fa la fine della Lombardia, De Luca perché le sue prese di posizione tranquillizzano il sentire medio dei campani e risvegliano anche quell’orgoglio meridionale di rivalsa. Localismi, nazionalismi, tutti elementi con cui si salda la tenuta dei sistemi di potere ad ogni livello.

L’astensione non aumenta, anche se certifica l’ormai chiara disaffezione di una fascia importante di elettori, per lo più parte delle classi popolari, di fronte alle elezioni. Ma più che la protesta è la passività a vincere, in assenza di qualsivoglia alternativa che risulti presentabile e credibile agli occhi di questi settori, che sappia incarnarne le aspettative immediate come oggi non fanno più neppure i Cinque Stelle, e neanche la stessa Lega che perde consensi.
Il deserto a sinistra

Le liste di sinistra, e le diverse liste comuniste si contendono uno spazio residuale comune tra loro, nonostante l’agguerrita concorrenza in alcuni casi a livello locale. Potere al Popolo in Campania prende poco più dell’1%, le varie liste comuni promosse dal PRC con la partecipazione alterna del PCI, o di Sinistra Italiana tutte al di sotto dell’1% eccezione fatta per la lista di Fattori in Toscana che comunque passa dal precedente 6% all’attuale 2,2%. Un quadro di prevedibile desolazione da cui non sfuggono neppure le liste comuniste, dove presenti.

Regionali Toscana 2020
Risultati delle liste di sinistra radicale e comuniste

Prendiamo il caso della Toscana. Il P.C. alle politiche del 2018 aveva preso oltre 22 mila voti (1,04% alla Camera), alle Europee del 2019 31 mila (1,68%) alle regionali piomba a meno di 17mila (0,96% presidente, 1,05% lista). Di fronte a questo risultato il primo commento del suo segretario è “il nostro posizionamento prosegue in crescita” una sorta di mantra recitato ad ogni occasione, anche di fronte all’evidenza contraria della perdita di quasi metà dei voti in un anno[1].

In Toscana le due liste comuniste P.C. e P.C.I. prendono rispettivamente lo 0,96% e lo 0,9%, a suggellare l’imbarazzo di una campagna elettorale condotta con continue dichiarazioni in cui si invitava a votare per il simbolo con la bandiera rossa e la falce e martello bianca tentando goffamente di evitare la confusione e finendo per passare per scemi agli occhi dei più.
L’elettorato comunista non solo non aumenta di fronte ad un contesto epocale come quello che attraversiamo, non solo percepisce di far parte di una sorta di riserva indiana in un mondo ostile, ma deve pure subire l’imbarazzo di dividersi sulla scheda tra progetti che appaiono alla stragrande maggioranza identici se non per le differenti associazioni cromatiche dei rispettivi simboli. Una dilemma che dall’esistenziale finisce per divenire stilistico, tra fautori dell’abbinamento su rosso del bianco o del giallo. Il tutto in ottica di fase, insieme alle tifoserie storiche sui social, appare meno attuale e interessante delle dispute tra guelfi e ghibellini, o delle fantastiche disquisizioni sul sesso degli angeli nel concilio di Costantinopoli con gli ottomani alle porte.

Al netto di tutti i ragionamenti la presenza di una falce e martello sulla scheda prende tot voti. Se sulla scheda ce ne sono due quei voti – residuali – si dividono, e perdono anche una parte che si disaffeziona ulteriormente. Il radicamento, comunque magro, conta il minimo, ma molto meno del residuo voto al simbolo. Le dispute ideologiche sono del tutto sconosciute agli elettori. Lo stesso, salvo poche varianti, vale anche per liste come Potere al Popolo, come largamente provato alle elezioni in Emilia-Romagna e nei raffronti tra politiche, europee e regionali.

E questo non per sminuire molte questioni oggi sul tavolo, ma per dire che il peggior modo di affrontarle è pretendere di competere sul campo elettorale e non invece sul piano della discussione politica di una necessaria ricerca dell’unità comunista a partire da una riaffermazione dei compiti storici e la definizione di una strategia efficace, adeguata e rinnovata alla luce del contesto attuale.
Chi scrive propose questa strada nei mesi scorsi, il resto delle vicende è noto. Continuo a credere che sia l’unica via da percorrere.

Aprire una fase di discussione e ricostruzione reale per affrontare la crisi

Bisognerebbe che le dirigenze attuali dei partiti avessero un po’ di onestà intellettuale, smettendo di pensare alla propria autoriproduzione, alla soddisfazione personale delle cariche onorifiche, al minutaggio televisivo della par condicio, agli appagamenti personali di un’autorappresentazione di sé e del rispettivo gruppo priva di riscontro nella realtà. Bisognerebbe riconoscere davvero e non come premessa da tradire nelle conclusioni, la sconfitta epocale subita, il fatto che le nostre parole d’ordine sono percepite come estranee a livello di massa, anche in circostanze come queste in cui la realtà ci dà ragione da vendere. Non ha senso prospettare l’obiettivo di un cambiamento di sistema se non si agisce per realizzarlo a partire dalla società così come ci è data oggi, non come era cento anni fa, cinquanta o come ci piacerebbe che fosse.

In questo il superamento della frammentazione è una parte, ma solo una parte, premessa per evitare gli effetti più macroscopici e farseschi della sconfitta, ma non la soluzione finale. Non esiste prospettiva di superamento della frammentazione se non accompagnata da una revisione generale, da una condivisione strategica di fondo da costruire. E soprattutto non esiste prospettiva comunista che continui a voler sostenere l’insostenibile tesi della costruzione tramite le elezioni e non attraverso rinnovate modalità di radicamento, connessione, con le classi popolari, sviluppo di lotte attraverso un piano di costruzione e organizzazione di reali avanguardie e di un conflitto che oggi la maggioranza dei lavoratori stessi negano di voler realizzare.

Il movimento comunista deve sapersi ricostituire e assumere sulle proprie spalle l’esigenza di cambiamento che esiste in potenza in questa società, assorbire gli argomenti nuovi come la questione ambientale su cui si misurano concretamente i limiti del sistema capitalistico e non respingerli come elementi di distrazione[2]. Dotarsi di propri intellettuali di riferimento, di una politica culturale in grado passo dopo passo di contendere egemonia al potere e costruire i propri tecnici in ogni campo della società. Colmare la divisione tra fare per fare tipica del movimento che costruisce radicamenti territoriali privi di prospettiva politica, e ideologismi privi di riscontro e lavoro materiale nelle contraddizioni di classe per come esse si presentano oggi. Unire le avanguardie effettive, per quanto poche esse siano e a maggior ragione perché sono poche e isolate, evitando dispersioni in campo sindacale sui luoghi di lavoro.

Bisognerebbe dimostrare senso del momento storico, avere il coraggio di prendere atto che siamo a zero, non vantare primazie inconsistenti e titoli nobiliari, evitare il rinchiudersi in steccati, famiglie, sottofamiglie e guardare invece alla prospettiva strategica e alla concretezza dei compiti che dobbiamo affrontare. Riscoprire lo spirito leninista di osare, di saper coniugare la fedeltà ai principi e agli obiettivi, con l’individuazione delle forme più congeniali e utili a raggiungerli.

Avremmo bisogno, di un percorso costituente vero e di un rovesciamento completo di prospettive, che prenda atto dei cambiamenti epocali intercorsi e che eviti di reagire ripercorrendo per familiarità le strade errate già percorse. Avremmo bisogno di veri e propri “Stati Generali” del movimento comunista in Italia, in cui si discuta di tutto questo e molto di più.
Il rischio vero a cui andiamo incontro altrimenti è lasciare al capitale la possibilità di gestire la crisi attuale come già fatto nel 2008, senza alcuna capacità di utilizzare questa crisi come presupposto per rovesciare l’esistente che la ha generata.

È ora di capire che non saranno dieci minuti televisivi in par condicio, né comizi locali in vista delle elezioni a farci recuperare il terreno perduto. Non si cresce e non si avanza. Al più si resta fermi, dopo più di dieci anni, inchiodati all’inconsistenza. Prenderne atto non è un segno di debolezza, ma la premessa per imboccare la via giusta.



Note
[1] Ad essere onesti si dovrebbe fare un bilancio ben più accurato. Il P.C. si è presentato in 3 delle 12 regioni in cui tra 2019 e 2020 si è andati al voto (Umbria, Emilia Romagna, e Toscana) con una lista unitaria con il P.C.I. nelle Marche, per cui 4/12. Nelle restanti regioni lo scarso radicamento locale non ha consentito di raccogliere le firme. In Umbria dopo aver rifiutato l’accordo elettorale con P.a.p. e P.C.I. ha ottenuto l’1.01% (0.98% di lista), in Emilia Romagna la lista non riuscì a raccogliere tutte le firme risultando mancante in alcuni collegi, totalizzando lo 0,48% dei voti (0,44% al candidato presidente). In Toscana e Marche la presentazione in tutti i collegi è avvenuta dopo la riduzione ad 1/3 delle firme disposta per la pandemia. Si tratta di regioni “rosse” dove alle scorse Europee il P.C. aveva preso risultati ampiamenti superiori alla media nazionale.

[2] Tanto per fare un esempio di come unità elettorale non significhi miglioramento delle posizioni, basta citare il contenuto di un volantino della lista comunista delle Marche, costruita da PC e l’ala del PCI che ha riferimento a Fosco Giannini. Si legge nel volantino: “Prova ad interessati alle minoranze culturali quando sei disoccupato o non arrivi a fine mese. Prova ad interessarti alla libertà di stampa e alla controinformazione quando hai solo la terza media. Prova ad interessarti ai diritti LGBT quando sei costretto a dormire in strada. Prova ad interessarti ai cambiamenti climatici quando sei un disabile che non può lavorare e che ha perso il sussidio che gli spettava”. Un volantino delirante perché continua ad alimentare contrapposizioni artificiose, come se interessarsi delle une e delle altre sia incompatibile, e senza rendersi conto per di più di tradire ogni impostazione leninista vincolando i presunti lavoratori a cui si riferirebbe il testo, a un economicismo esasperato. Non rendendosi conto poi come alcuni di questi temi – come la questione ambientale ad esempio, o la critica al sistema di informazione – possano e debbano costituire argomenti per legare settori di massa su temi che evidenziano contraddizioni fondamentali del sistema capitalistico. Per finire continua ad alimentare parte del problema attuale ossia la scissione tra elemento intellettuale e materiale alimentando una distinzione utile solo a perpetuare l’egemonia capitalistica nei secoli a venire. I comunisti avevano militanti semi-analfabeti che conoscevano i quadri di Picasso e Guttuso, leggevano sull’Unità le notizie, dove venivano ospitati interventi dei massimi esponenti del mondo della cultura e di ogni branca del sapere. Questi elementi non sono estranei all’idea di società che vogliamo conquistare. “Vogliamo il pane e anche le rose” si diceva una volta. Qui si chiedono vagonate di pane nero come se fossero sufficienti a soddisfare le aspirazioni dei lavoratori, dimenticando inoltre che nel contesto attuale, una delle grandi armi del capitalismo è la capacità di fornire beni e creare bisogni. Non sono i padroni a fare le file per comprare i nuovi modelli di i-phone, ma quegli stessi lavoratori che a stento arrivano alla fine del mese e abitano le periferie delle metropoli
view post Posted: 6/9/2020, 20:34 Lukashenko: intercettazioni tedesco-polacche dimostrano che Merkel ha mentito sul caso Navalny - Esteri

Crisi Bielorussa: Così la vedono i lavoratori ucraini



Lettera APPELLO DEI LAVORATORI Ucraini DI KHARKOV E MARIUPOL, Ai LAVORATORI DELLA BIELORUSSIA

(A cura di Enrico Vigna SOS UcrainaResistente/CIVG , agosto 2020)

Abbiamo ricevuto da sindacalisti e lavoratori dell’Ucraina questa lettera appello dove si rivolgono ai lavoratori bielorussi. Un monito a non cadere nella trappola che hanno davanti a loro, che li porterebbe all’abisso sociale, che oggi in Ucraina essi vivono quotidianamente dopo EuroMaidan e i processi di “democrazia” e “libertà” lì portati dagli stessi burattinai all’opera in Bielorussia oggi…

Uno stesso monito che già negli scorsi anni avevano più volte denunciato anche i nostri lavoratori della ex Zastava in Serbia…dopo che la Jugoslavia e la Serbia furono state “liberate” dalla NATO e dall’occidente.

La speranza è che il governo e le forze patriottiche e sociali bielorusse, riescano a fermare il “BIELOMAIDAN”.

“ Noi lavoratori della regione di Kharkov in Ucraina, ci appelliamo ai lavoratori della Bielorussia, a non cedere alle false richieste di sciopero dei cosiddetti oppositori, che chiedono di non riconoscere i risultati delle elezioni presidenziali. Il loro obiettivo è la distruzione, nell’interesse delle società transnazionali che sono dietro le agitazioni, dei collettivi di lavoro, il sequestro e la privatizzazione delle imprese bielorusse al fine di dominare i mercati, i loro concorrenti e impadronirsi del paese.
Il tragico esempio dei lavoratori ucraini, decine di migliaia dei quali sono stati ridotti in miseria e licenziati, dopo la “rivoluzione della dignità” di “euromaidan”, che ha portato al potere i furfanti, ne è una conferma. Hanno distrutto l’industria automobilistica nazionale, l’industria aeronautica, le costruzioni navali, la fabbrica di trattori di Kharkov e centinaia di altre imprese, i cui prodotti erano forniti a dozzine di paesi in tutto il mondo, ora hanno interrotto la produzione e sono chiuse. La stessa sorte attende le vostre imprese in caso di rovesciamento del governo legittimo e del presidente legalmente eletto, Lukashenko.

Le famose fabbriche BelAZ, MAZ, Minsk Tractor Plant e molte altre imprese, che oggi vi danno un lavoro dignitoso e portano entrate milionarie al budget dello stato, garantendo di assicurare i vostri molteplici programmi sociali, andranno in bancarotta e saranno vendute all’asta in parti frazionate. Decine di migliaia di lavoratori perderanno il lavoro e migliaia di famiglie il sostentamento.

La terra bielorussa sarà venduta a latifondisti internazionali e l’agricoltura bielorussa sarà distrutta, come è stata distrutta, ad esempio, nella vicina Lituania, le cui autorità stanno sostenendo attivamente un colpo di stato in Bielorussia. Importerete patate dall’Egitto e latte dalla Polonia.

Riforme secondo le imposizioni del FMI, riduzione della dipendenza dal credito e introduzione di una gestione esterna, molteplici aumenti di prezzi e tariffe, distruzione del sistema sanitario e scolastico: questo è ciò che il Maidan ha portato ai lavoratori ucraini.

Proteggete la vostra indipendenza e non permettete che i predoni d’oltremare, distruggano ciò che è stato creato dalle vostre mani lavoratrici.

Durikhin Nikolay Semyonovich, montatore-assemblatore di meccanica di precisione presso NPO Kommunar, costruttore di macchine eroe del lavoro dell’Ucraina, detentore degli ordini della bandiera rossa e del distintivo d’onore patriottico.

Zhovnirenko Alexander Yakovlevich, ingegnere energetico dell’impianto di Svet Shakhtyora e altri del collettivo di lavoro.

Lavoratori della Bielorussia!

Noi, i lavoratori della più grande impresa in Ucraina, il Mariupol Metallurgical Plant, che prende il nome Ilyich, ci rivolgiamo a voi in relazione agli eventi che stanno investendo la vostra repubblica in questi giorni.

Stanno lanciando scioperi e, scanditi dalle indicazioni dell’opposizione politica, chiedono di scendere in piazza per chiedere la ripetizione delle elezioni presidenziali del 9 agosto, a causa di gravi sospetti di voto fraudolento. Le elezioni presidenziali sono un affare interno degli elettori bielorussi e non abbiamo il diritto di imporvi la nostra opinione da qui.

Ma, in relazione al fatto di ciò che noi, lavoratori dell’Ucraina, abbiamo vissuto dopo il crollo dell’URSS e, soprattutto, nel 2014, la cosiddetta “rivoluzione di Maidan”, vogliamo mettervi in guardia contro l’uso della solidarietà da parte di forze estranee a voi, appartenenti a organismi stranieri e agenti locali dei loro interessi.

Nel 2014 in Ucraina ha avuto luogo un colpo di stato, che i suoi organizzatori hanno soprannominato la “rivoluzione della dignità”. Tutto è iniziato con pacifiche manifestazioni giovanili per l’adesione all’Unione europea. Ben presto furono affiancati e in seguito scalzati dai nazionalisti fascisti locali. In piazza sono comparse “bottiglie molotov“, sbarre di ferro, armi da fuoco catturate a unità militari e strutture della milizia. Hanno poi iniziato il sequestro di edifici delle autorità statali e locali. I partecipanti al colpo di stato sono stati attivamente supportati dalle ambasciate degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Da lì provenivano anche le risorse finanziarie.

Così la borghesia “compradora” è salita al potere in Ucraina. Come conseguenza, negli ultimi 6 anni, l’Ucraina è diventata il paese più povero d’Europa. Centinaia di imprese industriali delle industrie di costruzione di macchine e aeromobili hanno cessato di esistere, l’agricoltura è stata distrutta. Ci sono anche imprese di materie prime che forniscono industrie ad alta tecnologia in Occidente. Come risultato dell’ “ottimizzazione del personale”, lo sfruttamento dei lavoratori lì è notevolmente aumentato lì. L’assistenza medica altamente qualificata e l’istruzione superiore sono diventate inaccessibili alla maggior parte dei lavoratori. Le tariffe per l’alloggio e le utenze, i viaggi sui mezzi di trasporto spesso superano le capacità finanziarie della maggioranza dei pensionati e fino a un terzo dei lavoratori.

Milioni di operai, ingegneri, insegnanti, operatori sanitari cercano lavoro all’estero.

L’Ucraina è impantanata in un debito multimiliardario con il Fondo MonetarioIinternazionale e altri squali finanziari negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. Lo stato è sotto il loro vero controllo.

Queste sono le realtà della nostra vita oggi.

State in guardia! Non permettete lo stesso a casa vostra, nella fraterna vostra Bielorussia!

Khabarov Vladimir, stabilimento metallurgico MMP e altri lavoratori del collettivo di lavoro
view post Posted: 21/8/2020, 12:38 Palestina - Esteri
Nel silenzio assordante della stampa borghese i fascisti israeliani stanno compiendo l'ennesimo atto del genocidio palestinese. Raid continui da giorni su Gaza e bombardamenti indiscriminati. Centinaia di vittime. Il nazista in capo Netanyahu ha fatto sapere che continueranno i massacri.

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/ga...119.html#foto-4
view post Posted: 15/8/2020, 17:02 Bielorussia, Lukashenko rieletto presidente. I diritti sociali in primis - Esteri

DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO POLITICO DEL CC DEL PCOR-PCUS SULLE ELEZIONI IN BIELORUSSIA E SULLA SITUAZIONE DETERMINATASI DOPO DI ESSE



A seguito delle elezioni presidenziali svoltesi in Bielorussia e degli sviluppi determinatisi in quel paese[1], riportiamo un’analisi della vicenda attraverso una dichiarazione del 13 agosto del Consiglio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Operaio Russo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCOR-PCUS)[2].



Nella Repubblica di Bielorussia si sono tenute le elezioni presidenziali. Secondo i dati ufficiali, la maggioranza degli elettori ha votato per Lukašenko (80%).

Non siamo in grado di stabilire quanto questi dati corrispondano alla realtà, né quanto questo risultato sia stato assicurato dalla risorsa amministrativa, che senza dubbio possiede chi da tanto tempo ricopre la carica di presidente, ma sottolineiamo solo il punto più saliente: l’opposizione non riconosceva questi risultati anche prima che fossero resi pubblici, persino molto tempo prima delle elezioni.

Anche in questo caso non è particolarmente significativo se questa opposizione di destra sia filo-occidentale o filo-russa, poiché in ogni caso è appunto filo-imperialista. Tuttavia è significativo che essa abbia un carattere chiaramente nazionalista, per molti aspetti analogo al maidan di Kiev, fino all’utilizzo dei simboli del collaborazionismo del 1941.

Queste forze non possono perdonare a Lukašenko di non avere imboccato la via di Gaydar col metodo della «terapia d’urto», di non aver consentito una privatizzazione da rapina, né quelle riforme finanziarie antipopolari che in un attimo hanno fatto precipitare nella povertà la popolazione della Russia. Inoltre, Lukašenko ha garantito la salvaguardia della grande industria statale e dell’agricoltura, della regolamentazione statale, delle garanzie sociali, ecc.. Ciò detto, non nutriamo illusioni e comprendiamo come il modello costruito da Lukašenko sia comunque un modello capitalistico.

E il sistema borghese crea il proprio ambiente e l’ideologia corrispondente. La piccola borghesia vuole diventare grande e avere più libertà di sfruttamento e commercio. Pertanto, si affida sempre volentieri alle forze degli imperialisti stranieri per tradurre le loro aspirazioni in realtà. In questo caso, hanno preferito il sostegno dell’UE e degli Stati Uniti, dei predatori più potenti, con il loro obiettivo di lunga data di inserire un cuneo tra i popoli di Russia e Bielorussia. E riconosciamo l’impronta dolorosamente familiare degli eventi in Ucraina, in Venezuela e in altre regioni del mondo: i risultati delle elezioni non vengono accettati, il candidato dell’opposizione viene proclamato vincitore, viene presentato appello alla comunità mondiale, la popolazione viene chiamata a scendere in piazza e le autorità vengono provocate con violenti scontri e rivolte, fino all’organizzazione delle vittime sacrificali.

Si deve sottoporre Lukašenko a serie critiche per il fatto che è in gran parte egli stesso responsabile dell’attuale situazione acuta, poiché fin dall’inizio ha imboccato la via del capitalismo e del mercato. Ha cercato di preservare le garanzie sociali per la popolazione, ma non ha voluto fare affidamento sui lavoratori. Non ha accumulato capitali personali e non si è circondato di amici oligarchi, come il «garante» russo, ha cercato con tutte le sue forze di preservare la sovranità della Repubblica di Bielorussia e di sviluppare la sua economia, ha cercato di costringere i funzionari a lavorare per questa idea in condizioni di mercato, ma non è riuscito, né poteva riuscire, a garantire tutto ciò nel quadro del capitalismo. Contare su questo è ingenuo e, come noto, non esiste un mercato buono, favorevole ai lavoratori. Il mercato, prima o poi, porta sempre al Maidan come forma di presa del potere da parte del grande capitale finanziario. Il potere della borghesia è sempre essenzialmente la dittatura della classe borghese. Questa dittatura può assumere varie forme, ma la sostanza è la stessa: la dittatura degli sfruttatori contro gli sfruttati.

Non c’è stata opposizione da parte dei lavoratori in queste elezioni. La classe operaia e le sue organizzazioni non sono state capaci di avanzare un proprio candidato. Siamo costretti a costatare che la debolezza del movimento operaio nel paese è in parte uno dei risultati della politica di Lukašenko, una politica di repressione di ogni tentativo di lotta di classe. I lavoratori sono privati del diritto di sciopero, passati a contratti a tempo determinato e persino privati del diritto di licenziarsi di loro spontanea volontà, per non parlare dell’attività politica. In Bielorussia, ancora prima che nella Federazione Russa, è stata innalzata l’età pensionabile, sono state proposte tasse per i disoccupati, sono stati ridotti i diritti sindacali, ecc.. Le autorità negano la registrazione ai nostri compagni del Partito Comunista Bielorusso dei Lavoratori (BKPT) e non consente loro l’accesso alla legittima politica ufficiale. Quindi, non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che Lukašenko parla solo di una via capitalistica per la Bielorussia («come in tutto il mondo»), mentre in politica interna persegue una linea di rafforzamento dell’assolutismo del potere presidenziale e di aumento dello sfruttamento dei lavoratori. Questa politica ha portato alla crescita di umori piccolo-borghesi nella società e del malcontento tra i lavoratori. Tutto ciò è servito come base per organizzare le proteste dell’opposizione.

Il Partito Comunista Operaio Russo ritiene che i lavoratori della Bielorussia debbano chiarirsi e fare la propria scelta, determinata da una politica operaia autonoma. La classe operaia non deve stare sotto una bandiera altrui, deve combattere per i propri interessi e non per gli interessi dei capitalisti.
Ci sono abbastanza esempi davanti agli occhi dei lavoratori: l’esempio di Kiev, quando una parte dei lavoratori si schierò dalla parte di alcuni capitalisti contro altri e l’esempio del Donbass, dove minatori e trattoristi si opposero ai rabbiosi seguaci di Bandera scaldati dal Maidan, combattendo sotto le bandiere rosse.

Possiamo solo consigliare al popolo, ai lavoratori della Bielorussia di ascoltare meno sia gli autoproclamati “difensori dei diritti umani“, gli apologeti della democrazia borghese e dei “valori universali“, sia i fautori della linea della repressione da parte del potere statale.

Il PCOR invita i lavoratori della Bielorussia a non consentire l’avvio e lo sviluppo del Maidan bielorusso secondo il modello di Kiev, ma allo stesso tempo a utilizzare la situazione di insoddisfazione di parte della società per i risultati delle elezioni per rafforzare le proprie forze di classe, per tenere riunioni nei reparti di fabbrica e nella produzione per sviluppare le proprie rivendicazioni nei confronti delle autorità. Ora è il momento per gli operai di avanzare la rivendicazione decisa di un cambiamento della legislazione del lavoro nell’interesse di tutti i lavoratori e del ripristino dell’età pensionabile sovietica, di organizzare scioperi a sostegno di queste richieste. Allo stesso tempo, bisogna ricordare che gli scioperi organizzati dalla leadership delle forze filo-imperialiste e volti a soddisfare le richieste del Maidan sono inequivocabilmente reazionari, proprio come quello stesso movimento e i lavoratori non devono aderirvi in nessuna circostanza.

Uno dei risultati di questo lavoro di organizzazione e auto-organizzazione dei lavoratori può essere lo svolgimento di un congresso nazionale di operai, contadini, specialisti e impiegati che elegga un organo permanente di lavoro, basato sulla forza della classe operaia, sulla forza di tutti i lavoratori della Bielorussia, in grado, sotto la guida ideologica dell’avanguardia formatasi nella lotta – il partito comunista operaio -, di perseguire una politica operaia contro la barbarie capitalista, per la democrazia, per il socialismo!

Stepan Sergeevič Malencov, Primo Segretario del PCOR-PCUS



Note:

[1] Per approfondire: Bielorussia: un futuro complesso tra due imperialismi in lotta tra loro, L’Ordine Nuovo, 15 agosto 2020.

[2] Не допустить развития белорусского майдана!, Partito Comunista Operaio Russo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, 14 agosto 2020.
view post Posted: 12/8/2020, 13:01 Bielorussia, Lukashenko rieletto presidente. I diritti sociali in primis - Esteri
CITAZIONE
secondo qualcuno si.

Cmq nessuno mi pare si sogni di dire che abbiano avuto un ruolo "positivo" nella lotta all'imperialismo (tanto che questo spesso li ha supportati in Siria). Diciamo che ad un certo punto gli imperialisti, apprendisti stregoni, si sono trovati una patata bollente fra le mani.
view post Posted: 11/8/2020, 19:03 Bielorussia, Lukashenko rieletto presidente. I diritti sociali in primis - Esteri
Maidan ha dato una bella lezione a tutti. Per quanto le situazioni fossero un tantino differenti.

Bielorussia, la leader golpista si rifugia in Lituania (dove si perseguitano comunisti e pacifisti nel silenzio assenso dell'UE)



La leader dei golpisti bielorussi Tikhanovskaya, che è stata rilasciata quasi subito dopo il suo fermo a Minsk, si rifugia in Lituania il cui governo annuncia "è al sicuro da noi".

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Nel frattempo il verme Enrico Staisereno Letta chiama all'intervento armato contro la Bielorussia.

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