Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by Khleb

view post Posted: 20/5/2020, 17:54 CineScintilla - Cinema & TV
Un film apprezzabile nella sua ricostruzione, mi ha sorpreso considerando la merda a cui ci ha abituato il panorama mainstream borghese.

view post Posted: 20/5/2020, 17:46 ingiustizie del capitalismo - Off topic

IL LOCKDOWN FRUTTA 24 MILIARDI DI DOLLARI A JEFF BEZOS



Mentre il sistema di produzione capitalista si prepara ad affrontare una crisi senza precedenti, nonché una recessione come non si vedeva da quasi un secolo, l’agenzia Comparisun ha rivelato che Jeff Bezos, attuale CEO di Amazon, è in corsa per diventare il primo trilionario della storia: secondo le proiezioni di Comparisun, infatti, la sua fortuna personale potrebbe superare la soglia del migliaio di miliardi di dollari entro il 2026, seguendo il trend di crescita del 34% annuo che ha confermato nell’ultimo lustro.

Un trilione di dollari di “valore netto” potrebbe equivalere a una ricchezza superiore al Prodotto Interno Lordo pro capite di 179 Paesi, la popolazione dei quali ammonta a 3,4 miliardi di persone, ovvero al 43,7% dell’attuale popolazione mondiale.
Nonostante un trilione sia una cifra immensa e ancora lontana nel futuro, l’attuale fortuna di Bezos non è certo da sottovalutare: considerando che (stando al Guardian) il lockdown imposto per fronteggiare la diffusione del coronavirus ha fatto guadagnare ventiquattro miliardi di dollari al CEO di Amazon, grazie all’impennata di vendite dovuta al blocco delle persone nelle proprie abitazioni, l’attuale patrimonio di Bezos ammonta a 138 miliardi di dollari. Cifra “vicina” ai 151 miliardi del 2018, pre-divorzio miliardario, che gli avrebbero comunque garantito la possibilità di acquistare gli interi mercati azionari di Nigeria, Ungheria, Egitto, Iran e Lussemburgo.

Le ragioni della fortuna di Bezos e di Amazon, ovviamente, non vanno ricercate nella sua abilità imprenditoriale, ma nel valore generato e poi ceduto dalle migliaia di lavoratori della sua azienda, a fronte di un salario inferiore al valore prodotto.
Lavoratori che operano quotidianamente, sottoposti anche sotto pandemia ad un controllo serratissimo dei ritmi di produzione, spesso senza rispetto delle norme di sicurezza. Anzi, alle dichiarazioni dell’azienda secondo cui “la sicurezza dei lavoratori viene prima di ogni cosa”, si oppongono le recenti notizie del rifiuto del pagamento dei congedi di malattia per i lavoratori dei magazzini in cui si sono scoperti casi di Covid-19, e del termine, con il primo maggio, della politica aziendale di “possibilità di sospensione indefinita dal lavoro”; grazie a quest’ultima i lavoratori sarebbero potuti rimanere a casa per un periodo di tempo a loro scelta, per tutelare la propria salute senza perdere il posto di lavoro, ma ovviamente senza percepire un dollaro.

I lavoratori, che già lamentano condizioni igieniche non ottimali e scarsità di dispositivi di protezione personale, saranno ora sottoposti al ricatto di tornare al lavoro anche se potenzialmente positivi, mettendo quindi a rischio la salute dei colleghi, pena il licenziamento.
Alle richieste dello sciopero indetto il primo maggio dai lavoratori Amazon, che comprendevano la chiusura e la sanificazione dei magazzini con casi conclamati di Covid-19 e il rafforzamento delle misure di prevenzione igieniche e sanitarie, l’azienda ha risposto citando di aver sostenuto una spesa di 800 milioni di dollari nella prima metà del 2020 per far fronte all’emergenza Coronavirus. Una cifra ragguardevole, certo, ma se consideriamo che Jeff Bezos spende 1,3 milioni di dollari con la stessa facilità con cui un cittadino americano medio ne spende uno, in proporzione è come se il CEO di Amazon avesse personalmente speso poco più di seicento dollari in cinque mesi.

amazon

Se consideriamo complessivamente l’azienda, la spesa è stata praticamente irrisoria, e non è quindi un caso che, al diffondersi di queste valutazioni tra i lavoratori, l’azienda abbia assunto anche altre modalità di reprimere il dissenso: il licenziamento di vari dirigenti che si erano espressi sulle pericolose condizioni di lavoro dei propri sottoposti ha addirittura spinto Tim Bray, vicepresidente di Amazon e “Ingegnere Illustre” di Amazon Web Services, a lasciare l’azienda.

D’altronde, che Jeff Bezos sia impegnato ad essere l’uomo più ricco del mondo, piuttosto che il più grande filantropo, era già cosa nota: sempre in base alle proporzioni fatte da BusinessInsider, i 690000 dollari americani donati in beneficenza da Bezos per gli sforzi di recupero dagli incendi boschivi in Australia, se confrontati al totale del suo patrimonio personale, rappresentano per le tasche di una donna laureata statunitense media (che si suppone possa guadagnare 1,3 milioni di dollari in tutta la sua vita) ben sei dollari e mezzo, ovvero in parole povere i proverbiali “quattro spicci”.
view post Posted: 20/5/2020, 16:34 Cina vs USA - Esteri

Così Trump ha rovesciato la "carta cinese" di Nixon



Il presidente americano sembra avvicinarsi a Mosca in chiave anti-cinese, cioè seducendo il Cremlino per indebolire l'asse con Pechino votato alla crescente collaborazione in ambito politico, economico e militare

Donald Trump non vuole parlare con Xi Jinping e ipotizza una rottura con la Cina in risposta al "peggior attacco che l'America abbia mai subito" con un "virus creato o manipolato il laboratorio" che "molto probabilmente", ha tenuto a precisare, gli è sfuggito di mano.

"Che cosa succederebbe se interrompessimo completamente le relazioni? Risparmieremmo 500 miliardi", ha dichiarato Trump in un'intervista a FoxNews, riferendosi in modo approssimativo al valore dell'interscambio tra Stati Uniti e Cina. L'escalation di Trump nella retorica contro Pechino non è una sorpresa: rappresenta forse la sua posizione politica più coerente.

"Il Covid-19 è arrivato mentre si stava intensificando la seconda Guerra Fredda, tra gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese, le due super potenze della nostra epoca, con l'Unione europea e gli altri alleati americani che sperano silenziosamente di restare non allineati", osserva sullo Spectator lo storico ed editorialista Niall Ferguson.

All'indomani dell'elezione, prima ancora di prendere possesso dello Studio Ovale e lanciare la sua offensiva sui dazi, il 5G e la nuova Via della Seta, il tycoon aveva parlato al telefono con la leader di Taiwan Tsai Ing-Wen mettendo in discussione la necessità statunitense di rispettare il "Principio dell'Unica Cina".

Quella che era sembrata una gaffe diplomatica, è stata la prima picconata a mezzo secolo di relazioni tra Washington e Pechino dopo lo storico disgelo tra Richard Nixon e Mao Tse-tung, architettato negli anni Settanta da Henry Kissinger anche per allontanare la Cina dall'Unione Sovietica.

È come se Trump stesse giocando al rovescio la carta di Nixon: avvicinarsi a Mosca in chiave anti-cinese, cioè seducendo il Cremlino per indebolire l'asse con Pechino votato alla crescente (e preoccupante per la supremazia americana) collaborazione in ambito politico, economico e militare.

Se l'aggancio con Mosca gli è costato il Russiagate con il conseguente processo di impeachment, che il tycoon attribuisce al "deep state", il fatto che la Cina abbia responsabiltà evidenti sull'origine della pandemia e sulla sua diffusione, corrobora la narrazione del capo della Casa Bianca contro lo Stato del Dragone.

Che sia partito dal mercato oppure dal laboratorio di Wuhan, il virus ha minato la credibilità di Pechino e i piani egemonici di Xi Jinping sullo scacchiere internazionale. Negli Usa però i contagi sono oltre 1,3 milioni e i morti 84 mila a fronte di 4.600 decessi in Cina.

Per evitare che le presidenziali si trasformino in un referendum sulla sua risposta alla pandemia, Trump sta trascinando in questa campagna il rivale democratico designato, Joe Biden, dipingendolo come l'alternativa filo-cinese.

A sua volta Biden ha accusato Trump di aver trascurato la pandemia per l'accordo commerciale con la Cina, punto di forza del suo primo mandato. Mentre in America (e in Europa) l'economia va a picco, la Cina ha registrato a sorpresa ad aprile un balzo dell'export del 3,5% annuo e un surplus commerciale di oltre 45 miliardi di dollari contro un avanzo compreso tra 6 e 10 miliardi previsto dagli analisti.

I falchi americani temono che la Cina possa emergere rafforzata dalla pandemia e reclamano contromisure. Poiché gli acquisti cinesi di beni agricoli a stelle e strisce sono ripartiti, Pechino, tramite il Global Times, ha sollevato l'ipotesi di rinegoziare la "fase 1" dell'intesa commerciale con gli Usa siglata a gennaio.

Trump ha escluso categoricamente questa possibilità. È convinto tuttavia che la Cina sia impegnata in attività di pirateria informatica per battere gli Usa nella corsa al vaccino anti-Covid, prossimo fronte di questa nuova Guerra fredda.
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Escalation Usa-Cina, Pechino risponde al ban di Trump: 2,25 miliardi sui chip



Il governo asiatico punta a quintuplicare la produzione dell’impianto Smic di Shangai per arginare gli effetti delle nuove restrizioni imposte dalla Casa Bianca: le aziende americane che vendono tecnologia ai cinesi dovranno dotarsi di una licenza.

ontromossa cinese dopo l’ulteriore giro di vite imposto da Trump nella War Trade Usa-Cina. I fondi d’investimento controllati dallo Stato cinese hanno iniettato 2,25 miliardi di dollari in uno stabilimento cinese che produce processori per sostenere la produzione di chip avanzati.

Si tratta dello stabilimento della Semiconductor Manufacturing International, che in conseguenza ha dichiarato un aumento di capitale sociale da 3,5 a 6,5 miliardi di dollari. Lo riferisce Bloomberg, secondo cui l’obiettivo della Cina è quintuplicare la produzione dell’impianto in modo da far fronte alle nuove restrizioni imposte dagli Stati Uniti per colpire Huawei.

Il nuovo annuncio di Trump
Il nuovo investimento arriva all’indomani della decisione del dipartimento del Commercio americano – annuncia venerdì scorso – di imporre la richiesta di una licenza alle aziende internazionali che vendono a Huawei prodotti realizzati con software, componenti o macchinari statunitensi. Lo scopo è rendere difficile l’approvvigionamento di chip necessario alla società cinese. Tra le aziende interessate dalla nuova restrizione Usa c’è il colosso taiwanese dei chip Tsmc. Secondo quanto riferisce stamani il quotidiano asiatico Nikkei citando una fonte anonima, Tsmc avrebbe smesso di accettare ordinativi da Huawei dopo l’annuncio delle nuove regole Usa. Regole che comunque non avrebbero impatto sui chip già ordinati dall’azienda cinese.

Huawei “si oppone categoricamente alle modifiche” apportate dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, con motivazioni sulla sicurezza nazionale, contro l’export di componenti hi-tech americani che si “rivolge in modo specifico” contro il gruppo cinese. La mossa, si legge in una nota dell’azienda, “è stata arbitraria e perniciosa e minaccia di colpire l’intero settore nel mondo: questa nuova regola avrà un impatto sull’espansione, la manutenzione e le operazioni di rete per centinaia di miliardi di dollari che abbiamo implementato in oltre 170 Paesi”.

Il governo Usa ha inserito Huawei nella sua ‘lista nera’ del commercio il 16 maggio 2019 “senza giustificazione”, ma la società è riuscita ad adempiere gli “obblighi contrattuali con clienti e fornitori”, fa sapere ancora l’azienda. Tuttavia, Washington “ha deciso di procedere e di ignorare completamente le preoccupazioni di molte società e associazioni di settore”. La mossa avrà “un impatto sui servizi di tlc per i più di 3 miliardi di persone che usano prodotti e servizi Huawei nel mondo. Per attaccare un’azienda leader di un altro Paese, il governo Usa ha intenzionalmente voltato le spalle agli interessi dei clienti e dei consumatori di Huawei”.

Gli Usa, continua la nota, “stanno sfruttando i propri punti di forza tecnologici per schiacciare le società al di fuori dei propri confini, il che servirà solo a minare la fiducia che le società internazionali ripongono nella tecnologia e nella supply chain statunitensi e, in definitiva, danneggerà gli interessi degli Stati Uniti”. Huawei “sta effettuando un esame approfondito di questa nuova regola. Ci aspettiamo che la nostra attività sia inevitabilmente influenzata”, con “la speranza di ridurre al minimo l’impatto di questa regola discriminatoria”.
view post Posted: 20/5/2020, 15:41 corona virus, un altro punto di vista - Varie

CONTRO LA CRISI DEL CAPITALE, ACCENDIAMO IL CONFLITTO DI CLASSE



Virus (del capitale) ed economia


Stando alle tempistiche dettate dal governo, siamo passati dalla fase 1 dell’emergenza, causata dal Covid-19, alla fase 2. Secondo la propaganda dell’esecutivo, ci troveremmo di fronte ad una vittoria sull’epidemia. In realtà, basta confrontare i dati di inizio del “coprifuoco sanitario” e quelli attuali per rendersi conto che questa versione non regge. Sarà pur vero che c’è una curva tendenzialmente discendente dei contagi e della mortalità, ma la gente continua pur sempre ad infettarsi e a morire e questo, come ormai emerso da ogni dove, per due sostanziali motivi: uno, la sanità negli ultimi anni è stata sacrificata e depotenziata ferocemente per destinare risorse agli armamenti e al grande capitale industriale e finanziario in crisi, e gli ospedali da luoghi di cura sono divenuti covi di infezione e di morte; due, i lavoratori sono stati costretti ad andare nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro nonostante la martellante propaganda governativa contrassegnata dalla litania “io resto a casa”. Basti vedere che, anche secondo l’Istat, più del 55% degli addetti all’industria e ai servizi ha continuato a lavorare uscendo di casa.
Una fase 1 segnata dal carattere criminale di questa classe dominante che ha sacrificato tanti lavoratori e loro familiari sull’altare del dio profitto, mentre nel territorio è stato imposto uno stato da coprifuoco in cui la sbirraglia ha avuto modo di scorrazzare libera, macchiandosi di ogni angheria e sentendosi completamente padrona del territorio.
La cosiddetta fase 2 c’entra molto relativamente con il calo dell’emergenza sanitaria. C’entra principalmente con il calo pauroso dei profitti e con la crisi economica che si è già avviata. Questa è la realtà. Confindustria, in particolare, ha premuto per il suo avvio, ma, in generale, la prosecuzione della fase 1 rischiava di rappresentare un insostenibile peso economico per il sistema e per la cosiddetta tenuta sociale. Pensiamo agli operai rimasti senza salario e con la cassa integrazione che non arriva, ai tanti proletari che sbarcano il lunario lavorando in nero, alla piccola borghesia costretta a sospendere le attività, ma sul cui groppone pesano affitti, tasse e prestiti bancari che non si fermano. Ma anche all’insostenibilità morale e psicologica dei domiciliari di massa imposti al popolo, privato persino della possibilità di fare una passeggiata, con le case divenute una sorta di prigione, con un terrorismo mediatico di massa che ha raggiunto livelli parossistici. Va detto peraltro che il governo si è tenuto il potere di reintrodurre lo stato d’emergenza fino a gennaio 2021, ponendo dunque una pericolosa ipoteca sulle libertà individuali e collettive.
Sul piano della concorrenza internazionale fra capitalisti, la rincorsa alle fase 2 è stata lanciata unicamente allo scopo di non perdere mercati e far ripartire l’economia con tutto ciò che comporta in termini di sfruttamento, rincorsa forsennata ai margini di profitto, devastazione ambientale, smantellamento di conquiste del passato ecc. Vale a dire tornare alla “normalità”, così come può essere sotto un regime di stampo capitalistico in crisi e cioè in condizioni più aggravate di sfruttamento e repressione, come ci stanno facendo già ampiamente vedere la ripresa dei morti sul lavoro e gli “incidenti” come quello gigantesco alla 3V Sigma di Marghera.
E poiché il capitalismo è intrinsecamente caratterizzato dalla dinamica spietatamente concorrenziale, chi riprende a produrre a pieno ritmo, chi riavvia per primo gli ingranaggi dello sfruttamento, chi riesce per primo a scaricare la crisi sulle altre formazioni, otterrà il beneficio di ritrovarsi rafforzato e in grado di sottrarre fette di mercato a chi riparte in ritardo. Di qui la fretta del dare avvio alla fase 2 che dal 1 giugno è stata anticipata al 18 maggio.
Dal punto di vista economico il Covid-19 si sta rivelando come un detonatore di una crisi che dopo il 2008 si era solo allentata, ma mai risolta, restando sempre in stato latente.
Stando ai dati forniti dal Fmi (Sole 24 ore 14 aprile) esiste una stima, a loro detta ottimistica, di una contrazione del Pil mondiale del 3% per il 2020. La previsione per le grandi formazioni imperialistiche danno dati pesantissimi: -7,5% Ue, – 5,9 % Usa, +1,2 Cina. La disoccupazione in Ue e in Usa è in aumento, al 10% e, a marzo, le ore di lavoro perse sono state pari a 200 milioni di posti di lavoro e questo, a breve, si tramuterà quasi sicuramente in licenziamenti. Il tasso d’inflazione va verso il congelamento: +0,2 Ue, +0,6 Usa. Per dare un dato di paragone, la crisi nel 2009 era caratterizzata da una crescita del Pil mondiale del -0,1%. Siamo cioè di fronte ad una crisi mondiale del sistema capitalistico di portata epocale, forse superiore a quella del 1929.
Per quanto riguarda l’Italia, sempre il Fmi, fornisce una previsione di crescita del -9%. Il ministero dello sviluppo economico ha fornito alcuni dati secondo i quali nel mese di aprile il mercato dell’auto ha avuto una battuta d’arresto pari al 98%, la produzione industriale ha subito un calo del 55% e le previsioni su base annua danno un calo della produzione pari a 400/500 mld di euro.
A subire le conseguenze della crisi saranno in primis i lavoratori dipendenti, ai quali si va prospettando l’orizzonte dei licenziamenti per il momento solo attenuato dalla proroga di altri tre mesi del divieto di licenziamento inserito nel dl “Rilancio” del governo. Ma lo saranno anche le fasce della piccola e media borghesia legate al commercio e alla piccola produzione che già ora sono in preda a fallimenti e impossibilità di far fronte ai pagamenti e destinate quindi a subire un forte processo di proletarizzazione. Uno schiacciamento verso il basso dell’intera società che crea allarmi nelle teste d’uovo della borghesia imperialista, per quanto riguarda la tenuta del conflitto di classe e della pace sociale fin qui ottenuta. Non a caso, dunque, Conte continua a sperticarsi sulle misure tampone che il governo sta prendendo, tentando di gettare acqua sul fuoco del malcontento popolare.
Le previsioni di crisi hanno inoltre rimesso in moto i bazooka delle banche centrali che ai primi di aprile avevano già sparato nel sistema finanziario ben 8mila mld di dollari nel tentativo di creare un polmone creditizio che desse ossigeno ad un sistema in totale affanno. Con il risultato che, sommando questa massa di denaro a quella già iniettata dai quantitative easing degli ultimi anni, ci si ritrova con una tale mole di capitale fittizio in circolazione che l’acuirsi della contraddizione tra economia reale e finanziaria attende solo un nuovo pretesto per esplodere.
Ed è qui che si riscaldano i motori del conflitto tra formazioni economiche sia a livello mondiale sia all’interno di alcune formazioni. Lo scambio continuo di accuse tra Usa e Cina sull’origine della cosiddetta pandemia e la sentenza del 6 maggio della corte suprema tedesca contro le politiche espansive della Bce indicano come il livello conflittuale tra formazioni sia destinato ad acuirsi. Nel primo caso con l’obiettivo di contendersi i mercati mondiali, nel secondo con l’obiettivo di affossare il ricorso ai Recovery Bond e imporre il prestito capestro legato al Mes seguendo le note politiche di austerità (su base nazionale), tanto care al capitale tedesco, che non vede l’ora di depauperizzare interi paesi, per concentrare e centralizzare a sé i grandi gruppi industriali europei come già sperimentato con l’esperienza della Grecia.
Il grande capitale italiano è inoltre perfettamente consapevole che l’attuale crisi accelera le dinamiche della guerra imperialista. Basti vedere la riconversione attuata da Fincantieri dalla produzione di navi da crociera a quelle militari per il Pentagono, il recentissimo rinnovarsi dei rapporti tra Finmeccanica e l’industria bellica israeliana e il fatto che, ovviamente, le produzioni di armi e armamenti siano state da subito classificate come essenziali e dunque non abbiano subito nessuna interruzione durante il coprifuoco. Alla tendenza guerra imperialista bisogna opporre la mobilitazione reale. Ciò deve avvenire sia nei territori colpiti dalle installazioni militari, come insegna il movimento No Muos e quello contro le basi in Sardegna, sia in tutti gli altri ambiti concreti dove gli interessi della guerra imperialista sono presenti, come con il boicottaggio dei legami tra istituti universitari e di ricerca italiani e israeliani.
Scontro di classe
La fase 2, quindi, si concretizza nella principalità della crisi economica su quella sanitaria e in questo quadro il padronato, con in testa gli assassini di Confindustria, passa all’attacco. Le dichiarazioni del neo presidente Bonomi sono chiare: mettere mano a “turni, orari di lavoro, numero di giorni di lavoro settimanali e di settimane in questo 2020”… “da definire in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali”. Un attacco diretto ai contratti nazionali che si inserisce nel tentativo, che va avanti da anni, di ridurre questo istituto sempre più all’osso con accordi al ribasso.
In questi giorni, ad esempio, è stato approvato un accordo sindacale tra i sindacati confederali e Unionfood, Assobirra e Ancit (itticoltori) in rappresentanza di aziende strutturate come Barilla e Ferrero. L’accordo mette le aziende facenti parte di queste corporazioni fuori dal contratto nazionale alimentaristi, sulla scia della Fiat di Marchionne, togliendo così grossi pezzi di classe operaia dalla mobilitazione in corso per il rinnovo. L’accordo separato, il primo della fase 2, vede un aumento su base mensile di 20 euro lordi rispetto ai 205 euro netti chiesti in partenza; una elemosina se pensiamo che le aziende coinvolte fanno parte di uno dei settori che ha accusato meno il colpo, sia prima sia durante l’emergenza. Un altro esempio è quello della Sittel che da qualche settimana ha disdetto unilateralmente il contratto nazionale dei metalmeccanici per imporre quello delle telecomunicazioni, più favorevole alle tasche dei padroni e dell’ospedale San Raffaele di Milano che vede i lavoratori in lotta contro il tentativo di passaggio da pubblico a privato che ne peggiorerebbe le condizioni economiche e lavorative.
Le trattative di tutti gli altri Ccnl in scadenza sono bloccate e riguardano oltre dieci milioni di lavoratori, tre quarti dei quali del settore privato. È sul terreno del salario, delle conquiste, dei tempi e dei ritmi che si giocherà gran parte della partita.
Se Bonomi punta probabilmente al modello tedesco, dove l’istituto principale è il contratto autonomo aziendale rispetto ai contratti di settore, i sindacati confederali lanciano la proposta di un nuovo“patto sociale”. A quest’ultima fa eco lo stesso premier Conte che si pone l’obiettivo di aprire un “tavolo volto a definire forme contrattuali innovative e adeguate a nuove forme di lavoro, a ragionare sui modelli di sviluppo e formazione per rilanciare la crescita, tanto nel privato quanto nella pubblica amministrazione”. L’unica certezza è che sui rinnovi i padroni cercheranno di scaricare le loro perdite sui lavoratori, il governo cercherà di mettere delle pezze facendo ricorso alla fiscalità generale per alleviare le perdite salariali e i sindacati confederali daranno copertura in nome della “responsabilità”.
La questione principale diventa quindi quella di socializzare le perdite facendo ricorso alle risorse economiche statali in deficit, accumulando debiti che andranno necessariamente ripagati ricorrendo a tagli, privatizzazioni e aggravi fiscali. Sempre Confindustria anche su questo punto è chiara, il decreto Salva Imprese, che vedeva centinaia di miliardi di prestiti alle aziende garantiti dallo Stato, è stato aspramente criticato, i padroni vogliono soldi, li vogliono subito e a fondo perduto. Ma qualcuno anche qui dovrà pagare il conto.
L’ultimo dl Rilancio è esemplificativo in questo senso, il taglio dell’Irap per circa 4 miliardi alle imprese, comprese quelle che hanno continuato a fare profitto anche in piena emergenza, è un regalia che avrà una ricaduta diretta sulla sanità ad esempio, la quale si finanzia proprio grazie all’Irap; d’altra parte il governo si fa bello con un finanziamento alla sanità stessa di 3 miliardi e 250 milioni, di fatto con un saldo negativo di 750 milioni rispetto a quanto tolto proprio con il taglio dell’Irap. Le varie misure previste dall’inizio dell’emergenza ad oggi seguono lo schema che vede misere briciole alle classi subalterne, bonus miseri che non garantiscono la sopravvivenza così come il Rem appena previsto. Dall’altra invece si finanzia direttamente o indirettamente i padroni e soprattutto il grande capitale con immissioni di liquidità che nel breve termine danno una boccata di ossigeno, ma che sul lungo periodo vanno solo ad approfondire la crisi già esistente incrementando di fatto il debito pubblico che peserà sulla testa dei lavoratori.
Nello specifico sotto l’occhio del ciclone potrebbe esserci il mondo dell’istruzione, dove l’introduzione della didattica a distanza, osannata da destra a sinistra, può diventare strumento grazie al quale tagliare e aumentare il carico di lavoro a insegnanti e personale Ata, oltre che investire le famiglie di un altro peso economico e dello stress di un ruolo semiscolastico, da far quadrare con il lavoro salariato e domestico.
Se questi sono gli indirizzi da parte dei padroni e dei loro lacchè, la classe lavoratrice e i proletari non sono stati a guardare nella fase 1 e non lo faranno ora. La grande mobilitazione in difesa della salute che ha coinvolto il comparto della logistica e gli operai di aziende di tutti i settori, con scioperi, blocchi e astensioni di massa ha fatto sì che venisse messo in campo il lockdown nelle imprese, contro la linea di Confindustria (praticata in modo criminale in Lombardia) di tenere tutto aperto. Questa è stata una mobilitazione di massa e autonoma della classe rispetto alla stessa triplice che aveva firmato i protocolli per tenere aperte le aziende. Un risultato importante che ha riportato la classe operaia e i suoi rapporti di forza protagonisti, anche se per poco, sulla scena pubblica dopo tanto tempo.
Non è un caso, quindi che proprio in funzione preventiva la norma anti assembramento e il divieto di sciopero, quest’ultimo prolungato sino a giugno, siano in vigore e usati principalmente contro chi oggi si sta mobilitando dentro i posti di lavoro. Un esempio lampante è quanto avvenuto ai magazzini della Tnt di Peschiera Borromeo, dove, per sgomberare l’occupazione del magazzino in corso contro i licenziamenti operati dalla cooperativa, sono stati impiegati oltre duecento poliziotti, camionette e in altri magazzini addirittura l’esercito. Questi sono tutti esempi di come la borghesia imperialista e il suo governo siano in stato di allerta sulla possibilità che salti il tappo delle contraddizioni sociali e cerchino di capitalizzare in termini repressivi le norme di contenimento dell’emergenza sanitaria. In fabbrica si lavora ammassati, ma nelle piazze non puoi stare nemmeno distanziati ad un metro senza incorrere in multe o violenze della polizia, come avvenuto anche per il Primo Maggio a Trieste.
Nel quadro che va delineandosi va colto il peggioramento drastico e l’estensione del lavoro precario, a cottimo, dei finti lavoratori autonomi e dei parasubordinati. Questa selva di forme di sfruttamento, con contratti già privi di diritti e nate proprio per dribblarli, è e sarà sempre di più incrementata. Grazie al protagonismo dei lavoratori coinvolti da qui sono emersi alcuni esempi positivi di lotta proprio durante il lockdown, come lo sciopero del Primo Maggio dei riders. In particolare a Torino è stata espressa una notevole capacità organizzativa con lo svolgimento di una vera e propria “ronda” capace di eludere la sbirraglia e bloccare, posto dopo posto, i tablet da dove partivano gli ordini. Una lotta che insegna come, anche in periodi di massimo controllo e repressione, se ci si organizza con volontà di vincere i risultati non mancano. Inoltre una dimostrazione che è possibile, nella lotta, costruire momenti di ricomposizione del proletariato giovanile urbano proprio in un settore dove i padroni hanno puntato al massimo dell’individualizzazione. È una mobilitazione che va promossa e sostenuta come va sostenuta ogni lotta del mondo del precariato e dei contratti atipici.
A pagare il prezzo più alto della crisi saranno inoltre le donne proletarie che, già nella cosiddetta fase 1, hanno dovuto sobbarcarsi ulteriori carichi di lavoro produttivo e riproduttivo. Da un lato si sono registrati aumenti di turni e ritmi alle casse e tra gli scaffali dei supermercati, nelle fabbriche che non hanno mai chiuso, tra le corsie degli ospedali da sanificare, nelle comunità residenziali, nello smartworking e in tante altre attività. Dall’altro lato, se già la “normalità” capitalista vedeva un doppio o triplo sfruttamento a danno delle donne proletarie, alla sospensione di scuole, asili, centri diurni e sostegni domiciliari è corrisposto un enorme sovraccarico di lavoro di cura rivolto a bambini, anziani e disabili. In particolare, la didattica a distanza ha aumentato quel carico di lavoro mentale di cui principalmente le madri si sobbarcano per l’aiuto e l’invio dei compiti, le connessioni alle lezioni e le conferme delle comunicazioni online.
Inoltre, i diritti delle donne – come quello all’interruzione volontaria di gravidanza – sono ulteriormente attaccati. Già prima della pandemia, l’Italia si collocava al 26esimo posto su 45 stati dell’Europa geografica per gli accessi ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva e alla contraccezione (con un tasso del 58%). [1] Ora le chiusure di centri, ambulatori e consultori sono state un ulteriore colpo al diritto alla salute e all’informazione delle donne. Mentre i movimenti proLife della destra fascioclericale hanno lanciato una petizione per vietare gli aborti durante l’emergenza Covid19, in molte strutture ospedaliere le interruzioni volontarie di gravidanza sono state sospese, o trasferite in altri centri sanitari, complicando ancora una procedura già resa difficoltosa dalle alte percentuali di medici obiettori, con il rischio concreto di un aumento degli aborti clandestini che mettono in pericolo la salute e la vita stessa delle donne. Una questione che ha visto una grande attivazione dei movimenti e delle organizzazioni femministe a favore dell’aborto farmacologico, dell’accessibilità e della capillarità delle informazioni per la salute delle donne.

[1] Fonte: obiezionerespinta.info

Cosa fare

Fatte queste premesse è necessario ragionare sul che fare nella pratica, soprattutto in vista dello scontro di classe principale che riguarderà il salario, il posto di lavoro e le conquiste materiali e di agibilità dei lavoratori. Le mobilitazioni del proletariato in Italia hanno senz’altro segnato la via da seguire e sulla quale marciare. L’arma dello sciopero, dell’interruzione della produzione e del blocco della distribuzione di beni non necessari rappresentano ad oggi un mezzo necessario per danneggiare dal punto di vista puramente materiale gli interessi dei padroni al fine di rallentarne l’attacco verso i lavoratori, tanto più se la rincorsa alle riaperture e alla ripresa della produzione si farà serrata.
Altrettanto importante risulterà la solidarietà a tutti i lavoratori e le lavoratrici in lotta affinché gli episodi come quello della TNT di Peschiera Borromeo non passino inosservati e non cadano nel silenzio. Tuttavia le questioni che si stanno dipanando all’orizzonte politico sono molteplici e non riguardano solamente il settore produttivo e logistico. A subire il peggioramento delle condizioni economiche e la scure dei tagli al welfare, ai diritti e ai salari sarà, infatti, anche tutto il proletariato urbano e non, costituito da precari del terzo settore, lavoratori pubblici, studenti, inquilini e pensionati così come una larga fascia della piccola borghesia in via di proletarizzazione. Risulterà perciò fondamentale mettere in campo parole d’ordine e pratiche volte ad unire tutta quella galassia che il grande capitale deciderà di sacrificare sull’altare della propria sopravvivenza e del proprio profitto.
Già da ora la destra reazionaria è alla caccia delle carcasse che questa crisi lascerà dietro di sé, strumentalizzando il malcontento per racimolare voti dando false speranze, estremizzando la guerra tra poveri e dividendo la classe degli sfruttati. Molti proletari si faranno ammaliare, se i movimenti di massa saranno incerti nel fare quadrato contro gli attacchi del grande padronato o se si ammiccherà alle strategie della sinistra borghese. L’esperienza della quarantena ha visto anche l’attivarsi di una fitta rete di solidarietà popolare in moltissimi territori, sia dove esperienze di lotta erano già attive sia in nuovi territori. Queste rappresentano importanti forme di resistenza che occorrerà mantenere, rafforzare e diffondere nei territori, per affrontare uniti i colpi che verranno e rinsaldare quel sentimento di unione che in altri tempi ha permesso alla classe di marciare unita e strappare anche notevoli vittorie, ma che gli attacchi padronali, da quarant’anni a questa parte, ha sfibrato e logorato. Va detto che il lavoro dei compagni e delle compagne in questo campo è prezioso poiché permette di sottrarre questi ambiti al controllo diretto e indiretto della classe dominante, sia della sinistra borghese che della chiesa e dei gruppi fascisti e reazionari, che puntano a porre sotto la propria egemonia la solidarietà popolare, per rafforzarsi nella crisi.
In questa situazione viene in primo piano la questione di riconquistare quegli spazi di agibilità politica che i padroni, con la scusa della quarantena, hanno sottratto e che continuano e continueranno a chiudere. Mentre le limitazioni sulla mobilità vengono meno se la meta da raggiungere è la produzione e il consumo, non è altrettanto garantito che la stessa cosa avverrà per manifestazioni, presidi, assemblee e tutto ciò che concerne l’attività politica e sindacale. Questo fenomeno è in realtà già in atto e verrà cavalcato il più a lungo possibile. La carta della pandemia continuerà ad essere sbandierata, finché ce ne sarà la possibilità, come deterrente “legittimo” da parte delle istituzioni per impedire ogni sorta di contestazione e organizzazione e in una situazione di crescente malcontento generalizzato, le istituzioni sanno che le strategie adottate durante la quarantena potrebbero risultare comode anche successivamente. Solo la lotta potrà garantire nuovamente quegli spazi a cui le persone hanno rinunciato per la salvaguardia della salute collettiva, ma se ,come è chiaro, la fase 2 si apre nella corsa al rilancio va da sé che lo slogan comparso a Genova “se possiamo lavorare possiamo anche scioperare” sintetizza a pieno l’intento da porsi e la strada da percorrere.
Va considerato che la giustissima intenzione di far pagare la crisi ai padroni non può limitarsi alla sola (per altro importante) individuazione di piattaforme sindacali e rivendicative, ma creando dei reali rapporti di forza sui luoghi di lavoro, nei territori, nelle scuole, nelle università e nei quartieri. Diciamo questo perché da una parte è lo stesso capitale che, adottando politiche keynesiane di affrontamento della crisi e di pacificazione sociale tende a sussumere parole d’ordine come il reddito per tutti trasformandolo come meglio gli è compatibile (vedi il reddito di emergenza e i bonus per le partite IVA, trasformate in misere elemosine) o che tende a gestire rivendicazioni come quelle della patrimoniale nell’ennesimo attacco (come ha cercato e cerca di fare il PD ) a fasce sociali comunque subordinate come quelle dei lavoratori autonomi e della piccola borghesia urbana cui viene imposto un feroce processo di pauperizzazione/proletarizzazione. Dall’altra perché il tentativo che come compagni dobbiamo essere in grado di compiere è quello di produrre quei rapporti di forza e quelle rivendicazioni che contengano in essere la rottura dei rapporti sociali capitalistici. Ad esempio crediamo che un contenuto centrale dello scontro di classe che evidenzierà in modo ulteriormente efficace, oltre a quanto successo fin qui nella fase 1, la necessità del superamento/distruzione del modo di produzione capitalistico si darà nella battaglia a difesa dei posti di lavoro quando cesserà l’ulteriore proroga al bando licenziamenti del dl Rilancio verso metà agosto e, stante l’avvitarsi così pesante della crisi, ci saranno migliaia e migliaia di licenziamenti in tutti i settori produttivi. La barriera che come classe e come compagni dovremo essere in grado di porgere si scontrerà pesantemente con le esigenze del capitale di rigenerarsi e dovrà necessariamente manifestarsi la questione del potere politico e di chi lo detiene.
Se promuovere, praticare, organizzare e sostenere la lotta di classe è il compito immediato dei comunisti e delle comuniste, il compito principale rimane quello di portare avanti una linea e dei contenuti politici che indichino la necessità della rottura rivoluzionaria con il capitalismo gravato dalla crisi. Nell’azione politica di massa, bisogna affermare l’alternativa del socialismo, difronte all’attuale barbarie del capitalismo, corroborata appieno dalla gestione borghese dell’attuale epidemia. Rispetto alle masse popolari in lotta, va affermata la prospettiva dello sviluppo della lotta di classe in lotta rivoluzionaria, grazie al ruolo cosciente e organizzato dei comunisti. Rispetto ai compagni e alle compagne più avanzate, è importante costruire rapporti e ambiti di discussione e di azione politica finalizzati all’organizzazione dei comunisti. Senza dogmatismi, ma nella pratica delle lotte, imparando dalle lotte stesse e dialettizzando questa pratica con il patrimonio del movimento comunista.
Organizzare la resistenza e trasformare la fase due dei padroni in scontro di classe!
Ogni posto di lavoro va difeso, no a decurtazioni salariali!
Se possiamo lavorare possiamo anche lottare e scioperare!
Lavoro e reddito per tutti!
Mai più tagli alla sanità e all’istruzione, no alle spese militari!
Nessuno sfratto deve passare, organizzare la lotta contro caro affitti e bollette!
Riprendiamoci gli spazi di lotta e agibilità politica!
Morte al capitalismo, lottiamo per il socialismo!
Collettivo Tazebao
view post Posted: 20/5/2020, 10:15 ScintillaRossa sui social - Proposte, critiche, opinioni
la pagina instagram di scintilla esiste già: www.instagram.com/scintillarossa.stalin/?hl=it

io sul mezzo non ho molta esperienza se non per un account "personale". In linea di massima potrebbe essere buono per le cosiddette "meme" o magari delle foto ad hoc con citazioni dei maestri etc. Un po' sulla falsa riga di quello che si fa su FB, però, e qui ci magari è un giudizio soggettivo, la maggior parte dell'utenza è composta da gente che posta culi, cibo e paesaggi, non so quanto potenziale politico possa avere, però ripeto, è una considerazione molto soggettiva.

twitter lo conosco un po' meglio, ma anche lì, il "segreto" per espandersi è la comunicazione con altri utenti, quindi commentando, partecipando a discussioni e cmq rimanendo legati all'attualità, se il forum è un ristorante stellato twitter è una specie di fast food, passatemi il paragone. Ci si trova di tutto e tendenzialmente alla fine si formano, forse come normale che sia, delle nicchie tematiche (che certo cmq sono più "larghe" di partecipazione essendo il social aperto a tutti) perciò ci vuole una certa strategia se si vuole usare il mezzo. Il paragone col fast food che ho fatto sopra è riferito anche al fatto che mentre sul forum cmq escono delle discussioni ragionate e più centrate su twitter si predilige la risposta "al volo" (un po' come i commenti su FB, ma forse anche peggio) che spesso si arriva a perdere alla fin fine. Insomma nel forum le discussioni rimangono, si possono consultare, se ne può trarre beneficio anche ad anni di distanza, su twitter tutto ciò è molto più difficile poichè più legato all'immediatezza. In generale però sì, dei social sopra citati è quello più politicamente orientato alla propaganda, non a caso è diventato strumento privilegiato di politicanti borghesi, intellettuali organici e i vari media mainstream. Però, mi ripeto, ci vuole una strategia ragionata da seguire, oltre che una presenza costante, ma questo credo valga per tutti i social.

sul discorso dei podcast su youtube io sono completamente d'accordo con Kollontaj, ed in effetti ci sarebbe una prateria da sfruttare ed è quello sul quale si possono veicolare contenuti di una certa qualità, e in italia i podcast/youtube comunisti sono praticamente assenti. Ovviamente il "lavoro" su youtube è molto più impegnativo anche se a mio avviso quello più soddisfacente da un punto di vista contenutistico. Per avere un termine di paragone, c'è questo compagno finlandese: www.youtube.com/channel/UCCvdjsJtifsZoShjcAAHZpA/videos che fa degli ottimi podcast molto versatile, dal podcast stile spiegazione/formazione, a quello di critica dei media borghesi etc... purtroppo è in inglese. Poi un altro modello sono questi russi che si sono dati una veste più moderna e "professionale" dove fanno video più brevi e di impatto, dove smontano i falsi miti sul comunismo e robe del genere. www.youtube.com/channel/UCfix0TWJgJdBvdsAtXKfG3A/videos questo è il loro canale in inglese, poi hanno quello russo che è più completo e più seguito.

Sugli altri social non mi esprimo molto perchè li conosco poco o affatto, da quello che ho visto di Reddit concordo con Kollontaj e Fitz, è molto yankee centrico e di dubbia utilità per il forum.

cmq concordo con RedSioux, se si deve affrontare la questione operativamente meglio spostarsi in riservata.
view post Posted: 19/5/2020, 15:38 immigrazione - Esteri
kulaki bastardi, da liquidare in tutti i sensi.
view post Posted: 14/5/2020, 14:37 Circa il Sig. Barbero - Bar Toto Cutugno
Messaggi spostati dalla discussione "Manifestazioni", ben 4 pag. di OT.
view post Posted: 11/5/2020, 18:52 Circa il Sig. Barbero - Bar Toto Cutugno
Mado...aixo. Ti preferivo quando cercavi le prove della terra cava.
view post Posted: 10/5/2020, 13:18 Circa il Sig. Barbero - Bar Toto Cutugno
Porco dio, insopportabile. Non a caso è diventato il giullare di punta della borghesia oggigiorno.
view post Posted: 10/5/2020, 09:04 Repressione e dintorni - Varie
Quei cani da guardia di Facebook sempre più nazisti. Censurati i post con la bandiera rossa sul Reichstag. Nello stesso tempo l'account ufficiale casa bianca fa un tweet sul fatto che "USA e GB hanno sconfitto il nazismo", la cosa positiva è le sbertucciate che si sono beccati questi trogloditi da parte degli utenti hanno preso molte più condivisioni del loro revisionismo holliwoodiano da quattro soldi.

www.rt.com/news/488239-facebook-ce...flag-reichstag/
view post Posted: 8/5/2020, 22:53 notizie curiose - Canalisation d'égout
20200508-194223

Uno spettro si aggira per Rignano... la sovietizzazione!
view post Posted: 7/5/2020, 15:12 Intervista a Pol Pot - Edizioni SR Web-inediti
la traduzione è mia, se ci sono errori o correzioni da fare ogni suggerimento è bene accetto


INTERVISTA AGLI INVIATI DEI GIORNALI "WEN WEI PO" E "TA KUN PAO" DI HONG kONG



PHNOM PENH, 21 SETTEMBRE 1978


Rispettabile Eccellenza Primo Ministro Pol Pot, sin dalla fine del 1977 i mass media del mondo hanno spesso parlato della guerra al confine fra la Kampuchea e il Vietnam. L'opinione pubblica mondiale è preoccupata da questo evento. Perchè è scoppiata questa guerra? Qual è la situazione concreta?

Pol Pot: Durante la vostra visita nella Kampuchea Democratica, vi siete resi conto che il nostro popolo sta lottando per incrementare la produzione e migliorare i propri standard di vita. Siete stati al fronte e siete stati testimoni della lotta del nostro popolo per difendere il suo sacro territorio contro l'aggressore e il conquistatore vietnamita. Pertanto siete consci della situazione che prevale nella Kampuchea Democratica. Colgo l'occasione di questo incontro oggi per darvi ulteriori informazioni sulla situazione nella Kampuchea. Noi abbiamo condotto con successo la lotta rivoluzionaria per liberare la nostra nazione e la nostra gente dalla schiavitù e per vivere in indipendenza nel nostro territorio. Pertanto, abbiamo enunciato nella nostra Costituzione che la Kampuchea è indipendente, sovrana, neutrale, pacifica e non allineata, ciò affinché il nostro popolo possa vivere in pace e impegnare se stesso nella costruzione del nostro paese in piena indipendenza e sovranità. Perciò, immediatamente dopo la liberazione, abbiamo intrapreso la ricostruzione economica, ricostruire il paese e risolvere il problema alimentare partendo dal rispetto della nostra posizioni di indipendenza, sovranità e autosufficienza. Inoltre, abbiamo visitato i paesi vicini per stabilire delle amichevoli relazioni con loro. Così, nel giugno 1975, un'alta delegazione del PCK si è recata ad Hanoi. A ottobre del 1975, in Laos e in Thailandia. Tutto questo per stabilire delle relazioni amichevoli e di coesistenza pacifica con i nostri vicini. Tuttavia abbiamo incontrato ostacoli a causa dell'ostilità di un paese vicino che ha rigettato i buoni propositi della Kampuchea Democratica: il Vietnam, il quale ha da lungo tempo intrapreso una strategia di conquista e annessione della Kampuchea attraverso la sua politica della "Federazione d'Indocina". Immediatamente dopo la liberazione della Kampuchea, il Vietnam ha aggredito e occupato le Isole di Koh Way, ha incessantemente portato avanti provocazioni lungo il confine per costringerci a scendere a patti, ma noi non ci siamo sottomessi, perchè vogliamo essere indipendenti. Perciò, pazzo di rabbia, il Vientam si è lanciato in una serie di attacchi su larga scala contro di noi alla fine del 1977. Gli aggressori vietnamiti, gli espansionisti sovietici e il loro seguaci hanno formato una coalizione per attaccarci. Volevano prendere possesso della Kampuchea in un colpo, secondo la loro strategia di "attacco lampo, vittoria lampo". Pensavano che se questa strategia avesse avuto successo avrebbero risolto tutti i problemi militari e politici, a casa loro come all'estero, e avrebbero conquistato la gente della Kampuchea.

I vietnamiti da un lato, per lungo tempo, hanno bramato di prendere possesso della Kampuchea e integrarla nel loro territorio secondo la loro politica "un solo paese, un popolo, sotto la leadership di un solo partito". Dall'altro lato il Vietnam vuole essere una grande potenza in "Indocina" per poi portare la sua espansione sul Sud-est asiatico. Quanto agli espansionisti sovietici, essi hanno una propria strategia globale che include il controllo del Sudest asiatico, per questo scopo, devono risolvere il problema della Kampuchea che è l'ostacolo principale per essi e per il Vietnam. Così, si sono uniti nell'attacco alla Kampuchea, hanno pianificato di impossessarsi della Kampuchea in un colpo solo, hanno lanciato un'imponente forza di 14 divisioni, incluse 5 divisioni d'assalto, hanno usato un grande numero di mezzi blindati, inclusi blindati sovietici, e un gran numero di pezzi di artiglieria pesante. Tuttavia noi abbiamo immediatamente contrastato questi attacchi. Nella regione orientale sono penetrati per 30 km nel nostro territorio, lungo la strada n. 7 sono arrivati ad est della città di Suong. Nella regione sudoccidentale, sono penetrati lungo la strada n.2 da Phnom Den fino a Takeo, a 25km dal confine. Abbiamo fermato la loro avanzata, isolato le loro forze in tanti pezzi e poi li abbiamo distrutti uno alla volta, in alcune zone abbiamo eliminato interi reggimenti ed essendo state isolate le loro forze non hanno potuto resistere e sono state sconfitte il 6 gennaio 1978. I consiglieri e i tecnici sovietici hanno partecipato a questi combattimenti in qualità di comandanti e autisti dei mezzi blindati, il nostro esercito ne ha ucciso due in un'autoblindata. Quindi, il 6 gennaio del 1978 abbiamo sconfitto la strategia vietnamita della "federazione indocinese", la strategia del "un popolo, un paese, un partito", abbiamo tenuto alta la bandiera dell'indipendenza, della sovranità e dell'integrità territoriale del nostro paese. Ad ogni modo, da Febbraio ad oggi, i vietnamiti hanno continuato la loro aggressione. Ma le loro forze sono meno della metà delle 14 divisioni che ci hanno lanciato contro dalla fine del 77 fino a febbraio del 78, hanno sofferto pesanti perdite. Ad oggi, i vietnamiti affrontano molte difficoltà in tutti i campi.

In campo militare, hanno serie difficoltà, le loro forze che ci hanno attaccato lungo il confine sono ora meno di due divisioni. Quando parliamo di divisioni parliamo di divisioni con pieni effettivi, in realtà i vietnamiti usano molte divisioni che sono tali solo di nome e poiché mancano di effettivi essi utilizzano gli aerei, l'uso dell'aviazione indica che la fanteria è stata distrutta. Da luglio a settembre abbiamo abbattuto 8 elicotteri e caccia-bombardieri. Il Vietnam ha molte poche possibilità di usare l'aviazione, essendo un paese non industriale: è un paese agricolo arretrato. Le sue forze non possono giocare un ruolo strategico, e l'uso dell'aviazione aggiunge problemi politici, economici e finanziari ad esse. Il nostro esercito ha già affrontato il bombardamento aereo degli imperialisti americani durato 200 giorni e 200 notti, e le forze aeree vietnamite non rappresentano che un millesimo di quelle statunitensi che ci hanno attaccato nel 1973.


Adesso, qual è la situazione della guerra fra Kampuchea e Vietnam? Può questa guerra continuare oltre?

Pol Pot: oggi la situazione in Vietnam si muove molto rapidamente, sia al suo interno che fuori, da quando ha attaccato la Kampuchea. Prima dell'aggressione, la vera faccia del Vietnam non era conosciuta, si pensava fosse rivoluzionario e socialista, adesso, tutti quanti possono vedere che il Vietnam ha aggredito la Kampuchea, non è dunque né rivoluzionario, né socialista, né un paese non allineato. Il Vietnam appartiene all'alleanza economia sovietica e aderisce al blocco politico sovietico, ha stabilito basi militari in paesi stranieri, durante gli ultimi 8 mesi, cioè da quando ha iniziato l'aggressione alla Kampuchea, il Vietnam è stato smascherato. Inoltre, il Vietnam affronta severe difficoltà economico-finanziarie, è a corto di riso e cibo e la situazione alimentare peggiora. In campo politico, a casa sua, il Vietnam incontra difficoltà, in molti campi, il popolo vietnamita è in rivolta. Nonostante tutte queste difficoltà il Vietnam ha sistematicamente provocato la Repubblica popolare cinese, facendo questo si è messo in un inestricabile pantano. Così, il Vietnam è in difficoltà, sia a casa che fuori, in campo militare e politico così come quello economico-finanziario e alimentare. Questa situazione è dovuta al fatto che ha fallito nella sua conquista della Kampuchea, la situazione in quel caso sarebbe stata differente e sarebbero stati ancora più pretenziosi e arroganti. Il Vietnam procederà nella sua espansione a Sud? I sovietici e i vietnamiti minacciano di continuare la loro espansione del sudest asiatico? Questo problema è chiaro, è quello che stanno facendo. Loro stanno minacciando allo stesso modo dei fascisti e degli imperialisti del passato, cercando di avvantaggiarsi della loro forza bruta. Se avessero successo nel controllo del sudest asiatico, cosa cambierebbe nel mondo? Loro utilizzerebbero le loro forze di terra e la marina per portare avanti il loro espansionismo, controllare lo stretto di Malacca e prendere possesso dell'economia del sudest asiatico. La situazione diventerebbe molto intricata.

Sarebbero in grado di estendere la loro espansione e controllare il sudest dell'Asia? la questione è questa: se non combattiamo contro di loro, loro saranno in grado di controllare e impossessarsi del sudest asiatico. Ma se noi li combattessimo strenuamente, non sarebbero in grado di farlo, siamo convinti che tutti paesi e i popoli del sudest dell'Asia, così come nel mondo, non permetteranno che i vietnamiti e gli espansionisti internazionali portino avanti le loro manovre volte a impossessarsi di territori altrui. Ma se il sudest asiatico non sarà in grado di difendersi e grandi paesi intervenissero in suo aiuto, allora di quale portata saranno le proporzioni di questa guerra?

Oggi, vorrei sottolineare, e voi ne siete consci, che la condizione della Kampuchea Democratica, che sta affrontando gli attacchi degli espansionisti sovietici e del Vietnam, è quella di poter dire la sua nella difesa nazionale, e nella situazione generale del sudest asiatico. In questo caso, il mondo vuole una Kampuchea indipendente, sovrana e nella sua integrità territoriale oppure uno stato fantoccio del Vietnam o una base sovietica? I paesi del sudest asiatico e molti altri paesi asiatici hanno capito questo problema e continueranno a comprenderlo, e nel mondo più e più paesi hanno capito il problema. Ma ci sono anche quei paesi che non lo hanno ancora compreso. Fra di essi ci sono grandi paesi che hanno interessi strategici sullo stretto di Malacca e nel sudest asiatico, e questa è la ragione per cui non hanno una posizione corretta nei confronti della Kampuchea Democratica e non sono ancora coscienti del ruolo di essa nella sua lotta contro i vietnamiti e l'aggressione degli espansionisti internazionali. Ad ogni modo noi crediamo che lo comprenderanno progressivamente, con gli sviluppi della situazione. Sapete, è come a scacchi, quando i vietnamiti avanzano un pezzo, già prevedono la seconda mossa che andranno a fare, quelli che avanzano un pezzo senza prevedere la mossa successiva non sono in grado di comprendere e prevedere le mosse dei vietnamiti.

I vietnamiti continuano le loro manovre atte a confondere l'opinione pubblica mondiale attaccando apertamente la Kampuchea, le manovre diplomatiche contro la Kampuchea mirano anche a integrare la loro strategia di aggressione, e attaccare la Kampuchea è parte del loro disegno strategico di aggressione contro il sudest dell'Asia. Noi vogliamo illustrarvi cosa significherebbe per l'intera regione se i vietnamiti e gli espansionisti sovietici dovessero avere successo nel mettere le mani sulla Kampuchea. Le attività diplomatiche che i vietnamiti portano avanti nel sudest asiatico sono volte a servire questa strategia, si sforzano di trovare un rimedio alla loro situazione di disfatta sul fronte di guerra contro di noi, con l'obbiettivo di isolare la Kampuchea e preparare una nuova offensiva. Qualora la Kampuchea venisse sconfitta, loro continueranno la loro aggressione contro altri paesi della regione. Ma noi siamo sicuri che i vietnamiti non avranno successo, il Vietnam e i suoi seguaci non saranno in grado di conquistare la Kampuchea. Noi affermiamo che se loro continueranno ad aggredirci dovranno prepararsi a condurre una guerra di 100 anni e ancora dopo altri 100 anni, non riusciranno a conquistare la Kampuchea, al contrario ciò li condurrà solamente alla rovina.

Io dico questo non perchè sono in collera, ma perchè noi contiamo sulle nostre forze. In primo luogo, abbiamo la ferma leadership del partito comunista della Kampuchea. In secondo luogo, il popolo è dalla nostra parte, la nostra gente è unita al Partito, sono soddisfatti del regime di collettivizzazione del quale godono tutti i benefici; specialmente i lavoratori che costituiscono il 90% del nostro popolo. Il restante 10% è anch'esso con la rivoluzione, ne sono parte, sono patriottici. Nessuno vuole che il Vietnam s'ingoi la Kampuchea. In terzo luogo noi abbiamo un valente esercito rivoluzionario. In quarto luogo, in campo economico, noi riusciamo a provvedere ai nostri bisogni, durante i 5 anni di guerra contro gli imperialisti americani, quando la situazione era difficile e complicata, siamo riusciti a soddisfare i nostri bisogni, persino fornendo aiuto al Vietnam. Perciò, al presente, abbiamo tutte le condizioni per provvedere pienamente ai nostri bisogni alimentari. In quinto luogo, abbiamo un solito regime collettivista socialista che si basa su ancor più solide basi. Per quel che riguarda il Vietnam, il suo partito non è genuinamente marxista-leninista, è un partito completamente revisionista che ha tradito la rivoluzione. Il suo regime non è genuinamente socialista, è uno pseudo socialismo che opprime il popolo, dove la gente povera rimane sfruttata. Lo stato vietnamita è politicamente ed economicamente corrotto e opprime e sfrutta il popolo, quest'ultimo pertanto non lo supporta, al contrario vi si oppone. L'esercito vietnamita non è un reale esercito rivoluzionario: è un esercito corrotto che opprime il popolo e lo sfrutta, la gente non li supporta, per questo non riescono ad arruolare soldati per assecondare i loro obbiettivi. La situazione economico-finanziaria del Vietnam è davvero critica, la fame è aumentata, questa brutta situazione continuerà a peggiorare se il Vietnam proseguirà la sua aggressione alla Kampuchea. Sullo scacchiere internazionale, il Vietnam è stato smascherato come l'aggressore della Kampuchea, come espansionista, mercenario al soldo degli espansionisti sovietici, un paese che appartiene al blocco sovietico, perciò, è ancora più smascherato e isolato, ancor più respinto dai popoli del mondo che hanno chiaramente coscienza che il Vietnam è l'aggressore della Kampuchea e che essa difende la propria indipendenza. Queste sono le ragioni per le quali siamo convinti che noi possiamo difendere con successo il nostro paese, con le nostre forze. Difendendo la nostra indipendenza noi riceviamo la simpatia, il supporto e l'incoraggiamento da più e più paesi amici nel mondo.

Recentemente i mass media del mondo hanno sottolineato alcuni problemi della Kampuchea. Qual è l'opinione del governo della Kampuchea a riguardo?

Pol Pot: gli imperialisti e gli espansionisti portano avanti nel mondo la propaganda che lo stato della Kampuchea Democratica è contestato dalla propria gente, che c'è insicurezza ovunque in Kampuchea, che i diritti umani sono violati e che il governo conta soltanto pochi membri. Ogni uomo ragionevole può giudicare da sé. In primo luogo, chi si oppone alla rivoluzione e alla Kampuchea Democratica? Essi sono gli imperialisti, i reazionari e gli espansionisti che sono furiosi perchè la Kampuchea Democratica è indipendente e sovrana; essi hanno perso tutti i loro interessi militari, politici, economici e sociali e non più possono interferire negli affari interni della Kampuchea. È normale! In secondo luogo, voi siete venuti e avete visitato molte province: avete avvertito insicurezza? Avete avvertito sollevazioni? Voi potete fornire prove. In terzo luogo, voi sicuramente sarete d'accordo, che senza la partecipazione del suo popolo la rivoluzione di Kampuchea non avrebbe vinto, non ci sarebbe stato nessun 17 aprile 1975. Oggi, la rivoluzione della Kampuchea ha difeso con successo il paese e soddisfatto i propri bisogni di cibo, di indipendenza, sovranità, contando sulle proprie forze. Se tutto il popolo non avesse partecipato alla rivoluzione, noi non saremmo stati in grado di difenderla con successo o di costruire il paese e soddisfare i nostri bisogni. Se il Vietnam prendesse possesso della Kampuchea ci sarebbe la fame e il nostro paese sarebbe costretto a elemosinare aiuti ovunque. Tutto ciò dimostra chiaramente che il popolo della Kampuchea porta avanti la rivoluzione e che loro sono i padroni della Kampuchea Democratica. Da un lato il popolo intero è per la rivoluzione. Dall'altro lato esso è composto da due categorie:
• i lavoratori che rappresentano il 90% dell'intera popolazione, sono soddisfatti del nostro regime di collettivismo che assicura loro tutti i bisogni. Nel passato essi non avevano nulla da mangiare, erano costretti a vendere i propri figli, figlie, mogli o mariti e le loro condizioni di vita erano misere. Adesso hanno pienamente da mangiare e difendono il regime di collettivismo.
• per il restante 10%, le loro condizioni di vita sono leggermente minori rispetto al passato. Comunque hanno da mangiare e, come tutti, sono forniti di alloggi, vestiti e servizi sanitari.

Il popolo intero ha visto che questa società è giusta, è una società che avrebbero voluto avere da molto tempo. In passato tutti volevano godere delle libertà democratica, ma queste libertà erano menzionate solo sui libri, in realtà esse appartenevano esclusivamente alla classe degli sfruttatori che, sotto queste libertà, sfruttavano e depredavano il popolo in tutti i campi: militare, politico, economico, sociale e culturale. Il 90% della popolazione non aveva nessuno diritto, solo quello di essere sfruttato e oppresso. Adesso capiscono perfettamente che cosa sono le libertà democratiche e la giustizia sociale perchè essi sono i padroni dei mezzi di produzione, delle terre, di animali e fattorie. Essi ora hanno tutti il diritto allo studio, il diritto di decidere da soli il destino del paese. Pertanto, così, queste libertà democratiche sono vere libertà democratiche. Questa è la situazione delle forze del nostro popolo. Quindi, portando avanti la calunniosa propaganda contro la Kampuchea Democratica, il nemico ha scambiato i propri desiderata per la realtà. A tutti gli effetti, dunque, il popolo della Kampuchea sta al fianco della rivoluzione e difende il regime di collettivismo.

Edited by Sandor_Krasna - 1/2/2021, 00:31
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