Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by RedSioux

view post Posted: 10/4/2020, 16:46 La grande crisi - Varie
La crisi in Russia ha già causato ondate di tagli ai salari e al personale

30/03/2020

La borghesia salva ancora i profitti a spese dei lavoratori

Le leggi del capitalismo sono inesorabili. Di fronte alla crisi dovuta alla svalutazione del rublo e alla pandemia del COVID-19, le imprese hanno iniziato rapidamente a "ottimizzare" i costi. L'obiettivo più comodo sono i lavoratori dipendenti. La "mano invisibile del mercato" li sta già strangolando. Secondo uno studio del Center for Strategic Research (CSR), il 29% delle aziende russe ha tagliato il personale o ridotto i salari, e circa il 40% delle aziende intende farlo nel prossimo futuro. La "stabilità" russa sta crollando come un castello di carte.

Il sondaggio è stato condotto tra i top manager di 500 aziende, da microimprese al grande capitale. Ha mostrato l'estrema incertezza degli affari (principalmente piccole e medie) in futuro. Il 26% delle aziende ha registrato un calo dei ricavi, mentre un altro 44% si aspetta questo ogni giorno. Il 56% delle aziende ha paura di non poter adempiere ai propri obblighi contrattuali a causa della pandemia. Infine, il 63% ha dichiarato di essere a rischio di fallimento. L'88% delle aziende desidera ottenere benefici fiscali dallo stato. Molte aziende hanno accolto la dichiarazione del presidente Vladimir Putin sulla settimana non lavorativa con indignazione.

Per quanto riguarda il destino dei lavoratori dipendenti, i risultati dello studio sono molto chiari:
- Il 29% delle aziende ha già effettuato una completa "ottimizzazione" dei propri costi a spese dei dipendenti e dei loro salari.
- Il 40% delle aziende prevede di effettuare tale "ottimizzazione" nel prossimo futuro.
- Il 50% delle aziende intende licenziare alcuni dei propri dipendenti.
- Il 20% delle aziende prevede di ridurre i salari.

Per "ottimizzazione" completa si intende l'applicazione di una parte o di tutte le misure menzionate:
- Dipendenti licenziati
- Riduzione effettiva del salario (attraverso la riduzione di premi, indennità, ecc.)
- Trasferimento dei dipendenti al lavoro remoto riducendo al contempo i salari
- Trasformazione di dipendenti a contratti a tempo determinato con un salario inferiore.

In tempi normali, queste misure danneggiano anche i salariati ordinari. Ora la situazione si aggrava molto di più. Innanzitutto, la svalutazione del rublo in sé ha portato ad un aumento dei prezzi. Pertanto, pur mantenendo il valore nominale della retribuzione, il suo potere d'acquisto è diminuito. La riduzione dei salari è una doppia rapina. In secondo luogo, la crisi ha già portato le piccole e medie imprese sull'orlo del fallimento e questo, a sua volta, causerà un aumento della disoccupazione. Trovare un nuovo lavoro in tali condizioni diventa estremamente difficile. Pertanto, gli sforzi compiuti dalle imprese per salvarsi esacerbano ripetutamente tutte le contraddizioni sociali nella società russa.

Per molti anni, la classe dominante in Russia ha "ottimizzato" l'assistenza sanitaria, l'istruzione e altre reti sociali. La principale preoccupazione delle autorità era lo "sviluppo" degli utili derivanti dalla vendita di risorse naturali della Russia. Di conseguenza, è stato costruito un sistema che non poteva resistere a nessuna grave crisi. Ora che questa crisi è arrivata, la borghesia sta cercando di scaricare gli oneri sulle spalle dei lavoratori. Le persone vengono licenziate, i salari vengono ridotti, si è costretti a lavorare senza dispositivi di protezione e minacciati di azioni penali per aver fatto valere i propri diritti. Tuttavia, non tutti i lavoratori accettano di sopportarlo. Dappertutto, dagli USA alla Grecia, dicono giustamente ai capitalisti: "Pagate voi per la vostra crisi!"

La crisi nazionale che si avvicina in Russia non è un'occasione per "mostrare comprensione" e continuare a spezzarti la schiena per il "tuo" capitalista". Questa è un'occasione per rafforzare la lotta di classe contro coloro che hanno portato la società a un grado estrema di degrado.
view post Posted: 2/4/2020, 16:38 corona virus, un altro punto di vista - Varie
CITAZIONE (primomaggio1945 @ 2/4/2020, 15:41) 
Il partito si forgia con il rapporto tra avanguardia e masse, non sostituendosi al movimento delle masse né scavalcandolo, ma indicando una prospettiva politica a tale movimento.

Tutto ciò non confligge con quanto detto. Quando nell'articolo si legge che "Abbiamo il dovere di immaginare il mondo di domani attraverso proposte ardite e originali." non ritengo che debba essere interpretato nel senso di stilare l'elenco della spesa, ma piuttosto a come disciplinare e orientare le forme di lotta e lo si evince dal tenore delle seguenti affermazioni "Dobbiamo dire esplicitamente che l’economia del debito non è la soluzione strutturale all’economia dell’austerity. Che il sostegno ai redditi dispersi dalla crisi – pure doveroso in questa fase e per il tempo necessario – è una misura tampone, e non l’obiettivo generale di una politica alternativa.", che si pongono proprio nell'ambito della prospettiva politica delle lotte e non all'origine delle stesse. Le rivendicazioni già ci sono non è necessario inventare nulla in tal senso.
view post Posted: 2/4/2020, 06:36 Crisi, lavoratori allo sbaraglio - Varie
CITAZIONE (carre @ 1/4/2020, 19:56) 
Questi 20 lavoratori sono stati “scaricati” da GKN a mezzo mail grazie ad un semplice preavviso di recessione di due mesi previsto dal contratto commerciale stipulato tra le due parti, ma tuttavia, continueranno a risultare assunti dall’agenzia. Questo è quanto sta accadendo, per ora.

Lo Stato borghese gli ha agevolato il compito, anche con i provvedimenti emergenziali
D. L. 6/2020 art. 3
6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto e' sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilita' del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti
view post Posted: 2/4/2020, 06:19 corona virus, un altro punto di vista - Varie
Ne convengo, ma il partito si forgia lottando per ottenere le rivendicazioni. Quelle giuste. Oltre a tutto il resto ovviamente.
view post Posted: 1/4/2020, 21:36 corona virus, un altro punto di vista - Varie
Per non tornare al mondo di prima. La sinistra di classe e l’esigenza di tornare a pensare insieme

Il prolungarsi indefinito della crisi epidemica e sanitaria sta mutando il mondo che eravamo abituati (e rassegnati) a conoscere. La storia sembra essersi rimessa inaspettatamente in moto. Una frase sentita molte volte in questi anni, eppure mai come oggi prossima alla realtà. Le classi dirigenti dei principali paesi occidentali (e non solo) hanno subìto l’epidemia, rincorrendo l’evoluzione del virus sempre un attimo dopo gli eventi. Negazionismo e drammatizzazione sono parte di una stessa retorica, fatta propria da politiche inadeguate a reggere l’urto della realtà. L’incidenza di una epidemia di questo tipo avrebbe, forse, lasciato interdetto qualsiasi potere: inutile oggi riempire le fosse del senno del poi. Per quanto, sia detto esplicitamente, la gestione dell’emergenza sanitaria ha còlto impreparato un intero sistema di relazioni sociali non solo per la sua carica catastrofica naturale – cioè incontrollabile – ma anche perché si è scontrata frontalmente con un modello di sviluppo determinato. Se il virus appare un fatto naturale, la gestione sanitaria dell’emergenza è sicuramente un fatto politico, che svela il carattere anti-umano delle politiche liberiste di questo trentennio.

La crisi sanitaria prima o poi, però, passerà. La fine di questa coinciderà con l’aggravarsi di una crisi economica inaudita in tempo di pace. Ed è riguardo a questo nuovo mondo che le classi dirigenti dell’Occidente – e soprattutto quelle italiane – non sapranno cosa fare. Rimarranno attonite, tentando di incasellare nei ragionamenti di ieri un quadro di soluzioni e prospettive inservibili per il mondo di domani. Il dibattito pubblico già in corso ne svela d’altronde tutte le caratteristiche. Da una parte c’è il solito refrain liberista, declinato principalmente nella chiave ordoliberale che garantisce il libero mercato attraverso l’interventismo giuridico-repressivo dell’apparato statuale; dall’altro il variegato fronte della critica neokeynesiana, che spinge verso la “condivisione del debito” e alla costruzione di un’Europa finalmente federale. Politica dell’austerity versus politica del debito. Le “soluzioni” di ieri applicate al mondo di domani.

Tra queste due visioni impotenti del futuro, la sinistra di classe rischia di ritagliarsi un ruolo ancor più marginale di quanto avuto sino ad oggi. Rassegnandosi ad interpretare il fronte del NO a tutto e della chiusura ad oltranza, questa sinistra rischia di non cogliere la sfida che già oggi è in gestazione e gravida di potenzialità: mai come oggi il disorientamento delle classi dirigenti squarcia la politica politicante, favorisce soluzioni originali, costringe ad immaginare nuovi modelli di civiltà, un nuovo modo di intendere la modernità, una modernità finalmente non in contrapposizione all’uomo e all’ambiente che lo circonda; mai come oggi la carica inaspettata di idee nuove potrebbe farsi strada in pezzi di classe dirigente posti di fronte al baratro della crisi epocale.

Il dibattito sulla ripresa rischia di essere egemonizzato da Confindustria e dai suoi rappresentanti politici. Renzi, ma anche Salvini; il Pd, ma anche la schiera di “tecnici” – Draghi in primis – figli di un mondo che non ha più presa sulla realtà. Nei fatti, le uniche proposte concrete alternative alla chiusura sine die delle relazioni sociali del paese vengono dal fronte padronale: l’abbattimento, se non direttamente l’abolizione, di quote di fiscalità generale che gravano sulle imprese del paese; la riapertura indiscriminata della produzione ferma allo status quo ante, come se la crisi nella quale siamo ancora immersi fosse un’antipatica parentesi da lasciarsi alle spalle quanto prima; l’assistenzialismo quale orizzonte ultimo di ogni politica sociale. Abbiamo il dovere di ribaltare l’orizzonte di senso che le classi dominanti tentano di ricostruire garantendosi dagli imprevisti insiti in ogni crisi. È la crisi il terreno su cui lavorano i comunisti.

Abbiamo il dovere di immaginare il mondo di domani attraverso proposte ardite e originali. Dobbiamo dire esplicitamente che l’economia del debito non è la soluzione strutturale all’economia dell’austerity. Che il sostegno ai redditi dispersi dalla crisi – pure doveroso in questa fase e per il tempo necessario – è una misura tampone, e non l’obiettivo generale di una politica alternativa. Dobbiamo tornare a parlare di produzione rovesciando e abbattendo il “paradigma Taranto” che si vuole estendere a tutto il paese: o la salute o il lavoro. Salute e lavoro marciano uniti nel mondo di domani, ma per rendere concreta e realistica una proposta di tal fatta abbiamo bisogno di andare (molto) oltre i facili slogan a cui eravamo abituati nel mondo pre-crisi. Altrimenti, il rischio è di ritrovarci in autunno con ulteriori “liberalizzazioni” del mondo del lavoro e ristrutturazioni presidenzialistiche dei rapporti politico-rappresentativi, veicolati attraverso la narrazione “dell’emergenza”.

Per fare questo, però, c’è bisogno di alimentare un dibattito oggi bloccato anche al nostro interno. È oggi il tempo di farlo, non domani, non a giugno o in autunno. Allora, sarà troppo tardi. La borghesia evasora, rentier e anti-nazionale, europeista o populista, finanziaria o assistita, per quel tempo avrà già avuto modo di ri-organizzarsi. Se non attraverso politiche effettivamente all’altezza dei tempi (figuriamoci), attraverso la neutralizzazione del dibattito, agitando false flag ideologiche che non convinceranno nessuno, ma che persisteranno a dominare attraverso la coercizione diretta e indiretta. E con l’ausilio – come sempre – dei dominati, di quell’universo di subalternità sociale che non avrà altro modo di esprimere la propria proiezione ideale se non assecondando questa o quella finzione dialettica tutta interna al regime liberista.

Dovremmo cambiare anche noi dunque. Accettando la sfida che la realtà ci sta imponendo, stimolando un dibattito tra idee diverse, sicuramente non “ortodosse”, purché inaudite. Non per gusto di provocazione o di eclettismo. Ma perché il mondo di ieri finisce anche per noi e per il nostro teatrino. L’alternativa è farsi promotori di politiche irrealistiche, ideologiche, distopiche, disconnesse dalla realtà politica e sociale che invece richiede a gran voce – ma senza una voce cosciente – qualcosa di nuovo a cui credere. Un nuovo inizio dunque, che non può coincidere con restaurazione.

Impossibilitati all’azione politica, almeno per qualche altra settimana, è dunque il momento di favorire pensatoi comuni, con l’obiettivo di formulare e poi intestarci battaglie determinate per il dopo. Farci trovare pronti alla riapertura, questo l’unico obiettivo che dovremmo darci nel breve termine. E poi si vedrà.

In risposta a questo articolo un utente prospetta un'elenco di punti dai quali partire
Potrebbe essere un inizio:
1.No Eurobond e no ad alcuna forma di indebitamento.
2.Abolizione del debito e del suo pagamento
3.Occupazione per tutti
4.Fuoriuscita dall’Europa e dai suoi schemi economici (Sfruttamento nord – sud)
5.No alla svendita patrimonio nazionale, di qualsiasi tipo esso sia
6.Nazionalizzazione banche e industrie

il collettivo risponde:
Schematicamente: i primi due punti sono complessi. Gli Eurobond sarebbero, in teoria, uno strumento per uniformare i livelli di indebitamento finanziario dei vari Stati membri della Ue. Approvarli significherebbe rafforzare strutturalmente l’Unione europea, ma al contempo vorrebbe dire anche eliminare il vantaggio competitivo della Germania, che in sostanza usufruisce di un marco indebolito artificialmente che gli garantisce il livello impressionante di esposizione all’export della sua economia. Il cambio di paradigma rafforzerebbe l’euro e, di conseguenza, limiterebbe la capacità di esportazione dell’economia tedesca, che al quel punto dovrebbe stimolare, attraverso il debito, la propria domanda interna. Si può fare ovviamente, ma non converrebbe al capitalismo tedesco. Questo per dire che gli Eurobond sono uno strumento importante, diremmo quasi epocale, che non va sottovalutato, perchè muterebbe alla radice le ragioni dell’Unione europea. Non sono l’alfa e l’omega di una politica monetaria e men che meno economica, ma sarebbero, letteralmente, un salto di paradigma che non va minimizzato.

Sull’abolizione del debito, occorre ragionare. Quel debito è stato prodotto dalle politiche predatorie della borghesia nazionale. Dovrebbe essere abolito, ma se a trarre i frutti di questa ristrutturazione volontaria è quella stessa borghesia, sarebbe l’ennesimo escamotage per socializzare le perdite privatizzando i futuri guadagni. E’ lo stesso schema interpretativo degli Eurobond: per poter ripartire occorre fare debiti. Può essere vero, *a patto* che siano fatti dopo aver espropriato (almeno parzialmente) i profitti di quella borghesia che si è arricchita anche attraverso l’economia del debito. Espropriata come? Attraverso una patrimoniale ad esempio, stabilita in virtù di una “solidarietà nazionale” che imponga a chi ha di più di pagare di più. E’ una soluzione che verrà avversata fino alla morte dal capitalismo nazionale, ma su cui andrebbe avviata una battaglia di civiltà, *proprio in virtù dell’emergenza*.

“Occupazione per tutti” rimanda ai primi due punti: o la realizzi moltiplicando il debito, o attraverso una fiscalità fortemente progressiva che farebbe “scappare” una parte delle aziende del paese. A quel punto dovresti impedire giuridicamente di traslocare altrove, e questo si scontrerebbe con il regime giuridico europeo, aprendo una battaglia anch’essa epocale. Una battaglia che la nostra borghesia non ha nè la forza nè la voglia di portare avanti, ma su cui andrebbe inchiodata da una mobilitazione di massa.

Il punto 4 è collegato direttamente a tutto ciò che abbiamo detto sopra.

I punti 5 e 6 dovrebbero costituire la base dalla quale ripartire. La produzione strategica dovrebbe essere difesa da strettissimi vincoli giuridici, cosa peraltro già presente negli altri paesi della Ue.
Sulle nazionalizzazioni, invece, bisognerebbe andare oltre il feticcio fatto proprio anche dall’attuale classe politica. Anche Alitalia è stata nazionalizzata, ma con lo scopo di poterla spacchettare e rivendere meglio una volta “risanata” (cioè una volta fatti pagare alla fiscalità generale i debiti creati dalla gestione privatistica – seppure formalmente statale – dell’azienda). Andrebbe fatto un ragionamento complessivo sullo strumento delle nazionalizzazioni, che non possono voler significare gestire in perdita i servizi fondamentali, pur accettando che un servizio basilare (come il trasporto pubblico aereo) possa prevedere servizi che si mantengono *anche* in perdita.

Più avanti risponderemo in termini meno schematici. E’ una discussione che va avviata daccapo e con proposte nuove.
view post Posted: 30/3/2020, 21:39 Il conte Draghi - Interno
MES. Non farsi illudere dalle apparenze
Nei giorni scorsi Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, ha rilasciato dichiarazioni al Financial Times che hanno destato scalpore in chi ha seguito la cronaca politica negli ultimi anni. Nell’intervista si dice:
“La sfida che affrontiamo è quella sul come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di fallimenti aziendali che lascerebbero danni irreversibili. È evidente che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito sostenuta dal settore privato deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica (1) permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato” .
Suonano strane queste parole dette da chi ha occupato posizioni di massimo rilievo nelle istituzioni dell’Unione Europea, fondata ideologicamente su una delegittimazione del ruolo di intervento dello Stato nell’economia di mercato e su basi reazionarie che hanno favorito la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi grandi gruppi finanziari. In pratica, le parole Draghi sembrano annunciare il fallimento del “neoliberismo”, cioè dell’impianto teorico su cui l’Unione Europea è stata costruita. Peraltro, questo non è un segnale isolato: l’assegnazione dei premi Nobel negli ultimi dieci anni, la promozione di economisti eterodossi come De Grauwe e Minsky, e la diffusione di nuove teorie economiche (legittimate anche da Draghi stesso in una delle ultime dichiarazioni rilasciate da presidente della BCE (2), vanno nella direzione di criticare aspramente ciò che conosciamo come neoliberismo. Tutto questo viene fatto nell’ottica di rivalutare le vecchie teorie keynesiane che, in poche parole, ammettono che l’intervento statale nell’economia (attraverso l’uso della spesa pubblica, anche in deficit) può essere un buon modo per stabilizzare un sistema economico – il capitalismo – che di per sé è instabile e generatore di crisi.
Chi, come i comunisti, per decenni ha combattuto il neoliberismo (cioè la corrente di pensiero economico che predica la ritirata dello Stato dall’economia, fatta attraverso privatizzazioni, liberalizzazioni e deregolamentazioni), si espone al rischio di affiancarsi ai keynesiani. Questa, però, sarebbe una strategia fallimentare. La risposta alle privatizzazioni non può limitarsi a chiedere “più Stato”, ciò che bisogna realizzare è il socialismo.
Le idee keynesiane non sono né nuove né politicamente vergini. Esse sono state il faro che ha orientato la politica economica nei primi decenni del dopoguerra, quando le aziende a partecipazione statale giocavano un ruolo di primo piano nell’economia italiana e non solo, e quando si era dato vita al sistema di welfare pubblico che oggi viene scarnificato. I comunisti, però, non si sono mai fatti ingannare dalle apparenze idilliache di questo sistema, addirittura prevedendone la fine e denunciando il fatto che il peso di queste politiche – anche se indirettamente – sarebbe comunque gravato sulle spalle dei lavoratori. L’intervento statale, in un’ottica keynesiana, non è mai diretto a garantire i diritti sociali delle classi popolari. È sempre diretto a garantire la salvaguardia dell’economia di mercato capitalista, secondo la vecchia formula del “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”. Fino ad adesso, l’intervento pubblico è stato sempre l’ancora di salvataggio del capitalismo.
Quello che la politica keynesiana propone è il sostegno alla domanda di mercato, sfruttando anche la leva del debito pubblico. Sicuramente l’utilizzo del debito pubblico permetterebbe un più ampio margine di intervento diretto dello Stato nell’economia, con qualche beneficio per i lavoratori, ma con la finalità di proteggere le aziende e il sistema economico che genera inevitabilmente crisi come quella odierna dovuta al Covid-19. Inoltre, il debito pubblico è detenuto, in grossa quota e sottoforma di titoli di Stato, da parte delle banche e degli istituti finanziari in generale: aumentare il debito pubblico rimanendo nell’ottica del capitalismo significa quindi rafforzare il potere di ricatto del capitale finanziario, e quindi il capitalismo stesso. Non a caso Lenin, nel 1917, ripudiò il debito pubblico russo contratto dal regime zarista con i grandi banchieri dell’epoca.
Per contenere l’espansione eccessiva del debito pubblico si potrebbe ricorrere alla monetizzazione del deficit (come proposto dalla FED – la banca centrale americana – negli scorsi giorni). Monetizzazione del deficit significa, in pratica, contenere l’espansione del debito pubblico dovuta al deficit di bilancio attraverso l’immissione di moneta nel sistema. Questo è un rimedio lungamente utilizzato anche in Italia prima del divorzio tra Tesoro e Banca Centrale, ed è vietato esplicitamente dai trattati europei. L’uso di questa tattica, però, ha come effetto collaterale l’aumento dell’inflazione oltre livelli critici, e ciò ha come conseguenza l’erosione del potere d’acquisto dei comuni cittadini e il gonfiarsi dei profitti delle imprese (se il tasso di inflazione si mantiene nettamente positivo per abbastanza tempo, le imprese sono in grado di vendere ad un prezzo più alto ciò che hanno iniziato a produrre a prezzi più bassi), causando una ridistribuzione in negativo della ricchezza e del reddito e quindi l’aumento della disuguaglianza.
Da comunisti, dobbiamo prendere le distanze da dichiarazioni come quelle di Draghi che rimandano soltanto ad una modalità di gestione della crisi capitalistica un po’ più equa e con l’effetto di rimandare di qualche tempo l’emergere inevitabile di grosse contraddizioni proprie dell’instabilità del capitalismo. Il nostro orizzonte non è né il neoliberismo né le idee di Keynes.
Il nostro orizzonte è il socialismo – che è oggi più che mai necessario.
Non basta far intervenire lo Stato nell’economia di mercato, è necessario ribaltare totalmente il paradigma dell’economia di mercato e sostituirla con il socialismo, bisogna dare i mezzi di produzione in mano ai lavoratori, per organizzare l’economia in base alle necessità collettive, e non in base ai profitti privati.
Per fare questo abbiamo bisogno di uno strumento politico: il nostro compito è quello di costruire il Partito Comunista come l’avanguardia della classe lavoratrice, far sì che si abbattano tutte le istituzioni al servizio del capitale e che i lavoratori si facciano Stato, per gestire democraticamente l’economia.
Pragmaticamente, è necessario nazionalizzare i settori chiave dell’economia, a partire dalle banche e dalle infrastrutture e dalle produzioni strategiche, per riportare la sanità completamente in mano pubblica espellendo i privati, lanciando un piano di assunzioni nel settore pubblico, dalla scuola alla sanità, fino alle grandi opere per la messa in sicurezza del nostro Paese dal punto di vista idrogeologico.
È soltanto attraverso un’economia nazionalizzata e gestita da uno Stato socialista che si riuscirà a mettere la parola fine alle crisi cicliche e tipiche del capitalismo, che in un modo o nell’altro gravano sulle spalle del popolo, e a garantire una vita dignitosa a tutti i lavoratori.
1 https://www.corriere.it/economia/finanza/2...6ba22fce7.shtml
2 https://www.bloomberg.com/news/articles/20...-ideas-like-mmt

Il desiderio dell’uomo decisivo
Che Mario Draghi trovi sostegno in un certo ambiente economico, è nelle cose. Che su Mario Draghi stia convergendo tutta la politica italiana, è un’altra cosa. Dal Pd alla Lega al vasto mondo della critica keynesiana, il quadro politico sembra chiudersi attorno alla soluzione migliore per tutti (o quasi: l’unico a rimanere col cerino in mano sarebbe Conte, e con lui il M5S). I motivi di questo interesse sono facilmente intuibili. Meno i problemi politici che verrebbero a generarsi dall’unità nazionale attorno all’uomo delle banche.

La crisi economica, già in corso e che seguirà la fine o il contenimento dell’epidemia, sarà di vaste proporzioni. Tutti i paesi, nessuno escluso, subiranno il contraccolpo dell’arresto dei flussi commerciali misurandolo in vari punti percentuali di calo del Pil. Per l’Italia, questo non potrà non aggirarsi in una forbice che va dal -5 al -15%. Percentuali da economia di guerra, come evidente e come stanno dicendo un po’ tutti, Draghi per primo. Se in tempo di pace la questione poteva essere affrontata (e aggirata) attraverso l’accelerazione export oriented dell’economia del paese, dinamica che ha portato l’Italia alla ventennale stagnazione economica, le soluzioni per questa crisi non potranno replicare quanto è stato fatto fino ad ora. Per risollevare un paese in profonda recessione è inevitabile stimolare la domanda interna, rafforzando il mercato domestico di produzione e circolazione di beni e servizi. Altrimenti quel -15% lo recuperiamo nel 2050, come infatti (non) è avvenuto con la crisi scoppiata nel 2008: il Pil dell’Italia nel 2019 non ha ancora raggiunto i livelli a cui era arrivato nel 2007. Ci stiamo rimpicciolendo drasticamente e troppo velocemente nel tempo, e questo è uno dei motivi dello scarso peso politico dei nostri governi in Europa.

Stimolare la domanda interna è possibile solo attraverso la leva degli investimenti pubblici, da un lato, e tramite una politica di moderazione fiscale per le imprese, dall’altro. L’insieme di questi due interventi dovrebbe servire ad aumentare l’occupazione e il livello medio dei salari. Questa è la dinamica keynesiana classica, ed è questo che Draghi ha aleggiato nel suo intervento sul Financial Times lo scorso mercoledì. Si capisce dunque perché tutti vogliano salire sul carro del dopo-crisi: Draghi non è Monti, non verrebbe a commissariare l’Italia per imporre politiche d’austerity; al contrario, è l’uomo della provvidenza, il gestore di una pioggia di finanziamenti pubblici, italiani ed europei, che pioveranno a dirotto una volta che si assesterà l’epidemia e la Ue troverà l’accordo per finanziare la riscossa economica del continente.

Peraltro, Draghi assomiglia sempre più alla “contropartita” per azionare il Meccanismo europeo di stabilità. Invece di imporre condizioni capestro in cambio di aiuti finanziari, come ad esempio “riformare” il mercato del lavoro o perseguire il pareggio di bilancio, la condizione politica in cambio degli aiuti economici è che a gestirli non sia Conte e il suo precario governo. Draghi, da una parte, è garanzia di prudente gestione dei fondi europei; dall’altra, il sostegno trasversale che lo accompagnerebbe al governo renderebbe lo stesso più solido e deciso. Si capisce, da tutto ciò, perché Pd, Renzi, Forza Italia e Lega stiano tentando il colpo di mano: il governo Draghi non è un governo che farà perdere voti ai protagonisti. Per il Pd, si tratterebbe di garantirsi al governo e al tempo stesso anestetizzare l’opposizione della Lega; per la Lega, tornare al governo raccogliendo i frutti dell’apertura dei cordoni della borsa. Per i protagonisti minori, il solo tornare al governo è motivo di entusiasmo. Se questo è lo scenario “razionale” per “salvare il capitalismo” dal virus, si capirebbero le grida di giubilo che giungono dalle parti più impensabili. Ma tutto andrà come descritto?

In primo luogo, è tutto da vedere che la partita con la Ue termini con una “vittoria” italiana (che, tradotto, sarebbe l’approvazione degli “Eurobond”, cioè obbligazioni di debito pubblico emesse direttamente dalla Bce). Titoli di Stato, garantiti non da questo o quello Stato comunitario, ma dalla Ue nel suo complesso. Titoli senza spread dunque. Si capisce l’interesse dell’Italia all’introduzione di questa forma di condivisione del debito. Eppure lo scontro in corso per il momento non promette una soluzione di questo tipo. La mediazione verte su di un Mes “ammorbidito” nelle condizioni di apertura del credito, e dall’aumento dei fondi in dotazione al Mes stesso. Su di un altro piano, il proseguimento sine die e senza fondo del quantitative easing. L’Italia in questa battaglia ha al suo fianco altri paesi, tutti importanti ma nessuno decisivo: la Francia, che però è un non-alleato, visto il rapporto organico con la Germania; la Spagna, martoriata dal virus, ma anch’essa alleata organica della Germania; la Slovenia, paese dell’est – cioè del retroterra produttivo tedesco – ma Stato troppo piccolo; l’Irlanda, un paese del nord, ma anch’esso piccolo e periferico. Oltre questo fronte l’Italia non ha margini di contrattazione rilevanti. L’alternativa cinese è minacciata ma di fatto impraticabile: l’Italia non scinderà l’alleanza politico-economico-militare con la Nato e gli Usa, neanche per questa battaglia. Dunque, vedremo. Ma lo scenario più probabile, al momento, è una mediazione che rafforzi il Mes e disinneschi gli Eurobond. Anche perché l’Unione europea è un’associazione competitiva e non cooperativa. Questo significa che la crisi sarà anche generalizzata, ma il modo in cui uscirne è delegato ai singoli Stati. L’uscita dalla crisi avverrà cioè tentando di sottrarre quote di mercato, di produzione, di risorse agli altri Stati membri. Una debolezza italiana, in tal senso, consentirebbe scorrerie finanziarie a cui stanno guardando un po’ tutti, in Occidente. I “gioielli di famiglia” oggi sono scalabili, e il dopo-crisi aprirà all’economia di rapina continentale margini di conquista che saranno valutati attentamente dai nostri “partner”.

Draghi verrebbe dunque a gestire il Mes, non a governare un debito pubblico lasciato libero di crescere a dismisura per cause di forza maggiore (cosa che, in ogni caso, avverrà). E sarà proprio in questa fase, in cui la politica sarà decisiva, che si vorrebbe anestetizzare il confronto demandando il compito di allocare le risorse (eventuali e limitate) al “tecnico”. Lo stesso “tecnico” che ha commissariato l’Italia nel 2011 cacciando Berlusconi e imponendo Monti; lo stesso “tecnico” che ha istituito il Fondo salva-Stati e che ha gestito la “trattativa” con la Grecia sull’orlo del fallimento. Già oggi si condividono le ricette del mondo dell’imprenditoria, non a caso fatte proprie anche dal resto dell’arco parlamentare e non solo. “Abolire”, “sospendere” o “dilazionare” le scadenze fiscali, ad esempio. Tutti, anche a sinistra purtroppo, rincorrono le parole d’ordine imprenditoriali della moderazione fiscale. Al contrario, bisognerebbe ragionare su di una nuova leva fiscale progressiva, che diminuisca il peso fiscale sui redditi più bassi e su una determinata composizione lavorativa, e al contempo innalzi la pressione fiscale sui redditi maggiori, sui loro patrimoni immobiliari o finanziari, nonché sui patrimoni immobilizzati nelle banche.

Sciogliere le briglie dell’economia in una fase (possibile ma non per questo sicuramente probabile) di spesa in deficit porterebbe inevitabilmente a ripensare il mercato del lavoro. In quale direzione? Garantendolo attraverso migliori definizioni contrattuali? Oppure “liberalizzandolo” ulteriormente in senso anglosassone? E la vicenda dello smart working di massa come inciderà sulle coperture contrattuali e salariali dei lavoratori? Perché il processo di de-fiscalizzazione porterà, facile immaginarlo, allo scambio perverso tra busta paga leggermente più alta e minori garanzie contrattuali, abolendo la contrattazione nazionale in favore di quella aziendale. Processi che passerebbero indolori in una fase di crescita sostenuta del Pil, ma che ricadrebbero come macigni una volta esaurita la traiettoria di crescita drogata dal debito pubblico. Anche qui, dunque, ci vorrebbe la politica, non la pacificazione nazionale a sostegno del tecnico-salvatore della patria.

Se nei tempi brevi la ricostruzione dell’economia porterebbe a una condivisione di fatto delle urgenze, nei tempi medi – una volta passata la tempesta – uno come Draghi al governo sarebbe un problema di non poco conto. L’uomo di Goldman Sachs completerebbe l’opera di privatizzazione degli asset nazionali, a cominciare da quell’Alitalia che invece in questi giorni sembrerebbe sulla via della nazionalizzazione. Insomma, Draghi ha gioco facile, oggi, a imporsi quale uomo della provvidenza: l’orizzonte di ricostruzione dell’economia è delineato (non si trova più un liberista in giro, fateci caso…), ma è proprio nel momento in cui si allargano i cordoni della borsa che, al contrario, è necessaria la politica. Capire dove e come spendere i soldi della ricostruzione – se e quanti saranno – è il primo campo di battaglia nel confronto politico. Confronto che si vorrebbe sospendere, in nome di un obiettivo che è tutto fuorché “neutro”. Che questa sospensione venga richiesta dalla destra liberista o sovranista, non fa stupore. Che a richiederla sia anche una parte della “sinistra keynesiana” rischia di validare il sostegno unificato ad un personaggio, e a una politica, che si configura già oggi come anti-lavorativa, anti-sindacale e aperta a ogni sperimentazione repressiva, sul lavoro e nella società. Il virus, come ogni crisi, può essere anche un’opportunità. Facciamo in modo che a coglierla non sia solo il capitale organizzato attraverso le sue rappresentanze politiche.
view post Posted: 30/3/2020, 20:46 corona virus, un altro punto di vista - Varie
Giravolte europeiste

Tra le tante vittime mietute dalla “crisi Coronavirus”, ne contiamo una che ci sembra di poter annoverare, con l’approfondirsi delle contraddizioni, tra le più celebri: quella del dogma neo-liberista. Una “vittima ideale” – facciamo attenzione – e non reale, come le ormai migliaia di vite scomparse dall’inizio della propagazione del virus nella nostra traballante società. Società che sembra assumere sempre di più le sembianze di un edificio marcio, irrimediabilmente danneggiato alle fondamenta. Solo che, in questo caso, a rendere la struttura fragile e prossima a rovinare non è un’imprevedibile emergenza sanitaria, quanto un ciclo di riforme economiche ben definito nel tempo – le riforme del sistema sanitario attuate a partire dagli anni ’90 – e nello spazio – l’Europa “pre-crisi” (ma esiste un pre-crisi da un decennio a questa parte?). Non tutti i mali, tuttavia, vengono per nuocere o meglio, non tutte le vittime – specialmente quelle del campo avverso – generano un moto di commozione.

Il requiem che in questi giorni l’establishment europeista sta suonando per il dogma del neoliberismo dovrebbe al contrario stimolare una certa soddisfazione in quanti fino ad oggi si sono opposti fermamente alla stagione di ristrutturazione capitalistica e d’imposizione liberista in Europa. Eppure la questione non sembra così semplice, e oltre alle vittime reali e a quelle “ideali”, si contano anche quelle “politiche” del nostro campo, di quanti si trincerano dietro una non prevedibilità dell’evento o che cadono vittime del cortocircuito retorico della catastrofe naturale. Ma ancora più confusione si è generata con questa repentina svolta “interventista”, questa improvvisa febbre statalista che ha colpito trasversalmente l’intellettualità neo-liberista in tutte le sue declinazioni e sfaccettature che, una volta resasi conto che se la nave affonda a questa velocità non ci sono scialuppe di salvataggio che tengano, si presenta su stampa e televisione affermando, con una naturalezza e un’innocenza degna di chi sa che deve solo obbedire, l’esatto contrario di quanto affermato fino ad un momento prima.

Ieri esisteva un vincolo, oggi non esiste più. Ieri esisteva un limite e oggi lo sospendiamo. Ben venga verrebbe da dire, se non fosse che dietro questo cambio di direzione si cela il solito gioco di prestigio dell’aiuto condizionato, ovvero del flusso di aiuti un momento prima del crollo a cui seguirà una contropartita che farà rimpiangere i tempi di crisi. La stessa dinamica che, da quando il Trattato di Maastricht e relativi aggiornamenti sono operativi, fa somigliare la classe dirigente europeista più che a un ceto politico, alla socialmente inestinguibile figura del cravattaro. Oggi vi diamo il prestito, la possibilità di pompare denaro, e domani ci ridate tutto – tutto – con gli interessi: interessi, sia chiaro, che verranno ripagati con l’unica valuta accettata a Bruxelles, quella delle riforme di struttura e dello sventramento dello “stato sociale” (si, proprio quello che ha fatto andare a gambe all’aria la metà degli ospedali di questo paese nel giro di un mese). In ogni caso, anche se questa “inversione a U” del sistema europeista si basa su un tatticismo dettato da insuperabili condizioni oggettive – ma pur sempre contingenti – la contraddizione sul piano ideologico, del pensiero egemone, si è aperta in modo manifesto. Fino a ieri potevano sbandierare il dogma neo-liberista come fosse verbum dei, con il fuoco di sbarramento mediatico che martellava vita natural durante sulla impossibilità di smuovere un solo euro dai bilanci dello Stato perché tanto «di soldi non ce ne sono». La Grecia insegna. Oggi, invece, gli zelanti esecutori delle direttive europee di ieri parlano candidamente di «bazooka» finanziari e gigantesche operazioni di salvataggio. Siamo passati, dal giorno alla notte, dalla totale assenza di liquidità al bombardamento a colpi di acquisti di titoli. Praticamente tutti, fatto salvo l’amante degli aperitivi fuori tempo massimo che, probabilmente, dalla quarantena non regge più il ritmo serrato del dibattito politico europeo,



si sono accorti che la contraddizione tra dogma euro-liberista e crisi del corona virus non è più sostenibile nella pratica come nella teoria: dal protagonista della stagione lacrime e sangue dei governi tecnici Mario Monti, che tuona dalle colonne del Corsera: «Eurobond: ora si può», agli imbattuti campioni delle revolving doors della borghesia italiana come Franco Bernabè che, sprizzante ottimismo da ogni poro, ci dice addirittura che «il virus darà l’opportunità di fare l’Europa» invocando una nuova Bretton-Woods europea.

Comunque, che in questo momento si stia giocando una partita storica ai piani alti dell’europeismo è fuori di dubbio, e che questa partita determinerà le sorti della struttura Unione europea è altrettanto fuori di dubbio. Con altrettanta certezza, però, possiamo dire che qualunque sia il partito che uscirà vincente da questo scontro, gli effetti collaterali saranno pagati con l’unico meccanismo europeo di stabilità che si può sempre utilizzare, quello della compressione salariale e delle misure anti-proletarie.

Certo, prima di ogni altra cosa occorrerebbe spostare equilibri reali per volgere a nostro vantaggio un momento storico e di passaggio come questo; sarebbe necessario avere le forze soggettive e la stazza politica per ribaltare rapporti di forza che scricchiolano in modo sempre più evidente: tutte cose che la sinistra di classe, nella fase che si trova ad affrontare, può solo pensare.

Ma se il vecchio frequentatore della British Library non ha parlato invano quando ha scritto che «sono le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire il conflitto e [di] combatterlo» è quantomeno ora di togliersi di torno queste “vittime ideali”, di far pesare questi passaggi, in modo irreversibile, nel dibattito pubblico e di impedire che passata la tempesta – se passerà – si ricominci d’accapo con la riproposizione del neo-liberismo come sistema naturale. Insomma: dobbiamo liberarci definitivamente del cadavere del dogma neo-liberista. I morti, si sa, dopo un po’ cominciano a puzzare.

Militantblog
view post Posted: 30/3/2020, 09:21 corona virus, un altro punto di vista - Varie
Coronavirus, servizi segreti avvertono il premier Conte: "Pericolo rivolte e ribellioni al Sud"

I servizi segreti hanno avvertito con una informativa la Presidenza del Consiglio dei possibili pericoli che rischia il sud Italia in questo periodo di emergenza Coronavirus.

Per approfondire leggi anche: "Non abbiamo i soldi per mangiare" e interviene la polizia

"Potenziale pericolo di rivolte e ribellioni, spontanee o organizzate, soprattutto nel Mezzogiorno d' Italia dove l' economia sommersa e la capillare presenza della criminalità organizzata sono due dei principali fattori di rischio", è questa l'allerta.

Solo i lavoratori irregolari nell'ultimo anno sono stati censiti in 3,7 milioni dall'ultimo rapporto Istat, con quasi l' 80% del fenomeno concentrato proprio al meridione. L' Italia e ancora di più il Sud regge tanta parte della propria economia grazie ad attività in nero. Secondo quanto riporta il quotidiano Il Mattino è proprio su queste persone che si sofferma il report dell'intelligence. Cosa succederà se il Covid-19 rendesse indispensabile di prorogare ancora a lungo le misure di distanziamento sociale già in atto? A ciò si aggiunge la criminalità organizzata presente sul territorio. Una situazione che inquieta (l'assalto al supermercato a Palermo).

corrieredell'umbria
view post Posted: 20/3/2020, 17:44 corona virus, un altro punto di vista - Varie
Senza le regole d'ingaggio che ancora non sono chiare la presenza dell'esercito per strada servirà da spauracchio. Detto ciò non dimentichiamoci che esistono numerosi settori produttivi che non hanno subito alcuna sospensione con la conseguenza che i lavoratori devono recarsi sui posti di lavoro affollando le strade e i mezzi di trasporto, e sono del tutto liberi di farlo, posto che le esigenze lavorative consentono gli spostamenti. Pertanto, quanto sostenuto dai tromboni dell'informazione non è altro che l'ennesima contraddizione. Sulla situazione emergenziale appare evidente come il virus incida solo in via principale su un aspetto fondamentale ossia la totale inidoneità dell'organizzazione dei mezzi delle sovrastrutture borghesi. E' di qualche giorno la notizia che prevede proposte di instaurazione di rapporti di lavoro autonomo o parasubordinato per far fronte all'emergenza! Non solo mandano gli operatori sanitari al fronte senza armi, ma anche senza la paga! La borghesia si preoccupa della salute dei lavoratori solo di riflesso, si prospetta un taglio del pil dell'8%.
view post Posted: 20/3/2020, 17:25 Crisi, lavoratori allo sbaraglio - Varie
Coronavirus, l’Asp assume infermieri ma “a partita Iva e a 12 euro l’ora”, protestano i sindacati
Il bando per l’assunzione degli infermieri è una offesa per questi professionisti”. A sostenerlo è sono le siglle sindacali Nursind e Fgu Gilda Unams che denunciano compensi compensi troppo bassi e mancanza di tutele per i sanitari che saranno assunti a partita Iva. Secondo Aurelio Guerriero e Giuseppe D’Anna, rispettivamente segretario territoriale del Nursind e coordinatore provinciale Fgu Gilda Unams dipartimento Università, “pagare un infermiere 12 euro l’ora, al lordo delle tasse, è un’offesa alla professione”.

I sindacati criticano l’ultimo dell’Asp Palermo che ha deciso di reclutare infermieri e Oss per fronteggiare l’emergenza Covid 19. “Siamo rimasti molto stupiti – dicono – quando abbiamo letto nel bando alla voce compenso l’importo di 12 euro per l’infermiere e 10,50 circa per gli Oss, tutto con partita Iva. Non si può pagare un professionista infermiere 12 euro da cui togliere le tasse, per altri senza che abbia alcuna tutela. Senza offesa per nessuno, un operaio non specializzato guadagna di più e certamente, specialmente in questo momento, rischia meno di infermieri e Oss”.
Un allarme che era stato lanciato anche dal Nursind Sicilia per voce del coordinatore regionale Claudio Trovato. I due segretari hanno chiesto l’intervento dell’Opi di Palermo, l’ordine delle professioni infermieristiche di Palermo, e della Fnopi, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, a salvaguardia della dignità della professione. “Eroi sì, ma siamo professionisti ormai laureati e non permetteremo a nessuno di calpestare la nostra dignità. Chiediamo quindi di modificare il bando e adeguare i compenso agli standard previsti dalla normativa della professione”.

E' solo uno dei tanti esempi sparsi per le regioni d'Italia.
view post Posted: 18/3/2020, 09:34 L'imperialismo si organizza in Venezuela - Esteri
Il Fondo monetario internazionale rifiuta aiuti per 5 miliardi al Venezuela, che chiede sostegno per fronteggiare l'emergenza del coronavirus. L'Fmi "non è in grado di prendere in considerazione questa richiesta - si legge in una nota - perché non c'è chiarezza sul riconoscimento internazionale del Paese".
view post Posted: 18/3/2020, 08:49 Ciao compagni - Presentazioni
CITAZIONE (total_destruction @ 16/3/2020, 14:53) 
Ciao compagni,

Il compagno carre è sempre stato un punto di riferimento qua sul forum.

Benvenuto, lo è un po' per tutti, qui dentro è il "piccolo padre" del forum!
view post Posted: 14/3/2020, 20:03 Repressione e dintorni - Varie
Solidarietà al compagno Riccardo Sotgia!

Le misure stile coprifuoco di guerra che il governo Conte bis ha varato sulla base dell’emergenza “corona virus”, stanno oscurando a livello mediatico il procedere della tendenza alla guerra, quella reale e concreta, che continua a svilupparsi nell’area del Mediterraneo allargato.

Nuove e recenti fiammate di guerra hanno recentemente investito la Siria, la Libia, la Palestina, l’Ucraina…. Quest’ultimo scenario di guerra dimostra come l’Europa non è affatto immune da questa tendenza, dimostrata anche dal flusso di profughi in fuga verso il vecchio continente – sui quali l’Ue e la Turchia inscenano uno spietato braccio di ferro politico – nonché dall’imponente esercitazione militare degli Usa denominata Defender Europe 20, che prevede, in questi giorni, lo sbarco di circa 30 mila soldati yankee. Un’enorme prova di forza statunitense in funzione antirussa, in continuità proprio con l’affondo che la Nato perseguì contro la Russia con il golpe fascista di Euromaidan in Ucraina nell’inverno 2014, seguito dall’aggressione del governo golpista alle regioni insorte del Donbass.

Sul fronte interno, nella nostra società, la guerra ha diverse ricadute. A livello generale, mutano i rapporti politici, sociali e culturali: la gestione in stile “guerra” dell’emergenza sanitaria del corona virus lo sta dimostrando. A livello specifico, scatta la criminalizzazione del “nemico interno”, ovvero di colui che si sottrae concretamente all’allineamento alla guerra imperialista.

Una nuova conferma in tal senso, l’abbiamo avuta con la rogatoria internazionale a carico del compagno sardo Riccardo Sotgia, perseguitato su richiesta della magistratura del regime ucraino, accusato da quest’ultimo – così ci risulta – di banda armata, terrorismo e spionaggio. Tutto ciò per aver portato solidarietà in loco alle popolazioni della Crimea e del Donbass, sotto permanente minaccia e attacco da parte del regime golpista e atlantista ucraino. Un’inchiesta diretta proprio dalla procura di Kiev e alla quale gli organi repressivi dello Stato italiano stanno collaborando.

Non è la prima volta che militanti internazionalisti o “semplici” solidali in Italia sono perseguitati per il sostegno alla Resistenza del Donbass. Un paese come il nostro, che è parte integrante della Nato e delle sue strategie di guerra imperialista, evidentemente vuole dimostrare anche sul piano giudiziario come non vi debba essere spazio, sul piano interno, a coloro che hanno sostenuto e sostengono popolazioni ribellatesi alla mortifera e reazionaria avanzata dell’Alleanza Atlantica verso Est. E non lo fa solo sul piano repressivo, ma anche su quello propagandistico, dipingendo la Resistenza del Donbass come “rossobruna”, come espressione di sciovinismo russo, definendola come “milizie filo Putin”. Allo stesso modo con cui, sul piano giudiziario e propagandistico, si punta a criminalizzare l’appoggio alla Resistenza Palestinese come antisemitismo; si veda il procedimento in corso a Milano contro cinque compagni per le contestazioni allo spezzone sionista nel corteo del 25 Aprile 2018.

Solidali con Riccardo, solidali con chiunque pratichi la solidarietà internazionalista verso i popoli in lotta!

Terrorista è l’imperialismo, in primis la Nato!

Rompere l’egemonia di guerra sul fronte interno! No alla paura di massa, sì alla lotta!

COLLETTIVO TAZEBAO
view post Posted: 14/3/2020, 19:09 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Lelouch Freedom @ 14/3/2020, 15:04) 
Sulla sospensione del patto (che appunto in quanto tale non è al momento una scissione) da tesserato posso confermarvi che problemi e screzi anche seri si avevano (almeno a conoscenza dei militanti di base) da diversi mesi, in alcuni casi più evidenti (le dimissioni di Mustillo), in altri passati più sotto traccia (l'esautorazione di Censi, responsabile organizzazione, per la richiesta dei quadri tesseramento), screzi mai usciti per il rispetto del centralismo democratico da parte del Fronte (questo a proposito di alcune accuse di aver "abdicato già da tempo" e cazzate simili). Poi potete vedere le motivazioni assurde date dal Partito stesso al commissariamento, insieme al fatto che si sia decisa a maggioranza semplice e non all'unanimità (come previsto da statuto) e capirete bene in che senso parliamo di "violazione del documento congressuale". Il patto di lavoro si basava sulla condivisione del documento congressuale, nel momento in cui questo viene disatteso (e si potrebbe citare anche la questione dei BRICS) è normale tale accordo venga messo in dubbio, pur rimanendo fermi nella possibilità di ricucirlo se il Partito tornerà sui suoi passi e si impegnerà a rispettare le sue stesse regole.

Art.14-La Commissione Centrale di Controllo e Garanzia (CCCG).
La Commissione Centrale di Controllo e Garanzia concorre, insieme agli altri organismi
dirigenti, alla crescita del Partito e, in tal senso, fa riferimento e richiama alle più alte
motivazioni ideali che da sempre costituiscono il patrimonio essenziale del costume
comunista.
La Commissione vigila sull'applicazione dello Statuto, sulla correttezza e conformità dei
comportamenti dei membri e dei dirigenti del Partito, sia all'interno che all'esterno di esso,
sul rispetto della linea politica adottata, sul radicamento dell'ideologia marxista-leninista
all'interno del Partito. Essa è composta da cinque membri ed elegge al suo interno il
Presidente e un Vicepresidente Vicario, entrambi con diritto di voto all'interno
dellʼorganismo dirigente, a differenza degli altri suoi componenti che hanno solo diritto di
parola.
La Commissione decide di ogni questione disciplinare, di applicazione e di interpretazione
dello statuto, nonché di eventuali contenziosi sorti a livello territoriale.
Può inoltre sciogliere, di concerto con il Segretario Generale ed il Comitato Centrale, gli
organismi politici territoriali, affidandone la gestione ad un commissario, che ha il compito,
per un periodo di tempo prefissato, di garantirne la continuità politica e finanziaria fino ad
un nuovo congresso territoriale.
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