Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by RedSioux

view post Posted: 21/8/2020, 16:28 Bielorussia, Lukashenko rieletto presidente. I diritti sociali in primis - Esteri
CITAZIONE (Nikos Zachariadis @ 21/8/2020, 16:19) 
Ne ho già parlato. I candidati filo-americani sono legittimi, non lo sono invece le rivolte di coloro che non accettano i risultati delle elezioni

Perdonami, ma a noi che ci importa della loro legittimità? E' feccia che va spazzata via nella misura in cui non si riesca ad attrarla.
view post Posted: 21/8/2020, 16:22 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Kollontaj @ 21/8/2020, 12:53) 
stiamo parlando di combattere una sostanza come l'eroina, piena di conseguenze negative fisiche, mentali e sociali, o di un vasodilatatore anti-infiammatorio come la cannabis, di cui ormai sono provati in ogni modo miriadi di effetti benefici e addirittura curativi e terapeutici?

Su questo aspetto non entro nel merito, tuttavia mi limito a segnalare che la comunità scientifica non è affatto unanime circa gli effetti che l'uso di cannabis produce sulla salute dell'organismo umano, rispetto alle diverse modalità di assunzione nonché agli effetti che potrebbe produrre sulla psiche.


CITAZIONE
c'è una crociata anti alcool simile a quelle "antidroga"? e se anche ci fosse, come c'è stata in passato, quel tipo di approccio ha portato per caso a risultati positivi?

Certo che no, ma siamo certi che il fallimento derivi dai metodi? Oppure dipende dalla solita storia, ossia alla fine hanno vinto i padroni? Riflettiamo anche su questo quando si parla di liberalizzazione della droga.

La mia domanda più che retorica era volutamente provocatoria. Ritengo che la lotta in sé e per sé contro la droga o contro le singole molecole non abbia alcun senso senza una prospettiva di classe

Pertanto sì concordo con Carre, il problema è politico
view post Posted: 21/8/2020, 08:36 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Kollontaj @ 29/7/2020, 18:51) 
non sa cosa sia la fatica immane che si affronta quando si prova a combattere l'uso ed abuso di certe sostanze.

Ma la lotta in sé e per sé contro l'uso delle sostanze stupefacenti vale la pena di essere combattuta?
view post Posted: 21/8/2020, 08:33 Bielorussia, Lukashenko rieletto presidente. I diritti sociali in primis - Esteri
La lotta dell’emiro afghano per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l’imperialismo, mentre la lotta di certi «ultra» democratici «socialisti», «rivoluzionari» e repubblicani ..durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l’imperialismo!
J Stalin

E Lukasenko è migliore dell'emiro afghano
view post Posted: 21/8/2020, 08:19 Presentazione - Presentazioni
Benvenuto. spero vorrai chiarirci la questione dei cani :lol:
view post Posted: 1/6/2020, 19:48 ScintillaRossa sui social - Proposte, critiche, opinioni
CITAZIONE (vecio_ @ 1/6/2020, 19:56) 
Ma anche "Gli Stalin boys" su Facebook è gestito dal forum?

view post Posted: 27/5/2020, 14:45 L'imperialismo si organizza in Venezuela - Esteri
Cargo iraniani a destinazione. Il Venezuela sorride, Usa in silenzio

Guerre fredde. Vinto il doppio embargo, le prime due petroliere arrivano senza problemi: a Caracas carburante e additivi per riattivare le raffinerie. La crisi interna dovuta alle sanzioni imposte da Washington e alla corruzione

Per il governo bolivariano l’arrivo a destinazione delle prime due navi cisterna inviate dall’Iran per rifornire di carburante il Venezuela è una grande vittoria diplomatica dei due paesi sotto embargo statunitense: un frutto della «diplomazia di pace» promossa da Maduro, come ha sottolineato il capo del comando strategico della forza armata bolivariana Remigio Ceballos.

Malgrado la minaccia di un attacco da parte degli Usa, presenti nei Caraibi con quattro navi da guerra impegnate in un’operazione di contrasto al narcotraffico, Trump non ha ordinato alla marina militare di intercettare le petroliere.

Il governo iraniano aveva avvertito che non avrebbe tollerato alcun ostacolo e che, in caso di attacco, la sua risposta sarebbe stata «contundente». Cioè, presumibilmente, sotto forma di rappresaglia contro le navi cisterna Usa nello Stretto di Hormuz, con conseguente collasso del commercio energetico a livello globale.

A sua volta, il ministro della Difesa Vladimir Padrino López aveva assicurato che, una volta nelle acque territoriali, le petroliere sarebbero state scortate dalla marina e dall’aviazione militari venezuelane, come avvenuto con la prima nave cisterna, la Fortune, giunta domenica a Puerto Cabello nello Stato di Carabobo, dove opera la raffineria El Palito, e con la seconda, la Forest, ormai prossima all’attracco.

Si attende ora l’arrivo delle altre tre navi – Petunia, Faxon e Clavel – che nei prossimi giorni, dopo 12mila km, completeranno il rifornimento di 1,5 milioni di barili di carburante: una provvidenziale boccata di ossigeno per la crisi di benzina esplosa già a marzo, con file interminabili ai benzinai e un aumento dei prezzi fino a tre dollari al litro, in un paese in cui il carburante era quasi gratis.

Che una potenza petrolifera come il Venezuela – le riserve stimate più grandi al mondo e il secondo maggiore impianto di raffinazione, quello di Paraguaná – debba ricorrere alla benzina iraniana non poteva non suscitare gli sprezzanti commenti della destra: «Arriva la prima nave iraniana carica di benzina. Potenza petrolifera? Che vergogna!», ha postato su Twitter Alberto Federico Ravell, direttore del Centro di comunicazione creato da Guaidó.

In realtà, dal primo ordine esecutivo contro l’industria petrolifera statale (Pdvsa), nell’agosto 2017, le misure dirette a colpire la colonna vertebrale dell’economia venezuelana non hanno fatto che inasprirsi, conducendo al blocco di tutti i beni e gli interessi di proprietà della Pdvsa soggetti alla giurisdizione Usa, per un totale di sette miliardi di dollari.

Come pure all’appropriazione della Citgo, la filiale della Pdvsa negli Usa (al centro di un enorme schema di corruzione riconducibile alla giunta direttiva designata da Guaidó), e alle sanzioni contro le imprese petrolifere straniere in affari con il governo venezuelano, di cui hanno fatto le spese, all’inizio del 2020, le russe Rosneft Trading e TNK Trading International.

Una strategia diretta a strangolare completamente l’economia venezuelana, paralizzando la Pdvsa come fonte principale di entrate statali e bloccando il rifornimento di benzina. Fino all’invio di navi cisterna da parte dall’Iran, nel quadro di accordi di cooperazione tra i due paesi che abbracciano diversi settori.

La crisi petrolifera venezuelana non può essere ricondotta esclusivamente all’embargo. Un ruolo importante lo gioca anche la trama di corruzione che ha compromesso l’impresa statale perlomeno dal 2009 al 2017, con il coinvolgimento di ben tre presidenti della Pdvsa e ministri del petrolio: Rafael Ramírez, Eulogio Del Pino e Nelson Martínez.

Tuttavia, se neppure la ristrutturazione della Pdvsa operata nel 2017 è riuscita a rilanciare la produzione di petrolio, è dipeso dalla dipendenza dalla tecnologia statunitense e dall’impossibilità, per l’embargo, di importare pezzi di ricambio e additivi chimici per i processi di raffinazione.

Da qui l’importanza delle petroliere iraniane, che, riforniranno il paese anche di additivi necessari per la riattivazione delle raffinerie.
view post Posted: 23/5/2020, 08:53 L'imperialismo si organizza in Libia - Esteri
ALTRI 500 SOLDATI ITALIANI NELLA GUERRA DI SPARTIZIONE LIBICA



Guerra Libia
L’attacco delle truppe del generale Haftar con lancio di razzi nei pressi delle Ambasciate di Italia e Turchia nel quartiere di Zawiat al-Dahmani a Tripoli[1] ha riacceso i riflettori su una guerra che continua inesorabilmente con l’irrisolta disputa interimperialista per la redistribuzione del controllo delle risorse energetiche e delle aree strategiche della Libia, a cui abbiamo dedicato un approfondimento qui e qui agli inizi di aprile. Da allora, la situazione sul campo di battaglia e a livello politico-diplomatico è in rapida evoluzione, soggetta a continui mutamenti. In questo articolo raggruppiamo una serie di eventi delle ultime settimane che aiutano a comprendere il complesso puzzle di contraddizioni e conflitti d’interessi alla base dell’ulteriore escalation del conflitto.

Generale Haftar

Escalation militare
A fine aprile Haftar si è autoproclamato capo di tutto il paese, dichiarando di avere “il mandato popolare per governare la Libia”[2], decretando l’accordo di Skhirat del 2015, che creava il Governo di Accordo Nazionale guidato da Al-Serraj, “morto e sepolto”. Una dichiarazione che non ha ricevuto il sostegno dei suoi alleati, la Russia ed Egitto, definita dal governo di Tripoli come una “farsa” e un “colpo di stato”.

AL SARRAJLa mossa del leader dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) è arrivata dopo che, grazie al sostegno militare turco, il Governo di Tripoli (GNA) aveva riconquistato diverse città strategiche della costa occidentale, circondando Tarhuna, la base più avanzata delle truppe di Haftar, a circa 50Km a sud-est di Tripoli. Negli stessi giorni Haftar dichiara un cessate il fuoco “per rispettare la tregua chiesta dalla comunità internazionale”[3] che viene respinto da Al-Serraj. Forte dei mutati rapporti di forza sul campo di battaglia[4], il GNA dichiara come “legittima” la sua offensiva militare, iniziata il 25 marzo, che ha portato all’attacco dello scorso 5 maggio alla base di Al Watya, 140km a sud-ovest della capitale[5], in precedenza occupata dai combattenti dell’LNA di Haftar, per poi invitare a un nuovo “dialogo politico” sotto l’egida dell’ONU[6], per una tregua e una “tabella di marcia” per tenere elezioni.

Apparentemente indebolito sul piano politico e militare, l’LNA di Haftar ha risposto il 7 maggio con l’avvio di un’operazione militare denominata “Ababil Birds” (“uccelli miracolosi”), che “mira a liberare l’ultima parte rimanente della patria dai gruppi armati sostenuti dalla Turchia”.[7]
Ad esser presi di mira sono stati un carico d’armi turco e il comando degli ufficiali turchi a Misurata, con testimoni che parlano della deflagrazione di depositi di armi che si trovano a poche centinaia di metri dall’ospedale da campo installato dall’Italia nel 2016, dove sono tuttora presenti circa 300 militari italiani nell’ambito della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit). Un’altra forte serie di attacchi è stata lanciata su Tripoli, tra le giornate del 9 e 14 maggio, intorno all’aeroporto Mitiga e in altre aree residenziali della capitale, causando gravi e significativi danni.

soldati turchi in libia

Nuovo intervento imperialista italiano dietro la missione europea IRINI
L’attacco dell’LNA a Misurata è arrivato contestualmente alla chiamata intercorsa tra il ministro degli esteri italiano Di Maio e Al-Sarraj, relativa alla missione imperialista dell’UE (“IRINI”), avviata lo scorso 1° aprile ed entrata in operatività proprio in questi giorni. Alcuni media vicini al generale della Cirenaica hanno lasciato intendere che non si è trattato di una coincidenza.

soldati italiani in libiaAl-Sarraj ha manifestato al governo italiano l’insoddisfazione di Tripoli, che considera la missione IRINI sbilanciata a vantaggio di Haftar, utilizzando come leva di pressione la questione della partenza verso le coste italiane degli emigranti e rifugiati imprigionati in Libia per ottenere un sostegno più deciso del governo italiano che ha nell’area della Tripolitania la salvaguardia gli interessi dell’ENI tra i suoi primari obiettivi. A questo proposito lo stato capitalista italiano e il governo Conte, per bocca del ministro Di Maio, hanno annunciato l’intenzione di inviare 500 soldati nel quadro della missione IRINI, che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni con il “decreto missioni”, assicurando che sarà “equilibrata”.

Dopo un mese, infatti, la missione IRINI è stata definita e, come detto, resa esecutiva sotto il comando italiano, sia quello operativo, sia quello delle forze in mare (quest’ultimo sarà alternato con la Grecia per un periodo di sei mesi ciascuno). La nave anfibia italiana San Giorgio sarà l’ammiraglia della missione, mentre la Francia ha schierato la fregata Jean Bart e la Grecia la fregata YDRA. Tre aerei da pattugliamento sono schierati da Polonia, Lussemburgo e Germania. L’Italia partecipa anche con un elicottero per il pattugliamento marittimo, un Aeromobile a Pilotaggio Remoto e un aereo da pattugliamento P-72. Come avevamo già fatto notare nel precedente articolo, la partecipazione di Italia, Francia e Grecia è indicativa della natura imperialistica della missione e degli interessi e dei processi contrapposti sullo sfondo: le prime due impegnate nella contesa tra ENI e Total per la ridistribuzione delle ricche risorse di idrocarburi libiche, mentre la Grecia in chiave anti-turca nella disputa nel Mar Egeo. È previsto che saranno resi disponibili altri mezzi speciali necessari ad assolvere i compiti della missione, quali sommergibili, droni e Aerei AEW.

In totale, sono 21 i paesi europei che contribuiranno alla missione con il proprio personale, mentre Malta all’ultimo si è tirata indietro per motivi legati alla questione della gestione dei flussi migratori.
Questo avviene mentre è sempre più realistico il rischio di una ulteriore escalation del conflitto, come afferma lo stesso Di Maio: “Prosegue l’escalation sul terreno, c’è il rischio di uno scontro sempre più violento, resta valida l’analisi secondo cui nessuna delle due parti sia in grado di prevalere militarmente, ma il perseguimento della fragile tregua e del cessate il fuoco appare come un obiettivo ancora difficile da raggiungere“. [8]

Luigi Di Maio

L’esperienza dimostra come, seppur mascherata da “operazioni di sostegno alla pace”, sia sotto forma di missioni delle Nazioni Unite, sia nel quadro della Politica di sicurezza comune dell’UE, come appunto la IRINI, queste missioni sono state sempre il pretesto e il veicolo per brutali interventi imperialistici.
Non si può escludere che questo contingente sia il preludio di un ulteriore successivo intervento diretto nel campo di battaglia, se gli interessi dei monopoli italiani lo richiederanno, in un contesto in cui la crisi economica accelera le competizioni e i conflitti. Non a caso il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha parlato di necessità di una “ripresa tempestiva delle attività operative all’estero, dal momento che l’attuale scenario di sicurezza internazionale non presenta prospettive positive ed è al contrario a rischio di ulteriori aggravamenti”. Contemporaneamente, si discute dell’ampliamento dell’ospedale “civile” di Misurata dove già hanno base 300 soldati italiani.

Processi in rapido e intenso sviluppo
In questo contesto, gli USA hanno preso pubblicamente posizione contro l’offensiva militare lanciata da Haftar, per la prima volta da quando è stata avviata nell’aprile 2019, con il dipartimento di Stato che ha dichiarato di “non sostenerla”, accusando contestualmente la Russia e il governo siriano di inviare uomini e materiale militare in Libia a sostegno di Haftar. “Il ruolo della Russia in Libia ha portato a una significativa escalation della guerra: Mosca sta usando la guerra in Libia per ampliare la sua influenza in Nord Africa“, ha dichiarato Henry Wooster, Vice segretario aggiunto per il Maghreb e l’Egitto,[9] sottolineando che “nessuno deve illudersi che la Russia faccia i bagagli e se ne vada ora che si è inserita nel conflitto libico“. Contemporaneamente l’ONU ha reso pubblica la presenza di 800-1200 mercenari del gruppo russo Wagner che combattono al fianco di Haftar, mentre sono presenti sul suolo libico 8.500 mercenari jihadisti del FSA alleati di Ankara che, trasferiti dal fronte nella Siria settentrionale, combattono adesso con il GNA di Al-Sarraj.

Domenica 3 maggio, Agulah Saleh, presidente del parlamento libico eletto, con sede a Tobruk, nella Libia orientale del generale Haftar, ha tenuto una conversazione telefonica con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tripoli, Richard Norland. Secondo le notizie, Saleh avrebbe accolto “l’importanza di un approccio costruttivo congiunto tra la Libia e gli Stati Uniti“. Secondo quanto riferito, hanno anche convenuto che il conflitto dovrebbe concludersi al fine di riprendere i colloqui di pace volti a risolverlo politicamente.

Questo avviene mentre si aprono delle crepe all’interno della Cirenaica tra Haftar e Saleh, che gode anche di ottimi rapporti con l’intelligence saudita e con l’Egitto. Anche la Russia, dal canto suo, ha criticato le mosse di Haftar: “Non approviamo le dichiarazioni con cui il Maresciallo Haftar sembra voler decidere da solo la vita del popolo libico” ha dichiarato il ministro degli esteri Lavrov, non gradendo nemmeno il tentativo di allontanare Saleh dopo l’annuncio, lo scorso 28 aprile, di un suo “piano per una soluzione politica”, redatto, per sua stessa ammissione, insieme alla Russia, secondo quanto riportato dal The Libia Observer[10].

Anche sul lato di Tripoli, nonostante gli avanzamenti sul piano militare, la situazione politica è tutt’altro che stabile, approfondendosi lo strappo tra il premier Al-Sarraj e il governatore della Banca Centrale, Al Sadiq al Kabiir, dopo una serie di dichiarazioni e scambi di accuse tra i due sulla politica monetaria durante lo scorso aprile e l’inizio di maggio, il che rende molto difficile la crisi finanziaria del GNA.

Erdogan

A rafforzarsi è sicuramente il ruolo della Turchia, con Erdogan che si dichiara pronto ad intervenire con maggiore forza e a compiere “nuovi passi” se Haftar non si ritirerà. “Se le nostre missioni e interessi in Libia sono presi di mira, considereremo le forze di Haftar obiettivi legittimi“, ha affermato il Ministero degli Esteri turco in risposta agli attacchi subiti. La borghesia turca è tra i maggiori investitori in Libia, con accordi per realizzare progetti d’intervento, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari attraverso la Turkey Contractors’ Association. Da rilevare anche come il recente volo di un aereo turco sull’isola di Gerba, in Tunisia con il cosiddetto “aiuto umanitario contro la pandemia”, abbia reso evidente la crescente relazione della Turchia e del Qatar, che sostengono Tripoli, con la Tunisia, con i suoi riflessi sul confinante scenario libico. Una situazione che sta creando tensioni interne alla Tunisia, con i partiti di opposizione che hanno accusato il premier Said di essere sottomesso alle ambizioni turche denunciando anche “l’attività turca sul suolo tunisino in cerca del sostegno di militanti e terroristi e l’invio di mercenari nella vicina Libia”.

L’obiettivo del governo borghese turco è quello di accrescere la sua influenza nella più ampia regione per promuovere gli interessi dei monopoli turchi dal Medio Oriente all’Africa settentrionale fino al Corno d’Africa[11] e, naturalmente, inserire un cuneo negli interessi energetici competitivi dal Mediterraneo orientale fino a quello meridionale e dunque alla Libia.
L’11 maggio, i ministri degli esteri di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Grecia, Francia e Cipro hanno rilasciato una dichiarazione congiunta di condanna delle azioni del governo turco in Libia e nel mediterraneo orientale[12], suscitando la dura reazione del ministro degli esteri tripolino che ha lamentato le ingerenze negli affari libici e puntato il dito principalmente contro gli EAU, così come a stretto giro ha fatto anche il ministro degli esteri turco che ha parlato di “asse del male” e accusato gli Emirati Arabi Uniti, schierati con il generale Haftar, di “portare il caos” in Libia e Yemen attraverso i loro interventi in quei paesi. Sulla stessa scia, anche le “autorità” del sedicente “stato turco-cipriota” (che occupa illegalmente la parte settentrionale di Cipro) hanno lamentato le ingerenze negli affari relativi alla spartizione del Mediterraneo orientale e sfruttamento delle risorse, rivendicando che ”la Turchia e la TRNC sono determinate a proteggere i loro interessi nel Mediterraneo orientale e nella “Patria blu”. Non si può tornare indietro da questo“. In questo contesto, la sospensione – ufficialmente a causa del Covid-19 – delle piattaforme di perforazione, pianificate nel Mediterraneo sud-orientale da giganti dell’energia come ExxonMobil, Eni, Total[13], ha alimentato le discussioni sulla “rivalutazione” dei progetti energetici, con la Turchia che ha chiamato ad un “dialogo autentico e realistico“, osservando che le “difficoltà economiche incontrate da vari paesi e società hanno dimostrato che l’apertura alla comunità internazionale del gas naturale nel Mediterraneo orientale attraverso la Turchia è l’opzione più economica e logica“.

Gasdotto EASTMEDNegli stessi giorni il parlamento greco ha votato (con l’opposizione del KKE) la ratifica dell’accordo per la costruzione del gasdotto EastMed (sostenuto da Grecia, Israele, Cipro, USA e UE) che collegherà i giacimenti Leviatano israeliano e Afrodite cipriota dal Mediterraneo orientale alla Grecia, trasportando il gas verso l’Europa attraverso l’Italia, progetto sostenuto dall’UE come ulteriore mezzo per diversificare l’approvvigionamento energetico e ridurre la dipendenza dalla Russia, tagliando fuori anche la Turchia. Da notare come il ministro dell’energia greco, riferendosi all’Italia, abbia affermato di “aspettarsi risposte positive” per l’adesione al progetto.

In reazione, la Turchia ha confermato che continueranno le attività di esplorazione nel Mediterraneo orientale alla luce del memorandum d’intesa siglato lo scorso 27 novembre a Istanbul tra la Turchia e il GNA di Al-Sarraj per la delimitazione dei confini marittimi.[14] Il ministro dell’energia turco ha provocatoriamente risposto che questo accordo “ha rafforzato la presenza della Turchia nel Mediterraneo” e ha aggiunto che “coloro che volevano tenere la Turchia fuori dall’equazione nel Mediterraneo adesso sono fuori gioco“.

Contemporaneamente il segretario generale della NATO, Stoltenberg, rilascia una intervista al quotidiano Repubblica (particolare di non poco conto) in cui dichiara che “la NATO è pronta a sostenere il governo di Tripoli”, precisando che “siamo 30 paesi della NATO e possiamo avere posizioni diverse su questioni diverse, ma Ankara è un alleato importante”.[15] Una dichiarazione accolta con grande soddisfazione da Tripoli e Ankara, che ha particolarmente spiazzato il governo greco che si è affrettato a dichiarare di “aver ricevuto assicurazioni che le dichiarazioni del segretario generale non sono state riportate correttamente”, a testimonianza delle contraddizioni interne alla NATO.

Possiamo così notare come la guerra in Libia sia sempre più intrecciata con quella in Siria e con le dispute nel Mediterraneo orientale e nello Stretto di Bab El Mandab, che si inseriscono in un parziale rimescolamento delle alleanze sulla scena mediorientale con l’emergere di potenze regionali con propri interessi sempre più forti.
Prendiamo come esempio caratteristico quello degli Emirati Arabi Uniti (EAU) che, tra i principali sostenitori di Haftar[16], stanno compiendo mosse diplomatiche alla ricerca di un’intesa con la Siria in chiave antiturca, contro la quale, fino a poco tempo fa, sostenevano le milizie jihadiste. L’obiettivo è quello di spingere il governo di Damasco a riprendere il controllo di parte del suo territorio settentrionale per deviare l’attenzione della Turchia dal teatro libico e concentrarsi maggiormente nel conflitto che si svolge a ridosso dei suoi confini e di indebolire le aspirazioni egemoniche turche sul Mediterraneo orientale, ricco di giacimenti di gas, rivendicati anche da Cipro e da Israele[17] con relativi progetti di pipeline verso l’Europa in competizione tra loro. Significativo a riguardo è l’accordo firmato tra gli EAU e Israele (che formalmente non riconoscono ma con cui sono sempre più strette le relazioni con conseguenze sulla questione palestinese) per la fornitura di un sofisticato sistema di difesa aerea destinato all’LNA di Haftar. Negli ultimi due anni gli EAU hanno mostrato un attivismo regionale molto intenso, fatto di scelte audaci per far avanzare i propri interessi, a volte in collusione e a volte in collisione con l’Arabia Saudita, il loro partner più forte. Oltre a sostenere e rifornire Haftar in Libia, gli EAU sono impegnati nel conflitto in Yemen, puntando il loro mirino in particolare contro un’altra forte potenza regionale nell’area del Golfo, l’Iran, e con l’obiettivo di promuovere le loro ambizioni strategiche sul Mediterraneo, visto come proprio prolungamento geopolitico, creando continuità per una serie di scali portuali che risalgono dalla Penisola Arabica al Corno d’Africa fino a Suez e proseguono verso la Libia. Sistema che gli emiratini vorrebbero sovrapporre alla “Nuova Via della Seta” cinese, che fa rivivere le vecchie rotte commerciali della seta in competizione con gli interessi degli Stati Uniti e dell’UE.

La Libia stessa fa parte del puzzle dell’iniziativa della Cina che non è di certo indifferente al conflitto in corso, mantenendo apparentemente contatti con entrambe le parti in guerra.Gli sviluppi si stanno accelerando pericolosamente nel groviglio di competizioni interimperialiste
Il ruolo delle potenze imperialiste nella regione è molto complesso, in un groviglio di interessi di potentissimi monopoli che si scontrano per la ripartizione di zone d’influenza, mercati, rotte commerciali, risorse energetiche, gasdotti e punti geostrategici cruciali. Il conflitto libico è una delle arene della contesa interimperialista nell’ampia regione collegata a tutti gli altri fronti aperti dalla Siria allo sfruttamento dei giacimenti del Mediterraneo orientale, al controllo dei crocevia commerciali del Canale di Suez, dello stretti di Bab el-Mandeb e Hormuz, del golfo Persico e di quello di Aden in Yemen, a loro volta tasselli di una competizione globale che si va acuendo sempre di più con la pandemia di coronavirus e la crisi capitalistica, con il rimescolamento di alleanze e posizioni di forza nel sistema imperialista internazionale.

Dopo aver distrutto la Libia con gli attacchi USA e NATO nel 2011, i centri imperialisti tornano pesantemente per spartirsi la “torta” con i preparativi di un nuovo saccheggio a danno del popolo libico, cercando di massimizzare la loro parte della vasta ricchezza naturale e minerale della Libia e di assicurarsi le loro posizioni, nel contesto del più ampio confronto interimperialista. L’importanza geostrategica della Libia, che non si limita solo allo sfruttamento delle sue ricche risorse energetiche si estende alla presenza nel Mediterraneo e ai riassestamenti nell’Africa settentrionale, costituisce una “porta” di penetrazione nel continente africano, dal Sahel al Corno d’Africa[18] – Etiopia, Somalia, Eritrea, Sudan, Gibuti – dove avanza la penetrazione di potenze come Turchia, Russia, Cina, EAU, Arabia Saudita, Israele.

Caratteristica la situazione di Gibuti che ospita la prima base militare cinese nel continente, ma anche basi e contingenti militari di USA, Francia, Giappone, Arabia Saudita, Germania, Spagna e Italia.
Dalla Libia al Sahel (Niger), al Corno d’Africa (Gibuti), l’Italia ha una propria presenza militare ed è tra i primi paesi per esportazioni di capitali nel continente africano in cui il monopolio energetico ENI conserva il primato di principale attore energetico, con una presenza in 13 paesi in cui produce oltre la metà della produzione totale di greggio e gas naturale del gruppo. In questi scenari pericolosi, le brame della borghesia italiana e di monopoli come l’ENI sono sostenute dalla politica del governo dietro il paravento degli “interessi nazionali”, coinvolgendoci sempre di più nella complessa situazione sul terreno libico, nel groviglio di potenze imperialiste globali e regionali con i loro rispettivi interessi geopolitici dietro le due parti in guerra.

Il crescente accumulo di “materiale infiammabile” nella regione accelera questi pericolosi sviluppi con la concorrenza, sempre più intensa, tra potenti centri imperialisti e con il coinvolgimento di potenze regionali con i loro interessi particolari, che giocano un ruolo sempre più decisivo, sul piano delle alleanze strategiche, per il successo dei piani delle grandi potenze imperialiste, cosa che avvicina il rischio di una guerra generalizzata. In ogni caso, è chiaro che i “desideri” di promuovere una “soluzione politica” in Libia sono collegati con i piani militari e di spartizione che hanno gli interessi dei monopoli e degli stati capitalisti come base.

L’Ordine Nuovo continuerà a tenere alta l’attenzione e l’informazione su questi sviluppi. La lotta contro i pericolosi piani di guerra e di spartizione imperialista, proiezione militare e diplomatica dello sfruttamento di classe per i profitti dei monopoli, contro la partecipazione e il coinvolgimento del nostro paese, contro gli interessi della borghesia e dei monopoli italiani, al cui servizio operano lo Stato e il governo, e le loro alleanze internazionali come UE e NATO, deve essere tempestivamente posta al centro della mobilitazione dei lavoratori del nostro paese.



[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/afr...28afb00f75.html

[2] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-27/...-libia-8456233/

[3] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/...ripoli-8479662/

[4] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/...haftar-8487041/

[5] Dopo giorni di aspri combattimenti le forze regolari del GNA hanno conquistato la base il 18 maggio https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/afr...de499635df.html

[6] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2...alogo-politico/

[7] https://www.agenzianova.com/a/5eb52e92bd8d...bia-occidentale

[8] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...html?refresh_ce

[9] https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/0...tar_-256000761/

[10] https://www.libyaobserver.ly/news/hor-spea...t-south-tripoli

[11] http://nena-news.it/petrolio-aiuti-umanita...-corno-dafrica/

[12] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2...io-diplomatico/

[13] Monopoli che possiedono le concessioni da parte della Repubblica di Cipro per l’esplorazione delle aree assegnate nella ZEE cipriota che non viene riconosciuta dalla Turchia che rivendica parte di quest’area inviando proprie navi perforanti e militari in contrasto.

[14] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/eur...a680167314.html

[15] https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2...nte_-256546000/

[16] Alcuni giorni fa, gli aerei da combattimento UAE Mirage 2000-9, presumibilmente decollati da una base militare in Egitto, hanno distrutto depositi di armi turche e aerei telecomandati UAV Bayraktar TB2 all’aeroporto di Misrata, che viene utilizzato dal governo di Al-Sarraj.

[17] http://www.senzatregua.it/2019/12/22/sui-p...aneo-orientale/

[18] Che si affaccia sullo stretto di Bab el-Mandeb, Mar Rosso verso il Canale di Suez e golfo di Aden.
view post Posted: 23/5/2020, 08:00 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (carre @ 20/5/2020, 23:01) 

Dopo il minuto 40:00 arriva l'autocritica (di rimando) sulle scelte politiche passate.
È interessante la critica al riformismo, analoga a quella spesso espressa anche qui sul Forum
view post Posted: 20/5/2020, 08:11 ScintillaRossa sui social - Proposte, critiche, opinioni
CITAZIONE (Kollontaj @ 19/5/2020, 20:08) 
Twitter potrebbe effettivamente tornare molto utile, non se n'è fatto ancora niente un po' per mancanza di tempo, e per quanto mi riguarda, anche per mancanza di idee, cioè io personalmente non saprei bene come usare twitter al meglio.
khleb aveva delle buone idee a riguardo.

Abbiamo provato più volte l'arrembaggio a Twitter, l'ultimo sono stato io. Ho creato un profilo e ho pubblicato il primo tweet, immediatamente bloccato dal sistema che mi ha considerato un robot e mi ha chiesto un numero di telefono. Il tentativo si è arenato per adesso.
In ogni caso in questa fase manterrei la discussione nella sezione riservata
view post Posted: 18/5/2020, 15:21 L'imperialismo si organizza in Bolivia - Esteri
Bolivia: tra pandemia e tensioni sociali. Un'intervista per capire meglio cosa sta succedendo

1) Abbiamo visto che in queste settimane si stanno intensificando le mobilitazioni in Bolivia. Cosa sta succedendo? Quali sono i motivi scatenanti delle proteste?


1) In Bolivia dal 17 Marzo siamo in quarantena obbligatoria. Gradualmente è stato istituito un coprifuoco generale con il controllo dei militari armati nelle strade, sono stati sospesi tutti i mezzi pubblici e privati, sia nelle città che da città a città, bloccati i voli nazionali e internazionali. Sono state chiuse le attività commerciali e le fabbriche. Il tutto senza che il Governo abbia realmente messo in atto delle politiche di supporto al reddito. Inizialmente, vinto dalla paura della pandemia, il popolo boliviano, seppure con difficoltà si è chiuso nelle proprie case. Ma la situazione è peggiorata quando, ad Aprile, è cominciata a trapelare la notizia che le elezioni presidenziali previste per Maggio sarebbero state nuovamente spostate. Il mix dovuto alla perdita dei più elementari diritti collettivi e privati, al fatto che numerose famiglie si sono ritrovate a non avere più nessuna forma di reddito e all’ennessimo spostamento delle elezioni, ha di fatto scatenato le prime proteste in Bolivia. La prima città a scendere in strada è stata Riberalta, nella regione di Pando, in Amazzonia. Un corteo spontaneo ma determinato, che chiedeva aiuti alimentari e reddito, che si è scontrato con la polizia e i militari.


2) Come sta affrontando l'emergenza pandemica il governo autoproclamato di Jeanine Áñez?


2) Il governo autoproclamato della Anez ha di fatto paralizzato un Paese senza offrire aiuti concreti alle famiglie boliviane. Ha istaurato un coprifuoco , un sistema per il quale non si può uscire mai dalle case. Mai. E’ permesso solo recarsi al supermercato o al mercato una volta a settimana, in un orario che va dalle 7 alle 12, in base al numero finale del documento di identità. Tutti i media e i quotidiani della Bolivia sono stati “presi” dal "governo di transizione" e a tutte le ore raccontano della quarantena e della pandemia. Parlare di altro o di elezioni pare non essere permesso. I tamponi non vengono eseguiti e si è creata una spettacolarizzazione (tramite foto, video e interviste) delle “medidas de seguridad”, ovvero delle misure di sicurezze messe in atto dalla Anez. Misure di sicurezza che non servono a nulla. Ad esempio vengono affumicati mercati e supermercati, vengono creati dei posti di blocco fittizi, ogni giorno i militari, sempre ripresi dalle telecamere, inondano le strade di liquidi non bene identificati. Questo basta alla Anez per rendere il tutto un grande show, e provare a tenere il popolo boliviano attaccato alla tv, facendo vedere che il suo governo sta facendo di tutto per la sua gente.

Bol prof mercato

La verità è che è tutto un grande bluff e il governo attuale non è stato in grado in due mesi di mettere in atto nessuna forma rilevante di aiuto economico e sociale. In diretta nazionale la Anez ha presentato un mese e mezzo fa il "Bono de Familia", un aiuto di 500 bob (circa 65 euro). Questo bonus si può richiedere solo se si ha nel nucleo famigliare un figlio. E questo bonus non va alla persona, ma all’intero nucleo famigliare. Pensate, quindi a tutte quelle persone che non hanno figli, e sono escluse da ogni tipo di aiuto. Ma allo stesso tempo, pensate come si possa vivere un mese con 65 euro in un nucleo famigliare di due genitori e un figlio. Insomma, un disastro.


3) Più in generale qual è lo scenario politico e istituzionale che si è dato dopo il colpo di stato contro Morales?


3) Da Novembre 2019 la Bolivia è stata di colpo stravolta da diversi aspetti. In primo luogo, questo doveva essere appunto un governo di transizione, che aveva il solo compito, secondo anche la stessa Anez di traghettare il popolo boliviano alle elezioni. Di fatto non è avvenuto e questo governo autoproclamato ha iniziato a legiferare. In soli 5 mesi ha, per esempio, approvato una decine di leggi speciali in cui molti terreni pubblici di El Alto, Pando, Potosì e altre regioni sono stati venduti e/o dati in gestione a titolo gratuito a enti privati e a personaggi di spicco della grande industria capitalista boliviana e occidentale. Qualche giorno fa è stato emesso il Decreto Supremo 4332 con il quale il governo golpista approva la produzione e l’uso di semi OGM (dalla canna da zucchero al mais) favorendo le grandi industrie a discapito delle migliaia di piccole comunità locali ( soprattutto Ayamara e Quechua ) che lavorano la terra.

Tra Gennaio 2020 e Marzo 2020 sono stati modificati, tramite decreti supremi (una sorta del nostro DCPM), diverse leggi approvate dal 2007 al 2019 dai precedenti governi Morales. Sono stati inseriti , dalla Anez, nomi di spicco della destra boliviana ultracattolica nella Polizia di Stato, nell’Esercito e nei servizi della Difesa. Più volte il governo di transizione ha provato a coprire nelle cerimonie ufficiale la bandiera Whipala, che è inserita per legge da ormai un decennio come bandiera ufficiale dello Stato Plurinazionale della Bolivia e che rappresenta gli antichi popoli andini uniti.
In tutto ciò le destre, che a Novembre 2019 erano unite contro Evo Morales, ad oggi risultano sparpagliate, divise e l’una contro l’altra. I candidati alla Presidenza sono otto, di cui sei a rappresentanza delle destre. Negli ultimi sondaggi il Mas, era dato al 33%, seguito dall’omofobo e sessista Mesa al 18 % e dalla stessa Anez al 16 %.

4) I disordini più significativi si sono verificati per ora a Cochabamba che in un primo momento è stata anche una delle città più attive nelle proteste pregolpe contro il governo di Morales. Come ti spieghi questa traiettoria? Che ruolo sta giocando il MAS nelle mobilitazioni?


4) Quello che sta succedendo nelle ultime settimane è lo specchio di qualcosa che in molti e molte si aspettavano. Il Mas, negli ultimi anni di governo, stava piano piano implodendo, preso da bieche interne, corruzione e da una fortissima centralizzazione del potere attorno alla figura di Evo Morales. Tutto questo ha portato i movimenti sociali, collettivi e parecchie associazioni Quechua e Aymara ad allontanarsi dal partito di Evo, togliendo il loro essenziale appoggio. Parecchie persone , soprattutto nelle città fuori le due metropoli La Paz e Santa Cruz , vedevano quindi di buon occhio un cambiamento di leadership in Bolivia e hanno appoggiato i primi moti pregolpe a Novembre 2019, quasi a scatola chiusa, senza sapere in verità chi fossero i vari Mesa, Camacho e Anez. In quel mese l’esercito ebbe un ruolo fondamentale nel golpe e le destre dipinsero l’esercito e le forze armate come salvatori della patria. Oggi, però a distanza di qualche mese dai questi fatti, le stesse persone che avevano in qualche modo appoggiato l’ascesa della presidenta Anez si sono ritrovate non solo ad essere completamente abbandonate dal governo attuale, che non ha mantenuto le promesse delle elezioni e di un cambiamento, ma addirittura lo stesso esercito tanto osannato dalle destre è diventato il braccio armato di uno Stato che annienta i più basilari diritti del popolo stesso. I fatti di Cochabamba vanno inseriti in questo contesto. Una città, Cochabamba, chiamata fino a qualche tempo fa Ciudad Jardin, ricca e centro nevralgico della produzione agricola e petrolifera. Dove il malcontento è salito vertiginosamente in questi due mesi. Non è un caso che le prime persone a scendere nelle strade di Cochabamba siano state operai, agricoltori e tutte le lavoratrici e i lavoratori colpiti dalla crisi pandemica ma ancora di più dalla crisi sociale ed economica.

Il Mas, nello scenario attuale, prova a canalizzare su di sé questa forte rabbia e insoddisfazione. In verità, nonostante il partito di Morales sia molto presente nelle stratificazione sociale del Paese, le proteste hanno ancora da una parte un forte carattere spontaneo e dall’altra parte la grande spinta di movimenti, collettivi e associazioni legati ai territori.
Senza queste ottiche sarebbe impossibile provare a decifrare ciò che sta succedendo nel Paese Latinoamericano. Seppur ci siano molte contraddizioni e all’apparenza queste due cose sembrino diverse, lo spontaneismo radicale delle proteste e i movimenti sociali e le numerose associazioni sono, ad oggi, la chiave di volta per leggere e comprendere non solo i fatti di Cochabamba ma tutto il contesto boliviano.


5) Quali sono le strategie di lotta che stanno mettendo in campo i boliviani al tempo della pandemia? Come stanno affrontando il rischio epidemico le organizzazioni e associazioni comunitarie di movimento in Bolivia? In che modo sono coinvolte nelle proteste?

5) I movimenti, le associazioni e i comitati presenti in Bolivia restano, a mio avviso, un qualcosa di unico nel panorama politico e sociale latinoamericano. Mentre in Argentina, Cile, Messico, Colombia (solo per citarne alcuni) forse sono un qualcosa di più immediato da decifrare, in Bolivia i movimenti sono molteplici e tutti con strutture legate al territorio senza una particolare organizzazione centrale. Fa un po' eccezione Ni Una Menos Bolivia, che un po' come in tutto il mondo, ha diversi nodi territoriali e una sorta di coordinamento nazionale.

I movimenti sociali a difesa dei territori hanno una potenza enorme. Sono praticamente in tutte le regioni della Bolivia, dalle Ande fino in Amazzonia e hanno un grande protagonismo dei popoli quechua, aymara e guaranì. Sono movimenti autorganizzati che lottano per difendere le proprie terre, autogestiscono con la collettività scuole ed educazione, si prendono cura della pachamama, hanno formato mercati popolari e reti di acquisto solidale e all’interno hanno spesso delle forme di sindacalismo molto ben strutturate e forti. Un esempio sono i minatori di Potosì o le associazioni e i collettivi sul lago Titicaca. Sono pochissimi i casi di occupazione di edifici o spazi. Soprattutto le culture aymara preferiscono rimanere in stretta relazione con la natura e quindi, anche le assemblee, ad esempio, vengono fatte all’aperto, nelle campagne, nelle piazze. Sono movimenti che stringono relazioni importanti con la collettività e la solidarietà attiva è una delle armi principali. In questi mesi vissuti in Bolivia la cosa che mi ha più, da un punto di vista emozionale, sconvolto è la capacità dei movimenti di diventare in breve tempo comunità. Una cosa simile, con le dovute differenze ovviamente, la si può forse rivedere in Italia nel movimento No Tav.

Tutti questi movimenti, per un decennio hanno appoggiato il Movimento Al Socialismo di Evo Morales, seppur di rado entrando nel partito stesso. Da qualche tempo invece sono in rotta con il Mas, reo colpevole di essere diventato un partito di burocrati, spesso corrotti, e di aver smarrito la bussola delle lotte confederali. Durante questi due mesi, i movimenti hanno continuato a supportare le popolazioni, fornendo dispositivi di protezione individuali per difendersi dal Covid19 e facendosi carico, con una capillare autogestione, del problema del reddito: spese collettive e solidali, vertenze lavorative, gruppi di sostegno psicologico e molto altro ancora. E sono gli stessi movimenti a chiedere a gran voce nuove elezioni e la caduta del governo della Anez. Il dato interessante è che qui in Bolivia si sono iniziati a rompere i divieti e le imposizioni militari, assieme e collettivamente. E questa novità ha colto di sorpresa il governo. Che sta facendo fatica ad arginare le proteste e che anzi, aumentano di giorno in giorno in tutto il Paese.

6) Quali potrebbero essere secondo te gli scenari a venire?

Lo slittamento delle elezioni presidenziali e la crisi sociale ed economica dovuta allo scoppio della pandemia di coronavirus in Bolivia mescolata all’inadeguatezza del governo autoproclamato della Anez, ha di fatto ricompattato i movimenti sociali, le associazioni e buona parte del Mas. A questi pezzi importanti , si sono aggiunte migliaia di persone lontane da tempo da dinamiche di movimento e/o di partito, che spontaneamente stanno iniziando ad organizzare , via social e via informale, cacerolazi, petardazi ( lanci di fuochi d’artificio in strada dalle proprie finestre) e cortei un po' ovunque. Di pari passo, la Anez sta cominciando a perdere il già risicato appoggio che aveva a Novembre 2019. E non curante di tutto ciò, continua a mandare l’esercito in strada armato. Tutto questo , a breve, andrà a sfociare in un “paro” generale ( le boliviane e i boliviani parlano di paro quando un intero Paese si blocca, scendono nelle strade in cortei selvaggi e marciano verso La Paz) Se da una parte sono convinto che queste mobilitazioni mettano in risalto la grande dignità dei movimenti e dei popoli boliviani, dall’altra non posso che evidenziare quanto sia complesso il tutto, con migliaia di persone “costrette” a scendere nelle strade con il rischio di aumentare il numero degli infetti di covid19, per difendere i propri diritti e per lottare sostanzialmente per l’accesso al cibo, al reddito, al lavoro.
Nel frattempo, ho compreso ormai da tempo che tra il Mas e questo governo fantoccio di ora, c’è una marea di gente, vite, a volte dimenticate, contadini, donne e uomini, lavoratori e lavoratrici, ultime e ultimi, che per arrivare a fine mese, qui in Bolivia, devono lottare con i denti. Solo per vivere. Io sto con loro. Con le loro comunità. Con i loro movimenti. Con le loro realtà autorganizzate.
view post Posted: 12/5/2020, 21:03 Maturità 2020: bocciare tutti? - Off topic
Tizià a te che ti frega il prossimo anno inizi le medie! Come cresce in fretta il nostro babybolscevico
1957 replies since 3/10/2009