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L’origine ideologica del fascismo: l’attacco alla ragione

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view post Posted on 12/2/2024, 19:26
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L’origine ideologica del fascismo: l’attacco alla ragione



Carlos Hermida

Partito Comunista di Spagna (Marxista-Leninista) – PCE(ml)

L’ORIGINE IDEOLOGICA DEL FASCISMO: L’ATTACCO ALLA RAGIONE



Il pensiero europeo tra il 1870 al 1914

Tra il 1870 e il 1914 avvennero in Europa una serie di processi economici, politici e sociali che corrispondevano alla diffusione di un insieme di correnti ideologiche reazionarie che rappresentavano un punto di caduta del pensiero europeo, una cesura e una regressione ideologica che sarebbe culminata nel fascismo.

Attorno al 1870 iniziò la seconda rivoluzione industriale, caratterizzata dall’uso di nuove fonti di energia (petrolio ed elettricità), innovazioni nel processo produttivo (taylorismo, catene di montaggio), concentrazione industriale (trust, cartelli) e l’emergere di nuove potenze industriali. L’enorme sviluppo delle forze produttive nelle principali potenze capitaliste condusse al bisogno per la borghesia di cercare nuovi mercati per vendere una massa enorme di merci che non trovavano più sbocco nei mercati nazionali. D’altra parte, l’enorme crescita nella produzione spinse anche le principali potenze capitaliste a cercare fonti di materie prime a buon mercato come mezzo di riduzione dei costi e di produzione delle merci al minor prezzo in uno scenario in cui era feroce la competizione tra imprese e paesi. Se fino alla metà del XIX secolo il Regno Unito era la principale potenza industriale al mondo, la situazione cambiò nettamente nel 1914. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti erano diventati la potenza industriale guida, con la Germania al secondo posto mente il Regno Unito era sceso al terzo posto.

In quegli anni lo sviluppo del capitalismo condusse all’imperialismo. Le principali potenze europee iniziarono a conquistare il mondo africano e asiatico. Alla Conferenza di Berlino (1884-1885) fu deciso di dividere l’Africa, principalmente a vantaggio di Inghilterra e Francia, sebbene anche Germania, Belgio, Portogallo, Italia, e Spagna presero parte al saccheggio. Anche molta parte dell’Asia rimase nelle mani europee. Gli USA e il Giappone si unirono alla razzia e al saccheggio. Ottenere materie prime e mercati, investire capitali e sfruttare la manodopera autoctona erano i motivi della conquista e della nuova spartizione dei popoli africani e asiatici.

La rapida crescita del capitalismo ebbe anche un’altra conseguenza: lo sviluppo della classe operaia. Il proletariato industriale non solo aumentava numericamente ma rafforzava la propria coscienza di classe. Tra il 1870 e il 1914 i partiti socialisti ottennero una presenza notevole nella vita pubblica europea, sia nei parlamenti che negli enti comunali [1].

Tutti questi cambiamenti avrebbero prodotto, come abbiamo detto dianzi, a trasformazioni ideologiche trascendentali. Durante la prima metà del XIX secolo, il pensiero europeo era stato largamente influenzato dall’illuminismo. Il liberalismo, il marxismo e l’anarchismo, mentre rispondevano a diversi interessi di classe, erano ideologie politiche che parlavano di progresso, uguaglianza, giustizia sociale ed emancipazione. Al contrario, dal 1870 in avanti, irruppero sulla scena ideologie che reagivano contro l’illuminismo; era ciò che potremmo chiamare un’inflessione irrazionalista. Il nazionalismo xenofobo, il razzismo, l’antisemitismo e l’irrazionalismo filosofico si diffusero in tutta l’Europa per mano di pensatori oggettivamente al servizio della borghesia, perché erano le classi dominanti europee ad essere interessate alla disseminazione di sistemi ideologici che servivano i propri interessi di classe.

Nazionalismo

Durante il periodo delle rivoluzioni borghesi, il nazionalismo fu generalmente collegato al liberalismo nella lotta contro l’Antico regime, ma ora assunse un carattere xenofobo, divenne un nazionalismo intensificato che vedeva le altre nazioni come nemiche [2]. Il cambiamento era legato alla competizione crescente tra borghesie, specialmente tra la borghesia inglese e tedesca. All’inizio del XX secolo, il pericolo di una guerra europea incombeva all’orizzonte. Da una parte vi era l’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) e dall’altra, gli Imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria) [3]. La rivalità crescente tra questi due sistemi di alleanze spiega la diffusione di questo nazionalismo intensificato. Era questione di preparare i popoli alla guerra, di seminare odio verso il nemico presupposto (Francia, Inghilterra, Germania, ecc.) e, di certo, di combattere le tendenze internazionaliste del socialismo. Di fronte alla lotta di classe e alla fraternità proletaria, la borghesia produsse il veleno del nemico straniero e dei sacri interessi della nazione.

Le classi dominanti usano il nazionalismo come un fattore di coesione sociale, come un collante interclassista che raggruppa l’intera società attorno al concetto di patria e ai suoi simboli: la bandiera e l’inno. Facendo appello ai sentimenti e alle emozioni opposti al pensiero razionale, la borghesia cerca un consenso senza il quale non può implementare i suoi piani espansionistici.

Lo sciovinismo francese e il jingoismo britannico erano caratterizzati da un nazionalismo intensificato e da un patriottismo bellicista che vedeva la guerra come una forma di affermazione nazionale e di espansione territoriale. Entrambe le formulazioni erano diffuse attraverso una stampa di massa a bassi costi di pubblicazione che raggiungeva ampi settori della società, inclusi settori delle classi popolari; anche l’estensione dell’alfabetizzazione e il servizio militare obbligatorio erano strumenti per nazionalistizzare le masse [4].

In Spagna, questo obiettivo non fu ottenuto perché due strumenti che erano fondamentali in altri paesi per la socializzazione del sentimento patriottardo erano carenti: la scuola e l’esercito. In Spagna le classi dominanti vedevano l’educazione come un pericolo per i loro interessi e privilegi. Gli operai dovevano restare nell’ignoranza, così i mali maggiori potevano essere evitati. Lo Stato trascurava i propri obblighi educativi e il risultato fu che nel 1900 il 70% erano analfabeti. Difficilmente si può acquisire il sentimento d’appartenenza ad una patria comune dove viene negata l’educazione più elementare. Quanto all’esercito, in molti paesi europei contribuì alla diffusione di sentimenti nazionali l’essere costituito sulla base del servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini, a prescindere dalle loro origini sociali. In Spagna, non giocò nemmeno quel ruolo. Dal 1875, l’esercito era progettato come uno strumento per difendere il trono e l’ordine sociale, più che come un corpo armato per difendere la nazione dagli attacchi esterni. I gendarmi dell’esercito venivano utilizzati per sopprimere brutalmente i conflitti sociali in cui la classe operaia e i contadini erano protagonisti. I settori popolari odiavano l’esercito, che era diventata una casta reazionaria e privilegiata. Questa ostilità era coadiuvata da un sistema di reclutamento assolutamente ingiusto. Consisteva nel sorteggiare ogni anno la quota di giovani che sarebbe dovuta entrare nei ranghi. Tuttavia, se si era scelti, si poteva evitarlo pagando un determinato ammontare di denaro (‘’la redenzione monetaria‘’). Questo meccanismo classista funzionava anche in caso di guerra. E in tal modo tanto patriottico, i rampolli della borghesia potevano vantare di essere spagnoli nei casinò, mentre i figli degli operai morivano a Cuba difendendo gli interessi dei latifondisti proprietari degli zuccherifici. Era impossibile per il nazionalismo dell’oligarchia avere radici popolari in queste circostanze [5].

Uno dei principali veicoli per l’espansione del nazionalismo era indubbiamente la Storia. In tutti i paesi, questa disciplina accademica contribuiva decisamente alla creazione di una determinata immagine della nazione, coi suoi miti ed eroi. La narrativa storica creava un’identità che si estendeva dalla notte dei tempi fino all’attualità. Nel periodo in discussione, uno dei principali rappresentanti del nazionalismo storico fu il tedesco Heinrich von Treitschke (1834-1896), un difensore della conquista coloniale, antisemita e favorevole a una concezione dello stato autoritaria e militarista. Il suo lavoro principale fu la Storia della Germania nel XIX secolo, di cui il primo volume apparve nel 1879 e nel corso di 26 anni apparvero altri sei [6].

Sebbene con differenze notevoli, è chiaro che tra il 1870 e il 1914 la borghesia europea riuscì a sollevare una diga nazionalista contro il socialismo e a fomentare un sentimento piuttosto generalizzato di esaltazione patriottica. La verifica del successo fu nel 1914, dove allo scoppio della guerra mondiale la classe operaia non rispose con forza, ma qui entrò in gioco anche un fattore chiave: il tradimento dei dirigenti socialdemocratici, che chiamarono alla difesa della patria e alla sacra unione con la borghesia. Solo i bolscevichi in Russia, che ingaggiarono una lotta tenace contro il revisionismo e l’opportunismo, adottarono una posizione chiaramente rivoluzionaria, chiamando alla trasformazione della guerra imperialista in guerra civile e rivoluzione[7].

Razzismo

L’irruzione del razzismo nel pensiero europeo è direttamente correlata all’imperialismo. La conquista e il saccheggio delle colonie dovevano essere giustificati ideologicamente, specialmente se teniamo conto che nella sinistra crescevano voci che condannavano e denunciano l’imperialismo. La piroetta ideologica della borghesia consisteva nel presentare la conquista coloniale come un lavoro civilizzatore di una razza bianca ‘’superiore’’ sui popoli afro-asiatici ‘’inferiori’’.

Nel 1863, il Dr. J. Hunt, fondatore della Società Antropologica di Londra, registrò nei verbali i contenuti di una delle sessioni scientifiche:

‘’Sono state effettuate le seguenti deduzioni.

Che ci sono buone ragioni per classificare il negro come una specie distinta dall’europeo come ce ne sono per rendere l’asino una specie distinta dalla zebra; e se prendiamo in considerazione l’intelligenza, vi è una differenza più grande tra il negro e l’anglosassone che tra il gorilla e lo scimpanzé.
Che vi sono analogie più numerose tra il negro e le scimmie che tra l’europeo e le scimmie.
Che il negro è inferiore, intellettualmente parlando, all’europeo…’’
Il lavoro iniziale del cosiddetto ‘’razzismo scientifico’’ si deve al francese Josep Arthur de Gobineau, che tra il 1853 ed il 1855 pubblicò il Saggio sulla Disuguaglianza delle Razze Umane, un lavoro diviso in sei volumi dedicati al tentativo di mostrare la superiorità della razza ariana. Il testo di Gobineau influenzò decisamente il saggista inglese, naturalizzato tedesco, Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), che nel 1899 pubblicò I Fondamenti del XIX Secolo, in cui difendeva la supremazia ariana e provava a dimostrare il supposto carattere ariano di Cristo; tutti con un forte contenuto antisemita.

La complicità di molti istituti di insegnamento superiore col razzismo fu estremamente utile alla borghesia nella sua difesa dell’espansione imperialista. Il logico corollario dell’esistenza di razze superiori e inferiori poteva solo essere la giustificazione della conquista di comunità razziali inferiori. Manipolando grossolanamente alcune asserzioni di Charles Darwin contenute nel suo brillante libro L’Origine delle Specie, il darwinismo sociale si fece strada tra settori della comunità scientifica e tra molti politici borghesi. Darwin si riferiva alla selezione naturale e alla sopravvivenza del più adatto, riferendosi all’evoluzione nel quadro della natura; cioè, si riferiva al processo biologico, ma ciò non ha nulla a che fare con le società umane che sono governate da leggi e norme sviluppate al di fuori della natura. I darwinisti sociali concludevano che l’evoluzione sociale fosse il risultato della vittoria delle razze superiori sulle razze inferiori. Il miglior esempio di questa variante del razzismo può essere trovato nel discorso del Primo Ministro inglese Lord Salisbury del 4 maggio 1898 nella Royal Albert Hall a Londra e riprodotto sul giornale ‘’The Times’’ il giorno seguente:

‘’Possiamo dividere le nazioni del mondo, approssimativamente parlando, in viventi e morenti. Da una parte, abbiamo grandi paesi il cui enorme potere aumenta di anno in anno, aumentando la propria salute, aumentando la propria potenza, aumentando la perfezione della propria organizzazione. Le ferrovie hanno dato loro il potere di concentrare in un singolo punto l’intera forza militare della propria popolazione e di assemblare eserciti di una grandezza e di una potenza mai sognate dalle generazioni precedenti. La scienza ha posto nelle mani di questi eserciti armi che aumentano la potenza, la terribile potenza, di coloro che hanno l’opportunità di usarle. Assieme a queste splendide organizzazioni, la cui forza sembra incapace di diminuire e che mantengono ambizioni confliggenti che solo il futuro potrà risolvere attraverso un sanguinoso arbitrato, assieme a queste, vi sono numerose comunità che posso solo descrivere come moribonde, sebbene l’epiteto è indubbiamente applicato loro in differenti gradi e con variegata intensità.

‘’….Per una ragione o l’altra, per necessità politica o sotto pressioni filantropiche, le nazioni vive si approprieranno gradualmente dei territori delle morenti e i germi e le cause del conflitto tra nazioni civilizzate emergeranno rapidamente… di certo non dobbiamo supporre che ad una singola nazione viva sarà consentito di avere il benefico monopolio di curare o di distruggere questi pazienti sfortunati ( ilarità)… questi problemi possono dar luogo a differenze fatali tra le grandi nazioni i cui potenti eserciti sono uno di fronte all’altro… certamente non permetteremo che l’Inghilterra sia posta in svantaggio in qualsiasi riassetto che potrebbe avvenire (applausi). D’altra parte, non dobbiamo essere invidiosi se l’ingrandimento di un rivale rimuove desolazione e sterilità di regioni che i nostri eserciti non possono raggiungere.’’

Come possiamo vedere, il Primo Ministro inglese non solo faceva mostra di un cinismo straordinario, ma possedeva anche un’enorme lungimiranza riguardo il futuro. I conflitti tra grandi nazioni avrebbero condotto al ‘sanguinoso arbitrato’’; in altri termini, nel 1898 la guerra del 1914 era già all’orizzonte.

La borghesia non esitò a giocare in pieno la carta del razzismo per giustificare l’espansione imperialista e le guerre che questa espansione comportava, con la sua ripartizione di oneri e sangue a carico delle classi popolari, occultando la realtà dello sfruttamento e del saccheggio dei popoli dell’Asia e dell’Africa dietro il supposto lavoro di civilizzazione [8].

Uno degli episodi più sinistri del razzismo fu l’esibizione di indigeni, principalmente afro-asiatici, in ‘’zoo umani’’ durante gli ultimi decenni del XIX secolo ed il primo decennio del XX secolo. Carl Hagenbeck (1844-1913), mercante e cacciatore di animali selvatici, fu il pioniere di questa pratica vergognosa quando nel 1975 organizzò un’esibizione di lapponi a Berlino e a Lipsia.

A Parigi, nel 1877, fu presentata una di queste ‘’mostre antropo-zoologiche’’ con 14 africani nubiani. A Madrid, nel 1887, fu organizzata un’esibizione con 43 indigeni filippini nel “Palacio de Cristal” nel Parco Retiro e a Barcellona, dal 1897, questo tipo di spettacolo fu organizzato con africani neri. Anche Norvegia, Inghilterra e Belgio ospitarono simili attività. Il fatto di sradicare esseri umani dal proprio habitat naturale e mostrarli pubblicamente in contesti ostili, in condizioni di estrema umiliazione, non sembrava un problema per ampi settori della società, tanto meno alle autorità che permettevano simili eventi. Il successo dell’esibizione del 1878 a Parigi, con 985.000 persone a Parigi visitatrici, indica che il veleno razzista penetrò profondamente in molti europei. Dietro una pretesa curiosità scientifica, gli zoo umani cercavano di imprimere nei cittadini che le differenze fisiche e le differenze del colore della pelle fossero inequivocabilmente una prova dell’inferiorità dei popoli dell’Africa e dell’Asia, che erano presentati come anelli di congiunzione tra gli animali e l’uomo bianco [9].

Antisemitismo

La discriminazione, la persecuzione, l’odio e la violenza fisica contro gli ebrei corrono parallelamente alla storia del cristianesimo. Accusati per secoli di aver ucciso il Cristo, le comunità ebree che si erano stabilite nei territori cristiani furono soggette a tutti i tipi di proibizioni, forzate a vivere in aree specifiche delle città e colpite periodicamente da ondate di cieca violenza. I massacri degli ebrei in alcuni momenti del Medioevo, come del XIV secolo, erano usati dalle autorità pubbliche come una valvola di sfogo che canalizzava l’ira delle masse popolari verso un obiettivo facilmente identificabile e impediva che il malcontento si rivolgesse al potere politico. Gli ebrei erano, per usare un’espressione colloquiale, ‘’capri espiatori’’.

Per secoli, il popolo ebraico disperso mantenne le proprie tradizioni e sviluppò una strategia basata sull’accettazione dell’arbitrarietà e dell’aggressione, senza rispondere con la violenza che era esercitata contro di loro. Altrimenti, rischiavano di essere sterminati.

Con la vittoria delle rivoluzioni borghesi in Europa, iniziò una fase in cui le discriminazioni legali contro gli ebrei venivano progressivamente abolite ed essi venivano integrati con pieni diritti nelle nuove nazioni borghesi. Nell’Europa occidentale e centrale, gli ebrei divenivano cittadini, i matrimoni interrazziali venivano legalizzati e molti ebrei abbandonavano le proprie vecchie tradizioni. Nell’Europa orientale, e specialmente nella Russia zarista, l’antisemitismo era ancora vivo e vi erano pogrom periodici.

Dagli anni ‘70 dell’Ottocento, l’antisemitismo sembrava essere un qualcosa del passato, perlomeno nei paesi più sviluppati, ma questa era una falsa impressione, come mostrarono due eventi.

Sorprendentemente, uno di questi avvenne nella Francia repubblicana, quella Francia che aveva stabilito i Diritti dell’Uomo e del Cittadino nel 1789 e che aveva spazzato via il feudalesimo e la monarchia assoluta con una rivoluzione ispirata dai principi dell’uguaglianza, della libertà e della fraternità.

Nel 1894 scoppiò l’Affare Dreyfus. Questo capitano dell’Esercito francese, di origini ebraiche, fu accusato senza prove di spionaggio e di tradimento per aver concesso documenti segreti ai tedeschi e fu condannato alla prigione a vita nell’Isola del Diavolo. La sentenza mise a nudo i pregiudizi antisemiti nell’esercito e la condanna creò un’enorme divisione sociale in Francia tra coloro che erano favorevoli a Dreyfus e coloro che lo avversavano. Per 12 anni, la famiglia dell’ufficiale condannato e i settori progressisti della società francese, guidati dallo scrittore Emile Zola, combatterono un’ardua battaglia per far rivedere il caso. Finalmente, nel 1906, la Corte di Cassazione riconobbe l’innocenza di Dreyfus, decise che fosse riabilitato e reinserito nell’esercito.

Durante questo lungo processo un ruolo fondamentale fu giocato dallo scrittore Emile Zola. All’apice del suo prestigio, il 13 gennaio 1898, pubblicò un lungo articolo sul giornale L’Aurore (L’Aurora), intitolato ‘’lo accuso’’, rivolto al Presidente della Repubblica, denunciando tutte le irregolarità nel caso. Condannato ad un anno di prigione per diffamazione, Zola evitò la prigione andando in Inghilterra.

L’atteggiamento di Zola segnò una svolta nell’atteggiamento degli intellettuali verso gli eventi politici, nel senso che la loro posizione, le loro manifestazioni ed i loro punti di vista avevano un peso nella vita pubblica ed erano capaci di creare opinione. Inoltre, la denuncia di Zola aiutò a creare la convinzione tra l’intelligentsia che l’impegno politico fosse inevitabile oltre alla loro attività professionale.

Il secondo evento avvenne dall’altra parte dell’Europa. Nel 1902 un libro pubblicato in Russia intitolato ‘’Protocolli dei Savi di Sion’’, un libello antisemita su una presunta cospirazione ebraica su scala internazionale per conquistare il mondo. Sebbene il lavoro fu presto dimostrato essere una falsificazione creata dalla polizia segreta zarista (l’Okhrana) ed i documenti presentati fossero pura invenzione, il libro fu ampiamente diffuso, specialmente dopo il 1917 e contribuì a fomentare sentimenti antisemiti.

L’affare Dreyfus e la pubblicazione dei Protocolli erano la punta di un iceberg di un fenomeno che non era un problema del passato, ma un sentimento ampiamente diffuso nelle società europee. Con maggiore o minore intensità, che fosse odio, pregiudizio o semplicemente invidia, l’antisemitismo era presente nell’universo ideologico ed emotivo di molti europei. In più, vi era ora una nuova componente. Mentre l’antisemitismo storico era fondamentalmente religioso, ora insisteva sulla componente razziale, come evidenziato nel testo di Eugen Dühring pubblicato in ‘’La Questione Ebraica’’ (1880):

‘’L’origine dello scontento generale percepito verso la razza ebraica è causato dalla sua inferiorità in tutti i campi intellettuali. Gli ebrei mostrano una carenza di spirito scientifico, una debole comprensione della filosofia, una inabilità a creare nella matematica e perfino nella musica. La fedeltà, la riverenza, il rispetto e tutte le cose sacre e nobili sono a loro estranee. Ecco perché questa razza è inferiore e depravata… è dovere del popolo nordico sterminare queste razze parassitarie nello stesso modo in cui sono sterminate le vipere e le belve.’’[10]

Perché l’antisemitismo divenne ancora una volta utile alle classi dominanti? Vi sono un paio di elementi che dovrebbero essere esaminati, almeno come ipotesi. Tra il 1873 ed il 1896 il capitalismo attraversava una grande crisi economica. Non era una questione di mere difficoltà economiche, ma una profonda depressione [11]. Incolpare gli imprenditori ebrei e le loro macchinazioni fu un’alternativa al crescente scontento sociale. E, d’altra parte, vi era il fatto che una parte dei cittadini ebrei si identificava politicamente con la sempre crescente socialdemocrazia. La tentazione di assimilare gli ebrei con un’ideologia che pretendeva di distruggere il capitalismo risultò molto forte e utile per la borghesia. Il marxismo diventava in questa forma un’ideologia ostile che attaccava i pilastri della società – famiglia, ordine, proprietà, patria – e sotto di essa era celato l’obiettivo ebraico del controllo del mondo. Che i Protocolli dei Savi di Sion apparvero nel 1902 e vennero considerati come una Bibbia dai nazisti non è una coincidenza.

L’irrazionalismo in Filosofia

Durante il XVIII secolo e parte del XIX secolo, furono formati diversi sistemi filosofici che, da posizioni differenti, provavano a risolvere lo storico problema filosofico della relazione tra essere e pensiero, realtà e conoscenza. La ragione illuminista, l’idealismo kantiano, la dialettica hegeliana ed il marxismo sono tra i più brillanti pensieri filosofici di tutti i tempi e le figure di Kant, Hegel, Marx ed Engels hanno reso la Germania la patria della filosofia. Per lo studio approfondito della filosofia era d’obbligo iscriversi in una Università tedesca.

Sebbene le dispute tra i filosofi fossero frequenti e aspre, come in altre discipline accademiche, l’orizzonte cambiò radicalmente con l’apparizione sulla scena di Friedrich Nietzsche (1844-1900). Il suo ingresso nel campo della filosofia fu come lo scoppio di un fulmine in una placida giornata estiva.

Egli nacque nella città tedesca di Röcken in una famiglia protestante e ricevette una solida educazione umanistica. Studiò alle Università di Bonn e di Lipsia e nel 1869 ottenne la cattedra di filologia classica all’Università di Basilea, una posizione che dovette lasciare a causa dei suoi problemi mentali. Nel 1889 fu ricoverato in una critica psichiatrica, lasciato alla cura di sua madre e sua sorella.

La sua produzione filosofica può essere divisa in vari periodi. Il primo si estende dai suoi primi studi a Lipsia al 1878. Fu pesantemente influenzato dai presocratici e da Schopenhauer. Il suo principale lavoro di questo periodo è ‘’La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica’’. Nel suo secondo periodo (1880-1882), che può essere chiamato positivista o illuminista, scrisse, tra gli altri lavori, ‘’Umano Troppo Umano’’, ‘’Aurora’’ e ‘’La Gaia Scienza’’. Infine, nel terzo periodo (1882-1900), in cui attaccò radicalmente e criticò la cultura occidentale, scrisse ‘’Così Parlò Zarathustra’’, ‘’Al di là del Bene e del Male’’, ‘’La Genealogia della Morale’’, ‘’L’Anticristo’’, ‘’Ecce Homo’’ e frammenti di ‘’Volontà di Potenza’’, sotto il titolo ‘’Trasvalutazione dei Valori’ [12]’.

In tutto il suo lavoro troviamo dei blocchi tematici che articolano e che danno unità al suo pensiero. La morte di Dio, il nichilismo, l’eterno ritorno e la volontà di potenza. Attraverso uno stile pieno di aforismi, frasi e giudizi taglienti, Nietzsche sottopose a una critica demolitrice la filosofia occidentale e i valori europei (cristianesimo, egualitarismo democratico e socialismo). Davanti ad una morale che considera decadente, difese un vitalismo incarnato nel Superuomo e nella volontà di potenza. L’odio della rivoluzione e il disprezzo delle masse del popolo sono una costante nel suo pensiero politico. Il mondo è una lotta e in questa lotta deve essere riaffermato il dominio di una ‘’razza di signori’’ sulla ‘’massa di schiavi’’. Con Nietzsche, l’irrazionalismo irrompe nella filosofia, glorificando la guerra, la vittoria del più forte sul più debole e il dominio dell’istinto sulla ragione [13].

È stato spesso dichiarato che la filosofia di Nietzsche abbia influenzato l’ideologia nazista. Senza dimenticare che il pensiero del filosofo tedesco è stato manipolato in parte dai seguaci di Hitler, è evidente che alcuni degli approcci e delle dichiarazioni dell’autore di ‘’Così Parlò Zarathustra’’ ispirarono la visione del mondo nazionalsocialista. L’idea di trasformare Nietzsche in un pensatore a-politico o ‘’anarchico’’ è basata su un’analisi parziale del suo lavoro. Al contrario, una interpretazione rigorosa espone apertamente il suo carattere anti-democratico e reazionario [14].

Citiamo di seguito, come esempio di ciò che diciamo, alcuni passaggi dai suoi lavori:

‘’L’ampia diffusione dell’educazione conduce alla barbarie. La ‘questione sociale’ sorge, poiché il popolo istruito richiede per sé stesso il benessere goduto da pochi… Perché lo stato ha bisogno della cultura ampiamente diffusa e dell’illuminismo? Perché facendo ciò, le masse sono portate a credere che, sotto l’egida dello stato, troveranno la giusta via per sé stessi – senza il bisogno di un Fuhrer. Ma lo spirito tedesco sfuggirà a questa pseudo-cultura’’ [15].

‘’Il problema dei lavoratori. La stupidità che in ultima istanza non è altro che la degenerazione degli istinti e che oggi è la causa di tutte le altre stupidità, consiste nel fatto che c’è un problema operaio. Il primo imperativo dell’istinto è che vi sono alcune cose che non possono essere messe in discussione. Se vuoi degli schiavi, è stupido educarli per divenire maestri. [16]’’

‘’La guerra divide le masse caotiche in gerarchie militari; sopra lo strato più basso – quello degli schiavi – la società guerriera si erge in una forma piramidale. Il fine dell’insieme impone il suo giogo su ognuna di esse, originando nelle più eterogenee nature una specie di trasformazione chimica, che rende tutti affini. Nelle classi superiori, si percepisce meglio di che si tratta, cioè, l’avvento del genio militare, il fondatore dello stato… Direi che il guerriero sia un mezzo per la venuta del genio militare e che il suo lavoro sia solo un mezzo affinchè quello stesso genio operi.[17]’’

Pertanto pensiamo che la caratterizzazione del pensiero di Nietzsche nel ‘’Breve Dizionario Filosofico’’, realizzato da M. Rosenthal e P. Yudin, sia fondamentalmente corretta:

‘’La filosofia reazionaria, inumana di Nietzsche, intrisa con l’odio verso i lavoratori, proclama il culto della forza e della ‘bestia bionda’ e corrisponde come nessun’altra all’ideologia dei fascisti. La sua filosofia fu ampiamente sfruttata dagli hitleriani ed è sempre al servizio degli ideologi pro-fascisti dell’imperialismo.’’[18]

Conclusione

Le organizzazioni e i partiti fascisti che emersero dopo la Prima Guerra Mondiale e presero il potere in buona parte dell’Europa non erano assolutamente innovativi nell’ideologia, come è stato a volte affermato. Il culto della violenza, la glorificazione della guerra, l’antisemitismo, il fanatismo nazionalista, l’imperialismo e l’esaltazione della razza bianca erano componenti già presenti nella cultura europea prima dello scoppio della conflagrazione mondiale. Come abbiamo visto, avvenne un cambiamento nella vita intellettuale e nel pensiero dell’Europa attorno al 1870 che continuò negli anni successivi. Il pensiero illuminista cedette il posto, non totalmente, ma significativamente, a una tendenza irrazionale nel pensiero che ricorreva più ai sentimenti, alle pulsioni emotive e agli istinti primari dell’essere umano.

In tutta la mia carriera di docente, ho sentito molti studenti chiedere come è stato possibile che in un paese acculturato e sviluppato come la Germania, la patria di Hegel, Goethe, Beethoven, Marx e Schiller, tra gli altri grandi geni, avesse potuto trionfare il nazismo e un uomo mediocre come Hitler essere acclamato dalle folle.

La questione di fondo va oltre l’esistenza di élites colte, illuminate e intellettualmente brillanti. Il fascismo non può essere compreso senza la catastrofe della guerra mondiale, della crisi economica scatenatasi nel 1929 e l’impatto della rivoluzione bolscevica. Ma nell’ampio strato della società vi era anche un substrato che condivideva i messaggi lanciati dal fascismo. Questo substrato si formò indubbiamente nel periodo che abbiamo brevemente affrontato.

Se analizziamo l’Olocausto, sono passati molti anni da quando la storiografia scientifica ha reso chiaro che i nazisti sono stati capaci di sterminare 6 milioni di ebrei perché potevano contare sulla collaborazione di funzionari, poliziotti, militari e ente comune nei paesi occupati. Senza questa collaborazione, e il caso danese è un buon esempio di ciò, l’Olocausto non sarebbe stato possibile o, almeno, non avrebbe raggiunto le dimensioni che ha avuto. [19]

Sono stati gli ufficiali francesi ad arrestare i compatrioti ebrei e alcuni dei peggiori massacri commessi dai tedeschi in Unione Sovietica sono stati perpetrati dai collaborazionisti ucraini. Era questa la tendenza generale nell’Europa occupata durante la Seconda Guerra Mondiale. L’antisemitismo non l’hanno creato i nazisti, era già presente nella società europea. Veniva da lontano, ma ha sperimentato un forte aumento tra il 1870 e il 1914.

E così col nazionalismo fanatico e il razzismo. Nella sua fase imperialista, il capitalismo spinge per la guerra e la borghesia non ha più bisogno dei valori progressisti che usò nella sua lotta contro l’Ancien Régime. Al contrario, per condurre le masse lavoratrici nella lotta contro i lavoratori di altre nazioni, le classi dominanti diffondono correnti ideologiche che seminano odio tra i popoli. L’irrazionale rimpiazza il razionale. Il capitalismo imperialista trasforma in ampia misura la sovrastruttura ideologica del pensiero europeo, corroborando così le tesi del materialismo storico.

Partito Comunista di Spagna (Marxista-Leninista)

Madrid, Settembre 2023.

[1]

[1] Per il periodo 1870-1914, sono fondamentali le seguenti opere: Sánchez, Jose.: El imperialismo capitalista: concepto, períodos y mecanismos de funcionamiento, Barcelona, editorial Blume, 1977; Cole, G.D.H.: A History of Socialist Thought. Volumes III and IV. London. MacMillan & Co., 1956-1961; Hobsbawm, E.J..: The Age of Empire (1875-1914). Weidenfeld & Nicolson, United Kingdom, 1987; Kriegel, Annie: Las internacionales obreras, Barcelona, Martínez Roca, 1980; Lenin: Imperialismo, Fase Suprema del Capitalismo, in Opere Scelte. Volume V. Mosca, Progress Publishers, 1976; Burrow, J.W.: The Crisis of Reason: European Thought, 1848-1914. Yale University Press, 1992.

[2]

[2] Sul nazionalismo, il libro di E. Hosbawm: Nazioni e Nazionalismi dal 1870, è indispensabile.

[3]

[3] Per la formazione dei sistemi di alleanze che si sarebbero confrontati nel 1914, vedi P. Renouvin: La crisis europea y la Primera Guerra Mundial (1904-1918). Madrid, Akal, 1990.

[4]

[4] A. Pizarroso Quintero: Historia de la Propaganda. Madrid, Eudema, 1990. pp. 195-221.

[5]

[5] J. Álvarez Junco: Mater Dolorosa. La idea de España en el siglo XIX. Madrid, Taurus, 2001. pp. 533-563.

[6]

[6] J. Touchard: Historia de las ideas políticas. Madrid, Tecnos 1983. pp. 531-533.

[7]

[7] Lenin ha analizzato brillantemente il tradimento dei dirigenti socialdemocratici in L’Opportunismo e il Fallimento della Seconda Internazionale (Lenin: Opere Complete. Volume 21)

[8]

[8] Tra i libri che hanno denunciato le atrocità del colonialismo e dell’imperialismo europeo, il lavoro di M. Ferro è fondamentale: El libro negro del colonialismo. Madrid, La Esfera de los Libros, 2005.

[9]

[9] J. Sánchez Arteaga: La antropología física y los “zoológicos humanos”: exhibiciones de indígenas como práctica de popularización científica en el umbral del siglo XX, in “Asclepio. Revista de Historia de la Medicina y las Ciencias” vol. LXII, no. 1, January-June, pp. 269-292.

[10]

[10] Eugen Dühring (1833-1921) è stato un filosofo, economista e avvocato tedesco. Le sue concezioni, un misto di positivismo, materialismo meccanicista e idealismo, furono sottoposte a una critica demolitrice da parte Engels nella sua opera “Anti-Dühring”.

[11]

[11] Maurice Dobb: Studies in the Development of Capitalism. London, Routledge & Kegan Paul, 1950. pp. 300-319.

[12]

[12] J. Ferrater Mora: Diccionario de Filosofía. Barcelona, Ariel/Círculo de Lectores, 1994. Volume III. p. 2556.

[13]

[13] G. Lukács: El asalto a la razón. La trayectoria del irracionalismo desde Schelling hasta Hitler. Mexico, Grijalbo, 1972. pp. 249-323.

[14]

[14] Su questo argomento, è particolarmente interessante il libro di N. González Valera: Nietzsche contra la democracia. El pensamiento político de Friedrich Nietzsche(1862-1872), Madrid, Montesinos, 2010.

[15]

[15] Conferenza di Nietzsche, citata in M. Penella: Nietzsche, la utopía del superhombre. Barcelona, Peninsula Editions, 2011. p. 121.

[16]

[16] F. Nietzsche: Cómo se filosofa a martillazos. Mexico, Grupo Editorial Toro, 2004. pp.128-129.

[17]

[17] Lettura di Nietzsche, citata in M. Penella: Op. cit. p. 130.

[18]

[18] M. Rosental and P. Yudin (direttori): Diccionario filosófico abbreviado. Havana, Editora Política, 1964. p. 381.

[19]

[19] Lo studio più esaustivo sull’Olocausto è di Raul Hilberg: La distruzione degli Ebrei d’Europa.

https://piattaformacomunista.com/index.php...o-alla-ragione/

 
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