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Karl Kautsky, l'"ultraimperialismo" e il multipolarismo

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view post Posted on 22/4/2023, 09:15
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Karl Kautsky, l'"ultraimperialismo" e il multipolarismo

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

07/04/2023

Il termine «multipolarismo», attualmente in voga e popolare presso settori rilevanti della sinistra internazionale - ha un precedente storico. Nel 1914, Karl Kautsky - che all'epoca era forse il teorico marxista più prestigioso del mondo - scrisse un saggio sulle fasi del capitalismo: passata, attuale e futura. Come molti multipolaristi odierni, che immaginano un imperialismo stabile e pacifico una volta che gli USA saranno stati domati, Kautsky preconizzava una fase benevola di cooperazione capitalista e pace dopo la guerra, una volta che i belligeranti si fossero esauriti.

I Paesi capitalisti avrebbero trovato la pace a livello internazionale attraverso un processo simile alla «cartellizzazione» - la formazione dei monopoli. Kautsky riteneva che l'aumento della concentrazione dei monopoli a livello aziendale - un processo avviatosi verso la fine dell'Ottocento e riconosciuto pressoché da tutti - fosse parallelo alla concentrazione dei Paesi, delle loro colonie e delle loro sfere di interesse sul piano internazionale. Dal momento che i monopoli riducono la concorrenza tra le imprese, argomentava Kautsky, l'ultraimperialismo avrebbe ridotto la concorrenza e la rivalità tra le potenze statali.

Redatto pochi mesi prima del primo conflitto mondiale e pubblicato (con qualche revisione) pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, Ultraimperialismo (settembre 1914) si proponeva innanzitutto di spiegare i mutamenti qualitativi del capitalismo, cioè il passaggio dalla sua fase ottocentesca - il capitalismo «liberista» guidato e dominato dalla Gran Bretagna - alla sua fase o forma imperialista, dominante nell'epoca in cui Kautsky scriveva, fino alla sua fase ultra-imperialista, che Kautsky prevedeva si sarebbe affermata dopo la fine del conflitto.

Il lettore odierno potrebbe trovare insolite e perfino eccentriche le idee espresse in Ultraimperialismo, che tuttavia rispecchiano la situazione in rapida evoluzione con cui i marxisti dovettero misurarsi allo scorcio del Novecento. Il capitalismo stava cambiando; il movimento operaio stava cambiando; i partiti socialisti stavano cambiando; e anche i leader del movimento stavano cambiando.

Le imprese capitaliste si stavano facendo sempre più grandi, assorbendo i concorrenti minori e concentrando settori importanti in centri meno numerosi. L'accumulazione di capitali era anch'essa aumentata, spingendo i finanzieri a cercare opportunità di investimento sempre più lontano. E gli Stati incoraggiavano l'esportazione di capitali, impegnandosi nel contempo a proteggere tali investimenti attraverso l'acquisizione di colonie e la creazione di sfere di influenza.

Questi profondi mutamenti qualitativi non passarono inosservati; nell'ambiente marxista, non soltanto Kautsky, ma anche altri - Bukharin, Luxemburg e naturalmente Lenin - stavano esplorando il significato di questa evoluzione. Fu indubbiamente il contributo di Lenin - il volume L'imperialismo - a segnare nel modo più indelebile la concezione dell'imperialismo che avrebbe caratterizzato la sinistra nel secolo successivo.

Per Kautsky, i mutamenti di forma o di fase del capitalismo traevano origine dalle sperequazioni tra la produzione industriale e la produzione agricola. Mentre la produzione industriale capitalista era illimitata, gli scambi con il settore agricolo erano sempre limitati dalla maggiore lentezza che caratterizzava la produzione degli alimentari e dalla disponibilità di materie prime, nonché dal numero degli acquirenti di prodotti industriali. Questa distinzione tra il settore industriale e quello agricolo, per quanto possa apparire artificiosa al lettore odierno, rispecchia una differenza che trova un'espressione più chiara nella differenza esistente ai primi del Novecento tra i Paesi capitalisti avanzati e i Paesi, le regioni e perfino i continenti pre-industriali.

Kautsky delinea un'evoluzione naturale verosimile in cui i Paesi capitalisti avanzati cercano di dare soluzione al problema del «settore agricolo» esportando capitale in altri Paesi, indirizzandolo verso scambi e mercati. Il colonialismo si sviluppa perché questi nuovi mercati sono privi di infrastrutture, e spesso anche di strutture statali. L'esportatore di capitale trova più semplice imporre il proprio Stato che crearne uno nuovo: «Naturalmente, la soluzione migliore è che a fornire tutto ciò sia il potere statale dei capitalisti stessi... Così, all'aumento dell'impulso all'esportazione di capitali dagli Stati industriali verso le aree agricole del mondo, fa riscontro un aumento della tendenza a sottomettere tali zone al loro potere statale».

Questa è la teoria di Kautsky dell'ascesa dell'imperialismo. È interessante notare che Kautsky, diversamente da Lenin, definisce la relazione tra colonizzatori e colonizzati in termini di oppressione, e non di sfruttamento.

Non tutti i Paesi che si sviluppano attraverso l'importazione di capitali vengono assoggettati in un ruolo subordinato dai Paesi industrializzati; Kautsky cita gli Stati Uniti e la Russia come esempi di Paesi che beneficiano dell'esportazione di capitali da altri Paesi, ma possiedono «la forza necessaria per difendere la [loro] autonomia... Il desiderio di ostacolare questa [autonomia] è un'ulteriore motivazione che spinge gli Stati capitalisti ad assoggettare le aree agricole, direttamente - sotto forma di colonie - o indirettamente - sotto forma di sfere di influenza...».

Mentre Lenin ravvisa nell'imperialismo una necessità del capitalismo monopolistico maturo - cioè una fase resa inevitabile dal meccanismo stesso che muove il capitalismo - Kautsky considera l'imperialismo una linea politica, una scelta compiuta in qualche maniera dal capitalismo nella sua collettività: «[L'imperialismo] rappresenta l'ultima possibile forma fenomenica della politica capitalista mondiale, oppure è ancora possibile che ve ne sia un'altra?».

È significativo che il marxismo di Lenin utilizzi le leggi del moto per spiegare la fase imperialista, mentre per il marxismo di Kautsky l'imperialismo non è che un percorso che è stato imboccato, tra i molti possibili.

Kautsky separa inoltre la corsa agli armamenti, il militarismo e la guerra dalla logica del capitalismo:

Ma l'imperialismo ha un altro aspetto. La tendenza all'occupazione e all'assoggettamento delle aree agricole ha creato forti contraddizioni tra gli Stati capitalisti industrializzati, con la conseguenza che la corsa al riarmo... e... la guerra mondiale da lungo tempo profetizzata è divenuta ora una realtà. Anche questo aspetto dell'imperialismo costituisce forse una necessità per la sopravvivenza del capitalismo, un elemento che può essere superato soltanto superando il capitalismo stesso?

Non esiste una necessità economica che imponga la continuazione della corsa agli armamenti dopo la guerra mondiale, nemmeno dal punto di vista della stessa classe capitalista, fatta eccezione per alcuni interessi legati agli armamenti. Al contrario - l'economia capitalista è seriamente minacciata proprio dalle contraddizioni tra gli Stati. Oggi, ogni capitalista lungimirante deve rivolgere ai suoi simili un appello: capitalisti di tutto il mondo, unitevi! [corsivo mio]

Per Kautsky, dunque - diversamente che per Lenin - la guerra non è l'esito costante e prevedibile dell'imperialismo. D'altronde, la differenza tra i due è più che manifesta nell'appello rivolto ai capitalisti perché si uniscano per la pace...

Dal momento che l'economia dell'imperialismo si sta rivoltando contro il capitalismo - secondo Kautsky, la resa delle esportazioni di capitali stava evidenziando un declino - «l'imperialismo si sta scavando la fossa... la politica dell'imperialismo non può dunque proseguire ancora a lungo».

Se dunque la continuazione dell'imperialismo è un vicolo cieco, che cosa accadrà dopo?

Ecco la risposta di Kautsky:

Ciò che afferma Marx riguardo al capitalismo può essere applicato anche all'imperialismo: i monopoli creano concorrenza e la concorrenza crea i monopoli. La frenetica concorrenza tra imprese gigantesche, banche gigantesche e multi-milionari ha costretto i grandi gruppi finanziari, che stavano assorbendo quelli più piccoli, a escogitare l'idea del cartello. Allo stesso modo, la conseguenza della guerra mondiale tra le grandi potenze imperialiste potrebbe essere una federazione dei più forti, che rinunceranno alla corsa al riarmo.

In una prospettiva puramente economica, dunque, non è impossibile che il capitalismo sopravviva per un'altra fase, segnata dalla proiezione della cartellizzazione nella politica estera: una fase di ultraimperialismo, contro la quale naturalmente dobbiamo lottare altrettanto energicamente che contro l'imperialismo, ma le cui insidie si annidano non nella corsa agli armamenti e nella minaccia alla pace mondiale, ma altrove.

In buona sostanza, Kautsky assolve il capitalismo dall'accusa di essere l'origine della guerra e dell'aggressione.

Quando il manoscritto ultimato stava per essere pubblicato su Die Neue Zeit, da qualche mese aveva avuto inizio qualcosa che stava assumendo le proporzioni di un conflitto mondiale, e Kautsky si rese conto che i lettori avrebbero potuto trovare alquanto discutibile la promessa di una pace duratura post-imperialista. Prevedeva tuttavia che si sarebbe verificata «quest'ultima soluzione, per quanto improbabile possa apparire al momento».

Come valutare questa previsione? Vi sono meriti nella teoria dell'ultraimperialismo? Lenin la rigettò senza mezzi termini. Nel dicembre 1915, nella sua introduzione a L'economia mondiale e l'imperialismo di N. Bukharin, scriveva nel suo consueto stile corrosivo:

Ragionando in modo teorico astratto si può giungere alla conclusione a cui è appunto giunto... Kautsky, e cioè che non è più tanto lontana neppure l'unione mondiale di questi magnati del capitale in un unico trust mondiale, che sostituirà le competizione e la lotta dei capitali finanziari statalmente separati con un capitale finanziario internazionalmente unificato…

In particolare, in Kautsky l'evidente rottura con il marxismo ha assunto la forma non della negazione o della dimenticanza della politica, non del «salto» al di sopra dei conflitti, scosse e mutamenti politici, numerosi e vari soprattutto nell'epoca imperialistica, non dell'apologia dell'imperialismo, ma del sogno di un capitalismo «pacifico». Il capitalismo «pacifico» è stato sostituito dall'imperialismo non pacifico, bellicoso, catastrofico... Ma se non si può sognare semplicemente, in modo un po' grossolano, aperto, di ritornare indietro dall'imperialismo al capitalismo «pacifico», non si potrebbe dare agli stessi sogni, in fondo piccolo-borghesi, la forma di innocenti riflessioni sull'«ultraimperialismo pacifico»? Se si chiamasse ultraimperialismo l'unificazione internazionale degli imperialismi nazionali (o meglio, che agiscono ognuno nel suo Stato), che «potrebbe» eliminare i conflitti particolarmente sgradevoli, particolarmente inquietanti e allarmanti per il piccolo borghese, come le guerre, gli sconvolgimenti politici, ecc., perché non si potrebbe allora scacciare dal pensiero l'epoca già presente, già sopraggiunta dell'imperialismo, estremamente gravida di conflitti e catastrofi, sognando un «ultraimperialismo» relativamente pacifico, relativamente privo di conflitti, relativamente non catastrofico? Non si potrebbero eludere i problemi «acuti» che l'epoca dell'imperialismo, sopraggiunta per l'Europa, pone e ha già posto, sognando che, forse, quest'epoca passerà rapidamente e, forse, sarà ancora concepibile, dopo di essa, l'epoca di un «ultraimperialismo» relativamente «pacifico», che non esigerà una tattica «aspra»?

In questa aspirazione a eludere la realtà dell'imperialismo e a evadere nel sogno di un «ultraimperialismo» - che non si sa se sia realizzabile o no - non vi è neppur una traccia di marxismo... si sostituisce al marxismo l'aspirazione, piccolo-borghese e profondamente reazionaria, ad attutire i contrasti. Kautsky... promette ancora una volta soltanto di essere un marxista nell'epoca futura dell'ultraimperialismo, che non si sa se sia realizzabile o no! …Un marxismo a credito, una promessa di marxismo, un marxismo per domani, ma per oggi una teoria - e non soltanto teoria - piccolo-borghese, opportunista dell'attenuamento dei contrasti.

Lenin era innanzitutto un polemista politico. Pur essendo un pensatore profondissimo, si trovò perlopiù a operare nel pieno degli scontri politici, in cui il sarcasmo e la derisione costituivano armi potenti.

Lenin spiega la teoria di Kautsky nel contesto dell'opportunismo. Dal momento che la loro nave intellettuale aveva levato gli ormeggi dal marxismo, Kautsky e gli altri socialdemocratici erano ormai vulnerabili al fascino delle illusioni idealizzate e oniriche di un capitalismo pacifico e, quindi, anche di un imperialismo pacifico.

A queste illusioni, Lenin contrapponeva duramente la realtà di una crescente catastrofe per l'umanità - la prima guerra mondiale - che stava soltanto iniziando a far intravedere le miserie umane che si preparavano. Fu questa guerra imperialista - una guerra priva di senso al difuori delle rivalità imperialiste - a mandare in frantumi il sogno di Kautsky.

A distanza di oltre un secolo e con il senno di poi, siamo in grado di valutare meglio se il «marxismo a credito», la «promessa di marxismo» di Kautsky possa essere incassata o rivalutata. Per una scienza come il marxismo, il laboratorio è sempre la storia.

È evidente che Lenin aveva ragione, mentre Kautsky si sbagliava di grosso - la prima grande guerra del Novecento non fu seguita da un periodo di capitalismo pacifico o di imperialismo pacifico. Al contrario - l'ultimo secolo è stato segnato da costanti guerre, aggressioni imperialiste e catastrofi umane senza precedenti. Né sarebbe potuto essere altrimenti, osserverebbe Lenin, in quanto il capitalismo ha continuato a generare concorrenza e rivalità.

È possibile e doveroso che sorgano movimenti contro questa tendenza. I rivoluzionari devono opporsi risolutamente a queste guerre e tentare di raccogliere il maggior sostegno possibile per impedire, ostacolare e fermare queste guerre - ma non devono farsi alcuna illusione che il capitalismo e il suo strumento, l'imperialismo, cessino di manifestare costantemente questa tendenza.

L'argomentazione teorica di Kautsky sull'ultraimperialismo si basa su un errore comune nell'interpretazione del marxismo e dei monopoli. A livello di imprese, Kautsky individua fasi separate in cui un settore industriale competitivo si evolve inesorabilmente in direzione di un settore monopolizzato (pur ammettendo che Marx specifica sempre che il monopolio si muove sempre in direzione della concorrenza - una formula scomoda che Kautsky preferisce ignorare). La sua teoria dell'imperialismo si basa su questo modello: a livello di Paesi, cioè, la concorrenza (rivalità) imperialista si evolverebbe sempre in direzione di un monopolio globale, cioè di un conglomerato o cartello imperialista.

Per questo, l'economia globale sarebbe destinata a inaugurare un'era di stabilità e di pace - l'ultraimperialismo.

Questo, tuttavia, non trova riscontro né nel pensiero marxista né nella dialettica della concorrenza. I fondamenti della teoria marxista della concorrenza si ritrovano nel primissimo trattato marxista di economia politica mai pubblicato (e sovente trascurato), Schizzo d'una critica dell'economia politica (1844), che dedica notevole attenzione alla concorrenza e al monopolio ed esprime per la prima volta il seguente concetto: «il monopolio genera la libera concorrenza e la libera concorrenza genera il monopolio».

Pur comprendendo la relazione dialettica tra la concorrenza e il monopolio, Engels ribadisce come la concorrenza sia costante: «Si è visto come finché sussista la proprietà privata tutto confluisca poi nella libera concorrenza».

In una delle formulazioni più chiare della dialettica della concorrenza, Engels la spiega non in funzione di una serie di fasi separate, bensì come interrelazione fondamentale:

L'opposto della concorrenza è il monopolio... È facile capir che pure tale antitesi sia affatto vuota... La concorrenza riposa sull'interesse che genera il monopolio indi la concorrenza muta nel monopolio. Del resto il monopolio genera la concorrenza anziché arrestarne il flusso.

Engels sottolinea come la concorrenza sia fondamentale per quello che i marxisti definiscono il modo di produzione capitalista - essa permea ogni aspetto della vita sociale ed economica capitalista. La concentrazione (monopolio), pur essendo un processo sempre presente, non sostituisce mai la concorrenza, e non la elimina mai. Il marxismo meccanicistico di Kautsky - come quello di teorici del monopolio successivi, quali Sweezy e Baran - equivoca sia la costanza della concorrenza, sia il processo della creazione dei monopoli o cartellizzazione. La concorrenza (rivalità) è il motore stesso del capitalismo in tutte le sue forme, e rimane tale lungo tutta l'evoluzione del capitalismo.

È divenuto popolare, specie a sinistra, individuare nell'indebolimento degli USA e della NATO l'unico obiettivo del progetto anti-imperialista. Certo, degli Stati Uniti indeboliti e meno aggressivi sul piano della politica estera, del potere delle multinazionali e della posizione militare rappresentano un obiettivo a un tempo urgente e pienamente giustificato per gli anti-imperialisti. Ma tale obiettivo deve anche essere unico?

Dopo la caduta dell'Unione Sovietica e dei suoi alleati est-europei, il mondo poteva sembrare unipolare. Gli Stati Uniti, sola superpotenza sopravvissuta alla Guerra Fredda, esercitavano un controllo pressoché assoluto sulle istituzioni globali, disponevano di basi militari in ogni regione e dovevano fronteggiare scarsissime resistenze ai loro piani. Di fronte al moltiplicarsi degli interventi degli USA negli affari interni di altri Paesi, la definizione di «mondo unipolare» poteva apparire sempre più corretta.

Prevedibilmente, tuttavia, sono sorte delle resistenze. Diversi Paesi si sono ribellati, specie nel Medio Oriente e nell'America centrale e meridionale. I movimenti popolari, sfidando gli USA, hanno scelto politiche indipendenti, hanno ribadito il concetto di sovranità nazionale, e hanno perfino combattuto quelle che Lenin definiva «guerre nazionali» - guerre di liberazione combattute direttamente o indirettamente (per esempio in Iraq, Afghanistan e Siria) contro gli Stati Uniti.

Il XXI secolo ha visto un'ulteriore erosione dell'unipolarismo USA e crescenti resistenze ai diktat di Washington. La crescente potenza economica della Repubblica Popolare Cinese, rimasta in gran parte intatta dalla crisi economica mondiale, ha sfidato gli Stati Uniti su questo fronte, così come ha fatto la Russia con la sua crescente potenza militare e competitività sul piano energetico.

È evidente che pochi decenni dopo che gli USA si erano proclamati leader globali, la loro egemonia era ormai sottoposta a una forte pressione. Influenza, potere e leadership si stavano diversificando. Sotto molti importanti aspetti, il mondo stava diventando multipolare. E questo, nella misura in cui tale nuovo ordine limita il raggio d'azione degli Stati Uniti, è uno sviluppo positivo.

Ma il multipolarismo come realtà è ben diverso dal multipolarismo come dottrina. Un conto è salutare il multipolarismo in quanto limita gli Stati Uniti; altra cosa è salutarlo come araldo di una nuova era di coesistenza pacifica e armonia mondiale - il che è assai più fuorviante e pericoloso.

A sinistra alcuni, come Kautsky, saltano alla conclusione che sia possibile distaccare il capitalismo dalla concorrenza o dalla rivalità, semplicemente riuscendo a contenere gli Stati Uniti. Ma come osservava Lenin, tale posizione esprime più una pia illusione che una riflessione sulla realtà.

Per i multipolaristi dottrinari, un secolo di rivalità tra le grandi potenze, interrotto solo parzialmente da una crociata unitaria antisovietica e anticomunista, non basta a dimostrare che il capitalismo alimenta costantemente le rivalità imperialiste. Costoro scelgono deliberatamente di ignorare questa realtà.

Meno di due decenni dopo la fine della grande guerra imperialista, il Giappone, l'Italia e la Germania avevano ormai iniziato percorsi propri di espansione imperialista, spesso a spese degli imperi di altre grandi potenze quali la Gran Bretagna e la Francia.

Intorno alla metà del Novecento, la Guerra Fredda e la minaccia dell'annientamento nucleare attenuarono il rischio di un conflitto globale, ma continuarono a infuriare sia le guerre di liberazione nazionale sia le guerre anti-insurrezionali - guerre imperialiste. In molti casi l'aggressione militare fu sostituita dall'aggressione economica, con cui gli ex-padroni coloniali tentavano di stabilire relazioni neocoloniali.

Malgrado questo panorama di persistente e incessante concorrenza e conflitto imperialista, i multipolaristi immaginano una futura era di cooperazione multilaterale e reciproco rispetto.

Immaginano che l'India e il Pakistan stabiliranno tra loro un'inedita armonia; che il Giappone abbandonerà la rivendicazione delle isole Kurili; che le rivalità nei Balcani e i conflitti tra Armenia e Azerbaijan si risolveranno magicamente; che le antiche ostilità sempre pronte a esplodere nel Medio Oriente scompariranno; e che la lotta per il controllo delle immense ricchezze della Repubblica Democratica del Congo si attenuerà e potrà essere risolta pacificamente - tutto questo quando l'imperialismo USA verrà finalmente contenuto.

Non vedono alcun segnale allarmante nella crescente bellicosità e nell'aumento delle spese militari della Germania e del Giappone. Salutano i riallineamenti a livello globale e le nuove alleanze come passi in direzione della pace, invece che come potenziali fonti di conflitti.

La guerra in Ucraina ha creato rischi di guerra locale, regionale e perfino globale maggiori di quanti ne abbiamo visti negli ultimi cinquant'anni. Come ha osservato Ian Buruma, la guerra ha consentito alla Germania di aumentare le sue spese militari di 100 miliardi di euro, nonché di allentare i vincoli che le erano stati imposti in quanto responsabile dello scatenamento dell'ultimo conflitto mondiale - un momento definito «una svolta storica» dal cancelliere Scholz.

Buruma cita inoltre l'impegno assunto dal primo ministro giapponese Kishida ad aumentare le spese militari del 50% nell'arco di cinque anni - una pericolosa rottura dei vincoli costituzionali del Giappone. È forse un presagio del multipolarismo utopistico a venire?

Come la teoria dell'ultraimperialismo di Kautsky, questa teoria di un mondo pacifico e armonioso fatto di potenze capitaliste contraddice frontalmente ciò che la storia ci ha insegnato e la stessa realtà odierna. E come Kautsky, i suoi fautori hanno perso il contatto con le dinamiche del capitalismo nell'era dell'imperialismo. Kautsky riteneva che la contraddizione fondamentale del suo tempo fosse quella tra il capitalismo competitivo e il capitalismo monopolistico, e che la «cartellizzazione» degli imperi avrebbe eliminato le rivalità mondiali.

I multipolaristi di oggi ravvisano la principale contraddizione del mondo attuale nella lotta tra unipolarismo e multipolarismo. Come l'ultraimperialismo, questa è un'illusione che consente loro di evadere dalla grande contraddizione del nostro tempo: la lotta tra un sistema fallimentare ed esaurito - il capitalismo - e il socialismo.

Dopo il crollo del socialismo sovietico, la difesa del socialismo è passata di moda. Per gran parte della sinistra, il socialismo costituisce nella migliore delle ipotesi un sogno remoto, ben al di là della nostra portata. Senza dubbio, questa disperazione - che non trova riscontro nemmeno nelle epoche più disperate del passato - spiega l'attrazione esercitata dal multipolarismo, qualcosa che sembra invece essere a portata di mano.

Ma l'onestà intellettuale ci impone di dirigerci là dove ci conduce la verità. E la verità del nostro tempo - proprio come all'epoca di Kautsky - ci impone di riconoscere che è il capitalismo a generare la guerra. E che la soluzione definitiva della guerra è il socialismo.
 
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view post Posted on 22/4/2023, 20:30

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Sì, il multipolarismo più o meno pacifico non può esistere, può esistere solo una pluralità di potenze imperialistiche guerrafondaie.
 
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