Comunismo - Scintilla Rossa

Auspici per il prossimo anno

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view post Posted on 23/12/2022, 10:55
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Auspici per il prossimo anno



Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

12/12/2022

Con l'avvicinarsi delle feste, i bambini tradizionalmente inviano a Babbo Natale la loro lista dei desideri. Sebbene da adulti si abbandoni la fede in Babbo Natale (di norma), l'idea di una lista dei desideri o di una serie di propositi per l'anno nuovo, persiste.

Ecco la mia lista dei desideri.

In primo luogo, vorrei che l'idea del socialismo tornasse ad essere popolare, ma mi rallegrerei se almeno, negli Stati Uniti, venisse discussa seriamente. Non mi riferisco alla versione debole del socialismo associata ai Democratic Socialists of America (DSA) o al senatore Bernie Sanders. Quel tipo di socialismo è davvero una reliquia della Guerra Fredda: un misto di scolastica democrazia partecipativa e uno Stato sociale minimalista in un capitalismo accondiscendente. Ma il capitalismo non si mescola bene con la socialdemocrazia, tranne quando presagisce dal socialismo reale una minaccia esistenziale, come la popolarità del comunismo. La marginalizzazione politica della socialdemocrazia europea, dopo il dissolvimento dello spettro comunista in seguito al crollo sovietico del 1991, dimostra questo punto.

Il socialismo reale, per essere chiari, non può coesistere amichevolmente con il capitalismo. Non può esistere un trattato di pace duraturo tra capitalismo e socialismo, nonostante i migliori sforzi di molti socialisti e comunisti (tra i ricchi e i potenti in pochi, se non nessuno, hanno sinceramente sostenuto la coesistenza con il socialismo nei secoli in cui il socialismo è stato concepito).

Affinché il socialismo reale metta radici, il potere dello Stato deve essere strappato ai capitalisti. La storia non mostra una strada sostenibile verso il socialismo attraverso la condivisione del potere con la classe capitalista.

Questo non significa che non possa esserci un periodo di transizione in cui capitalisti e socialisti lottano per il dominio dello Stato, ma questo periodo non sarà stabile. Questo non vuol dire escludere l'importanza della lotta parlamentare nella lotta per la creazione di uno Stato di orientamento socialista e neanche significa precludere un programma socialista che si impegni con le specificità nazionali, le alleanze di classe e tattiche mutevoli. Ma il socialismo deve essere l'obiettivo dichiarato e senza compromessi di coloro che si dichiarano socialisti e la conquista del potere statale deve essere accettata come un passo necessario per raggiungere un vero socialismo, dove il socialismo è sia l'assenza di sfruttamento del lavoro che la fine del dominio della classe capitalista. Qualsiasi "socialismo" che non rispetti queste verità è impegnato in un auto-inganno.

Ma cos'è, si può chiedere, la Cina Popolare? È chiaro che c'è uno sfruttamento del lavoro nella Repubblica Popolare Cinese, dove esistono potenti aziende capitalistiche private accanto alle imprese statali. Ed è altrettanto chiaro che il Partito Comunista Cinese mantiene una stretta presa sul potere statale. Per oltre quarant'anni, l'equilibrio di forze tra queste due realtà è cambiato spesso, con la leadership del PCC che tuttavia rivendica un controllo saldo e un impegno verso il socialismo.

Se i veri marxisti del PCC siano in grado di cavalcare questa tigre è ancora da decidere. I partigiani del socialismo devono seguire questo sviluppo con occhio critico, ma con mente aperta.

I sostenitori del socialismo - il vero socialismo - non sono così ingenui da credere che il socialismo sia dietro l'angolo o che il socialismo possa immediatamente risolvere i problemi della classe operaia. È utile, tuttavia, ricordare che quando Lenin lasciò Zurigo per tornare in Russia pochi mesi prima della rivoluzione del 1917, parlò ai giovani rivoluzionari, spiegando che probabilmente lui non avrebbe visto il socialismo, ma loro sicuramente sì. Si sbagliava clamorosamente.

Ma anche una forte dose di realismo pessimista è sufficiente per spiegare l'assenza della parola "socialismo" nelle narrazioni politiche dei progressisti, della sedicente sinistra e persino dei autoproclamati marxisti che vivono negli Stati Uniti e in Europa. Inoltre, nelle conversazioni, gli occhi si abbassano o diventano vitrei quando emerge l'idea. Tutti sono anticapitalisti; tutti sono contrari a forma declinate di capitalismo, il capitalismo catastrofico, il capitalismo neoliberale, il capitalismo finanziario, ecc. ecc.. Ma nessuno è a favore del socialismo!

Si può constatare questa ritrosia negli attuali dibattiti sull'inflazione che imperversano nella sinistra. Tutti i contendenti raccontano gli effetti dell'inflazione sui poveri e sui lavoratori. Tutti riconoscono le conseguenze negative della politica ufficiale - l'aumento dei tassi di interesse - su tutti. Tutti cercano soluzioni alternative, la maggior parte delle quali ha una storia di fallimenti alle spalle. Nessuno parlerà di una contraddizione, di un fallimento intrinseco del sistema capitalista. Tutti sono troppo impegnati a cercare di riparare il capitalismo, con questo accennando al fatto che potrebbe esserci un'alternativa migliore. Ma ci sarà mai un momento più appropriato che adesso, per introdurre il socialismo nel dibattito?

Soffriamo dei postumi delle paure del comunismo e del socialismo sulla scia della Guerra Fredda. Soffocati dalla limitatezza di opzioni consentite dal nostro sistema bipartitico corrotto. E siamo sopraffatti dal cinismo e dalla povertà di prospettive.

Sicuramente una discussione franca e onesta sul socialismo è d'obbligo.

*****

Il mio secondo desiderio è che la sinistra sia chiara e unita sulla guerra in Ucraina. In larga misura, la scarsa comprensione da parte della sinistra del rapporto tra capitalismo, imperialismo e guerra ha generato ampie divisioni in una sinistra già molto frammentata. Da un lato, i liberali e i socialdemocratici ignorano la storia del conflitto in Ucraina e applicano meccanicamente un concetto semplicistico di autodeterminazione nazionale a quella che è, di fatto, una guerra civile. Vedono l'intervento russo come una semplice violazione del diritto dell'Ucraina di decidere il proprio futuro. Secondo la loro logica, è come se la Guerra Civile degli Stati Uniti fosse stata interpretata come una guerra per il diritto all'autodeterminazione del Sud e non come una guerra sulla schiavitù. Oppure, traendo un esempio dal XX secolo, sarebbe come se la guerra in Vietnam fosse vista come una lotta per il diritto di scegliere il proprio destino da parte della popolazione di un artificioso Vietnam del Sud.

Sia nell'idea del diritto di secessione degli Stati Uniti del Sud che in quella della "libertà" del Vietnam del Sud è abusato qualsiasi concetto di diritto legittimo all'autodeterminazione: in nessuno dei due casi veniva presa la misura del desiderio delle masse; in entrambi i casi erano serviti gli interessi delle élite privilegiate o delle potenze straniere.

L'eminente storico della Guerra di Corea, Bruce Cumings, ci ricorda che le guerre civili sono conflitti complessi con storie complesse e che è poco produttivo, per assegnare la colpa, riflettere su chi ha iniziato la guerra. L'ossessione di determinare l'immediato "aggressore" nella Guerra di Corea offusca la comprensione delle cause più profonde, degli interessi contrastanti e delle poste politiche in gioco, tutt'oggi.

Senza un contesto storico, senza comprendere il conflitto e lo scontro di interessi vitali all'interno dei confini dell'Ucraina, una difesa dell'ingerenza statunitense in Ucraina costruita sul pretesto dell'autodeterminazione è sbagliata e pericolosa. Non può esserci autodeterminazione quando gli Stati Uniti e i loro alleati hanno minato un governo eletto nel 2014. Quell'intervento ha di fatto posto fine a qualsiasi pretesa di autodeterminazione ucraina.

D'altra parte, molti sedicenti antimperialisti vedono l'invasione russa come una guerra di liberazione, con la Russia che rimuove il governo oppressivo di Kiev, sventa l'aggressione degli Stati Uniti e della NATO o difende gli interessi del popolo dell'Ucraina orientale. Entrambi sopravvalutano l'altruismo delle motivazioni dell'ex repubblica sovietica russa, ora capitalista, e sottovalutano i pericoli scatenati da un'invasione che apre ampiamente la porta a una guerra di maggiore portata e intensità.

Inoltre, non vedono che nella sua essenza il conflitto in Ucraina è stato un conflitto civile sin dalla scomparsa dell'Unione Sovietica. Senza l'ideologia del socialismo, questo conflitto è stato guidato da una corsa alla ricchezza e al potere, con conseguente corruzione, manipolazione e rozzo nazionalismo. Le potenze straniere - Est e Occidente - hanno manipolato questa lotta, costringendola a una resa dei conti per procura. Qualsiasi escalation - che si tratti di un colpo di stato, di un'invasione o del continuo armamento dei belligeranti - rischia ulteriormente di spingere la guerra oltre i confini o a intensificarla e dovrebbe quindi essere respinta.

Dietro alcuni difensori dell'invasione russa c'è la teoria neo-kautskyana della multipolarità. Questa visione indica nell'imperialismo statunitense, e non nel sistema dell'imperialismo, la forza che disturba un ordine mondiale pacifico, stabile e ordinato. Secondo questa teoria, è possibile, anzi probabile, che i Paesi capitalisti possano condurre gli affari internazionali in modo pacifico, se solo gli Stati Uniti predatori fossero domati. Non si limitano a denunciare l'imperialismo statunitense come principale nemico globale, ma immaginano un ordine capitalista sostenibile e cooperativo senza il dominio degli Stati Uniti. Come Kautsky, il multipolarismo prospetta un'epoca di "equilibrio" tra le potenze imperialiste e di attenuazione delle rivalità.

Lenin rifiutava questa visione. Come la teoria di Kautsky del super o ultra imperialismo, il multipolarismo riflette una comprensione inadeguata delle dinamiche di classe - la spinta illimitata al vantaggio competitivo da parte dello Stato capitalista - e l'incapacità di riconoscere che il socialismo è l'unica risposta all'anarchia distruttiva dell'imperialismo.

La carneficina degli ultimi cento anni dell'imperialismo, a partire dal dibattito Kautsky/Lenin, sottolinea sicuramente queste verità.

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Insieme al revival del kautskyismo, il neo-malthusianesimo minaccia di confondere il pensiero della sinistra nell'affrontare la critica crisi ambientale. La mancata crescita come facile risposta all'abuso del nostro ambiente è sbagliata oggi come ai tempi di Marx. La questione critica è come l'economia globale cresce e non quanto cresce.

Il mio augurio è che la sinistra non ignori le questioni di classe - a livello nazionale e internazionale - nello sviluppo di un programma per affrontare questo tema cruciale. Una soluzione di non crescita che congeli le disuguaglianze interne e globali, o che le aggravi, non può essere accettata. Un programma che non affronta la connessione tra imperialismo, militarismo e guerra nel depredare il pianeta è inadeguato.

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Mentre si spengono le luci sulle elezioni di metà mandato con la spesa esorbitante di nove miliardi e mezzo di dollari, lasciando un cattivo sapore e un forte senso di vuoto e delusione, possiamo solo augurarci che la sinistra statunitense guardi con occhio critico al sistema bipartitico e con l'idea di unirsi per creare una presenza indipendente nella politica elettorale.

Che il 2023 sia un anno di discussioni più profonde, al di là dei cinguettii sulle piattaforme realizzate dalla classe dirigente per diffondere banalità e trivialità.
 
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