Comunismo - Scintilla Rossa

Lenin, I Sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski

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view post Posted on 19/7/2022, 10:10

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I sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotskij

Relazione tenuta il 30 dicembre 1920 alla seduta dell’VIII congresso dei soviet, dei membri del Consiglio centrale e del Consiglio moscovita dei sindacati iscritti al PCR. Cfr. Lenin, Opere complete, v. 32.

Compagni, devo innanzitutto scusarmi per essere costretto a turbare l’ordine dei lavori, dato che, naturalmente, per partecipare alla discussione sarebbe stato necessario ascoltare il rapporto, il co-rapporto e il dibattito. Purtroppo, mi sento poco bene e non sono stato in grado di farlo. Tuttavia ieri ho avuto la possibilità di leggere i principali documenti stampati e di preparare le mie osservazioni. E’ naturale che questa violazione dell’ordine dei lavori, come ho detto, provochi per noi qualche inconveniente: forse mi ripeterò, ignorando ciò che hanno detto gli altri, non risponderò a questioni che meriterebbero risposta. Ma non mi è stato possibile fare altrimenti. Il documento fondamentale al quale mi riferirò è l’opuscolo del compagno Trotskij La funzione e i compiti dei sindacati. Confrontando quest’opuscolo con le tesi presentate da Trotskij al Comitato centrale, leggendolo attentamente, mi sorprende il numero di errori teorici e di palesi inesattezze ivi concentrate. Come si poteva, affrontando una grande discussione del partito su questo problema, preparare una cosa così infelice invece di presentare un lavoro più meditato? Indicherò in breve i punti fondamentali che, secondo me, contengono radicali errori teorici. I sindacati sono l’organizzazione non solo storicamente necessaria, ma anche storicamente inevitabile del proletariato industriale, l’organizzazione che, nelle condizioni della dittatura proletaria, mobilita il proletariato quasi interamente. E’ questa la considerazione fondamentale che il compagno Trotskij dimentica costantemente, dalla quale non prende le mosse, di cui non tiene conto. Eppure, il tema da lui posto, “funzione e compiti dei sindacati”, è molto ampio. Da quanto ho letto già discende che, nell’esercizio della dittatura del proletariato, la funzione dei sindacati è estremamente importante. Ma qual’è questa funzione? Passando all’esame di questo problema, che è uno dei problemi teorici fondamentali, giungo alla conclusione che questa funzione è assai originale. Da una parte, i sindacati comprendono, includono nelle loro file la totalità degli operai dell’industria e sono quindi un’organizzazione della classe dirigente, dominante, della classe al potere che esercita la dittatura, che esplica la coercizione statale. Non si tratta però di un’organizzazione statale, di un’organizzazione coercitiva, ma di un’organizzazione che si propone di educare, di far partecipare, di istruire, di una scuola, di una scuola che insegna a dirigere, ad amministrare, di una scuole di comunismo. Si tratta di una scuola di un tipo assolutamente insolito, perché non abbiamo a che fare con insegnanti e studenti, ma con una determinata combinazione estremamente originale di ciò che è rimasto del capitalismo, e che non poteva non rimanere, con ciò che i reparti rivoluzionari avanzati, l’avanguardia rivoluzionaria del proletariato, per così dire, esprimono dal loro seno. Ecco perché parlare della funzione dei sindacati senza tener conto di queste verità significa arrivare inevitabilmente a una serie d’inesattezze. I sindacati, per il posto che occupano nel sistema della dittatura del proletariato, stanno, se così si può dire, tra il partito e il potere dello stato. La dittatura del proletariato è inevitabile durante il passaggio al socialismo, ma essa non viene esercitata dall’organizzazione che riunisce tutti gli operai dell’industria. Perché? A questo proposito possiamo leggere le tesi del II congresso dell’Internazionale comunista sulla funzione del partito politico in generale. Non mi soffermerò qui su questo argomento. Accade che il partito assorba, per così dire, l’avanguardia del proletariato e che quest’avanguardia eserciti la dittatura del proletariato. Ma, se non si hanno fondamenta, quali i sindacati, è impossibile esercitare la dittatura, adempiere le funzioni statali. Queste funzioni bisogna adempierle mediante diverse istituzioni, che sono anch’esse di tipo nuovo, cioè mediante l’apparato dei soviet. In che cosa consiste la peculiarità di questa situazione dal punto di vista delle conclusioni pratiche? Nel fatto che i sindacati creano il legame dell’avanguardia con le masse, le masse della sola classe capace di farci passare dal capitalismo al comunismo. Questo, da un lato. Dall’altro lato i sindacati sono la “riserva” del potere statale. Ecco che cosa sono i sindacati nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo. In generale non si può compiere questo passaggio senza l’egemonia della sola classe educata dal capitalismo per la grande produzione, della sola classe che ha rotto con gli interessi del piccolo proprietario. Ma non si può attuare la dittatura del proletariato per mezzo dell’organizzazione che riunisce tutta questa classe. Perché non soltanto da noi, in uno dei paesi capitalistici più arretrati, ma anche in tutti gli altri paesi capitalistici, il proletariato è ancora così frazionato, umiliato, qua e là corrotto (proprio dall’imperialismo in certi paesi), che l’organizzazione di tutto il proletariato non può esercitare direttamente la sua dittatura. Soltanto l’avanguardia che ha assorbito l’energia rivoluzionaria della classe può esercitare la dittatura. In tal modo si forma una specie di ingranaggio. E questo meccanismo è la base stessa della dittatura del proletariato, l’essenza del passaggio dal capitalismo al comunismo. Già questo basta per vedere che, quando, nella sua prima tesi, il compagno Trotskij, richiamandosi alla “confusione ideologica”, parla particolarmente e appositamente della crisi dei sindacati, c’è in questo qualcosa di fondamentalmente errato sul piano dei principii. Se si vuol parlare di crisi, bisogna prima analizzare il momento politico. La “confusione ideologica” si ha proprio in Trotskij, perché è proprio lui che, esaminando il problema fondamentale della funzione dei sindacati sotto l’aspetto del passaggio dal capitalismo al comunismo, ha perso di vista, non ha considerato che c’è tutto un complesso sistema d’ingranaggi, che non può esserci un sistema semplice perché non si può esercitare la dittatura del proletariato per mezzo dell’organizzazione che riunisce tutto il proletariato. Non è possibile realizzare la dittatura senza alcune “cinghie di trasmissione” che colleghino l’avanguardia alla massa della classe avanzata, e quest’ultima alla massa dei lavoratori. In Russia questa massa è una massa di contadini, che in altri paesi non esiste; ma anche nei paesi più avanzati c’è una massa non proletaria o non puramente proletaria. Già da qui deriva effettivamente una confusione ideologica. E Trotskij ha torto ci accusarne gli altri. Quando considero il problema della funzione dei sindacati nella produzione, vedo che Trotskij commette un errore di fondo, parlandone sempre “in linea di principio”, di “principio generale”. Tutte le sue tesi sono concepite dal punto di vista del ”principio generale”. Questa impostazione è radicalmente errata. Senza contare che il IX congresso del partito ha parlato a sufficienza, e più che a sufficienza, della funzione dei sindacati nella produzione. Non starò a dire che Trotskij stesso cita nelle sue tesi le dichiarazioni assolutamente chiare di Lozovskij e di Tomskij, che debbono servirgli, come dicono i tedeschi, da “ragazzo da frustare”, ossia da bersaglio polemico. Non ci sono divergenze di principio, e la scelta di Tomskij e di Lozovskij autori degli scritti citati dallo stesso Trotskij, non è stata felice. Avremo un bel cercare, non troveremo nessuna seria divergenza sul piano dei principii. In generale, il gravissimo errore, l’errore di principio, del compagno Trotskij è di trascinare indietro il partito e il potere sovietico, ponendo oggi la questione “di principio”. Grazie a dio, siamo passati dai principii al lavoro pratico, concreto. Allo Smolnyj abbiamo chiaccherato dei principii, e certamente più del necessario. Oggi, dopo tre anni, su ogni punto del problema della produzione, su tutta una serie di elementi costitutivi di questo problema esistobo dei decreti – triste cosa questi decreti! – che vengono firmati e che poi noi stessi dimentichiamo e non applichiamo. E dopo s’inventano dei ragionamenti sui principii, s’inventano dei dissensi di principio. Parlerò poi di un decreto relativo alla funzione dei sindacati nella produzione, decreto che abbiamo tutti dimenticato, me compreso, lo debbo confessare. Le divergenze reali che esistono non concernono affatto i principii generali, se si eccettuano quelli che ho ora menzionato. Quanto alle mie “divergenze” col compagno Trotskij, che ho ora elencato, le dovevo menzionare perché, scegliendo un tema vasto come “la funzione e i compiti dei sindacati”, il compagno Trotskij ha commesso, a mio parere, una serie di errori che riguardano il contenuto stesso del problema della dittatura del proletariato. Ma, se si trascura questo fatto ci si domanda: perché in realtà non riusciamo a lavorare d’accordo, mentre ne avremmo tanto bisogno? Perché dissentiamo sul modo di accostarsi alle masse, di conquistare le masse, di legarsi con le masse. E’ questa la sostanza del problema. E qui sta la particolarità dei sindacati, istituzioni create durante il capitalismo e indispensabili durante il passaggio dal capitalismo al comunismo, ma il cui lontano avvenire è un punto interrogativo. In un avvenire lontano i sindacati saranno messi in forse; di ciò parleranno i nostri nipoti. Ma adesso si tratta del modo di accostarsi alle masse, di conquistarle, di legarsi ad esse, di creare le complesse cinghie di trasmissione del lavoro (esercizio della dittatura del proletariato). Notate che quando parlo di complesse cinghie di trasmissione non penso all’apparato sovietico. Quali saranno le complesse cinghie di trasmissione di quell’apparato, è una questione a sé. Per ora parlo soltanto in astratto e in linea di principio dei rapporti tra le classi nella società capitalistica, ove esiste il proletariato, esistono le masse lavoratrici non proletarie, la piccola borghesia e la borghesia. Anche solo da questo punto di vista, anche se l’apparato del potere sovietico fosse esente dal burocratismo, avremmo già delle cinghie di trasmissione assai complesse a causa di ciò che il capitalismo ha creato. Ed è la prima cosa alla quale bisogna pensare se ci si chiede in che consiste la difficoltà dei “compiti” dei sindacati. La vera divergenza, lo ripeto, non sta affatto là dove la vede il compagno Trotskij, ma sul modo di conquistare le masse, di accostarsi ad esse, di legarsi ad esse. Devo dire che, se studiassimo attentamente e dettagliatamente, sia pure su piccola scala, la nostra pratica, la nostra esperienza, eviteremmo le centinaia di “divergenze” e di errori di principio inutili, di cui questo opuscolo del compagno Trotskij è pieno. Per esempio, intere tesi di quest’opuscolo sono dedicate alla polemica contro il “tradunionismo sovietico”. Non c’erano abbastanza guai, bisognava inventare un nuovo spauracchio! E chi dunque l’ha fatto? Il compagno Rjazanov. Conosco il compagno Rjazanov da oltre vent’anni. Voi lo conoscete da un minor numero di anni, ma non meno di me conoscete la sua opera. Sapete benissimo che tra le sue qualità, ed egli ne ha certamente, non c’è quella di saper valutare le parole d’ordine. E noi dovremmo far figurare nelle tesi come “tradunionismo sovietico” ciò che il compagno Rjazanov ha detto una volta non del tutto a proposito! Ma vi pare una cosa seria? Se lo fosse, avremmo un “tradunionismo sovietico”, un “rifiuto sovietico di concludere la pace”, e non so che altro. Non c’è un solo argomento sul quale non si possa creare un “ismo” sovietico (Rjazanov:“l’antibrestismo sovietico”). Sì, giustissimo, “l’antibrestismo sovietico”. Del resto, macchiandosi di questa leggerezza, il compagno Trotskij commette subito a sua volta un errore. Secondo lui, in uno stato operaio la funzione dei sindacati non è di difendere gli interessi materiali e spirituali della classe operaia. E’ un errore. Il compagno Trotskij parla di uno “Stato operaio”. Scusate, ma questa è un’astrazione. Quando, nel 1917, noi parlavamo di uno Stato operaio, ciò era comprensibile; ma oggi, quando si viene a dire: “Perché difendere la classe operaia, da chi difenderla, visto che non c’è più borghesia, visto che lo stato è operaio”, si commette un errore palese. Questo stato non è completamente operaio. Ecco il punto. Qui sta uno dei fondamentali errori del compagno Trotskij. Adesso siamo passati dai principii generali alla discussione concreta e ai decreti, e ci si vuole tirare indietro da questo lavoro pratico e concreto. E’ inammissibile. In realtà, il nostro non è uno Stato operaio, ma operaio-contadino; questo in primo luogo. E ne derivano molte conseguenze. (Bucharin:“Come? Operaio-contadino?”). E benché il compagno Bucharin gridi qui dietro: “Come? Operaio-contadino?”, non starò a rispondergli su quest’argomento. Chi lo desidera si ricordi del congresso dei soviet appena concluso e troverà la risposta. Ma non basta. Il programma del nostro partito, documento che l’autore dell’ABC del comunismo conosce assai bene, mostra che il nostro Stato è uno Stato operaio con una deformazione burocratica. E noi abbiamo dovuto apporgli questa triste, come dire?, etichetta. Eccovi il periodo di transizione nella sua realtà. Dunque, in uno stato che si è formato in condizioni concrete di questo genere, i sindacati non avrebbero niente da difendere, se ne potrebbe fare a meno per difendere gli interessi materiali e spirituali del proletariato interamente organizzato? E’ un ragionamento del tutto errato dal punto di vista teorico, che ci riporta nel campo dell’astrazione o dell’ideale che raggiungeremo tra quindici o vent’anni; e non sono neppure certo che lo raggiungeremo entro questo termine. Dinanzi a noi vi è una realtà che conosciamo bene, se non cadiamo in preda all’euforia, se non ci lasciamo trasportare da discorsi intellettualistici o da ragionamenti astratti o da ciò che talvolta sembra “teoria”, ma in realtà è errore, errata valutazione delle particolarità del periodo di transizione. Il nostro Stato attualmente è tale che il proletariato interamente organizzato deve difendersi, e noi dobbiamo utilizzare queste organizzazioni operaie per difendere gli operai contro il loro Stato, e perché gli operai difendano il nostro Stato. Queste due difese si effettuano mediante una combinazione originale dei nostri provvedimenti governativi e del nostro accordo, mediante la “simbiosi” con i nostri sindacati. Dovrò ancora parlare di questa simbiosi. Ma questa sola parola mostra che è sbagliato farsi un nemico del “tradunionismo sovietico”. Perché il concetto di “simbiosi” implica l’esistenza di cose distinte che bisogna amalgamare; nel concetto di “simbiosi” è implicito che bisogna sapersi servire delle misure del potere statale per difendere da questo potere statale gli interessi materiali e spirituali del proletariato interamente unito. E quando, invece della simbiosi, avremo una saldatura e una fusione, ci riuniremo a congresso per discutere concretamente la nostra esperienza pratica e non le nostre “divergenze” di principio o i nostri ragionamenti astrattamente teorici. Il tentativo di scoprire divergenze di principio con i compagni Tomskij e Lozovskij, che Trotskij dipinge come “burocrati” professionale, non è felice; preciserò in seguito da che parte vi è, in questa discussione, una tendenza burocratica. Sappiamo benissimo che, se il compagno Rjazanov ha talvolta la piccola debolezza d’inventare parole d’ordine quasi di principio, il compagno Tomskij non aggiunge questo peccato ai molti di cui è colpevole. Perciò mi sembra che aprire qui un conflitto di principio (come fa il compagno Trotskij) contro il compagno Tomskij sia una cosa che sorpassa ogni misura. Ne sono veramente stupito. C’è stato un tempo in cui abbiamo molto peccato in materia di divergenze frazionistiche, teoriche e d’altro genere – ma, naturalmente, abbiamo fatto anche qualcosa di utile – e sembrava che da allora fossimo cresciuti. Ed è ora di passare dall’invenzione e dall’esagerazione delle divergenze di principio al lavoro concreto. Non ho mai sentito dire che il teorico domini in Tomskij, che Tomskij pretenda questo titolo; forse è un suo difetto, ma questa è un’altra questione. Ma, se Tomskij, dopo aver lavorato a lungo nel movimento sindacale, deve rispecchiare, consapevolmente o inconsapevolmente, – questa è un’altra questione e non dico che egli lo faccia sempre consapevolmente, – se nella sua situazione deve rispechiare questo complesso periodo di transizione, se le masse soffrono senza sapere esattamente di che cosa, e senza che lo stesso Tomskij sappia che cos’è che non va, e tuttavia lancia alte grida, io affermo che questo è un merito, e non un difetto. Sono assolutamente convinto che si possono trovare molti errori teorici parziali in Tomskij. E noi tutti, se ci sedessimo intorno a un tavolo per scrivere una risoluzione o delle tesi ben meditate, correggeremmo tutto, e forse non ci metteremmo neppure a correggere perché il lavoro produttivo è più interessante della correzione di piccole divergenze teoriche. Passo ora alla “democrazia della produzione”; questo, per così dire, è per Bucharin. Sappiamo benissimo che ogni uomo ha le sue piccole debolezze, anche i grandi uomini, compreso Bucharin. Se una paroletta è ben tornita, egli non può fare a meno di essere “per”. All’assemblea plenaria del Comitato centrale del 7 dicembre egli ha scritto quasi con voluttà una risoluzione sulla democrazia della produzione. E quanto più rifletto su questa “democrazia della produzione”, tanto più chiaramente vedo una falsa teoria, insufficientemente meditata. Non c’è altro che una gran confusione. E questo esempio ci induce a dire ancora una volta, almeno in una riunione di partito: “Compagno Bucharin, un po’ meno frasi ben tornite, e meglio sarà per voi, per la teoria, per la repubblica”. La produzione è sempre necessaria. La democrazia è una categoria attinente soltanto al campo politico. Non c’è niente da obiettare contro l’impiego di questa parola in un discorso, in un articolo. Un articolo prende una sola correlazione, per esporla chiaramente, e basta. Ma quando se ne fa una tesi, quando se ne vuole fare una parola d’ordine che riunisce quelli che sono “d’accordo” e quelli che non lo sono, quando si dice, come fa Trotskij, che il partito dovrà “scegliere tra due tendenze”, ciò suona assai strano. Dirò in seguito se il partito dovrà o no “scegliere” e di chi è la colpa se esso è stato posto nella situazione di dover “scegliere”. Ma, siccome è andata così, dobbiamo dire: “In ogni caso sceglierete il minor numero possibile di parole d’ordine teoricamente errate, che non contengono altro che confusione, come la “democrazia della produzione”. Né Trotskij né Bucharin hanno ben riflettuto sul significato teorico di questo termine e si sono messi nei pasticci. La “democrazia della produzione” fa sorgere idee assai lontane da quelle che li hanno affascinati. Essi volevano mettere l’accento sulla produzione, dedicarle più attenzione. Mettervi l’accento in un articolo, in un discorso, è una cosa, ma, quando se ne fanno delle tesi e il partiro deve scegliere, io dico: scegliere contro, perché questa non è che confusione. La produzione è sempre necessaria, la democrazia non sempre. La democrazia della produzione genera una serie d’idee radicalmente false. E’ passato ben poco tempo da quando abbiamo preconizzato la direzione unica. Non si deve seminare confusione, creando il pericolo che la gente si disorienti e si chieda: quando occorre la democrazia, quando la direzione unica, quando la dittatura? Non bisogna in nessun caso ripudiare neppure la dittatura; sento qui dietro Bucharin ruggire: “Giustissimo”. Proseguiamo. Da settembre stiamo parlando del passaggio dalla politica della priorità a quella del livellamento, lo diciamo nella risoluzione della conferenza generale del partito, approvata dal Comitato centrale. E’ un problema difficile. Perché bisogna coordinare in un modo o in un altro queste due politiche, e questi concetti si escludono a vicenda. Ma noi abbiamo pure imparato un po’ di marxismo, abbiamo imparato quando e come si possono e si devono unire gli opposti e, soprattutto durante i tre anni e mezzo della nostra rivoluzione, abbiamo più volte unito praticamente gli opposti. E’ evidente che bisogna affrontare questo problema con molta cautela e riflessione. Non abbiamo forse già discusso queste questioni di principio durante quelle tristi assemblee plenarie del Comitato centrale [Si tratta delle assemblee plenarie del Comitato centrale del novembre e dicembre 1920. Cfr. i testi delle risoluzioni che vi furono approvate sulla Pravda, n. 255 del 13 nov. 1920 e n. 281 del 14 dic. 1920, e il resoconto pubblicato nelle Izvestija del CC del PCR, n. 26 del 20 dic. 1920 (n.d.a.).] nelle quali si sono costituiti i gruppi di sette e di otto e il famoso “gruppo-cuscinetto” del compagno Bucharin, e nelle quali abbiamo già stabilito che il passaggio dalla politica della priorità a quella del livellamento non sarebbe stato facile? E per attuare questa risoluzione della conferenza di settembre dobbiamo lavorare parecchio. Perché queste nozioni opposte si possono combinare in modo da ottenere una cacofonia, ma anche in modo da ottenere una sinfonia. La politica della priorità è una preferenza accordata a una produzione fra tutte le produzioni indispensabili, in nome della sua maggiore urgenza. In che consiste questa preferenza? Fino a che punto la si può spingere? E’ un problema difficile e debbo dire che per risolverlo non basta la coscienziosità nell’esecuzione, non basta neppure essere un eroe, dotato forse di molte eccellenti qualità, ma che serve soltanto al suo posto; qui bisogna saper affrontare una questione specifica. E, se si pone la questione della priorità e del livellamento, bisogna in primo luogo rifletterci bene, ed è proprio questo che non si vede nell’opera del compagno Trotskij; quanto più egli rimaneggia le sue tesi iniziali, tanto più numerose diventano le tesi errate. Ecco quello che leggiamo nelle sue ultime tesi: “… Nel campo del consumo, cioè delle condizioni di esistenza individuale dei lavoratori, occorre condurre la politica del livellamento. Nel campo della produzione il principio della priorità resterà ancora a lungo decisivo per noi…” (Tesi 41, p. 31 dell’opuscolo di Trotskij). Teoricamente è una confusione completa. E’ assolutamente sbagliato. La priorità è preferenza, ma la preferenza senza consumo non è niente. Se mi si dà la preferenza concedendomi un ottavo di libbra di pane, io ringrazio umilmente per tale preferenza! La preferenza sul piano della priorità è preferenza anche sul piano del consumo. Senza di ciò la priorità è un sogno, una nuvoletta, e noi siamo pur sempre dei materialisti. Anche gli operai sono dei materialisti; se si parla di priorità, bisogna dare pane, abiti, carne. E’ soltanto così che abbiamo inteso e intendiamo la questione, discutendone centinaia di volte, su casi concreti, al Consiglio della difesa, dove ciascuno tira l’acqua al suo mulino dicendo: “Io sono un settore prioritario”, e l’altro afferma: “No, lo sono io, altrimenti i tuoi operai non reggeranno e il tuo settore prioritario andrà in malora”. Come risultato, il problema delle priorità e del livellamento è posto nelle tesi in maniera radicalmente sbagliata. Inoltre, si fa un passo indietro rispetto a ciò che si è già verificato e conquistato nella pratica. Non si può fare così; non se ne può ottenere nulla di buono. Proseguiamo e affrontiamo il problema delle “simbiosi”. In questo momento la cosa più giusta sarebbe tacere. La parola è d’argento e il silenzio è d’oro. Perché? Perché ce ne siamo già occupati praticamente; non c’è un solo importante consiglio economico di governatorato, una sola sezione importante del Consiglio superiore dell’economia nazionale e del commissariato del popolo per le comunicazioni, ecc. in cui praticamente non esiste la “simbiosi”. Ma i risultati sono completamente soddisfacenti? Ecco il punto. Bisogna studiare l’esperienza pratica, il modo in cui la “simbiosi” è stata effettuata e ciò che abbiamo ottenuto. I decreti sulla “simbiosi” in questa o quella istituzione sono talmente numerosi che non si possono enumerare. Ma non abbiamo ancora saputo studiare concretamente la nostra esperienza pratica, studiare che cosa ha dato quelal tale “simbiosi” in quella determinata branca dell’indsutria, quando quel tale membro del sindacato di governatorato occupava quella data carica nel consiglio economico di governatorato, che cosa ne è risultato, in quanti mesi si è effettuata questa “simbiosi”, ecc. Abbiamo saputo inventare divergenze di principio sulla “simbiosi” e commettere inoltre un errore: siamo diventati maestri in quest’arte, ma non siamo capaci di studiare la nostra esperienza e di verificarla. E quando ci saranno i congressi dei soviet, dove, accanto alle commissioni incaricate di studiare le regioni agricole per vedere come sia stata applicata la legge sul miglioramento dell’agricoltura, vi saranno commissioni per lo studio della “simbiosi”, per lo studio dei suoi risultati nell’industria molitoria del governatorato di Saratov, nell’industria metallurgica di Pietrogrado, nell’industria carbonifera nel bacino del Donets, ecc.; quando queste commissioni, dopo aver raccolto un mucchio di materiale, dichiareranno: “Abbiamo studiato questo e quest’altro”, dirò: “Sì, ci siamo messi seriamente al lavoro, non siamo più dei bambini!”. Ma se, dopo tre anni che stiamo effettuando la “simbiosi”, ci si presenteranno “tesi” nelle quali s’inventano divergenze di principio sulla “simbiosi”, che cosa ci può essere di più triste e di più errato? Ci siamo messi sulla via della “simbiosi”, e non dubito che abbiamo fatto bene, ma non abbiamo ancora studiato come si deve i risultati della nostra esperienza. Perciò la sola tattica intelligente da seguire su questa questione è il silenzio. Bisogna studiare l’esperienza pratica. Io ho firmato decreti e risoluzioni che contengono indicazioni pratiche sulla “simbiosi”, e la pratica è cento volte più importante di qualsiasi teoria. Perciò, quando mi si dice: “Parliamo un po’ della ‘simbiosi’”, rispondo: “Studiamo un po’ quello che abbiamo fatto”. Che abbiamo commesso molti errori, è fuori dubbio. Può anche darsi che la maggior parte dei nostri decreti debba essere modificata. Sono d’accordo, e non sono affatto innamorato dei decreti. Ma allora fate proposte concrete: trasformare questo o quello. Questa sarebbe un’impostazione efficace. Non sarebbe un lavoro improduttivo. Quando esamino la sesta sezione dell’opuscolo di Trotskij, Conclusioni pratiche, vedo che le sue conclusioni pratiche hanno proprio questo difetto. Vi si dice che nel Consiglio centrale dei sindacati di tutta la Russia e nella presidenza del Consiglio superiore dell’economia nazionale ci dev’essere da un terzo a una metà di membri appartenenti a entrambe queste istituzioni, e nel collegio questa proporzione deve variare tra la metà e i due terzi, ecc. Perché? Semplicemente così, “a occhio”. Certo, nei nostri decreti quest proporzioni sono state più volte fissate “a occhio”; ma perché questo è inevitabile nei decreti? Non sono un difensore di tutti i decreti e non voglio raffigurarli migliori di quanto in realtà siano. Accade spesso che vi si stabiliscano a occhio certe proporzioni, come la metà o un terzo di tutti i membri, ecc. Quando un decreto lo dice, vuol dire: provate a fare così e poi faremo un bilancio della vostra “prova”. Esamineremo in seguito cosa ne è risultato. E quando avremo capito, andremo avanti. Stiamo operando la “simbiosi” e la effettueremo sempre meglio perché diventiamo sempre più pratici ed esperti. A quanto sembra, mi son messo a fare la “propaganda della produzione”? E’ inevitabile! Parlando della funzione dei sindacati nella produzione, è indispensabile trattare di questo problema. Passo dunque al problema della propaganda della produzione. E’ ancora una volta una questione pratica, e noi la poniamo praticamente. Sono già stati creati organi statali addetti alla propaganda della produzione. Non so se siano buoni o cattivi; bisogna metterli alla prova; non c’è nessun bisogno di scrivere delle “tesi” a questo proposito. Se si parla in complesso della funzione dei sindacati nella produzione, quanto a democrazia non occorre nulla, tranne i normali principii democratici. Le sottigliezze del tipo della “democrazia della produzione” sono errate e non possono approdare a nulla. Questa è la prima questione. La seconda è la propaganda della produzione. Gli organismi sono già stati creati. Le tesi di Trotskij parlano di propaganda della produzione. E’ inutile, perché in questo campo le “tesi” sono già superate. Se questi organismi sono buoni o cattivi, ancora non lo sappiamo. Mettiamoli alla prova, e allora lo potremo dire. Studiamo il problema e poniamo delle domande. Supponiamo che in un congrseeo si formino dieci sezioni di dieci persone: “Hai fatto propaganda della produzione? Come e con quale risultato?”. Dopo aver esaminato questo materiale, premieremo coloro che hanno avuto i risultati migliori e scarteremo l’esperienza infruttuosa. Abbiamo già un’esperienza pratica, debole, scarsa, ma l’abbiamo; e ci spinge indietro da questa esperienza verso “tesi di principio”. Si tratta piuttosto di un movimento “reazionario” che non di “tradunionismo”. In terzo luogo, i premi. Ecco la funzione e il compito dei sindacati nella produzione: la concessione di premi in natura. Si è incominciato. La cosa è avviata. Sono stati assegnati a questo scopo cinquecentomila pud [Un pud = kg 16,38.] di grano; e centosettantamila sono già stati distribuiti. Se sono stati distribuiti bene, giustamente, non so. Al consiglio dei commissari del popolo si è detto che non sono stati ben distribuiti, che invece di un premio si è avuto un supplemento di salario; i sindacalisti e i membri del commissariato del popolo per il lavoro lo hanno affermato. Abbiamo incaricato una commissione di studiare la questione, che però non è stata ancora studiata. Centosettantamila pud di grano sono stati assegnati, ma bisogna distribuirli in modo da premiare coloro che hanno dato prova di eroismo, tenacia, abilità, devozione, ossia delle qualità che Trotskij esalta. Adesso però non si tratta di esaltare, ma di distribuire grano e carne. Non è meglio, per esempio, togliere la carne a una determinata categoria di operai e darla, in forma di premio, ad altri, agli operai dei settori “prioritari”? Noi non respingiamo questo principio della priorità, che ci è necessario. Studieremo accuratamente la nostra esperienza pratica nell’applicazione della priorità. Poi, in quarto luogo, i tribunali disciplinari. La funzione dei sindacati nella produzione, la “democrazia della produzione”, sia detto senza offesa per il compagno Bucharin, non sono che bazzecole, se non abbiamo tribunali disciplinari. Ma nelle vostre tesi non se ne parla. E sul piano dei principii, e su quello teorico, e su quello pratico la conclusione sulle tesi di Trotskij e sulla posizione di Bucharin è quindi una sola: sono una cosa pietosa! E giungo ancor più a questa conclusione quando mi dico: voi non impostate la questione da marxisti. Nelle tesi ci sono molti errori teorici, e inoltre il modo di valutare “la funzione e i compiti dei sindacati” non è marxista, perché non si può affrontare un tema così ampio senza riflettere sulle particolarità del momento attuale dal punto di vista politico. Non per niente abbiamo scritto col compagno Bucharin, nella risoluzione del IX congresso del PCR sui sindacati, che la politica è l’espressione più concentrata dell’economia. Analizzando la situazione politica attuale, potremmo dire che stiamo attraversando un periodo di transizione in un periodo di transizione. Tutta la dittatura del proletariato è un periodo di transizione, ma adesso abbiamo, per così dire, tutta una serie di nuovi periodi di transizione. Smobilitazione dell’esercito, fine della guerra, possibilità di una tregua assai più lunga di prima, di un passaggio più stabile dal fronte militare al fronte del lavoro. Questo, soltanto questo, già cambia i rapporti tra la classe del proletariato e la classe dei contadini. Come li cambia? Bisogna esaminare attentamente la questione, ma dalle vostre tesi ciò non risulta affatto. Finché non avremo esaminato il problema, dovremo saper aspettare. Il popolo è estenuato, molte risorse che bisognava utilizzare per determinate produzioni prioritarie sono già state impiegate; l’atteggiamento del proletariato verso i contadini sta cambiando. La stanchezza dovuta alla guerra è immensa, i bisogni sono aumentati, e la produzione non è aumentata o è aumentata in misura insufficiente. D’altra parte, ho già detto nel mio rapporto all’VIII congresso dei soviet che abbiamo impiegato giustamente e con successo la costrizione quando abbiamo saputo basarla sulla convinzione. Debbo dire che Trotskij e Bucharin non hanno assolutamente tenuto conto di questa considerazione importantissima. Abbiamo gettato una base abbastanza larga e solida di convinzione per tutti i nuovi compiti della produzione? No, abbiamo appena incominciato. Non abbiamo ancora trascinato le masse. E le masse possono passare di colpo a questi nuovi compiti? No, perché quando si tratta di stabilire se bisogna abbattere il grande proprietario fondiario Wrangel, se vale la pena di fare dei sacrifici per questo scopo, non c’è bisogno di una propaganda particolare. Ma la funzione dei sindacati nella produzione, se non si tiene conto della questione “di prinpio”, dei ragionamenti sul “tradunionismo sovietico” e simili futilità, ma si considera dal lato pratico, è un problema che abbiamo appena incominciato a elaborare; abbiamo appena creato l’organismo addetto alla propaganda della produzione, non abbiamo ancora esperienza. Abbiamo istituito i premi in natura, ma non abbiamo ancora esperienza. Abbiamo creato i tribunali disciplinari, ma non ne conosciamo i risultati. E dal punto di vista politico l’essenziale è proprio la preparazione delle masse. La questione è stata preparata, studiata, meditata, considerata sotto quest’aspetto? Ne siamo ben lontani. Ed è un errore politico radicale, assai profondo e pericoloso, perché in questo più che in ogni altro campo bisogna agire secondo la regola: “Misura sette volte e poi taglia una volta”, mentre ci si è messi a tagliare senza aver misurato neppure una volta. Si dice che “il partito deve scegliere tra due tendenze”, ma non si è misurato nemmeno una volta e si è inventata la falsa parola d’ordine della “democrazia della produzione”. Bisogna capire il significato di questa parola d’ordine, soprattutto in un momento politico in cui il burocratismo è diventato evidente agli occhi delle masse e in cui abbiamo posto questo punto all’ordine del giorno. Il compagno Trotskij dice nelle sue tesi che, quanto alla democrazia operaia, al congresso non resta che “ribadirla all’unanimità”. E’ falso. Non basta ribadirla; ribadire vuol dire confermare qualcosa che è già stato pienamente pesato e misurato, mentre la questione della democrazia della produzione è lungi dall’essere stata pesata fino in fondo, provata, sperimentata. Pensate a come le masse possono interpretare la parola d’ordine della “democrazia della produzione”, se la lanciamo. “Noi, gente comune, gente del popolo, diciamo che bisogna rinnovare, bisogna correggere, bisogna cacciare i burocrati, e voi venite a distrarci con le chiacchere: òccupati della produzione, dà prova di democrazia ottenendo buoni risultati nella produzione; io voglio occuparmi della produzione, però non con queste direzioni e amministrazioni generali piene di burocrati!” Non avete permesso alle masse di parlare, di capire, di riflettere; non avete permesso al partito di acquisire una nuova esperienza e avete già fretta, sorpassate ogni limite, create formule teoricamente errate. E di quante voltegli esecutori troppo zelanti aggraveranno ancora questo errore? Un dirigente politico è responsabile non soltanto del suo modo di dirigere, ma anche di ciò che fanno i suoi subalterni. Talvolta egli non lo sa, spesso non lo vuole, ma la responsabilità ricade su di lui. Passo adesso alle assemblee plenarie del Comitato centrale di novembre (9 novembre) e dicembre (7 dicembre) che hanno espresso questi errori non più in forma di analisi logica, di premesse, di ragionamenti teorici, ma nell’azione. Al Comitato centrale ne è venuta fuori una gran confusione, e una gran baraonda; è la prima volta che questo accade nella storia del nostro partito dalla rivoluzione in poi, ed è pericoloso. La cosa più grave è che si è avuta una divisione, si è formato il gruppo “cuscinetto” di Bucharin, Preobrazenskij e Serebrjakov, che ha recato più danno e fatto più confusione di tutti. Ricordatevi la storia del “Glavpolitput” e del “Tsektran”. [Glavpolitput = Direzione politica generale del commissariato del popolo per le vie di comunicazione; Tsektran = Comitato centrale del sindacato unitario dei lavoratori dei trasporti ferroviari e fluviali. Il Politvod (citato nella nota di Lenin che segue) è la Direzione politica generale dei trasporti fluviali presso il commissariato del popolo per le vie di comunicazione.] Nell’aprile 1920, la risoluzione del IX congresso del PCR diceva che il Glavpolitput veniva creato come organo “provvisorio” e che bisognava passare “nel più breve tempo possibile” a una situazione normale. In settembre si legge: “Passate alla situazione normale”. [Cfr. le Izvestija del CC del PCR, n. 26, p. 2, risoluzione dell’assemblea plenaria del Comitato centrale di settembre, paragrafo 3: “Il Comitato centrale ritiene poi che la situazione difficile dei sindacati dei trasporti, che aveva dato vita al Glavpolitput e al Politvod come strumenti provvisori per sostenere e organizzare il lavoro, sia oggi sensibilmente migliorata. Oggi si può e si deve quindi procedere all’inclusione di queste organizzazioni nel sindacato, come organismi federati che s’inseriscono e si fondono nell’apparato sindacale” (n.d.a.).] In novembre (il 9 novembre) si riunisce l’assemblea plenaria e Trotskij presenta le sue tesi, le sue considerazioni sul tradunionismo. Per quanto fossero belle certe sue frasi sulla propaganda della produzione, bisognava dire che tutto ciò era fuor di proposito, fuori tema, un passo indietro, e il Comitato centrale non poteva occuparsene in quel momento. Bucharin dice: “Va molto bene”. Può darsi che vada molto bene, ma non è una risposta alla questione. Dopo accanite discussioni si approva, con dieci voti contro quattro, una risoluzione nella quale si dice in forma cortese e fraterna che il Trektran “ha già posto esso stesso all’ordine del giorno” “il rafforzamento e lo sviluppo dei metodi della democrazia proletaria all’interno del sindacato”. Si dice che il Tsektran deve “partecipare attivamente al lavoro generale del Consiglio centrale dei sindacati di tutta la Russia, entrando a farne parte con diritti eguali a quelli delle altre unioni sindacali”. Qual è l’idea fondamentale di questa risoluzione del CC? Essa è chiara: “Compagni del Tsektran, seguite non soltanto la forma, ma anche lo spirito delle risoluzioni del congresso e del Comitato centrale per aiutare col vostro lavoro tutti i sindacati, perché in voi non vi sia più traccia di burocratismo, di favoritismo, di quella vanteria che consiste nell’affermare che siete migliori di noi, che ricevete più aiuti”. Dopo di che passiamo al lavoro concreto. Si costituisce una commissione, la sua composizione viene resa pubblica. Trotskij esce dalla commissione, la sabota, non vuole lavorare. Perché? Il motivo è uno solo. Accade a Lutovinov di giocare all’opposizione. E’ vero che anche Osinskij fa altrettanto. E’ un giuoco sgradevole, debbo dirlo in coscienza. Ma è forse un argomento? Osinskij ha condotto benissimo la campagna delle semine. Bisognava lavorare con lui, nonostante la sua “campagna di opposizione”, e un procedimento come il sabotaggio della commissione è burocratico, non è sovietico, né socialista, né giusto, ed è politicamente dannoso. Nel momento in cui bisogna sceverare ciò che è sano da ciò che è malsano nella “opposizione”, un simile procedimento è tre volte sbagliato e politicamente dannoso. Quando Osinskij conduce “una campagna d’opposizione”, io gli dico: “Questa campagna è dannosa”, ma quando egli dirige la campagna delle semine c’è di che leccarsi le dita. Che Lutovinov commetta un errore con la sua “campagna d’opposizione”, non mi metterò mai a negarlo, e così Išcenko e Šljapnikov, ma non è questa una ragione per sabotare la commissione. Del resto, quale era il senso di questa commissione? Essa significava che si passava dalle discussioni intellettualistiche su vacue divergenze al lavoro pratico. La propaganda della produzione, i premi, i tribunali disciplinari, ecco di che cosa si doveva parlare nella commissione, ecco la base su cui essa doveva lavorare. Qui il compagno Bucharin, capo del “gruppo-cuscinetto” con Preobrazenskij e Serebrjakov, vedendo la pericolosa divisione del Comitato centrale, si mette a creare un cuscinetto, un cuscinetto per la cui qualifica non riesco a trovare un’espressione parlamentare. Se, come il compagno Bucharin, sapessi fare caricature, disegnerei il compagno Bucharin in questo modo: un uomo con un secchio di petrolio che versa il petrolio nel fuoco, e la didascalia sarebbe: “Petrolio-cuscinetto”. Il compagno Bucharin voleva creare qualcosa; non c’è dubbio che il suo desiderio era dei più sinceri, era un desiderio-”cuscinetto”. Ma il cuscinetto non è riuscito; si è visto che Bucharin non ha tenuto conto del momento politico e, inoltre, ha commesso errori teorici. Bisognava sottoporre tutte queste controversie a una larga discussione? Dovevamo occuparci di tali futilità? Dedicarvi le settimane di cui avevamo bisogno prima del congresso del partito? Durante quel tempo avremmo potuto elaborare e studiare il problema dei premi, dei tribunali disciplinari, della “simbiosi”. E questi problemi li avremmo risolti efficacemente nella commissione del Comitato centrale. Se il compagno Bucharion voleva costituire un cuscinetto e non voleva trovarsi nella situazione di chi “voleva entrare in una stanza, ed è capitato in un’altra”, era tenuto a dire che il compagno Trotskij doveva restare nella commissione e insistere perché vi restasse. Se egli l’avesse detto e fatto, avremmo imboccato una via costruttiva, avremmo definito in questa commissione che cos’è in realtà la direzione unica, che cos’è la democrazia, che cosa sono i responsabili designati, ecc. Proseguiamo. Nel mese di dicembre (assemblea plenaria del 7 dicembre) eravamo già in presenza di una rottura con gli addetti ai trasporti fluviali che aggravò il conflitto; e al Comitato centrale vi furono otto voti contro i nostri sette. Il compagno Bucharin scrisse in fretta e furia la parte “teorica” della risoluzione dell’assemblea plenaria di dicembre, cercando di “conciliare” e di far funzionare il “cuscinetto”, ma naturalmente, dopo il fallimento della commissione, non poteva venirne fuori nulla. Bisogna ricordare che un dirigente politico è responsabile non soltanto della sua politica, ma anche di ciò che fanno i suoi subalterni. In che consisteva dunque l’errore del Glavpolitput e del Tsektran? Non certo nell’aver fatto uso della costrizione. Anzi, questo è stato un loro merito. Il loro errore è stato di non aver saputo passare in tempo e senza conflitti, come esigeva il IX congresso del PCR, a un normale lavoro sindacale, di non essersi saputi adattare come avrebbero dovuto ai sindacati, di non averli saputi aiutare considerandoli loro eguali. Abbiamo una preziosa esperienza militare: eroismo, tenacia ecc. Abbiamo anche aspetti negativi nell’esperienza dei peggiori elementi militari: burocrazia, boria. Le tesi di Trotskij, nonostante la coscienza e la volontà dell’autore, hanno appoggiato non già quanto vi era di meglio, ma quanto vi era di peggio nell’esperienza militare. Bisogna ricordare che un dirigente politico non è soltanto responsabile della sua politica, ma anche di ciò che fanno i suoi subalterni. L’ultima cosa che volevo dirvi e per la quale ieri avrei dovuto darmi dello stupido, è che ho lasciate passare inosservate le tesi del compagno Rudzutak. Rudzutak ha il difetto di non saper parlare forte, con aria imponente, con eloquenza. Non lo si nota, lo si lascia passare inosservato. Ieri, non avendo potuto assistere alla riunione, ho esaminato il materiale pervenutomi e ho trovato un foglietto pubblicato per la V conferenza dei sindacati di tutta la Russia che ha avuto luogo dal 2 al 6 novembre 1920. Questo foglietto è intitolato: I compiti dei sindacati nella produzione. [Lenin legge, a questo punto, le tesi di Rudzutak e poi prosegue.] Spero che ora vediate perché ho dovuto coprirmi di rimproveri. Ecco una piattaforma cento volte migliore di quella che il compagno Trotskij ha redatto dopo averci più volte riflettuto, e di quella che ha steso il compagno Bucharin (risoluzione dell’assemblea plenaria del 7 dicembre) senza averci riflettuto affatto. Tutti noi, membri del Comitato centrale che da molti anni non lavoriamo nel movimento sindacale, dovremmo imparare dal compagno Rudzutak, e anche il compagno Trotskij e il compagno Bucharin dovrebbero imparare da lui. I sindacati hanno approvato questo programma. Noi tutti abbiamo dimenticato i tribunali disciplinari, ma senza i tribunali disciplinari, senza i premi in natura, la “democrazia della produzione” non è che vaniloquio. Confronto la tesi di Rudzutak con quelle presentate da Trotskij al Comitato centrale. Alla fine della quinta tesi di Trotskij leggo: “…è indispensabile affrontare subito la riorganizzazione dei sindacati, cioè prima di tutto la selezione del personale dirigente proprio da questo punto di vista…” Ecco la vera burocrazia! Trotskij e Krestinskij selezioneranno “il personale dirigente” dei sindacati! Ancora una volta: ecco la spiegazione dell’errore del Tsektran. Il suo errore non è di aver fatto pressione; questo è il suo merito. L’errore è di non aver saputo affrontare i problemi comuni a tutti i sindacati, di non aver saputo servirsi esso stesso e di non aver saputo aiutare tutti i sindacati a servirsi in modo più giusto, più rapido e più efficece dei tribunali disciplinari. Quando ho letto nelle tesi di Rudzutak il passo relativo ai tribunali disciplinari, ho pensato: probabilmente esiste già un decreto in proposito. E infatti esiste. E’ il Regolamento dei tribunali disciplinari di compagni, promulgato il 14 novembre 1919 (Raccolta degli atti legislativi, n. 537). In questi tribunali la funzione più importante spetta ai sindacati. Io non so se questi tribunali siano buoni, se operino con successo e se funzionino sempre. Studiare la nostra esperienza pratica ci sarebbe un milione di volte più utile di tutto ciò che hanno scritto i compagni Trotskij e Bucharin. Concludo. Riassumendo tutto ciò che sappiamo su questo problema, debbo dire che sottoporre tali divergenze a una larga discussione di partito e a un congresso di partito è un errore grandissimo. E’ un errore politico. In una commissione, e soltanto in una commissione, avremmo avuto una discussione concreta e saremmo andati avanti, mentre adesso andiamo indietro e per alcune settimane andremo indietro verso posizioni teoriche astratte, invece di affrontare concretamente il problema. Quanto a me, sono mortalmente stufo, e anche se non fossi malato me ne sarei allontanato col massimo piacere e sarei pronto a scappare non importa dove. In conclusione, le tesi di Trotskij e di Bucharin contengono una serie di errori teorici, una serie d’inesattezze di principio. Il loro modo d’affrontare la questione manca assolutamente di accortezza. Le “tesi” del compagno Trotskij sono politicamente dannose. La sua è insomma una politica di seccature burocratiche nei confronti dei sindacati. E il congresso del nostro partito, ne sono convinto, condannerà e respingerà questa politica.
 
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