Comunismo - Scintilla Rossa

Il pensiero di Althusser

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view post Posted on 26/6/2022, 09:10

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Il pensiero di Althusser


I. Il futuro dura per sempre

In occasione del venticinquennale dalla morte del filosofo francese Louis Althusser, avvenuta il 22 Ottobre 1990, proponiamo una serie di contributi sul suo articolato e complesso pensiero.

Sono ad oggi pochi a ricordare Louis Althusser. Così influente negli anni sessanta del Novecento, la sua articolata opera filosofica è oggi per lo più caduta nell'oblio. Ma c'è ancora molto di attuale nel pensiero di questo filosofo francese che ha avuto il merito di applicare in maniera rigorosa e coerente le novità dell'approccio strutturalista entro la teoria marxista del suo tempo.
Intellettuale di spicco del Partito Comunista Francese, Althusser diventa ben presto celebre per la sua lettura originale del pensiero marxiano, una rilettura antiumanista e antistoricista lontana dalle visioni moraliste del marxismo molto in voga fino a qualche anno prima negli ambienti intellettuali francesi. In questo primo articolo ci occuperemo proprio della lettura antiteleologica del Capitale da parte del filosofo francese.
Piuttosto che nei confronti del razionalismo umanista di Cartesio, Althusser è profondamente debitore del pensiero di Spinoza al quale attribuisce una delle più grandi rivoluzioni filosofiche di tutti i tempi. Il filosofo olandese ha avuto infatti il merito, secondo questa lettura, di aver smantellato i grandi presupposti metafisici della filosofia tradizionale a cominciare dal fatto che la sua interrogazione dell’Essere, critica nei confronti di Cartesio, smette di implicare le questioni dell’origine e della destinazione. La sostanza in Spinoza gode di una totale autonomia ontologica e concettuale poiché si identifica con una realtà che non presuppone ma che è eventualmente presupposta. Alcune di queste intuizioni vengono riprese da Hegel nel momento in cui pone l’assenza di origine come il solo inizio che sia dato pensare. Fra i due filosofi resta tuttavia una differenza fondamentale: mentre Spinoza fonda l’ontologia sul piano dell’immanenza pura e nega che esista nel mondo qualsiasi forma di finalità prestabilita o telos, Hegel fa emergere dalla negazione della negazione un meccanismo dialettico e teleologico che fa della storia un processo di rivelazione dello Spirito. Secondo Althusser, la grandezza di Marx va letta proprio alla luce della sua capacità di conciliare in maniera brillante e proficua il pensiero dei due suddetti filosofi. Il materialismo marxiano, infatti, accetta la dialettica e il concetto di contraddizione insito in Hegel ma, come Spinoza, rifiuta di ricondurla a qualsiasi forma di idealismo che vede nella storia la realizzazione nel mondo di un progetto già dato.
Questa peculiare e originale interpretazione della filosofia marxiana che viene ripulita da ogni forma di determinismo storico ha portato Althusser al centro di vivaci dibatti filosofici soprattutto a seguito della pubblicazione del volume curato insieme a Etienne Balibar e intitolato Leggere il Capitale. In questo saggio, Althusser si propone di mettere in luce come il pensiero di Marx debba essere letto come un tentativo di istituzionalizzare il materialismo storico alla stregua di una teoria scientifica. Prendendo in prestito certi aspetti del concetto di “rottura epistemologica” di Bachelard, il filosofo di Birmandreis arriva ad affermare che, rispetto alle produzioni passate di Marx, Il Capitale rappresenta una svolta filosofica radicale in quanto vengono abbandonati gli aspetti politici ed ideologici in favore di un tentativo di far assurgere le riflessioni sul sistema di produzione capitalista a principi oggettivi e scientifici.
In questo contesto, ogni tentativo di fare del marxismo un etica della liberazione umana si scontrano contro il tentativo marxiano di analizzare l'hic et nunc del sistema di produzione capitalista.
Secondo il filosofo di Birmandreis, non esistono leggi della storia che identificano il passaggio da un sistema di produzione all’altro come un processo meccanicamente condizionato, né esiste una direzione obbligata verso cui procede il divenire storico. La contingenza della realtà impedisce di presagire se e come il sistema capitalista verrà rovesciato. Inoltre, non è detto che l’estinzione del capitalismo porti necessariamente verso una società senza classi sociali.
Althusser insiste che le interpretazioni del pensiero di Marx come una forma di storicismo sono dovute alle distorsioni provocate dal suo linguaggio che, ancora troppo reminiscente di certo hegelismo, nasconde le vere scelte epistemologiche del filosofo tedesco che, come abbiamo visto, lo avvicinano a Spinoza. Lungi dall’essere una metanarrazione teleologica, il marxismo, in quest’ottica,
«non designa che le tendenze contraddittorie in atto nel processo attuale. Una volta liberato dagli accenti profetici dei suoi scritti giovanili e del socialismo utopistico […]Marx pensa il comunismo come una tendenza della società capitalistica» (Discutere lo Stato)
Ciò significa che
«la teoria marxista è “finita” [e] limitata. Limitata all’analisi del modo di produzione capitalistico e della sua tendenza contraddittoria che apre le possibilità del passaggio verso l’abolizione del capitalismo e della sua sostituzione con “altro”. “Altro” che si delinea già e come un “vuoto” […] Dire che la teoria marxista è “finita” significa sostenere l’idea essenziale che la teoria marxista è tutt’altro che una filosofia della storia che pretende di inglobare […] tutto il divenire dell’umanità […] La teoria marxista […] è iscritta nella fase attuale e limitata ad essa: la fase dello sfruttamento capitalistico» (Ibidem).
Il pensiero di Marx non dà dunque vita a una teoria “chiusa” che racchiude in sé e in anticipo il corso della storia ma è piuttosto orientata verso un futuro “aperto” ed imprevedibile. Parafrasando il titolo di un suo contributo, si può dire che per Althusser il futuro dura per sempre: se anche il comunismo irromperà abbattendo ovunque il modo di produzione capitalistico ciò non significa che la storia giungerà necessariamente alla sua fine.
La critica antistoricista di Althusser si abbinerà, nella sua lettura del Capitale, con quella dell'umanesimo: come vedremo in un prossimo contributo, se non è possible immaginare che la storia vada necessariamente in una certa direzione, è anche perchè non c'è nessun soggetto che guidi il mutamento. Polemizzando contro tutte le filosofie antropocentriche che pongono l'essere umano al centro della realtà, Althusser decentra l'uomo affermando che la storia non è altro che un processo senza soggetto.


II. Antiumanesimo teoretico

A partire dalla seconda metà del Novecento il paradigma umanista, che ha dominato l’orizzonte culturale del mondo occidentale lungo tutta l’età moderna, è entrato in una crisi profonda che riflette una insoddisfazione crescente nei confronti della presunzione degli approcci di matrice cartesiana di porre l’essere umano al centro di ogni riflessione filosofica.
Non solo eventi storici dalla portata devastante come le guerre mondiali, i genocidi di massa, la corsa agli armamenti e la conseguente minaccia di distruzione atomica, ma anche radicali trasformazioni sociali ed economiche che hanno visto l’esaurirsi del sistema di produzione fordista, in un contesto di globalizzazione e di crescita delle disuguaglianze sia all’interno dei paesi industrializzati che fra paesi del sud e del nord del mondo, hanno contribuito a mettere profondamente in discussione l’ottimismo che ha contrassegnato quello che Habermas ha definito "il progetto della modernità". Alla prova dei fatti, la concezione che ha interpretato l’uomo come autonomo ordinatore della realtà, come il protagonista razionale e il deus ex machina di un processo storico, di una marcia trionfale di crescita e progresso tecnico che lo avrebbe condotto all’emancipazione e alla felicità assoluta, ha dimostrato tutta la sua inconsistenza.
È in questo clima di forte insofferenza verso gli insegnamenti tradizionali che comincerà a diffondersi, soprattutto in Francia, sia nell'ambito filosofico che delle scienze sociali, l'approccio strutturalista. Facendosi interpreti del disagio nei confronti della filosofia tradizionale, alcuni dei suoi principali esponenti quali Lévi-Strauss, Foucault, Lacan e Althusser sono riusciti nella sfida di coniugare l’insegnamento dei maestri Marx, Freud e Nietzsche, attenti nel descrivere le forze latenti che determinano il comportamento umano, con gli impulsi formalisti che provenivano dalla linguistica di Saussure, portando così a compimento un percorso teorico particolarmente fecondo di messa in discussione del concetto di uomo e di soggetto così come concepito dalla filosofia tradizionale, da Cartesio in poi.
Le riflessioni teoriche di questi autori tendano a minare profondamente l’immagine predominante dell’uomo che si è imposto nella modernità: se nel pensiero umanista l’essere umano è concepito come libero, capace di iniziativa e di apportare il cambiamento con la ragione, inserito in un flusso temporale costante che lo rivolge verso il progresso e la certezza di un futuro migliore, nell’ottica strutturalista è invece interpretato come profondamente determinato da elementi esterni e latenti in un contesto in cui le sue azioni si traducono nella continua riproduzione della realtà, ordinata, senza tempo e uguale a se stessa.
L'apporto specifico di Althusser alla critica antiumanista è di fondamentale importanza, tanto per la sua capacità di contribuire in maniera feconda alla riflessione strutturalista, quanto per quella di aggiornare il pensiero neomarxista di Gramsci e Lukács al contesto del dopoguerra e del pieno sviluppo della società fordista.
In primo luogo, l’obiettivo dichiarato di Althusser era quello di confutare la concezione del marxismo umanista secondo cui il pensiero dell’autore de "Il Manifesto" vada interpretato come una dottrina politica della libertà in cui viene enfatizzato il ruolo attivo e creativo di donne e uomini nel cambiare il mondo e rompere le catene dell’oppressione dello sfruttamento capitalista.
Secondo Althusser la teoria marxista è innanzi tutto una analisi scientifica della fase di dominazione capitalistica e non un pamphlet moralizzante. In quest'ottica, l'oggettività dell'impresa scientifica richiede uno studio rigoroso del sistema capitalistico e della società borghese, avulso da ogni forma di ideologia, soprattutto quella umanista. Porre al centro l'essere umano, e attribuirgli caratteristiche innate di razionalità, autonomia e coscienza, come fa la filosofia umanista, è una grave distorsione che impedisce una lettura della realtà estranea agli interessi di parte.
L'antiumanismo teoretico di Althusser è dunque innanzitutto questo: l'invito a studiare la realtà sociale considerando l'essere umano come uno degli elementi che la caratterizzano ma non come il centro da cui dipende tutto, il deus ex machina che ordina il mondo.
Seguendo la scia di Spinoza, Althusser riconduce alla categoria di ideologia anche il soggetto stesso, interpretato come una illusione del tutto immaginaria. Il Marx del Capitale, secondo Althusser, si libera dell’umanesimo e di un modo di filosofare incentrato sul soggetto per ridurlo, alla stregua di Spinoza, a mera ideologia che come tale deve essere espulsa da ogni teorizzazione scientifica. Questo sforzo è ravvisato da Althusser negli scritti di Marx dal 1845 in poi in cui il filosofo tedesco «rifiutando l’essenza dell’uomo come fondamento teorico […] bandisce le categorie filosofiche di soggetto, empirismo, essenza ideale ecc. da tutti i campi in cui regnavano» e, riconducendo l’umanesimo alla sua funzione pratica di ideologia, apre la strada a una conoscenza scientifica del mondo umano.
Spostare l'attenzione dagli uomini o gruppi sociali, per concentrarsi sui già dati rapporti di produzione che distribuiscono meccanicamente i ruoli e le funzioni che gli uomini ricoprono nella loro vita quotidiana, implica ripensare non solo la centralità del soggetto ma anche smantellare i presupposti di coscienza e autonomia che gli sono sempre stati attribuiti.
La libertà in questo frangente va vista come è una condizione di possibilità del sistema, non come una attribuzione o una caratteristica posseduta intrinsecamente dagli esseri umani. Questi ultimi, o le classi sociali nelle quali sono inseriti, non sono i soggetti della storia ma semplicemente dei portatori o supporti (Träger) dei rapporti di produzione. Fra le più importanti conseguenze di questa interpretazione sta una visione dell’individuo che, contrariamente a qualsiasi concezione filosofica legata all’umanismo, sia essa di matrice illuminista che socialista, non ha alcun peso nel determinare la storia, ma si limita semplicemente a riprodurre il compito che gli viene assegnato. Il cambiamento sociale, la rivoluzione non ha a che fare con l'azione illuminata di alcuni soggetti ma è una mera possibilità, peraltro intrinsecamente aleatoria, derivante da particolari e favorevoli situazioni strutturali come quella della Russia degli inizi del Novecento. Se il motore della storia è la lotta di classe, quest’ultima non ha nulla a che fare con la libera iniziativa degli individui che acquisiscono coscienza della loro condizione, piuttosto è l’esito dell’influenza reciproca fra le varie sfere della società all’interno della struttura. Non essendo il demiurgo della storia ma piuttosto subendone gli avvenimenti, l’essere umano subisce un radicale decentramento rispetto al centro della conoscenza e della realtà, ruolo al quale l’umanismo lo aveva eretto.
Ma questo “antiumanismo teoretico”, pur decentrando in maniera radicale e riducendo a mero meccanismo l’essere umano e rifiutando di considerarlo l’unità di analisi privilegiata di qualsiasi discorso scientifico, non rompe in maniera decisiva con il progetto illuminista e modernista di una conoscenza oggettiva che si erga a baluardo nei confronti di tutti i tentativi mistificativi delle forme di oscurantismo ideologico che riproducono le disuguaglianze sociali.
Certo, come ammette lo stesso Althusser, non è facile essere marxisti in filosofia, non è facile armonizzare la contrapposizione fra il pensiero scientifico e quello ideologico, ma è da questa distinzione che occorre partire per evitare che la critica al positivismo, all’umanesimo, allo storicismo, al razionalismo cartesiano non si riduca a mero nichilismo. Solo una critica teoretica, rivolta ai fondamenti della concezione umanista della filosofia occidentale, può, mettendo da parte ogni connotazione moralista, far comprendere quale è il posto dell’uomo nel mondo: ciò significa a un tempo rimarcare la sua mancanza di libertà rispetto alle regole strutturali che lo avvolgono ma, allo stesso tempo, permette di liberarlo dalla fallacia ideologica nel quale è stato rilegato dalla concezione umanista.
Sebbene ad oggi l'enfasi posta da Althusser sulle forme di dominazione a cui si deve piegare l'uomo, incapace di generare cambiamento in quanto inserito in ruoli che ripete all'infinito, appaia eccessiva e troppo sminuente nei confronti della capacità dell'uomo di promuovere il cambiamento, non deve sfuggire l'intento di Althusser che non è tanto quello di negare la possibilità che l'essere umano apporti un contributo per determinare la sua liberazione, quanto quello di liberare l'uomo dalla presunzione di pensare di essere al centro dell'universo. L'idea borghese dell'uomo così come teorizzata da Cartesio fino a Kant, come vedremo quando Althusser ci parlerà degli Apparati Ideologici di Stato, è un meccanismo di dominazione perché nel farci credere di essere soggetti liberi e già autonomi, distrugge lo spirito critico e rende docili: immaginandosi come soggetti già intrinsecamente votati alla libertà, diventa meno lucida la nostra capacità di comprendere che in realtà siamo assoggettati a una forma di dominazione sottile che facendoci credere di essere liberi, genera in realtà consenso e riproduce lo status quo.
Ecco allora che appare chiaro l'obiettivo di Althusser: resistere all'umanesimo in quanto strumento ideologico funzionale al capitale, analizzare il capitalismo per quello che è, ovvero un sistema di sfruttamento, non dovuto alla "cattiveria" della classe dominante, ma legato a elementi strutturali come la proprietà dei mezzi di produzione e la presenza di rapporti di produzione. Solo rimanendo ancorati all'analisi scientifica ci si può permettere di sfuggire alla trappola ideologica di considerare l'uomo come razionale demiurgo della propria libertà e si può aprire le strade al vero cambiamento sistemico.


III. il principio di surdeterminazione

Oltre a una profonda avversione nei confronti di qualsiasi lettura umanista e storicista de Il Capitale, visione che abbiamo avuto modo di descrivere e commentare in due articoli precedenti, Althusser, soprattutto a partire dal volume Per Marx, edito in Italia da Editori Riuniti nel 1965, vuole anche rigettare l’idea che il rapporto fra struttura e sovrastruttura vada interpretato come orientato verso un riduzionismo che riconduca ogni elemento a una dimensione economica. In quest’ottica, la teoria marxiana non rappresenta un rovesciamento della dialettica hegeliana, dall’idealismo al materialismo, bensì un modo diverso di intendere la dialettica. Quest’ultima ha infatti in Marx una struttura diversa rispetto a quella proposta da Hegel.
Althusser elabora questa sua interpretazione partendo dal concetto marxista di contraddizione. Come già aveva fatto Lenin, si chiede per quali ragioni la rivoluzione socialista è stata possibile in Russia. Per quale motivo, cioè, ha avuto esiti vittoriosi proprio in uno degli Stati più arretrati d’Europa. Il motivo è da ricercare proprio nel fatto che, essendo la Russia degli inizi del Novecento di gran lunga il Paese più debole fra gli stati imperialisti, recava al suo interno un’esasperazione di tutte le contraddizioni del capitalismo: coesistevano regimi di sfruttamento di stampo feudale e moderni sistemi di produzione tipici del capitalismo di fabbrica in un contesto di arretratezza delle campagne che non aveva eguali. A ciò si aggiungevano anche altre circostanze “eccezionali” che alimentavano queste contraddizioni, come il carattere sorprendentemente evoluto della élite rivoluzionaria russa oppure l’appoggio involontario che le potenze europee, desiderose di sbarazzarsi dello zar, diedero ai rivoluzionari. Riassumendo il discorso, Althusser rimarca dunque che
«persino in questi particolari di contorno, la situazione privilegiata della Russia di fronte alla possibile situazione dipese da un accumularsi e da un esasperarsi di contraddizioni storiche tali che sarebbero riuscite inintelligibili in ogni altro Paese che non fosse come la Russia, contemporaneamente in ritardo di almeno un secolo sul mondo dell’imperialismo e al vertice di esso».
Un semplice ribaltamento della dialettica hegeliana porterebbe a pensare che la ragione per cui si ha la rivoluzione dipende da ragioni economiche e in particolare dal rapporto fra le classi antagoniste e dalla contraddizione fra forze di produzione e rapporti di produzione. Certamente l’elemento strutturale economico è fondamentale nel determinare il corso degli eventi però non è l’unico: la rivoluzione russa insegna che solo un accumularsi di circostanze, l’entrata in gioco di un enorme cumulo di contraddizioni, anche radicalmente eterogenee fra loro, può spiegare un fenomeno così complesso: rapporti economici, elementi sovrastrutturali, congiunture internazionali sono tutti elementi che aggregandosi in maniera aleatoria possono determinare il corso di un evento come quello della rivoluzione.
Piuttosto che fare riferimento al concetto di contraddizione hegeliana dunque, che obbliga a pensare nei termini di un rapporto dialettico fra struttura e sovrastruttura, Althusser preferisce usare il concetto di “surdeterminazione” che si riferisce al fatto che a determinare un fenomeno entrano una moltitudine eterogenea di influenze.
Althusser sposta allora l’attenzione dall’ambito della rivoluzione allo studio della realtà sociale in generale: se nella spiegazione intervengono diverse cause esplicative, i sistemi capitalistici non si possono analizzare solo in base alle contraddizioni pure della struttura economica, bensì ricorrendo un insieme di cause che vanno ricercate in tutte le sfere della realtà e non solo in quelle economiche. Il concetto di surdeterminazione che Althusser attribuisce a Marx, spiega come mai sia inaccettabile l’idea che l’autore de Il Capitale rovesci l’idealismo hegeliano nel materialismo storico. Se Hegel in effetti spiega la vita materiale attraverso la dialettica della coscienza, non è altrettanto vero che Marx interpreti la coscienza, l’ideologia e la politica come meri prodotti delle relazioni economiche. Piuttosto egli ci «dà in mano gli estremi e ci dice che è in mezzo ad essi che dobbiamo cercare: da una parte la determinazione in ultima istanza ad opera del mondo di produzione (l’economia), dall’altra la relativa autonomia delle sovrastrutture e la loro efficacia specifica»
Questa interpretazione di Marx promossa da Althusser rompe con le principali teorie marxiste ortodosse che vedono i rapporti di produzione come l’elemento strutturante delle sfere sociali, politiche e culturali, ma anche con coloro che ritengono che struttura e sovrastruttura si influenzino mutualmente. Quello di Althusser è allora un tentativo interessante di mediare fra queste due posizioni estreme poiché si propone una teoria della surdeterminazione che suggerisce che il primato spetta all’economia la quale detiene una specifica forza causale sugli eventi; ma che anche la sovrastruttura, lungi dall’essere un mero prodotto, offre delle determinazioni proprie e può dunque vantare una certa autonomia rispetto agli elementi strutturali. In una forma un po’ retorica ma estremamente efficace, Althusser ribadisce
«che mai la dialettica opera allo stato puro, che mai nella storia si vedono quelle istanze che sono le sovrastrutture ecc., farsi rispettosamente da parte, quando hanno fatto la loro opera o dissolversi come puro fenomeno per lasciare che avanzi sulla strada regale della dialettica sua maestà l’Economia perché i Tempi sarebbero venuti. L’ora solitaria dell’”ultima istanza” non suona mai, né al primo momento né all’ultimo»
Insieme ad altri neomarxisti come Antonio Negri, Althusser nega dunque che si possa etichettare lo sforzo teorico di Marx come un pensiero dialettico. Liberato dall’ingombrante presenza della filosofia hegeliana, il materialismo marxiano non si configura come una mera riduzione della sovrastruttura alla base economica ma risulta ben più raffinato.
Se il rifiuto del riduzionismo non è una novità nell'ambito della tradizione filosofica sviluppatasi a partire dalla idee marxiane (basti pensare a Gramsci), la specificità di Althusser è quella di mettere in evidenza il complesso rapporto di influenza che si ha fra le varie sfere della società, riprendendo dalla linguistica un termine, quello di surdeterminazione, che avrà un'influenza decisiva sulla moderna teoria poststrutturalista e sul concetto di intersezionalità. Come vedremo più nello specifico nel prossimo articolo, altro elemento che rende la teoria Althusseriana così attuale è il suo mettere in evidenza il carattere aleatorio con cui avviene il cambiamento: nella Russia dei primi del Novecento, la rivoluzione è l'esito casuale di una serie variegata e disomogenea di eventi, situazioni ed elementi sociali, culturali, economici, politici che caratterizzano una data realtà sociale.


IV. materialismo aleatorio e teoria generale della società

La concezione althusseriana del cambiamento sociale e politico come esito di un complesso reticolo di influenze fra le varie sfere della società, secondo il principio della surderminazione (come abbiamo visto nel precedente contributo), è coerente con la lettura antistoricista che il filosofo francese dà del capitale: non ci sono meccanismi automatici che determinano il passaggio da un sistema di produzione all'altro, bensì solo delle concrete situazioni storiche, in cui, in maniera casuale, o quantomeno non del tutto deliberata da alcun soggetto, si può verificare la simultanea presenza di una grande quantità di contraddizioni nei rapporti sociali, economici, culturali tali da portare a una rottura dirompente col passato.
Ma come coniugare l'idea del carattere fondamentalmente aleatorio e non meccanicista delle trasformazioni sociali, che passa per una rivalutazione degli elementi culturali e politici, con l'impostazione materialista della teoria marxiana? Althusser risponde a questo dilemma introducendo, in una celebre intervista con la filosofa messicana Fernanda Navarro, edita col titolo di Filosofía y marxismo, il concetto di “materialismo aleatorio” o dell’“incontro”. Rifacendosi all’atomismo classico, Althusser afferma che in Democrito ed Epicuro emerge la concezione, radicalmente alternativa rispetto ai costrutti teorici di Platone ed Aristotele, che prima che la realtà si fosse formata vi erano un’infinità di atomi che cadevano, parallelamente gli uni agli altri, nel vuoto. Ciò significa che prima che fosse nato il mondo, non c’era niente di formato e allo stesso tempo che tutti gli elementi della realtà esistevano di già ma in forma isolata. Questi presupposti implicano che non è possibile rintracciare «alcuna Origine, senso, Causa, Ragione, né Fine. Qualsiasi teleologia è negata: sia essa razionale, morale, politica o estetica. Bisogna aggiungere che questo materialismo non è quello del soggetto (sia esso Dio oppure il proletariato) quanto piuttosto quello di un processo – senza soggetto – che domina l’ordine del suo sviluppo, senza un fine assegnabile».
Queste affermazioni, sposandosi perfettamente con i saggi di Althusser degli anni sessanta, offrono la possibilità di ribadire il carattere antistoricista e antiumanista del marxismo. L’assenza di ogni “disegno”, il carattere casuale del divenire storico, sono tutte affermazioni che concorrono a formulare una critica radicale alla storiografia romantica che vedeva nelle opere dei “grandi uomini” il motore del cambiamento: come si è già visto in precedenza, non solo la storia non è fatta da personaggi illustri e gloriosi, o da eroi, secondo la visione di Carlyle, ma addirittura, nell’ottica althusseriana, non è fatta proprio da nessuno, manca l’impronta dell’essere umano, è un processo senza soggetto.
Le implicazioni teoriche che derivano dall’atomismo di Democrito ed Epicuro, in ogni caso, non si limitano a ribadire una certa avversione per ogni spiegazione teleologica, ma offrono importanti indicazioni per ridefinire il rapporto fra struttura e sovrastruttura secondo non più il principio della dialettica ma secondo quello della surdeterminazione.
Secondo l’atomismo classico, infatti, la nascita del mondo è dovuta a un processo totalmente aleatorio: la deviazione infinitesimale dalla traiettoria parallela di un atomo, detta clinamen, permette agli atomi di incontrarsi e di aggregarsi. La realtà dunque non è altro che il prodotto dell’aggregazione casuale di atomi: non esistono leggi prestabilite di associazione che dicano verso che direzione vada il mondo. Sicuramente il materialismo aleatorio legittima dunque il primato universale degli elementi economici, ma ogni società, lungi dall’essere determinata solamente dai suoi rapporti di produzione, consta di una molteplicità di influenze, di cui quella economica opera solo come determinante di “ultima istanza”. Niente vieta, dunque, che, in date situazioni, siano altre sfere a detenere una superiore influenza. Il gioco delle determinazioni è sempre aperto, revocabile e soprattutto non conduce verso alcun futuro prestabilito.
Il principio di surdeterminazione, applicato al materialismo aleatorio, porta Althusser a proporre sul saggio "Per Marx" la sua teoria generale della società che, sulla scia della linguistica strutturale di Saussure, immagina come una totalità sistemica. Il suo modello astratto si configura come “strutturato a dominante” nel senso che ciascuno degli elementi da cui è composta la società può all’interno della struttura dominare, cioè risultare quello che influenza, in misura preponderante, gli altri. Il tutto sociale, articolato e unico allo stesso tempo, implica questo meccanismo della dominanza come essenziale, nel senso che è iscritto nella sua struttura. Tuttavia occorre ricordare che «se la struttura a dominante resta costante, cambia però il gioco delle parti: la contraddizione principale diventa secondaria, una contraddizione secondaria prende il suo posto, l’aspetto principale diventa secondario, l’aspetto secondario diventa principale. Esistono sempre sì una contraddizione principale e delle contraddizioni secondarie, ma esse si scambiano le parti nella struttura articolata a dominante, che invece rimane stabile».
Rispetto a quella hegeliana, la totalità marxiana è dunque complessa, con una serie di ambiti che si influenzano a vicenda. Ma quali sono questi elementi o sfere nelle quali si articola il sistema complessivo? Althusser ne individua quattro e li descrive come “pratiche”. Occorre subito puntualizzare che per pratica Althusser intende «ogni processo di trasformazione di una determinata materia prima data in un determinato prodotto, trasformazione effettuata da un determinato lavoro umano facendo uso di determinati mezzi (di “produzione”). In ogni pratica così concepita, il momento (o l’elemento) determinante del processo non è né la materia prima né il prodotto ma la pratica in senso stretto: il momento stesso del lavoro di trasformazione, che mette in opera, in una struttura specifica, uomini, mezzi e una data tecnica d’impiego dei mezzi».
A concorrere alla realizzazione della totalità esistono allora quattro pratiche: quella economica, quella politica, quella ideologica e quella teoretica. La pratica determinante in ultima istanza, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, è la pratica economica che trasforma la natura in prodotti d’uso mediante il lavoro umano regolato da mezzi di produzione nel quadro di determinati rapporti di produzione. Gli altri livelli essenziali sono: la pratica politica, che trasforma i rapporti sociali esistenti in nuovi rapporti sociali, la pratica ideologica che trasforma la “coscienza” umana, e la pratica teoretica che invece lavora su rappresentazioni e concetti.
Secondo il filosofo francese, è lo stesso Marx a far notare che la struttura “ a dominante” può porre al vertice pratiche diverse in contesti diversi quando afferma che la politica dominava in Grecia così come la religione a Roma. È interessante notare che la definizione degli aspetti sovrastrutturali della politica, dell’ideologia o della teoria stessa, come pratiche volte alla produzione o trasformazione di qualcosa, permette ad Althusser di eludere ogni accusa di idealismo, coerentemente con la sua insistenza sul concetto di materialismo aleatorio.
Dato che le varie pratiche sono tutte in relazione fra di loro e si influenzano vicendevolmente, i mutamenti non sono interpretabili come prodotti da condizioni esterne ma come ristrutturazioni interne. In particolare una forma di cambiamento di tipo conflittuale se non addirittura rivoluzionaria, è sempre possibile poiché entro ogni pratica si formano contraddizioni che possono portare al conflitto. Ciò vale non solo per la politica o per l’economia ma anche all’interno della teoria scientifica dove sono sempre possibili rotture epistemologiche o cambi di paradigma. Vista la loro mobilità, queste contraddizioni possono condensarsi in un punto e provocare forti tensioni antagoniste che, se non vengono raffreddate, possono portare a una fase “esplosiva” che è il terreno fertile per un’azione rivoluzionaria. La lotta però non ha un carattere di necessità, può esplodere come rimanere latente e anche i suoi esiti sono incerti e aleatori. In particolare, l’ideologia, sebbene anch’essa sia una pratica all’interno della quale si può generare conflitto, ha un ruolo determinante nel nascondere le effettive ingiustizie sociali e legittimare le idee della classe dominante ed è quindi una straordinaria produttrice di consenso. Althusser aveva sicuramente in mente il concetto gramsciano di egemonia che ha il merito di rompere con una lettura ortodossa di Marx. Tuttavia, se il filosofo italiano resta su un’impostazione filosofica di tipo dialettico, in cui si ragiona in termini di struttura e sovrastruttura, quello francese concepisce l’ideologia come una pratica, distinta e relativamente autonoma da altri elementi extraeconomici come la politica o la scienza.
Data l’importanza che essa detiene nell’opera althusseriana, nel prossimo contributo, analizzeremo allora in maniera più approfondita il concetto di Ideologia e come essa sia riprodotta all'interno degli Apparati Ideologici di Stato.


V. Apparati Ideologici di Stato

Nel suo saggio più celebre, Ideologia e Apparati Ideologici di Stato, Althusser vuole mostrare quale sia il ruolo specifico dell’ideologia all’interno delle moderne società occidentali. Il punto di partenza è la concezione marxista dello Stato che viene definito come un apparato repressivo che permette alle classi dominanti di esercitare il proprio potere sul proletariato. Secondo dunque questa visione, lo Stato va inteso innanzi tutto come apparato specializzato, composto dalla polizia, dai tribunali, dalle prigioni, dall’esercito e dalla varie cariche istituzionali e amministrative. Tutte le lotte politiche ruotano attorno allo Stato proprio perché il suo possesso e la sua conservazione permettono il dominio della classe che lo controlla. Althusser non rigetta affatto questa concezione dello Stato come apparato la cui funzione fondamentale sia quella repressiva ma ritiene che per comprendere meglio come funziona, occorre aggiungere all’analisi altri elementi che tendono a sfuggire alla maggior parte delle tradizionali analisi marxiste. In particolare, ciò che non deve sottrarsi ad ogni sforzo teorico che abbia come oggetto lo Stato, è il rimarcare che esso non si compone solo di un apparato repressivo, ma anche di uno ideologico.
Cosa sono dunque gli apparati ideologici di Stato (AIS)? Rappresentano un certo numero di realtà che si presentano all’osservatore immediato sotto forma di istituzioni distinte e specializzate, quali ad esempio quella religiosa, scolastica, familiare, politica, giuridica[1], sindacale, del sistema mediatico e dell’informazione e quella culturale in senso lato.
Una prima osservazione permette di constatare che se l’apparato repressivo di Stato è parte integrante della sfera pubblica, quelli ideologici fanno parte, in misura preponderante, della sfera privata. Non solo le famiglie, i sindacati, i partiti, le chiese ma anche buona parte dei giornali e delle imprese culturali, oltre che un certo numero di istituti scolastici, sono privati.
L’apparente contraddizione (come si possono considerare statali istituzioni private?) viene chiarita da Althusser che, rifacendosi, a Gramsci, afferma che la distinzione fra pubblico e privato è una distinzione interna al diritto borghese: da questo punto di vista lo Stato non va inteso né come pubblico né come privato ma come la condizione di possibilità di ogni diversificazione fra pubblico e privato. Ne deriva così una concezione totalizzante dello Stato il quale, non più distinguibile dalla società civile, va interpretato come coordinamento anonimo di apparati anonimi che si snodano per tutto il tessuto sociale[2].
Se la differenza fondamentale fra apparati repressivi e ideologici non ricalca quella fra sfera pubblica e privata, essa va allora cercata da un’altra parte e in particolare a partire dal modo in cui operano: anche solo intuitivamente è facile notare come i primi funzionano con la violenza, i secondi con l’ideologia. Precisando questa affermazione di massima, si può dire che, per quanto entrambi gli apparati operino al tempo stesso con la violenza e l’ideologia, quello repressivo ha un contenuto prevalentemente oppressivo che si concretizza nell’utilizzo della violenza, sia fisica che simbolica, e solo in via secondaria un contenuto ideologico; viceversa, quello ideologico ha un funzionamento basato solo marginalmente sulla repressione, poiché si rifà a modalità che sono, appunto, prevalentemente ideologiche.
Le combinazioni fra i giochi dei due apparati sono del resto molto sottili: nella realtà concreta è infatti impossibile riscontrare istituzioni che funzionano in maniera solamente repressiva o ideologica. La scuola e la Chiesa offrono, da questo punto di vista, esempi molto chiari: se da una parte queste due istituzioni si fondano sull’inculcazione di un insieme di nozioni e di conoscenze, dall’altro utilizzano metodi rigorosi di sanzioni e di esclusioni.
Occorre mettere in evidenza che gli apparati ideologici di stato funzionano tramite una forma unificata di ideologia che è quella della classe dominante. Ciò non deve sorprendere: se la classe che controlla lo Stato è quella dominante, ne consegue necessariamente che anche l’ideologia, emanazione degli apparati di Stato non può far altro che essere quella della classe dominante, è cioè emanazione diretta del suo modo di rappresentare il mondo. Althusser, tuttavia, ricorda che la capacità di esercitare l’ideologia è diffusa e riguarda dunque anche le classi subalterne che, resistendo ai processi di inculcazione e sviluppando una forma di contro-cultura, possono innescare meccanismi di lotta per rovesciare lo status quo e rendere ideologia la loro concezione del mondo[3]. L’egemonia su e negli apparati ideologici di Stato è dunque fondamentale sia per la continuità che per innescare un processo rivoluzionario. Senza questa capacità di esercitare egemonia ideologica, del resto, nessuna classe può detenere il potere statale in modo duraturo perché la mera forza repressiva non garantisce coesione e previene qualsiasi possibilità di legittimazione per le classi dominanti.
I vari apparati ideologici di Stato non hanno tutti la stessa efficacia. A seconda del periodo storico e del tipo di rapporti di produzione, ogni società ha un apparato dominante che si eleva a principale strumento di inculcazione di elementi ideologici. Secondo Althusser nelle formazioni sociali a carattere feudale il numero degli apparati ideologici di Stato era inferiore e ciò era dovuto soprattutto al fatto che la Chiesa accentrava in sé molte delle funzioni, come quelle scolastiche e culturali, che oggi sono affidate a istituzioni specializzate. Sebbene esistessero altri apparati ideologici, la Chiesa dunque era di gran lunga quello dominante. Nelle società moderne, invece, questo ruolo di preminenza è, secondo Althusser, riservato all’apparato scolastico in quanto ha come referente il bambino che come tale è più vulnerabile ai processi di inculcazione. L’ideologia borghese dominante, inoltre, rappresentando la scuola come ambiente neutro, privo di ideologia, dove si impara la libertà e a ragionare con la propria testa, ha gioco facile nel mettere in moto un potente meccanismo estremamente efficace nel riprodurre i rapporti di produzione fra sfruttati e sfruttatori.
L'importanza dell'istruzione come apparato ideologico modernamente più efficace per legittimarela concezione del mondo delle elite e contenere la dissidenza e il conflitto sociale, è confermata anche dalle recenti scelte politiche neoliberiste in tutto il mondo occidentale, dove, finita l'egemonia culturale della sinistra, le riforme scolastiche sono molto spesso andate nella direzione di una progressiva svalutazione delle discipline umanistiche e critiche in favore di quelle economiche e informatiche (nelle scuole superiori di molti paesi europei molte ore precedentemente dedicate alla storia e filosofia o alle discipline letterarie sono ora sostituite da "management", "contabilità", pesino "imprenditorialità"). In questo frangente, una lettura althusseriana suggerirebbe di leggere il taglio della spesa pubblica nei confronti dell'istruzione, non tanto come un tentativo di svalutare l'educazione in sé o come un disimpegno dalle questioni legate alla conoscenza e alla cultura, quanto come il forte impegno delle classi dominanti di svalutare quell'istruzione di qualità che sviluppa il senso critico e la capacità di immaginare il diverso in favore di una promozione senza precedenti di tutto quel sapere che dà per scontate e concepisce come naturali le disuguaglianze e ingiustizie sociali presenti.
Ovviamente, l'istruzione non è solo strumento del capitale, ma di qualsiasi ideologia politico-economica che vuole far passare la propria concezione del mondo, valida o meno che sia, come giuste. Non deve stupire in quest'ottica, la grande preoccupazione da parte di Lenin e Mao, una volta preso il potere, di riformare in maniera drastica il sistema educativo tradizionale volto alla riproduzione delle idee dell'ordine politico precedente.
L’ideologia è dunque fondamentale per la riproduzione sociale e cioè, innanzitutto, per riprodurre la struttura economica della società: i mezzi di produzione e i rapporti di produzione. Ogni formazione sociale deve infatti, nello stesso tempo in cui produce, e per poter produrre, riprodurre le condizioni della sua produzione. I mezzi di produzione, ovvero le condizioni materiali della produzione come le materie prime, le installazioni fisse e i macchinari vengono riprodotte tramite lo scambio di mercato e non al livello dell’impresa. Per capire questo punto è sufficiente un semplice esempio: se un capitalista possiede una fabbrica di tessuti di lana deve preoccuparsi personalmente di come assicurarsi i macchinari e la lana per produrre ma a fornirglieli saranno altri capitalisti come ad esempio un allevatore e un produttore metallurgico. Se dunque i mezzi di produzione materiali dipendono dal sistema dello scambio e della circolazione del capitale, la riproduzione delle forze produttive, cioè della forza lavoro, avviene in un modo radicalmente diverso. Questa necessità è infatti garantita innanzitutto dal salario che permette al lavoratore di assolvere ai suoi bisogni primari e di allevare ed educare i figli. Tuttavia non è sufficiente riprodurre le condizioni materiali di esistenza del lavoratore, è anche necessario che egli sia competente, cioè idoneo ad essere inserito nel processo produttivo. La forza lavoro deve dunque essere sufficientemente qualificata secondo le esigenze della divisione socio-tecnica del lavoro. Se nel sistema feudale la riproduzione della qualificazione della forza lavoro tende ad essere assicurata all’interno dell’impresa stessa, tramite l’apprendistato, nell’economia capitalista, ciò avviene al di fuori della produzione. In particolare, è il sistema scolastico che gioca un ruolo fondamentale in questo senso. Quest’ultimo insegna infatti un “saper fare” tecnico ma anche regole di comportamento, morali e soprattutto del rispetto della divisione del lavoro e delle gerarchie di classe che presuppongono il ruolo centrale dell’ideologia per essere trasmesse.
«Per enunciare questo fatto in un modo più scientifico, diremo che la riproduzione della forza lavoro richiede non solo una riproduzione della sua qualificazione, ma anche, allo stesso tempo, una riproduzione della sua sottomissione alle regole dell’ordine costituito, cioè una riproduzione della sua sottomissione all’ideologia dominante da parte degli operai e una riproduzione dell’abilità di manipolare correttamente l’ideologia dominante da parte degli agenti dello sfruttamento e della repressione, così che possano assicurare il dominio della classe dominante anche tramite l’uso della “parola”».
Se dunque l’ideologia è fondamentale al sistema capitalistico per assicurare la riproduzione della forza lavoro, ciò è altrettanto vero per quanto concerne i rapporti di produzione. Da questo punto di vista sono infatti gli apparati ideologici e quello repressivo di Stato a avere un ruolo decisivo. L’apparato repressivo ha il compito di assicurare la riproduzione dei rapporti di produzione con la forza quando essa risulta indispensabile ma deve soprattutto creare le condizioni politiche dell’esercizio degli apparati ideologici. Sono questi ultimi infatti che sotto l’“insegna” dell’apparato repressivo garantiscono, in modo latente, la riproduzione. Vedremo nel prossimo e ultimo articolo dedicato al pensiero di Althusser, come l'ideologia agisca proprio nella direzione di legittimare i rapporti di produzione, creando una narrazione sociale in cui le disuguaglianze vengono descritte come naturali e come la posizione di subalternità nei rapporti di produzione venga considerata l'esito del proprio demerito individuale.



VI. Ideologia e Soggetto

Dopo aver mostrato come l’ideologia, trasmessa tramite apparati statali ad hoc, detiene il ruolo fondamentale di garantire l’ordine sociale a partire dalla riproduzione della struttura economica, Althusser si interessa del suo funzionamento, della sua struttura interna per mostrare in che modo e secondo quali meccanismi possa essere accettata diffusamente come verità assoluta nascondendo il suo carattere specifico di rappresentazione fittizia della realtà.
Per fare questo, ancora una volta il punto di partenza del filosofo francese è Marx il quale riprende il concetto di ideologia, inventata da Destutt de Tracy e Cabanis fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, conferendogli, nelle sue opere giovanili, un significato preciso: essa indica il sistema dogia in generale dalla quale dipendono tutte le particolari teorie delle ideologie. Se queste ultime infatti hanno una storia, l’Ideologia[4] che le rende possibili non la ha: gli uomini ricorrono sempre all’Ideologia per rappresentarsi il mondo che li circonda. Ciò che invece muta, che ha una dimensione storica, sono solo le specifiche ideologie che emergono nella realtà mentre il pensiero ideologico in quanto tale è una categoria astorica. Per rendere più chiare queste affermazioni, Althusser ritiene che la proposizione “l’Ideologia non ha storia” possa essi idee e rappresentazioni che dominano le menti degli uomini o dei gruppi sociali.
Sebbene vi siano anche nelle opere della maturità delle pagine che mettono al centro della discussione il problema, Marx non sviluppa mai in maniera esplicita una vera propria teoria dell’ideologia. Viceversa, Althusser compie un notevole sforzo teorico in questa direzione e decide di affrontare il problema da un punto di vista il più possibile generale: non c’è l’interesse a studiare le ideologie particolari perché esse rappresentano solo una visione del mondo parziale che esprime le specifiche posizioni di classe; piuttosto ciò che deve essere posto al centro dell’attenzione è il tentativo di formalizzare una teoria dell’ideologia in generale dalla quale dipendono tutte le particolari teorie delle ideologie. Se queste ultime infatti hanno una storia, l’Ideologia[4] che le rende possibili non la ha: gli uomini ricorrono sempre all’Ideologia per rappresentarsi il mondo che li circonda. Ciò che invece muta, che ha una dimensione storica, sono solo le specifiche ideologie che emergono nella realtà mentre il pensiero ideologico in quanto tale è una categoria astorica. Per rendere più chiare queste affermazioni, Althusser ritiene che la proposizione “l’Ideologia non ha storia” possa essere correlata direttamente alla concezione freudiana secondo cui “l’inconscio è intemporale” cioè onnipresente e immutabile nella forma.
Althusser rigetta l’interpretazione feuerbachiana secondo la quale nell’ideologia gli uomini rappresentano a loro stessi le loro reali condizioni di esistenza in una forma immaginaria. In realtà, nota il filosofo francese, l’oggetto che è rappresentato nell’ideologia in modo trasfigurato non sono le condizioni di esistenza bensì i rapporti come quelli di produzione o sociali che definiscono la posizione e quindi le condizioni di vita degli uomini. La tesi di Althusser è cioè che l’Ideologia rappresenta il rapporto immaginario degli individui rispetto alle loro condizioni materiali di esistenza. Occorre specificare, in un linguaggio più rigorosamente marxista, che
«l’Ideologia rappresenta, nella sua distorsione necessariamente immaginaria, non tanto i rapporti di produzione esistenti […], ma più che altro la relazione (immaginaria) degli individui rispetto ai loro rapporti di produzione […]. Ciò che è rappresentato nell’ideologia non è dunque il sistema dei reali rapporti che governano l’esistenza degli individui, ma la relazione immaginaria di questi individui rispetto ai reali rapporti entro cui vivono»
Secondo la teoria althusseriana dunque gli individui vivono sempre all’interno dell’ideologia, cioè di una determinata rappresentazione del mondo la cui distorsione dipende dalla loro relazione immaginaria alle loro condizioni di esistenza, cioè, in ultima istanza, ai loro rapporti di produzione e di classe. L’operaio, ad esempio, non si fa tanto un idea distorta di sé e della sua condizione di vita quanto più che altro del ruolo sociale che occupa all’interno del sistema di produzione. Penserà cioè, che l’essere proletario sia naturale, rappresenti il suo posto nel mondo e non l’esito socialmente iniquo di rapporti di sfruttamento. Ma come è possibile che ci si possa rappresentare il mondo in un modo così distorto da produrre l’accettazione della propria posizione socio-economica di inferiorità?
Althusser risponde alla domanda descrivendo il funzionamento dell’ideologia. Alla base di ogni rappresentazione distorta del mondo sta la categoria di soggetto. Essa è cioè costitutiva di tutta l’ideologia nella misura in cui definisce concreti individui come soggetti. Dato che, come abbiamo visto, l’ideologia non ha storia, l’identificazione dell’ideologia come ideologia del soggetto, è sempre vera[5]: al di la delle differenze storiche, sociali e culturali, l’ideologia funziona sempre interpellando individui concreti come soggetti, dotati cioè di autocoscienza e autonomia di pensiero e azione. La finzione ideologica sta dunque proprio in questo: nel far credere a persone concrete di essere libere e dotate di un agire razionale intenzionato che li rende padroni di tutto ciò che li circonda. Un individuo che crede in Dio o nella Giustizia matura questa convinzione dalla rappresentazione ideologica di se stesso come un individuo, cioè come soggetto con una coscienza che contiene le idee in cui crede. L’ideologia funziona cioè come un dispositivo concettuale che impone all’uomo di conoscersi come soggetto dotato di una coscienza tramite la quale forma o riconosce liberamente idee in cui crede. Si potrebbe dire dunque che l’ideologia produce consenso e dunque falsità ma per fare ciò deve anche produrre senso e quindi una forma di “verità” che è appunto quella insita nel meccanismo di soggettivazione: diventando soggetti, gli individui condividono una peculiare concezione del mondo e di loro stessi.
Tramite l’ideologia ognuno è sempre e già soggetto e come tale pratica in continuazione i rituali ideologici di riconoscimento come ad esempio salutare, presentarsi, chiamarsi per nome, stringersi la mano. In questo modo, l’interpellazione come soggetto è possibile perché è l’individuo stesso che accetta e decide di abitare quella categoria di soggetto che lo identifica come tale. Questo processo di continua affermazione e riconoscimento del soggetto, avviene dunque tramite gli apparati di Stato che lo reclutano continuamente nelle pratiche della vita quotidiana.
Abbiamo già messo in luce nelle pagine precedenti che, nel contesto di una filosofia materialista, per Althusser l’ideologia ha una dimensione pratica e materiale: l’ideologia esiste sempre e materialmente all’interno di un apparato di Stato e nelle sue pratiche. La sua presenza sta nel suo funzionamento, nella sua attività di trasformare individui in soggetti e ciò avviene materialmente: credere in Dio implica andare a messa, confessarsi, inginocchiarsi; credere nella Giustizia significa allo stesso modo sottomettersi alla regole della leggi e quindi firmare petizioni o partecipare a dimostrazioni quando esse sono violate. Sono dunque gli apparati ideologici di Stato che producono materialmente le idee dei soggetti imponendogli determinate azioni, pratiche, rituali. Le idee non esistono allo stato spirituale ma sono inscritte in azioni e pratiche governate da rituali e routine definite in ultima istanza dagli apparati ideologici. Inoltre, essendo inserito in un sistema ideologico, l’individuo non si limita a pensare o a rappresentarsi il mondo secondo talune idee, ma deve agire in concordanza con queste idee. Chi non lo fa, viene etichettato, o si auto-etichetta, come una persona che fa una cosa diversa rispetto a quella che proclama e subisce così sanzioni sociali che lo definiscono come soggetto incoerente, persino “cattivo” se ciò che fa risulta contrario alle concezioni ideologiche dominanti.
La modalità pratica, quotidiana e continuativa tramite cui l’ideologia agisce nel suo incessante produrre e riprodurre la categoria di soggetto è facilmente dimostrabile, secondo Althusser, ricorrendo a un banale esempio. Se qualcuno alle tue spalle ti chiama per strada esclamando: “hey, tu!”, la semplice rotazione del busto di centottanta gradi che compi voltandoti, ti costituisce come soggetto. Riconoscendo infatti di essere quella persona chiamata in causa, e non qualcun altro, accetti di essere concepito come soggetto. Questo e altri piccoli avvenimenti della vita quotidiana non si formano esternamente all’ideologia ma al suo interno: l’ideologia non ha un esterno rispetto a sé. Utilizzando un linguaggio lacaniano, si può affermare che anche secondo Althusser l’io si riconosce definendosi in rapporto all’alterità come “l’altro dell’Altro”.
L’ideologia costituisce dunque soggetti nella loro concretezza mediante specifiche pratiche di riconoscimento. Tuttavia la sua forza è anche quella di definirli non solo sufficientemente concreti da essere riconosciuti, ma anche sufficientemente astratti per essere pensati e per dare dunque vita a una forma di conoscenza ideologica su di loro. Dato che, come abbiamo visto, l’ideologia è eterna e funziona in maniera pratica trasformando sempre esseri umani in soggetti, questi ultimi non detengono alcuna dimensione storica: sono sempre e già soggetti poiché sempre inseriti nell’ideologia. Contrariamente a quanto pensava Foucault, non ha senso, nell’ottica althusseriana, ricostruire una storia della soggettività. Il soggetto non è l’esito di una peculiare configurazione storica ma è già tale sempre, ancor prima di essere nato[6]. Ce lo ricorda Freud facendo notare la forza dei rituali ideologici che circondano il bambino ancora nel grembo della madre che, ancora prima di venire al mondo, riceve già un’identità, viene considerato insostituibile e diventa il catalizzatore di diversi sentimenti a seconda del contesto ideologico della famiglia entro cui nasce.
L’interesse per l’ideologia in generale, porta Althusser a studiarne, non tanto le modalità storiche con le quali si manifesta, bensì la sua struttura interna. Per fare questo ricorre all’esempio della religione cristiana, affrettandosi però a ricordare che si tratta di un caso che può essere generalizzato a ogni altro campo dato che la struttura dell’ideologia è sempre la stessa. Il funzionamento dell’ideologia cristiana si fonda su un rapporto privilegiato fra Dio che chiama in causa (di solito tramite le figure ecclesiastiche o le Sacre Scritture che parlano per suo conto) e il fedele che è interpellato come soggetto, cioè con un’identità personale, dotato di libero arbitrio e pertanto responsabile del suo comportamento individuale. Egli si riconosce nella chiamata e si convince che il posto che occupa è quello che Dio ha designato per lui. La stranezza sta nel fatto che affinché vi siano così tanti soggetti religiosi, è assolutamente necessario che ve ne sia un altro assoluto e unico, cioè Dio. Dunque l’interpellazione di individui come soggetti presuppone l’esistenza di un Soggetto[7] unico ed altro nel nome del quale la religione ideologica interpella tutti gli individui come soggetti. Questi ultimi sono dunque soggetti di/a Dio, che rappresenta il Soggetto par excellence. Sono, più precisamente, la sua immagine, il suo specchio. Tutte le riflessioni teologiche provano, del resto, che se è vero che i fedeli necessitano Dio, è altrettanto vero che, viceversa, anche Dio ha bisogno dei suoi fedeli: il Soggetto necessita dei soggetti anche se loro sono imperfetti e non rispettano il suo volere adottando comportamenti peccaminosi. Inoltre Dio duplica se stesso e manda suo Figlio sulla Terra, deve cioè farsi uomo per mostrare empiricamente alle persone che se è vero che loro sono solo soggetti (cioè soggetti soggiogati al Soggetto), nel Giorno del Giudizio, rientreranno nella grazia divina, nel Soggetto.
Questo meccanismo di fondo, comune a ogni ideologia, si configura dunque come un rispecchiamento o una duplicazione del Soggetto nei vari soggetti e del soggetto stesso entro un soggetto che diventerà, ricongiungendosi con lui, Soggetto. Questa struttura di duplicazione a specchio assicura il funzionamento dell’ideologia: occupando l’unico posto al centro, il Soggetto interpella attorno a sé gli individui come soggetti secondo una connessione tale per cui Egli sottomette i soggetti e li assorbe in sé, nel Soggetto stesso, nel quale ogni soggetto può contemplare la sua propria immagine e ricevere la garanzia e che se si comporterà conformemente ai dettami posti dal Soggetto, tutto andrà nel migliore dei modi. Il Soggetto dunque, duplicandosi nei soggetti come Dio si è duplicato facendosi uomo, garantisce loro che la realtà è veramente come se la immaginano e che si comportano conseguentemente e in accordo con le prescrizioni del Soggetto, saranno nel giusto o salvi.
La volontà di obbedire al Soggetto viene allora rinfrancata dalla convinzione della sua correttezza e del suo esito benefico e passa concretamente per un lavoro su se stessi che solo raramente viene disatteso. Se questa eccezione si verifica, se cioè un individuo, un “soggetto cattivo”, sfugge alle maglie dell’ideologia, entrano in azione gli apparati repressivi di Stato.
Il motivo per cui un individuo sceglie di obbedire sentendosi completamente libero, risiede nell’ambiguità del termine “soggetto”. Esso può infatti designare «una soggettività libera, un centro di iniziative, autore e responsabile delle sue azioni [oppure] un essere assoggettato, che si sottomette a un’altra autorità e a cui è dunque negata ogni libertà eccetto quella di accettare liberamente il suo assoggettamento». In effetti l’ideologia porta proprio a questo secondo esito perché interpella l’individuo come soggetto libero con l’obiettivo che sia lui stesso ad accettare la sua subordinazione, che compia di per se stesso quelle azioni che lo assoggettano.
Se si abbandona il livello individuale per riportare la discussione a una dimensione generale ancora una volta Althusser mostra in maniera efficace quello che era il punto di partenza della sua riflessione, ovvero il problema della riproduzione. Il ruolo determinante dell’ideologia nel riprodurre i rapporti di produzione e garantire la continuità delle relazioni di sfruttamento capitaliste si mostra nella sua capacità di entrare nelle coscienze individuali e di essere riattivata continuamente nelle pratiche della vita quotidiana. Come il fedele accetta il suo posto nel mondo perché assegnatogli da Dio, così il proletario, tramite l’ideologia, accetta la sua condizione e occupa il posto che la divisione socio-tecnica del lavoro gli assegna.

Alessandro Zabban


NOTE:
[1] Il diritto riguarda sia l’apparato repressivo che quello ideologico. Per approfondimenti vedi Mcgee (2012).
[2] La debolezza di questa visione sta forse nell’impossibilità di capire cosa non sia Stato, cioè cosa stia al suo esterno. Una volta affermato che le istituzioni della società capitalista fanno parte dello Stato, risulta complesso capire dove esso finisca e dove cominciano le altre sfere e gli altri sistemi sociali.
[3] Il ragionamento di Althusser qui, ricorda da vicino non solo quello di Gramsci ma anche quello di Karl Mannheim e la sua distinzione fra ideologia (delle classi dominanti) e utopia (di quelle subalterne).
[4] D’ora in avanti, l’ideologia in generale verrà indicata semplicemente come Ideologia (con la “I” maiuscola).
[5] Questo è un punto piuttosto ambiguo della teoria althusseriana dell’Ideologia. Occorre mettere in evidenza che, poiché l’Ideologia è per definizione astorica, allora funzionerà sempre interpellando individui come soggetti. Eppure quella di soggetto, lungi dal’essere un concetto universale, è una categoria che sorge con la società moderna borghese. Questa contraddizione è giustificata da Althusser, in una maniera forse un po’ troppo frettolosa, tramite l’affermazione che la categoria del soggetto era indicata, nelle costruzioni ideologiche del passato, con l’uso di altri termini corrispondenti, come ad esempio quello di “anima” nella filosofia platonica.
[6] Le società occidentali offrono vari esempi a riguardo. Utilizzando un lessico althusseriano si può notare ad esempio come nelle società occidentali l’apparato ideologico rappresentato dal diritto tende, al netto delle differenze di giurisdizione da Stato a Stato, a riconoscere il bambino non nato come portatore di diritti soggettivi (soggetto giuridico).
[7] D’ora in avanti, il Soggetto unico ed eterno dell’Ideologia verrà indicato con la lettera maiuscola per distinguerlo dalla moltitudine di soggetti, cioè di individui concreti trasformati dall’ideologia in soggetti quali ad esempio i fedeli.
 
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