Comunismo - Scintilla Rossa

Galimberti e la tecnica

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view post Posted on 4/11/2021, 21:56

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Che ne pensate di quello che dice Galimberti sulla tecnica? Se non sbaglio riprende alcune idee di Severino e forse anche di Heidegger.
Riporto alcune parti da un'intervista:

Il problema è che continuiamo a pensare – ed è un errore tragico, frutto di pigrizia mentale – di avere la tecnica come strumento a nostra disposizione. Non è vero, non è assolutamente vero. La tecnica è ormai diventata il soggetto del mondo e gli uomini si sono trasformati in apparati di questa tecnica. Il grande capovolgimento sta qui. L’aveva già annunciato Hegel declinando un teorema semplice ed elementare: quando un fenomeno cresce quantitativamente, in parallelo il contesto cambia qualitativamente. L’esempio è facile. Se c’è un terremoto di due gradi della scala Mercalli nessuno, a parte i sismografi, se ne accorge. Se tocca nove gradi di intensità, il paesaggio cambia radicalmente. E’ un argomento sfruttato successivamente anche da Marx in chiave economica. Il denaro è un mezzo per soddisfare i bisogni e produrre i beni, ma se diventa la condizioni universale di entrambi, allora da mezzo diventa fine. Lo stesso capovolgimento è avvenuto anche con la tecnica. Se la tecnica diventa il canone universale per realizzare qualsiasi scopo, non è più uno strumento bensì il primo e pervasivo scopo di esistenza.

La tecnica funziona. Funziona nella forma dell’autopotenziamento. La tecnica non ha scopi di salvezza, non dischiude orizzonti di senso. Essendo diventata la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, è desiderata da tutti. Non ha sbocchi, sa di essere appetibile per il solo fatto che si autorafforza. Si potrebbe dire della tecnica ciò che Nietzsche diceva della volontà di potenza: non c’è niente che vuole, tranne se stessa.

La disumanizzazione può essere verificata facendo un passo in più perché finora in realtà abbiamo parlato di tecnologia. Ma la tecnica è qualcosa di più radicale. La tecnica è la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo. In cosa consiste questa razionalità? Nel raggiungere il massimo degli scopi col minimo dei mezzi. Una volta il telefonino era grande come una valigia e svolgeva una funzione sola. Adesso è piccolissimo e ne svolge centomila. E’ il modello della razionalità tecnica, che ha superato perfino il mercato perché il mercato possiede ancora un passionalità umana: la ricerca del denaro.

La politica è stata inventata da Platone: la tecnica stabilisce il come ma è la politica che decide se e perché si devono fare le cose. Il punto è che oggi però la politica non decide più niente.
Decide la tecnica, ma lo decide in modo più radicale. La politica per decidere guarda l’economia, e l’economia per decidere guarda alle risorse, cioè agli investimenti. Mentre la tecnica è una struttura cieca, che non ha scopi.


Fonte: https://www.ildubbio.news/2019/04/23/galim...-mangia-lanima/

Edited by k7ygd - 19/12/2021, 10:27
 
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view post Posted on 27/11/2021, 15:16
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Secondo me queste critiche alla tecnica tipiche della filosofia novecentesca sono campate in aria,semmai le critiche che si possono fare alla tecnica sono principalmente 2:


- il primo è che è condizionata all' interno del sistema economico in cui si trova, e quindi in una società capitalista anche la tecnica si svilupperà in modo capitalista alienando così e mercificando l' individuo

- il secondo è la venerazione delle sue possibilità ,quando viene presentata come capace di risolvere qualsiasi problema, in realtà anche la tecnica o un certo tipo di tecnica ha dei limiti entro cui può svilupparsi e non può fare qualsiasi cosa e sostituirsi all' intelligenza umana

Edited by aixo - 27/11/2021, 15:41
 
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view post Posted on 19/12/2021, 08:45

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QUOTE (aixo @ 27/11/2021, 15:16) 
il primo è che è condizionata all' interno del sistema economico in cui si trova, e quindi in una società capitalista anche la tecnica si svilupperà in modo capitalista alienando così e mercificando l' individuo

Infatti secondo me qui sta il maggior problema di questi filosofi del filone della tecnica (Severino, Galimberti, ecc). Vedono la tecnica come cosa a sé, come essere inarrestabile ricolmo di volontà di potenza, non riconoscendone il carattere storico congiunturale di mezzi di produzione in mano ai dominanti, difendendo indirettamente così di fatto il capitalismo come sistema di produzione divoratore perpetuo e immodificabile che aliena l'uomo, dimenticando che tale condizione è causata dagli attuali e temporanei rapporti di produzione:
Non può essere diversamente in un modo di produzione entro il quale l'operaio esiste per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale esista per i bisogni di sviluppo dell'operaio.
Come l'uomo è dominato nella religione dall'opera della propria testa, così nella produzione capitalistica egli è dominato dall'opera della propria mano.

Marx, Il Capitale (I.23)


QUOTE
- il secondo è la venerazione delle sue possibilità ,quando viene presentata come capace di risolvere qualsiasi problema, in realtà anche la tecnica o un certo tipo di tecnica ha dei limiti entro cui può svilupparsi e non può fare qualsiasi cosa e sostituirsi all' intelligenza umana

Qui c'è tutta la questione del transumanesimo su cui a mio avviso il marxismo non ha ancora elaborato una critica soddisfacente.
 
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view post Posted on 20/10/2022, 19:36

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QUOTE (k7ygd @ 19/12/2021, 09:45) 
Vedono la tecnica come cosa a sé, come essere inarrestabile ricolmo di volontà di potenza, non riconoscendone il carattere storico congiunturale di mezzi di produzione in mano ai dominanti

Evidentemente la mia critica era fondata su una visione "umanista" (o "antropocentrica") del mondo, Galimberti rifiuta questa impostazione considerando il centro del mondo (il soggetto storico) essere ormai gia' da tempo la tecnica:

In questo inserimento rapido e ineluttabile portiamo ancora in noi i tratti dell’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee proprie e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. L’età della tecnica ha abolito questo scenario “umanistico”, e le domande di senso che sorgono restano inevase, non perché la tecnica non sia ancora abbastanza perfezionata, ma perché non rientra nel suo programma trovar risposte a simili domande.
[...]
Per orientarci occorre innanzitutto farla finita con le false innocenze, con la favola della tecnica neutrale che offre solo i mezzi che poi gli uomini decidono di impiegare nel bene o nel male. La tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente. Non siamo infatti esseri immacolati ed estranei, gente che talvolta si serve della tecnica e talvolta ne prescinde. Per il fatto che abitiamo un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato, la tecnica non è più oggetto di una nostra scelta, ma è il nostro ambiente, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni, condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi.
[...]
La trasformazione della tecnica da “mezzo” in “fine”.
Ma all’epoca di Bacone i mezzi tecnici erano ancora insufficienti e l’uomo poteva ancora rivendicare la sua soggettività e il suo dominio sulla strumentazione tecnica. Oggi invece il “mezzo” tecnico si è così ingigantito in termini di potenza ed estensione da determinare quel capovolgimento della quantità in qualità che Hegel descrive nella Logica e che, applicato al nostro tema, fa la differenza tra la tecnica antica e lo stato attuale della tecnica. Infatti, finché la strumentazione tecnica disponibile era appena sufficiente per raggiungere quei fini in cui si esprimeva la soddisfazione degli umani bisogni, la tecnica era un semplice mezzo il cui significato era interamente assorbito dal fine, ma quando la tecnica aumenta quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condizionare la rappresentazione, la ricerca, l’acquisizione dei mezzi tecnici, ma sarà la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può essere raggiunto. Così la tecnica da mezzo diventa fine, non perché la tecnica si proponga qualcosa, ma perché tutti gli scopi e i fini che gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non attraverso la mediazione tecnica. Già Marx aveva descritto questa trasformazione dei mezzi in fini a proposito del denaro che, se come mezzo serve a produrre beni e a soddisfare bisogni, quando beni e bisogni sono mediati per intero dal denaro, allora diventa il fine, per raggiungere il quale, se necessario, si sacrifica anche la produzione dei beni e la soddisfazione dei bisogni. In altra prospettiva e sullo sfondo di un altro scenario, E. Severino osserva che se il mezzo tecnico è la condizione necessaria per realizzare qualsiasi fine che non può esser raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico, il conseguimento del mezzo diventa il vero fine che tutto subordina a sé. Ciò comporta il crollo di numerosi impianti categoriali con cui l’uomo aveva finora definito se stesso e la sua collocazione nel mondo.
[...]
Dall’alienazione tecnologica all’identificazione tecnologica.
Che ne è dell’uomo in un universo di mezzi che non ha in vista altro se non il perfezionamento e il potenziamento della propria strumentazione? Là dove il mondo della vita è per intero generato e reso possibile dall’apparato tecnico, l’uomo diventa un funzionario di detto apparato e la sua identità viene per intero risolta nella sua funzionalità, per cui è possibile dire che nell’età della tecnica l’uomo è presso-di-sé solo in quanto è funzionale a quell’altro-da-sé che è la tecnica. La tecnica infatti non è l’uomo. Nata come condizione dell’esistenza umana e quindi come espressione della sua essenza, oggi, per le dimensioni raggiunte e per l’autonomia guadagnata, la tecnica esprime l’astrazione e la combinazione delle ideazioni e delle azioni umane a un livello di artificialità tale che nessun uomo e nessun gruppo umano, per quanto specializzato, e forse proprio per effetto della sua specializzazione, è in grado di controllarla nella sua totalità. In un simile contesto, essere ridotto a funzionario della tecnica significa allora per l’uomo essere “altrove” rispetto alla dimora che ha storicamente conosciuto, significa essere lontano da sé. Marx ha chiamato questa condizione “alienazione” e, coerentemente alle condizioni del suo tempo, ha circoscritto l’alienazione al modo di produzione capitalistico. Ma sia il capitalismo (causa dell’alienazione) sia il comunismo (che Marx progettava come rimedio all’alienazione) sono ancora figure iscritte nell’umanismo, ossia ancora in quell’orizzonte di senso, tipico dell’età pre-tecnologica, dove l’uomo è previsto come soggetto e la tecnica come strumento. Ma, nell’età della tecnica, che prende avvio quando l’universo dei mezzi non ha in vista alcuna finalità (neppure il profitto), il rapporto si capovolge, nel senso che l’uomo non è più un soggetto che la produzione capitalistica aliena e reifica, ma è un prodotto dell’alienazione tecnologica che instaura sé come soggetto e l’uomo come suo predicato. Ne consegue che la strumentazione teorica messa a disposizione da Marx, che pure fu tra i primi a prevedere gli scenari dell’età della tecnica da lui chiamata “civiltà delle macchine”, non è più del tutto idonea per leggere il tempo della tecnica, non perché storicamente il capitalismo si è rivelato vincente sul comunismo, ma perché Marx si muove ancora in un orizzonte umanistico, con riferimento all’uomo pre-tecnologico, dove, come vuole la lezione di Hegel, il servo ha nel signore il suo antagonista, e il signore nel servo, mentre, nell’età della tecnica, non ci sono più né servi né signori, ma solo le esigenze di quella rigida razionalità a cui devono subordinarsi sia i servi sia i signori. A questo punto anche il concetto marxiano di “alienazione” appare insufficiente, perché di alienazione si può parlare solo quando, in uno scenario umanistico, c’è un’antropologia che vuol recuperarsi dalla sua estraneazione nella produzione, in un contesto caratterizzato dal conflitto di due volontà, di due soggetti che ancora si considerano titolari delle loro azioni, non quando c’è un unico soggetto, l’apparato tecnico, rispetto al quale i singoli soggetti sono semplicemente suoi predicati. Esistendo esclusivamente come predicato dell’apparato tecnico che pone se stesso come assoluto, l’uomo non è più in grado di percepirsi come “alienato”, perché l’alienazione prevede, almeno in prospettiva, uno scenario alternativo che l’assoluto tecnico non concede, e perciò, come in altro contesto scrive R. Madera, l’uomo traduce la sua alienazione nell’apparato in identificazione con l’apparato. Per effetto di questa identificazione, il soggetto individuale non reperisce in sé altra identità al di fuori di quella conferitagli dall’apparato e, quando si compie l’identificazione degli individui con la funzione assegnata dall’apparato, la funzionalità, divenuta autonoma, riassorbe in sé ogni senso residuo di identità.

Psiche e techne, Galimberti
 
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view post Posted on 1/11/2022, 23:00
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QUOTE (k7ygd @ 20/10/2022, 19:36) 
Evidentemente la mia critica era fondata su una visione "umanista" (o "antropocentrica") del mondo, Galimberti rifiuta questa impostazione considerando il centro del mondo (il soggetto storico) essere ormai gia' da tempo la tecnica:

<i>In questo inserimento rapido e ineluttabile portiamo ancora in noi i tratti dell’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee proprie e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. L’età della tecnica ha abolito questo scenario “umanistico”, e le domande di senso che sorgono restano inevase, non perché la tecnica non sia ancora abbastanza perfezionata, ma perché non rientra nel suo programma trovar risposte a simili domande.
[...]
Per orientarci occorre innanzitutto farla finita con le false innocenze, con la favola della tecnica neutrale che offre solo i mezzi che poi gli uomini decidono di impiegare nel bene o nel male. La tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente. Non siamo infatti esseri immacolati ed estranei, gente che talvolta si serve della tecnica e talvolta ne prescinde. Per il fatto che abitiamo un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato, la tecnica non è più oggetto di una nostra scelta, ma è il nostro ambiente, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni, condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi.
[...]

Galimberti pur nella sua profondità di pensiero ha preso da Heidegger, dov' è l' errore, il fatto che quest' ultimo vedeva nella tecnica una finalità, ma la tecnica è l' applicazione di leggi naturali, non c' è finalità che sono poste dall' uomo, il fatto che nella società attuale gli uomini sono subordinati e impiegati della tecnica non è dovuta alla tecnica dominatrice ma all' economia che subordina a sè ogni cosa,il discorso è complesso e andrebbe approfondito, però certe teorie da libro sembrano fatte apposta per risultare inattaccabili dato che utilizzano un linguaggio vago che va bene per qualsiasi cosa, e in sostanza non vanno alla reale sorgente del problema
 
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