Comunismo - Scintilla Rossa

L'Individualismo, Un'analisi incompleta

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 30/4/2020, 20:09

Group:
Member
Posts:
4

Status:


L'Individualismo

Mai come in questo periodo la natura umana e l’impalcatura sociale e ideologica confliggono. Non c’è solo il dolore per la morte dei nostri cari ed amici. C’è anche la sofferenza per la segregazione forzata, metodo medioevale (ancora valido, a quanto pare) per contrastare la diffusione delle pandemie. Anche il Covid-19, come del resto molti altri fattori, sta creando microfratture nelle fondamenta dell’impianto ideologico, ormai secolare e decrepito, che considera l’Homo Oeconomicus come l’insuperabile prodotto dell’evoluzione dei primati. Naturalmente un soggetto che persegue il suo esclusivo ed egoistico interesse individuale. Ne ha ribadito la validità il premier Giuseppe Conte citando, in un discorso di qualche settimana fa, il sociologo Norbert Elias: “siamo una comunità di individui”. Una citazione che fa a pugni con la realtà. Già, perché il virus ci ha privati della nostra dimensione più importante: quella sociale. Sebbene sin dalla nascita si sia indottrinati da una retorica che ci vuole in lotta gli uni contro gli altri, non siamo affatto individui isolati, né tantomeno agiamo isolatamente. Siamo una comunità, divisa in classi, ma pur sempre una comunità. Anche solo considerando il lato economico di questa crisi, la mancanza di attrezzature mediche, di validi dispositivi di protezione individuali e di operatori sanitari ci ha sbattuto in faccia un fatto inconfutabile: siamo interdipendenti gli uni dagli altri a livello globale. Anche il concetto di nazione non appare più adatto a rappresentarci. Non soltanto il processo produttivo ha carattere sociale, ma le nostre relazioni vanno al di là dell’ambito familiare. Le antiche strutture sociali, la famiglia monogamica, la nazione, ci vanno strette.
Ma perché Conte in questo momento di grave crisi non rinuncia a fare propaganda individualista? Da dove ha origine l’individualismo? Provo a fornire qualche spunto di riflessione su un argomento la cui trattazione completa richiederebbe tempi ed impegno maggiori.

Secondo il professor Abbagnano, autore di un bel “Dizionario di Filosofia”, l’individualismo è “ogni dottrina morale e politica che riconosca all’individuo umano un prevalente valore di fine rispetto alle comunità di cui fa parte. L’estremo di questa dottrina è ovviamente la tesi che l’individuo ha valore infinito e la comunità valore nullo. Tale è la tesi dell’anarchismo.......”.

L’anarchismo è “la dottrina che l’individuo è la sola realtà, che dev’essere assolutamente libero e che ogni costrizione esercitata su di lui è illegittima: donde deriva l’illegittimità dello Stato.” Il massimo esponente dell’Anarchismo in ambito filosofico fu Max Stirner. Stirner sostenne che “l’individuo è l’unica realtà e l’unico valore.......l’unica forma di convivenza sociale è un’associazione priva di gerarchia in cui l’individuo entra per moltiplicare la sua forza e che per lui è solo un mezzo.”

L’individualismo non è solamente il fondamento teoretico dell’Anarchismo, lo è anche del Liberalismo. Secondo il professor Abbagnano il Liberalismo è “la dottrina che si assunse la difesa e la realizzazione della libertà nel campo politico.”

Il Liberalismo si declina in ambito economico nel liberismo, una corrente di pensiero che osteggia l’intervento dello Stato nella vita economica. Uno dei massimi esponenti del liberismo economico, se non il più importante, fu Adam Smith, secondo il quale ogni operatore economico agisce sul mercato mosso esclusivamente dal suo interesse individuale. Per Smith sarebbe poi il “Mercato” ad operare come “Mano invisibile” e trasformare l’egoismo individuale in benessere collettivo. Stiamo ancora aspettando…..

Tale visione venne condivisa da importanti economisti e filosofi come Jeremy Bentham e John Stuart Mill, finché questo modello entrò in crisi quando ci si accorse che il Liberalismo realizzava, sia sul terreno politico che su quello economico, la difesa di una classe determinata di cittadini (la borghesia) anziché la totalità dei cittadini stessi.

Benjamin Constant, scrittore e uomo politico francese, di origine svizzera, amante di Madame de Stael, con la celebre conferenza parigina del 1819 “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” prese una posizione netta in difesa della libertà individuale.

Secondo Constant, nelle poleis greche e in altri regimi dell’antichità, il potere politico era gestito senza la mediazione di un rappresentante, come avviene nelle moderne democrazie, e la collettività aveva un pieno controllo sulla volonta degli individui, che ne erano completamente assoggettati.

Della libertà degli “Antichi” dice:

“Essa consisteva nell'esercitare collettivamente ma direttamente molte funzioni dell'intera sovranità, nel deliberare sulla piazza pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare i giudizi; nell'esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli. Ma se questo era ciò che gli antichi chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà collettiva l'assoggettamento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme..."

Vediamo invece come intende la libertà dei “Moderni” questo importante esponente del Liberalismo:

Chiedetevi innanzi tutto, Signori, che cosa intendano oggi con la parola libertà un inglese, un francese, un abitante degli Stati Uniti d'America. Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell'arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l'autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione. Paragonate ora a questa libertà quella degli antichi.”

Come è noto il Liberalismo nasce nei paesi in cui la Rivoluzione Industriale aveva introdotto e reso preminente un nuovo modo di produzione, in primis l’Inghilterra. Ma anche Olanda, o meglio le Province Unite, formatesi nella lotta contro la Spagna di Filippo II, in un periodo temporale definito il “secolo d’oro”, furono capaci di iniziare una forte espansione coloniale e commerciale e si diedero un ordinamento statale di tipo liberale, dove a dominare era un oligarchia borghese. Furono le Province Unite ad iniziare il primo serio commercio di schiavi da mandare nelle piantagioni di zucchero americane. Bernard de Mandeville, medico e filosofo olandese, esponente del Liberalismo, esaltava il lusso e considerava la povertà come un male necessario:

Frode lusso e orgoglio devono vivere,
finché ne riceviamo i benefici: la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio,
ma chi digerisce e prospera senza di essa?»


L’Inghilterra diede i natali a John Locke, il padre del Liberalismo. Proviamo a saggiarne le qualità morali. Se gli olandesi delle Province Unite diedero un forte impulso al commercio di schiavi da inviare in America, il ricco commercio gli sfuggì di mano quando gli inglesi crearono la Royal African Company. E indovinate un po’ chi si arricchì come azionista della Royal African Company nella tratta degli schiavi? Proprio John Locke.

Il professor Losurdo ci ricorda, nel suo bellissimo libro “Controstoria del Liberalismo”, come Locke avesse anche contribuito alla formalizzazione giuridica dell’istituto della schiavitù nello Stato della Carolina, partecipando alla redazione della norma costituzionale di quello Stato, in base alla quale “ogni uomo libero deve avere assoluto potere e autorità sui suoi schiavi negri qualunque sia la loro opinione e religione”.

E negli Stati Uniti? Il professor Losurdo ci rammenta che

per trentadue dei primi trantaseianni di vita degli Stati Uniti a occupare il posto di presidente sono proprietari di schiavi provenienti per l’appunto dalla Virginia. È questa colonia ovvero questo Stato, fondato sulla schiavitù, a fornire i suoi statisti più illustri; basti pensare a George Washington ( grande protagonista militare e politico della rivolta anti-inglese) e a James Madison e Thomas Jefferson (autori rispettivamente della Dichiarazione d’indipendenza e della Costituzione federale del 1787) tutti e tre proprietari di schiavi.”

Non mi dilungo. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento non esiste testo migliore del citato libro del professor Losurdo.

La nascita del Socialismo Scientifico diede una poderosa spallata al Liberalismo. E lo fece innanzi tutto sul piano economico. Tuttora, a decenni dalla fine dello slancio rivoluzionario prodotto da quell’analisi teorica e dai movimenti che seppe fecondare, la Teoria del Valore, scoperta da Marx, viene studiata, e molto spesso accettata, nei templi del Liberismo e del Neoliberismo: le università americane.

In Europa, nella seconda metà del secolo scorso, vi fu un proliferare di movimenti di ispirazione marxista, ma anche una decisa mobilitazione ideologica borghese che ne infiltrò diversi ed altri li mise in piedi di sana pianta sotto mentite spoglie marxiste, con il chiaro intento di rivederne le basi teoriche per coartare, di fatto, le spinte rivoluzionarie.

Un teorico molto seguito in rete, cresciuto in quegli ambienti revisionisti, è Gianfranco La Grassa. Ai lettori più ingenui la sua retorica ammantata di riferimenti ideologici lo fa apparire come un marxista vero, votato al progresso dell’umanità. Fu allievo di due colonne del revisionismo dello scorso secolo: Charles Bettelheim ed Antonio Pesenti.

Antonio Pesenti, inizialmente vicino a “Giustizia e Libertà”, movimento politico su posizioni liberal-socialiste, corrente di pensiero che rifiutava gli ideali e gli obbiettivi marxisti, dopo l’Armistizio entrò nel PCI, come molti moderati e riformisti, forse con l’intento di spostarne il peso su posizioni concilianti con il modo di produzione capitalistico. Divenne sottosegretario del secondo Governo Badoglio, poi membro della Costituente e vicepresidente dell’IRI. Fu profondo estimatore dell’economista borghese inglese Alfred Marshall, tanto da adottare come testo di studio dei suoi corsi universitari l’"Industry and Trade", scritto da Marshall.

L’altro “Maestro” del professor La Grassa fu Charles Bettelheim. Vicino agli ambienti troskisti, invitato a Cuba si oppose alle politiche di centralizzazione e pianificazione economica promosse da Che Guevara, che voleva abolire il mercato e la produzione mercantile a favore di una rapida industrializzazione, suggerendo al contrario l’adozione di un’economia diversificata basata sull’agricoltura, su un’industrializzazione prudente, su una pianificazione decentralizzata, con forme miste di proprietà statale e di mercato. Insomma desiderava che Cuba restasse una colonia.

Questi sono i “Maestri” dell’economista La Grassa che tanto successo ha tra i rossobruni ed i socialconfusi.

In un articolo su “Marx e sull’individualismo”, che trovate in rete, La Grassa minimizza, o meglio nega, la natura dittatoriale di “moderne società capitalistiche”, come i regimi fascista e nazista. Il leit motiv dei suoi interventi, se avrete la pazienza di leggerli, è l’esaltazione della difesa de “l’interesse nazionale”, ma mai degli interessi dei lavoratori.

Leggiamo un passo:

Anche quando, nelle società moderne (capitalistiche), si sono verificati movimenti che hanno abolito la cosiddetta espressione democratica (in genere soltanto quella elettorale) per instaurare la pretesa “dittatura” (spesso con una base di consenso, almeno per un determinato periodo storico, superiore a qualsiasi “democrazia” elettoralistica), non si è mai tornati a rapporti di dipendenza personale.

Dopo averci chiarito che è una pura “pretesa” affermare l’esistenza di regimi dittatoriali borghesi, il professore ci racconta la favoletta del mercato quale luogo di “estrinsecazione della libertà individuale”, dove ogni soggetto si affaccia con pari forza contrattuale e diritti e dove i venditori della forza lavoro ricevono ben oltre quello che garantisce loro semplice livelli di sopravvivenza. Crea, secondo l’importante studioso veneto, dei veri e propri proletari scialacquatori, la cui anima è condannata a finire nel settimo girone dell’Inferno dantesco. Quando teoria e prassi hanno imboccato da tempo strade divergenti….

“….nel mercato, cioè nel luogo precipuo di estrinsecazione della libertà individuale, della parità di diritti. Tutto questo avviene nell’ambito di una lotta tra “soggetti” diversi (appartenenti alle due “classi” fondamentali dei capitalisti e dei lavoratori salariati), ipotizzando però che gli effetti della lotta (in cui può prevalere l’uno o l’altro nel mercato) si compensino e che, mediamente, lo scambio avvenga secondo il valore della particolare merce contrattata dalle due classi di soggetti: la forza lavoro, venduta dagli uni e comprata dagli altri. La media, appunto il valore, è il lavoro incorporato nei beni (acquistati con il salario) necessari alla sussistenza storico-sociale dei lavoratori: nient’affatto la mera sopravvivenza, un tenore di vita invece dipendente dal livello di sviluppo raggiunto dalla società capitalistica che è la più dinamica di tutte le società finora conosciute."

E’ così sicuro professore che le forze in campo siano in situazione di totale equilibrio? Quale attore, in uno Stato a guida capitalista, di quello che lei definisce un equo scambio salario/forza lavoro, per santa intercessione dell’Invisibile Mano smithiana, controlla le forze armate, la polizia, i carabinieri, la magistratura?

Chi è cresciuto nella capitale sabauda si ricorda bene di come un tempo, prima della delocalizzazione, ma forse anche ora, le medie e piccole imprese dell’indotto automotive, non certo gli agguerriti ed incazzati proletari, dovettero accettare delle condizioni contrattuali feudali, pur di poter lavorare per “la Grande Azienda” e come fosse facile per essa, quando ne aveva interesse, chiudere i rubinetti e costringerle alla vendita del know-how sviluppato, pur evitare di dover portare i libri in Tribunale. La sua teoria si scontra con i dati empirici caro professore.

Continuiamo a leggere.

Non vi è alcun inganno, alcuna limitazione di libertà contrattuale, nessun “comando” del soggetto capitalista (né di quello individuale né dello Stato in quanto strumento di potere della “classe” capitalistica). Nulla di nulla……

…Lo stesso mutamento è avvenuto con Marx in relazione alla libertà individuale affermata dal liberalismo. E’ un inganno, dobbiamo allora combatterla e sopprimerla? Ci mancherebbe solo questo. Essa va conservata, protetta, mai annegata in un indistinto “insieme”, che nasconde l’autoritarismo e la verticalizzazione del potere assai meglio di quanto faccia il mercato, in cui al livello del puro interscambio di attività economiche vengono preservati per l’individuo scambista effettivi ambiti di libertà e di non costrizione coercitiva."


Ai posteri l’ardua sentenza!
 
Top
view post Posted on 23/5/2020, 18:05
Avatar

vietcong

Group:
Member
Posts:
642
Location:
stato canaglia

Status:


L'individualismo: malattia endemica del capitalismo... Puntuale articolo e analisi compagno, non conoscevo il personaggio in questione.

CITAZIONE
“Anche quando, nelle società moderne (capitalistiche), si sono verificati movimenti che hanno abolito la cosiddetta espressione democratica (in genere soltanto quella elettorale) per instaurare la pretesa “dittatura” (spesso con una base di consenso, almeno per un determinato periodo storico, superiore a qualsiasi “democrazia” elettoralistica), non si è mai tornati a rapporti di dipendenza personale.”

Basti questa supercazzola sofistica per capirne la risma e la disonestà intellettuale.

A corollario allego un articolo che leggevo poco fa, in cui nell'ultima parte c'è un accenno, appunto, all'individualismo, che nella sua pervasività e mistificazione rimane ahimè una delle roccaforti del capitalismo tutto. https://ilmanifesto.it/scoprire-lopera-di-...individualismo/
 
Contacts  Top
1 replies since 30/4/2020, 20:09   125 views
  Share