Comunismo - Scintilla Rossa

ambientalismo borghese e ambientalismo proletario

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view post Posted on 3/10/2019, 10:04
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addàrivenì baffone

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compagni creo questa discussione per raccogliere articoli, contributi etc. sulla questione ambientalismo ed ecologismo che sta trovando ampi spazi nella propaganda borghese che naturalmente agisce per i loschi fini di rinnovare il proprio carnet di possibilità di sfruttamento e profitto. Intanto posto un articolo conciso ma interessante.



Il clima sta cambiando, i rapporti di sfruttamento no



Enzo Pellegrin

29/09/2019

Se mai ce ne fosse bisogno, le manifestazioni "istituzionali" di venerdì scorso hanno confermato un dato ambientale, sul quale gran parte del mainstream mediatico investe risorse di controllo dell'opinione da almeno venti anni. Il clima della Terra sta cambiando.

Lo confermano, in ordine di importanza: i governi più potenti del mondo, le organizzazioni governative, le cosiddette organizzazioni non governative, i governi allineati ai governi più potenti del mondo. Nel mazzo entra pure il governo italiano, il quale ha "istituzionalizzato" le manifestazioni per il clima con una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione, la quale invitava i docenti ad accettare la giustificazione di assenza per la partecipazione al "Friday for Future". Ultime ma non meno importanti, le organizzazioni dei partiti governativi e filogovernativi, le quali hanno tentato di dirigere, attraverso le loro organizzazioni giovanili, le manifestazioni di venerdì.

Che il clima, ma non solo il clima, stia andando incontro a mutamenti derivanti dall'inquinamento dei metodi di produzione e di sviluppo economico, lo avevano in precedenza detto sia la comunità scientifica internazionale, sia una serie di personaggi che alle nazioni Unite avevano più volte parlato, senza che il mainstream mediatico avesse mai dato loro la dovuta eco.

Fidel Castro Ruz, nel 2007, nella piena esplosione di quello pseudoecologismo peloso che lodava la ricerca di carburanti alternativi al petrolio derivati da vegetali e mais, ricordava che

"L'energia è concepita come qualsiasi merce…La terra e i suoi prodotti, i fiumi, le montagne, le foreste ed i boschi sono vittime di una incontenibile rapina. I beni alimentari, ovvia - mente, non sono sfuggiti a questa infernale dinamica. Il capitalismo trasforma in merce tutto quello che gli giunge a portata di mano […] L'utilizzazione dei beni alimentari per fabbricare energetici è un atto mostruoso. Il capitalismo è pronto a praticare un'eutanasia di massa ai poveri, soprattutto per coloro che vivono nel sud, perché è proprio lì che s'incontrano le maggiori riserve di bio - massa del pianeta, necessaria alla fabbricazione dei carburanti biologici" (Fidel Castro, Granma, 3.07).

Fidel Castro aveva già individuato la responsabilità sociale del capitalismo nel disastro ambientale già alla Conferenza delle Nazioni Unite del 1992, denominata "Vertice della Terra":

"Un'importante specie biologica - il genere umano - rischia di scomparire a causa della rapida e progressiva eliminazione del suo habitat naturale e stiamo diventando consapevoli di questo problema quando è quasi troppo tardi per prevenirlo". Ha affermato che "le società consumiste... consumano due terzi di tutti i metalli e tre quarti dell'energia prodotta in tutto il mondo; hanno avvelenato i mari e i fiumi... Hanno saturato l'atmosfera con i gas, alterando le condizioni climatiche con gli effetti catastrofici di cui già cominciano a soffrire... Domani sarà troppo tardi per fare ciò che avremmo dovuto fare tanto tempo fa". (Fidel Castro, Discorso al Vertice della Terra)

Al "Vertice della Terra" di quel giorno, 154 nazioni firmarono la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Il Presidente del Venezuela Hugo Chavez Frias, anch'egli nel medesimo consesso internazionale, ebbe a dichiarare "non salviamo il clima se non cambiamo il sistema!" e nello stesso consesso in cui ha parlato il recente mito dell'ambientalismo mainstream, il Presidente della Bolivia Evo Morales, ha ripetuto quello che dice pubblicamente da almeno cinque anni. Il vero responsabile dei cambiamenti climatici è il capitalismo. Basterebbe qualche minuto speso su google per rendersene conto.

Nel loro prezioso libro What Every Environmentalist Needs to Know about Capitalism (Quello che ogni ambientalista deve sapere sul capitalismo), pubblicato su Monthly Review Press, Fred Magdoff e John Bellamy Foster notano che: "Il cambiamento climatico... è solo una delle numerose spaccature causate dal superamento di confini planetari". Il capitalismo, dicono: "non riconosce limiti alla propria espansione: non c'è alcun profitto, nessuna quantità di ricchezza e nessuna quantità di consumo che sia troppo o abbastanza". (www.resistenze.org/sito/os/ms/osmsii18-020646.htm).

Qual'è la differenza tra i personaggi che abbiamo citato e il trend mainstream con il quale governi e potere mediatico hanno cercato di influenzare l'entusiasmo generato dagli scioperi di venerdì?

La piccola e non trascurabile differenza sta nell'individuazione del reale responsabile dei disastri ambientali.

Chavez, Castro, Morales, Bellamy Foster, Magdoff e persino gli ecosocialisti di sinistra della fine degli anni 80, come Naomi Klein, Noam Chomsky ed uno su tutti Ian Angus, individuavano nel sistema di produzione capitalista, nella sua incessante ricerca di nuovi mercati, nuove merci e nuove possibilità di profitto, nella sua anarchia produttiva, la tendenza a non poter concepire limiti planetari o barriere allo sviluppo dei profitti.

Ian Angus, commentando un rapporto sul problema del clima pubblicato dalla National Academy of Science nel 2018, scrive, per esempio, che: "Gli incrementi lineari applicati all'attuale sistema socioeconomico non sono sufficienti a stabilizzare il sistema Terra. Saranno probabilmente necessarie trasformazioni ampie, rapide e sostanziali". (www.resistenze.org/sito/os/ms/osmsii18-020646.htm).

La conseguenza logica di quei movimenti culturali era un rinnovato e diffuso spirito di anticapitalismo. Sempre nel 2018, W. T. Whitney Jr. autore della rivista statunitense mltoday.com riconosceva che "Secondo le ultime indagini, i giovani oggi come oggi, sono attratti dal socialismo. (Cfr per esempio The New Socialists, The New York Times, August 26, 2018) Preoccupati per i cambiamenti climatici, sono maturi per assimilare gli insegnamenti del movimento marxista. Si renderanno conto che le mezze misure non sono sufficienti. […] Il punto principale è che poiché il capitalismo ha contribuito all'avanzamento dei cambiamenti climatici, la resistenza ai cambiamenti climatici deve essere anticapitalista e precipuamente socialista. Poiché la posta in gioco è alta e attiene alla stessa sopravvivenza dell'umanità, è necessario un tipo di socialismo la cui teoria e prassi miri a smantellare piuttosto che riformare il capitalismo." (www.resistenze.org/sito/os/ms/osmsii18-020646.htm).

Gli "sponsor istituzionali", governativi, non governativi, partitici, insomma il mainstream entrato a gamba tesa nella questione climatica, hanno invece un leit-motiv del tutto diverso: il sistema non c'entra, sono i comportamenti individuali che devono essere migliorati ed incentivati. Un nuovo capitalismo verde deve soppiantare nella produzione il vecchio capitalismo sporco e arretrato. Nuovi "mercati verdi" devono sostituire vecchi mercati ritenuti sporchi.

Vecchi comportamenti individuali devono essere tassati, i nuovi incentivati. In modo particolare va incentivata la produzione che vende le nuove merci ecocompatibili.

Non a caso il mainstream costruisce erroneamente la questione principale attorno alle emissioni di anidride carbonica, allo scopo di mettere all'indice gli ultimi arrivati della produzione capitalistica: Cina, India, Paesi asiatici, ex paesi sottosviluppati.

In particolare, la Cina viene artatamente messa alla gogna quale principale emettitore di gas CO2, sebbene, tra i paesi capitalisti, sia quello che ultimamente abbia adottato le politiche più draconiane per ridurle, ed anche con un certo successo. (www.qualenergia.it/articoli/201803...ni-di-anticipo/ (1) mentre in Europa le emissioni sono in aumento (2).

Se poi si mettono insieme le economie e gli abitanti di USA, Canada, Giappone, UE, Russia e Brasile si verifica che con un numero di abitanti corrispondente a quello della Cina, emettono il 47% della CO2 rispetto alla Cina che ne emette il 22%

La questione clima/produzione di CO2 può essere quindi strumentalizzata da più parti per ottenere precisi obiettivi politici.

Guarda caso, in certo attivismo ambientale, si scoprono concorrenti interessi del vecchio complesso militare ed industriale USA/Nato, interessato ad ostacolare i nuovi concorrenti dell'odierno scenario globale. Cina e Russia.

Eppure, come ricordava Zoltan Zigedy nel 2015, "Fattore dimenticato dalla maggior parte del movimento ambientalista, tra cui il "movimento di sinistra per il clima" è il ruolo dell'imperialismo nel fomentare la crisi ambientale. Secondo Wikipedia: "Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è uno dei più grandi singoli consumatori di energia nel mondo, responsabile per il 93% del consumo di carburante del governo degli Stati Uniti nel 2007... Nel 2006, il Dipartimento della Difesa ha utilizzato quasi 30.000 gigawattora (GWh) di energia elettrica, ad un costo di circa 2,2 miliardi dollari. Il consumo di energia elettrica del Dipartimento della Difesa fornirebbe elettricità sufficiente ad alimentare più di 2,6 milioni di abitazioni americane. Nel consumo di energia elettrica, se si trattasse di un Paese, il ministero della Difesa ricoprirebbe la 58ma posizione nel mondo, consumando poco meno della Danimarca e poco più della Siria (CIA World Factbook, 2006). Il Dipartimento della Difesa utilizza 4,6 miliardi di galloni americani [17,4 miliardi di litri]... di combustibile all'anno, una media di 12,6 milioni di galloni [47,7 milioni di litri]... di carburante al giorno." Contate le centinaia di basi militari - avamposti dell'imperialismo - le quali divorano risorse che potrebbero essere meglio impiegate in una guerra per la protezione dell'ambiente. Aggiungete ulteriormente al totale il continuo inquinamento, la distruzione di strutture naturali e fabbricate dall'uomo, la spoliazione delle terre e il deterioramento delle acque che accompagnano l'utilizzo senza fine di armi devastanti. […]Le stime del Pentagono sulla produzione e la manutenzione di un solo sistema d'arma - gli F35 - pur ridotte ad oltre 750 miliardi di dollari - sono un enorme costo per l'ambiente di cui nessuno parla." (3)

Ciò che non viene mai messo in evidenza, è che il sistema capitalistico è integrato e fondato sul profitto: la ricerca di nuovi mercati non può prescindere da regole fondamentali:
- la ricerca del profitto deve scaturire da ogni impegno di capitale
- la ricerca del profitto implica che il capitalista non sia libero di produrre solo il necessario, ma sia obbligato a produrre tutto quello che sia possibile smerciare, nonchè a trovare mezzi di convincimento per far comprare il più possibile le sue merci.

Ciò che è nuovo e pulito in un paese dipende spesso anche dallo sporco prodotto nel vecchio: la tecnologia informatica non può prescindere dalla predazione del Coltan e dalla schiavitù dei minatori congolesi ad opera dei signori della guerra, stesso destino hanno i metalli rari e inquinanti utilizzati per le batterie che "rivoluzioneranno" il trasporto elettrico a bassa emissione di CO2, mentre non è stato ancora trovato un modo di produzione dell'energia elettrica che non abbia un effetto impattante sull'ambiente, o non preveda l'utilizzo di risorse rare, compresa l'energia solare la cui produzione non può fare a meno del silicio o di grandi aree di territorio;

Il capitalismo, dunque, non si ferma da solo, e non si ferma mai.

Ogni barriera al suo procedere (diritti dei lavoratori, normativa sulla salute e sull'ambiente) è concepita come un ostacolo al commercio. Se il commercio si orienta sulle produzioni a bassa emissione di CO2, lo fa per sbaragliare i concorrenti su altri mercati, non per decrescere.

Se dunque l'attenzione alle tematiche ambientali rischiava di influenzare le giovani generazioni ad orientarsi verso la costruzione di un sistema socialista, dovevano essere messe in campo adeguate controffensive mediatiche ed egemoniche per silenziare questo aspetto, metterlo in secondo piano. Lavorare nell'opposizione al sistema per neutralizzare l'aspetto più pericoloso: l'anticapitalismo.

Ecco dunque spiegato l'attivismo ambientale dei potenti del mondo: disattento se non complice dei criminali quando a lottare sono gli ambientalisti scomodi, gli anticapitalisti di molti paesi in via di sviluppo o di comunità povere contadine e indigene, in Brasile, Colombia ed India.

Attento invece a direzionare la protesta su binari innocui, all'interno dei movimenti nei paesi sviluppati.

Un esempio della doppia veste dell'azione del potere dentro i movimenti, la si può vedere nel caso italiano. Al di là dell'attivismo del Ministro dell'Istruzione, in molte città le organizzazioni giovanili dei partiti favorevoli al governo, hanno tentato di cavalcare la protesta del Venerdì, spesso anche ostacolando l'adesione di formazioni giovanili in grado di portare un contributo anticapitalista.

Per fortuna con scarso successo.

Questo "attivismo ambientale" dei partiti di governo e dei loro ministri, tutto a parole e incoraggiamenti, convive in Italia con il mantenimento della maggiore fonte di produzione di Gas Serra: l'Ilva di Taranto. La sua produzione continua senza grandi rivoluzioni in mano ai padroni privati dell'Arcelor Mittal, con accordi fatti dai governi Renzi e Conte, i quali conferiscono la "libertà di inquinare" e per un certo periodo anche l'immunità penale per le violazioni ambientali. Nulla è cambiato con il Conte-bis.

Secondo i dati dell'associazione peacelink, l'ILVA è il primo produttore di CO2 della penisola ed è nella top ten delle maggiori fonti inquinanti d'Europa.(4)

Insomma: si fa gli ambientalisti il venerdì, dopo aver fatto i padroni per tutta la settimana.

L'attenzione posta alla questione del cambiamento climatico, spesso offusca la moltitudine di trattati bilaterali che i potenti del commercio mondiale stanno cercando di imporre, al fine di aggirare regole più severe di controllo della produzione insalubre.

Prendiamo l'esempio del CETA, il quale prevede l'abolizione di barriere non tariffarie per l'importazione in Europa di prodotti dell'agricoltura canadese. Con la ratifica del CETA, viene liberalizzata l'esportazione nell'UE del grano canadese, frutto di agricoltura industriale intensiva, a basso costo, dove è possibile usare pesticidi vietati in Italia da oltre venti anni. Il grano del Canada, dato il clima non favorevole, non matura da solo. Viene portato a maturazione artificiale per mezzo di diserbanti essiccanti come il glifosato, vietato in Ue e in Italia in determinate formulazioni. Questo grano di bassa qualità e certamente poco salubre potrà essere smerciato in Italia senza il rispetto delle regole di divieto, considerate barriere non tariffarie. Il basso costo di questa agricoltura industriale metterà inoltre in ginocchio i produttori nazionali, costretti ad adeguarsi o a diminuire ancora di più il costo del lavoro. Uno degli ultras della ratifica veloce del trattato CETA è la ministra dell'agricoltura Teresa Bellanova, la quale da tempo ha smesso i panni della bracciante per indossare quelli degli interessati al grano a basso costo, non importa se velenoso. Insomma, anche qui ambientalismo peloso il venerdì, furbi padroni il resto della settimana.

Un velo di peloso conformismo attraversa una delle contraddizioni fondamentali del nostro mondo: l'incompatibilità tra capitalismo e pianeta.

E' vero che il clima della Terra sta cambiando.

E' altrettanto vero che non stanno cambiando i rapporti produttivi di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e dell'uomo capitalista sul pianeta.

E' ancora più vero che il clima sta cambiando, proprio perchè non cambiano i rapporti di sfruttamento.

Un'abile tecnica egemonica sta tentando di separare questi due fattori reali, nascondendo la responsabilità diretta di ogni capitalismo.

Contro i dispensatori di anestesia, può essere utilizzata, a mo' di schiaffo che risvegli dal sonno artificiale, questa piccola provocazione: ammesso che gli sforzi per ridurre le emissioni vadano a buon fine, che ce ne facciamo di un pezzo di mondo pulito, se la maggioranza degli esseri umani continua a vivere nello sfruttamento? Che se ne fa un giovane precario di un'Italia senza CO2, se non ha un salario dignitoso per mettere al mondo i figli che sogna di far correre nel nuovo eden?

Il clima sta cambiando.
I rapporti di sfruttamento no.
Sul secondo punto si deve lottare.
E' questa la novità.

Note:

1) L'intensità di carbonio del colosso asiatico nel 2017 è diminuita del 45% in confronto al livello registrato nel 2005, un traguardo che era previsto per il 2020. Ora per rispettare gli impegni definiti a Parigi nel 2015, Pechino dovrà abbattere le emissioni di anidride carbonica in rapporto al Pil del 60-65% entro il 2030.

2) neanche l'Ue - che può vantare le migliori politiche di riduzione di gas serra del mondo - è in linea con quanto previsto dall'Accordo di Parigi - www.greenreport.it/news/energia/le-...-di-quelle-usa/

3) www.resistenze.org/sito/os/ms/osmsfd14-016164.htm

4) La Commissione Europea ha recentemente diffuso un elenco delle principali fonti di emissioni di CO2, sulla base dei dati forniti dagli stati membri. L'ILVA risulta al 42° posto in Europa.
L'ILVA risulta inoltre al 4° posto in Italia seconda graduatoria recentemente diffusa:
1. Centrale termoelettrica a carbone di Civitavecchia: 8.100.000 tonn/anno
2. Raffineria (nome e località non specificati): 6.300.000 tonn/anno
3. Centrale termoelettrica a carbone di Brindisi/Cerano: 5.400.000 tonn/anno
4. Stabilimento siderurgico ArcelorMittal Taranto: 4.700.000 tonn/anno
Ma attenzione: in tale elenco mancano le due centrali termoelettriche CET2 e CET3 asservite al ciclo siderurgico di ArcelorMittal. Se aggiungessimo alle emissioni ILVA anche le emissioni delle due centrali termoelettriche CET2 e CET3 connesse all'ILVA di Taranto (le cui emissioni di CO2 sono tenute distinte) lo stabilimento siderurgico ILVA - gestito da ArcelorMittal - raggiungerebbe e supererebbe i dieci milioni di tonnellate annue di anidride carbonica all'anno, piazzandosi saldamente al primo posto in Italia. Entrerebbe così anche nella top-ten della classifica europea degli impianti con maggiori emissioni di CO2. Da un punto di vista tecnico le centrali termoelettriche CET2 e CET3 forniscono energia allo stabilimento siderurgico di Taranto ricevendola a loro volta dal ciclo siderurgico in forma di gas e bruciandola. In tal modo viene emessa un'enorme quantità di CO2 che non figura nell'elenco sopra riportato." (www.peacelink.it/ecologia/a/46868.html)
 
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view post Posted on 3/10/2019, 11:08
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addàrivenì baffone

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Ambientalismo e lotta di classe




La questione ambientale si presenta ogni giorno nella sua gravità e problematicità mostrando come il capitalismo distrugge l’ambiente e l’uomo. Non solo la produzione industriale indiscriminata sta mostrando i suoi effetti sul clima e sulla natura, con cambiamenti climatici evidenti e zone della terra altamente inquinate e desertificate, ma la vita nelle città è scandita dalla perenne cappa di inquinamento, la cementificazione dissennata e il dissesto del territorio stanno portando alla concretizzazione sempre più frequente di disastri idrogeologici, con crolli ed alluvioni, con conseguenze di distruzione e di morte.

Per il sistema capitalista lo sfruttamento della terra e dell’ambiente è diretto alla valorizzazione continua del capitale, infischiandosene delle conseguenze che questo comporta e portando così alla distruzione dell’ambiente. Come possiamo inquadrare materialisticamente questo processo?

Nella prefazione a “Per la critica dell’economia politica”, riassumendo la contraddizione fondamentale del sistema di produzione capitalista, Marx così si esprimeva: “[…] A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”. [1]

L’interpretazione positivistica e meccanicistica del marxismo ha visto nel pensiero di Marx un’apologia incondizionata della crescita industriale, fondandosi su una riduzione concettuale della nozione di forze produttive ai mezzi di produzione. In realtà per forze produttive, Marx intende non solo i macchinari, ma le tecniche di produzione, la forza lavoro (quindi il proletariato), le conoscenze tecniche e scientifiche e la materia impiegata nella produzione. Quindi le cosiddette materie prime, direttamente ricavabili dalla natura (terra, acqua, materiali del sottosuolo…) sicuramente rientrano nelle forze produttive. Ma a ben guardare, tutte le forze produttive hanno come precondizione della loro esistenza la natura, l’ambiente naturale. Gli uomini ne hanno bisogno per mantenersi in vita, i macchinari sono essi stessi il frutto di processi produttivi che si sviluppano trasformando e combinando materie prime naturali, le conoscenze scientifiche e tecniche non sono nient’altro che rielaborazioni e applicazioni di fenomeni naturali. La natura è dunque la forza produttiva fondamentale, alla base di tutte le altre. Del resto, tutte le formazioni sociali e le società umane, con relativi rapporti di produzione e forze produttive, hanno la prima base materiale nella natura stessa, di cui sono parte integrante e riflesso.

Pertanto possiamo affermare che la dialettica distruttiva dei rapporti di produzione capitalistici rispetto alle forze produttive, comprende anche la questione della tendenza alla distruzione dell’ambiente e della natura. D’altronde, se la contraddizione nel sistema capitalista è tra la natura privatistica dei rapporti di produzione e il carattere collettivo delle forze produttive, cosa vi è di effettivamente più collettivo dell’ambiente naturale?

Fintantoché perdurano questi rapporti sociali di produzione, finché esiste il sistema capitalista, la contraddizione tra modo di produzione capitalista e condizione ambientale, che rientra in quella fondamentale tra rapporti sociali di produzione e forze produttive, si presenta insanabile.

La borghesia esprime la propria linea ideologica cercando di oscurare la contraddizione fondamentale del sistema capitalista, che riguarda le forze produttive ed i rapporti sociali di produzione, da un lato contrapponendo lavoro ad ambiente e dall’altro proponendo un ambientalismo generalista e interclassista, il quale non può risolvere la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, rappresentando invece il riflesso del pensiero borghese, che si sostanzia nell’utopia di un capitalismo sostenibile ecologicamente.

Le soluzioni proposte dai padroni – ovvero gli antidoti, tornando al leitmotiv di questo numero di Antitesi – prevedono l’incremento della cosiddetta green economy e perorano lo sviluppo del settore turistico e della cultura, per riconvertire o abbandonare aree industriali. Si tratta di soluzioni sempre dominate dalla ricerca di profittabilità della natura da parte della borghesia: il turismo molto spesso non è meno distruttivo ambientalmente dell’industria. Soluzioni, inoltre, che portano ad un processo di deindustrializzazione pagato dai lavoratori, comportano una prospettiva occupazionale precaria (tipica dei servizi turistici) e permettono ai padroni di gestire a livello indolore, in termini di rilevanza pubblica, processi di ristrutturazione industriale determinati dalla crisi come chiusure di fabbriche, tagli occupazionali e delocalizzazioni.

E infatti, altro antidoto proposto dai padroni è quello di spostare le problematiche ambientali in altri paesi dominati dal centro imperialista, spostando gli impianti ritenuti più pericolosi, scaricandone i costi ambientali di inquinamento e sicurezza per i lavoratori sulle popolazioni della periferia imperialista, trasformandola sempre più in un inferno. In questo senso è da citare da esempio la strage di Bophal in India, avvenuta nel 1984, con l’esplosione degli impianti e la morte di migliaia di persone tra i lavoratori e la popolazione locale e con l’inquinamento dell’area che continua ancora adesso. Gli impianti erano di proprietà della Ucil, consociata indiana della multinazionale statunitense Union Carbide Corporation che in quell’area aveva spostato parte della propria produzione di fitofarmaci.

Sulla questione salute e lavoro, numerose ed incisive sono state le lotte portate avanti dalla classe operaia per migliorare la salute all’interno dei luoghi di lavoro e per la tutela ambientale del territorio circostante. Le radici del movimento ambientalista sono proprio nelle lotte che la classe operaia ha attuato dagli anni sessanta e settanta del secolo scorso per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro; lotte che poi si sono estese non solo negli impianti industriali, ma anche nel territorio circostante, dove viveva la stessa classe operaia che lottava nelle fabbriche.

Ma dagli anni in cui attraverso le ristrutturazioni e le sconfitte del movimento operaio, abbandonato molto spesso dalle stesse organizzazioni sindacali e politiche che dapprima ne rappresentavano gli interessi, i padroni hanno ripreso il controllo delle fabbriche e il controllo sociale, la concezione borghese e l’ambientalismo si sono inseriti nel movimento operaio portando a delle situazioni di contrasto e divisione tra lavoratori e masse popolari, incrementando in buona sostanza la mobilitazione reazionaria. La positiva mobilitazione delle masse popolari, o di alcuni suoi settori, per la difesa del territorio e della salute, mobilitazione che di per sé non è mai reazionaria, è stata così sussunta sotto la direzione degli interessi della grande borghesia che ha potuto dividere il fronte di lotta formato inizialmente tra classe operaia e masse popolari, fermando così la possibilità che tale mobilitazione si potesse sviluppare in senso rivoluzionario, riportandola invece a confini e orizzonti confacenti al soddisfacimento dei propri interessi di classe capitalista.

Salute e lavoro

Vediamo alcuni casi emblematici che in questi ultimi anni hanno riguardato la contraddizione tra salute e lavoro.

Con lo sviluppo dell’area industriale di Porto Marghera (Ve), ad esempio, che negli anni settanta arrivava ad impiegare circa 35000 addetti, con lo sviluppo della forza e della coscienza della classe operaia la salute nei luoghi di lavoro rappresentava un momento di lotta importante dove venivano imposti miglioramenti degli impianti e si rifiutavano mansioni che potevano essere dannose per l’operaio. La parola d’ordine era “mac zero”, dove per mac si intendeva la sigla che nella medicina del lavoro indicava la massima concentrazione accettabile nell’aria per una particolare sostanza perché non fosse dannosa per l’uomo. Con le ristrutturazioni degli anni ottanta e l’espulsione di migliaia di posti di lavoro è parallelamente iniziato lo sviluppo del movimento ambientalista che si è posto in contrapposizione con le fabbriche e con i lavoratori, che rivendicando la chiusura totale degli impianti chimici dell’area di Marghera. Partendo da una considerazione oggettiva rappresentata dall’avvelenamento di massa che era avvenuto negli anni grazie all’utilizzo di sostanze chimiche come il cloruro di vinile monomero e grazie ad un indebolimento altrettanto oggettivo della forza e della coscienza della classe operaia che stava subendo le ristrutturazioni con licenziamenti e casse integrazioni, senza nessuna organizzazione di classe che sapesse realmente difenderne le condizioni, il movimento ambientalista è arrivato ad imporre un referendum consultativo nella città che poneva chiaramente la chiusura totale delle fabbriche come soluzione ambientale.

Ora l’area di Marghera occupa meno di un terzo degli addetti dei primi anni settanta e vaste aree inquinate dai padroni sono abbandonate al degrado, mentre si stanno sviluppando delle opere di bonifica dei terreni (a cui è interessato direttamente anche l’attuale sindaco di Venezia Brugnaro tramite alcune società a lui legate) che vedono gli stessi padroni che prima avevano inquinato, ucciso lavoratori e distrutto l’ambiente, guadagnare con le bonifiche che prevedono milioni di euro di soldi pubblici.

Altro caso emblematico è rappresentato dalla Ferriera di Trieste, storico complesso industriale specializzato nella produzione di ghisa destinata ai settori metalmeccanico e siderurgico, situato a Servola, quartiere all’interno della città. Nella fabbrica sorge la cokeria, l’impianto di agglomerazione, due altiforni e la macchina a colare (per la solidificazione della ghisa in pani) ed occupa circa 500 lavoratori diretti. Di proprietà della Italsider è stata privatizzata a fine anni novanta e dal 2015 è di proprietà del gruppo Arvedi, che lo ha acquisito con i soliti finanziamenti a pioggia, giustificati anche dalla necessità della diminuzione dell’impatto ambientale.

Questa fabbrica è oggetto di continue polemiche per la diffusione di polveri e fumi nell’aria e sono sorti diversi comitati di cittadini, tra cui il comitato 5 dicembre, che richiedono la chiusura completa dell’area a caldo. Questi comitati ambientalisti hanno raccolto numerose adesioni ma si sono posti in contrapposizione con gli operai che difendono il posto di lavoro, arrivando a dileggiarli e insultarli e cercando sponde istituzionali per raggiungere lo scopo della chiusura dell’area a caldo. Dall’altra parte i sindacati confederali si sono posti in posizione di chiusura con l’esterno della fabbrica, subordinandosi agli interessi dei padroni e non ponendo mai la questione ambientale come rivendicazione anche degli operai.

Altra vicenda riguarda la Miteni di Trissino (Vi), fabbrica chimica di proprietà della multinazionale ICIG che produce composti perfluoralchilici (Pfas), sostanze chimiche in grado di rendere le superfici trattate impermeabili all’acqua e ad altre sostanze, che occupa un centinaio di lavoratori.

La Miteni è responsabile di sversamenti di questa sostanza (Pfas) nelle falde acquifere interessando territori della provincia di Vicenza, di Padova e Verona. Anche qui sono sorti dei comitati cittadini, dei comuni limitrofi all’insediamento della Miteni, che richiedono la chiusura della fabbrica e le bonifiche ambientali. In questo probabilmente trovano l’appoggio anche del padrone poiché da diverso tempo lo stabilimento versa in uno stato di crisi e la direzione parla di ridimensionamento degli impianti.

Ma il caso che negli ultimi anni ha posto in evidenza nazionale la questione ambientale contrapposta al lavoro nelle fabbriche è quello dell’Ilva di Taranto. Una vicenda dove l’esplosione della questione ambientale, che ha portato nel luglio 2012 al provvedimento di sequestro dell’area a caldo, è legata alla situazione di crisi del settore dell’acciaio e alle manovre che hanno portato all’esclusione del gruppo capitalista rappresentato dalla famiglia Riva a favore di altri gruppi capitalisti, principalmente il gruppo Marcegaglia e la multinazionale AlcerolMittal che vogliono accaparrarsi gli impianti dopo che centinaia di milioni di euro sono stati versati dallo Stato per il risanamento ambientale e strutturale degli impianti e per la messa in cassa integrazione di circa 7000 lavoratori. In questa vicenda la classe operaia Ilva, già pratica di numerose lotte negli anni passati contro le ristrutturazioni e le pesanti condizioni di lavoro, ha attuato iniziative di sciopero e mobilitazioni, appoggiate soprattutto dai sindacati di base presenti in fabbrica, che contrastavano la divisione che si voleva loro imporre dai cittadini dei comitati ambientalisti, ricercandone invece l’unità con la rivendicazione della difesa del posto di lavoro e della salute del territorio. Ma è indubbio che questi ultimi anni di cassa integrazione, di probabili licenziamenti futuri e processi di ristrutturazione che seguiranno la procedura di cessione definitiva della proprietà Ilva ad altre multinazionali ne abbiano intaccato la combattività, dando così nuova linfa agli elementi di divisione con le masse popolari per la difesa della salute, fomentati dalla classe politica e dai sindacati concertativi.

Nelle lotte all’Ilva di Genova non si sono presentate le stesse contraddizioni con il movimento ambientalista e di divisione con le masse popolari che si sono verificate in altre situazioni e le lotte dei lavoratori, che hanno portato recentemente anche all’occupazione degli impianti per rivendicare la difesa dei posti di lavoro ed anche a una spaccatura sindacale all’interno della Fiom genovese in sostegno a questa lotta, sono sostenute anche dalle masse popolari.

Altro fronte di lotta riguarda il petrolchimico di Gela, in Sicilia, dove la multinazionale Eni sta attuando un piano di ristrutturazione per la lavorazione di bio-carburanti non derivanti dal petrolio, riducendo così la raffinazione del petrolio, che rappresentava l’attività principale nel passato dello stabilimento. Il petrolchimico gelese impiega complessivamente 2400 lavoratori, tra diretti ed indotto, e da tre anni è in lotta per la difesa dell’occupazione in questo processo ristrutturativo che ha l’obiettivo della trasformazione del sito da petrolifero a green.

Fronte unito popolare in difesa di lavoro e ambiente

I lavoratori, dove i rapporti di forza lo consentivano hanno sempre lottato, e lottano tuttora, per fabbriche più pulite e sane, non inquinanti e non assassine, proprio perché il lavoro rappresenta la possibilità di salario.

Allo stesso modo la difesa dell’ambiente è oggetto continuo di mobilitazioni popolari che rivendicano migliori condizioni di vita e che vogliono impedire speculazioni e devastazioni ambientali.

Lo dimostrano la lotta oramai ventennale del popolo della Valsusa che si oppone alla costruzione della linea ferroviaria Tav per impedire lo sventramento del territorio e delle comunità che quest’opera comporta e che ha raggiunto livelli di lotta altissima a cui lo Stato ha dovuto rispondere con repressione e controllo militare del territorio; la lotta che si sta sviluppando in Puglia in merito alla costruzione del gasdotto Tap e la lotta contro l’installazione del sistema radar Muos in Sicilia.

Il movimento di lotta contro il gasdotto Tap sta riuscendo a contrastare l’opera non cedendo al ricatto occupazionale e difendendo l’ambiente dalla devastazione che questa comporta, contrapponendosi di fatto alla rapina monopolista del territorio. Questo sta riuscendo anche perché le opere di circolazione delle merci (strade, autostrade, linee ferroviarie, gasdotti) in generale sono progetti calati dall’alto dagli interessi delle multinazionali, non integrati socialmente e produttivamente nel territorio circostante, quindi si scontrano dapprima con la diffidenza iniziale e successivamente con la netta opposizione delle masse popolari che vivono nei territori oggetto di queste opere.

Nella società capitalista del profitto, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla Natura, salute e lavoro sono posti in contraddizione perché al primo posto vi è soltanto la massimizzazione del profitto. Quindi natura e salute, come bisogni dell’uomo, da una parte sono legate alla produzione di profitto (industria farmaceutica, sanitaria, turistica) e dall’altra vengono totalmente saccheggiate, coinvolgendo innanzitutto la condizione di vita delle masse popolari e tendenzialmente il futuro stesso dell’umanità e del pianeta.

Fondamentalmente la contraddizione tra produzione e ambiente non potrà essere risolta all’interno del modo di produzione capitalista. Solo con l’abbattimento di questa società si potrà superare questa contraddizione, con lo sviluppo della scienza che, slegata dalla dinamiche della logica del profitto dominanti invece nel sistema capitalista, potrà fornire delle soluzioni ambientali ai problemi posti dalla produzione e con la pianificazione dei bisogni consona alla società socialista.

Nello stesso tempo questa contraddizione non deve essere lasciata nelle mani dei padroni perché la utilizzino come elemento di divisione tra la classe operaia e le masse popolari nella lotta per un ambiente sano.

La reale sofferenza delle masse popolari che vivono intossicate attorno agli stabilimenti e quella degli operai impiegati nella produzione viene facilmente utilizzata dai padroni per coprire processi di chiusura, anestetizzare lo sviluppo di mobilitazioni in difesa dei posti di lavoro e lasciare veleni nel territorio, una volta abbandonata la produzione senza che le bonifiche siano poste a loro carico.

Da parte degli organismi di base dei compagni vi deve essere la ricerca di una internità nel settore di lotta che coinvolga i lavoratori delle fabbriche e le masse popolari che rivendicano il miglioramento dell’ambiente, legandosi strettamente alle situazioni reali.

Solo con l’unione in un fronte unito popolare per la difesa del lavoro e dell’ambiente, che contrasti con la lotta la linea concertativa e di sottomissione agli interessi padronali dei sindacati confederali, e che obblighi ad un controllo in mani operaie della produzione sarà possibile far emergere appieno questa contraddizione e porsi la questione della soluzione con il suo superamento.

Un controllo operaio delle operazioni di risanamento, riavviamento e riqualificazione degli impianti che deve essere articolato in collaborazione con gli organismi di base dei lavoratori e delle masse popolari affinché le condizioni di adeguamento degli impianti siano rispettate sia in merito alle condizioni interne alla fabbrica che all’esterno. La classe operaia non può che non essere l’avanguardia di questo fronte di lotta, di questo movimento popolare, poiché raggiungere l’obiettivo di una fabbrica non nociva è importante per la classe operaia che lavora all’interno e per il territorio e la popolazione che vivono attorno alle fabbriche.

Note

[1] K. Marx, Prefazione a Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1993, p.5. Per un approfondimento dei termini: “forze produttive” e “rapporti di produzione” vedi il Glossario a pagina 63 ss.
 
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view post Posted on 3/10/2019, 12:06
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personalmente condivido molte cose scritte ma alcuni punti no, e rimanendo nel tema delle manifestazioni di Venerdì, io le ritengo positive per vari motivi, e una buona opportunità per noi comunisti di fare propaganda e attrarre giovani, purtroppo non mi pare che molti comunisti abbiano capito questa cosa per ora, e preferiscono attaccare vagamente dei ragazzetti ancora non maturi con poca coscienza perchè sono dei ragazzetti con poca coscienza.

non si può che concordare col fatto che il capitalismo non è in grado di risolvere tutte le proprie contraddizioni, ambientali incluse, ma non ci si può manco adagiare sull'attesa per il socialismo che verrà, e non si può certo dire che qualsiasi tipo di sviluppo capitalistico ha lo stesso impatto ambientale e quindi lo stesso impatto sulla vita quotidiana della gente, sulla salute etc.

CITAZIONE
Nuovi "mercati verdi" devono sostituire vecchi mercati ritenuti sporchi.

Vecchi comportamenti individuali devono essere tassati, i nuovi incentivati. In modo particolare va incentivata la produzione che vende le nuove merci ecocompatibili.

non mi pare che il grosso del mondo produttivo capitalistico concordi con questa tesi...qua rischiamo di prendere per dinamica generale quello che è il risultato di contraddizioni inevitabili interne al campo delle borghesie dominanti.
a me pare chiaro che nel quadro produttivo attuale, siano molto più gli attori che vogliono continuare così com'è rispetto a quelli che spingono verso un cambiamento non solo dei modi di produzione ma anche del ciclo "vitale" delle merci e del loro smaltimento.
e penso che come membri della società, anche in regime capitalistico, ci siano situazioni che ci conviene favorire e altre che ci conviene combattere, banalmente la raccolta differenziata mi sembra da favorire in ogni contesto, anche laddove questa diventasse una nuova opportutinà di investimento per altri borghesi, per esempio.
l'economia circolare anche è da sostenere, lo sviluppo di certi materiali rispetto ad altri pure, etc

CITAZIONE
Non a caso il mainstream costruisce erroneamente la questione principale attorno alle emissioni di anidride carbonica, allo scopo di mettere all'indice gli ultimi arrivati della produzione capitalistica: Cina, India, Paesi asiatici, ex paesi sottosviluppati.

vero che il mainstream spesso punta su questo aspetto, ovvero al tentativo di demonizzazione di paesi come la Cina, ma se stiamo alle emissioni della CO2, sono proprio molti paesi avanzatissimi ad essere tra i primi responsabili, non la Cina o l'India.

è anche vero che ultimamente io ho letto su molte fonti di stampa borghese elogi e riconoscimenti rispetto alla Cina e ai suoi sforzi di migliorare il proprio impatto ambientale, per esempio qui

https://asvis.it/goal13/notizie/460-1102/e...guida-la-svolta
https://www.qualenergia.it/articoli/201803...ni-di-anticipo/
www.greenreport.it/news/economia-ecologica/clima-lonu-applaude-alla-cina-tagli-alle-emissioni-raggiunti-tre-anni-danticipo/
https://www.lifegate.it/persone/news/cina-...e-emissioni-co2
https://www.as-italia.com/novita-eventi/60...a-green-economy
http://it.cifnews.com/cina-leader-nel-sett...-green-economy/
https://theicct.org/china
China’s policy makers have responded creatively and vigorously. The latest national vehicle emissions regulations are both stringent and innovative. China is moving into a leadership role on international climate policy for transportation, and its national and local policies to promote development of electric vehicles are forward-thinking and aggressive.

CITAZIONE
"Fattore dimenticato dalla maggior parte del movimento ambientalista, tra cui il "movimento di sinistra per il clima" è il ruolo dell'imperialismo nel fomentare la crisi ambientale.

ecco, questo è totalmente vero e penso sia ruolo dei comunisti muoversi negli ambienti ambientalisti ed ecologisti per portare le masse dalla consapevolezza generale del degradamento ambientale, alla consapevolezza del ruolo dell'imperialismo in questo degradamento.
insomma, sempre più persone nel mondo capitalistico avanzato stanno maturando consapevolezza sull'insostenibilità del proprio sistema, consapevolezza ancora vaga e legata molto ai comportamenti individuali, nostro ruolo a mio avviso è quello di portare queste persone a capire che non ci sono solo i comportamenti individuali, che ci sono dinamiche molto più grosse di noi che impattano sull'ambiente in maniera estremamente distruttiva e se si vuole porre rimedio a queste situazioni, bisogna cominciare a pensare a un rovesciamento totale del sistema, e non a un piccolo abbellimento.
ma bisogna arrivarci per gradi, come dobbiamo arrivare per gradi alla consapevolezza rivoluzionaria, al capire che soltanto la distruzione del potere borghese e la costruzione del potere proletario può veramente risolvere le mille contraddizioni di questo nostro sistema decadente e distruttivo.

per fare questo bisogna avvicinarli, comprenderli, dialogare ed educare, e poi si spera di passare alla mobilitazione, a gradi sempre maggiori di sviluppo delle forze rivoluzionarie, non prenderli per il culo perchè sono sedicenni con slogan vaghi che pensano che basti usare una bottiglia riutilizzabile per risolvere i problemi (cosa che tra l'altro non pensano affatto...).

CITAZIONE
: la tecnologia informatica non può prescindere dalla predazione del Coltan e dalla schiavitù dei minatori congolesi ad opera dei signori della guerra, stesso destino hanno i metalli rari e inquinanti utilizzati per le batterie che "rivoluzioneranno" il trasporto elettrico a bassa emissione di CO2, mentre non è stato ancora trovato un modo di produzione dell'energia elettrica che non abbia un effetto impattante sull'ambiente, o non preveda l'utilizzo di risorse rare, compresa l'energia solare la cui produzione non può fare a meno del silicio o di grandi aree di territorio;

questi aspetti, messi giù così, non vengono risolti nemmeno in una transizione ad un sistema socialista, per cui andrebbero prese in modo scientifico e razionale, e non semplicemente dicendo che qualsiasi produzione un po' inquina.

CITAZIONE
Ecco dunque spiegato l'attivismo ambientale dei potenti del mondo: disattento se non complice dei criminali quando a lottare sono gli ambientalisti scomodi, gli anticapitalisti di molti paesi in via di sviluppo o di comunità povere contadine e indigene, in Brasile, Colombia ed India.

altro fondamentale aspetto con cui educare e creare coscienza di classe nei giovani ambientalisti inconsapevoli a cui dovremmo avvicinarci.
fargli capire, attraverso l'empatia e l'educazione, le disastrose conseguenze dell'imperialismo in ogni aspetto della vita e della lotta di classe, ambientalisti ammazzati inclusi.
far capire loro i privilegi a cui sono abituati in quanto membri di una società capitalistica avanzata, e far capire loro quanto sia importante combattere contro questi privilegi perchè anche da questo nasce il degradamento ambientale e umano dovuto al capitalismo.

CITAZIONE
Un velo di peloso conformismo attraversa una delle contraddizioni fondamentali del nostro mondo: l'incompatibilità tra capitalismo e pianeta.

nostro ruolo è farla emergere questa incompatibilità, per poterlo fare dobbiamo stare dentro queste nuove mobilitazioni, stare dentro i discorsi, svilupparne di nostri, e avere molta pazienza.

dimenticavo, intanto i "gretini... :)


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addàrivenì baffone

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insomma, sempre più persone nel mondo capitalistico avanzato stanno maturando consapevolezza sull'insostenibilità del proprio sistema, consapevolezza ancora vaga e legata molto ai comportamenti individuali, nostro ruolo a mio avviso è quello di portare queste persone a capire che non ci sono solo i comportamenti individuali, che ci sono dinamiche molto più grosse di noi che impattano sull'ambiente in maniera estremamente distruttiva e se si vuole porre rimedio a queste situazioni, bisogna cominciare a pensare a un rovesciamento totale del sistema, e non a un piccolo abbellimento.

che è la ragione per la quale si critica il circo mediatico borghese da un lato. Non è che criticare, ad esempio, la propaganda pop imperialista che vuole imporre la sua visione - attraverso la sua nuova ragazza immagine (Greta) - così come la strumentalizzazione istituzionale da parte delle borghesie dei vari paesi significhi irridere i giovani o peggio derubricare la questione magari in salsa complottista. Tutt'altro, significa proprio mettere in luce quello che hai scritto, un po' contraddittoriamente, nel tuo commento, cioè del fatto dell'importanza di prendere realmente coscienza di un problema, quello ambientale, che però va necessariamente collegato alla lotta di classe. Al netto di tentazione riformistiche che sembri un pochino troppo a cuor leggero avallare, nessuno intende boicottare la raccolta differenziata (per dire una cazzata) per fare uno sfregio alla borghesia che ce lo chiede. Quindi, va bene prendere le distanze di chi strumentalmente attacca i "gretini" da destra, ma contestualmente bisogna attaccare anche quelli che nascondendosi dietro i "gretini" mascherano ulteriori intenti predatori. Ti faccio rispondere da un'attivista sudamericana, laddove la questione ambientale è tanto seria che costantemente gli attivisti vengono accoppati senza troppe cerimonie, proprio da quelle multinazionali ed istituzioni (FMI) che in Europa si nascondo dietro la faccia di Greta.


PS. va da sé, è importante che i comunisti debbano partecipare (come hanno fatto in parte, forse non troppo collettivamente) alle manifestazioni giovanili proprio per mettere in risalto questo punto di vista fondamentale: cioè legare la lotta per le questioni ambientali alla lotta di classe. Quindi su questo siamo ovviamente d'accordo.






Il maquillage verde del capitalismo non cambia la sua essenza depredatrice, la favola di Greta e i suoi limiti



Cecilia Zamudio | cecilia-zamudio.blogspot.com
Traduzione da ciptagarelli.jimdo.com

26/09/2019

Grande partecipazione di giovani alle manifestazioni di oggi, a cui abbiamo partecipato perché riteniamo che sia molto importante che la gente si muova e partecipi. Vogliamo ricordare però, con questo articolo, che - come diceva Chico Méndes -"l'ambientalismo senza critica al capitalismo equivale al giardinaggio".

I veri ambientalisti di questo mondo sono i popoli in lotta contro la depredazione perpetrata dalle multinazionali: quelli che danno la loro vita per le loro comunità, per le montagne e per i fiumi. Ogni mese decine di quei veri ambientalisti vengono assassinati nei loro paesi: le pallottole dei sicari del capitalismo multinazionale bucano le loro teste piene di onestà e lotta, ed essi muoiono con le mani pulite, mani che mai hanno stretto quelle infami del Fondo Monetario Internazionale né quelle degli altri vampiri del pianeta.

La classe sfruttatrice e il suo sistema si perpetuano sulla base dello sterminio e dell'alienazione, sulla base della violenza e anche sulla base della menzogne imposte attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

In varie foto si può vedere Greta Thunberg, il nuovo personaggio mediatizzato dall'apparato culturale del capitalismo, vicino alla direttrice del Fondo Monetario Internazionale e candidata alla Banca Centrale Europea, Christine Lagarde (il FMI, quell'istituzione del capitalismo multinazionale che depreda la natura e affama popoli interi): una stretta di mano che illustra molto bene la felicità dei padroni del mondo nel salutare quelli che li servono bene nell'importante compito di entrare, come cavalli di Troia, in tutte le lotte per incanalare le energie verso strade senza uscita, che manipolano le maggioranze in pseudo-lotte che non vanno mai a toccare la radice dei problemi e, pertanto, non li risolvono.

Il capitalismo che sta mettendo fine alla natura non è messo in discussione dalla favola di Greta. Il pianeta muore e loro continuano con "pane e circo". Cinismo assoluto. La televisione, la stampa, l'industria culturale sono nelle mani dei monopoli privati del capitalismo: quei monopoli di solito investono i capitali nel complesso militare-industriale, nell'agroindustria, nell'industria chimica e farmaceutica, ecc. ecc.

Quanto sopra spiega perché i mezzi di comunicazione di massa non mostrano in TV nessuno che metta davvero in discussione i loro interessi: nessuno che metta in discussione la perpetuazione di questo sistema, che metta in discussione il capitalismo riceverà questa super mediatizzazione.

La depredazione della natura si deve al modo di produzione capitalista: l'agroindustriale intossica la terra, la mega-estrazione mineraria devasta montagne e fiumi, ecc.

Il super-consumo è un fenomeno tele-diretto dall'apparato culturale del capitalismo, dal bombardamento pubblicitario. La Obsolescenza Programmata, meccanismo perverso di invecchiamento prematuro delle cose, perfezionato apposta nel modo di produzione capitalista, garantisce anche alla borghesia che le masse consumino sempre di più, perché è così che essa riempie i suoi forzieri: in base allo sfruttamento contro i lavoratori e alla devastazione della natura.

Non c'è soluzione alla devastazione della natura all'interno del capitalismo. Davanti alla palpabile tragedia di continenti di plastica che galleggiano sugli oceani, della deforestazione vertiginosa di boschi millenari, dei ghiacciai depredati, delle falde freatiche e dei fiumi contaminati e disseccati, di catene di montagne tagliate dall'estrazione mineraria, dell'uranio impoverito con cui il complesso militare-industriale bombarda regioni intere, dei livelli di CO2 in evidente aumento, il cinismo dei padroni del mondo è enorme.

E' come se dicessero: "Non si può coprire il sole con un dito, cioè è ormai inoccultabile la devastazione del pianeta che noi grandi capitalisti stiamo perpetrando; ora quello che si può fare per continuare a depredare e a capitalizzare è mentire sulle cause profonde e sistemiche del problema. L'importante è che non indichino noi come responsabili, che non segnalino noi proprietari dei mezzi di produzione, noi che decidiamo cosa si produce, in che condizioni e a che ritmo, noi che ci arricchiamo tramite il saccheggio della natura e il plusvalore che estraiamo ai lavoratori, noi che decidiamo come deve comportarsi la popolazione visto che la induciamo al super-consumo che ci arricchisce e la induciamo a non mettere in discussione questo sistema che tanto conviene a noi, minoranza dominante.

Il fingere che ci preoccupa il pianeta renderà bene, è sufficiente una buona operazione di propaganda a livello mondiale, che ci vedano mentre ascoltiamo un qualche simbolo che avremo precedentemente creato, qualcuno che non ci metta in discussione come classe dominante, come classe sfruttatrice e che, in definitiva, non metta in discussione questo sistema".

Ma il cancro non si cura con un cerotto e naturalmente la devastazione del pianeta non sarà frenata con i placebi che il sistema stesso offre per indirizzare il malcontento verso una strada senza uscita.

Greta e i suo gruppo si appellano alle presunte "qualità morali" dei padroni del mondo, fanno appello alla loro presunta "buona volontà"; ancora una volta entriamo in una favola anestetizzante che finge di ignorare che nel capitalismo l'accumulazione della ricchezza la fanno i grandi capitalisti in due modi fondamentali: lo sfruttamento dei lavoratori e il saccheggio della natura.

In questa favola del GreenWashing (il lavaggio verde) si postula fraudolentemente l'esistenza di un presunto "capitalismo verde", qualcosa di totalmente impossibile per la logica stessa del sistema. Non è possibile un "capitalismo verde" come non è possibile un "capitalismo dal volto umano", come non esiste un leone vegetariano. E questo semplicemente perché quando parliamo di questo sistema economico, sociale, politico e culturale che è il capitalismo, parliamo di meccanismi inerenti alla sua logica: ca-pi-ta-liz-za-re.

E a quelli che cianciano le balle che "i paesi nordici sono grandi esempi di capitalismo buono e verde", è meglio dire che lo chiedano ad una vittima dei massacri che le grandi imprese nordiche hanno perpetrato nel Congo per poter saccheggiare fino all'osso il Coltan e altre risorse. Vi dice qualcosa Ericsson, Saab, Volvo, Bofors (armi), Nammo (armi), Kongsberg (armi), Ikea, H&M ecc. ecc.? Non molto "verdi" né molto "umane" quanto a sfruttamento e devastazione contro i lavoratori e contro la natura. Eh già, se si riesce ad esternalizzare al di fuori del paese tutta la cloaca delle pratiche che arricchiscono una multinazionale, allora non si tiene più conto della cloaca? E la enorme cifra degli affari delle imprese svedesi, norvegesi e finlandesi sulla vendita di armi, e la loro lucrosa partecipazione ad ogni nuova invasione della NATO, neanche questo verrà raccontato nella favola, no!?

Lo sfruttamento e la depredazione sono inerenti al capitalismo. Ora, quello che è possibile è truccare lo stesso volto inumano e per nulla verde del capitalismo con tonnellate di maquillage perché sembri quello che non è. Ma un leone con una maschera da zebra non sarà mai vegetariano come la sua maschera, così come un sistema come il capitalismo non sarà mai "verde" come le maschere che, di se stesso, il sistema mediatizza. Grandi multinazionali dell'energia, depredatrici per eccellenza della natura, inalberano i loghi di colibrì o di animali marini.

La BMW e una banca svizzera finanziano la barca con cui Greta solca i mari. Allora sarà meno contaminante e meno infame l'agire della BMW e della banca svizzera? D'altra parte il discorso del Green Washing colpevolizza allo stesso modo tutti quanti e, alla fine … "se tutti siamo colpevoli, nessuno è colpevole in modo specifico", il che è un modo per diluire le responsabilità, per non indicare i principali responsabili di questa barbarie: i grandi capitalisti, la borghesia multinazionale.

E' vero che il super-consumo non è limitato alla borghesia, perché se questa può consumare moltissimo di più e generare uno spreco brutale, anche la classe sfruttata è stata alienata dal bombardamento pubblicitario, per portarla a super-consumare, anche a costo di contrarre debiti. Ma ancora una volta è una questione di classe: perché è la classe sfruttatrice quella che possiede i mezzi di produzione e propaganda, quella che impone la sua egemonia ideologica e culturale a tutto il pianeta, è la classe sfruttatrice quella che aliena la classe sfruttata attraverso i mezzi di comunicazione di massa di sua proprietà.

E' tramite l'alienazione che la classe sfruttatrice dirige la classe sfruttata verso l'iper-consumismo, la dirige con il bombardamento pubblicitario e con i paradigmi che impone l'apparato culturale del capitalismo (individualismo, consumo "compensatorio", nozione di "successo" riguardo all'avere e non all'essere, ecc.).

L'Obsolescenza Programmata (invecchiamento prematuro delle cose) garantisce anche ai grandi capitalisti che le masse sovra-consumino per riempire i loro conti bancari mentre devastano il pianeta. Nel 2019 le 26 persone più ricche del mondo hanno la stessa ricchezza con cui sopravvivono i 3.800 milioni di persone più impoverite, la metà della popolazione mondiale (fonte Oxfam).

Un pugno di multimilionari possiede i principali mezzi di produzione e mezzi di propaganda e diffusione, l'1% della popolazione mondiale possiede l'82% della ricchezza mondiale. La base dei dati del consumo di energia elettrica pro-capite evidenzia che sono Europa, Stati Uniti, Canada ed altre metropoli capitaliste quelle che consumano l'immensa maggioranza dell'energia consumata a livello mondiale. Nel discorso della Maschera Verde si equipara la depredazione commessa dai grandi capitalisti, dalle gigantesche imprese che sequestrano interi fiumi per l'estrazione mineraria, con i popoli che sono loro vittime.

Si equiparano le vittime con i carnefici, in questo abietto discorso del "siamo tutti colpevoli", che non fa distinzione alcuna, né di classi sociali né del pugno di paesi che consumano l'80% delle risorse del pianeta (Stati Uniti, Europa, Canada, Giappone, Australia e altre metropoli capitaliste) rispetto a tutti gli altri paesi del mondo (l'immensa maggioranza) che sopravvivono con il restante 20%.

Nel discorso della Maschera Verde non si parla delle metropoli capitaliste che iper-consumano contro le periferie capitaliste che sono concepite dal capitalismo multinazionale come mere "botteghe di risorse" e saccheggiate fino all'osso, con un impatto ecologico devastatore ed un impatto sociale di impoverimento; non si dice neppure che il saccheggio viene perpetrato assassinando qualsiasi persona o comunità che alzi la sua voce contro il saccheggio capitalista.

Si equiparano le multinazionali depredatrici ai popoli che queste sterminano. Prendiamo ad esempio quello che fanno la Anglo American, la BHP Billiton e la Glencore nel deviare un intero fiume per utilizzarne l'acqua nella miniera di carbone più grande del mondo, la miniera del Cerrejòn in Colombia, il che causa siccità, ecocidio, carestia e genocidio contro uno dei principali popoli indigeni della Colombia, gli Wayù. Più di 14.000 bambini Wayù sono morti di fame e sete a causa del saccheggio di queste tre multinazionali. Il carbone estratto a tonnellate viene inviato principalmente negli Stati Uniti ed in Europa.

Così no, non siamo "tutti colpevoli allo stesso modo". Non sono colpevoli allo stesso modo una famiglia lavoratrice e un capitalista. Non sono colpevoli allo stesso modo la multinazionale Glencore e il popolo Wayù che rischia lo sterminio. Non sono colpevoli le migliaia di attivisti sociali, veri ecologisti , che vengono ogni giorno assassinati dalle pallottole dei sicari del capitale multinazionale; ma invece sono colpevoli quelli che saccheggiano il pianeta e pagano sicari per sterminare ogni opposizione al saccheggio capitalista.

Per i nostri morti neanche un minuto di silenzio davanti alla barbarie e alla pantomima con cui vogliono ricoprirla: più di 1.500 contadini, indigeni, afrodiscendenti, ambientalisti, attivisti sociali assassinati in Colombia dal capitalismo multinazionale in 5 anni, altre migliaia in Messico, altrettanti in vari paesi dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina…

E ci vengono a raccontare la favola della ragazzina con le trecce, che NON mette in discussione il sistema capitalista ed è iper-mediatizzata, con il loro montaggio che puzza di paternalismo eurocentrico, con il loro scenario che puzza di cinismo, con il loro teatro che puzza di finta perché tutto continui ad essere uguale.

Stanno facendo un esperimento per vedere fino a che punto ci ingoiamo con un sorriso sciocco i loro montaggi mentre loro, membri della classe sfruttatrice, continuano a depredare montagne e fiumi, oceani e boschi, continuano a commettere ecocidi e genocidi, continuano a spingere milioni di poveri sulle strade dell'esodo, continuano a trasformare il pianeta in una discarica e gli esseri umani in alienati (e a chi non si lascia alienare e pretende di lottare fuori dai tracciati dell'inutile, servono una pallottola paramilitare e militare, o la persecuzione politica e il carcere).

"Finchè avremo il capitalismo, questo pianeta non si salverà; perché il capitalismo è contrario alla vita, all'ecologia, all'essere umano, alle donne" diceva Berta Càceres, vera ambientalista e militante sociale honduregna, assassinata per essersi opposta al saccheggio capitalista.

Chico Méndes, altro autentico ambientalista, difensore dell'Amazzonia e attivista sociale assassinato per far tacere la sua voce di coscienza di classe, per cercare di frenare l'organizzazione politica dei senza terra, già segnalava, prima di essere assassinato, gli inganni del GreenWashing (che all'epoca non si chiamava così ma esisteva già).

Contro il capitalismo e il suo maquillage "verde" aveva cominciato la sua lotta Macarena Valdés, ecologista Mapuche assassinata per aver difeso la natura e la comunità, per essere scontrata con la multinazionale RP Global, a capitale austriaco, che promuove l'energia che vende come "rinnovabile e sostenibile" mentre partecipa all'ecocidio e al genocidio contro il popolo Mapuche.

Coloro che lottano contro la depredazione della natura sono migliaia, le loro voci non sono mediatizzate, le loro vite di solito sono brevi perché vengono troncate dagli strumenti repressivi al servizio del capitale multinazionale.

E se qualche paese pretende di nazionalizzare le proprie risorse naturali e non permettere che le multinazionali le saccheggino, lo bombardano con le loro guerre imperialiste, lo invadono, fanno entrare mercenari fanatici religiosi cresciuti dall'impero, lo torturano, lo martirizzano, gli impongono regimi sanguinari (dove sono quei falsi "ecologisti" del sistema quando l'imperialismo statunitense ed europeo massacra natura e popoli in Iraq, Libia, Colombia, Afganistan, Yemen ecc. Ah … qui non c'è la loro pseudo "protesta", le marionette al teatrino a ingannare gli incauti, a far sì che le migliaia di persone che sono state (e sono ogni giorno) assassinate dal capitalismo multinazionale per aver davvero difeso il pianeta in prima linea, vengano ancor più ridotte al silenzio nel mezzo della cacofonia, dell'iper-mediatizzazione della fiction).

Ma la lotta contro il capitalismo e la sua barbarie continua; perché la cosmetica con cui pretendono di coprire la sua puzza siamo in molte e molti a non inghiottirla.
 
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view post Posted on 3/10/2019, 15:22
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Al volo: fenomeno sociologico molto interessante da analizzare bene ma, il capitalismo lo sta già infiltrando e manipolando per usarlo per i propri scopi: "visto come siamo bravi che ascoltiamo i ragazzi e adesso ci convertiamo al green??". Per quello che riguarda il giudizio sui ragazzi, come giustamente dice khleb, la lotta per l'ambiente non può non essere prima di tutto lotta di classe, altrimenti è nella maggior parte dei casi un epigono delle altre sterili proteste succedutesi negli ultimi anni in vari luoghi della terra, che mettono insieme finti ribelli figli del benessere che vogliono provare l'ebbrezza di andare contro papà e mamma (e poi tornare all'ovile), a ragazzi, quelli sì, mossi da qualcosa che vada oltre il cavalcare la moda del momento, e che nei migliori di casi si trasmuterà poi in una sensibilità verso il socialismo (se non lo è già, vedi foto dei cartelli).
 
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Inquinamento e movimento ambientalista. La lotta per il pianeta è contro il capitale


Redazione Senza Tregua 14 dicembre 2019


di Paolo Spena, vice-segretario FGC

Negli ultimi anni la sensibilità rispetto al tema dell’ambiente è cresciuta esponenzialmente, e oggi in molti paesi europei questo tema è messo al centro del dibattito politico. Le manifestazioni di “Fridays for Future” hanno riportato i riflettori su una questione che sicuramente è fra le più attuali del nostro tempo. E lo è giustamente, perché i cambiamenti climatici e tutte le loro conseguenze sono già una realtà. Ma se è vero che cresce l’interesse per l’ambiente e il clima, non si può dire che si abbiano sempre le idee davvero chiare a riguardo. Molto spesso a prevalere sono i falsi miti. E questi diventano pericolosi quando, oltre a diffondersi nella percezione comune, possono essere utilizzati dai padroni per i loro interessi.

Uno dei grandi miti di questi anni, ad esempio, è l’idea che l’inquinamento si debba combattere innanzitutto con l’attivazione sul piano individuale da parte di ciascuno di noi, a partire dalle piccole azioni quotidiane. È un mito che nasce con l’idea che l’emergenza ambientale del nostro tempo sia una sorta di “responsabilità collettiva”. E da questo assunto nasce la convinzione che se facciamo attenzione a cosa compriamo al supermercato e a regolare i consumi individuali, possiamo incidere in positivo e limitare l’inquinamento. Ma la realtà è che le piccole azioni come fare attenzione agli sprechi di acqua ed elettricità, limitare l’acquisto e l’utilizzo della plastica o preferire l’acquisto dei prodotti “green” rispetto a quelli canonici, hanno un’incidenza minima rispetto al totale, che è sostanzialmente determinato da altro.

Nel 2017, un’inchiesta rivelava che 100 grandi aziende nel mondo sono responsabili del 71% delle emissioni di CO2. Se pensiamo che nel mondo non esistono solo 100 grandi colossi multinazionali, ma svariate migliaia, è facile comprendere che le scelte di consumo e la condotta individuale non hanno davvero nessun impatto. Questo significa forse che interessarsi a questo tema non serve, perché non potremo cambiare nulla? No, anzi. Significa che per lottare davvero in modo conseguente per il futuro del pianeta, dobbiamo capire cosa lo sta distruggendo.

Oggi tutte le scelte più importanti che riguardano il soddisfacimento dei bisogni dell’intera umanità vengono prese da un pugno di grandi multinazionali. Pochissimi colossi controllano fette enormi della produzione mondiale di cibo, energia, beni industriali e di consumo. A decidere cosa deve essere prodotto e in che modo farlo sono pochi soggetti che agiscono per il proprio profitto privato, in competizione gli uni con gli altri. I diritti della stragrande maggioranza della popolazione, incluso il diritto alla salute minacciato della devastazione ambientale, passano in secondo piano rispetto al profitto che finisce nelle loro tasche. È così che funziona il capitalismo.

L’emergenza ambientale di oggi è la diretta conseguenza innanzitutto di questa irrazionalità di fondo del sistema capitalistico. Marx la chiamava “l’anarchia della produzione”, che appunto fa sì che la società nel suo complesso non abbia nessun controllo reale sulla produzione dei beni che consuma e di cui ha bisogno, e che tutto questo sia decentrato e controllato da chi agisce per interessi di profitto. È proprio questo punto che va messo in discussione, se davvero si vuole affrontare la questione di petto. E viceversa, non si può pensare che la soluzione al problema possano esserci data dagli stessi che ne sono responsabili.



Il presunto “ambientalismo” dei padroni…

La cosiddetta “green economy” e la sostenibilità ambientale sembrano all’improvviso interessare anche alle grandi imprese e alle multinazionali. Ma non si tratta di una folgorazione sulla via di Damasco. Molto più semplicemente, quello della sostenibilità oggi è un nuovo terreno di competizione fra i grandi gruppi capitalistici, e viene utilizzato anche come arma di concorrenza nel mercato.

La ragione è semplice: le normative ambientali sono, al pari delle altre norme che fissano degli standard produttivi, il prodotto dello scontro fra lobbisti che rappresentano diversi interessi. Ogni volta che in UE o in un parlamento nazionale si vota un standard produttivo o un particolare limite, in realtà si sta votando a favore di alcune o di altre multinazionali e grandi aziende che utilizzano già quello standard o che comunque ne trarrebbero vantaggio, nella competizione con i concorrenti. Molte normative europee di carattere ambientalista, ad esempio, sono il prodotto del lobbying esercitato da aziende del Centro- Nord Europa, per le quali l’applicazione negli altri paesi europei delle norme simili a quelle dei loro paesi era un vantaggio.

È facile immaginare che quando un’azienda chiede misure più stringenti sulle tematiche ambientali, raramente lo fa per un sincero interesse nella difesa dell’ambiente… anzi, la riconversione “verde” di cui tanto si parla oggi rappresenta per i grandi monopoli un nuovo terreno di investimenti grazie ai quali fare profitti. E infatti si potrebbero citare decine di casi di grandi conglomerati economici che investono capitale sia in aziende “green”, sia in aziende responsabili di inquinamento e devastazioni ambientali. Perché quello che conta, alla fine, è sempre il profitto.

La spinta per una rapida riconversione produttiva si inserisce anche nelle dinamiche di competizione a livello internazionale. Produrre dove il costo del lavoro è più basso conviene, ma trasportare le merci per migliaia di chilometri costa e inquina. Ecco allora che l’idea di produrre là dove sono i consumatori diventa un’arma per contrastare la Cina e poter rivendicare la propria vocazione ambientalista. Dietro i proclami delle grandi multinazionali la sensibilità e il sincero interesse per le sorti dell’ambiente cedono il passo a interessi materiali di certo meno nobili. È per questo che non bisogna farsi dettare l’agenda dai padroni: perché il loro “ambientalismo” arriva solo finché sono garantiti i loro profitti.



Fridays for Future. Dove sta andando e che prospettive ha?

Il movimento di Fridays for Future, grazie anche alla sovraesposizione mediatica di Greta Thunberg, ha coinvolto negli “scioperi per il clima” milioni di giovani in tutto il mondo. È un movimento che intercetta un giusto e legittimo sentimento della gioventù, che sente la necessità di lottare contro la devastazione ambientale e i cambiamenti climatici, per il futuro del pianeta. Ma il rischio è che questa buona fede venga deviata in una direzione favorevole a quella che vogliono i grandi gruppi economici.

Non si tratta di scadere nel complottismo, non dobbiamo chiedere “chi c’è dietro Greta?” come se si trattasse di una macchinazione dei poteri occulti. Bisogna però avere la consapevolezza che un movimento del genere non sarebbe esistito, o non avrebbe assunto le proporzioni che ha oggi, senza l’enorme campagna mediatica che tutti abbiamo visto e senza un grosso investimento economico da parte di settori importanti del capitale. È un elemento che abbiamo il dovere di cogliere e analizzare con serietà, consapevoli che la riduzione di ogni voce critica al complottismo, cioè la strategia di mettere un’analisi oggettiva degli interessi che orientano i movimenti nella società sullo stesso piano delle più strampalate teorie della cospirazione (che non a caso vengono presentate da anni in prima serata), è oggi una delle più grandi armi ideologiche utilizzate dal capitale.

Il rischio che il legittimo sentimento di milioni di giovani in tutto il mondo venga tramutato in uno strumento di pressione al servizio di altri interessi esiste, soprattutto a causa della vaghezza delle rivendicazioni. I giovani vengono chiamati a manifestare con la generica idea di spronare i governi dei rispettivi paesi ad agire in difesa dell’ambiente, ma non esiste nessuna rivendicazione precisa al di là del rispetto degli Accordi di Parigi sul clima del 2015. E quando un movimento del genere non pone autonomamente delle rivendicazioni chiare, ad affibbiargliele dall’esterno saranno proprio quei grandi gruppi multinazionali che cercano di fare pressione sui governi, di creare e utilizzare i movimenti ambientalisti per ottenere leggi a proprio vantaggio. E infatti Greta sale sui palchi, dove lancia proclami estremamente generali, ma all’ONU ci sono i rappresentanti delle ONG ambientaliste e lobbisti che trattano ed esercitano pressioni proprio appellandosi a quelle piazze.

Bisogna poi stare molto attenti quando un movimento si basa quasi unicamente sulla dimensione mediatica, perché questo incide profondamente sul carattere stesso del movimento e sul modo in cui i partecipanti si approcceranno alla lotta politica. Decine di migliaia di giovani vengono chiamati a scendere in piazza non grazie a un’organizzazione che si fa carico della gestione delle mobilitazioni, della propaganda, ecc… ma dopo giorni e giorni di appelli a reti unificate da parte dei media, della stampa, persino dei dirigenti scolastici, addirittura con appelli alle scuole da parte del Ministero dell’Istruzione che ha chiesto di giustificare le assenze… la differenza con i movimenti studenteschi di lotta che spesso dai governi hanno ricevuto anatemi, condanne e manganellate è abbastanza evidente. Un grande movimento di opinione, certo, ma che si limita a chiedere ai giovani di aderire a grandi sfilate di una giornata sulla base di una idea molto generica. Ma non si chiede mai ai giovani di fare un passo in avanti e organizzarsi per davvero, in modo permanente. E se la storia ci insegna qualcosa, è proprio che possiamo vincere e conquistare i nostri diritti solo quando ci organizziamo e lottiamo in prima persona.

La scelta della gioventù comunista di volantinare nelle piazze del Fridays for Future, sin dalla prima data dello scorso marzo, ha dimostrato che non abbiamo paura di assumerci le responsabilità che ci competono come comunisti dinanzi a un movimento di massa così pieno di contraddizioni. Non si tratta di fare la “voce critica” e tentare di assumere la direzione di questo movimento, un’illusione che non coltiviamo e che si scontra con i presupposti stessi su cui nasce il FFF. Con le migliaia di giovani che oggi vengono coinvolti passivamente in quei cortei abbiamo il dovere di parlare, individuarne gli elementi più avanzati, dare coscienza critica per evitare che anche questi siano abbandonati all’ideologia dominante, invitarli a fare un passo in avanti aderendo alla lotta politica organizzata che, per riprendere le parole di Gramsci, è il primo passo per la propria liberazione.



La lotta per l’ambiente è contro il capitale

La tutela dell’ambiente smette di essere una formulazione vaga o uno slogan strumentale ai padroni (gli stessi che devastano e inquinano) proprio nel momento in cui viene legata a una lotta che va a scontrarsi direttamente proprio con gli interessi del capitale, che metta in discussione il sistema capitalista nelle sue fondamenta. Se i padroni non sono capaci di difendere l’ambiente perché sono impegnati a difendere le loro tasche, è vero al contrario che proprio i lavoratori e le classi popolari possono e devono costruire l’alternativa.

Non stiamo parlando dei massimi sistemi, al contrario. In tutte le più grandi lotte contro la devastazione ambientale è possibile identificare con chiarezza lo scontro fra gli interessi di due classi diverse. Lo si è visto in Italia, dove molte lotte storiche sono legate a doppio filo con la difesa della salute dei lavoratori, come nel caso dell’ILVA di Taranto. E lo si vede nel resto del mondo, basti pensare alle grandi lotte contadine e indigene in Sudamerica e in Africa contro la devastazione del territorio da parte delle multinazionali.

La lotta rivoluzionaria del movimento operaio ha portato con sé, storicamente, la rivendicazione del controllo centralizzato dei lavoratori sul processo produttivo. Questo significa che, nel socialismo, sono i lavoratori nel loro complesso a decidere e pianificare le scelte produttive. È un tema attualissimo, e deve essere un presupposto fondamentale della nostra lotta, perché solo riportando la produzione sotto il controllo della società possiamo mettere al primo posto il benessere collettivo della popolazione e non il profitto di pochi. È una lotta, questa, che da sola vale di più di tutte le campagne plastic-free. I lavoratori sono l’unico soggetto che può davvero, e con coerenza, tenere alta la bandiera della difesa dell’ambiente e del pianeta.
 
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view post Posted on 22/12/2019, 13:50
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CITAZIONE
Vogliamo ricordare però, con questo articolo, che - come diceva Chico Méndes -"l'ambientalismo senza critica al capitalismo equivale al giardinaggio".

31 anni fa veniva ammazzato Chico Mendes.



dalla commemorazione dell'anno scorso fatta dal Collettivo Stella Rossa

https://www.facebook.com/745877035527030/p...75924205855634/

Chico Mendes nacque nel 1944 in un poverissimo villaggio di "seringueiros" nel cuore della foresta Amazzonica.
I "seringueiros" sono coloro che estraggono con tecniche tradizionali la linfa della gomma caucciù con una metodologia poco invasiva che permette la sopravvivenza degli alberi, unica loro fonte di guadagno.
La povertà lo costrinse sin da bambino a lavorare seguendo le orme del padre, tuttavia egli riuscì a sfuggire alla piaga dell'analfabetismo grazie alla campagna di scolarizzazione rurale operata in quegli anni dal Partido Comunista do Brasil, campagna osteggiata dalle autorità che preferivano una plebe incolta per poterla meglio soggiogare.
Negli anni 70 il governo brasiliano di allora, totalmente suddito dell'imperialismo neocoloniale nordamericano, spalancò le porte dell' Amazzonia, consentendo la predazione delle sue risorse da parte delle multinazionali estrattive e di quelle del commercio del legname, ai grandi latifondisti-allevatori e alle grandi imprese di costruzione, pronte a cementificare la tabula rasa che era stata oculatamente pianificata.
Per contrastare questo apocalittico progetto, che ora definiremo "eco-terrorista", Chico Mendes fondò il Sindacato dei Lavoratori Rurali, unificando varie minuscole organizzazioni sindacali di base, creando un fronte unitario per opporsi all'occupazione delle loro terre comuni e al taglio indiscriminato della foresta e degli alberi di caucciù.
Il capitale reagì con inaudita ferocia. Sicari prezzolati assassinavano gli attivisti sindacali di riferimento, semplici Lavoratori aderenti alle organizzazioni di tutela della foresta ma anche reporter che ne documentavano le efferatezze. Gli indios, restii a rivolgersi all'esterno per denunciare i soprusi subiti, subirono inenarrabili violenze per costringerli ad abbandonare i loro villaggi. Gli insediamenti venivano sistematicamente dati alle fiamme, stupri, torture e uccisioni erano quotidianità. La Chiesa, molto influente in Brasile ma legata alle lobby del capitale, a parte qualche missionario che viveva a stretto contatto con gli indios, volse lo sguardo da un'altra parte e non spese parole di condanna verso i mandanti di tali crimini e le Autorità colluse.
Chico Mendes ebbe l'intelligenza tattico-strategica di agire su un doppio fronte: quello interno, organizzando un opposizione non violenta che attraverso blocchi e catene umane impedivano la devastazione delle aree forestali, ed un fronte esterno, cercando (riuscendoci appieno) di far puntare i riflettori dell'attenzione mediatica internazionale sullo sfregio irreparabile che la foresta Amazzonica stava subendo e sulla lotta impari attuata dai popoli che la abitano da sempre in armonia con la natura. L'opinione pubblica internazionale, vedendo che il "polmone verde del pianeta" era sull'orlo di una catastrofe ecologica globale, intervenne con un imponente movimento di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, di fronte al quale il governo brasiliano dovette parzialmente recedere dal suo piano scellerato di devastazione ambientale e di prostituzione alle multinazionali.
Vennero istituite delle aree di tutela della foresta denominate "reservas extractivas" dove i lavoratori rurali poterono continuare ad estrarre il caucciù con i metodi tradizionali e le popolazioni indigene locali ebbero il diritto di continuare a vivere nella foresta, rispettando la natura e traendo da essa tutto ciò di cui essi necessitano, salvando in questo modo migliaia e migliaia di ettari di foresta pluviale
Parzialmente sconfitto il Grande Capitale volle vendicarsi colpendo la figura carismatica che li aveva umiliati.
Chico Mendes cadde in un agguato, crivellato di colpi, sulla veranda della sua umile casa sparati da un sicario vilmente nascosto tra i cespugli.
Le autorità governative tentarono di coprire i mandanti e gli esecutori, insabbiando le prove e cercando di far ricadere la colpa sugli stessi compagni di Chico.
Fortunatamente l'opinione pubblica internazionale, la stessa che aveva consentito alla lotta di Chico e del Sindacato dei Lavoratori Rurali di avere una visibilità ed appoggio esteso a livello planetario, si mobilitò perché le indagini proseguissero e si identificassero i veri mandanti.
Questi vennero individuati tra i grandi latifondisti-allevatori e condannati. Tuttavia rimasero in carcere per un periodo estremamente breve, graziati dopo qualche anno di detenzione.
Il Grande Capitale non abbandona mai suoi servi fedeli.

Perché il sacrificio di Chico Mendes non sia vano.
Per non dimenticare che la foresta Amazzonica è tuttora sotto attacco predatorio da parte delle grandi multinazionali capitaliste (a riprova di questo l'immensa catastrofe ecologica che la ha colpita nelle scorse settimane), riteniamo si debba ricreare un fronte di opinione internazionale come quello che supportò Chico Mendes nelle sue battaglie, perché il consumismo motore del capitalismo sia considerato eco-terrorismo e minaccia globale alla sopravvivenza del pianeta e al genere umano che lo popola.
Oggi più che mai è necessario attualizzare la battaglia di Chico Mendes a tutela dell'ambiente creando ovunque organismi che si battano contro la devastazione ecologica, contro lo scempio etico dell'agricoltura finalizzata alla produzione di carburante da bruciare nei termovalorizzatori centrali a biomassa, contro la cementificazione indiscriminata delle aree verdi sacrificate sull'altare del profitto della speculazione edilizia, contro un industrializzazione deregolamentata, mirata solo a creare beni di consumo perpetuo e non soddisfacimento delle reali necessità delle persone.
Perchè lo sviluppo possa definirsi "progresso" è necessario che avvenga in armonia con la natura nel rispetto dei suoi delicati equilibri e al contempo sia eticamente sostenibile anche sul piano dei diritti dei Lavoratori.
Questo è il lascito morale di Chico Mendes, un insegnamento al quale non ci si può più sottrarre.


 
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view post Posted on 3/2/2020, 10:55
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view post Posted on 14/2/2020, 17:13
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view post Posted on 3/3/2020, 10:23
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LO SVILUPPO DELL’AUTO ELETTRICA: 40 MILA BAMBINI MINATORI.
Il cobalto è un elemento base per la produzione delle nuove batterie. Estratto nelle miniere del Congo per le grandi industrie cinesi americane ed europee vi lavorano centinaia di migliaia di minatori di cui una buona parte bambini.
L’auto del futuro è elettrica, pulita, etica e sostenibile, così recitano molte pubblicità. Gran parte delle nuove applicazioni elettroniche (cellulari, tablet, computer, ecc) sono possibili grazie alle nuove batterie al cobalto. Il cobalto ha un gran pregio: stabilizza la carica e allunga la durata del “pieno” delle batterie. Il 60% della produzione mondiale del metallo arriva dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo. Da tempo si è scatenata la guerra tra le multinazionali per impadronirsi delle miniere del cobalto. Gli operai e gli operai- bambini pagano il prezzo degli altissimi profitti dei padroni.

Nella Repubblica Democratica del Congo grande è la ricchezza delle materie prime, più feroce è lo sfruttamento e la povertà.

“oltre il 53% del cobalto in circolazione nel 2016 veniva estratto in RDC (66mila tonnellate su circa 123mila). È comprensibile quindi che la RDC sia oggi una destinazione molto ambita per le multinazionali, sia quelle che si occupano di estrazione, sia quelle che muovono le migliaia di tonnellate estratte verso le raffinerie – localizzate per la maggior parte in Cina.”

Diverse multinazionali fanno profitti con il cobalto del Congo. Industrie come Glencore, CDM, Randgold, China Molybdenum e altre hanno indirizzato le loro attività in RDC; ad esempio, gli svizzeri di Glencore concentrano nelle loro mani uno spaventoso 35% dell’intera produzione mondiale. Molte industrie hanno aperto stabilimenti in diretta prossimità dei siti estrattivi (da Volkswagen ad Apple, da Microsoft a Huawei).

Lo sfruttamento dei minatori è feroce. Incidenti e morti sono frequenti. Gli orari di lavoro superano spesso le 12 ore giornaliere, guadagnando in media uno o due dollari. L’esposizione a polveri contenenti cobalto causa malattie, asma e riduzione della funzione polmonare. L’ UNICEF ha stimato in circa 40.000 i bambini dai 6 ai 7 anni che lavorano quotidianamente nelle miniere.

Il Cobalto del Congo è un esempio della lotta tra le grandi industrie capitalistiche per impossessarsi delle materie prime. Evitiamo volutamente di chiamarle semplicemente “multinazionali”, anche se va di moda. Sono imprese capitalistiche, grandi, che operano in diversi paesi ma che conservano comunque una base nazionale e che vanno combattute non in quanto “multinazionali” ma in quanto fondate sullo sfruttamento operaio.

Fanno ridere coloro che auspicano la fine delle “multinazionali” sognando un capitalismo democratico, senza sfruttamento, fondato sulla libera concorrenza. È proprio la libera concorrenza che ha prodotto prima la concentrazione della produzione, quindi il monopolio ed un nuovo livello di concorrenza mondiale, con la sua lotta per accaparrarsi le materie prime.

Se le guerre per il petrolio sono iniziate in Medio Oriente (Iraq, Iran, Afghanistan, Siria, ecc)

Altre guerre si preparano.

In Libia ancora una volta per il petrolio. Nel resto dell’Africa per molte materie prime necessarie all’industria capitalista.

L.S.

Le notizie sono tratte da un articolo di Marco Simoncelli su Nigrizia da una inchiesta di Amnesty International e Afrewatch.
 
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view post Posted on 25/11/2020, 18:14
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view post Posted on 8/4/2022, 17:11
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da fb di Katja Brauns

"Le batterie non creano elettricità - immagazzinano elettricità generata altrove, soprattutto attraverso carbone, uranio, centrali alimentate a gas naturale o generatori a diesel. ” Quindi l’affermazione che un’auto elettrica sia un veicolo a zero emissioni non è affatto vera.
Dal momento che il quaranta per cento dell'elettricità prodotta negli USA proviene da centrali a carbone, quindi il quaranta percento delle auto elettriche su strada è a carbone.
Ma non è tutto. Chi di voi è entusiasta dell'auto elettrica e della rivoluzione green dovrebbe guardare da vicino le batterie, ma anche le turbine eoliche e i pannelli solari.
Una tipica batteria di auto elettriche pesa mille libbre, delle dimensioni di una valigia. Contiene 25 libbre di litio, sessanta libbre di nichel, 44 libbre di manganese, 30 libbre di cobalto, 200 libbre di rame e 400 libbre di alluminio, acciaio e plastica. Ci sono oltre 6.000 cellule individuali agli ioni di litio all'interno.
Per fare ogni batteria BEV, devi elaborare 25.000 libbre di suola per il litio, 30.000 libbre per la resina per il cobalto, 5.000 libbre in resina per il nichel e 25.000 libbri di rame per il rame. Tutto sommato bisogna scavare 500.000 libbre di crosta terrestre per una batteria. "
Il problema principale dei sistemi solari sono le sostanze chimiche usate per convertire il silicio nel silicio usato per i pannelli. Per produrre abbastanza silicio puro, deve essere lavorato con acido salilico, acido zolfo, acido salpetico, idrogeno fluoruro, tricloretano e acetone.
Inoltre, sono necessari gallio, arseniuro, diseleniuro di rame-indio-gallio e telluro di cadmio, anch'essi altamente tossici. La polvere di silicio rappresenta un pericolo per i lavoratori e le piastre non possono essere riciclate.
Le turbine eoliche sono il nonplusultra in termini di costi e distruzione ambientale. Ogni ruota a vento pesa 1688 tonnellate (che equivalgono a 23 case) e contiene 1300 tonnellate di cemento, 295 tonnellate di acciaio, 48 tonnellate di ferro, 24 tonnellate di fibra di vetro, e il neodima della terra rara dura, praseodyma e disprosio. Ognuna delle tre pale pesa 81.000 libbre e ha una vita da 15 a 20 anni, poi vanno sostituite. Non possiamo riciclare le foglie del rotore usate.
Queste tecnologie possono avere il loro posto, ma bisogna guardare oltre il mito della libertà di emissione.
"Going Green" può sembrare un ideale utopico, ma se guardi i costi nascosti e incorporati in modo realistico e imparziale, scoprirai che "Going green" sta facendo più danni all'ambiente terrestre di quanto sembri. Ha fatto.
Non sono contrario all'estrazione mineraria, ai veicoli elettrici, all'energia eolica o solare. Ma mostro la realtà della situazione.
Copiato / incollato ovviamente. Vi invito a trasmettere il testo.
 
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view post Posted on 30/10/2022, 09:59
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da Partito Comunista

RIGASSIFICATORE PIOMBINO: CENTROSINISTRA E CENTRODESTRA UNITE. CONTRO IL POPOLO


Con estremo entusiasmo il presidente della regione Toscana Eugenio Giani ha firmato il via libera alla nave rigassificatrice di Piombino che avvelenerà gli abitanti dell'area interessata e sarà estremamente inquinante e pericolosa per il territorio.
Dicono che la nave rimarrà in esercizio per tre anni e entro 45 giorni, per prescrizione assoluta, Snam deve indicare dove montare la piattaforma.
Il presidente Giani ha dichiarato inoltre che il rigassificatore è necessario per tutti gli italiani e che si prende la “totale responsabilità della decisione”.
Giani quindi si dichiara soddisfatto di avvelenare i cittadini della sua regione e di mettere a rischio il territorio. Per fortuna che questi politici erano per le politiche green durante le loro campagne elettorali, adesso dimostrano tutta la loro ipocrisia e odio verso i loro cittadini attuando politiche diametralmente opposte a quelle di cui si son riempiti la bocca fino a pochi mesi fa.
Oltretutto per il gas proveniente da navi metaniere inquinantissime, un gas che viene dagli USA e che costa 40 volte il gas che prendevamo dalla Russia. Si chiama Shale gas ed è prodotto in modo devastante per il territorio. Veramente un successo targato centrosinistra centrodestra unite, contro i piombinesi, i toscani, ma in realtà contro tutto il popolo.
Infatti è grazie a loro che stiamo pagando bollette salatissime e continueremmo a pagarle salatissime.
 
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13 replies since 3/10/2019, 10:04   585 views
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