Comunismo - Scintilla Rossa

Con i combattenti Kurdi contro l'isis e contro l'imperialismo

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view post Posted on 6/10/2014, 18:13

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CON I COMBATTENTI KURDI CONTRO L'ISIS
E CONTRO L'IMPERIALISMO


A Rojava, Kobane le forze combattenti curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis, ma devono lottare anche contro l'imperialismo che col pretesto dell'Isis, interviene nella zona.
Noi siamo con le forze che in questa lotta non si appoggiano all'imperialismo il cui disegno di fornire le armi ai Peshmerga ha il solo scopo di mettere i suoi artigli per il controllo di una area strategica.


Riportiamo alcune notizie stampa sulla situazione dei kurdi, sulla fase attuale e soprattutto sul ruolo volutamente ambiguo degli Stati della zona e degli Usa.

Ripubblichiamo inoltre parti dell'intervista fatta da proletari comunisti all'artista e militante comunista turca, Pinar Aydinlar.

"...i curdi in Siria sono circa il 9% della popolazione, sono la più grande minoranza etnica del paese. Vivono prevalentemente nel Kurdistan della Siria.I curdi negli ultimi 90 anni hanno dovuto lottare per preservare la propria esistenza. Sono stati massacrati da tutti i governi che sono succeduti in Iraq, in Turchia, in Iran e in Siria. In quest’ultimo paese, nel corso della massiccia politica di arabizzazione iniziata nel 1962, a circa 200 mila cittadini curdi è stata negata la cittadinanza siriana.
Questo gruppo di cittadini senza patria, insieme ai propri discendenti anche loro senza diritti, non hanno nessuna identità, in quanto il regime siriano prima nell’era del padre Hafiz Al Assad poi quello del figlio Bashar Al Assad non hanno mai riconosciuto questi curdi come cittadini di quel Paese.
La situazione rimase invariata fino alla rivolta della popolazione Siriana contro il regime di Assad nel 2011. All’indomani dell’abbandono degli apparati governativi dalle zone curde. I curdi per colmare il vuoto lasciato del regime, hanno creato tre cantoni – Afrin, Jazira e Konabe – abitati da una confederazione di popoli e etnie. Curdi, Assiri, Turcomanni, Siriani, Arabi, Armeni si sono confederati e i rappresentanti dei propri villaggi hanno volontariamente aderito alla confederazione del Kurdistani Rojava ovvero Kurdistan dell’Ovest. Ogni villaggio elegge i suoi rappresentanti che amministrano leggi e giustizia a livello locale e partecipano alla politica di ogni piccolo cantone.

Questa situazione non è andata giù alla Turchia, perché il problema curdo è una sua spina nel fianco: teme (ma senza alcuna ragione) che, nella confusa situazione siriana, potrebbe nascere una Regione curda siriana sul modello dei loro fratelli curdi Iracheni e che questa potrebbe poi unirsi ai curdi della Turchia, che ormai lottano da anni per la loro libertà. Quindi è cominciato un intenso lavoro di provocazioni da parte di agenti turchi, così si sono intensificate le infiltrazioni e gli attacchi delle bande criminali come Jebhat Al Nusra affiliato ad al Qaeda, ma aiutato del governo Turco e, sotto direzione dei Servizi turchi, hanno attaccato le città del Kurdistan occidentale.

Gli intensi combattimenti in corso in queste ore, intorno alla zona di Kobane continuano. I Peshmerga delle due forze curde Unità di Protezione Popolare (Ypg) e Unione delle donne (Ypj) stanno difendendo Kobane e i villaggi circostanti nonostante le risorse molto limitate e le armi leggere contro gli assassini dell’Isis super aramati.
Salih Muslim, co-presidente delle Pyd, ha spiegato che «alcuni Stati» hanno reclutato l’Isis per mettere fine all’autogoverno curdo e al sistema democratico nel Rojava (il Kurdistan siriano). «Abbiamo costruito un sistema che riconosce differenti fedi – ha detto Muslih — i diritti delle donne e le lingue madri di popoli diversi…ciò non sta bene a quegli Stati …che hanno cercato assassini mercenari e l’Isis faceva al caso loro».
La Turchia che da un lato sostiene di partecipare alla lotta contro l’Isis e dall’altro non ha alcun interesse a fermare i jihadisti che assediano Kobanè. La Turchia, che ha il controllo del nord di Kobanè – l’unico lato che non è sotto assedio dell’Isis -, impedisce a qualsiasi aiuto di raggiungere la città, quindi ai combattentti curdi del Pkk di unirsi alla difesa della città.
La Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati hanno sostenuto in Siria organizzazioni terroristiche perchè il loro scopo era quello di rovesciare il presidente Bashar Assad e così facendo hanno contribuito a far scoppiare la guerra tra musulmani sunniti e sciiti.
Gli Stati Uniti sapevano e non hanno fatto nulla per fermare gli “alleati”. Anzi, attraverso le riunioni del gruppo “Amici della Siria” hanno prima segretamente e poi apertamente dato il via libera alle forniture di armi ai ribelli anti-Assad che poi, in parte, le hanno vendute o consegnate ai jihadisti"

Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria turca
pc – Nella riunione di Donna Nuova che ho seguito e a cui ho portato il saluto delle nostre compagne, ti ho sentito proporre una campagna internazionale a sostegno delle combattenti curde della regione di Rojawa/Kobane. Una lotta di cui nel nostro paese si sa poco. Potresti parlarmi meglio di questa lotta?
Pinar – A Rojawa c’è una guerriglia di liberazione nazionale che va avanti da molto tempo e che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione molto difficile, sotto attacco congiunto delle forze dell’ISIS e degli altri eserciti che combattono nel Kurdistan siriano. Ma, rispetto ad altre guerriglie e lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, la particolarità di questa lotta è il ruolo importante che vi giocano le donne rivoluzionarie curde.
Donne che hanno rifiutato il ruolo subordinato, gli affetti familiari, per prendere le armi e combattere. E, cosa più importante, nessuna di loro si è mai arresa. Io, nel mio piccolo mi sento vicina a loro.
È una lotta antimperialista. L’imperialismo si oppone da sempre all’autonomia del popolo curdo nella regione e, soprattutto, perché sa bene che questo movimento è diverso dagli altri movimenti autonomisti, proprio grazie al ruolo in esso delle donne rivoluzionarie.
Quando son stata a Kobane, la regione turca al confine con Rojawa, ho conosciuto una situazione durissima e difficilissima, fatta di guerra, stupri, massacri di bambini, ma ho visto anche come a questo 300 compagne rivoluzionarie curde hanno fatto la scelta di attraversare la frontiera per unirsi alla guerriglia di Rojawa.
Nei prossimi giorni Partizan lancerà ufficialmente un appello internazionale per una campagna e una delegazione che vada a Kobane per realizzare un progetto concreto di solidarietà. Ma anche prima dell’appello, già ora è importante chiamare tutti a prendere posizione e realizzare iniziative di solidarietà.
Questa non è certo una campagna solo “delle donne”, ma, proprio per il ruolo che in essa vi svolgono le donne assume un grande valore per tutti i rivoluzionari, i comunisti, gli antimperialisti e, allo stesso tempo, chiama tutte le rivoluzionare a assumere l’iniziative e avere un ruolo in prima linea a sostegno di questa lotta antimperialista.
A Rojawa donne e bambini sono le prime vittime della guerra e dell’ideologia dell’ISIS, ma, molto più che a Gaza, le donne di Rojawa non sono solo le prime vittime, sono le prime combattenti.
Come a Gaza, riguardo ad Hamas, non contano le differenze che abbiamo con la direzione di questa lotta, che a Rojawa è dei peshmerga dell’YPG. Per noi conta che è una lotta di liberazione di un popolo che l’imperialismo vuole sottomesso e, soprattutto, che il ruolo in essa delle donne rivoluzionarie ne fa una lotta per la liberazione sociale, non solo nazionale.
Le donne che lasciano le case per combattere non lottano solo per l’autodeterminazione del loro popolo, lottano per la loro stessa liberazione.
Esse chiedono alle donne di non stare a casa, di prendere le armi e questo la rende una lotta rivoluzionaria. E se si guarda alla condizione delle donne nel resto del Medio Oriente e alla loro posizione all’interno della lotte che si sviluppano nella regione, risalta ancora di più l’importanza di questa lotta, che è una “rivoluzione di donne” potremmo dire.
Quanto a me è parte del mio lavoro di artista rivoluzionaria dare voce come posso a queste combattenti, e pagarne il prezzo, se occorre.
Detto questo, però, la discussione si è concentrata sulla situazione in Kurdistan, a Rojava, Kobane, dove le masse curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis e dove nello stesso tempo interviene ora l'imperialismo col pretesto dell'Isis. I compagni stanno per andare in quella zona in questi giorni per sostenere la battaglia e di conseguenza a sviluppare una campagna internazionale.

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view post Posted on 7/10/2014, 14:11

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La battaglia di Kobane,a sostegno delle masse kurde che resistono contro ISIS,
ma è necessario denunciare l'imperialismo

un appello e una iniziativa di lotta a Pisa
Appello urgente del KNK

Migliaia di civili in Kobane rischiano di essere massacrati!! è ora il momento di agire per evitare il massacro imminente!
L'organizzazione terrorista ISIS sta purtroppo avanzando verso la città di Kobane nella parte occidentale del Kurdistan (Siria settentrionale). Sono già entrati in alcuni quartieri della città.
Le forze di difesa curde,YPG, stanno eroicamente difendendo la città e la popolazione civile dagli attacchi dell'ISIS, con armi molto limitate e nessun supporto tecnico contro il livello tecnologicamente avanzato delle armi appartenenti all'ISIS. Le armi in loro possesso non sono efficaci contro le armi pesanti che l'ISIS ha confiscato all'esercito regolare iracheno.
Migliaia di civili in Kobane sono sotto la minaccia imminente di un massacro. Anche migliaia di civili al confine turco sono sotto la minaccia di attacchi sistematici da parte dell'ISIS. ...

Migliaia di persone stanno per essere uccise e massacrate davanti ai nostri occhi. è ora il momento di agire per evitare il massacro imminente!
Congresso Nazionale Kurdo

I kurdi occupano l'aeroporto di Pisa

Ci è giunta la notizia che dalle 13.00, dopo che stamani hanno occupato l'aereoporto di Pisa, la Comunità Curda proveniente da varie zone della Toscana sarà sotto il Consolato Usa - Lungarno Vespucci, 38 - per sostenere la Resistenza Kurda e denunciare la complicità internazionale nel massacro che sta avvenendo per mano delle milizie dell'Isis a nord della Siria in territorio Kurdo.
Accorrere numerosi!

Kobane Resiste
Solidarietà militante alla Resistenza Kurda

fonte

Pisa. Difendiamo Kobane. Rifugiati kurdi bloccano l'aeroporto


Stamattina un folto gruppo di rifugiati curdi ha occupato simbolicamente l'aereoporto di Pisa. La Comunità Curda proveniente da varie zone della Toscana per sostenere la Resistenza di Kobane e del resto del Rojava e denunciare la complicità internazionale nel massacro che sta avvenendo per mano delle milizie dell'Isis nel nord della Siria in territorio Kurdo ha cercato così di attirare l'attenzione dei media e delle forze politiche italiane, mandando anche un messaggio di solidarietà alla popolazione curda sotto attacco in tutto il Medio Oriente. Alcuni dei manifestanti sono stati identificati dalla Polizia. Ora la comunità curda, accompagnata da alcuni attivisti delle forze di sinistra di Pisa e della provincia, si stanno dirigendo verso Firenze per protestare sotto il consolato degli Stati Uniti nel capoluogo toscano in Lungarno Vespucci.
Kobane Resiste, Solidarietà militante alla Resistenza curda.

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view post Posted on 7/10/2014, 19:08

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Kobane resiste ancora ma l’Isis dilaga, si teme un massacro


Sono ore drammatiche nella città curda di Kobane, con i guerriglieri delle Unità di difesa del popolo, delle Unità di difesa delle donne e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che stanno tentando di ritardare disperatamente la conquista dell’importante località da parte delle milizie dello Stato Islamico.

Che già ieri pomeriggio sono riuscite a penetrare in alcuni quartieri della città dopo un massiccio attacco a tenaglia che ha permesso ai jihadisti di conquistare una collina ai margini del centro abitato e un palazzo di quattro piani dai quali sta ora bombardando le postazioni della resistenza che contende ai fondamentalisti ogni strada, ogni casa, ogni piazza di Kobane. Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto di decine di migliaia di soldati turchi ammassati a poche centinaia di metri, che si godono lo spettacolo dalle colline dalla parte turca del confine.

Un tentativo disperato, quello dei combattenti curdi e dei tanti volontari che hanno imbracciato le armi per la prima volta nella loro vita, di ritardare ciò che ormai sembra inevitabile, nella speranza che prima che sia troppo tardi qualcuno – gli Usa, la Turchia? – si decidano ad intervenire per fermare il prevedibile massacro e una pulizia etnica della zona che il “califfo” Al Baghdadi ha già condotto finora ovunque le sue bande abbiamo piazzato la bandiera nera del movimento.

Mentre scriviamo, riferiscono fonti locali, le milizie dell’Isis sostenute dall’artiglieria e dai carri armati sequestrati all’esercito iracheno dai jihadisti – che possono contare anche su armi sofisticate comprate sul mercato internazionale grazie ai consistenti finanziamenti di Washington, Ankara e Riad - hanno preso il controllo di numerosi quartieri nella città al confine con la Turchia, mentre i partigiani curdi tentano di mettere in salvo quanti più civili e di mantenere aperto un corridoio sicuro verso nord-est, in modo da non rimanere completamente accerchiati. Ma la resistenza curda promette battaglia fino all'ultimo: "Se entreranno, questo luogo diventerà un cimitero, loro e nostro, resisteremo fino all’ultimo" promette Esmat al-Sheik, responsabile della difesa di Kobane.

“Migliaia di civili a Kobane sono sotto imminente minaccia di massacro. Migliaia di civili sul confine turco sono anch’essi sotto minaccia di essere attaccati sistematicamente da IS. Il presidente del Cantone di Kobane, Mr Enver Muslim, ha avvisato le potenze internazionali della minaccia due giorni fa. Ha chiesto alla coalizione internazionale di rompere il silenzio e ha dichiarato; "Se IS entra a Kobane e commette un massacro di migliaia di persone tutte le potenze internazionali saranno ritenute responsabili." Ora migliaia di persone stanno per essere uccise e massacrate davanti ai nostri occhi” accusa senza mezzi termini in un comunicato diffuso poche ore fa il Congresso Nazionale Curdo (KNK).

I famosi raid dell’aviazione statunitense, nel Nord della Siria così come in Iraq, hanno letteralmente ‘fatto il solletico’ alle truppe di Al Baghdadi, e spesso le bombe sganciate dai caccia hanno ammazzato più civili innocenti che miliziani jihadisti. Eppure, fanno notare i curdi ma anche numerosi esperti di questioni militari, i convogli di carri armati, di pezzi di artiglieria e di camion carichi di combattenti dell’Isis sono un bersaglio facile per i sofisticati caccia di Washington e degli altri membri della cosiddetta ‘coalizione dei volenterosi’. Se l’Isis non è stato indebolito dai bombardamenti è perché gli Stati Uniti e le petromonarchie del golfo non hanno alcuna intenzione di bloccare l’avanzata dello Stato Islamico.

Come del resto la Turchia, il cui parlamento ha votato ormai da giorni il via libera al proprio esercito affinché possa intervenire in suolo siriano ‘contro l’Isis’ ma che ha più volte ribadito per bocca del presidente Erdogan e del primo ministro Davutoglu che non ha alcuna intenzione di favorire i curdi, che per Ankara sono ‘uguali ai jihadisti’, e che non sosterrà la coalizione internazionale finché non sarà sicura che l'obiettivo principale è eliminare il governo Assad dalla scena e prendersi un pezzo di Siria spazzando via così anche la resistenza curda del Rojava e isolare la guerriglia del Kurdistan turco. Solo raggiunti i propri obiettivi strategici Erdogan potrebbe convincersi ad attaccare seriamente quella che è in buona sostanza una creatura degli ultimi anni di politica estera volta a creare uno strumento al servizio di Ankara per perseguire i propri obiettivi egemonici in tutta la regione.
In cambio di un suo aiuto, comunque relativo solo ad aspetti logistici e umanitari, il regime islamista turco chiede alla sinistra curda del Pyd di rinunciare ad ogni aspirazione autonomista e alla sua relazione fraterna con il Pkk, oltre che di mettersi sotto l'ombrello dell'Esercito Siriano Libero e di altre organizzazioni islamiste dell'opposizione siriana non meno estremiste dello Stato Islamico ma più controllabili da parte dei burattinai dell'Akp anche se assai deboli dal punto di vista militare visto che molte delle proprie componenti sono passate armi e bagagli sotto gli ordini del 'califfo'.
Il gioco di Erdogan e delle petromonarchie arabe è così sfacciato che l'altroieri il vice di Obama, Joe Biden, ha inanellato una serie non certo casuale di apparenti 'gaffes' accusando apertamente il regime turco di aver permesso con no chalance a migliaia di terroristi sunniti di passare allegramente la frontiera con Siria e Iraq, e Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti di aver letteralmente coperto d'oro Al Baghdadi e i suoi tagliagole. Di fronte alle veementi proteste dei tre governi Biden ha fatto il finto tonto e ha presentato le sue scuse, ma l'episodio ha evidenziato da una parte la confusione che regna a Washington rispetto alla strategia da adottare in Medio Oriente, dall'altra una sempre più scarsa consonanza tra la potenza americana in declino e i nuovi spregiudicati attori della scena araba.

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view post Posted on 8/10/2014, 13:55

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Kobane combatte. Il ricatto di Erdogan, la frustrazione di Obama


E’ stata più volte data per conquistata dall’Isis in questi giorni, ma la città curdo-siriana di Kobane è ancora controllata in parte dalle Milizie di Protezione del Popolo e quelle delle Donne (Ypg e Ypj) e dai combattenti del Pkk. Che in un comunicato diffuso questa mattina affermano di aver sferrato ieri sera un’offensiva contro i jihadisti riuscendo a uccidere alcune decine di miliziani dello Stato Islamico in un’imboscata al loro ingresso all’interno di un ospedale e a ricacciarli indietro in alcune zone della città. Allontanati dalle zone orientali e occidentali di Kobane, i fondamentalisti sarebbero comunque riusciti a sfondare le difese curde nella zona meridionale del centro abitato, nonostante alcuni raid dei caccia statunitensi abbiano oggi colpito con più precisione alcune delle loro postazioni nell’area.

Il giornalista curdo Mustafa Ebdi, citato da numerosi media, ha raccontato che nonostante l'ordine di evacuazione ancora centinaia di civili sono intrappolati nella città sotto assedio e che "la situazione umanitaria è difficile e la gente ha bisogno di cibo e acqua". Ebdi ha anche scritto che “le strade del quartiere Maqtala, nel sud-est, sono piene di corpi di combattenti islamisti”.

Intanto sembra crescere ed esplicitarsi la frustrazione statunitense nei confronti del regime turco, accusato oggi di ‘inventare scuse’ per non intervenire contro lo Stato Islamico che pure è arrivato a poche centinaia di metri dai suoi confini. Il vice di Obama, Joe Biden, in una presunta gaffe aveva già accusato Erdogan di aver permesso a migliaia di jihadisti di fare avanti e indietro dalla Turchia, anche se poi si era dovuto scusare. Ma oggi il New York Times ammesse, citando alcune fonti della Casa Bianca, che “c’è crescente frustrazione verso la Turchia che indugia a intervenire per scongiurare un massacro a meno di un miglio dal proprio confine - ha detto un alto funzionario dell’amministrazione - dopo tutte le denunce sulla catastrofe umanitaria in Siria, si stanno inventando scuse per non agire per scongiurare un’altra catastrofe. Non è così che un alleato Nato si comporta quando scoppia l’inferno a breve distanza dal proprio confine». Parole forti, ed esplicite, anche pronunciate da un funzionario. Accompagnate però dalle continue telefonate con le quali il segretario di stato Usa John Kerry starebbe tempestando il premier di Ankara Ahmet Davutoglu e il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu per convincerli ad agire, e subito. Domani, per esercitare ulteriori pressioni, arriverà ad Ankara anche il generale a riposo John Allen, nominato da Obama inviato speciale Usa per la coalizione anti-Isis. Un vero e proprio affollamento diplomatico, visto che giovedì nella capitale turca arriverà anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg nel tentativo di coordinare una strategia comune rispetto a quanto sta accadendo in Siria e Iraq. Non che alla Nato importi granché dei curdi, anzi. Il problema è strategico, visto che se l’Isis dovesse conquistare Kobane e arrivare alla frontiera turca isolerebbe numerosi territori la cui sorte sarebbe a quel punto segnata.
La Nato è pronta a sostenere Ankara in caso di pericolo aveva detto a Varsavia Stoltenberg: "La Turchia è un alleato della Nato e la nostra prima responsabilità è proteggere l'integrità e le frontiere della Turchia. E' la ragione per la quale abbiamo dispiegato missili Patriot: per migliorare e rafforzare la sua difesa aerea" ha ricordato Stoltenberg quasi rinfacciando a Erdogan la sua ‘ingratitudine’ per l’appoggio finora ricevuto e ora non ricambiato.
Il problema è però che la classe dirigente turca non è di per sé contraria ad intervenire militarmente in Siria, anzi. Ma solo se Ankara potrà imporre il suo imprimatur su tutta l'operazione.
Le autorità turche hanno più volte chiesto che la Nato e gli Stati Uniti permettano al loro esercito di occupare una ‘zona cuscinetto’ in territorio siriano, accompagnata da una ‘no fly zone’ che non ha senso contro gli islamisti, che non possono contare su alcun tipo di forza aerea, ma che impedirebbe ai caccia siriani di sorvolare tutta l’area e di attaccare le postazioni dell'Isis.
Evidentemente l’accordo finora non si è trovato, visto che Erdogan continua a ribadire che muoverà i suoi militari solo se Washington gli assicurerà che l’obiettivo fondamentale della missione è spazzare via il governo Assad.
Un vero e proprio ricatto quello esercitato nei confronti degli Stati Uniti e della Nato, da parte del presidente turco, che proprio ieri ha detto senza peli sulla lingua che “Kobane sta cadendo e che si rende quindi necessaria un’operazione di terra”.
I suoi ‘alleati’ occidentali sanno che senza l’attivo sostegno delle forze armate di Ankara e l’uso delle basi militari nel sud della Turchia la cosiddetta ‘coalizione dei volenterosi’ potrà fare assai pochi progressi, ammesso che Obama e company vogliano andare veramente fino in fondo contro lo Stato Islamico. E non mirino soltanto, come d’altronde pensa l’Akp turco, a giustificare un’invasione e una occupazione della Siria giustificandola come una misura necessaria alla lotta contro il dilagare delle bande jihadiste, per ora assai utili nella strategia di indebolimento dell’asse sciita tra Damasco e Teheran. E comunque i turchi non hanno alcuna intenzione di intervenire prima che curdi e jihadisti si siano vicendevolmente sfiancati, sottraendo così alle forze armate di Ankara la responsabilità di intervenire contro le milizie popolari che resistono strenuamente nel Rojava contro l’assalto delle bande di Al Baghdadi. D’altronde, Erdogan lo ha affermato senza pudore: “i terroristi curdi non sono diversi da quelli dell’Isis”.

FONTE

strenua resistenza a Kobane contro ISIS e imperialismo -
il regime turco reprime le masse che vogliono unirsi alla resistenza



l'appello delle principali organizzazioni curde, che hanno invitato alla resistenza nelle strade a tempo indeterminato.....hanno generato una reazione globale paragonabile solo a quanto accaduto poche settimane fa davanti alle bombe di Gaza.
Impossibile tenere il conto delle azioni in tutta la Turchia, dai focolai a vere e proprie sommosse. Dal blocco delle principali strade, all'assedio alle caserme e sedi di partito, la situazione di rivolta generalizzata ha costretto il Ministero dell'Interno a richiamare centinaia di poliziotti in servizio, che non hanno esitato ad aggredire quanti sono scesi in piazza per dare sbocco alla propria rabbia.
altMigliaia di persone sono accorse al confine di Suruc per porre fine all'atroce cordone delle forze armate turche contro Kobane. Gli scontri sono poi esplosi nelle città del Kurdistan turco di Van e Silopi, mentre a Batman si riporta della ribellione dei detenuti della prigione locale contro i propri carcerieri. A Mardin i manifestanti si sono impossessati ed hanno fatto a pezzi un busto di Ataturk, incenerendo quindi sei camionette della polizia di Erdogan. Un'altra statua del fondatore dello stato turco è stata bersagliata dalle molotov a Sirnak, mentre ad Amed (Diyarbakir) è stato attuato lo sciopero generale.
Le tensioni sono poi divampate fin nel cuore delle grandi città turche, dove l'uso di proiettili da parte della polizia e dei fiancheggiatori dell'ISIS contro le folle non hanno fatto che esacerbare ancor più gli animi. Ad Istanbul gli agenti hanno subito tentato di disperdere a colpi di lacrimogeni la grande mobilitazione lungo l'arteria di Istiklal e quella in piazza Galatasaray, mentre a Taksim si urlava "Dappertutto è Kobane, dappertutto è resistenza!". Barricate a Kadikoy, fronteggiamenti nei quartieri di Esenyurt e Gulsuyu (dove è stato aperto il fuoco contro una volante della polizia) e violentissimi scontri a Gazi, dove i manifestanti hanno incendiato un grosso autobus e bloccato l'autostrada E-5. Assaltata una caserma a Bacgilar con il ferimento di altri due agenti. "Besiktas sarà la tomba del fascismo!" - hanno intonato i rivoltosi nell'altro quartiere della metropoli sul Bosforo. Lambita anche Ankara, sulla quale oggi aleggia lo spettro di una grande manifestazione per occupare quella che in diversi tweet viene definita "la vera capitale dello Stato Islamico".
altE dalla Turchia la solidarietà si è velocemente propagata in Europa. Presidiati ed occupati gli aeroporti di Copenhagen, Bruxelles, Stoccolma e Parigi, la metropolitana di Londra, i binari delle ferrovie svizzere. Una folla di manifestanti ha fatto irruzione nel parlamento olandese all'Aia, mentre sono stati circondati quelli austriaco e francese. Migliaia di persone a Trafalgar square. Berlino è stata investita da un'imponente adunata che ha gremito la Brandeburger Tor, dopo che nei giorni scorsi erano state date alle fiamme diverse auto in dotazione alla vicina ambasciata turca. Un altro presidio si è dato appuntamento davanti alla rappresentanza diplomatica statunitense. I solidali con Kobane sono scesi in piazza in massa ad Hannover ed a Colonia, dove sono state invase le stazioni dei treni. occupato il municipio ad Amburgo, mentre si riempivano le piazze di Stoccarda, Dortmund, Saarbrucken, Dusseldorf, Francoforte e tante altre città tedesche, vero baricentro della comunità curda europea. Perfino oltreoceano sono stati convocati presidi a New York e Toronto.
eroismo dei militanti curdi - che hanno riportato nel nostro presente gesta patrimonio della memoria del movimento operaio ed antifascista mondiale, come quelle di Dante di Nanni e della resistenza di Stalingrado - hanno travolto ogni narrazione preconfezionata e filtro editoriale (i video delle YPG sono stati diffusi da tutti i principali network mediatici) si sia parato sulla loro strada.La rabbia in rete mentre si sgretolava, tra i balbettii dei portavoce, ogni credibilità della cosiddetta "coalizione" e l'indignazione unanime davanti alle immagini dei blindati turchi immobili sulle alture della città martire si sono accumulate fino all'arrivo del detonatore: l'appello delle principali organizzazioni curde, che hanno invitato alla resistenza nelle strade a tempo indeterminato e le notizie da Kobane, veicolate da innumerevoli hashtag e post virali che hanno saturato praticamente tutti i principali social network, generando una reazione globale paragonabile solo a quanto accaduto poche settimane fa davanti alle bombe di Gaza.
Impossibile tenere il conto delle azioni in tutta la Turchia, dai focolai a vere e proprie sommosse. Dal blocco delle principali strade, all'assedio alle caserme e sedi di partito, la situazione di rivolta generalizzata ha costretto il Ministero dell'Interno a richiamare centinaia di poliziotti in servizio, che non hanno esitato ad aggredire quanti sono scesi in piazza per dare sbocco alla propria rabbia.
altMigliaia di persone sono accorse al confine di Suruc per porre fine all'atroce cordone delle forze armate turche contro Kobane. Gli scontri sono poi esplosi nelle città del Kurdistan turco di Van e Silopi, mentre a Batman si riporta della ribellione dei detenuti della prigione locale contro i propri carcerieri. A Mardin i manifestanti si sono impossessati ed hanno fatto a pezzi un busto di Ataturk, incenerendo quindi sei camionette della polizia di Erdogan. Un'altra statua del fondatore dello stato turco è stata bersagliata dalle molotov a Sirnak, mentre ad Amed (Diyarbakir) è stato attuato lo sciopero generale.
Le tensioni sono poi divampate fin nel cuore delle grandi città turche, dove l'uso di proiettili da parte della polizia e dei fiancheggiatori dell'ISIS contro le folle non hanno fatto che esacerbare ancor più gli animi. Ad Istanbul gli agenti hanno subito tentato di disperdere a colpi di lacrimogeni la grande mobilitazione lungo l'arteria di Istiklal e quella in piazza Galatasaray, mentre a Taksim si urlava "Dappertutto è Kobane, dappertutto è resistenza!". Barricate a Kadikoy, fronteggiamenti nei quartieri di Esenyurt e Gulsuyu (dove è stato aperto il fuoco contro una volante della polizia) e violentissimi scontri a Gazi, dove i manifestanti hanno incendiato un grosso autobus e bloccato l'autostrada E-5. Assaltata una caserma a Bacgilar con il ferimento di altri due agenti. "Besiktas sarà la tomba del fascismo!" - hanno intonato i rivoltosi nell'altro quartiere della metropoli sul Bosforo. Lambita anche Ankara, sulla quale oggi aleggia lo spettro di una grande manifestazione per occupare quella che in diversi tweet viene definita "la vera capitale dello Stato Islamico".
altE dalla Turchia la solidarietà si è velocemente propagata in Europa. Presidiati ed occupati gli aeroporti di Copenhagen, Bruxelles, Stoccolma e Parigi, la metropolitana di Londra, I BINARI delle ferrovie svizzere. Una folla di manifestanti ha fatto irruzione nel parlamento olandese all'Aia, mentre sono stati circondati quelli austriaco e francese. Migliaia di persone a Trafalgar square. Berlino è stata investita da un'imponente adunata che ha gremito la Brandeburger Tor, dopo che nei giorni scorsi erano state date alle fiamme diverse auto in dotazione alla vicina ambasciata turca. Un altro presidio si è dato appuntamento davanti alla rappresentanza diplomatica statunitense. I solidali con Kobane sono scesi in piazza in massa ad Hannover ed a Colonia, dove sono state invase le stazioni dei treni. occupato il municipio ad Amburgo, mentre si riempivano le piazze di Stoccarda, Dortmund, Saarbrucken, Dusseldorf, Francoforte e tante altre città tedesche, vero baricentro della comunità curda europea. Perfino oltreoceano sono stati convocati presidi a New York e Toronto.

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l'Isis "pedina" degli imperialisti nel Medio oriente



“Per riconquistare i territori occupati dall’Isis in Siria servirà una forza di ribelli siriani da 12.000 a 15.000 uomini”, così si è espresso il capo di stato maggiore interforze USA, Martin Dempsey, durante una recente conferenza stampa al Pentagono. Washington per la prima volta fornisce il numero di uomini necessari per “combattere” il cosiddetto Stato Islamico in Siria e già la scorsa settimana il Congresso statunitense ha approvato un piano del presidente Obama per formare ed equipaggiare 5.000 truppe definite “moderate”. Gli Usa gettano quindi le basi per i prossimi passi dell’escalation dell’intervento imperialista in Medio Oriente, in particolare in Siria, mentre continuano gli attacchi aerei che violano lo spazio aereo siriano. Intanto si amplia la cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, con i paesi dell’UE che uno dopo l’altro decidono di farne parte come nel caso di Gran Bretagna, Belgio e Danimarca.

Per gli USA in Siria e Iraq sarà un “intervento militare persistente e duraturo”

L’IS si conferma essere uno strumento creato, armato e sostenuto dagli USA in collaborazione con le altre potenze imperialiste, per rovesciare il governo siriano e viene oggi sfruttato al meglio per portare avanti gli stessi progetti imperialisti nella regione. Il Pentagono ha infatti ufficializzato i dettagli del piano per addestrare le forze “moderate ribelli” in Siria, annunciando che le sue squadre sono già in Arabia Saudita per addestrare al momento 5.000 “ribelli” ma questa non sarà “la cifra finale”. Le stime fornite da Dempsey parlano infatti di 12/15.000 uomini, in quanto i bombardamenti aerei non sono sufficienti per far ritirare l’ISIS dalla Siria: “Per conquistare il terreno perduto, dobbiamo stabilire campi di addestramento, leader militari e stabilire una struttura politica che li sostenga, e questo richiede tempo”, annunciando quindi che l’intervento degli USA, in Siria e Iraq sarà “persistente e duraturo”. L’impegno degli Stati Uniti per rovesciare il governo siriano è confermato dal Ministro degli Esteri americano, John Kerry, che in un articolo al quotidiano “Boston Globe” precisa: “Questa campagna non è per aiutare il presidente della Siria Bashar Assad. Non siamo dalla stessa parte di Assad che è in realtà una calamita che ha attirato i combattenti stranieri provenienti da decine di paesi in Siria. […] Assad ha perso legittimità molto tempo fa. Ci stiamo imbarcando in un importante sforzo per addestrare ed equipaggiare i membri moderati dell’opposizione siriana che combattono lo Stato Islamico e il regime al tempo stesso”. Un goffo quanto ipocrita tentativo di nascondere il ruolo degli Stati Uniti e delle altre forze imperialiste nella creazione e rafforzamento delle varie fazioni islamiste per i propri interessi. Un’abile manovra geopolitica quella sviluppata con questi primi bombardamenti che permettono di mantenere un “caos controllato” nella regione, riducendo all’impotenza i grandi Stati arabi, come l’Iraq e la Siria e allo stesso tempo alimentare la corsa agli armamenti e costruire il pretesto per l’intervento contro Bachar al-Assad. E’ un segreto di pulcinella che Al-Nusra e l’ISIS siano stati finanziati rispettivamente dal Qatar e Arabia Saudita, così come è noto il ruolo della Turchia e dei suoi servizi segreti nell’ingresso in Siria dei combattenti che hanno nella Turchia di Erdogan la loro base logistica, come più volte denunciato dai comunisti turchi. Ed è proprio la Turchia – il cui sostegno all’ISIS è noto – ad aprire lo scenario dell’invasione via terra del territorio siriano, ponendo come condizione per una sua integrazione nelle operazioni, la costituzione di una “zona di sicurezza” nel nord della Siria composta da una “no-fly zone” – che comporterebbe lo scontro tra l’aviazione USA e quella siriana – e dall’ingresso dell’esercito turco dietro la maschera dell’aiuto umanitario ai profughi (che in realtà sarebbe una protezione di fatto delle truppe dell’IS). Una proposta accolta così dagli USA, nelle parole del Segretario della Difesa C. Hagel: “Stiamo trattando questa possibilità con la Turchia e la esaminiamo in modo che la Turchia possa contribuire alla coalizione contro l’ISIS, perché anche per loro è una minaccia”. E proprio ieri (giovedì 2 Ottobre) infatti il Parlamento turco ha votato (298 a favore e 98 contrari) la decisione sulla base della quale le forze turche potranno intervenire nel conflitto e penetrare in Siria, decisione a cui il Partito Comunista (KP) si oppone in modo radicale affermando che “la mozione parlamentare dell’AKP è una dichiarazione di guerra”. I fascisti dell’ISIS sono una “pedina” nello scacchiere del medio-oriente, in cui le potenze imperialiste globali e regionali giocano la loro partita per raggiungere i propri obiettivi, dove i vari elementi a volte prendono direzioni diverse e a volte convergenti…

I comunisti turchi denunciano il legame tra CIA, MIT e l’ISIS

Così si esprime il Partito Comunista (KP-Turchia) in una nota (1) a commento della notizia del rilascio dei 49 ostaggi turchi rapiti dall’IS a Mosul dopo 101 giorni di prigionia. “L’ISIS è solo uno dei gruppi religiosi armati attivi in Siria e Iraq. Questi gruppi sono stati finanziati e armati con ogni sorta di armi da Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Davutoğlu (Primo Ministro turco) e i suoi funzionari di governo non sono solo a conoscenza di ciò, ma hanno gestito questa attività di finanziamento e armamento. Questo è un crimine. CIA e MIT (Agenzia Intelligence Turca) mantengono legami con tutti i gruppi religiosi, tra cui l’ISIS. L’annuncio degli USA della guerra contro l’ISIS non cambia questo fatto. E’ inoltre chiaro che l’AKP e gruppi come ISIS hanno una affinità ideologica. E ancora più importante, questi gruppi sono in possesso di critiche informazioni e connessioni che possono mettere il governo dell’AKP in una situazione difficile, in futuro […]”. In un recente articolo (2) sul giornale SoL, Kemal Okuyan, così spiega il legame tra USA, Turchia e ISIS: “La reazione del governo degli Stati Uniti alla presa di Mosul da parte dell’ISIS è simile alla reazione di Davutoğlu [il primo ministro turco, ndt] all’attentato di Reyhanli (a Reyhanli, città turca di confine con la Siria, più di 50 persone sono state uccise in un attacco bomba lo scorso anno. Quando a Davutoğlu gli venne chiesto dei morti, rispose con un accenno di sorriso). L’amministrazione degli Stati Uniti è estremamente soddisfatta dell’agenda dell’ISIS. Nel tempo potrà fronteggiare le conseguenze indesiderate, i risultati inaspettati, ma ciò è qualcosa a cui penseranno in futuro.” […] e prosegue chiarendo: “cosa ha in mente la Turchia? Sta recitando la nuova parte affidatale dagli Stati Uniti nel corso della redistribuzione dei ruoli fra gli attori o è la squadra Erdogan-Davutoglu che segue un percorso folle che li porterà su posizioni in contraddizione con quelle degli Stati Uniti? Nessuna delle due. Per essere precisi, la domanda non è quella giusta. La Turchia non si muove nella regione unicamente sulla base di un programma assegnato dagli Stati Uniti. Come forza di un certo peso, nei suoi processi decisionali lascia anche spazio alle sue priorità ideologiche e politiche. Queste decisioni non hanno sempre bisogno di essere in linea con le strategie degli Stati Uniti, cosa che sarebbe impossibile in ogni caso. Approfondiamo un po’ di più la questione ISIS. Tra i paesi che hanno aderito alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, ce ne sono alcuni che finanziano ancora l’ISIS? Sì, ci sono. Se Arabia Saudita, Qatar e Giordania avessero fermato il flusso di denaro e di armi verso l’ISIS, non ci sarebbe voluta più di una settimana per farla finita con tutta la faccenda. Tuttavia, a parte alcune misure simboliche, nulla di sostanziale è stato fatto su questo fronte. In altre parole, la coalizione reazionaria continua ad alimentare l’organizzazione che ha definito “nemica”. Come può essere credibile un’affermazione del genere? Ma loro vogliono farcelo credere. L’ISIS è fuori controllo (!). Diciamo invece che si è voluto che l’ISIS andasse fuori controllo!

E proprio a questo punto, il governo AKP di Erdogan annuncia pubblicamente il suo impegno con l’ISIS, si finge riluttante ad unirsi alla coalizione, non è disposto a dichiarare l’ISIS “terrorista” e di volta in volta si scontra con l’amministrazione statunitense. L’esistenza di legami militari, economici, politici e ideologici della Turchia con l’ISIS è di dominio pubblico. Non è in discussione se questi legami esistano, ma sono la loro scala e la profondità. Come riesce Erdoğan a ottenere questa grande libertà di movimento? Perché, se lo scopo degli Stati Uniti è di creare da questo caos un “sistema” sotto la loro supervisione, sarà necessario un elemento in grado di parlare la stessa lingua degli stati tribali islamisti. L’AKP sa che questo ruolo determinante non può essere di nessun altro se non suo. Non c’è altra forza adeguata per questo compito. Anche un governo turco laico disposto a collaborare con gli Stati Uniti potrebbe in parte svolgere diversi ruoli, ma non parlare il linguaggio ideologico reazionario che parla l’AKP. Per rimanere al potere, l’AKP deve vegliare sull’ISIS ed altri. E gli USA lo sanno".

I comunisti siriani contro l’intervento imperialista nel loro paese

Con un comunicato dell’Ufficio Politico emesso da Damasco il 24 Settembre (3), il Partito Comunista Siriano ha condannato l’aggressione statunitense chiamando il popolo siriano alla resistenza. “[…] Queste azioni sono una flagrante trasgressione del diritto internazionale che non permette la violazione della sovranità di uno stato nazionale indipendente. Tali azioni ostili avvengono sotto il pretesto di combattere le organizzazioni terroristiche, le stesse organizzazioni che sono state create nei laboratori dell’intelligence dei circoli imperialisti, particolarmente in quelli britannici e statunitensi, con l’attivo contributo dei circoli sionisti, allo scopo di creare un pretesto per l’intervento imperialista mondiale e l’aggressione contro i paesi della regione, la Siria in special modo a causa della sua posizione di opposizione all’egemonia imperialista e sionista, […].L’esperienza del nostro popolo e dei popoli del mondo prova in modo indiscutibile che non va riposta alcuna fiducia nell’imperialismo e nella sua guida, l’imperialismo Usa, a capo del terrorismo nel mondo. […] Il Partito Comunista Siriano chiama tutti i patrioti in Siria a difendere il paese, a proteggere la sovranità nazionale e a prendere coscienza delle cospirazioni e degli inganni imperialisti. Tutti i pretesti dell’imperialismo Usa, compresa la lotta al terrorismo, non possono giustificare la violazione della sovranità nazionale. Il nostro popolo sta combattendo coraggiosamente le bande terroristiche assicurandosi una buona posizione nella lotta e il coraggioso esercito siriano, forte dell’appoggio delle masse, sta sconfiggendo questi terroristi oscurantisti, come gli ultimi sviluppi confermano, tanto che i circoli imperialisti sono stati spinti ad accelerare le misure aggressive verso Siria. Il popolo siriano combatterà, come già fatto in passato, e resisterà con coraggio a ogni aggressione contro l’indipendenza nazionale e la dignità. La vittoria è nostra. Ribadiamo che ergersi a baluardo non è solo dovere, ma è anche possibile e che la [questione della] patria sta in cima e davanti ogni altra considerazione. La Siria non si inginocchierà.”.

Uno dopo l’altro i paesi dell’UE entrano nella “coalizione dei volenterosi”

La Gran Bretagna e il Belgio hanno deciso con un voto dei rispettivi Parlamenti, l’invio di aerei da combattimento; la stessa decisione è stata annunciata dal Primo Ministro della Danimarca, Schmidt.

Il Parlamento britannico si è espresso a favore con 524 voti (43 contro) per il coinvolgimento nelle operazioni in Iraq e non in Siria, ma il ministro britannico della Difesa, M.Fallon, si è affrettato a precisare che questo sarà il prossimo passo, affermando alla BBC che: “L’ISIS ha la sua base in Siria, dove è situato il suo quartier generale, dove dispone delle risorse e della sua gente. Per affrontare l’ISIS bisogna fare i conti con questo per sconfiggerlo sia in Iraq che in Siria”. Sottolineando che l’intervento imperialista ha un carattere prolungato, il Primo Ministro Britannico, Cameron, parlando alla Camera ha puntualizzato che questa campagna sarà caratterizzata da “pazienza e perseveranza, non dal colpisci e terrorizza”. La Gran Bretagna utilizzerà aerei da combattimento Tornado GR4, molti dei quali sono situati nella base britannica di Akrotiri, Cipro, che sono in grado di colpire nel nord dell’Iraq.

Il Primo Ministro danese, Schmidt, ha annunciato da parte sua la decisione di inviare sette caccia F-16, con 250 persone tra personale di volo e di terra. Anche l’Olanda ha deciso la sua partecipazione, e la Francia ha già realizzato le prime operazioni di raid aerei, mentre la Germania si “limita” al momento all’invio di armi ai curdi in Iraq così come la Grecia.

Di fronte alla crisi del capitalismo e delle sue contraddizioni inestricabili, l’unica via per il capitale è la guerra.
____

1) http://solidnet.org/turkey-communist-party...s-and-turkey-en

2) http://solidnet.org/turkey-communist-party...ey-all-crazy-en

3) http://solidnet.org/syriasyrian-communist-...y26092014-en-ar

Edited by Sandor_Krasna - 8/10/2014, 20:46
 
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CITAZIONE
L’IS si conferma essere uno strumento creato, armato e sostenuto dagli USA in collaborazione con le altre potenze imperialiste, per rovesciare il governo siriano e viene oggi sfruttato al meglio per portare avanti gli stessi progetti imperialisti nella regione

Non mi stupirei se organizzassero un altro attentato clamoroso!
 
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view post Posted on 9/10/2014, 13:41

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Il grido di libertà dei curdi


E’ con la morte nel cuore che assistiamo in queste ore alla caduta della città curda di Kobane, nonostante l’eroico sacrificio dei suoi abitanti e dei combattenti delle milizie popolari, mentre le polizie di mezzo mondo tengono a bada le comunità curde che manifestano rabbia e sconcerto nelle capitali occidentali e gli apparati repressivi turchi utilizzano contro gli abitanti dell’Anatolia la stessa moneta di sempre, il piombo delle pallottole.

E’ innegabile che il popolo curdo rappresenti oggi un vero e proprio “vaso di coccio” nella feroce competizione globale in atto in Medio Oriente, che vede ormai un “tutti contro tutti” con il coinvolgimento delle grandi potenze e di nuovi soggetti emergenti tra i quali c’è anche un movimento islamista radicale che pretende di farsi stato. Le milizie nere dell’Isis dilagano in territori sconvolti da due decenni di guerre, invasioni e occupazioni frutto dell’intervento dell’imperialismo occidentale che non ha esitato a cancellare interi stati pur di realizzare i propri obiettivi di dominio.

Era già accaduto che i curdi diventassero la vittima sacrificale della spartizione del Vicino Oriente – quando ancora si chiamava così, prima che gli Stati Uniti diventassero una potenza globale e cambiassero anche la geografia – tra le potenze coloniali europee al termine della Prima Guerra Mondiale. Quando con il Trattato di Sevres Francia e Gran Bretagna si spartirono le spoglie dell’Impero Ottomano nel 1920, al popolo curdo fu promesso uno stato indipendente, e ne vennero tracciati anche degli ipotetici confini. Ma nel giro di pochissimo tempo Parigi e Londra (e anche Roma) cambiarono idea e lo stato curdo indipendente scomparve dalle mappe ritracciate sulla base dei rispettivi interessi coloniali.

Oggi la Turchia, le petromonarchie della penisola arabica, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e Israele - che hanno sostenuto direttamente o indirettamente o hanno comunque tollerato la crescita esponenziale del movimento guidato dal ‘califfo’ Al Baghdadi -assistono inermi o addirittura compiaciuti all’ennesimo sacrificio del popolo curdo. Lo ‘Stato Islamico’ si è rivelato essere uno strumento assai utile a disposizione dei diversi attori che, per motivi anche divergenti, hanno pensato e pensano tuttora di utilizzarlo per imporre i propri interessi nella regione. Contro l’asse sciita tra Hezbollah, Damasco, Baghdad e Teheran, per togliere di mezzo il governo Assad in Siria, per disgregare ulteriormente gli stati coinvolti dalla crisi e quindi imporre meglio il proprio dominio, per indebolire la residua presenza di Russia e Cina nell’area.

E anche, esplicitamente nel caso della Turchia, per infliggere un duro colpo alle organizzazioni della resistenza curda che non hanno piegato la testa nonostante la feroce repressione. E che, nei territori del Rojava siriano hanno sviluppato, in piena guerra, un modello sperimentale di autonomia e di convivenza democratica tra le diverse comunità ed etnie che abitano quel territorio, oggi a rischio di essere spazzata via dal dilagare delle milizie jihadiste. Un modello di autogestione e di partecipazione multietnico e multiculturale, basato su un patto di non aggressione con il governo siriano in nome della lotta contro il comune nemico fondamentalista, opposto a quanto i curdi ‘buoni’ – dal punto di vista occidentale, ovviamente - hanno realizzato nel nord dell’Iraq grazie all’occupazione militare e alla spartizione del paese operata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Il governo ‘autonomo’ di Erbil ha scelto di farsi strumento di Washington e di Israele, e addirittura di stringere ottime relazioni politiche ed economiche con quel governo turco che continua a massacrare i curdi ‘cattivi’ del Pkk. Che, nonostante tutto, non hanno esitato un momento a raggiungere Sinjar o altre zone sottoposte all’assalto dell’Isis per mettere in salvo la popolazione curda dopo che i peshmerga di Barzani erano scappati a gambe levate.

I curdi dimostrano in tutto il Medio Oriente e ovunque siano, Italia compresa, una straordinaria capacità di mobilitazione e una determinazione che vanno sostenute e appoggiate senza riserve. A partire dalla richiesta che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e le altre formazioni della resistenza curda vengano immediatamente depennate dalle liste nere antiterrorismo dell’Unione Europea e dei singoli paesi e gli si permetta di organizzare al meglio, anche nei nostri territori, la difesa delle proprie comunità sotto attacco.

Oggi è chiaro a tutti, anche ai media più distratti, che se c’è una forza che in Turchia, in Iran e in Siria combatte il terrorismo e l’imperialismo è la guerriglia curda. E’ un imperativo categorico sostenere la resistenza di decine, centinaia di migliaia di uomini e donne che, capaci di trainare altre comunità sotto attacco da parte dei tagliagole islamisti, stanno dando una grande lezione a un mondo occidentale e arabo intollerabilmente cinico, convinto che il destino di un intero popolo possa essere sacrificato sull’altare del soddisfacimento dei propri interessi.

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Kobane ha bisogno di appoggio internazionale



L’Iraq è stato diviso di fatto in tre parti, dopo che gli Stati Uniti l’hanno occupato. I curdi hanno preso ilcontrollo a nord, mentre gli Sciti ad est e sud, ed i Sunniti arabi ad ovest. Il potere in Iraq è stato diviso tra sciti, sunniti e curdi, ma la collaborazione non è durata a lungo. I curdi hanno virtualmente annunciato un Kurdistan libero nel nord. I sunniti si sono lamentati della discriminazione subita da parte del governo del paese e nella distribuzione del petrolio, opponendosi e resistendo agli sciti, a volte perfino ingaggiando azioni armate. Durante questo periodo, i poteri integralisti religiosi come Al-Qaeda e i salafiti Jihadisti hanno guadagnato forza. Questi gruppi sono stati sostenuti da Turchia, Qatar e Arabia Saudita.

In seguito, quando è cominciata la lotta armata sostenuta dalle potenze imperialiste – guidate dagli Stati Uniti - contro il governo della Siria, Al-Qaeda e le forze salafite dell’Iraq sono entrate in Siria e sono divenute le forze principali di combattimento contro il regime di Assad. Queste forze avevano le armi, l'esperienza ed un’organizzazione centralmente diretta, mentre le forze del “Libero Esercito Siriano” supportate dagli Stati Uniti, erano frammentate, disorganizzate e senza alcuna vera esperienza di guerra. La colazione anti-Assad guidata da Turchia, Qatar e Arabia Saudita, così come dagli Stati Uniti e dall’UE, ha sostenuto il Fronte Al-Nusra che ha incluso Al-Qaeda, collegata ad gruppi radicali, credendo che disponeva della capacità di sconfiggere Assad. Tuttavia, le azioni dei gruppi religiosi ed integralisti in Afghanistan, Pakistan, Libia, Egitto e Siria hanno disturbato gli Stati Uniti ed i loro alleati. Questi gruppi, mentre con una mano servivano gli Stati Uniti ed i loro alleati, con l’altra hanno tentato di stabilire la legge della sharia nelle loro località e causato danni agli interessi degli Stati Uniti, con l’altra.

Seguendo questi sviluppi, specialmente dopo gli assassini di diplomatici degli Stati Uniti in Libia da parte di gruppi radicali e gli eventi in Egitto, gli Stati Uniti ed i loro alleati hanno ridotto l'appoggio fornito alle organizzazioni religiose integraliste in Siria.

Gruppi come Al-Qaeda, Al-Nusra, i salafiti, ecc., avendo compreso che non potevano sconfiggere le forze di Assad in Siria, hanno dichiarato la loro sovranità e stabilito uno ‘'Stato islamico” che si estende sulle aree della Siria sotto il loro controllo e sulle aree sotto il controllo dei sunniti arabi in Iraq.

Nel frattempo, traendo vantaggio del vuoto creato dai combattimenti tra le forze di Assad, il “Libero Esercito Siriano” e Al-Nusra, i curdi siriani hanno creato tre regioni autonome vicino il confine turco, nella Siria settentrionale. L'area controllata dai curdi è chiamata Rojava (che in curdo significa l’ovest o l’ovest del Kurdistan). I curdi, avendo stabilito i loro cantoni autonomi in Rojava, si sono armati, principalmente contro gli attacchi dei gruppi religiosi integralisti. I rappresentanti di questi cantoni hanno cercato di dimostrare che il loro governo non è esclusivamente curdo, bensì arabo, yazidi, armeno, turkmeno e di altre minoranze e gruppi religiosi che condividono il potere e che quindi hanno creato un'alternativa autonoma e democratica. Ma è chiaro che la linea politica del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) è dominante nel governo di Rojava. Questa linea è rappresentata dal Partito dell’Unione Democristiana (PUD). La sicurezza di Rojava è sotto il comando delle armate Unità di Protezione del Popolo (UPP) e delle Unità di Protezione delle Donne (UPD). L’UPP/UPD ha circa 5.000 militanti armati. Seguendo gli sviluppi della guerra civile in Siria, il PUD ha preso il controllo politico e militare delle città di Kobane, Afrin e Cinderas nello stato di Aleppo; delle città di Amude, Derik ed Efrin nello stato di Hasaka; delle città di Darbasiyah, Resulayn (attraverso Ceylanpinar in Sanliurfa, Turchia) e della città di Tirbesipiye. L’UPP, l'ala armata del PUD, ha riscattato la città di Resulayn dalle forze di Al-Nusra, dopo un conflitto armato e ha trasferito i carri armati che ha conquistato da lì a Kobane.

I tre cantoni della Rojava non hanno confini in comune. Il regime di Assad stabilì villaggi sunniti arabi tra le comunità curde. Questi ora sono sotto il controllo dell’IS (Stato Islamico).

Circa quattro mesi fa, le forze armate dell’IS hanno cominciato ad avanzare verso est, puntando su Baghdad. Hanno preso rapidamente la città di Mosul, una città importante dell’Iraq. Nelle aree dell'avanzata e a Mosul, i soldati iracheni sunniti non hanno opposto alcuna resistenza e hanno consegnato le loro armi all’IS. Alcuni di loro si sono uniti alle file dell’IS ed altri sono fuggiti a est. Mentre l’IS stava avanzando su Bagdad, il leader sciita del governo dell’Iraq è stato sostituito, gli Stati Uniti hanno fornito al governo centrale iracheno armi ed esperti militari, e l’hanno sostenuto con raid aerei contro l’IS. La reazione dell’IS è consistita in una svolta a U e nell’avanzata sulle aree curde dell’Iraq e della Siria. Le forze di Barzani del Governo Regionale del Kurdistan dell'Iraq settentrionale non hanno potuto resistere all’assalto e si sono ritirate, abbandonando le loro posizioni e le armi.

Nel Kurdistan iracheno, le forze del PKK (che hanno portato avanti per 30 anni una guerra contro Turchia, fino alla recente tregua) si sono scontrate con le forze dell’IS e hanno cercato di fermare la loro avanzata in diversi luoghi. Le forze dell’IS sono arrivate più vicino a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, e all'importante città petrolifera di Kirkuk e hanno invaso la città yazidi di Shengal. Decine di migliaia di yazidi hanno abbandonato Shengal e si sono rifugiati in Turchia.

L'intervento degli Stati Uniti ha frenato l’avanzata dell’IS nel Kurdistan iracheno e in seguito a ciò l’IS ha cominciato ad attaccare Kobane. Ora la città è circondata da tre lati dalle forze dell’IS, da est, da sud e da ovest, ad eccezione del confine settentrionale con la Turchia. Le forze dell’IS hanno carri amati e artiglieria pesante, mentre quelle dell’UPP/UPD a Kobane hanno solo fucili di fanteria leggera. Gli anziani, le donne e i bambini di Kobane sono scappati in Turchia. Decine di migliaia sono nella città di Suruc in Turchia, accampati all'aperto e soffrendo la fame.

La popolazione di Kobane vuole armi per lottare contro l’IS. Chiede che la Turchia apra un corridoio per far arrivare carri armati e l’artiglieria pesante abbandonati nel cantone orientale dai kurdi iracheni e dalle forze militari dell’Iraq e conquistate dall’UPP. Le forze dell’IS sono ora a 1 km. delle posizioni dell’UPP.

Il nostro Partito e le altre forze democratiche progressive in Turchia stanno organizzando dimostrazioni per dare appoggio popolare e per costringere il governo ad aiutare Kobane. Coloro che supportano la resistenza stanno andando a Suruc, sul lato turco di acceso a Kobane, per portare cibo e gli altri approvvigionamenti. Stanno proteggendo una linea di 25 km lungo il confine turco-siriano per prevenire l’infiltrazione dei militanti dell’IS attraverso il confine turco ed evitare così un attacco da nord. Dalla Turchia molti giovani curdi attraversano il confine verso Kobane per combattere contro l’IS e sostenere la resistenza.

Nel frattempo, il governo turco è entrato nella coalizione degli Stati Uniti contro l’IS e vuole creare una zona cuscinetto larga 40-50 km in Rojava, lungo il confine turco-siriano, per sistemare i rifugiati siriani che hanno attraversato i confini della Turchia durante la guerra civile. Le popolazioni in questa zona saranno disarmate (dunque UPP e UPD perderanno il loro controllo e la loro influenza in Rojava e le forze della coalizione, compresa la Turchia, difenderanno l'area contro l’IS e le forze di Assad). Successivamente, il “Libero Esercito Siriano“ sarà posizionato in questa area per combattere contro le forze di Assad.

Le forze progressiste e democratiche della Turchia sono contrarie a questo piano. Noi ci opponiamo alla zona cuscinetto e allo sconfinamento dei militari turchi. Noi esigiamo che la Turchia finisca di sostenere l’IS e permetta ai suoi militanti di usare i confini turchi. Noi esigiamo che la Turchia sostenga le popolazioni di Kobane e della Rojava contro gli attacchi dell’IS.

Il nostro Partito ritiene che nella situazione attuale la solidarietà internazionale e il sostegno a Kobane sia vitale. Chiamiamo i partiti e le organizzazioni, i popoli, per sostenere e mostrare solidarietà con Kobane e Rojava contro gli attacchi dell’IS.

Riteniamo che la solidarietà con i popoli della regione contro i piani e gli attacchi imperialisti sia uno dei compiti politici più urgenti.

L’imperialismo sarà sconfitto e i popoli vinceranno!
Viva la resistenza di Kobane!

7.8.2014
Partito del Lavoro (EMEP), Turchia
 
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view post Posted on 10/10/2014, 16:15

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Usa, GB e Francia verso il si all'invasione turca della Siria. Rivolta curda


Nonostante l'arrivo di rinforzi da varie zone della Siria e dell'Iraq ai jihadisti che tentano di conquistare da metà settembre la città curda di Kobane i guerriglieri resistono ancora anche se la porzione di territorio che controllano si restringe sempre di più. Gli estremisti islamici stanno facendo largo uso di autobombe e di artiglieria pesante contro i combattenti delle Ypg e delle Ypj che però resistono casa per casa, strada per strada.

Intanto nuovi violenti scontri si sono verificati nella notte in numerose città della Turchia tra polizia e migliaia di manifestanti curdi e dell'estrema sinistra turca che contestano l'oggettivo supporto del regime di Ankara ai fondamentalisti dello Stato Islamico.

Malgrado il coprifuoco imposto in sei province del Kurdistan turco e nella principale città anatolica Amed (Diyarbakir) migliaia di manifestanti sono scesi in strada non solo nel capoluogo, ma anche a Batman, Van e Siirt e altre località lanciando pietre e molotov contro le forze di sicurezza, che hanno risposto ricorrendo a idranti e lacrimogeni. Ed anche a pallottole vere, affiancati ancora una volta dalle squadracce delle organizzazioni islamiste contigue all'Isis che non esitano a lanciare vere e proprie cacce all'uomo contro gli attivisti dei partiti curdi che incitano la popolazione della regione a rimanere in piazza per supportare i propri fratelli sotto attacco nel Rojava.

Scontri violentissimi tra manifestanti e polizia sono stati registrati nelle ultime ore anche a Istanbul, Ankara, Antiochia e Mersin, con centinaia di feriti e arrestati. Il bilancio mentre scriviamo è già di 22 morti.

Ma il governo dell'Akp sembra voler mantenere la linea dura, e il presidente islamista ha accusato i curdi di voler sabotare, attraverso le manifestazioni in corso contro il sostegno turco ai jihadisti, il processo di pace in corso tra Ankara e la guerriglia del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), in realtà in stallo da molto tempo proprio per responsabilità dell'Akp. "E' molto ovvio che questo gioco mira a sabotare il clima pacifico nell'est e nel sudest oltre al processo di pace e alla nostra fratellanza" ha detto Erdogan nelle sue prime dichiarazioni dopo i violentissimi scontri ìdegli ultimi due giorni.

"Non tollereremo alcuna minaccia o intimidazione che prenda di mira la pace, la sicurezza e la stabilità della Turchia". "Prenderemo le misure necessarie per combattere coloro che assumono queste iniziative" ha aggiunto Erdogan in una dichiarazione che accusa "circoli oscuri" per la "perdita di vite umane e la carneficina" sapendo bene che sono i suoi apparati di sicurezza e i sicari dell'organizzazione islamista Hezbollah a sparare sulla folla dei dimostranti.

Da parte sua il Kck, il Congresso delle Comunità Curde che riunisce varie organizzazioni della resistenza, ha dichiarato che se le autorità turche vogliono salvare il processo di pace in corso con la guerriglia curdi devono acconsentire alla creazione di un corridoio in territorio turco per il passaggio di aiuti umanitari e guerriglieri che possano andare a difendere Kobane e il resto del Rojava.
Il Kck chiede ad Ankara che ai combattenti del Partito dei Lavoratori e di altre organizzazioni popolari dei curdi di Turchia sia consentito di raggiungere da nord la città assediata dai jihadisti dello Stato islamico a est, sud e ovest e difesa finora dalle Unità di Protezione del Popolo che fanno riferimento al Partito di Unità Democratica (Pyd) attivo nel Kurdistan siriano.
Venerdì le autorità turche avevano promesso in un incontro segreto ad Ankara con Salih Muslim, il leader del Pyd, la creazione di un corridoio umanitario, ma fino ad ora non hanno mantenuto la parola data, secondo uno dei leader militari del Pkk Murat Karayilan, citato dall'agenzia curda Firat.

Intanto il ricatto turco nei confronti dei paesi occidentali protagonisti dei bombardamenti – per ora sembra poco più che simbolici visto che l'Isis avanza ovunque– contro le posizioni jihadiste in Iraq e Siria sembra funzionare. E le cancellerie occidentali sembrano piegarsi alla volontà di Ankara che pretende l'assenso a una invasione di terra nel Nord della Siria, con l'obiettivo primario di abbattere il governo di Bashar al Assad e la resistenza curda, oltre che di respingere l'avanzata dei fondamentalisti sunniti.

Gli Stati Uniti e il Regno Unito si sono detti pronti a "esaminare" l'idea di creare una zona cuscinetto sul confine tra la Siria e la Turchia, come richiesto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. "Un'area cuscinetto [...] vale la pena analizzare la proposta molto molto da vicino", ha detto il segretario di Stato americano, John Kerry. "Stiamo prendendo in considerazione questa opzione", ha detto il ministro degli Esteri del Regno Unito, Philip Hammond.

Ieri era stato il presidente francese Francois Hollande a dire di sostenere la creazione di "zone cuscinetto tra la Siria e la Turchia per ospitare e proteggere le persone sfollate".

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view post Posted on 10/10/2014, 18:13

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Da Napoli con la resistenza del popolo curdo! Contro l'ISIS e gli imperialisti, un invito alla solidarietà!

DA NAPOLI CON LA RESISTENZA DEL POPOLO CURDO! CONTRO L'ISIS E GLI IMPERIALISTI, UN INVITO ALLA SOLIDARIETÀ!

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”
Nella complessità con cui il mondo ci si presenta, accanto a situazioni confuse e ingarbugliate ci sono anche situazioni chiare:avvenimenti limpidi, su cui prendere posizione è facile, perché ci indignano, toccano la nostra coscienza, ci fanno sentire un'empatia con chi soffre.
Avvenimenti in cui appare subito chiaro chi è la parte offesa, chi ha ragione, chi porta più avanti il processo di liberazione dei popoli e dell'umanità.
Avvenimenti che non vengono dal nulla, ma sono parte di una storia lunga secoli, che vivono nella nostra memoria.
A volte non c'è bisogno di motivare l'odio: "è un fatto di appartenenza", come diceva qualcuno.
A quest'ordine di fatti va iscritta la resistenza che in questi mesi il popolo curdo sta frapponendo all'avanzata delle milizie dello Stato Islamico, l'ISIS.
A quest'ordine di fatti va iscritta la difficile ed eroica esperienza degli ultimi due anni di autogoverno laico, socialista, libertario e femminista della regione curda di Rojava e della sua città Kobane.
A quest'ordine di fatti va iscritta la nostra solidarietà al popolo curdo che - proprio come quello palestinese che tutti amiamo - negli anni ha combattuto contro tutti semplicemente per esistere, per avere un futuro, per vedere riconosciuto il proprio diritto alla terra e alla libertà.
Da tempo ormai leggiamo sui giornali del "pericolo islamista" rappresentato da ISIS. Leggiamo dell'ennesimo intervento degli Stati Uniti, dei poliziotti del mondo, e dei loro complici/concorrenti europei, che dopo aver occupato, smembrato, distrutto il Medioriente, finanziato l'islamismo più fondamentalista e attaccato tutte le tendenze socialiste e comuniste che pure erano largamente presenti su quei territori, pretendono ora di intervenire per riportare il loro "ordine democratico"... Più difficilmente leggiamo di chi invece da anni si sta opponendo, pagando con la vita, sia alle barbarie dell'ISIS sia alla barbarie esportata dall'Occidente e dalle sue potenze imperialiste. curdi-napoli-solidarietà
Pensiamo al popolo curdo. Un popolo che proprio in questi giorni è da un lato sotto attacco dell'ISIS, che sta sterminando la sua popolazione, decapitando i suoi combattenti. dall'altro aggredito dagli alleati dell'Occidente e della NATO, ovvero dalla Turchia, che vuole approfittare di quest'occasione per invadere il Kurdistan diventato, in questi anni, almeno in parte autonomo.
Il popolo curdo si trova ora stretto in una morsa mortale: davanti ha l'esercito nero dell'ISIS, dietro ha la Turchia del fascista Erdogan, che vuole finalmente sbarazzarsi della spina nel fianco rappresentata dai guerriglieri curdi e dal loro progetto socialista.
In queste ore, nel silenzio assordante del mondo, si combatte a Kobane, dove sta avvenendo un grande massacro di civili e combattenti curdi. Per rompere questo silenzio da giorni i compagni curdi mettono in atto azioni di vario tipo: l’occupazione temporanea di una stazione della metropolitana di Londra, scontri e manifestazioni in diverse parti della Turchia, manifestazioni in Germania. In Italia qualche giorno fa in cinquanta hanno provato a fare irruzione a Montecitorio, oggi hanno occupato gli areoporti di Pisa e Fiumicino. La loro straordinaria generosità, il rischio che prendono famiglie intere - perché la polizia e la magistratura non sono mai state tenere con questi compagni - ci deve spingere a sostenerli. Bisogna rompere il silenzio, dare la nostra solidarietà militante.
Per questo oggi abbiamo appeso uno striscione nel centro di Napoli, davanti all'università. Un piccolo gesto di solidarietà per parlare con la città e con tanti ragazzi dell'eroica resistenza dei curdi in patria e nella diaspora. Sperando che trovi un'eco nel resto del movimento, sperando di poter mettere su presto qualche iniziativa più grande e forte. Perché la lotta di queste donne e di questi uomini ci riguarda da vicino, è un capitolo, ancora tutto da scrivere, della storia dell'umanità verso l'emancipazione sociale e politica.
Collettivo Autorganizzato UniversitarioSpazio Me-ti, Napoli

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Kobane: la resistenza curda respinge di nuovo i jihadisti


Secondo le notizie rilanciate da numerosi media locali, i combattenti delle milizie popolari sarebbero riuscite a bloccare durante la notte l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico verso il centro della città di Kobane, nel Rojava siriano al confine della Turchia.

"C'è stato un assalto dell'Isis dalla parte meridionale della città, con l'obiettivo di raggiungere il centro, ma è stato respinto dai combattenti curdi dopo violenti combattimenti" ha spiegato alla France presse Rami Abdel-Rahman, il direttore dell'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, una ong vicina ai ribelli islamisti 'moderati' con base a Londra.

Scontri sporadici sono in corso questa mattina nella zona meridionale, sud-occidentale e orientale della città, e all'alba la coalizione internazionale guidata dagli Usa ha lanciato due nuovi raid aerei nel sud e nell'est della zona.

In queste ore i combattenti curdi stanno anche lanciando "operazioni speciali" nell'est della città, penetrando nelle zone controllate dall'Isis per uccidere membri dell'organizzazione jihadista e ritirarsi poi nelle loro postazioni.

I jihadisti dello Stato islamico hanno conquistato ieri una porzione consistente della città, compreso il quartier generale delle forze curde. A cadere nelle mani dell'Isis era stata ieri l'intera "area di sicurezza" cittadina, che comprende il complesso militare delle Unità di protezione del popolo (YPG), la base di Assayech e la sede del consiglio locale.

Intanto ieri sera era arrivato a 31 morti e a più di 360 feriti il bilancio ufficiale dei quattro giorni di violenta repressione da parte delle forze di sicurezza turche contro le manifestazioni dei curdi e dei gruppi della sinistra antimperialista turca che sono scesi in piazza in tutto il paese contro la complicità del regime islamista di Erdogan con lo Stato Islamico. A fornire il bilancio è stato il ministro degli Interni turco Efkan Ala nel corso di una conferenza stampa realizzata ad Ankara. La stragrande maggioranza delle vittime sono manifestanti curdi, a volte giovanissimi (c'è anche un bambino di otto anni) falciati dalle pallottole sparate dai militari, dai poliziotti ma anche dai membri dell'estrema destra turca legata ai 'Lupi Grigi', e di organizzazioni islamiste radicali come Hezbollah (movimento fondamentalista sunnita turco fondato negli anni '80 e che non ha nulla a che fare con l'omonimo partito sciita libanese) o i 'cugini' curdi di Huda-par. Negli scontri hanno perso la vita anche due poliziotti e 139 sono rimasti feriti.

I civili feriti sono stati 221, in 35 città nelle quali sono scoppiati gli scontri. Oltre mille i fermati, 58 dei quali poi arrestati formalmente. "Negli scontri 778 edifici sono stati danneggiati o distrutti tra cui 212 scuole, 67 stazioni di polizia, 25 uffici pubblici e 29 sedi di partiti politici" ha dichiarato il ministro del governo Davutoglu.

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Le guerrigliere curde, ovvero come i media italiani neutralizzano la rivoluzione in Rojava



Le guerrigliere curde, ovvero come i media italiani neutralizzano la rivoluzione in Rojava
I media borghesi, si sa, riescono a triturare qualsiasi evento per presentarlo al grande pubblico privilegiando gli aspetti che gli tornano più utili. È il caso, nelle ultime settimane, delle immagini delle guerrigliere curde continuamente diffuse dai media (vedi): immagini che, in molti casi, mostrano donne giovani e belle, così sorridenti che non sfigurerebbero sulla copertina di “Vanity fair” (vedi). Con alcune eccezioni, la loro presenza attiva nella resistenza curda viene ridotta a pettegolezzo dai mezzi di comunicazione italiani, che parlano di combattenti dell’I.S. che sarebbero spaventati dal queste donne soldato (già si sono scordati che solo poche settimane fa gli stessi media lanciavano l’allarme per le ragazze britanniche che si arruolavano con i fondamentalisti sunniti ). Essi, facendo leva su un miscuglio di orientalismo, attrazione per l’esotico e fascinazione per le donne-soldato (basta guardare quanto ha scritto Gennaro Carotenuto in un articolo dell’agosto scorso sulle guerrigliere del Pkk, «delle quale potrei innamorarmi in blocco», oppure un articolo di un paio di anni fa su Vice, in cui di una di esse si diceva che dava «l’idea di essere stata molto bella in passato»), presentano un’immagine “neutralizzata” e “depotenziata” di queste guerrigliere.

In questa mistificazione della realtà, le combattenti – definite spesso erroneamente peshmerga (che sono, invece, i combattenti del Pdk, il partito curdo iracheno alleato degli occidentali, che non ha ostacolato l’I.S. finchè non ha interferito con i suoi interessi), mentre sono militanti delle Ypg (Unità di difesa popolare) e delle Ypj (Unità di difesa delle donne) del Pyd, il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (la “Rojava”, nella Siria del nord), da sempre legato ai curdi del Pkk in Turchia – vengono presentate come impegnate a difendere la propria vita e l’emancipazione femminile contro l’oscurantismo religioso dell’I.S. Si tratta, ovviamente, di elementi presenti, ma assolutamente insufficienti e svuotati di ogni contenuto politico. Insomma, le guerrigliere curde vengono prese in considerazione dai media italiani in quanto donne, e non in quanto militanti di organizzazioni politiche con delle idee e delle proposte politiche precise, rivoluzionarie.

A ciò si aggiunge lo stupore – frutto di una mentalità radicata – che, legando spesso inconsciamente la funzione femminile a quella della riproduzione (della forza lavoro), si prova davanti alla scelta, da parte di coloro che sono deputate a «dare la vita», di partecipare a combattimenti in cui «danno la morte». Una convinzione diffusa è, infatti, quella della incompatibilità femminile con la guerra: da qui lo stupore di vedere donne armate che combattono. Si tratta, del resto, degli stessi contenuti nelle affermazioni polemiche di quanti si oppongono alla presenza femminile negli eserciti o che si meravigliano della scelte delle donne di praticare la lotta armata. A questo proposito, la politologa e femminista Jean Bethke Elshtain, nel volume Donne e guerra, ha sottolineato proprio l’importanza della costruzione di un divario storico tra «chi dà la vita e chi la toglie»: al suo interno, le donne sarebbero suddivise tra «le poche feroci» e le «molte non combattenti»; gli uomini tra i «molti militanti» e i «pochi pacifici». Le donne, quindi, nel senso comune possono essere vittime di guerra, ma non iniziatrici né le esecutrici perché a esse è imposto un ruolo di riproduzione della vita (e della forza lavoro) che entra in conflitto con essa.

La spiegazione della “superficialità” dei media nella rappresentazione delle combattenti curde è presto detta: se, da un lato, l’immagine delle guerrigliere curde è utile alla propaganda contro l’I.S., il nemico che condividono con l’occidente tutto (almeno apparentemente, perché in realtà la costituzione di un califfato in Medio oriente – ovviamente ostile all’Iran, alla Siria e, in ultima analisi, alla Russia – potrebbe non essere così ostile agli interessi turchi, statunitensi e sauditi nell’area), dall’altro il contenuto radicale della loro militanza politica non può essere veicolato dai media italiani come legittimo. Del resto l’uso strumentale delle combattenti donne risulta chiaro da commenti come questo di Gad Lerner, a cui la notizia (probabilmente falsa) della decapitazione di tre di esse serve per poter presentare la lotta dei curdi contro l’I.S. come qualcosa che ha a che fare con l’«emancipazione femminile», da cui l’I.S. sarebbe spaventato. Del resto, secondo lui, «i vigliacchi decapitano anche le donne», come se decapitare una donna combattente fosse più grave che decapitare un combattente maschio: alla faccia dell’antisessismo occidentale. Sul discorso dell’«anche le donne», tra l’altro, si è discusso a lungo. Ida Farè e Franca Spirito, in un volume sulle donne e la lotta armata, hanno ad esempio scritto che

quell’anche è la chiave del problema. Perché si dice anche? Probabilmente per due motivi, uguali e contrari, al maschile e al femminile. Al maschile perché l’uomo non smette mai di stupirsi di fronte a una donna che diventa come lui. Al femminile, perché la donna, a furia di sentirsi altra e diversa, tende a rifiutare qualsiasi cosa che assomiglia vagamente all’uomo. E la guerra a prima vista assomiglia proprio all’uomo

Altrettanto significativo è questo commento ad una foto di guerrigliere curde di Gennaro Carotenuto che, oltre ad usare la misteriosa espressione «le nostre donne» (di chi? Le sue?), parla delle guerrigliere curde abbandonate «alla loro sorte, allo stupro e allo sterminio» da Usa, Turchia e Nato (si aspettava il contrario? E sarebbe auspicabile?): in questo modo riconduce nuovamente le figure delle combattenti a quelle di donne vittime della guerra.

E persino il prode Magdi “Cristiano” Allam, su facebook, posta da giorni immagini glamour delle combattenti curde (vedi e vedi), affermando che «la Storia le ricorderà per il coraggio con cui donano la propria vita per salvare i valori fondanti della nostra civiltà»: ma, siamo sicuri, il modello di civiltà proposto dal Pyd è ben diverso da quello del nostro Magdi (e dei suoi fans, che infatti commentano con espressioni come «donne con le palle!»).

Ma chi sono queste guerrigliere? Cosa è il Pyd? Cosa sta succedendo in Rojava? Sono queste le domande fondamentali a cui, guardando le foto delle guerrigliere che sono veicolate dai social network e dai siti internet, sembra impossibile trovare una risposta.

La situazione politica del «Kurdistan» (uno stato che non esiste) è ovviamente molto complessa e rimandiamo, per un’analisi più dettagliata, a questi articoli di mazzetta , alla rivista «Nunatak» e al fondamentale storify di wuming. Va però detto che la Rojava, cioè il Kurdistan siriano, è da quasi tre anni al centro di un processo rivoluzionario guidato dal Pyd, che vi ha unilateralmente costruito una regione autonoma. Al momento dell’entrata in scena dei cosiddetti “ribelli siriani”, infatti, i curdi non si sono schierati né con Assad né con i suoi oppositori, ma ha piuttosto scelto di auto-amministrare il proprio territorio (la Rojava, appunto), combattendo contro chiunque lo minacciasse (i jihadisti, i “ribelli siriani”, i sostenitori di Assad, dal luglio di quest’anno l’I.S.). All’interno di quella che è stata definita la “Rivoluzione in marcia in Rojava” è stata proclamata una Costituzione dal contenuto progressista:

Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli. Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale.

La Carta riconosce l’uguaglianza di tutti i cittadini e di tutti i gruppi ed è basata sull’autogoverno dei diversi cantoni che costituiscono la Rojava. All’articolo 15 le Ypg vengono riconosciute come la sola forza militare dei tre cantoni, avente lo scopo di proteggere e difendere la sicurezza della regione autonoma. All’articolo 27, invece, si afferma il diritto inviolabile delle donne a partecipare alla vita politica, sociale, economica e culturale del paese. All’articolo 28 si afferma l’uguaglianza di uomini e donne e l’impegno della Carta costituzionale per l’uguaglianza femminile e l’eliminazione della discriminazione di genere. All’articolo 30 vengono riconosciuti i diritti all’istruzione, al lavoro, alla salute e a una abitazione adeguata. All’articolo 42 si afferma invece che il sistema economico nella provincia deve essere diretto a garantire il benessere generale, garantendo finanziamenti per la scienza e la tecnologia: esso deve essere rivolto ad assicurare le esigenze quotidiane delle persone e ad assicurare una vita dignitosa.

Si tratta, in altre parole, di un’esperienza che si oppone al capitalismo – al cui modello di produzione anche l’I.S. si richiama: è bene, infatti, chiarire che il califfato avversa la liberaldemocrazia ma non il capitalismo – e all’imperialismo di cui i curdi sono storicamente vittime: un’esperienza rivoluzionaria – con una matrice, per quanto diluita sempre più col trascorrere del tempo, marxista-leninista e una storia di lotta armata alle spalle – che non può essere vista di buon occhio in occidente. Per questo va neutralizzata e depotenziata dietro l’immagine glamour delle guerrigliere curde.

La presenza di questa regione autonoma, inoltre, non è mai stata vista di buon occhio dalla Turchia, che applica storicamente una politica imperialista contro i curdi del suo territorio – particolarmente ricco di bacini idrici e, come anche la Rojava e il Kurdistan iracheno, di petrolio – e che ha armato e sostenuto dal punto di vista militare e logistico i gruppi che volevano spezzare la resistenza della Rojava. Inoltre, la Turchia ha, finora, non solo consentito il transito dei combattenti dell’I.S. attraverso le sue frontiere ma li ha anche finanziati e armati, almeno dall’inizio della crisi siriana. Non sorprende, quindi, che gli studenti che manifestano in piazza in Turchia, paese membro della Nato sul cui ingresso nell’Ue si è molte volte discusso, per la Rojava vengano colpiti e uccisi da colpi di pistola sparati dalla polizia.

Uno dei motivi dell’ostilità del governo turco, inoltre, è il sostegno alla Rojava del Pkk di Ocalan (vedi) che, nonostante il fatto che nel marzo 2013 abbia dichiarato conclusa la stagione della lotta armata, è ancora considerato un’organizzazione terroristica dagli Usa, dall’Ue e dalla Turchia stessa. Da qui la difficoltà a fare riferimenti agli ideali delle combattenti curde: dovrebbero ammettere che esse sono considerate delle «terroriste», determinando un cortocircuito in cui le «terroriste del Pkk e dei partiti a esso legati» combattono contro «i terroristi dell’I.S.».

Da anni, ormai, il Pkk di Ocalan – attraverso elaborazioni teoriche non sempre interamente condivisibili dal nostro punto di vista, ma certamente figlie della situazione politica in cui sono maturate – ha abbandonato la proposta di costituire uno stato curdo in nome, invece, della costruzione di una federazione di comunità autogovernantisi al di là dei confini nazionali, religiosi, etnici, basate sulla partecipazione dal basso, la parità di genere e il rispetto della natura: questo confederalismo democratico è quello realizzato praticamente dalla carta costituzionale della Rojava. Dopo la rinuncia alla lotta armata, le milizie del Pkk non hanno smobilitato, ma si sono spostate in Siria per difendere la rivoluzione della Rojava, oltre ad aiutare i curdi iracheni sempre contro l’I.S. Nelle ultime settimane migliaia di curdi del Pkk – uomini e donne – hanno sfondato il confine con la Turchia e sono andati ad aiutare i loro compagni siriani in particolare a Kobane, la città della Rojava assediata dall’I.S.: definita la «Stalingrado del Vicino Oriente», è il luogo dove in queste ore si sta combattendo casa per casa.

Lo stupore davanti alle guerrigliere curde, inoltre, è figlio del pregiudizio eurocentrico secondo cui nei paesi di religione islamica le donne sarebbe duramente discriminate e non tiene conto del fatto che nella cultura curda le donne soldato non sono certo una novità (vedi): anzi, la loro presenza sarebbe stata testimoniata già nel XII secolo, ai tempi del sultano Saladino. Oggi, le donne costituiscono una percentuale molto alta tanto delle milizie del Pkk (l’Hpg) tanto di quelle del Pyd (le Ypg): la liberazione delle donne, infatti, è sempre stata uno dei cardini nell’impostazione marxista-leninista dei due partiti. Come ha detto Bese Hozat, la co-presidente del Consiglio Esecutivo della Kck, l’Unione comunista curda (il braccio politico del Pkk), in una recente intervista, infatti, il Pkk

ha messo le donne al centro della liberazione sociale, e la lotta delle donne al centro della lotta nazionale. […] Migliaia di donne […] sono partite per le montagne e hanno formato un esercito, hanno combattuto coraggiosamente contro il sistema di sfruttamento e distrutto la mentalità che afferma che la guerra è una cosa da uomini. La lotta di liberazione delle donne curde che stanno in montagna non è solo contro l’esercito turco, ma è anche contro la mentalità maschilista dominante e il sistema crudele di sfruttamento che ha creato. [...] Questa guerra ha portato a un grande cambiamento sociale e di trasformazione, ha distrutto la mentalità comune contro le donne, ha cambiato i costumi e la cultura di genere, e ha permesso alle donne curde di diventare soggetti in tutti i settori della vita, di assumere un ruolo attivo nella vita sociale e politica, e di guidare sommosse civili e forme di resistenza pubblica. [...] Il movimento del Pkk non si è mai dato come una lotta etnica. Quelli che affermano che il PKK lo ha fatto sono i nemici del partito e del popolo. L’ideologia del PKK sostiene la libertà e l’uguaglianza. Il PKK è un movimento socialista democratico contro il nazionalismo, il sessismo e l’integralismo religioso, che sono tutte ideologie che conducono al fascismo, al nazionalismo e al militarismo.

Quello che i compagni e le compagne del Pkk e del Pyd hanno capito benissimo è che non ci può essere rivoluzione senza liberazione della donna e non ci può essere liberazione della donna senza rivoluzione: ogni altra interpretazione che lega la resistenza contro l’I.S. a un vago «emancipazionismo» femminile aconflittuale, invece, non è altro che un colpo ad ogni prospettiva di cambiamento radicale dei rapporti economici e sociali nella società. Le guerrigliere curde non sono una versione orientale delle suffragette britanniche di inizio secolo, ma sono militanti politiche che hanno inserito la liberazione femminile all’interno di un percorso rivoluzionario in cui essa è solo una parte.

Se tutto questo è vero, compito dei compagni e delle compagne è quello di demistificare la presentazione borghese delle combattenti curde e di far riemergere, invece, il contenuto politico delle loro scelte: un contenuto rivoluzionario incompatibile tanto con il capitalismo teocratico e fondamentalista dell’I.S. quanto con le copertine patinate su cui il capitalismo occidentale le vorrebbe relegare.

DA www.militant-blog.org
 
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AntifaMilitant
view post Posted on 13/10/2014, 22:25




Erdogan boia, sostegno ai compagni del PKK



Sanzionato con scritte e fumogeni il Consolato Onorario turco a Venezia

L'attacco di Kobane (uno dei 3 cantoni del Rojava, territorio autonomo del Kurdistan siriano) da parte dei fondamentalisti islamici dell'Isis ha una logica chiara: attaccare un esperimento di sovranità autonoma e di autogoverno tra liberi e pari a prescindere dalla provenienza etnica o dall'appartenenza religiosa.

Quanto di piu' lontano dal folle progetto di un califfato islamico governato dalla sharia.

Gli jihadisti attaccano la regione autonoma del Rojava da 3 anni. Fanno questo potendo contare sul silenzio della comunità internazionale. E' evidente come gli Stati Uniti abbiano iniziato a interessarsi di questa regione solo nel momento in cui hanno visto i propri interessi vacillare, ovvero con l'occupazione da parte dell'Isis delle regioni petrolifere irachene.

La costruzione dei dispositivi di produzione di comunicazione e indirizzo dell'opinione pubblica ha seguito analogo schema: mentre anche riviste patinate hanno esaltato le donne guerrigliere del Rojava, sono scomparse le organizzazioni politiche e di autodifesa dentro le quali quelle stesse donne si collocano. Si è oscurato il PKK, si è oscurato il YPG, si sono oscurate le uniche organizzazioni che hanno saputo arrestare l'avanzata dell'Isis e che, aprendo un corridoio umanitario nel Sinjar, hanno portato in salvo decine di migliaia di uomini e donne in fuga dagli jihadisti.

In questo spazio politico si è inserita la Turchia, da sempre fiancheggiatrice delle milizie jihadiste da utilizzare contro i curdi e contro il nemico Assad.

I carri armati e le migliaia di militari turchi messi al confine con il Rojava, a protezione della frontiera sono la spiegazione più chiara delle intenzioni del sultano Erdogan: nessun aiuto alle popolazioni sotto assedio mentre si impedisce agli attivisti accorsi da tutta la Turchia per portare soccorso nel Rojava, di poter passare il confine, caricandoli, gasandoli, sparandogli addosso. Stessa sorte sta toccando ai manifestanti che in numerose città della Turchia protestano contro la complicità del governo turco ed il silenzio dei media mainstream e della comunità internazionale.

Lungo la stessa frontiera tra Turchia e Siria sono passati nei mesi scorsi, indisturbati, camion di armi destinati alle milizie jihadiste. Tutto ciò è avvenuto alla luce del sole, il governo turco è consapevole infatti che la comunità internazionale non gli chiederà conto del supporto all'Isis in quanto è disposta ad attendere i tempi e le richieste messe in campo da Erdogan (no-fly zone, una fascia di sicurezza parallela al confine e l'addestramento di ribelli siriani contro Assad) pur di mantenere un rapporto di non nemicità con la Turchia.

Nel Rojava migliaia di uomini e donne stanno resistendo e difendendo una pratica di costruzione di autogoverno tra pari e nelle differenze. Hanno conquistato diritti e libertà non solo per il popolo curdo, fondando una pratica della cittadinanza aperta a chi vive in quei luoghi a prescindere da genere, religione ed etnia.

Bisogna ribaltare la nebbia della comunicazione mainstream che, in un lavoro di spostamento, tanto si è soffermata sulle guerrigliere donne quanto poco sulle ragioni politiche che hanno loro portato a praticare l'autodifesa della loro autonomia.

Accogliamo l'invito che ci viene dal Kurdistan a mobilitarci a fianco della resistenza del Rojava e per questo oggi abbiamo deciso di esser qui (con i nostri corpi) a Venezia a praticare un’azione di sanzionamento nei confronti del Consolato Onorario turco, perchè il governo di Erdogan smetta la sua politica di ambiguità nei confronti dell’Isis, determini la fine della repressione nei confronti dei cortei a sostegno della resistenza curda e apra le frontiere a chi vuole raggiungere e portare aiuti a Kobane.

Riteniamo vergognoso che tutto ciò avvenga nel silenzio della comunità internazionale.

Siamo qui perchè vogliamo che sia riconosciuta l’ autonomia di Rojava e il suo diritto alla difesa.

Abbiamo deciso di dedicare questa iniziativa alla combattente delle YPJ Arîn Mirkan che, terminate le munizioni, in un confronto con le milizie jihadiste a Miştenur ha attuato un attacco suicida per non dover subire lo stupro e la decapitazione, pratiche comuni alle bande dell'Isis.

Siamo qui perchè Kobane è ovunque, ed ovunque è resistenza.

Centri sociali dell'Emilia Romagna, delle Marche e del Nordest

Fonte: http://www.globalproject.info/it/in_movime...r-direnis/17930
 
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view post Posted on 14/10/2014, 14:17

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Controffensiva curda a Kobane, Ankara bombarda le postazioni del Pkk

Martedì, 14 Ottobre 2014 11:56 Marco Santopadre 317
Controffensiva curda a Kobane, Ankara bombarda le postazioni del Pkk
Impazza la battaglia a Kobane, uno dei tre cantoni della regione curda del Rojava al confine tra Siria e Turchia dove ormai da un mese i miliziani delle Unità di Protezione del Popolo, delle Unità di Protezione delle Donne e del Pkk resistono temerariamente ai continui attacchi delle milizie jihadiste dello Stato Islamico.

La città è stata più volte data per caduta o comunque per spacciata, ma secondo le notizie più recenti a disposizione i combattenti curdi avrebbero ripreso circa il 70% della città strappando numerosi quartieri ai fondamentalisti sunniti che pure sono stati raggiunti da rinforzi e aiuti ed avrebbero conquistato anche il villaggio di Til Sheir.

Già ieri alcune fonti avevano parlato di una controffensiva curda – sostenuta da alcuni raid dell’aviazione statunitense - che era riuscita a recuperare alcuni quartieri di Kobane attorno al centro caduti nelle mani dei jihadisti sabato e domenica. Nei combattimenti sarebbero morti decine di miliziani dell’Isis ma anche tra i guerriglieri curdi e tra i civili rimasti ancora in città nonostante l’ordine di evacuazione le vittime sarebbero numerose. Secondo le testimonianze di alcuni degli abitanti che sono riusciti a scappare dalla città, nelle vie del centro abitato vi sarebbero vari corpi di vittime decapitate. "Ho visto decine, forse centinaia di corpi con la testa tagliata - ha detto ai giornali Amin Fajar, 38 anni, padre di quattro figli riparato a Suruc, località gemella di Kobane nel Kurdistan turco - altri non avevano le mani o le gambe. Ho visto volti con gli occhi cavati o le lingue tagliate. Non potrò dimenticare tutto questo finché avrò vita. Hanno messo le teste in bella mostra per spaventarci. I miei figli hanno visto i corpi decapitati". Intanto migliaia di sfollati sono riusciti a raggiungere i campi profughi nel Kurdistan iracheno sfuggendo ai combattimenti. Raggiungere la frontiera turca è diventato sempre più difficile per i profughi curdi, a causa dell’avvicinarsi degli scontri a poche centinaia di metri dal confine ma anche per l’atteggiamento ostile delle autorità di Ankara che difficilmente permettono ai fuggiaschi di superare le recinzioni guardate a vista da migliaia di militari. “Le ambulanze con i feriti devono aspettare al confine tra 3 e 10 ore per i controlli dell’esercito. Per questo motivo ieri notte sono morte 3 persone“ ha denunciato a un giornalista de Il Fatto Quotidiano Fuad Akgul, un medico volontario presso l’ospedale di Suruc. “Nelle ultime due settimane – continua il dottore – sono morte almeno 12 persone per questo motivo”. Anche i paramedici che lavorano sulle ambulanze si lamentano dell’operato delle Forze armate di Ankara: “Dovremmo poter andare a prendere lì le persone colpite – spiega un barelliere- nei villaggi vicino Kobane, ma l’esercito ce lo impedisce”. Intanto ogni giorno a Suruc si celebrano affollati funerali dei combattenti curdi morti nella battaglia contro l’Isis.

Ed ora, di fronte alle difficoltà crescenti dei miliziani dello Stato Islamico il governo turco – che ieri aveva gelato l’amministrazione Obama dicendo di nuovo no all’uso da parte dei caccia Usa della base di Incirlik e smentendo le dichiarazioni di alti esponenti statunitensi – ha deciso di ordinare alla sua aviazione militare di iniziare le operazioni militari contro la guerriglia curda del PKK. Ieri sera aerei militari turchi hanno quindi bombardato alcune postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan nel sud-est della Turchia, per la prima volta dalla proclamazione della tregua da parte della guerriglia curda nel marzo del 2013. Secondo quanto reso noto da fonti vicine ai servizi di sicurezza turchi i caccia di Ankara avrebbero preso di mira alcuni guerriglieri che da tre giorni assediavano una caserma della forze di sicurezza turche nel villaggio di Daglica.

Dopo aver fatto uccidere da polizia ed estremisti islamici complici con gli apparati repressivi dello stato una trentina di manifestanti curdi – e non solo – che protestavano contro la collaborazione del governo dell’Akp con l’Isis, ora Ankara compie un nuovo passo aggressivo nei confronti delle organizzazioni della resistenza curda. Erdogan vuole assolutamente indebolire Ypg e Pkk prima di ordinare l’invasione del nord della Siria e la creazione di una ‘no fly zone’ che gli permetta di cacciare Assad e controllare il paese confinante attraverso le marionette dell’Esercito Siriano Libero, accreditato dall’occidente come ‘opposizione islamica moderata’ al governo di Damasco ed alternativa ai fondamentalisti sunniti di Al Baghdadi prima coccolati e poi finiti nel mirino della spuria e poco credibile ‘coalizione’ formatasi attorno a Washington.
Se accetta i diktat turchi Washington otterrebbe un aiuto prezioso nelle operazioni di contrasto dell'Isis ma darebbe di fatto carta bianca alla Turchia in territorio siriano, permettendo la costituzione di una 'area cuscinetto' dove Ankara potrebbe ammassare in mezzo al nulla centinaia di migliaia se non milioni di profughi siriani e curdi. Ed inoltre la concessione di tale opportunità alla Turchia infastidirebbe non poco gli altri partner locali della 'coalizione dei volenterosi', in particolare le petromonarchie del Golfo che pretendono la loro parte nella spartizione di una eventuale Siria post Assad.

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una ragazza cosi sono disposto a sposarmela subito.. tra l'altro è bellissima!

 
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view post Posted on 15/10/2014, 14:31

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Vittoria per l’eroica eroica di resistenza l’ISIS del popolo curdo a Kobani contro!


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Le potenze imperialiste di USA, GB a Francia hanno alimentato, cresciuto e armati gruppi reazionari come Al Nusra e ISIS perché combattessero per loro conto il Regime di Assad. Solo quando si accorto che questi gruppi sono erano in grado di rovesciare il regime di Assad e che minacciavano i loro interessi in Iraq, hanno cominciato a prendere le distanze. Ora vogliono apparire come quelli che scendono in campo contro ISIS.
L’imperialismo USA ha creato Al Qaeda per combattere i russi in Afghanistan, ma quando Al Qaeda è entrata in contraddizione con gli interessi degli Stati Uniti, l’hanno attaccata. Dopo la cattura di Mosul da parte dell’ISIS, sentendo che l’ ISIS minacciava il loro dominio imperialista hanno avviato una coalizione internazionale contro ISIS, attraverso la NATO. L'unico motivo per cui lo Stato turco non ha voluto essere parte della coalizione internazionale sono i suoi stretti rapporti con ISIS. Il mondo intero deve sapere che la risoluzione approvata dal Parlamento turco il 2 ottobre 2014 non è contro ISIS.
Questa risoluzione ufficiale che permette di inviare soldati turchi in Siria e l'Iraq è in realtà diretta contro il popolo curdo di Kobani e Rojava (territorio curdo in Siria) che ha dichiarato l'autonomia della regione.
Questa risoluzione ufficiale permette allo Stato turco di istituire una zona cuscinetto sul confine tra Siria e dichiarare una no-fly zone. La risoluzione sottolinea inoltre che in Siria, il PKK rappresenta una seria minaccia, rivelando chiaramente lo scopo principale della stessa risoluzione e le intenzioni dello Stato turco. Lo Stato fascista turco ha incoraggiatogli attacchi portati dall’ ISIS su Rojava dal
2011 Ha sostenuto e rafforzato ISIS, armandolo e finanziandolo.
Da quando sono iniziati gli attacchi più duri contro Kobani, lo Stato turco ha aumentato il suo sostegno all’ISIS. Fonti ufficiali confermano che combattenti feriti dell’ISIS sono accolti e curati negli ospedali di Adana e Gaziantep. Lo Stato turco ha aperto le frontiere all’ISIS, le cui forze possono entrare e facilmente uscire dal paese. Le riprese televisive in diretta delle TV turche lo hanno ripetutamente dimostrato.
Lo Stato turco è il padrino di ISIS. Lo Stato turco ha continuamente attaccato i curdi che cercavano di aiutare la popolazione di Kobani, circondata e minacciata dal ISIS. Soprattutto a Suruc, dove molti curdi sono scesi in strada per diversi giorni, l'esercito turco ha attaccato gli assembramenti con gas lacrimogeni e colpi d’armo da fuoco per impedire che qualsiasi aiuto raggiungesse Kobani. Da un lato, lo Stato turco ha annunciato colloqui di pace con il PKK, dall’altra parte in ripetono in ogni occasione che il PKK è il nemico e lo attaccano. Queste sono le due facce dello Stato turcoche continua a considerare il popolo curdo un nemico.
Il popolo di Kobani non è solo. Non gli occorre l'aiuto delle potenze imperialiste. Non gli occorrono le armi degli imperialisti. I combattenti del YPG (Yekîneyęn Parastina Gel - Unità di Protezione del Popolo) e del YPJ (unità speciali di donne del YPG) stanno mostrando una resistenza eroica. La loro forza viene dal solido sostegno e dalle risorse fornite loro dal popolo e dai loro compagni. Facciamo appello a tutti quanti amano la libertà in tutto il mondo a sostenere ed estendere la solidarietà con la resistenza contro ISIS del popoli di Kobani. Uniamoci a sostegno del popolo di Kobani, non lasciamoli soli. Le armi pesanti e gli arsenali nelle mani delle bande di assassini dell’ ISIS, non possono nulla contro i combattenti dell’eroica resistenza di Kobani. La risoluta ed eroica resistenza del popolo curdo farà di Kobani il cimitero dell’ISIS. Lo stato fascista turco non riuscitrà a impedirlo.

TKP / ML
Ufficio internazionale
10.10.2014

FONTE

ASSEMBLEA CON LE COMPAGNE CURDE ALL'UNIVERSITA' DI PALERMO
http://proletaricomunisti.blogspot.it/2014...e-compagne.html
 
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