Comunismo - Scintilla Rossa

i fronti popolari in europa, edizioni movimento studentesco

« Older   Newer »
  Share  
carre
view post Posted on 27/6/2012, 15:51 by: carre
Avatar

compagno

Group:
Founder
Posts:
15,557
Location:
Comunismo . Scintilla Rossa

Status:


La politica di Fronte popolare


Il Fronte unico proletario viene concepito, al VII Congresso e prima nell'esperienza francese, come base di un più vasto raggruppamento, capace di comprendere settori sociali non operai.
Già al IV Congresso, come abbiamo accennato, era stata affermata la necessità di conquistare gli stati intermedi gettati in condizioni di vita simili a quelle del proletariato dall'offensiva capitalistica, ma a questo compito non era ancora stata annessa un'importanza decisiva.
Lo sviluppo del fascismo, come forma caratteristica di reazione diretta della grande borghesia industriale e agraria, con base di massa tra la piccola borghesia, fece sì che l'IC affrontasse direttamente il problema dell'orientamento di questi strati.
Il processo già descritto da Marx di progressiva concentrazione delle ricchezze in poche mani e dell'allargamento alla base della massa degli sfruttati e degli oppressi, aveva assunto un ritmo continuo e rapido, visibile nell'immediata esperienza quotidiana. L'analisi del processo di proletarizzazione deve essere a questo proposito precisata nelle varie situazioni; il Fronte popolare rischia infatti di rimanere un principio astratto, o la realizzazione di un blocco senza principi, al di fuori della capacità di comprendere la natura delle forze e degli strati sociali che di volta in volta ne fanno parte, e le contraddizioni che all'interno del Fronte continuano a sussistere e a operare.
La classe operaia deve esercitare all'interno del Fronte una funzione dirigente, in modo tale che, alle varie componenti, il programma proletario appaia come l'unica soluzione valida per i loro stessi problemi.
L'egemonia del proletariato è la condizione che garantisce non solo il legame tra Fronte popolare e conquista del potere, ma l'unica condizione che consente di assolvere ai compiti parziali che si pongono nelle varei tappe: l'isolamento del fascismo e della grande borghesia, la realizzazione di misure capaci di intaccarne la forza, di migliorare le condizioni delle masse e di consolidare le posizioni della classe operaia.
Non si tratta di assumere da parte del proletariato il programma piccolo borghese, ma di inserire nel programma rivoluzionario le rivendicazioni popolari.
Rilievo essenziale assume al VII Congresso la questione del Governo di fronte unito, proletario o popolare.
Il richiamo all'esperienza del Governo operaio e al IV Congresso si impone immediatamente, e Dimitrov si sofferma su questo punto: « Voi ricordate, compagni, che al nostro IV Congresso nel 1922, e poi nel 1924, si era discussa la questione della parola d'ordine del Governo operaio e del Governo operaio e contadino. All'inizio si trattava sostanzialmente di una questione quasi analoga a quella che poniamo oggi. Le discussioni che si svolsero allora nell'Internazionale comunista a tale proposito, e in modo particolare gli errori politici commessi in questo campo, si devono tenere in considerazione anche oggi, per accentuare la nostra vigilanza contro il pericolo di deviazioni di destra e di «sinistra» dalla linea bolscevica in questa questione. [ ...] La prima serie di errori dipendeva dal fatto che la questione del governo operaio non era legata chiaramente e saldamente all'esistenza di una crisi politica. Grazie a questa circostanza, gli opportunisti di destra poterono interpretare le cose come se si dovesse tendere alla formazione di un Governo operaio sostenuto dal Partito comunista in qualsiasi, per così dire, situazione « normale ». Gli ultrasinistri, al contrario, accettavano soltanto quel Governo operaio che può essere formato per mezzo dell'insurrezione armata, dopo l'abbattimento della borghesia. Gli uni e gli altri sbagliavano, e per evitare la ripetizione di tali errori noi oggi accentuiamo così fortemente la necessità di valutare con esattezza quelle condizioni concrete particolari della crisi politica e dell'ascesa del movimento di massa, nelle quali la costituzione di un Governo di Fronte unico diventi possibile e politicamente indispensabile. »
Dimitrov indicava quindi altre due serie di errori.
La seconda serie di errori veniva fatta consistere 'nel fatto che la questione del Governo operaio non era stata legata allo sviluppo del movimento di massa del Fronte unico, il che aveva permesso una « tattica di blocco senza principi con i partiti socialdemocratici, sulla base di combinazioni puramente parlamentari ».
Per non ingenerare equivoci, Dimitrov abbandonava la formulazione di Governo operaio, usata anche dalla socialdemocrazia per definire i propri governi di collaborazione di classe con la borghesia, e adottava la formulazione di Governo di Fronte unico, definendolo « un organo di collaborazione dell'avanguardia rivoluzionaria, del proletariato con gli altri partiti antifascisti nell'interesse del popolo lavoratore [...] contro il fascismo e la reazione ».
In questo modo si definivano le caratteristiche proprie di un simile governo in quel periodo storico, il suo carattere eminentemente antifascista.
La terza serie di errori veniva indicata nella tendenza a mantenere tutta la politica del Governo operaio nei limiti esclusivi della democrazia borghese.
Sarebbe quindi errato vedere nella concezione del VII Congresso e del Fronte popolare solo il riflesso di una situazione difensiva, sebbene allora si accentuasse questo carattere.
Che la tattica di Fronte popolare dovesse servire a raccogliere le forze in vista della rivoluzione è esplicitamente affermato nel richiamo di Dimitrov a un passo dell'Estremismo di Lenin:
« Lenin ci chiamava quindici anni or sono a concentrare tutta la nostra attenzione sulla ricerca delle forme per passare o avvicinarsi alla rivoluzione proletaria. Può darsi che il Governo di Fronte unico si dimostri in taluni paesi una delle più importanti forme di transizione. I dottrinari "di sinistra" hanno sempre trascurato questa direttiva di Lenin e, propagandisti dall'orizzonte ristretto quali erano, parlavano soltanto della meta, senza mai curarsi delle forme di transizione. Gli opportunisti di destra, invece, tentarono di far posto a uno speciale stato democratico intermedio fra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato, al fine, di inculcare negli operai l'illusione del passaggio pacifico, per vie parlamentari da una dittatura all'altra. Essi chiamavano anche forma di transizione questo fittizio stadio intermedio e si richiamavano persino a Lenin! Ma non era difficile sventare questa truffa: Lenin infatti parla delle forme di passaggio e di avvicinamento alla rivoluzione proletaria, cioè dell'abbattimento della borghesia, e non già di una qualche forma di transizione fra la dittatura borghese e la dittatura proletaria. »

I Fronti popolari e l'esperienza storica


Le vicende che successivamente al VII Congresso porteranno allo sviluppo e quindi alla dissoluzione dei Fronti popolari, determineranno anche il radicale mutamento della tattica comunista. La dissoluzione dei Fronti popolari, oltre che con fattori generali di carattere internazionale, deve essere spiegata a partire dai limiti interni delle varie esperienze, in particolare di quella francese e spagnola, che si intrecciano profondamente. Dopo il colpo di Stato dei militari fascisti in Spagna, che per la spontanea e decisa resistenza delle masse, dovette trasformarsi in una vera e propria guerra civile, la Francia, dove nel giugno 1936 Blum era salito al Governo dopo la vittoria del Fronte popolare alle elezioni, era impegnata in forza del trattato dell'anno precedente a vendere armi alla Repubblica spagnola. Sotto la pressione della Gran Bretagna, la Francia non effettuò le consegne, abbandonando a se stessa la Spagna repubblicana, mentre i ribelli fascisti ricevevano aiuti in truppe, armi e materiale dalla Germania e dall'Italia. (Ma altri aiuti furono forniti anche dagli inglesi e dalle grandi compagnie, ad esempio quelle petrolifere americane).
Solo l'Unione Sovietica denunciò fino in fondo l'ipocrisia del « non intervento », che in realtà copriva il massiccio intervento dei nazi-fascisti, schierandosi decisamente e concretamente a fianco della Spagna repubblicana.
Il carattere particolare della rivoluzione spagnola in quella fase consisteva nel suo carattere di guerra nazionale rivoluzionaria contro l'asservimento straniero e di rivoluzione popolare antifascista, diretta a colpire le basi materiali del fascismo, assolvendo così « di passaggio » anche ad alcuni compiti di rivoluzione democratica borghese contro i residui feudali (confisca dei latifondi ecc.).
Il Fronte popolare antifascista si presentava come la forma specifica di sviluppo assunta in quella fase dalla Rivoluzione spagnola.
Ecco come Togliatti ne definisce le caratteristiche peculiari, in un confronto con l'esperienza francese:
« Il Fronte popolare antifascista spagnolo, come forme specifica dell'unione di classi diverse davanti al pericolo fascista, si distingue, per esempio, dal Fronte popolare francese. Il Fronte popolare spagnolo agisce e lotta in una situazione rivoluzionaria, risolve con metodo democratico conseguente i compiti della rivoluzione democratica borghese, e agisce ed opera in una situazione di guerra civile, cioè in una situazione che richiede delle misure straordinarie per garantire la vittoria del popolo.
« Allo stesso modo, il vero carattere del Fronte popolare spagnolo non si può spiegare puramente e semplicemente come dittatura democratica degli operai e dei contadini. Prima di tutto il Fronte popolare spagnolo non si appoggia soltanto sugli operai e sui contadini, ma possiede una base sociale più larga; in secondo luogo, spinto dalla guerra civile stessa, esso prende una serie di misure che vanno alquanto al di là del programma di un governo di dittatura democratico-rivoluzionaria ».
Chi come i trotskisti « saltava » l'aspetto democratico della lotta, finiva per compromettere le stesse possibilità di rivoluzione proletaria.
D'altra parte solo la guida del proletariato poteva consentire una condotta energica della guerra antifascista e risolvere i problemi nazionali e democratici.
L'egemonia del proletariato apriva la strada a un regime di democrazia popolare, che avrebbe dovuto consentire nelle più favorevoli condizioni l'avanzata verso il socialismo.
L'accettazione del « non intervento » da parte del governo di Leon Blum non fu soltanto un durissimo colpo per la Repubblica spagnola, ma apri anche una gravissima contraddizione nel Fronte popolare in Francia.
Esso rivelava infatti l'inconseguenza democratica di gran parte della SFIO, dei radicali e del governo stesso, inconseguenza che non poteva che tradursi, sul piano interno, nella tolleranza verso l'attività dei fascisti, nella mancata epurazione dell'apparato statale (i cui organi vedono anzi proprio in questo periodo un rafforzamento degli elementi reazionari, specie nella magistratura e nella polizia, i cui effettivi vengono aumentati) e infine nella mancata realizzazione del programma del Fronte, sotto i colpi della controffensiva borghese.
Ma soprattutto il Fronte non riesce, per l'opposizione socialista, a darsi un'organizzazione di base, i Comitati elettivi proposti dai comunisti e indicati dal VII Congresso come una condizione essenziale per un'effettiva politica di Fronte popolare.
Di fronte all'arretramento del governo Blum il PCF cerca di salvare il Fronte dal pericolo di rottura, rimanendo su posizioni puramente difensive e rinchiudendosi in una logica parlamentaristica.
Nell'espressione 'Tout pour le Front populaire, tout par le Front populaire' (Tutto per il Fronte popolare, tutto attraverso. il Fronte popolare), affiora una concezione opportunista di destra, che, sciogliendo la funzione dirigente dell'avanguardia rivoluzionaria nell'insieme eterogeneo del Fronte, costituisce allo stesso tempo un colpo alla sua stessa compattezza, privandolo del momento decisivo di coesione.
Di fronte all'attacco borghese i comunisti si accodano ai socialisti nel ricercare un recupero a destra della situazione, mentre la piccola borghesia, lasciata indifesa sotto i colpi dell'inflazione entra in uno stato di passività e si allontana dalla classe operaia, che a sua volta si trova a subire l'iniziativa capitalistica senza poterla efficacemente contrastare. Ricomincia, anche a livello internazionale (l'Internazionale socialista, anche dopo il bombardamento, da parte della marina tedesca, della città di Almeria, ha rifiutato di rispondere all'appello della Repubblica spagnola e dei partiti operai per un aiuto concreto alla sua causa), una conversione a destra delle direzioni socialdemocratiche.
Mentre in Spagna, a causa dello spirito di capitolazione dei repubblicani piccolo-borghesi e di alcuni settori del Partito socialista, si diffonde la sfiducia nella prosecuzione della lotta, si giunge all'accordo di Monaco del 29 settembre 1938, tra Germania, Gran Bretagna e Francia (dove ormai è al governo Daladier, dopo la caduta di Blum).
La socialdemocrazia internazionale, nella sua maggioranza, saluta l'accordo di Monaco come una vittoria della pace: in questo modo essa si accoda ai propositi dei capitalisti inglesi e francesi che intendono scaricare la forza bellica nazista contro l'Unione Sovietica.
I tentativi dell'URSS di organizzare una conferenza internazionale con francesi, rumeni, polacchi e turchi contro il pericolo di guerra costituito dalla Germania, e di arrivare a un patto militare con la Gran Bretagna e la Francia vengono fatti fallire dai governi di questi paesi.
Di fronte al pericolo di un'aggressione nazista appoggiata dalla Gran Bretagna e dalla Francia, e in seguito a richieste di parte tedesca, si giunge il 23 agosto 1939 alla firma del Patto di non aggressione tra Germania e URSS.
Il patto Ribbentrop-Molotov, le cui caratteristiche non impedivano la stipulazione di altri trattati con la Francia e l'Inghilterra, viene preso a pretesto dalla socialdemocrazia per rompere l'unità d'azione, del resto già quasi inoperante, con i comunisti, e dalla borghesia per una violenta repressione anticomunista.
Il 26 settembre viene sciolto, da parte del governo, il PCF che, entrato nella clandestinità, svolge un'autocritica per i propri errori, in particolare per non aver compreso a tempo il mutare della situazione internazionale e non aver difeso energicamente il Partito dal decreto di scioglimento facendo appello alle masse.

Dal « disfattismo rivoluzionario » alla ricostruzione dei Fronti


Le svolte rapide e profonde non possono avvenire senza esitazioni e incertezze, tanto più che la tattica di Fronte popolare aveva rappresentato un'esperienza di particolare rilievo e ampiezza.
Nel novembre del 1939 esce un'articolo di Dimitrov (fatto circolare clandestinamente anche in Italia, nelle Lettere di Spartaco) dal titolo La guerra e la classe operaia dei Paesi capitalisti, che costituisce il giudizio del Komintern sulla nuova situazione apertasi dopo l'entrata di Hitler in Polonia nel settembre e lo scoppio della guerra con la Gran Bretagna e la Francia.
Il documento metteva in rilievo il carattere imperialista assunto dalla guerra:
« Dopo la conclusione del trattato' tedesco-sovietico, la borghesia dell'Inghilterra e della Francia, perduta ogni speranza in una guerra da parte della Germania contro l'Unione Sovietica, fece ricorso alla via della lotta armata contro la principale sua rivale imperialistica. E la borghesia inglese e francese si risolse a ciò sotto il pretesto di difendere il suo vassallo, la Polonia dei reazionari e dei latifondisti ».
Quindi si affermava che i circoli dirigenti della II Internazionale stavano assumendo parte attiva nella messa in moto della sanguinosa macchina della guerra.
« Nel periodo precedente alla guerra i comunisti si sono sforzati di arrivare all'unità d'azione della classe operaia mediante accordi tra i partiti comunisti e socialdemocratici. Oggi, a un accordo di tal genere non si può più pensare. Nella situazione attuale, l'unità della classe operaia può e deve essere realizzata dal basso, sulla base dello sviluppo del movimento delle masse lavoratrici stesse in una lotta risoluta contro i capi traditori del Partito socialdemocratico e degli altri partiti piccolo-borghesi. I capi di questi partiti sono passati armi e bagagli nel campo degli imperialisti, mentre alcuni di essi, come i radicali francesi, si sono direttamente incaricati di condurre la guerra. »
Il Fronte popolare non veniva dunque abbandonato, sebbene il fulcro dell'attività per ricostruirlo si trasferisse esclusivamente alla base.
Sul carattere della seconda guerra mondiale e sull'atteggiamento preso dalla IC si sofferma Spriano, criticando la politica del « disfattismo rivoluzionario » e di « equidistanza tra i blocchi imperialisti », e rilevando una contraddizione tra la posizione presa nel '39 e l'affermazione di Stalin del 1946, secondo la quale la II guerra mondiale « a differenza della I guerra mondiale, prese sin dall'inizio un carattere di guerra antifascista e di liberazione, uno dei compiti della quale era il ristabilimento delle libertà democratiche ».
Noi possiamo rispondere facendo nostra l'affermazione di Grieco nel suo articolo Sul carattere della seconda guerra mondiale (Rinascita, agosto-settembre 1950). Secondo Grieco, Stalin « si riferiva all'atteggiamento preso sin dall'inizio dai popoli di fronte alle aggressioni delle potenze dell'Asse » e non ai governi. Essa iniziò « come guerra tra potenze imperialistiche aggressive (fasciste) e altre potenze imperialiste e non come guerra tra stati fascisti e stati antifascisti ».
Non è possibile, come fa Spriano, ridurre il « disfattismo rivoluzionario » a un'infelice parentesi, oltre la quale poteva riprendere la politica di Fronte, pur nelle nuove condizioni.
Il « disfattismo rivoluzionario » corrispondeva infatti alla situazione reale, nella quale i comunisti dei vari paesi dovevano porre al centro della loro azione la lotta contro la guerra, e quindi contro tutti i suoi fautori, non solo il fascismo ma anche i partiti socialdemocratici e piccolo-borghesi, che dall'alleanza con il proletariato rivoluzionario erano passati al blocco con la borghesia imperialista.
Con essi dunque non era nemmeno pensabile un accordo.
Certo anche nella svolta del « disfattismo rivoluzionario » ci fu chi, come alcuni comunisti tedeschi e francesi andò oltre, illudendosi che il patto di non-aggressione con l'URSS potesse essere duraturo, e anche lo stesso Stalin, pur prevedendo l'attacco nazista, riteneva che esso sarebbe venuto più tardi.
Quando il 22 giugno 1941 la Germania invase l'URSS, il carattere della guerra doveva subire una totale trasformazione, diventando da guerra imperialista guerra di liberazione antifascista, nella quale una funzione dirigente spettava all'Unione Sovietica e alla classe operaia dei vari paesi.
Già Lenin, in polemica con Bukharin, aveva previsto che, qualora se ne fosse presentata la necessità, il paese del socialismo avrebbe potuto entrare in un blocco militare capitalista, ma queste condizioni nel 1939 non erano assolutamente presenti, e ogni altro atteggiamento dell'URSS e della IC sarebbe stato di appoggio all'imperialismo.
Nelle complesse vicende degli anni della guerra, con la costituzione della Grande Alleanza, dei Fronti nazionali, e dello scioglimento dell'IC nel maggio del '43, vengono ripresi i motivi del VII Congresso, sebbene essi acquistino un diverso sviluppo e anche una diversa applicazione.
Con lo scioglimento dell'IC, che peraltro rispondeva alla necessità tattica di mettere fine, nel corso dello sforzo bellico, alle accuse degli alleati secondo le quali essa sarebbe stata uno strumento di ingerenza dell'URSS negli affari degli altri paesi, e alla nuova situazione storica di grande sviluppo delle varie sezioni nazionali, lo svolgimento della linea politica dei Partiti comunisti acquista un carattere non sempre omogeneo e corretto.
Si fanno strada interpretazioni opportuniste della tattica di Fronte unito, sia esso nazionale o popolare, che, frenate dalla costituzione del Kominform nel 1947, avranno via libera con la morte di Stalin, fino a portare, con il XX Congresso del PCUS nel 1956, alla completa degenerazione revisionista di gran parte del movimento comunista internazionale.

La Democrazia popolare


Rimangono da fare almeno alcuni cenni sul periodo successivo alla guerra, alla costituzione della democrazia popolare nei paesi dell'Est europeo.
La fine della guerra vide in quasi tutti i paesi l'esistenza di forti Partiti comunisti e di grandi movimenti popolari.
In campo internazionale la disfatta del nazi-fascismo e l'indebolimento dei vecchi imperialismi (Francia e Gran Bretagna) doveva conferire agli USA il ruolo di imperialismo egemone.
Il blocco tra potenze occidentali e URSS non poteva sopravvivere oltre le circostanze politico-militari che lo avevano determinato; così si dovevano spezzare, sotto la pressione degli Stati Uniti, molte esperienze di unità nazionale realizzatesi nei vari paesi europei durante la lotta di liberazione.
La vittoria dell'Unione Sovietica e l'aiuto dell'Armata Rossa furono le condizioni internazionali e militari che favorirono il distacco di parecchi paesi dell'Europa orientale dallo schieramento imperialista.
Ma questo non vuol dire che nell'Europa occidentale fosse impossibile la realizzazione di esperienze di democrazia progressiva e popolare.
In realtà i partiti comunisti dell'Europa occidentale non seppero comprendere il nuovo mutamento subito dalla situazione internazionale e, conseguentemente, il mutamento del ruolo assunto da varie formazioni politiche nazionali che, come la DC in Italia, si avviavano ad essere i nuovi rappresentanti organici della borghesia e dell'imperialismo.
In questi paesi la situazione politica non era riducibile all'alternativa tra la rivoluzione e il cedimento, ma comprendeva la possibilità di raggruppare le forze democratiche e operaie in Fronti popolari capaci di determinare forme di democrazia progressiva, in cui fossero spezzate le radici economiche e politiche del fascismo, il potere dei grandi monopoli e degli agrari, e la ricostruzione avvenisse sotto la direzione del proletariato.
O perlomeno era possibile raccogliere all'opposizione, nel Fronte popolare, la parte decisiva della popolazione per contrastare decisamente la politica di ricostruzione capitalistica e di asservimento all'imperialismo.
Ma molti Partiti comunisti caddero vittime dell'illusione costituzionale e parlamentare, si lasciarono strappare senza una decisa resistenza le posizioni conquistate, nel governo e nel paese.
Inoltre le esperienze di Fronte popolare che furono realizzate erano già viziate dall'opportunismo elettoralistico, e soprattutto erano coalizioni dove l'egemonia del proletariato non si esercitava effettivamente.
Così queste esperienze, alle prime sconfitte, crollarono nella delusione.
Ben differenti furono l'esperienza bulgara e quella cecoslovacca, a proposito delle quali riportiamo alcuni brani nell'antologia.
Occorrerà quindi soffermarci ancora a considerare le precise caratteristiche che al regime di democrazia popolare venivano attribuite dai Partiti comunisti di quei paesi.
Secondo Dimitrov la democrazia popolare poteva realizzarsi in forma dí stato democratico popolare, capace di assicurare lungo un periodo di transizione il cammino verso il socialismo.
Condizione di questo processo era la direzione della classe operaia sugli altri strati popolari che costituivano la base del regime di democrazia popolare, direzione che doveva esplicarsi compiutamente nella lotta implacabile, prima, per la distruzione del potere dei grandi monopoli e proprietari fondiari e, quindi, per la completa liquidazione degli elementi capitalistici.
Concludeva Dimitrov:
« Solamente procedendo senza deviazioni sulla via del socialismo, lo stato democratico popolare potrà rafforzarsi ed assolvere la sua missione storica. Se la democrazia popolare cessasse di combattere ed isolare gli elementi capitalistici essi non solo minerebbero le basi della democrazia popolare ma determinerebbero anche la sua sconfitta. »
La democrazia popolare veniva quindi concepita non già come un quadro immutabile ma come un terreno di ulteriore avanzamento per il proletariato, come una fase storica della lotta per il socialismo.
In particolari condizioni storiche essa doveva poi esercitare le funzioni stesse di dittatura del proletariato.
Sul piano politico-organizzativo la necessità di rafforzare la posizione dirigente del proletariato si traduceva nel consolidamento delle posizioni di direzione del Partito comunista.

L'eredità politica dei Fronti popolari


Abbiamo visto nel corso della nostra analisi storica, come la tattica del Fronte unito fu di volta in volta realizzata, ed abbiamo cercato di cogliere gli insegnamenti sia negativi che positivi delle varie esperienze.
Ci sembra in queste brevi conclusioni di dover richiamare ancora una volta l'attenzione su, di un punto, cioè sul significato generale della fase storica contrassegnata dal Fronte unito, proletario o popolare.
Poiché essa non può essere scambiata per un regime sociale intermedio fra capitalismo e socialismo, ne deriva la necessità di comprendere la complessità ed il carattere contraddittorio del processo storico che il Fronte unito determina.
In primo luogo non bisogna dimenticare che all'interno del Fronte unito, specialmente se allargato a strati non proletari, permangono contraddizioni, che se pur secondarie all'interno dell'alleanza, continuano ad operare e richiedono quindi di essere affrontate dalla avanguardia rivoluzionaria.
Questo vuol dire che è necessario mantenere sempre e rafforzare il ruolo di direzione del proletariato, e che questo ruolo per esercitarsi realmente non può rinunciare alla critica di tutte le posizioni sbagliate e inconseguenti.
All'interno del Fronte popolare si sviluppa la lotta di classe: essa deve essere trattata per quanto possibile con la critica e la autocritica; ma d'altra parte non bisogna dimenticare che l'evoluzione storica può sempre far mutare il carattere e il ruolo delle contraddizioni.
Contraddizioni che in una certa fase hanno carattere secondario e possono essere definite « in seno al popolo », possono successivamente divenire antagoniste, e quindi lungo l'evoluzione storica è sempre possibile una rottura del Fronte, alla quale il Partito comunista deve essere sempre preparato.
Recentemente il Partito comunista italiano ha spinto la sua revisione della politica condotta dall'Internazionale Comunista e dal partito stesso nel passato al totale ripudio dell'esperienza dei Fronti popolari, giungendo a formulare la proposta socialdemocratica del « compromesso storico », cioè del blocco con la borghesia monopolistica.
Questo fatto deve costituire per tutti i veri comunisti e per i sinceri rivoluzionari uno stimolo ad approfondire lo studio dell'esperienza e della politica di Fronte unito, per ricostruire nelle attuali condizioni storiche l'unità di classe e popolare necessaria per aprire in Italia la strada verso il socialismo.

FINE

 
Top
2 replies since 25/6/2012, 17:02   779 views
  Share