Comunismo - Scintilla Rossa

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view post Posted on 26/6/2012, 17:24 by: carre
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esperienza pratica, aveva subìto un'interpretazione opportunista, per reazione alla quale si formò nella KPD e nell'IC una forte corrente di sinistra, che univa tuttavia al suo interno orientamenti diversi.
Alle giuste critiche verso l'opportunismo di destra di Brandler e Thalheimer si mischiavano critiche più radicali, il cui vero scopo era rimettere in discussione tutta la validità generale della politica di Fronte unito.
Gramsci, già nel febbraio del '24, coglieva il vero significato degli avvenimenti tedeschi, la giustezza e anche le ambiguità delle critiche da esso suscitate:
« I due gruppi che in Germania si contendono la dirigenza del partito sono entrambi insufficienti e incapaci. Il gruppo della cosiddetta minoranza (Fischer-Maslow) rappresenta indubbiamente la maggioranza del proletariato rivoluzionario, ma esso non ha né la forza organizzativa necessaria per condurre una rivoluzione vittoriosa in Germania, né una direttiva ferma e sicura che garantisca da catastrofi ancora peggiori di quelle dell'ottobre. Esso è composto di elementi giovani nell'attività di partito, i quali si sono trovati in testa all'opposizione solo per l'assenza di dirigenti che è caratteristica della Germania. Il gruppo Brandler-Thalheimer è ideologicamente e come preparazione più forte del primo, ma anch'esso ha le sue debolezze che per certo riguardo sono molto più grandi e deleterie di quelle dell'altro gruppo. Brandler e Thalheimer sono diventati dei talmudisti della rivoluzione. Volendo trovare a tutti i costi alleati alla classe operaia hanno finito col trascurare la funzione della classe operaia stessa; volendo conquistare l'aristocrazia operaia controllata dai socialdemocratici hanno creduto di poter far ciò non già con lo svolgere un programma di carattere industriale, che si imperniasse sui Consigli di fabbrica e sul controllo, ma hanno voluto fare la concorrenza ai socialdemocratici nel campo della democrazia, portando alla degenerazione la parola d'ordine del governo operaio e contadino. » (Lettera di Gramsci a Togliatti e Terracini, in La formazione del gruppo dirigente del PCI, Editori Riuniti, Roma, 1971).
L'Ottobre tedesco stava inoltre a dimostrare che la socialdemocrazia era organicamente al servizio del grande capitale e che, non di rado, svolgeva direttamente una funzione di repressione del movimento rivoluzionario.
« I fascisti sono la mano destra e i socialdemocratici la mano sinistra della borghesia. Ecco il fatto nuovo... Il fatto essenziale è che la socialdemocrazia è diventata un'ala del fascismo. » (Zinoviev, citato in Seriano, Storia del PCI, vol. I, pag. 365, Einaudi).
Dalla constatazione, indubbiamente giusta, che nella nuova situazione il Fronte unito non poteva realizzarsi che dal basso, derivava l'improbabilità della formazione di Governi operai che non fossero sinonimi della dittatura del proletariato. Questa revisione tattica non avrebbe però dovuto infirmare la validità e l'importanza della politica di Fronte unito, come in qualche occasione avvenne.
Nella KPD la svolta avvenne troppo a sinistra, portando il partito su posizioni estremiste che gli costarono una perdita di influenza specie nei sindacati.
D'altra parte ogni sforzo dell'IC per riprendere una politica di Fronte unito con le organizzazioni socialdemocratiche cozzava contro la loro violenta opposizione.
Basti pensare ai fatti italiani del 1924, dove i socialisti rifiutarono la proposta comunista di fare dell'Aventino un antiparlamento appoggiato sulla lotta delle masse, opponendosi al ricorso allo sciopero generale. Oppure alla Germania dove la SPD, che era stata costretta ad accettare l'azione comune con i comunisti riguardo la questione delle proprietà degli Hoenzollern, successivamente spezzò l'unità realizzatasi giungendo a un accordo separato con gli ex monarchi.
Il continuo spostamento a destra dei socialdemocratici, che è alla origine della politica comunista della « classe contro classe », si accelerò intorno al 1927, con il loro ritorno al governo in Gran Bretagna, Danimarca, Cecoslovacchia, con l'appoggio della destra socialista polacca al fascista Pilsudski, con la denuncia e lo scioglimento da parte laburista del Comitato sindacale anglo-russo.
Per rendere un'idea del ruolo della socialdemocrazia in quegli anni bisogna pensare che, quasi contemporaneamente alla rottura delle relazioni diplomatiche della Gran Bretagna con l'URSS e alla conseguente minaccia britannica di aggressione, il « sinistro » Otto Bauer attribuiva ai sovietici il proposito imperialistico di scatenare la guerra, con l'aiuto degli « ingenui » sindacalisti inglesi!
In Italia, nel gennaio 1927, i dirigenti socialisti Colombine, D'Aragona e Rigola scioglievano la CGdL e dichiaravano il loro appoggio al regime fascista e alla sua politica « sindacale ».
E si potrebbe continuare a lungo, in questa lista di infamie della socialdemocrazia, ché, purtroppo, gli esempi non mancano.

Dal VI al VII Congresso dell'Internazionale Comunista


Il VI Congresso dell'IC, apertosi nel luglio del 1928, tracciava i lineamenti generali del periodo succeduto alla Rivoluzione d'Ottobre.
La risoluzione adottava la suddivisione in tre periodi successivi: il primo periodo, compreso negli anni 1918-1923, della grande crisi rivoluzionaria, il secondo periodo di relativa stabilizzazione del capitalismo, il terzo periodo, che si era ormai aperto, contrassegnato dalla ripresa dei contrasti fra i vari paesi capitalisti e del movimento rivoluzionario.
Quanto ai rapporti con la socialdemocrazia il VI Congresso riprendeva le argomentazioni del XV Congresso del PC(b) di sei mesi prima.
Veniva messo in rilievo il fallimento del centrismo, la necessità di condurre a fondo la lotta contro la socialdemocrazia, in particolare contro la sua ala « sinistra », che costituiva un ostacolo alla conquista al comunismo degli operai che si andavano rivoluzionarizzando. Era una ripresa della lotta contro il centrismo che partiva dalla constatazione dell'aprirsi di una nuova fase di giganteschi conflitti di classe.
In questo quadro va situata la lotta contro i « conciliatori » tedeschi, cioè il gruppo centrista raccolto intorno a Ewert che cercava di recuperare la vecchia destra del partito (Brandler-Thalheimer), dopo la rottura della sinistra e l'espulsione, avvenuta negli anni '25-26, del gruppo Maslow-Fischer.
La destra sosteneva che « l'ideologia centrista può essere per gli operai una tappa del loro cammino dal riformismo al comunismo », scontrandosi quindi direttamente con la valutazione dell'IC della necessità di condurre a fondo la lotta proprio contro la socialdemocrazia di « sinistra ».
Questo punto, in realtà, era stato oggetto di controversie all'interno della delegazione russa.
Nell'Assemblea plenaria del Comitato centrale del PC(b) dell'aprile del '29, Stalin rendeva pubblica la divergenza e i contrasti che avevano preceduto il VI Congresso:
« Nelle tesi di Bukharin si diceva che la lotta contro la socialdemocrazia è uno dei compiti principali delle sezioni dell'Internazionale comunista. Questo, evidentemente, è giusto. Ma è insufficiente. Perché la lotta contro la socialdemocrazia possa svilupparsi con successo è necessario porre in modo acuto il problema della lotta contro la cosiddetta ala 'sinistra' della socialdemocrazia, contro quell'ala 'sinistra' che, giocando con le frasi di 'sinistra' e abilmente ingannando gli operai frena il loro distacco dalla socialdemocrazia. È chiaro che senza debellare i socialdemocratici di 'sinistra' è impossibile vincere la socialdemocrazia in generale. Ciononostante, nelle tesi di Bukharin la questione della socialdemocrazia di 'sinistra' era lasciata completamente in disparte. »
Nello stesso discorso Stalin ricordava anche i contrasti circa la necessità della lotta alle tendenze conciliatrici, dimenticata da Bukharin, la cui posizione si presentava in sintesi come una deviazione di destra, che si esprimeva in tutte le questioni, sia di politica interna dell'URSS, sia di linea dell'IC, e che aveva a fondamento una diversa valutazione della fase storica attraversata:
« Dalle tesi di Bukharin risultava che nel momento attuale non c'è niente di nuovo che scuota la stabilizzazione capitalistica, che, al contrario, il capitalismo si sta ricostruendo e che la sua situazione è, in sostanza, più o meno solida. È chiaro che con tale caratteristica del cosiddetto terzo periodo, del periodo cioè che stiamo attraversando, la delegazione del PC(b) dell'URSS non poteva dichiararsi d'accordo. Essa non poteva dichiararsi d'accordo perché mantenendo tale caratteristica del terzo periodo si sarebbe permesso ai nostri critici di dire che ci poniamo dal punto di vista del cosiddetto « risanamento » del capitalismo, cioè dal punto di vista di Hilferding, punto di vista che noi comunisti non possiamo accettare. Perciò la delegazione del PC(b) dell'URSS propose un emendamento, da cui risulta che la stabilizzazione del capitalismo non è solida e non può esserlo, e che essa è e continuerà ad essere scossa nel corso degli avvenimenti, dato l'aggravarsi della crisi del capitalismo mondiale. Questa questione, compagni, ha un'importanza decisiva per le sezioni dell'IC. Si sfascia o si consolida la stabilizzazione del capitalismo? Da questo dipende tutto l'orientamento dei partiti comunisti nel loro lavoro politico quotidiano. Stiamo attraversando un periodo di declino del movimento rivoluzionario, un periodo di semplice raggruppamento delle forze, oppure stiamo attraversando un periodo in cui maturano le condizioni di una nuova ascesa rivoluzionaria, un periodo di preparazione della classe operaia alle prossime battaglie di classe? Da questo dipende la posizione tattica dei partiti comunisti. L'emendamento apportato dalla delegazione del PC(b) dell'URSS, accettato in seguito dal Congresso è tanto più giusto in quanto orienta chiaramente verso la seconda prospettiva, la prospettiva del maturare delle condizioni di una nuova ascesa rivoluzionaria. »
La tattica stabilita al VI Congresso riaffermava comunque la necessità di lottare per il Fronte unito proletario, sebbene nelle nuove condizioni che permettevano di operare efficacemente solo dal basso.
Sulla base dell'analisi svolta, è possibile ora porre la questione della continuità, il giudizio sul « socialfascismo », il rapporto tra VI e VII Congresso.
La storiografia revisionista, sulle tracce dell'articolo di Togliatti del 1959 su Alcuni problemi di storia dell'Internazionale, tende oggi a recuperare la concezione bukhariniana del terzo periodo. Togliatti (i cui legami, per un lungo periodo, con Bukharin sono ormai comunemente riconosciuti) opera una critica peraltro cauta e non diretta della politica condotta allora dall'IC, affermando che la tesi pur giusta dell'« inizio di un terzo periodo non sempre e non in tutti i partiti fu presa, giustamente, come la semplice premessa alla ricerca delle particolari modificazioni concrete che stavano maturando in ogni luogo, ma talora fu intesa in modo schematico, prendendo il posto della ricerca concreta. »
La critica risulta ambigua e nasconde il suo segreto.
E' vero infatti che interpretazioni schematiche della linea generale ci furono, ma è vero anche e soprattutto che proprio fra il VI e il VII Congresso, come più avanti ammette lo stesso Togliatti, si mutò radicalmente la disposizione delle forze nel campo operaio grazie alla grande capacità acquisita dai partiti comunisti di muoversi nei diversi contesti e nelle diverse situazioni. Il vero significato di questo riferimento critico può essere inteso solo in riferimento all'accusa di eccezionalismo che il PCd'I ricevette al X Plenum, eccezionalismo di cui Togliatti prende, a distanza di trent'anni, le difese.
Ma il centro della critica di Togliatti è costituito dall'attacco alla formula del « socialfascismo », allo stesso giudizio e all'orientamento dato dall'IC nella lotta contro il fascismo. « La mia opinione è che un ritardo e degli errori vi furono, e si manifestarono principalmente nella non tempestiva e completa valutazione della minaccia fascista e quindi un'errata impostazione dei problemi dell'unità d'azione e della posizione da prendersi nei confronti dei partiti socialdemocratici. L'errore più serio ritengo sia stata la definizione della socialdemocrazia come socialfascismo, ed errate furono le conseguenze politiche che ne derivavano. »
La questione del giudizio sul fascismo e quella della formula del « socialfascismo » vanno tenute separate, riconducendole peraltro allo svolgimento concreto dei fatti storici.
Il VI Congresso aveva affermato che, malgrado la fascistizzazione della socialdemocrazia fosse un processo reale, non era bene usare in modo indiscriminato il termine « socialfascismo ». Si affermava nel Programma dell'Internazionale Comunista, approvato al VI Congresso:
« Secondo quanto appunto esige la congiuntura politica la borghesia utilizza sia i metodi fascisti che i metodi dell'alleanza con la socialdemocrazia, mentre questa, in particolare in tempi critici per il capitalismo, non di rado svolge un ruolo fascista. Nel corso dell'evoluzione la socialdemocrazia rivela tendenze fasciste, il che però non esclude che in caso di mutamento della congiuntura politica si ponga contro il governo borghese come partito di opposizione ».
Il che precisamente avvenne.
Contrariamente a quanto affermato da Togliatti, e ripreso poi da Spriano, il termine « socialfascismo », adottato nella situazione successiva al VI Congresso, non era l'espressione ideologica di uno stato d'animo emotivo verso la socialdemocrazia, ma esprimeva il processo reale che si andava svolgendo, il cui momento culminante è rappresentato dalla strage del Primo maggio 1929 a Berlino, quando il socialdemocratico Zorgiebel si servì della polizia e della milizia paramilitare di partito per sciogliere una manifestazione comunista, uccidendo trentadue operai.
Il X Plenum, del luglio '29, registrava la situazione, usando, per la prima volta in una risoluzione ufficiale, il termine di « socialfascismo ».
Il fatto è che, intorno al 1929, il fascismo in Europa (tranne che per l'Italia) non si presentava ancora affatto come il nemico principale; ma invece la borghesia si serviva principalmente dei socialdemocratici per mantenere il potere e preparare la sua dittatura terroristica aperta.
Gli avvenimenti successivi al X Plenum confermarono che la strage del Primo maggio non era stato un episodio isolato, ma la precisa espressione del ruolo specifico assolto dalla socialdemocrazia.
La sottovalutazione del fascismo da parte dei Partiti comunisti, in particolare quello tedesco, è un momento successivo e appartiene al periodo in cui ormai l'orientamento fascista della borghesia stava prevalendo su quello che si appoggiava alla socialdemocrazia.
Una falsificazione ricorrente è quella di presentare la linea della « classe contro classe » come il semplice riflesso dell'orientamento di sinistra prevalso in Russia, con la sconfitta di Bukharin, l'industrializzazione accelerata e la collettivizzazione.
Essa fu invece il risultato della situazione storica e si sviluppò come corrente generale prevalente nei più importanti partiti comunisti europei.
Ma la falsificazione più vergognosa è quella (operata anche da Spriano) di addebitare alla politica condotta allora dall'Internazionale la responsabilità dell'ascesa del fascismo.
Malgrado le manifestazioni di settarismo che essa portò con sé in varie occasioni, la linea della « classe contro classe » rappresentò la lotta coerente e fondamentalmente giusta contro la politica socialdemocratica e borghese, che del fascismo fu la levatrice, la vera responsabile storica.
Senza questa tattica non sarebbe poi stato possibile, nelle nuove condizioni, arrivare alla costituzione dei Fronti popolari stessi. Secondo la concezione revisionista il Fronte popolare si presentò come il risultato di un incontro a metà strada tra socialdemocrazia e comunismo, sulla base del comune pentimento e di una nuova reciproca comprensione.
Il Fronte popolare invece fu esattamente l'opposto: fu la vittoria della politica rivoluzionaria del comunismo sul tragico fallimento storico della socialdemocrazia, fu la vittoria dell'unità rivoluzionaria sulla collaborazione di classe predicata dai riformisti, fu il risultato anche di tutta la politica precedente dell'Internazionale Comunista contro la socialdemocrazia.
Accade, nell'interpretazione della storia, ai nostri revisionisti come ai filosofi del vecchio materialismo di cui parla Marx nella prima tesi su Feuerbach: si potrebbe parafrasare l'espressione di Marx e dire che i revisionisti vedono gli oggetti, i fatti accaduti, ma non riescono a comprendere che essi sono il risultato dell'azione rivoluzionaria. In questo modo i revisionisti perdono ogni possibilità di spiegare l'evoluzione storica e politica, e finiscono di fatto per spiegarla solo nella sua staticità, o peggio come il risultato dell'azione meccanica delle leggi economiche capitalistiche e della borghesia.
La crisi economica mondiale, apertasi con il crollo della Borsa di New York il 24 ottobre 1929, portò con sé l'acutizzarsi dei contrasti di classe fra i paesi capitalisti e la tendenza della borghesia a cercare una soluzione nel fascismo e nella guerra.
Lo sviluppo del nazismo in Germania, non contrastato dalla socialdemocrazia, incapace di opporsi alle misure di progressiva fascistizzazione prese dai vari governi reazionari, poneva la KPD di fronte a nuovi problemi, che Thelmann affrontò all'XI Plenum dell'IC, ridefinendo il rapporto con la socialdemocrazia:
« Nel momento attuale come per il passato, per la Germania, nel quadro della nostra lotta di massa contro il capitalismo come nemico principale, il fascismo resta il nemico decisivo della lotta di classe, così come la socialdemocrazia resta l'ostacolo principale della lotta di classe contro il capitalismo, e quindi il nemico principale nel campo della classe operaia. »
Al di là di alcuni errori di settarismo e di sottovalutazione del pericolo fascista, denunciati anche da Dimitrov al VII Congresso (vedi L'Internazionale comunista e il fascismo, Edizioni Movimento Studentesco), nella KPD esisteva l'iniziativa per dare un nuovo impulso alla politica di Fronte unito, appellandosi anche alle organizzazioni socialdemocratiche, e non solo alla base.
Dal rifiuto dell'appoggio elettorale comunista contro i candidati nazisti in Prussia, al rifiuto di proclamare lo sciopero generale e infine alla capitolazione di fronte allo scioglimento del governo prussiano socialdemocratico, la SPD dimostra di preferire costantemente la disfatta e il tradimento all'unità d'azione, boicottando la forte spinta di base in questa direzione.
Gli ultimi atti vergognosi della socialdemocrazia tedesca furono il rifiuto dello sciopero generale proposto dalla KPD contro la nomina di Hitler a Cancelliere, il voto del gruppo parlamentare dell'SPD a favore della politica estera del Reich, con l'invito agli operai a partecipare assieme ai nazisti alle celebrazioni del Primo maggio, per arrivare all'espulsione degli ebrei dal partito in ossequio al razzismo hitleriano.
Malgrado il servilismo dimostrato, Hitler sciolse anche il partito socialdemocratico.
La sconfitta tedesca segna il fallimento storico della socialdemocrazia e dimostra che solo la lotta di classe conseguente può impedire l'ascesa del fascismo al potere. Si opera così l'inizio di una spaccatura nelle file socialdemocratiche e una forte radicalizzazione delle masse, che si esprime nell'appello del febbraio 1933 del PSI, del Partito laburista indipendente e della SAP a realizzare l'unità di lotta contro il fascismo, al quale l'Internazionale comunista risponde invitando i partiti fratelli a « compiere ancora almeno un tentativo per la creazione di un Fronte unico di lotta con le masse socialdemocratiche tramite i partiti socialdemocratici... ».
Ma la socialdemocrazia cercava di vincolare l'unità di lotta a un accordo preventivo fra le Internazionali, temendo altrimenti di perdere il controllo di parte dei partiti affiliati: in questo modo essa di fatto impediva la realizzazione del Fronte unico, divenuto ormai indispensabile nei vari paesi dove ne maturavano già le condizioni.
La sconfitta austriaca, dovuta ancora una volta alla politica di cedimento della socialdemocrazia che prima non si era opposta alle misure reazionarie di Dolfuss e quindi nel febbraio '34, quando la classe operaia aveva tentato una disperata resistenza, aveva lasciato isolato lo Schutbund, non chiamando alla lotta le grandi masse, doveva approfondire la crisi nel campo socialdemocratico.
Nello stesso tempo il comportamento eroico di Dimitrov, nel processo inscenato dai nazisti per l'incendio del Reichstag contribuì a rafforzare la corrente per l'unità d'azione con i comunisti.
Siamo così giunti alle soglie del VII Congresso.
Nei mesi che, vanno dal febbraio 1934 al luglio 1935, si sviluppa la politica di Fronte unico; la tattica della « classe contro classe » non viene immediatamente abbandonata.
Il processo di differenziazione all'interno della socialdemocrazia è ancora contraddittorio, e questo spiega le oscillazioni della tattica comunista.
Nel dicembre '34 Manuilskij, al Presidium dell'Esecutivo dell'IC, prende ufficialmente atto della nuova prospettiva:
« La tattica del Fronte unico: ecco una faccenda nuova... Abbiamo, in diversi paesi, tutta una serie di situazioni originali diverse. E a questo proposito, compagni, non possiamo porci di fronte alla soluzione dei compiti che ne derivano con le vecchie formulazioni consacrate, elaborate da una serie di anni... »
Nel momento in cui la socialdemocrazia nel suo complesso viveva una crisi senza precedenti, la socialdemocrazia di sinistra non si presentava più solo come una forza di copertura demagogica dell'opportunismo e del tradimento reale, ma stava a indicare un vero processo di radicalizzazione politica.
Doveva quindi mutare l'atteggiamento verso la socialdemocrazia di sinistra e in generale la configurazione che la linea di Fronte unito aveva assunto nel periodo della « classe contro classe ».
In Austria la socialdemocrazia passata all'illegalità si riorganizza sotto il nome di Partito socialista rivoluzionario, realizzando l'unità d'azione con il Partito comunista (cresciuto nell'illegalità da 3.000 a 16.000 membri nel giro di pochi mesi).
Interessante è l'evoluzione di Otto Bauer, che poneva, nel luglio 1936, la questione del partito unico del proletariato, indicando quali sue caratteristiche fondamentali l'accettazione della dittatura del proletariato e l'appoggio all'URSS.
Dopo lo scioglimento della Concentrazione Antifascista, si arriva, il 7 agosto 1934, alla firma del patto d'unità d'azione tra PCI e PSI.
Ma sono la Francia e la Spagna a fornire le due esperienze decisive per l'elaborazione della tattica del VII Congresso.
In Francia, in seguito al protrarsi della crisi economica che getta in una miseria crescente operai contadini e vasti strati di piccola borghesia, si sviluppa il movimento fascista, che culmina, il 6 febbraio 1934, nell'assalto al Palais Bourbon, sede della Camera e simbolo delle istituzioni parlamentari.
Di fronte alla minaccia fascista, si fa strada nella classe operaia una forte tendenza all'unità.
Una particolarità importante della situazione francese è data dal fatto che la classe operaia organizzata non è che una minoranza.
Il movimento spontaneo delle masse avrà quindi una forza determinante, infinitamente superiore che nella situazione tedesca, dove il controllo della socialdemocrazia sugli operai costitutiva l'ostacolo più grande alla realizzazione dell'unità di lotta.
In seguito alla manifestazione comunista del 9 gennaio, repressa nel sangue dalla polizia che uccideva dieci operai, lo sciopero generale del 12 si trasformava in una grande mobilitazione unitaria, vera e propria svolta politica verso l'unità d'azione che, malgrado le persistenti resistenze della SFIO, venne conclusa il 27 giugno.
Il PCF e la SFIO si impegnavano a lottare insieme contro il fascismo (disarmo delle leghe fasciste, presa di posizione contro il terrore fascista in Austria e in Germania), per la difesa delle libertà democratiche (liberazione di tutti i detenuti antifascisti, lotta contro i decreti-legge), per la rappresentanza proporzionale alle elezioni e contro i preparitivi di guerra. Quanto ai mezzi e ai metodi di lotta il patto diceva testualmente:
« ...la campagna sarà condotta a mezzo di meeting comuni, con manifestazioni e contromanifestazioni di massa. I militanti delle due organizzazioni si dovranno aiuto e assistenza reciproca. L'autodifesa delle riunioni e manifestazioni sarà organizzata in comune. Le manifestazioni comuni non dovranno degenerare in polemiche reciproche. Nel corso dell'azione nessuna critica sarà portata contro i militanti e le organizzazioni che vi partecipano lealmente, essendo scontato peraltro che ciascuno dei due partiti conserverà la propria indipendenza per sviluppare la propria propaganda, senza ingiurie e oltraggi verso l'altro partito e per assicurarsi il proprio reclutamento. »
Nel movimento che aveva condotto all'unità d'azione, una parte di primaria importanza era stata rivestita dagli intellettuali, che avevano saputo raccogliere con la loro iniziativa la spinta antifascista delle masse. Alla fine del marzo '34, prima ancora della firma del Patto, un « Comitato di vigilanza degli intellettuali antifascisti », promosso da Paul Rivet, Langevin, Alain e Pierre Gérome aveva pubblicato un manifesto antifascista che aveva avuto larga eco per il suo carattere unitario.
Nell'ottobre del '34 la politica di Fronte unito doveva ricevere uno sviluppo nuovo e decisivo, quando il Partito comunista pose la questione dell'allargamento dell'unità d'azione a strati e raggruppamenti piccolo-borghesi, per sottrarli all'influenza della demagogia fascista e schierarli decisamente al fianco della classe operaia.
Nelle elezioni municipali e cantonali dello stesso mese il Partito radicale subì una sconfitta, a cui s'accompagnò un aumento dei voti comunisti. Questo fatto, e soprattutto la pressione della base piccolo borghese del partito, sensibile alla propaganda comunista, costrinse i radicali ad accettare il Fronte popolare.
Il 15 maggio 1935 veniva firmato il patto Stalin-Laval, espressione della politica di pace dell'URSS che tendeva allora a costruire un sistema di sicurezza collettiva capace di isolare la Germania nazista.
Anche questo fatto di carattere internazionale doveva accelerare in Francia il processo di costruzione del Fronte.
Nel giugno 1935 il « Comitato internazionale contro la guerra e il fascismo », presieduto da Romain Rolland e da Henri Barbusse, lanciò la proposta di una grande manifestazione popolare per il 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia, a simboleggiare l'assunzione da parte del movimento antifascista guidato dalla classe operaia dell'eredità rivoluzionaria del popolo francese.
La manifestazione del 14 luglio riveste un'immensa importanza non solo per la sua riuscita (oltre mezzo milione persone sfilarono per le vie di Parigi ), ma anche perché dal suo comitato promotore doveva essere elaborato il programma del Fronte popolare, pubblicato nel gennaio del 1936 in vista delle elezioni.
Il programma, oltre la ripetizione degli obiettivi contenuti nel patto di unità d'azione, conteneva l'impegno alla nazionalizzazione delle industrie di guerra, alla riduzione dell'orario di lavoro, alla costituzione di un fondo nazionale per i disoccupati e per gli anziani, all'esecuzione di un piano di lavori pubblici, all'abrogazione dei decreti legge. Infine l'impegno alla lotta contro la speculazione, al sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli, alla riforma tributaria e del sistema finanziario.
Il programma, che faceva proprie gran parte delle rivendicazioni (peraltro mai portate avanti) dei radicali, incontrò molte resistenze fra i socialisti, secondo i quali il carattere limitato del programma corrispondeva alla volontà dei comunisti di coinvolgere comunque i radicali.
La SFIO tentava di mascherare la propria resistenza a tradurre il Fronte popolare nei termini della costituzione di organismi elettivi di base, unitari e su scala nazionale, e ad accettare quindi fino in fondo il terreno della lotta di massa, spostando il dibattito sulla questione del programma, al proposito del quale adottava una fraseologia di sinistra, proponendo ad esempio un piano generale di nazionalizzazioni.
La risposta di Thorez alle osservazioni e alla proposta socialista conteneva l'affermazione che un coerente programma di nazionalizzazioni è possibile solo se la classe operaia è in possesso del potere statale nella sua interezza, e non solo del governo.
Inoltre il PCF era contrario alla proposta socialista anche dal Punto di vista tattico: secondo i comunisti le scelte del programma dovevano essere in stretto rapporto con l'arco di forze sociali e politiche che era possibile e necessario coalizzare.
La politica comunista rispondeva alla convinzione che la fase attraversata non ponesse all'ordine del giorno la conquista del potere e lo smantellamento della struttura economica capitalistica, ma solo l'isolamento del fascismo e del grande capitale.
Questo non vuol dire che la concezione del Fronte popolare fosse esclusivamente difensiva, in quanto si riteneva da parte comunista che esso potesse costituire un momento essenziale di. accrescimento delle forze e quindi di preparazione alla rivoluzione proletaria.
Ma il legame tra i due momenti non poteva essere meccanico, e richiedeva di essere realizzato nella pratica.
Il radicale mutamento di quadro che si ebbe con la guerra e gli avvenimenti precedenti doveva interrompere l'esperienza dei Fronti in modo drammatico.
Quando, dopo l'aggressione nazista all'URSS, essa verrà ripresa, costituirà, nelle nuove condizioni, il punto di partenza per le masse di vari paesi per la conquista del potere.
In Spagna la CEDA, partito di destra intimamente legato all'Azione cattolica e agli ambienti monarchici e tradizionalisti, espressione delle classi dominanti, era diventata con le elezioni del 1933 il più forte gruppo parlamentare.
Mentre si sviluppava il movimento apertamente fascista della Falange, sotto la minaccia che la CEDA entrasse direttamente a far parte del governo per dare un colpo mortale alla Repubblica, si sviluppava contro l'attacco reazionario una forte tendenza all'unità fra le masse.
La decisione dei comunisti di entrare nelle Alianzas Obreras, che erano state fino allora semplici appendici del Partito socialista, doveva trasformare profondamente questi organismi.
Quando il 4 ottobre 1934 la CEDA entrò nel nuovo governo., le Alianzas riuscirono, in particolare nelle Asturie, dove raggruppavano oltre ai socialisti e ai comunisti anche gli anarchici, a mettersi alla testa della lotta. L'insurrezione antifascista si trasforma in rivoluzione, dispiegando tutte le energie e le capacità di organizzazione delle masse.
Basti pensare che gli insorti formarono un esercito di 30.000 uomini e riuscirono a costruire una vasta rete di organizzazione e propri organi di potere per alcune settimane.
Scrive Hajek:
« La resistenza dei minatori asturiani aveva provato che la sconfitta in una lotta armata è un male minore della capitolazione di fronte al fascismo. I loro combattimenti, in effetti, avevano fermato il processo di fascistizzazione in Spagna. » (Hajek, Storia dell'Internazionale Comunista, Editori Riuniti, Roma 1970).
Dall'esperienza unitaria dell'Ottobre doveva nascere il processo che porterà, nel gennaio del 1936, alla costituzione del Fronte popolare in Spagna.

Il VII Congresso dell'Internazionale Comunista


Il VII Congresso dell'IC fu preceduto da un intenso dibattito.
La necessità di rivedere la tattica incontrava ancora resistenze: anche per questo probabilmente la data del Congresso dovette essere spostata di un anno circa.
Ecco per cominciare, il giudizio riassuntivo che del VII Congresso dà Seriano:
« Con il rapporto Dimitrov noi assistiamo a un'opera che oscilla continuamente tra l'indicazione politica e l'affermazione ideologica, vale a dire che il relatore deve, per dare robustezza e slancio alla nuova svolta del movimento, porre in discussione, o meglio, sottoporre a revisione critica tutta una serie di punti, divenuti poi 'principi' indiscussi, che hanno regolato la condotta del Komintern da quasi un decennio: dal giudizio sulla socialdemocrazia a quello sul fascismo, dalla impostazione del fronte unico al concetto di fase intermedia. Questi aspetti sono quelli che più colpiscono e non tanto perché si introduca tutta una nuova serie di 'nuovi' principi o formulazioni dottrinali, ma perché essi appaiono come una condanna precisa di una linea e anche di un modo di pensare che hanno sorretto l'azione dei vari partiti comunisti. Dal 1924 per certi aspetti, dal 1928 per altri, il Komintern non aveva soltanto approfondito la propria antitesi ideale all'Internazionale socialista ma aveva sostenuto la progressiva identificazione della socialdemocrazia con il fascismo, aveva praticamente affermato che non esisteva differenza tra la dittatura di classe esercitata da una 'democrazia borghese' e quella messa in atto dai regimi fascisti o apertamente reazionari; aveva indicato come unica prospettiva valida la dittatura del proletariato, da attuare mediante l'instaurazione di un potere dei Soviet su modello russo, aveva negato — spesso in polemica asperrima con lo stesso Trotskij su questo punto — che fosse concepibile una fase intermedia, di alleanze con altre forze politiche di ispirazione democratica e socialista, aveva stabilito che la socialdemocrazia di sinistra era ancora peggiore di quella di destra. Ora le posizioni che esprime Dimitrov sono completamente differenti. Esse quasi mai assumono un valore generale di restaurazione della dottrina leninista o di stimolo a uno sviluppo creativo del marxismo: Sono piuttosto formulate come consigli tattici. »
Tutto il passo tende a stabilire un'antitesi generale tra il VII Congresso e la politica precedente, sia quella indicata dal V Congresso (1924), sia soprattutto quella indicata dal VI Congresso e dai successivi Plenum (dal X al XIII).
1. Il giudizio sulla socialdemocrazia e il « socialfascismo ». - Seriano fa finta di non vedere lo svolgimento storico reale intercorso tra il '28 e il '34, al termine del quale la socialdemocrazia non può più assolvere alla vecchia funzione di sostegno della borghesia, e al suo interno si forma un'ala sinistra disposta all'unità d'azione.
Questo spiega il passaggio a una nuova tattica, che Dimitrov caratterizza nel seguente modo:
« L'atteggiamento verso il Fronte unico segna la linea di demarcazione tra la parte reazionaria e i suoi strati che si rivoluzionarizzano. Il nostro aiuto a questi strati sarà tanto più efficace quanto più intensa sarà la lotta contro il campo reazionario della socialdemocrazia che fa blocco con la destra. E quanto più risolutamente i comunisti lotteranno per il Fronte unico con i partiti socialdemocratici, tanto più rapidamente si svolgerà nel campo della sinistra socialdemocratica il processo di differenziazione dei singoli elementi. La pratica della lotta di classe e la partecipazione dei socialdemocratici al movimento del Fronte unico diranno chi in questo campo è un elemento di 'sinistra' a parole, e chi invece è di fatto un elemento di sinistra. »
2. Il giudizio sul fascismo e la questione della « fase intermedia ». -Non è assolutamente vero che la Terza Internazionale abbia mai stabilito l'equazione tra democrazia borghese e fascismo.
Basti pensare proprio al XIII Plenum, dove vengono colte le caratteristiche proprie del fascismo di dittatura terroristica aperta, con una definizione di valore conclusivo.
Non è un caso che. messosi su questa strada, Spriano debba continuare nella falsificazione.
Commentando la definizione di Dimitrov (« L'avvento del fascismo al potere non è un'ordinaria sostituzione di un governo borghese con un altro, ma è il cambiamento di una forma statale del dominio di classe della borghesia — la democrazia borghese — con un'altra sua forma, con la dittatura terroristica aperta... ») Spriano afferma:
« Si nota subito il cambiamento di giudizio intervenuto o almeno lo sviluppo della definizione staliniana adottata dall'Internazionale nel 1934 secondo cui il fascismo è la dittatura della parte più terroristica, sciovinista e imperialista del capitale. »
A questa affermazione di Spriano noi ci accontenteremo di opporre quanto affermato da Togliatti nel corsivo di presentazione al suo scritto A proposito del fascismo:
« Il dibattito circa la natura del fascismo fu risolto da Stalin quando egli lo definì, nel 1933, nella XIII riunione plenaria del CE dell'IC, 'dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialisti del capitale finanziario'. »
Il preteso « cambiamento di giudizio » non si nota affatto, non esiste. Il fatto è che Spriano intende in modo « particolare » l'affermazione secondo la quale « il fascismo non è un'ordinaria sostituzione di un governo borghese con un altro », la intende come separazione completa della democrazia borghese dal fascismo, operando una contrapposizione assoluta dei due termini in linea di principio e « dimenticando » così che il fascismo nasce e si sviluppa dal seno della democrazia borghese stessa.
Spriano cerca di cancellare proprio l'affermazione del XIII Plenum che dice:
« Il fascismo, nato in seno alla democrazia borghese, è agli occhi dei capitalisti una tavola di salvezza contro lo sfacelo del capitalismo. Non è che per ingannare e disarmare gli operai che la socialdemocrazia nega la fascistizzazione della democrazia borghese e contrappone in linea di principio i paesi della democrazia ai paesi della dittatura fascista. »
Che la nostra non sia una calunnia verso Spriano è dimostrato anche dalla sua osservazione a proposito del patto Ribbentrop-Molotov, quando egli formula l'interrogativo se Stalin sia « davvero convinto che esista quella differenza di sostanza tra stati democratici e stati fascisti proclamata al VII Congresso » (!).
Spriano « dimentica » precisamente che democrazia borghese e fascismo sono due forme della dittatura della borghesia e che la differenza tra di esse non è « di sostanza », non consiste nel contenuto di classe, ma nel fatto che la prima mantiene le forme democratiche (borghesi) e la seconda le sopprime, usando il terrorismo aperto.
Tutta l'impostazione del rapporto di Dimitrov stabilisce proprio il legame tra democrazia borghese e fascismo, che si esprime nel processo di fascistizzazione delle strutture statali.
È naturale che i revisionisti intendano mettere in ombra questo processo, diretta conseguenza della fase storica finale attraversata dall'imperialismo, perché esso contraddice direttamente alle loro tesi dell'attenuarsi dei conflitti di classe e del passaggio pacifico al socialismo.
Dimitrov sottolinea invece la necessità di concepire l'ascesa al potere del fascismo come un processo storico contrassegnato da lotte anche all'interno della borghesia e dalla progressiva instaurazione di misure reazionarie preparatorie.
« In realtà, il fascismo giunge ordinariamente al potere attraverso una lotta, talvolta acuta, con i vecchi partiti borghesi o con una determinata parte di essi, attraverso una lotta nel campo fascista stesso, lotta che, in qualche caso conduce fino a conflitti armati [ ...] Tutto ciò non diminuisce comunque l'importanza del fatto che, prima dell'instaurazione della dittatura fascista, i governi borghesi, ordinariamente, attraversano una serie di tappe preparatorie e instaurano una serie di misure reazionarie, le quali favoriscono direttamente l'ascesa del fascismo al potere. Chi non lotta durante queste tappe preparatorie contro le misure reazionarie della borghesia e contro il fascismo, non è in grado di impedire, anzi favorisce la vittoria del fascismo. »
Nell'interpretazione storica di Spriano noi dobbiamo vedere la giustificazione pura e semplice dell'analisi e dell'azione politica dell'attuale direzione del PCI che riduce il fascismo a espressione dei settori parassitarie « arretrati », separando così la lotta al fascismo dalla lotta contro il capitalismo e il suo partito organico, la DC.
Si nega il processo di fascistizzazione per giustificare la politica di accordo con la DC, per sottrarsi al compito di combattere coerentemente i continui provvedimenti reazionari presi dai suoi governi.
Si fa ritorno alla concezione socialdemocratica kautskyana del capitalismo monopolistico e dell'imperialismo: l'equazione tra monopoli e sviluppo delle forze produttive, l'illusione di potersi accordare con essi per superare i vecchi mali della società e sviluppare, assieme alle forze produttive, la democrazia e la pace.
Quanto alla questione della « fase intermedia », essa ci riporta al dibattito apertosi dopo il VI Congresso, intorno al terzo periodo. Contrariamente alla giusta previsione di Stalin e dell'Internazionale del venir meno della stabilizzazione e dell'acutizzarsi della lotta di classe, Bukharin prevedeva un rallentamento storico del processo rivoluzionario e la possibilità che si verificassero soluzioni intermedie, democratico-riformiste, nei paesi europei.
Spriano confonde deliberatamente questa polemica con la questione teorica generale della natura della fase politica caratterizzata dalla formazione del Fronte popolare.
La costituzione del Fronte popolare non è la soluzione definitiva e duratura dei problemi delle masse, e non può essere contrapposta alla dittatura del proletariato.
Spriano contrappone il Fronte popolare alla dittatura del proletariato, perché nella concezione revisionista il Fronte popolare è visto come un regime sociale intermedio tra dittatura del proletariato (alla quale del resto si rinuncia) e dittatura della borghesia.
3. La questione della democrazia e dell'atteggiamento verso di essa. - La valutazione generale da cui parte Dimitrov nell'impostazione del problema è contenuta nel passo in cui afferma che « ... le masse lavoratrici, in molti paesi capitalisti, devono scegliere in concreto, per il momento presente, non già tra la dittatura proletaria e la democrazia borghese, ma tra la democrazia borghese e il fascismo. »
L'atteggiamento tattico verso la democrazia borghese muta a seconda della situazione storica, pur rimanendo fermo l'obiettivo strategico (verso il quale la tattica dev'essere indirizzata) della dittatura del proletariato.
Dimitrov fa l'esempio dell'Ottobre 1917, quando « i bolscevichi russi lottarono a morte contro tutti i partiti politici che prendevano posizione contro l'instaurazione della dittatura del proletariato in nome della difesa della democrazia borghese. I bolscevichi hanno lottato contro questi partiti, perché la bandiera della democrazia borghese era allora divenuta la bandiera della mobilitazione di tutte le forze controrivoluzionarie per la lotta contro la vittoria del proletariato. »
La rivendicazione delle libertà democratiche non viene fatta propria dai partiti comunisti in quanto essi hanno rinunciato alla lotta per la dittatura del proletariato, ma proprio perché attraverso la lotta per la difesa e lo sviluppo della democrazia il proletariato può e deve educare le masse alla lotta rivoluzionaria contro la borghesia, e condurle, attraverso l'esperienza diretta, alla comprensione della necessità di una forma più alta di democrazia, la democrazia sovietica, la dittatura del proletariato.
4. Il significato generale della svolta del VII Congresso. - Gli storici e i dirigenti revisionisti presentano il VII Congresso non solo come una revisione radicale di tutta la tattica precedente, ma come l'inizio di una nuova concezione strategica. Dice Spriano: « L'appuntamento del VII Congresso concorre a rendere molto più esplicita una revisione generale, non soltanto di parole d'ordine tattiche ma persino di una concezione generale dello sviluppo strategico della lotta. »
Più esplicitamente afferma Natta: « L'elaborazione e la prassi del PCI in particolare nel periodo tra il VII Congresso della IC, la guerra di Spagna e quella mondiale, erano venute riconoscendo e affermando, in sostanza, l'idea non solo di un diverso tempo storico rispetto all'ottobre sovietico, ma anche, per usare i termini di Gramsci, di un diverso terreno strategico: e dunque il valore del momento del quadro nazionale della lotta rivoluzionaria, il valore non tattico, ma strategico, che di fronte al nazismo e al fascismo assume la questione dell'unità di classe e politica, il rilievo del rapporto organico tra democrazia e socialismo e della lotta per la democrazia. »
Come affermavamo all'inizio, ci troviamo di fronte al tentativo di snaturare il significato del VII Congresso, presentandolo come il progenitore delle cosiddette « vie nazionali al socialismo », in primo luogo della « via italiana al socialismo ».
Il « rapporto organico tra democrazia e socialismo » va inteso, interpretando il « vago » linguaggio revisionista, nel senso che la democrazia (borghese) non è per il PCI solo un terreno tattico favorevole alla lotta del proletariato per la conquista del potere, ma il quadro insuperabile al cui interno si realizza l'emancipazione del proletariato.
Idealizzazione della democrazia borghese, rinuncia alla dittatura del proletariato e alla preparazione del proletariato alla rivoluzione: solo questo intendono dire i revisionisti, ricalcando con minore originalità l'affermazione di Togliatti al X Congresso del PCI, secondo cui la valutazione « non si pone oggi agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia » era affermazione non di carattere tattico e contingente ma « di natura programmatica ».
(continua) ....
 
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2 replies since 25/6/2012, 17:02   779 views
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