Comunismo - Scintilla Rossa

Differenza tra trotzkisti e leninisti, perchè si accusano a vicenda

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Leonid Brezhnev
view post Posted on 6/9/2011, 16:22 by: Leonid Brezhnev




CITAZIONE
E se i contadini che sono la stragrande maggioranza vengono esclusi, chi la fa la rivoluzione?

La quantità della popolazione contadina è variabile a seconda del paese in questione. La Rivoluzione è Proletaria, in virtù dell'antagonismo fra la Borghesia ed il Proletariato, ed i contadini dovrebbero essere considerati la riserva del Proletariato:
A tal proposito cito Stalin, nell'opera intitolata "Princìpi del Leninismo":

V. La questione contadina

Di questo tema tratterò quattro questioni: a) la impostazione del problema; b) i contadini durante la rivoluzione democratica borghese; c) i contadini durante la rivoluzione proletaria; d) i contadini dopo il consolidamento del potere sovietico.

1) Impostazione del problema. Alcuni pensano che l’essenziale del leninismo sia la questione contadina, che il punto di partenza del leninismo sia la questione dei contadini, della loro funzione, del loro peso specifico. Ciò è assolutamente falso. La questione essenziale del leninismo, il suo punto di partenza, non è la questione contadina, ma quella della dittatura del proletariato, delle condizioni della conquista e del consolidamento di questa dittatura. La questione contadina, come questione di un alleato del proletariato nella sua lotta per il potere, è una questione derivata.
Questa circostanza, però, non le toglie nulla della grande importanza, della palpitante attualità che essa ha, senza dubbio, per la rivoluzione proletaria. È noto che una seria elaborazione della questione contadina nelle file dei marxisti russi incominciò precisamente alla vigilia della prima rivoluzione (1905), quando il problema dell’abbattimento dello zarismo e della realizzazione dell’egemonia del proletariato si poneva davanti al partito in tutta la sua ampiezza, e il problema di stabilire chi sarebbe stato alleato del proletariato nell’imminente rivoluzione borghese aveva assunto un carattere di palpitante attualità. È pure noto che la questione contadina in Russia assunse un carattere ancor più attuale durante la rivoluzione proletaria, allorché, partendo dal problema della dittatura del proletariato, della conquista e del mantenimento di essa, si arrivò a porre il problema degli alleati del proletariato nell’imminente rivoluzione proletaria. E la cosa si capisce: chi marcia e si prepara a prendere il potere, non può non interessarsi della questione dei propri alleati effettivi.
In questo senso, la questione contadina è una parte della questione generale della dittatura del proletariato ed è, come tale, una delle questioni più palpitanti del leninismo.
L’atteggiamento indifferente e persino apertamente negativo dei partiti della II Internazionale verso la questione contadina non si spiega soltanto con le speciali condizioni di sviluppo dell’Occidente. Esso si spiega soprattutto col fatto che questi partiti non hanno fiducia nella dittatura del proletariato, hanno paura della rivoluzione e non pensano a portare il proletariato al potere. E chi ha paura della rivoluzione, chi non vuole portare i proletari al potere, non può interessarsi del problema degli alleati del proletariato nella rivoluzione; per lui il problema degli alleati è privo d’interesse, privo di attualità. L’atteggiamento ironico degli eroi della II Internazionale verso la questione contadina è considerato da loro come indice di belle maniere, indice di marxismo «genuino». In realtà, in tale atteggiamento non c’è ombra di marxismo, perché l’indifferenza, alla vigilia della rivoluzione proletaria, per una questione di tanta importanza qual è la questione contadina, è il correlativo della negazione della dittatura del proletariato, è un indice innegabile di tradimento aperto del marxismo.
La questione si pone così: sono già esaurite, oppure no, le possibilità rivoluzionarie che si nascondono in seno alla massa contadina in conseguenza di determinate condizioni della sua esistenza, e se non sono esaurite, esiste una speranza, una ragione di utilizzare queste possibilità per la rivoluzione proletaria, di fare dei contadini, della loro maggioranza sfruttata, non più una riserva della borghesia, come furono durante le rivoluzioni borghesi dell’Occidente e come continuano a essere tutt’ora, ma una riserva del proletariato, un suo alleato?
Il leninismo risponde a questa domanda affermativamente, cioè nel senso di riconoscere l’esistenza di capacità rivoluzionarie nella maggioranza dei contadini, e nel senso di ritenere possibile utilizzare queste capacità nell’interesse della dittatura proletaria. La storia di tre rivoluzioni in Russia conferma pienamente le conclusioni del leninismo a questo proposito.
Di qui la conclusione pratica circa la necessità di sostenere, disostenere obbligatoriamente le masse lavoratrici dei contadini nella loro lotta control’asservimento e lo sfruttamento, nella loro lotta per sbarazzarsi dell’oppressione e della miseria. Ciò non vuol dire, naturalmente che il proletariato debba appoggiare qualsiasi movimento contadino. Si tratta di appoggiare quel movimento e quella lotta dei contadini che, direttamente o indirettamente, agevolino il movimento di emancipazione del proletariato, che in una maniera o in un’altra portino acqua al mulino della rivoluzione proletaria, che contribuiscano a fare dei contadini una riserva e un alleato della classe operaia.

2) I contadini durante la rivoluzione democratica borghese. Questo periodo abbraccia l’intervallo di tempo che va dalla prima rivoluzione russa (1905) alla seconda (febbraio 1917) inclusa. Tratto caratteristico di questo periodo è la liberazione dei contadini dall’influenza della borghesia liberale, il distacco dei contadini dai cadetti, la svolta dei contadini verso il proletariato, verso il partito bolscevico. La storia di questo periodo è la storia della lotta tra i cadetti (borghesia liberale) e i bolscevichi (proletariato) per i contadini. Il periodo delle Dume decise dell’esito di questa lotta, poiché il periodo delle quattro Dume fu una lezione di cose per i contadini, e questa lezione mostrò loro all’evidenza che essi non avrebbero ricevuto dalle mani dei cadetti nè la terra, nè la libertà, che lo zar era interamente ligio ai grandi proprietari fondiari e i cadetti sostenevano lo zar, che la sola forza sull’appoggio della quale i contadini potevano contare erano gli operai delle città, il proletariato. La guerra imperialista non fece che confermare gl’insegnamenti di questo periodo delle Dume, rese completo il distacco dei contadini dalla borghesia, perché gli anni della guerra dimostrarono quanto fosse vana, illusoria, la speranza di ottenere la pace dallo zar e dai suoi alleati borghesi. Senza le lezioni politiche del periodo della Duma, l’egemonia del proletariato sarebbe stata impossibile.
Così si creò l’alleanza degli operai e dei contadini nella rivoluzione democratica borghese. Così si realizzò l’egemonia (direzione) del proletariato nella lotta comune per l’abbattimento dello zarismo, egemonia che portò alla Rivoluzione di febbraio del 1917.
Le rivoluzioni borghesi d’Occidente (Inghilterra, Francia, Germania, Austria) seguirono, com’è noto, un’altra via. In queste rivoluzioni l’egemonia non appartenne al proletariato, che per la sua debolezza non rappresentava e non poteva rappresentare una forza politica indipendente, ma alla borghesia liberale. Ivi i contadini non ricevettero la liberazione dal regime feudale dalle mani del proletariato, che era poco numeroso e disorganizzato, ma dalle mani della borghesia. Ivi i contadini marciarono contro il vecchio regime insieme alla borghesia liberale. Ivi i contadini costituivano una riserva della borghesia e la rivoluzione portò, in conseguenza di ciò, a un enorme aumento del peso politico della borghesia.
In Russia, al contrario, la rivoluzione borghese dette risultati diametralmente opposti. La rivoluzione, in Russia, non portò a un rafforzamento, ma ad un indebolimento della borghesia come forza politica, non ad un aumento delle sue riserve politiche, ma alla perdita della sua riserva fondamentale, alla perdita dei contadini. La rivoluzione borghese in Russia spinse in primo piano non la borghesia liberale, ma il proletariato rivoluzionario, raccogliendo attorno ad esso milioni e milioni di contadini.
Questo spiega, tra l’altro, il fatto che la rivoluzione borghese in Russia si è trasformata in rivoluzione proletaria in un periodo di tempo relativamente breve. L’egemonia del proletariato fu il germe della dittatura del proletariato, costituì il passaggio alla dittatura proletaria.
Come si spiega questo fenomeno originale della rivoluzione russa, il quale non ha precedenti nella storia delle rivoluzioni borghesi in Occidente? Da che proviene questa originalità?
Essa si spiega col fatto che la rivoluzione borghese si sviluppò in Russia in un momento in cui le condizioni della lotta di classe erano più sviluppate che in Occidente, col fatto che il proletariato russo era già riuscito, in quel momento, a costituirsi in forza politica indipendente, mentre la borghesia liberale, spaventata dallo spirito rivoluzionario del proletariato, aveva perduto ogni parvenza di spirito rivoluzionario (soprattutto dopo gli insegnamenti del 1905) e si era alleata con lo zar e coi grandi proprietari fondiari contro la rivoluzione, contro gli operai e i contadini.
Occorre tener conto delle seguenti circostanze che hanno determinato l’originalità della rivoluzione borghese russa:
a) La concentrazione inaudita dell’industria russa alla vigilia della rivoluzione. È noto, per esempio, che nelle aziende con più di 500 operai lavorava in Russia il 54 per cento del totale degli operai, mentre, in un paese sviluppato come l’America settentrionale, nelle aziende di grandezza analoga non lavorava che il 33 per cento del totale degli operai. Non occorre dimostrare che questa sola circostanza, data l’esistenza di un partito rivoluzionario come il partito dei bolscevichi, aveva fatto della classe operaia russa la più grande forza della vita politica del paese;
b) Le forme scandalose di sfruttamento nelle officine, unite all’intollerabile regime poliziesco degli aguzzini dello zar: circostanza che trasformava ogni sciopero serio degli operai in un atto politico di enorme importanza e temprava la classe operaia come forza rivoluzionaria fino all’ultimo;
c) La fiacchezza politica della borghesia russa, diventata, dopo la rivoluzione del 1905, servilismo verso il regime zarista e aperto atteggiamento controrivoluzionario, il che si spiega non solo con lo spirito rivoluzionario del proletariato russo che aveva respinto la borghesia russa nelle braccia dello zarismo, ma anche con la dipendenza diretta di questa borghesia dalle ordinazioni dello stato;
d) L’esistenza delle più scandalose e intollerabili sopravvivenze del regime feudale nella campagna, a cui si aggiungeva la onnipotenza del proprietario fondiario: circostanza che spinse i contadini nelle braccia della rivoluzione;
e) Lo zarismo, che comprimeva tutte le forze vive ed esasperava, col suo arbitrio, il giogo del capitalista e del proprietario fondiario: circostanza che faceva confluire in un’unica fiumana rivoluzionaria la lotta degli operai e dei contadini;
f) La guerra imperialista, che fuse tutte queste contraddizioni della vita politica della Russia in una profonda crisi rivoluzionaria e dette alla rivoluzione una formidabile forza propulsiva.
Dove potevano batter la testa i contadini in queste condizioni? Presso chi cercare un appoggio contro la onnipotenza del proprietario fondiario, contro il potere arbitrario dello zar, contro la guerra funesta che li rovinava economicamente? Presso la borghesia liberale? Ma questa era loro nemica: la lunga esperienza di tutte e quattro le Dume lo dimostrava. Presso i socialisti-rivoluzionari? I socialisti-rivoluzionari, certo, sono «migliori» dei cadetti, e hanno un programma più «conveniente», quasi contadino, ma che cosa possono dare i socialisti-rivoluzionari, dal momento che pensano di appoggiarsi solo sui contadini e sono deboli nella città, donde innanzi tutto l’avversario attinge le sue forze? Dov’è la nuova forza che non si arresterà davanti a nessun ostacolo, nè nella campagna, nè nella città, che marcerà arditamente in prima fila nella lotta contro lo zar e il proprietario fondiario, che aiuterà i contadini a liberarsi dall’asservimento, dalla fame di terra, dall’oppressione, dalla guerra? Esisteva in Russia, in generale, una forza simile? Sì, esisteva. Questa forza era il proletariato russo, che già nel 1905 aveva mostrato la sua potenza, la sua capacità di condurre la lotta sino all’ultimo, il suo coraggio, il suo spirito rivoluzionario.
In ogni caso, un’altra forza simile non esisteva e non si sarebbe potuto trovarla da nessuna parte.
Ecco perché i contadini, dopo essersi scostati dai cadetti e accostati ai socialisti-rivoluzionari, finirono per comprendere la necessità di mettersi sotto la direzione di un capo rivoluzionario così valoroso, quale era il proletariato russo.
Queste sono le circostanze che determinarono la originalità della rivoluzione borghese russa.

3) I contadini durante la rivoluzione proletaria. Questo periodo abbraccia l’intervallo di tempo che corre dalla Rivoluzione di Febbraio (1917) a quella di Ottobre (1917). Questo periodo è relativamente breve, otto mesi in tutto, ma questi otto mesi, dal punto di vista della formazione politica e dell’educazione rivoluzionaria delle masse, possono bene esserparagonati a interi decenni di sviluppo costituzionale normale, perché sono otto mesi di rivoluzione.Il tratto caratteristico di questo periodo è l’aumento dello spirito rivoluzionario dei contadini, il crollo delle loro illusioni sui socialisti-rivoluzionari, il loro distacco dai socialisti-rivoluzionari, la nuova svolta dei contadini, che tendono a stringersi direttamente attorno al proletariato, unica forza rivoluzionaria sino all’ultimo, capace di portare il Paese alla pace. La storia di questo periodo è la storia della lotta tra i socialisti-rivoluzionari (democrazia piccolo-borghese) e i bolscevichi (democrazia proletaria) per i contadini, per la conquista della maggioranza dei contadini. La sorte di questa lotta fu decisa dal periodo della coalizione, dal periodo del governo di Kerenski (22), dal rifiuto dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi di confiscare la terra dei grandi proprietari fondiari, dalla lotta dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi per continuare la guerra, dall’offensiva di giugno al fronte, dalla pena di morte per i soldati, dalla rivolta di Kornilov (23).
Se prima, nel periodo precedente, la questione essenziale della rivoluzione era stata quella del rovesciamento dello zar e del potere dei grandi proprietari fondiari, ora, nel periodo successivo alla Rivoluzione di Febbraio, quando non v’era più zar, ma la guerra interminabile stremava l’economia nazionale dopo aver rovinato completamente i contadini, la liquidazione della guerra diventava il problema fondamentale della rivoluzione. Il centro di gravità si era spostato in modo manifesto dalle questioni di carattere puramente interno a una questione fondamentale, quella della guerra. «Finire la guerra», «uscire dalla guerra», era il grido generale del paese esausto e, soprattutto, dei contadini.
Ma per uscire dalla guerra era necessario rovesciare il governo provvisorio, era necessario rovesciare il potere della borghesia, era necessario rovesciare il potere dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, perché essi, ed essi soltanto, si sforzavano di far durare la guerra fino alla «vittoria finale». Altra via di uscita dalla guerra all’infuori del rovesciamento della borghesia, in pratica, non esisteva.
Si ebbe una rivoluzione nuova, una rivoluzione proletaria, perché precipitò dal potere l’ultima frazione della borghesia imperialista, la frazione di estrema sinistra, il partito dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, per creare un potere nuovo, proletario, il potere dei Soviet, per portare al potere il partito del proletariato rivoluzionario, il partito dei bolscevichi, il partito della lotta rivoluzionaria contro la guerra imperialista, per una pace democratica. La maggioranza dei contadini appoggiò la lotta degli operai per la pace, per il potere dei Soviet.
Altra via di uscita per i contadini non esisteva. Altra via di uscita non poteva esistere.
Il periodo del governo di Kerenski, fu in tal modo, una grandiosa lezione di cose per le masse lavoratrici contadine, poiché dimostrò all’evidenza che, finche il potere fosse rimasto nelle mani dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, il paese non sarebbe uscito dalla guerra e i contadini non avrebbero ricevuto nè terra, nè libertà; dimostrò che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari differivano dai cadetti solo per i loro discorsi dolciastri e per le loro promesse ipocrite, ma di fatto perseguivano la stessa politica imperialista, la politica dei cadetti; dimostrò che il solo potere capace di rimettere il paese in carreggiata non poteva essere che il potere dei Soviet. L’ulteriore prolungarsi della guerra non fece che confermare la giustezza di questa lezione, stimolò la rivoluzione e spinse le masse di milioni di contadini e di soldati a stringersi direttamente attorno alla rivoluzione proletaria. L’isolamento dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi divenne un fatto irrevocabile. Senza le lezioni pratiche del periodo della coalizione la dittatura del proletariato sarebbe stata impossibile.
Queste sono le circostanze che hanno agevolato il processo di trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione proletaria.
Così si venne formando la dittatura del proletariato in Russia.

4) I contadini dopo il consolidamento del potere sovietico. Se prima, nel primo periodo della rivoluzione, si era trattato principalmente di rovesciare lo zarismo, e in seguito, dopo la Rivoluzione di Febbraio, si era trattato, prima di tutto, di uscire dalla guerra imperialista mediante l’abbattimento della borghesia, ora invece, liquidata la guerra civile e consolidato il potere sovietico, passavano in primo piano i problemi dell’edificazione economica. Rafforzare e sviluppare l’industria nazionalizzata, collegare a tal fine l’industria con l’economia contadina attraverso il commercio regolato dallo stato, sostituire al prelevamento delle derrate eccedenti l’imposta in natura, allo scopo di arrivare in seguito, diminuendo progressivamente l’imposta in natura, allo scambio dei prodotti dell’industria coi prodotti dell’agricoltura; rianimare il commercio e sviluppare la cooperazione facendo partecipare a quest’ultima milioni di contadini: ecco come Lenin tracciava i compiti della edificazione economica per la costruzione delle basi dell’economia socialista.
Si dice che questi compiti possono rivelarsi superiori alle forze di un paese contadino come la Russia. Alcuni scettici dicono persino che essi sono puramente utopistici, irrealizzabili, perché i contadini sono contadini, cioè piccoli produttori, e non possono perciò essere utilizzati per organizzare le fondamenta della produzione socialista.
Ma gli scettici s’ingannano, perché non tengono conto di alcune circostanze che hanno, nel caso in questione, un’importanza decisiva. Vediamo le principali di queste circostanze.
In primo luogo. Non si possono confondere i contadini dell’Unione Sovietica con i contadini dell’Occidente. I contadini che sono passati attraverso la scuola di tre rivoluzioni, che hanno lottato contro lo zar e il potere della borghesia insieme al proletariato e sotto la direzione del proletariato, i contadini che hanno ottenuto la terra e la pace dalla rivoluzione proletaria e sono diventati, per questo, una riserva del proletariato, questi contadini non possono non essere diversi dai contadini che hanno combattuto durante la rivoluzione borghese sotto la direzione della borghesia liberale, che hanno ricevuto la terra dalle mani di questa borghesia e sono diventati, per questo, una riserva della borghesia. Non occorre dimostrare che i contadini sovietici, abituati ad apprezzare l’amicizia politica e la collaborazione politica del proletariato, debitori della loro libertà a questa amicizia e a questa collaborazione, non possono non costituire un materiale straordinariamente favorevole per la collaborazione economica col proletariato.
Engels diceva che «la conquista del potere politico da parte del partito socialista è diventata un compito del prossimo avvenire», che «allo scopo di conquistarlo, il partito deve incominciare ad andare dalla città alla campagna e diventare una forza nella campagna» (Engels, La questione contadina). Egli scriveva queste parole nell’ultimo decennio del secolo scorso a proposito dei contadini occidentali. È forse necessario dimostrare che i comunisti russi, i quali hanno svolto a questo proposito un lavoro colossale nel corso di tre rivoluzioni, son già riusciti a crearsi nelle campagne un’influenza e un appoggio quale i nostri compagni d’Occidente non osano neanche sognare? Come si può negare che questa circostanza non può non facilitare in modo radicale la collaborazione economica fra la classe operaia e i contadini della Russia?
Gli scettici continuano a parlare dei piccoli contadini come di un elemento incompatibile con l’edificazione socialista. Ma ascoltate che cosa dice Engels a proposito dei piccoli contadini di Occidente:

Noi siamo decisamente per il piccolo contadino; faremo tutto il possibile per rendergli la vita più tollerabile, per facilitargli il passaggio alla associazione se egli vi si deciderà. Anzi, nel caso che egli non sia ancora in grado di prendere questa decisione, ci sforzeremo di dargli quanto più tempo sarà possibile perché egli rifletta sul suo palmo di terra. Agiremo così non solo perché riteniamo possibile il passaggio dalla nostra parte del piccolo contadino che lavora per conto suo, ma anche per interesse diretto di partito. Quanto maggiore sarà il numero dei contadini che non lasceremo discendere sino al livello del proletarie che attireremo a noi mentre sono ancora contadini, tanto più rapida e facile sarà la trasformazione sociale. Per questa trasformazione non abbiamo nessun bisogno di attendere che la produzione capitalistica si sia dappertutto sviluppata sino alle sue ultime conseguenze, sino a che l’ultimo piccolo artigiano e l’ultimo piccolo contadino non siano caduti vittimedella grande produzione capitalistica. I sacrifici materiali che si dovranno consentire sui fondi pubblici nell’interesse dei contadini possono sembrare, dal punto di vista dell’economia capitalistica, uno sperpero; ma costituiranno invece un eccellente impiego di capitale, perché faranno risparmiare somme forse dieci volte superiori nelle spese necessarie per la trasformazione della società nel suo assieme. In questo senso noi possiamo, quindi, essere molto generosi coi contadini (Ivi).

Così parlava Engels a proposito dei contadini dell’Occidente. Ma non è forse chiaro che quanto diceva Engels non può in nessun altro luogo essere realizzato in modo così facile e completo come nel paese della dittatura del proletariato? Non è chiaro che solo nella Russia sovietica possono sin d’ora e completamente essere realizzati e «il passaggio dalla nostra parte del piccolo contadino che lavora per conto proprio» e i «sacrifici materiali» indispensabili a questo scopo, e la «generosità verso i contadini» necessaria a questo fine? Non è chiaro che queste e altre misure analoghe a favore dei contadini già vengono applicate in Russia? Com’è possibile negare che questa circostanza, a sua volta, deve facilitare e far avanzare l’edificazione economica del paese dei Soviet?
In secondo luogo. Non si può confondere l’economia agricola della Russia con l’economia agricola dell’Occidente. Quivi lo sviluppo dell’economia agricola segue la linea abituale del capitalismo, che provoca una profonda differenziazione dei contadini, con grandi proprietà e latifondi capitalistici privati a un estremo e col pauperismo, la miseria e la schiavitù del salariato all’estremo opposto. Quivi la disgregazione e la decomposizione, in conseguenza di ciò, sono del tutto naturali. Non così in Russia. Da noi lo sviluppo dell’economia agricola non può seguire questa via, non foss’altro perché l’esistenza del potere sovietico e la nazionalizzazione dei principali mezzi e strumenti di produzione non permettono tale sviluppo. In Russia lo sviluppo della economia agricola deve seguire un’altra via, la via dell’ingresso di milioni di contadini piccoli e medi nelle cooperative, la via dello sviluppo, nelle campagne, di un movimento cooperativo di massa, appoggiato dallo stato per mezzo di crediti a condizioni di favore. Lenin indicava giustamente, negli articoli sulla cooperazione, che lo sviluppo dell’economia agricola doveva battere da noi una strada nuova, la strada della partecipazione della maggioranza dei contadini all’edificazione socialista per mezzo della cooperazione, la strada dell’introduzione graduale del principio del collettivismo nell’agricoltura, prima nel campo della vendita e poi nel campo della produzione dei prodotti agricoli.
Estremamente interessanti a questo proposito sono alcuni fatti nuovi che si costatano nelle campagne, in relazione col lavoro della cooperazione agricola. È noto che in seno all’Unione delle cooperative agricole si sono create nuove grandi organizzazioni secondo i rami dell’economia agricola, per il lino, per le patate, per il burro, ecc., e che esse hanno un grande avvenire. Il Centro cooperativo del lino, per esempio, comprende tutta una rete di cooperative di produzione di contadini coltivatori di lino. Esso s’interessa di fornire ai contadini semi e strumenti di produzione, in seguito acquista dagli stessi contadini tutta la produzione del lino e la vende all’ingrosso sul mercato; assicura ai contadini la partecipazione ai profitti e in questo modo per mezzo dell’Unione delle cooperative agricole, collega l’economia contadina all’industria di stato. Come chiamare questa forma di organizzazione della produzione? Secondo me, essa è un sistema di grande produzione socialista di stato a domicilio, nel campo dell’agricoltura. Parlo qui di sistema di produzione socialista di stato a domicilio, per analogia col sistema capitalistico del lavoro a domicilio, nel campo, per esempio, della produzione tessile, dove gli artigiani, che ricevevano dal capitalista le materie prime e gli strumenti di produzione e gli vendevano tutta la loro produzione, erano, di fatto, degli operai semisalariati a domicilio. Questo è uno dei molti indizi che mostrano per quale via deve svilupparsi da noi l’economia agricola. E non parlo di altri indizi dello stesso genere negli altri rami dell’agricoltura.
Non occorre dimostrare che l’enorme maggioranza dei contadini si metterà volentieri su questa nuova via di sviluppo, respingendo quella dei latifondi capitalistici privati e della schiavitù del salariato, che è la via della miseria e della rovina.
Ecco che cosa dice Lenin circa le vie di sviluppodella nostra economia agricola:

Il potere dello stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello stato nelle mani del proletariato, l’alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall’alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che e necessario e sufficiente per condurne a termine la costruzione (vedi vol. XXVII, p. 392).

Parlando poi della necessità di appoggiare finanziariamente e in altro modo la cooperazione, come «nuovo principio di organizzazione della popolazione» e nuovo «regime sociale» sotto la dittatura del proletariato, Lenin prosegue:

Ogni regime sociale sorge solo con l’appoggio finanziario di una classe determinata. È inutile ricordare quante centinaia e centinaia di milioni di rubli sia costato il sorgere del capitalismo “libero”. Ora dobbiamo comprendere e mettere in pratica questa verità: che attualmente il regime sociale che dobbiamo appoggiare più d’ogni altro è il regime cooperativo. Ma dobbiamo appoggiarlo nel vero senso della parola, cioè questo appoggio non è sufficiente intenderlo come appoggio di una forma qualsiasi di cooperazione; quest’appoggio dev’essere inteso come appoggio di quella cooperazione, alla quale partecipano veramente le vere masse della popolazione (ivi, p. 393).

Che cosa dicono tutti questi fatti?
Che gli scettici hanno torto.
Che ha ragione il leninismo, il quale considera le masse lavoratrici dei contadini come una riserva del proletariato.
Che il proletariato al potere può e deve utilizzare questa riserva per saldare l’industria con l’agricoltura, far progredire l’edificazione socialista e assicurare alla dittatura del proletariato quella base indispensabile, senza la quale non è possibile passare all’economia socialista.

 
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