Comunismo - Scintilla Rossa

Differenza tra trotzkisti e leninisti, perchè si accusano a vicenda

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icon11  view post Posted on 6/9/2011, 15:34
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il confine non va superato, ma ci puoi camminare sopra!

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salve, nel sito del PMLI ho trovato una presa di distanza da trotzkisti e anarchici.
Qualcuno potrebbe spiegarmi, con parole semplice ed efficaci (ma anche con sproloqui filosofici, se vuole) quale differenza c'è tra i seguaci di Trotsky e quelli di Lenin? Voglio dire: non la semplice definizione che posso trovare su wikipedia, ma di dirmi in pratica perchè in Italia i comunisti del Partito Marxista-Leninista ce l'hanno con i trotzkisti? Che cosa fanno di diverso?
Chiedo anticipatamente scusa per l'ignoranza nel caso potesse "dar fastidio" a qualcuno. :)
 
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Leonid Brezhnev
view post Posted on 6/9/2011, 15:44




Il Trotzkismo, fondamentalmente, propugna una concezione indiscriminata ed avventuristica dell'Internazionalismo, denotando una scarsa conoscenza del concetto Marxista-Leninista del Socialismo in un solo Paese, il quale invece presuppone il consolidamento della comunità socialista internazionale mediante l'attuazione della Rivoluzione in un determinato paese.

Inoltre, occorre considerare altresì che il movimento trotzista manifestò una palese ostilità nei confronti del potere sovietico mediante atti di sabotaggio ed appoggio indiretto della quinta colonna nazista.
 
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Klim Voroshilov
view post Posted on 6/9/2011, 15:54




Cerco di elencare sommariamente le differenze:

I leninisti sono per l'unità del partito; i trotskisti sono per il frazionismo.

I leninisti affermano la possibilità di edificare il socialismo in un solo paese; i trotskisti la negano.

I leninisti considerano i contadini come la principale riserva del proletariato; i trotskisti negano il ruolo dei contadini nel processo rivoluzionario.

I leninisti contestualizzano e storicizzano le teorie; i trotskisti fanno astrazione dai contesti (tendenza non dichiarata ma presente).

I leninisti sostengono lo sviluppo pianificato dell'economia nazionale; i trotskisti assumono posizioni contradditorie in proposito.

Posto a mo' di chiarimento il 3° capitolo dell'opera Trotzkismo o leninismo? di Stalin:

3. Trotzkismo o leninismo?
Abbiamo parlato in precedenza delle leggende contro il partito e su Lenin, diffuse da Trotzki e dai suoi seguaci in relazione all'Ottobre e alla sua preparazione. Abbiamo smascherato e confutato queste leggende. Ma ci si chiede: perché ha avuto bisogno Trotzki di tutte queste leggende sull'Ottobre e sulla preparazione dell'Ottobre, su Lenin e sul partito di Lenin? A che cosa dovevano servire i nuovi scritti di Trotzki contro il partito? Dov'è il senso, lo scopo di questi scritti, ora che il partito non intende fare delle discussioni, ora che il partito è sovraccarico di compiti improrogabili, ora che il partito ha bisogno di un lavoro concorde per la ricostruzione dell'economia, e non di una nuova lotta su vecchie questioni? Che bisogno aveva Trotzki di spingere il partito indietro, verso nuove discussioni?
Trotzki assicura che tutto ciò è necessario per "studiare" l'Ottobre. Ma è possibile che non si possa studiare l'Ottobre senza sferrare un colpo di più al partito e al suo capo Lenin? Che cosa è questa "storia" dell'Ottobre, se non tutto un tentativo di menomare il prestigio del principale artefice dell'insurrezione d'Ottobre, del partito che organizzò e attuò quest'insurrezione? No, qui non si tratta di studiare l'Ottobre. Così non si studia l'Ottobre. Così non si scrive la storia dell'Ottobre. E' evidente che qui l'intenzione è un'altra. E questa "intenzione", secondo tutti i dati, consiste nel fatto che Trotzki nei suoi scritti compie un altro (un altro ancora!) tentativo di preparare il terreno per sostituire il trotzkismo al leninismo. Trotzki "è preso alla gola" dal bisogno di denigrare il partito e i suoi quadri che attuarono l'insurrezione, per poi passare dalla denigrazione del partito alla denigrazione del leninismo. La denigrazione del leninismo, a sua volta, è necessaria per gabellare il trotzkismo come l'"unica" ideologia "proletaria" (non si scherza!). Tutto questo, naturalmente (o, naturalmente!) sotto la insegna del leninismo, affinché questo trattamento si svolga nel modo "il più possibile indolore".
In questo sta l'essenza degli ultimi scritti di Trotzki.
Perciò questi scritti di Trotzki pongono in modo acutissimo la questione del trotzkismo.
Che cos'è quindi il trotzkismo?
Il trotzkismo ha tre peculiarità, che lo pongono in contraddizione inconciliabile con il leninismo.
Quali sono queste peculiarità?
In primo luogo. Il trotzkismo è la teoria della rivoluzione "permanente". E che cosa è la rivoluzione permanente nella concezione trotzkista? è la rivoluzione che non tiene conto dei contadini poveri quale forza rivoluzionaria. La rivoluzione "permanente" di Trotzki vuol dire, come dice Lenin, "scavalcare" il movimento contadino, "giocare alla presa del potere". Che pericolo essa racchiude? Il pericolo che una simile rivoluzione, se ci si provasse a realizzarla, finirebbe con un immancabile fallimento, poiché essa staccherebbe dal proletariato russo il suo alleato, cioè i contadini poveri. Questo, appunto, spiega la lotta che il leninismo conduce contro il trotzkismo sin dal 1905.
Come valuta Trotzki il leninismo dal punto di vista di questa lotta? Egli lo considera come una teoria che contiene in sé dei "tratti antirivoluzionari". Su che cosa è fondato un giudizio tanto rabbioso del leninismo? Sul fatto che il leninismo difendeva ed ha saputo difendere a suo tempo l'idea della dittatura del proletariato e dei contadini.
Ma Trotzki non si limita a questo giudizio rabbioso. Egli va ben oltre, affermando che "l'intero edificio del leninismo è attualmente costruito sulla menzogna e la falsificazione e porta in sé il germe avvelenato della propria decomposizione" (vedi la lettera di Trotzki a Ckheidze, 1913). Come vedete, abbiamo a che fare con due linee opposte.
In secondo luogo. Il trotzkismo è la mancanza di fiducia nello spirito bolscevico di partito, nel suo carattere monolitico, nella sua ostilità verso gli elementi opportunisti. Il trotzkismo nel campo organizzativo è la teoria della convivenza dei rivoluzionari con gli opportunisti, con i loro gruppi e gruppetti, in seno ad un unico partito. Voi conoscete probabilmente la storia del blocco di agosto di Trotzki, in cui collaborarono felicemente i seguaci di Martov e gli otzovisti, i liquidatori e i trotzkisti, facendosi passare per un "vero" partito. Si sa che questo "partito" mosaico perseguiva lo scopo di distruggere il partito bolscevico. In che cosa consistevano allora i "nostri dissensi"? Nel fatto che il leninismo vedeva nella distruzione del blocco di agosto la garanzia dello sviluppo del partito proletario, mentre il trotzkismo vedeva in questo blocco la base per la creazione di un "vero" partito.
Di nuovo, come vedete, due linee opposte.
In terzo luogo. Il trotzkismo è la sfiducia verso i capi bolscevichi, il tentativo di screditarli, di denigrarli. Non conosco nessuna corrente nel partito che possa stare a pari col trotzkismo in fatto di diffamazione dei capi del leninismo o degli organismi centrali del partito. Che cosa altro è, per esempio, il "lusinghiero" giudizio di Trotzki su Lenin, da lui caratterizzato come uno "sfruttatore professionale di ogni arretratezza nel movimento operaio russo" (vedi ivi). Eppure questo non è ancora il giudizio più "lusinghiero" di tutti i giudizi "lusinghieri" di Trotzki.
Come è potuto accadere che Trotzki, il quale ha sulle spalle un fardello tanto sgradevole, si sia ciò nondimeno trovato nelle file dei bolscevichi durante il movimento di Ottobre? Ciò è accaduto perché Trotzki aveva allora rinunciato (rinunciato di fatto) al suo fardello, lo aveva nascosto in un armadio. Senza questa "operazione" una collaborazione seria con Trotzki sarebbe stata impossibile. La teoria del blocco di agosto, cioè la teoria dell'unità con i menscevichi era già stata sbaragliata e liquidata dalla rivoluzione, poiché di quale unità si poteva parlare, se c'era la lotta armata tra i bolscevichi e i menscevichi? a Trotzki non rimase che riconoscere che questa sua teoria non aveva alcun valore.
Con la teoria della rivoluzione permanente "accadde" la stessa storia sgradevole, poiché nessuno dei bolscevichi pensava all'immediata conquista del potere all'indomani della rivoluzione di febbraio, e Trotzki non poteva ignorare che i bolscevichi non gli avrebbero permesso di "giocare alla presa del potere", per dirla con le parole di Lenin. A Trotzki non rimase che accettare la politica dei bolscevichi: lotta per l'influenza nei Soviet, lotta per la conquista dei contadini. Quanto alla terza particolarità del trotzkismo (mancanza di fiducia verso i capi bolscevichi), essa doveva naturalmente passare in secondo piano, dato l'evidente fallimento delle prime due.
Poteva Trotzki, in una simile situazione, non nascondere il suo fardello nell'armadio e non seguire i bolscevichi, egli che non aveva dietro di sé nessun gruppo più o meno serio e che veniva ai bolscevichi come un'unità politica isolata, priva di esercito? Certamente non poteva!
Quale lezione bisogna trarne? La lezione è una sola: la collaborazione durevole dei leninisti con Trotzki è possibile soltanto a condizione che questi rinunci completamente al suo vecchio fardello, a condizione che egli aderisca completamente al leninismo. Trotzki scrive sulle lezioni dell'Ottobre, ma egli dimentica, che oltre a tutte le altre lezioni, ve n'è ancora una, quella di cui ho parlato or ora e che ha un'importanza essenziale per il trotzkismo. Non sarebbe male per il trotzkismo tener conto anche di questa lezione dell'Ottobre.
Si vede, però, che questa lezione non ha giovato al trotzkismo. Il fatto è che il vecchio fardello del trotzkismo, nascosto nell'armadio nei giorni del movimento di Ottobre, viene ora di nuovo tirato fuori nella speranza di poterlo smerciare, visto che il nostro mercato si sta allargando. Non vi è dubbio che nei recenti scritti di Trotzki si tentava di tornare al trotzkismo, di "superare" il leninismo, di far passare di soppiatto, di diffondere tutte le peculiarità del trozkismo. Il nuovo trotzkismo non è la semplice ripetizione del vecchio, esso è abbastanza spennato e logoro, molto più mite nello spirito e moderato nella forma, ma ne conserva in sostanza, indubbiamente, tutte le peculiarità. Il nuovo trotzkismo non si azzarda a prender posizione, come forza combattiva, contro il leninismo; esso preferisce operare sotto l'insegna comune del leninismo, e agire con la parola d'ordine dell'interpretazione e del perfezionamento del leninismo. Questo perché è debole. Non si può ritenere casuale il fatto che l'entrata in scena del nuovo trotzkismo abbia coinciso con la scomparsa di Lenin. Con Lenin non si sarebbe azzardato a questo passo rischioso.
Quali sono i tratti caratteristici del nuovo trotzkismo?
1) Sulla rivoluzione "permanente". Il nuovo trotzkismo non ritiene necessario difendere a viso aperto la teoria della rivoluzione "permanente". Esso stabilisce "semplicemente" che la Rivoluzione d'Ottobre ha del tutto confermato l'idea della rivoluzione "permanente". E ne trae la seguente conclusione: del leninismo è importante e accettabile ciò che è stato attuato dopo la guerra nel periodo della Rivoluzione d'Ottobre, e, al contrario, è sbagliato e inaccettabile ciò che è stato attuato prima della guerra, prima della Rivoluzione d'Ottobre. Di qui la teoria dei trotzkisti che scinde in due parti il leninismo: in leninismo anteguerra, leninismo "vecchio", "non valido", con la sua idea della dittatura del proletariato e dei contadini, e leninismo nuovo, del dopoguerra, dell'Ottobre, che si conta di poter adattare alle esigenze del trotzkismo. Questa teoria che scinde in due parti il leninismo è necessaria al trotzkismo come primo passo, più o meno "accettabile", che deve poi facilitargli i passi successivi nella lotta contro il leninismo.
Ma il leninismo non è una teoria eclettica, composta di vari elementi incollati insieme, che ammetta la possibilità di essere scissa. Il leninismo, sorto nel 1903, è una teoria che forma un tutto organico, che è passata attraverso le prove di tre rivoluzioni e ora marcia in avanti come bandiera di combattimento del proletariato mondiale.
"Il bolscevismo - dice Lenin - come corrente del pensiero politico e come partito politico esiste dal 1903. Soltanto una storia del bolscevismo che abbracci tutto il periodo della sua esistenza, può spiegare in maniera soddisfacente perché esso abbia potuto forgiare e mantenere, nelle più difficili circostanze, la ferrea disciplina che è necessaria per la vittoria del proletariato" (vedi vol. XXV, p. 174).
Bolscevismo e leninismo sono una cosa sola. Sono due denominazioni dello stesso oggetto. Perciò la teoria della scissione del leninismo in due parti è la teoria della distruzione del leninismo, la teoria della sostituzione del trotzkismo al leninismo.
Non occorre neppure dire che il partito non può accettare questa strana teoria.
2) Sullo spirito di partito. Il vecchio trotzkismo cercava di insidiare lo spirito bolscevico di partito mediante la teoria (e la pratica) dell'unità coi menscevichi. Ma questa teoria ha fatto fallimento in modo così clamoroso, che ora non se ne vuole nemmeno più sentir parlare. Per insidiare lo spirito di partito, il trotzkismo attuale ha inventato una nuova teoria, meno clamorosa e quasi "democratica": la contrapposizione dei vecchi quadri ai giovani membri del partito. Per il trotzkismo non esiste una storia unica e organica del nostro partito. Il trotzkismo divide la storia del nostro partito in due parti non equivalenti, quella ante-ottobre e quella post-ottobre. La parte ante-ottobre della storia del nostro partito è in fondo, non la storia, ma la "preistoria", un periodo senza importanza, o, in ogni caso, di non grande importanza, il periodo preparatorio del nostro partito. Invece da parte post-ottobre è la vera, l'autentica storia. Là, i "vecchi" quadri "preistorici", poco importanti per il nostro partito; qui, il nuovo, il vero partito "storico". Ritengo superfluo dimostrare che questo originale schema della storia del partito è uno schema che mira a spezzare l'unità fra i vecchi e i nuovi quadri del nostro partito, a distruggere lo spirito di partito bolscevico.
Non occorre neppure dire che il partito non può accettare questo strano schema.
3) Sui capi bolscevichi. Il vecchio trotzkismo cercava di menomare il prestigio di Lenin più o meno apertamente, senza temere le conseguenze. Il nuovo trotzkismo agisce più prudentemente. Esso cerca di fare quel che faceva il vecchio trotzkismo, presentandosi però come esaltazione e incensamento di Lenin. Credo valga la pena di citare alcuni esempi.
Il partito conosce Lenin come un rivoluzionario inflessibile. Ma sa pure che Lenin era prudente, non amava gli esaltati e non di rado fermava, con mano decisa, coloro che si lasciavano trascinare ad atti di terrorismo, tra cui anche lo stesso Trotzki. Trotzki tocca questo tema nel suo libro Su Lenin. Ma dalle sue parole risulta che Lenin non faceva altro che "martellare ad ogni occasione propizia l'idea dell'inevitabilità del terrorismo". Si crea così l'impressione che Lenin fosse il più sanguinario di tutti i sanguinari bolscevichi.
Perché ha avuto bisogno Trotzki di caricare le tinte in questo modo, di ricorrere a questo mezzo inutile e non giustificato?
Il partito conosce Lenin come un militante esemplare, che non ama risolvere i problemi da solo, senza un collegio di dirigenti, di colpo, senza accurati sondaggi e controlli. Trotzki tratta nel suo libro anche questo aspetto della questione. Però ne vien fuori non Lenin, ma una specie di mandarino cinese, che decide le questioni più importanti nella quiete del suo studio, per ispirazione.
Volete sapere come è stata decisa dal nostro partito la questione dello scioglimento dell'Assemblea costituente? Ascoltate Trotzki:
"Bisogna certo, sciogliere l'Assemblea costituente - diceva Lenin - ma che faranno i socialisti-rivoluzionari di sinistra?
Fummo, però, molto tranquillizzati dal vecchio Nathanson. Egli venne da noi per "consigliarsi'' e le sue prime parole furono:
- Bisognerà probabilmente sciogliere l'Assemblea costituente con la forza.
- Bravo! - esclamò Lenin - Quel che è giusto è giusto! Ma i vostri marceranno?
- Da noi alcuni esitano, penso però che in fin dei conti acconsentiranno - rispose Nathanson".
E' così che si scrive la storia.
Volete sapere come il partito avrebbe risolto la questione del Consiglio militari supremo? Ascoltate Trotzki:
"Senza militari seri ed esperti non ce la faremo ad uscire da questo caos - dicevo io a Vladimir Ilic ogni qualvolta tornavo dallo stato maggiore.
- Credo che questo sia giusto. Temo però che tradiscano...
- Mettiamo vicino a ognuno di essi un commissario.
- Meglio ancora due - esclamò Lenin - e di quelli in gamba. è possibile che non abbiamo dei comunisti in gamba?
Così sorse l'ossatura del Consiglio militare supremo".
E' così che Trotzki scrive la storia.
Che bisogno aveva Trotzki di queste fiabe arabe che mettono in cattiva luce Lenin? Per esaltare il capo del partito V. I. Lenin? Non mi pare che sia così.
Il partito conosce Lenin come il più grande marxista del nostro tempo, come teorico profondo ed espertissimo rivoluzionario, senza neppure l'ombra di blanquismo. Trotzki parla nel suo libro anche di questo aspetto della questione. Ma dalle sue parole esce fuori non il gigante Lenin, ma un nano blanquista, che consiglia al partito nelle giornate di Ottobre di "prendere il potere con le proprie mani, indipendentemente dal Soviet e dietro le sue spalle". Ma ho già detto che queste parole non corrispondono neppure di un iota alla realtà.
Che bisogno aveva Trotzki di questa scandalosa... inesattezza? Non vi è forse qui un tentativo di denigrare "un pochino" Lenin?
Questi sono i tratti caratteristici del nuovo trotzkismo.
Quale pericolo racchiude il nuovo trotzkismo? Il pericolo di trasformarsi, per tutto il suo contenuto intrinseco, in centro e punto di raccolta degli elementi non proletari, che aspirano a indebolire, a disgregare la dittatura del proletariato.
E allora - chiederete voi - quali sono i compiti immediati del partito di fronte ai nuovi scritti di Trotzki?
Il trotzkismo opera adesso per menomare il prestigio del bolscevismo e scalzarne le basi. Il compito del partito è di sotterrare il trotzkismo in quanto corrente ideologica.
Si parla di rappresaglie contro l'opposizione e di possibilità di scissione. Sono sciocchezze, compagni. Il nostro partito è forte, è possente. Esso non tollererà nessuna scissione. Quanto alle rappresaglie, io sono decisamente contrario ad esse. In questo momento non ci occorrono rappresaglie, bensì una vasta lotta ideologica contro il rinascente trotzkismo.
Non abbiamo voluto, non abbiamo cercato questa discussione letteraria. Il trotzkismo ce la impone con i suoi scritti antileninisti. Ebbene compagni, siamo pronti.




Ti consiglio inoltre, visto che hai accennato a Wikipedia, di non usarla su questioni di teoria e di attingere direttamente dai classici del marxismo. Wikipedia arriva a definire Trotzky "erede designato di Lenin", Lenin sostenitore della "teoria della violenza rivouzionaria decrescente", la teoria del socialismo in un solo paese "sviluppata da Stalin nel 1923" e altre assurdità.

Infine, uno dei motivi di astio tra marxismo-leninismo e trotskismo è la ripetuta e costante attività di sabotaggio e tradimento svolta dai trotskisti contro il socialismo.
 
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icon1  view post Posted on 6/9/2011, 16:03
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grazie delle risposte.
A quanto ho capito Lenin era più concreto.
Klim, le tue risposte sono tutte in negativo riguardo a Trotzki.
Quindi mi domando: in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo? Insomma: rivoluzione permanente è una parola astratta, ma doveva pur propugnare un modo di raggiungere l'obiettivo, no? Trotzki era stimato da tutta la comunità internazionale, qualcosa di concreto doveva pur dirlo, immagino. <_<
A quanto ho capito per lui il socialismo in un solo paese non si può fare. E perchè? Come si fa a farlo in un'unica soluzione in tutto il mondo? Ci vuole un conquistatore come Alessandro Magno o Gengis Khan?
E se i contadini che sono la stragrande maggioranza vengono esclusi, chi la fa la rivoluzione?
Questo nel generale.
La mia domanda però, perdonatemi, era rivolta al particolare italiano. Cosa dicono i trotskisti italiani di diverso dai marxisti-leninisti? Insomma non perseguono entrambi lo stesso scopo? :wacko:
 
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Kim-Jong-Alex
view post Posted on 6/9/2011, 16:19




CITAZIONE
Quindi mi domando: in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo? Insomma: rivoluzione permanente è una parola astratta, ma doveva pur propugnare un modo di raggiungere l'obiettivo, no? Trotzki era stimato da tutta la comunità internazionale, qualcosa di concreto doveva pur dirlo, immagino

Infatti proprio questo era il suo obiettivo,confondere le idee dei giovani rivoluzionari,propagandare un superamento del capitalismo del tutto errato,nascondere i meriti del Socialismo marxista e tentare tramite uno status politico confusionale una rivoluzione del sistema socialista-collettivista.Diffida dai partitelli di estrema sinistra italiani.
 
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Klim Voroshilov
view post Posted on 6/9/2011, 16:19




CITAZIONE
in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo? Insomma: rivoluzione permanente è una parola astratta, ma doveva pur propugnare un modo di raggiungere l'obiettivo, no?

Trotzky sosteneva la neccessità per un paese arretrato come la Russia di unirsi al proletariato occidentale nei paesi più avanzati come condizione imprescindibile per realizzare il socialismo. Se ciò non fosse avvenuto, secondo Trotzky, il partito sarebbe inevitabilmente degenerato nella burocrazia e nell'autoritarismo.

CITAZIONE
E se i contadini che sono la stragrande maggioranza vengono esclusi, chi la fa la rivoluzione?

Questo è proprio uno dei difetti più evidenti del trotskismo: Trotzky, anche dopo la guerra civile, continuò a sostenere che il proletariato fosse il protagonista assoluto della rivoluzione. Successivamente, l'alleanza tra operai e contadini, costituì invece la spina dorsale dell'edificazione del socialismo in URSS.

CITAZIONE
A quanto ho capito per lui il socialismo in un solo paese non si può fare. E perchè? Come si fa a farlo in un'unica soluzione in tutto il mondo? Ci vuole un conquistatore come Alessandro Magno o Gengis Khan?

Estremizzando, la posizione di Trotzky era quella di esportare la rivoluzione dalla Russia verso i paesi avanzati per mezzo dell'Armata Rossa. Sul fronte interno teorizzava invece l'industrializzazione forzata e la militarizzazione dell'economia. Tuttavia, in seguito Trotzky assunse posizioni diverse sulla politica interna per evitare di dare ragione alle tesi di Stalin.

Per realizzare l'idea dei trotskisti occorrerebbe una rapida vittoria della rivoluzione nei paesi più avanzati, ma essa è irrealizzabile a causa della legge dell'ineguale sviluppo del capitalismo nei diversi paesi. In altre parole: per fare una rivoluzione occorre sfruttare un momento di crisi del capitalismo, ma le crisi si sviluppano in maniera e tempi diseguali da un paese all'altro.

CITAZIONE
La mia domanda però, perdonatemi, era rivolta al particolare italiano. Cosa dicono i trotskisti italiani di diverso dai marxisti-leninisti? Insomma non perseguono entrambi lo stesso scopo? :wacko:

Un esempio di disaccordo è l'attuale questione Libica, anche se qui il PMLI fa eccezione perchè ha una posizione simile a quella trotzkista. I trotskisti propongono il sostegno ai ribelli combinato con la lotta all'intervento della NATO. Però questo, come un eminente marxista-leninista del calibro di Amedeo Curatoli ha dimostrato, è un giuoco dialettico che conduce ad un'aberrazione destinata a fallire in partenza.

I marxisti-leninisti, eccetto il PMLI, sostengo Gheddafy in funzione anti-imperialista e quindi oggettivamente rivoluzionaria.

Edited by Klim Voroshilov - 6/9/2011, 17:26
 
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Leonid Brezhnev
view post Posted on 6/9/2011, 16:22




CITAZIONE
E se i contadini che sono la stragrande maggioranza vengono esclusi, chi la fa la rivoluzione?

La quantità della popolazione contadina è variabile a seconda del paese in questione. La Rivoluzione è Proletaria, in virtù dell'antagonismo fra la Borghesia ed il Proletariato, ed i contadini dovrebbero essere considerati la riserva del Proletariato:
A tal proposito cito Stalin, nell'opera intitolata "Princìpi del Leninismo":

V. La questione contadina

Di questo tema tratterò quattro questioni: a) la impostazione del problema; b) i contadini durante la rivoluzione democratica borghese; c) i contadini durante la rivoluzione proletaria; d) i contadini dopo il consolidamento del potere sovietico.

1) Impostazione del problema. Alcuni pensano che l’essenziale del leninismo sia la questione contadina, che il punto di partenza del leninismo sia la questione dei contadini, della loro funzione, del loro peso specifico. Ciò è assolutamente falso. La questione essenziale del leninismo, il suo punto di partenza, non è la questione contadina, ma quella della dittatura del proletariato, delle condizioni della conquista e del consolidamento di questa dittatura. La questione contadina, come questione di un alleato del proletariato nella sua lotta per il potere, è una questione derivata.
Questa circostanza, però, non le toglie nulla della grande importanza, della palpitante attualità che essa ha, senza dubbio, per la rivoluzione proletaria. È noto che una seria elaborazione della questione contadina nelle file dei marxisti russi incominciò precisamente alla vigilia della prima rivoluzione (1905), quando il problema dell’abbattimento dello zarismo e della realizzazione dell’egemonia del proletariato si poneva davanti al partito in tutta la sua ampiezza, e il problema di stabilire chi sarebbe stato alleato del proletariato nell’imminente rivoluzione borghese aveva assunto un carattere di palpitante attualità. È pure noto che la questione contadina in Russia assunse un carattere ancor più attuale durante la rivoluzione proletaria, allorché, partendo dal problema della dittatura del proletariato, della conquista e del mantenimento di essa, si arrivò a porre il problema degli alleati del proletariato nell’imminente rivoluzione proletaria. E la cosa si capisce: chi marcia e si prepara a prendere il potere, non può non interessarsi della questione dei propri alleati effettivi.
In questo senso, la questione contadina è una parte della questione generale della dittatura del proletariato ed è, come tale, una delle questioni più palpitanti del leninismo.
L’atteggiamento indifferente e persino apertamente negativo dei partiti della II Internazionale verso la questione contadina non si spiega soltanto con le speciali condizioni di sviluppo dell’Occidente. Esso si spiega soprattutto col fatto che questi partiti non hanno fiducia nella dittatura del proletariato, hanno paura della rivoluzione e non pensano a portare il proletariato al potere. E chi ha paura della rivoluzione, chi non vuole portare i proletari al potere, non può interessarsi del problema degli alleati del proletariato nella rivoluzione; per lui il problema degli alleati è privo d’interesse, privo di attualità. L’atteggiamento ironico degli eroi della II Internazionale verso la questione contadina è considerato da loro come indice di belle maniere, indice di marxismo «genuino». In realtà, in tale atteggiamento non c’è ombra di marxismo, perché l’indifferenza, alla vigilia della rivoluzione proletaria, per una questione di tanta importanza qual è la questione contadina, è il correlativo della negazione della dittatura del proletariato, è un indice innegabile di tradimento aperto del marxismo.
La questione si pone così: sono già esaurite, oppure no, le possibilità rivoluzionarie che si nascondono in seno alla massa contadina in conseguenza di determinate condizioni della sua esistenza, e se non sono esaurite, esiste una speranza, una ragione di utilizzare queste possibilità per la rivoluzione proletaria, di fare dei contadini, della loro maggioranza sfruttata, non più una riserva della borghesia, come furono durante le rivoluzioni borghesi dell’Occidente e come continuano a essere tutt’ora, ma una riserva del proletariato, un suo alleato?
Il leninismo risponde a questa domanda affermativamente, cioè nel senso di riconoscere l’esistenza di capacità rivoluzionarie nella maggioranza dei contadini, e nel senso di ritenere possibile utilizzare queste capacità nell’interesse della dittatura proletaria. La storia di tre rivoluzioni in Russia conferma pienamente le conclusioni del leninismo a questo proposito.
Di qui la conclusione pratica circa la necessità di sostenere, disostenere obbligatoriamente le masse lavoratrici dei contadini nella loro lotta control’asservimento e lo sfruttamento, nella loro lotta per sbarazzarsi dell’oppressione e della miseria. Ciò non vuol dire, naturalmente che il proletariato debba appoggiare qualsiasi movimento contadino. Si tratta di appoggiare quel movimento e quella lotta dei contadini che, direttamente o indirettamente, agevolino il movimento di emancipazione del proletariato, che in una maniera o in un’altra portino acqua al mulino della rivoluzione proletaria, che contribuiscano a fare dei contadini una riserva e un alleato della classe operaia.

2) I contadini durante la rivoluzione democratica borghese. Questo periodo abbraccia l’intervallo di tempo che va dalla prima rivoluzione russa (1905) alla seconda (febbraio 1917) inclusa. Tratto caratteristico di questo periodo è la liberazione dei contadini dall’influenza della borghesia liberale, il distacco dei contadini dai cadetti, la svolta dei contadini verso il proletariato, verso il partito bolscevico. La storia di questo periodo è la storia della lotta tra i cadetti (borghesia liberale) e i bolscevichi (proletariato) per i contadini. Il periodo delle Dume decise dell’esito di questa lotta, poiché il periodo delle quattro Dume fu una lezione di cose per i contadini, e questa lezione mostrò loro all’evidenza che essi non avrebbero ricevuto dalle mani dei cadetti nè la terra, nè la libertà, che lo zar era interamente ligio ai grandi proprietari fondiari e i cadetti sostenevano lo zar, che la sola forza sull’appoggio della quale i contadini potevano contare erano gli operai delle città, il proletariato. La guerra imperialista non fece che confermare gl’insegnamenti di questo periodo delle Dume, rese completo il distacco dei contadini dalla borghesia, perché gli anni della guerra dimostrarono quanto fosse vana, illusoria, la speranza di ottenere la pace dallo zar e dai suoi alleati borghesi. Senza le lezioni politiche del periodo della Duma, l’egemonia del proletariato sarebbe stata impossibile.
Così si creò l’alleanza degli operai e dei contadini nella rivoluzione democratica borghese. Così si realizzò l’egemonia (direzione) del proletariato nella lotta comune per l’abbattimento dello zarismo, egemonia che portò alla Rivoluzione di febbraio del 1917.
Le rivoluzioni borghesi d’Occidente (Inghilterra, Francia, Germania, Austria) seguirono, com’è noto, un’altra via. In queste rivoluzioni l’egemonia non appartenne al proletariato, che per la sua debolezza non rappresentava e non poteva rappresentare una forza politica indipendente, ma alla borghesia liberale. Ivi i contadini non ricevettero la liberazione dal regime feudale dalle mani del proletariato, che era poco numeroso e disorganizzato, ma dalle mani della borghesia. Ivi i contadini marciarono contro il vecchio regime insieme alla borghesia liberale. Ivi i contadini costituivano una riserva della borghesia e la rivoluzione portò, in conseguenza di ciò, a un enorme aumento del peso politico della borghesia.
In Russia, al contrario, la rivoluzione borghese dette risultati diametralmente opposti. La rivoluzione, in Russia, non portò a un rafforzamento, ma ad un indebolimento della borghesia come forza politica, non ad un aumento delle sue riserve politiche, ma alla perdita della sua riserva fondamentale, alla perdita dei contadini. La rivoluzione borghese in Russia spinse in primo piano non la borghesia liberale, ma il proletariato rivoluzionario, raccogliendo attorno ad esso milioni e milioni di contadini.
Questo spiega, tra l’altro, il fatto che la rivoluzione borghese in Russia si è trasformata in rivoluzione proletaria in un periodo di tempo relativamente breve. L’egemonia del proletariato fu il germe della dittatura del proletariato, costituì il passaggio alla dittatura proletaria.
Come si spiega questo fenomeno originale della rivoluzione russa, il quale non ha precedenti nella storia delle rivoluzioni borghesi in Occidente? Da che proviene questa originalità?
Essa si spiega col fatto che la rivoluzione borghese si sviluppò in Russia in un momento in cui le condizioni della lotta di classe erano più sviluppate che in Occidente, col fatto che il proletariato russo era già riuscito, in quel momento, a costituirsi in forza politica indipendente, mentre la borghesia liberale, spaventata dallo spirito rivoluzionario del proletariato, aveva perduto ogni parvenza di spirito rivoluzionario (soprattutto dopo gli insegnamenti del 1905) e si era alleata con lo zar e coi grandi proprietari fondiari contro la rivoluzione, contro gli operai e i contadini.
Occorre tener conto delle seguenti circostanze che hanno determinato l’originalità della rivoluzione borghese russa:
a) La concentrazione inaudita dell’industria russa alla vigilia della rivoluzione. È noto, per esempio, che nelle aziende con più di 500 operai lavorava in Russia il 54 per cento del totale degli operai, mentre, in un paese sviluppato come l’America settentrionale, nelle aziende di grandezza analoga non lavorava che il 33 per cento del totale degli operai. Non occorre dimostrare che questa sola circostanza, data l’esistenza di un partito rivoluzionario come il partito dei bolscevichi, aveva fatto della classe operaia russa la più grande forza della vita politica del paese;
b) Le forme scandalose di sfruttamento nelle officine, unite all’intollerabile regime poliziesco degli aguzzini dello zar: circostanza che trasformava ogni sciopero serio degli operai in un atto politico di enorme importanza e temprava la classe operaia come forza rivoluzionaria fino all’ultimo;
c) La fiacchezza politica della borghesia russa, diventata, dopo la rivoluzione del 1905, servilismo verso il regime zarista e aperto atteggiamento controrivoluzionario, il che si spiega non solo con lo spirito rivoluzionario del proletariato russo che aveva respinto la borghesia russa nelle braccia dello zarismo, ma anche con la dipendenza diretta di questa borghesia dalle ordinazioni dello stato;
d) L’esistenza delle più scandalose e intollerabili sopravvivenze del regime feudale nella campagna, a cui si aggiungeva la onnipotenza del proprietario fondiario: circostanza che spinse i contadini nelle braccia della rivoluzione;
e) Lo zarismo, che comprimeva tutte le forze vive ed esasperava, col suo arbitrio, il giogo del capitalista e del proprietario fondiario: circostanza che faceva confluire in un’unica fiumana rivoluzionaria la lotta degli operai e dei contadini;
f) La guerra imperialista, che fuse tutte queste contraddizioni della vita politica della Russia in una profonda crisi rivoluzionaria e dette alla rivoluzione una formidabile forza propulsiva.
Dove potevano batter la testa i contadini in queste condizioni? Presso chi cercare un appoggio contro la onnipotenza del proprietario fondiario, contro il potere arbitrario dello zar, contro la guerra funesta che li rovinava economicamente? Presso la borghesia liberale? Ma questa era loro nemica: la lunga esperienza di tutte e quattro le Dume lo dimostrava. Presso i socialisti-rivoluzionari? I socialisti-rivoluzionari, certo, sono «migliori» dei cadetti, e hanno un programma più «conveniente», quasi contadino, ma che cosa possono dare i socialisti-rivoluzionari, dal momento che pensano di appoggiarsi solo sui contadini e sono deboli nella città, donde innanzi tutto l’avversario attinge le sue forze? Dov’è la nuova forza che non si arresterà davanti a nessun ostacolo, nè nella campagna, nè nella città, che marcerà arditamente in prima fila nella lotta contro lo zar e il proprietario fondiario, che aiuterà i contadini a liberarsi dall’asservimento, dalla fame di terra, dall’oppressione, dalla guerra? Esisteva in Russia, in generale, una forza simile? Sì, esisteva. Questa forza era il proletariato russo, che già nel 1905 aveva mostrato la sua potenza, la sua capacità di condurre la lotta sino all’ultimo, il suo coraggio, il suo spirito rivoluzionario.
In ogni caso, un’altra forza simile non esisteva e non si sarebbe potuto trovarla da nessuna parte.
Ecco perché i contadini, dopo essersi scostati dai cadetti e accostati ai socialisti-rivoluzionari, finirono per comprendere la necessità di mettersi sotto la direzione di un capo rivoluzionario così valoroso, quale era il proletariato russo.
Queste sono le circostanze che determinarono la originalità della rivoluzione borghese russa.

3) I contadini durante la rivoluzione proletaria. Questo periodo abbraccia l’intervallo di tempo che corre dalla Rivoluzione di Febbraio (1917) a quella di Ottobre (1917). Questo periodo è relativamente breve, otto mesi in tutto, ma questi otto mesi, dal punto di vista della formazione politica e dell’educazione rivoluzionaria delle masse, possono bene esserparagonati a interi decenni di sviluppo costituzionale normale, perché sono otto mesi di rivoluzione.Il tratto caratteristico di questo periodo è l’aumento dello spirito rivoluzionario dei contadini, il crollo delle loro illusioni sui socialisti-rivoluzionari, il loro distacco dai socialisti-rivoluzionari, la nuova svolta dei contadini, che tendono a stringersi direttamente attorno al proletariato, unica forza rivoluzionaria sino all’ultimo, capace di portare il Paese alla pace. La storia di questo periodo è la storia della lotta tra i socialisti-rivoluzionari (democrazia piccolo-borghese) e i bolscevichi (democrazia proletaria) per i contadini, per la conquista della maggioranza dei contadini. La sorte di questa lotta fu decisa dal periodo della coalizione, dal periodo del governo di Kerenski (22), dal rifiuto dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi di confiscare la terra dei grandi proprietari fondiari, dalla lotta dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi per continuare la guerra, dall’offensiva di giugno al fronte, dalla pena di morte per i soldati, dalla rivolta di Kornilov (23).
Se prima, nel periodo precedente, la questione essenziale della rivoluzione era stata quella del rovesciamento dello zar e del potere dei grandi proprietari fondiari, ora, nel periodo successivo alla Rivoluzione di Febbraio, quando non v’era più zar, ma la guerra interminabile stremava l’economia nazionale dopo aver rovinato completamente i contadini, la liquidazione della guerra diventava il problema fondamentale della rivoluzione. Il centro di gravità si era spostato in modo manifesto dalle questioni di carattere puramente interno a una questione fondamentale, quella della guerra. «Finire la guerra», «uscire dalla guerra», era il grido generale del paese esausto e, soprattutto, dei contadini.
Ma per uscire dalla guerra era necessario rovesciare il governo provvisorio, era necessario rovesciare il potere della borghesia, era necessario rovesciare il potere dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, perché essi, ed essi soltanto, si sforzavano di far durare la guerra fino alla «vittoria finale». Altra via di uscita dalla guerra all’infuori del rovesciamento della borghesia, in pratica, non esisteva.
Si ebbe una rivoluzione nuova, una rivoluzione proletaria, perché precipitò dal potere l’ultima frazione della borghesia imperialista, la frazione di estrema sinistra, il partito dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, per creare un potere nuovo, proletario, il potere dei Soviet, per portare al potere il partito del proletariato rivoluzionario, il partito dei bolscevichi, il partito della lotta rivoluzionaria contro la guerra imperialista, per una pace democratica. La maggioranza dei contadini appoggiò la lotta degli operai per la pace, per il potere dei Soviet.
Altra via di uscita per i contadini non esisteva. Altra via di uscita non poteva esistere.
Il periodo del governo di Kerenski, fu in tal modo, una grandiosa lezione di cose per le masse lavoratrici contadine, poiché dimostrò all’evidenza che, finche il potere fosse rimasto nelle mani dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, il paese non sarebbe uscito dalla guerra e i contadini non avrebbero ricevuto nè terra, nè libertà; dimostrò che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari differivano dai cadetti solo per i loro discorsi dolciastri e per le loro promesse ipocrite, ma di fatto perseguivano la stessa politica imperialista, la politica dei cadetti; dimostrò che il solo potere capace di rimettere il paese in carreggiata non poteva essere che il potere dei Soviet. L’ulteriore prolungarsi della guerra non fece che confermare la giustezza di questa lezione, stimolò la rivoluzione e spinse le masse di milioni di contadini e di soldati a stringersi direttamente attorno alla rivoluzione proletaria. L’isolamento dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi divenne un fatto irrevocabile. Senza le lezioni pratiche del periodo della coalizione la dittatura del proletariato sarebbe stata impossibile.
Queste sono le circostanze che hanno agevolato il processo di trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione proletaria.
Così si venne formando la dittatura del proletariato in Russia.

4) I contadini dopo il consolidamento del potere sovietico. Se prima, nel primo periodo della rivoluzione, si era trattato principalmente di rovesciare lo zarismo, e in seguito, dopo la Rivoluzione di Febbraio, si era trattato, prima di tutto, di uscire dalla guerra imperialista mediante l’abbattimento della borghesia, ora invece, liquidata la guerra civile e consolidato il potere sovietico, passavano in primo piano i problemi dell’edificazione economica. Rafforzare e sviluppare l’industria nazionalizzata, collegare a tal fine l’industria con l’economia contadina attraverso il commercio regolato dallo stato, sostituire al prelevamento delle derrate eccedenti l’imposta in natura, allo scopo di arrivare in seguito, diminuendo progressivamente l’imposta in natura, allo scambio dei prodotti dell’industria coi prodotti dell’agricoltura; rianimare il commercio e sviluppare la cooperazione facendo partecipare a quest’ultima milioni di contadini: ecco come Lenin tracciava i compiti della edificazione economica per la costruzione delle basi dell’economia socialista.
Si dice che questi compiti possono rivelarsi superiori alle forze di un paese contadino come la Russia. Alcuni scettici dicono persino che essi sono puramente utopistici, irrealizzabili, perché i contadini sono contadini, cioè piccoli produttori, e non possono perciò essere utilizzati per organizzare le fondamenta della produzione socialista.
Ma gli scettici s’ingannano, perché non tengono conto di alcune circostanze che hanno, nel caso in questione, un’importanza decisiva. Vediamo le principali di queste circostanze.
In primo luogo. Non si possono confondere i contadini dell’Unione Sovietica con i contadini dell’Occidente. I contadini che sono passati attraverso la scuola di tre rivoluzioni, che hanno lottato contro lo zar e il potere della borghesia insieme al proletariato e sotto la direzione del proletariato, i contadini che hanno ottenuto la terra e la pace dalla rivoluzione proletaria e sono diventati, per questo, una riserva del proletariato, questi contadini non possono non essere diversi dai contadini che hanno combattuto durante la rivoluzione borghese sotto la direzione della borghesia liberale, che hanno ricevuto la terra dalle mani di questa borghesia e sono diventati, per questo, una riserva della borghesia. Non occorre dimostrare che i contadini sovietici, abituati ad apprezzare l’amicizia politica e la collaborazione politica del proletariato, debitori della loro libertà a questa amicizia e a questa collaborazione, non possono non costituire un materiale straordinariamente favorevole per la collaborazione economica col proletariato.
Engels diceva che «la conquista del potere politico da parte del partito socialista è diventata un compito del prossimo avvenire», che «allo scopo di conquistarlo, il partito deve incominciare ad andare dalla città alla campagna e diventare una forza nella campagna» (Engels, La questione contadina). Egli scriveva queste parole nell’ultimo decennio del secolo scorso a proposito dei contadini occidentali. È forse necessario dimostrare che i comunisti russi, i quali hanno svolto a questo proposito un lavoro colossale nel corso di tre rivoluzioni, son già riusciti a crearsi nelle campagne un’influenza e un appoggio quale i nostri compagni d’Occidente non osano neanche sognare? Come si può negare che questa circostanza non può non facilitare in modo radicale la collaborazione economica fra la classe operaia e i contadini della Russia?
Gli scettici continuano a parlare dei piccoli contadini come di un elemento incompatibile con l’edificazione socialista. Ma ascoltate che cosa dice Engels a proposito dei piccoli contadini di Occidente:

Noi siamo decisamente per il piccolo contadino; faremo tutto il possibile per rendergli la vita più tollerabile, per facilitargli il passaggio alla associazione se egli vi si deciderà. Anzi, nel caso che egli non sia ancora in grado di prendere questa decisione, ci sforzeremo di dargli quanto più tempo sarà possibile perché egli rifletta sul suo palmo di terra. Agiremo così non solo perché riteniamo possibile il passaggio dalla nostra parte del piccolo contadino che lavora per conto suo, ma anche per interesse diretto di partito. Quanto maggiore sarà il numero dei contadini che non lasceremo discendere sino al livello del proletarie che attireremo a noi mentre sono ancora contadini, tanto più rapida e facile sarà la trasformazione sociale. Per questa trasformazione non abbiamo nessun bisogno di attendere che la produzione capitalistica si sia dappertutto sviluppata sino alle sue ultime conseguenze, sino a che l’ultimo piccolo artigiano e l’ultimo piccolo contadino non siano caduti vittimedella grande produzione capitalistica. I sacrifici materiali che si dovranno consentire sui fondi pubblici nell’interesse dei contadini possono sembrare, dal punto di vista dell’economia capitalistica, uno sperpero; ma costituiranno invece un eccellente impiego di capitale, perché faranno risparmiare somme forse dieci volte superiori nelle spese necessarie per la trasformazione della società nel suo assieme. In questo senso noi possiamo, quindi, essere molto generosi coi contadini (Ivi).

Così parlava Engels a proposito dei contadini dell’Occidente. Ma non è forse chiaro che quanto diceva Engels non può in nessun altro luogo essere realizzato in modo così facile e completo come nel paese della dittatura del proletariato? Non è chiaro che solo nella Russia sovietica possono sin d’ora e completamente essere realizzati e «il passaggio dalla nostra parte del piccolo contadino che lavora per conto proprio» e i «sacrifici materiali» indispensabili a questo scopo, e la «generosità verso i contadini» necessaria a questo fine? Non è chiaro che queste e altre misure analoghe a favore dei contadini già vengono applicate in Russia? Com’è possibile negare che questa circostanza, a sua volta, deve facilitare e far avanzare l’edificazione economica del paese dei Soviet?
In secondo luogo. Non si può confondere l’economia agricola della Russia con l’economia agricola dell’Occidente. Quivi lo sviluppo dell’economia agricola segue la linea abituale del capitalismo, che provoca una profonda differenziazione dei contadini, con grandi proprietà e latifondi capitalistici privati a un estremo e col pauperismo, la miseria e la schiavitù del salariato all’estremo opposto. Quivi la disgregazione e la decomposizione, in conseguenza di ciò, sono del tutto naturali. Non così in Russia. Da noi lo sviluppo dell’economia agricola non può seguire questa via, non foss’altro perché l’esistenza del potere sovietico e la nazionalizzazione dei principali mezzi e strumenti di produzione non permettono tale sviluppo. In Russia lo sviluppo della economia agricola deve seguire un’altra via, la via dell’ingresso di milioni di contadini piccoli e medi nelle cooperative, la via dello sviluppo, nelle campagne, di un movimento cooperativo di massa, appoggiato dallo stato per mezzo di crediti a condizioni di favore. Lenin indicava giustamente, negli articoli sulla cooperazione, che lo sviluppo dell’economia agricola doveva battere da noi una strada nuova, la strada della partecipazione della maggioranza dei contadini all’edificazione socialista per mezzo della cooperazione, la strada dell’introduzione graduale del principio del collettivismo nell’agricoltura, prima nel campo della vendita e poi nel campo della produzione dei prodotti agricoli.
Estremamente interessanti a questo proposito sono alcuni fatti nuovi che si costatano nelle campagne, in relazione col lavoro della cooperazione agricola. È noto che in seno all’Unione delle cooperative agricole si sono create nuove grandi organizzazioni secondo i rami dell’economia agricola, per il lino, per le patate, per il burro, ecc., e che esse hanno un grande avvenire. Il Centro cooperativo del lino, per esempio, comprende tutta una rete di cooperative di produzione di contadini coltivatori di lino. Esso s’interessa di fornire ai contadini semi e strumenti di produzione, in seguito acquista dagli stessi contadini tutta la produzione del lino e la vende all’ingrosso sul mercato; assicura ai contadini la partecipazione ai profitti e in questo modo per mezzo dell’Unione delle cooperative agricole, collega l’economia contadina all’industria di stato. Come chiamare questa forma di organizzazione della produzione? Secondo me, essa è un sistema di grande produzione socialista di stato a domicilio, nel campo dell’agricoltura. Parlo qui di sistema di produzione socialista di stato a domicilio, per analogia col sistema capitalistico del lavoro a domicilio, nel campo, per esempio, della produzione tessile, dove gli artigiani, che ricevevano dal capitalista le materie prime e gli strumenti di produzione e gli vendevano tutta la loro produzione, erano, di fatto, degli operai semisalariati a domicilio. Questo è uno dei molti indizi che mostrano per quale via deve svilupparsi da noi l’economia agricola. E non parlo di altri indizi dello stesso genere negli altri rami dell’agricoltura.
Non occorre dimostrare che l’enorme maggioranza dei contadini si metterà volentieri su questa nuova via di sviluppo, respingendo quella dei latifondi capitalistici privati e della schiavitù del salariato, che è la via della miseria e della rovina.
Ecco che cosa dice Lenin circa le vie di sviluppodella nostra economia agricola:

Il potere dello stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello stato nelle mani del proletariato, l’alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall’alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che e necessario e sufficiente per condurne a termine la costruzione (vedi vol. XXVII, p. 392).

Parlando poi della necessità di appoggiare finanziariamente e in altro modo la cooperazione, come «nuovo principio di organizzazione della popolazione» e nuovo «regime sociale» sotto la dittatura del proletariato, Lenin prosegue:

Ogni regime sociale sorge solo con l’appoggio finanziario di una classe determinata. È inutile ricordare quante centinaia e centinaia di milioni di rubli sia costato il sorgere del capitalismo “libero”. Ora dobbiamo comprendere e mettere in pratica questa verità: che attualmente il regime sociale che dobbiamo appoggiare più d’ogni altro è il regime cooperativo. Ma dobbiamo appoggiarlo nel vero senso della parola, cioè questo appoggio non è sufficiente intenderlo come appoggio di una forma qualsiasi di cooperazione; quest’appoggio dev’essere inteso come appoggio di quella cooperazione, alla quale partecipano veramente le vere masse della popolazione (ivi, p. 393).

Che cosa dicono tutti questi fatti?
Che gli scettici hanno torto.
Che ha ragione il leninismo, il quale considera le masse lavoratrici dei contadini come una riserva del proletariato.
Che il proletariato al potere può e deve utilizzare questa riserva per saldare l’industria con l’agricoltura, far progredire l’edificazione socialista e assicurare alla dittatura del proletariato quella base indispensabile, senza la quale non è possibile passare all’economia socialista.

 
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view post Posted on 6/9/2011, 16:29
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Provo anch'io a cimentarmi sulla questione e spero di essere semplice.
Il trotskismo si differenzia dal marxismo perchè ragiona sulla base di dogmi e non di contraddizioni. I trotskisti storpiano il marxismo perchè applicano talune sue categorie in maniera ideale alla realtà, senza un'analisi che sia basata sulla dialettica materiale cioè sui rapporti reali che vigono nella società e nel mondo. I compagni hanno fatto bene a farti l'esempio dei rapporti operai-contadini in Urss. Applicando la centralità operaia come dogma Trotskij negò il ruolo rivoluzionario dei contadini nella costruzione del socialismo. Oggi alcuni suoi figliocci "operaisti" negano la positività di lotte non operaie. Allora come oggi queste posizioni si rivelano di fatto controrivoluzionarie. Ci sarebbe molto da dire ma questo è, aldilà dei limitati esempi che ti ho fatto, l'essenziale.
(mi sembra che i compagni attivi sul forum si stanno prodigando molto bene in tal senso...)
 
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view post Posted on 6/9/2011, 17:33
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compagno

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CITAZIONE (Aldous Morrigan @ 6/9/2011, 17:03) 
in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo?

Mi permetto di risponderti con un'altra domanda: in quale paese mai i troschisti hanno portato avanti una rivoluzione proletaria?
 
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barbarossa1957
view post Posted on 12/6/2013, 13:21




paginerosse.files.wordpress.com/2013/05/66976_117562111760620_2099493543_n.jpg è in inglese ma con un po di pazienza e usando bene google si hanno molti spunti interessanti rispetto alla domanda posta dall'amico
 
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Tetram
view post Posted on 14/6/2013, 01:07




CITAZIONE (carre @ 6/9/2011, 18:33) 
CITAZIONE (Aldous Morrigan @ 6/9/2011, 17:03) 
in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo?

Mi permetto di risponderti con un'altra domanda: in quale paese mai i troschisti hanno portato avanti una rivoluzione proletaria?

Diciamo che è il fatto che più fa capire l'inconcretezza e l'insostenibilità delle teorie trotzkyste.
 
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view post Posted on 14/6/2013, 10:06
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Diciamo che è il fatto che più fa capire l'inconcretezza e l'insostenibilità delle teorie trotzkyste.

No, non direi; la teoria(ed è una parola grossa) di Trotzky, è errata già a livello teorico. Il compagno Lenin e il compagno Stalin, non smontarono tali vagheggiamenti, portando come esempio la non avvenuta applicazione(giacchè anche il socialismo di Marx, non era stato applicato per intiero, prima della rivoluzione bolscevica), ma per una serie di teorie e modi di procedere teorici, errati e dialetticamente sbagliati.
 
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babeuf
view post Posted on 14/6/2013, 11:13




..sono d'accordo con Tetram...le posizioni Trotzkiste , ad una lettura superficiale, non differiscono in modo radicale dal leninismo. E nel misurarsi con la prassi e la realtà che mostrano il loro carattere astratto .
Come diceva Gramsci Leone è il teorico dell'offensiva nelle fasi di ritirata. In più non si accettano le sconfitte storiche , e tutti i loro problemi derivano dallo stalinismo..
C'è da dire che forme di trotskismo endemico di questo tipo, sono presenti anche tra chi si dice M-L
 
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view post Posted on 14/6/2013, 11:36
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E nel misurarsi con la prassi e la realtà che mostrano il loro carattere astratto .

Il marxismo-leninismo sancisce la contemporaneità di teoria e prassi(la teoria deve necessariamente essere praticabile), quindi penso che solo a sguardi idealisti e astratti, possano a livello teorico, parere buone teorie.

Edited by Ruhan - 16/6/2013, 11:40
 
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view post Posted on 14/6/2013, 12:48
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CITAZIONE (carre @ 6/9/2011, 18:33) 
CITAZIONE (Aldous Morrigan @ 6/9/2011, 17:03) 
in che modo Trotzki intendeva realilzzare il socialismo?

Mi permetto di risponderti con un'altra domanda: in quale paese mai i troschisti hanno portato avanti una rivoluzione proletaria?

Ovviamente la mia era una risposta (polemica) alla domanda dell'anticomunista interlocutore del momento: e cioè, che anche volendolo - per assurdo - sarebbe stato impossibile intendere nella viva realtà pratica come Troschi intendesse realizzare il socalismo, in quanto non solo non l'aveva mai realizzato, ma non vi si era neppure avvicinato.
Voglio poi puntualizzare che il paragone tra le non realizzazioni di Troschi con le "non realizzazioni" di Marx o di Engels, è improponibile ed antidialettico.
Ricordo a tutti che Troschi, al contrario di Marx e di Engels, e come invece Lenin e Stalin, è vissuto nell'epoca dell'imperialismo e delle Rivoluzioni Proletarie.
In tal senso è fondamentale imparare a memoria lla definizione staliniana di "leninismo".
 
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21 replies since 6/9/2011, 15:34   12735 views
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