Comunismo - Scintilla Rossa

Le interpretazioni revisioniste di Gramsci

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SkateRed
view post Posted on 5/1/2011, 09:25 by: SkateRed

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LA CINICA STRUMENTALIZZAZIONE RIFORMISTA DI ANTONO GRAMSCI


di Amedeo Curatoli

“Nulla, nel Gramsci politico del decennio legale (cioè prima dell’arresto avvenuto nel 1926) induce a ritenere che egli si ponga il problema della democrazia in termini diversi da quelli correnti nella Terza Internazionale, che egli cioè intraveda un regime di democrazia politica, rappresentativa, come terreno storico su cui avanzare verso il socialismo. Siamo nel 1916-1926 e non nel 1936-46 né converrà dare a Gramsci quanto è di Togliatti”

(Spriano, in: “Gramsci, scritti politici”, Editori Riuniti, pag. XXXIV).

Anche noi siamo propensi a distinguere nella vita politica di Antonio Gramsci, il decennio della libertà e il decennio della carcerazione fascista, ma la facciamo, questa distinzione, per motivi opposti a quelli di Spriano.

Prima dell’arresto, dice Spriano, Gramsci era leninista, completamente allineato alle posizioni della III Internazionale, ancora non “intravedeva” la “democrazia rappresentativa” come “terreno di avanzamento verso il socialismo”. Siccome è Togliatti il teorico della democrazia rappresentativa come terreno di avanzamento verso il socialismo, stiamo attenti, avverte -Spriano- a tener ben separati Gramsci (prima della carcerazione) da Togliatti, non “converrà” dare a Gramsci quanto è di Togliatti. Però… durante la carcerazione avviene il miracolo: Gramsci assume le vesti di padre spirituale della via italiana al socialismo e Togliatti ne è il suo esecutore testamentario. Ecco, questa è la più cinica e truffaldina delle malefatte revisioniste del Migliore alla quale hanno partecipato, coralmente tutti i teorici togliattiani di spicco, da Natoli a Spriano, da Platone a Gerratana, da Gullo a Gruppi.

Ritornando a Spriano, vediamo come egli ci descrive la trasfigurazione politico-ideologica di Gramsci nel periodo della carcerazione:

“Pare possibile affermare che mentre in Lenin la coscienza del carattere decisivo che assumono..l’elemento di direzione dall’alto, la funzione del partito come massimo organizzatore e propulsore delle masse è nettissima, prevalente, in Gramsci l’aspetto dell’aggressione (??) dal basso dello Stato nemico, del processo molecolare per cui si arriva a creare un dualismo di potere, la ricerca di nuovi istituti e articolazioni delle masse ..sono non meno prevalenti e costanti.. semmai la differenziazione verrà accettata storicamente da Gramsci non come un punto di allontanamento dal leninismo ma come sua applicazione a società politiche e civili quali quelle occidentali, che richiedono una più complessa articolazione della strategia rivoluzionaria” (op. cit. pag. XVI)


In questo brano, ridotto alla sua essenza, il revisionista Spriano (si noti con quanta doppiezza, astuzia e cautela), con un linguaggio contorto e ai limiti della comprensibilità, afferma due cose: A) Lenin parlava chiaramente di rivoluzione armata diretta dall’alto, dal partito “massimo propulsore e organizzatore delle masse”; B) Gramsci, invece, prediligeva l’attacco (!!) dal basso. Ma che cos’era questo attacco dal basso? Era forse qualcosa che assomigliasse a una rivoluzione? No, era un processo molecolare (?), era la ricerca di nuovi istituti(?) e articolazioni delle masse(??). Però attenzione : questa paccottiglia che Spriano ha l’insolenza di attribuire a Gramsci non costituiva una differenziazione rispetto al leninismo ma una sua applicazione a diverse e più complicate situazioni. Spriano ci vuole dire che una “semplice” e “facile” rivoluzione va bene in Russia, va bene in Oriente, ma in Italia non va bene, siamo meno rozzi, noi. In Italia occorre una più complessa articolazione della strategia, la strategia dei “processi molecolari”, dei “nuovi istituti” e delle “articolazioni delle masse”…Non è questa tutta immondizia “teorica” che il revisionista Spriano, va a scavare dal cassonetto della socialdemocrazia notoriamente nemica della rivoluzione? Se lo meritava Gramsci che questi imbroglioni revisionisti lo declassassero da grande comunista rivoluzionario a uno che andava alla ricerca di non meglio identificati “nuovi istituti”?

Andiamo anche noi a vedere che cos’era il “Gramsci politico del decennio legale”.A settembre del ’25, da Milano, dove risiedeva in un ammezzato dell’edificio che ospitava la società editrice de “L’Unità”, Gramsci si trasferì a Roma, a casa di Togliatti in cui furono stese, sottola sua direzione, le Tesi per il III Congresso del Partito che si sarebbe tenuto clandestinamente, a Lione. La Tesi 23 recitava:

Il partito si trova oggi nella fase della preparazione politica della rivoluzione. Il suo compito fondamentale può essere indicato da questi tre punti:


1) organizzare e unificare il proletariato industriale e agricolo per la rivoluzione;


2) organizzare e mobilitare attorno al proletariato tutte le forze necessarie per la vittoria rivoluzionaria e per la fondazione dello Stato operaio;


3) porre al proletariato e ai suoi alleati il problema della insurrezione contro lo Stato borghese e della lotta per la dittatura proletaria e guidarli politicamente e materialmente alla soluzione di esso attraverso una serie di lotte parziali.

Nella seconda quindicina del gennaio 1926 passò clandestinamente la frontiera francese per recarsi a Lione, e quell’espatrio fu irto di pericoli e faticoso per le lunghissime camminate sulla neve delle Alpi. Da quel Congresso, dove c’erano delegati da tutta l’Italia, venne fuori la sconfitta di dimensioni “plebiscitarie” dell’ala ultrasinistra di Bordiga (9,2%) e la vittoria di Gramsci (90,8%)

La Carcerazione


A Roma, la sera dell’8 novembre 1926, nonostante l’immunità parlamentare in quanto deputato, Antonio Gramsci fu arrestato. Aveva 35anni. La carcerazione fascista rappresentò per questo grande uomo un infernale calvario di tortura freddamente pianificata per fiaccarne la forza fisica, intellettuale e morale. Fu un decennio di crimine continuato che ancora grida vendetta, perché oggi, ai vertici delle istituzioni e al governo del nostro paese ci sono i fascisti Fini, La Russa e Gasparri . Con il pretesto di accertarsi che le sbarre della sua cella non fossero segate, le guardie carcerarie andavano a verificarle più volte, nel cuore della notte, facendo scorrere sulle sbarre una mazza di ferro, per impedirgli di dormire.

Agosto 1932:

“Sono giunto a un punto tale che le mie forze di resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze. In questi giorni mi sento così male come non sono mai stato; da più di otto giorni non dormo più di tre quarti d’ora per notte e intere notti non chiudo occhio. E’ certissimo che se l’insonnia forzata non determina essa alcuni mali specifici, li aggrava però talmente e li accompagna con tali malesseri concomitanti, che il complesso dell’esistenza diventa insopportabile” (Fiore, Vita di Gramsci, Laterza, pag. 310)

Luglio 1931:

“Da qualche mese soffro molto di smemoratezza. Non ho avuto più da un pezzo delle forti emicranie come nel passato (emicranie che chiamerei ‘assolute’), ma in contraccambio mi risento di più, relativamente, di uno stato permanente che può essere indicato come uno svaporamento di cervello; stanchezza diffusa, sbalordimento, incapacità di concentrare l’attenzione, rilassatezza della memoria ecc.” (ibid. pag. 306).

Sette giorni dopo questa lettera, all’una del mattino ebbe un’emottisi che successivamente così descrisse:

“Non si trattò di una vera e propria emorragia continuata, di un flusso irresistibile come ho sentito descrivere da altri: sentivo un gorgoglio nel respirare come quando si ha del catarro, seguiva un colpo di tosse e la bocca si riempiva di sangue…ciò durò fino alle quattro circa e in questo frattempo cacciai fuori 250-300 grammi di sangue” (ibid. pag. 306).

Ma la cosa più terribile della trappola fascista in cui lo seppellirono vivo dovette essere per Gramsci la totale impossibilità, per lui che era il capo del partito comunista, di poter comunicare con i compagni e avere un minimo di possibilità di uscire dal totale isolamento, gli impedirono anche di vedere la moglie i due figli in tenera età. Le torture fisiche e morali a cui fu sottoposto non riuscirono a fiaccare le sue poderose capacità intellettuali. Ma non può esservi dubbio sul fatto che lo stato di prostrazione e di malessere fisico, unito al sentimento di vedersi tagliato fuori dal centro dirigente mondiale del comunismo, di cui egli fece parte per due anni, a Mosca, lo indussero ad una visione pessimistica, alla sopravvalutazione della persistenza del riflusso reazionario e della stabilità del fascismo. Date queste premesse egli delinea una nuova, possibile strategia rivoluzionaria che prevedeva tempi più lunghi per la presa del poterere espressa in queste celeberrime parole:

“Mi pare che Ilici (Lenin) aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente (in Russia) nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente”. E più avanti:”In Oriente, lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente, tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale”


E’ su queste parole, strumentalmente accolte come leggi mosaiche al di là della storia e al di là del mondo, che si è cercato di dare dignità a una nuova versione della revisione del marxismo. Non la farsesca rifondazione di Bertinotti, ma quella che compì Togliatti fu il vero dramma del comunismo italiano, perché su quelle casematte egli, dal 1956 in poi, in una immobile e artificiosa guerra di posizione da fiction, ha tenuto definitivamente bloccata la classe operaia nel miraggio delle via italiana, la quale via, invece di condurre al socialismo, ha prodotto la catastrofe ideologica e anche morale incarnata dai liquidatori del partito comunista, gli Occhetto, i D’Alema, i Veltroni, la cui radicale trasformazione in elementi anticomunisti è pari soltanto alla metamorfosi kafkiana in immondi insetti accomodatisi nei ranghi delle élites politiche della borghesia monopolistica italiana.

La vera eredità di Gramsci

Di Gramsci ci resta la grande figura di un comunista rivoluzionario riconosciuto tale dalla Terza Internazionale che lo volle segretario generale del PCd’I, comunista di testa, comunista di cuore, che presumibilmente, di fronte alla rivoluzione antifascista (perché tale è stata la Resistenza, lotta armata per la distruzione del fascismo e per regolare successivamente i conti con la borghesia italiana – come avvenne in mezza Europa) non sarebbe rimasto affezionato, dogmaticamente, alla sua idea dei “tempi lunghi” delle casematte, perché proprio quella rivoluzione ha rappresentato la negazione delle casematte e della guerra di posizione ma è stata pienamente guerra di movimento, cioè autentica rivoluzione. Scriveva Secchia sull’Unità (gennaio 1945):

“Il terrore nazifascista deve essere stroncato dall’azione generale dei lavorator e delle masse popolari, deve essere stroncato da un’azione spietata di rappresaglia da parte dei partigiani. Bisogna scioperare, manifestare, avventarsi con qualsiasi arma sulla canaglia “repubblicana”, colpire a morte. Non più disarmi ma esecuzioni sommarie dei fascisti e dei tedeschi che ci capitano fra le mani. Bisogna dare la caccia a queste belve, colpirle e sterminarle senza pietà. Nessun fascista e tedesco deve sentirsi sicuro né in casa né per la strada, né nel luogo di gozzoviglia, né negli antri più nascosti. Tutti sono responsabili, tutti devono pagare”.


Nella direttiva del PCI n.16 per l’insurrezione si legge:

“Nelle città i GAP (Gruppi di azione patriottica) e i Sap (Squadre di azione patriottica) devono attaccare e abbattere senza pietà quanti gerarchi fascisti possono raggiungere, quanti agenti e collaboratori dei nazifascisti che continuano a tradire la patria (questori, commissari, alti funzionari dello Stato e dei Comuni, industriali e dirigenti tecnici della produzione asserviti ai tedeschi) quanti fascisti e repubblichini che restano sordi all’intimazione della patria di arrendersi o perire. Azioni più ampie devono senz’altro essere iniziate nelle città per la liquidazione dei posti di blocco, di sedi fasciste e tedesche, di commissariati di polizia ecc. ecc.”


Quindi l’obiettivo era di spezzare, distruggere l’apparato statale fascista. Questa distruzione avveniva e doveva avvenire a vari livelli, da quello del prestigio fino al piano fisico. Il metodo: la guerra civile, la giustizia proletaria, che è tanto più perfetta nelle grandi svolte della storia quanto più è rapida, completa, scoperta, giustificata non dal cavillo giuridico ma dalla volontà delle masse che la compiono. Dalle rovine dello Stato fascista nasceva, come formazione transitoria, un nuovo Stato nel cui seno si sarebbe svolta una lotta che ne avrebbe deciso il destino di Stato borghese o operaio.

Rivoluzione Facile in Oriente, difficile in Occidente?

La storia infinita, infinitamente ripetuta dai revisionisti di tutte le specie, della presunta maggiore difficoltà delle rivoluzioni in paesi più sofisticati e complessi della Russia (ah, se Lenin non avesse mai pronunciato quella frase..!), è stata sconfessata dalle rivoluzioni socialiste vittoriose di mezza Europa: Romania, Albania, Iugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria. Oppure pensiamo che quei paesi non fossero Europa? O che quelle non fossero vere rivoluzioni ma semplici imposizioni dell’Armata Rossa per accordi sottoscritti a Yalta?

E se prendiamo la Cina? L’apparato egemonico di quel grande paese dalle civilissime millenarie tradizioni non era forse un apparato egemonico di tutto rispetto? Se noi abbiamo Cristo e la burocrazia loro non avevano Confucio e i mandarini? Ebbene in quell’antico paese asiatico è penetrato il marxismo leninismo come arma di liberazione del popolo e i comunisti cinesi hanno fatto trenta anni di guerra di movimento, hanno rigettato la pratica e la teoria della guerra di posizione e sono giunti al potere. Come si può ripetere miliardi di volte la vecchia frase che in Oriente, rispetto all’Occidente “avanzato” è più facile prendere il potere? In Cina, distruggere il vecchio Stato dei grandi proprietari terrieri e della borghesia compradora è stato difficile, niente affatto facile, sono occorsi 30 anni di Guerre civili e di Liberazione nazionale dirette dal partito comunista per raggiungere quell’obiettivo.

Quindi tutta l’impalcatura artatamente costruita dai revisionisti sulle casematte e la guerra di posizione si è rivelata una scenografia teatrale, un trompe l’oeil, e noi marxisti leninisti italiani, se ancora oggi, continuassimo a ritenere ciò il lascito testamentario del grande Gramsci, diventeremmo complici dell’operazione malefica e truffaldina compiuta da Togliatti, che ha spregiudicatamente usato il pensiero e il prestigio politico, teorico e morale di Antonio Gramsci per dare maggiore credibilità e consistenza alla sua creatura di cartapesta, la via italiana al socialismo.

“L’immagine del ‘ partito di Gramsci e di Togliatti’, di Togliatti fedele allievo di Gramsci, suo erede e continuatore, sapientemente costruita da Togliatti… ha avuto lo scopo fondamentale di legittimare con il ricorso strumentale a Gramsci lo smantellamento del partito leninista, la costruzione del ‘partito nuovo’, l’elaborazione della strategia revisionista e riformista della ‘via italiana al socialismo’…In tutto il periodo post bellico Gramsci è dipinto da Togliatti non solo come il ‘profeta’ della ricostruzione e salvezza nazionale, ma anche come ‘un grande intellettuale’, erede di tutta la tradizione progressista della cultura italiana, da Boccaccio a De Sanctis, in una interpretazione che non solo cancella il Gramsci dirigente rivoluzionario, ma anche il rapporto della cultura con la lotta delle classi, l’essere Gramsci un ‘intellettuale organico’ del proletariato (nel senso rivoluzionario che Gramsci stesso dava all’espressione). Non è un caso che ai Quaderni dal Carcere (pubblicati nel dopoguerra in volumi in cui le note sono raccolte e raggruppate per temi, devastando l’ordine cronologico di stesura) siano stati dati personalmente da Togliatti titoli di tipo storico-culturale: ‘Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce’ ‘Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura’ ecc. La stessa definizione di partito come ‘intellettuale collettivo’, attribuita a Gramsci ma che non si trova né nei Quaderni né in altri scritti di Gramsci serve egregiamente allo scopo” (Michele Martelli su ‘Unità Popolare” coop. Editrice “Gino Palmisano”, Napoli,1980, pag. 90 e pag. 94).

Gramsci morì il 27 aprile 1937, aveva 46 anni. Il Comitato Esecutivo della Terza Internazionale diede la notizia della morte in questi termini:


La classe operaia italiana e il proletariato mondiale perdono nella persona di Gramsci uno dei loro migliori capi, uno dei migliori rappresentanti della generazione dei bolscevichi educata nelle file dell’Internazionale Comunista.

Amedeo Curatoli

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