Comunismo - Scintilla Rossa

Le interpretazioni revisioniste di Gramsci

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Le interpretazioni revisioniste di Gramsci: Garaudy, Togliatti e Berlinguer

Il concetto di blocco storico è stato deformato in diversi modi dal revisionismo, in particolare confondendo e riducendo il suo significato a quello di alleanza fra varie classi e strati sociali (tattiche o strategiche che siano), fino ad assimilarlo a quello di coalizione di gruppi di partiti.
Tipico esponente di questa interpretazione riduttiva e falsa da cima a fondo è stato il rinnegato revisionista Roger Garaudy (successivamente convertitosi all'Islam) che, fin dagli anni '60, ha contribuito a generare una profonda incomprensione a livello internazionale del concetto di blocco storico, influenzando e sviando molti comunisti. Nella sua opera di distorsione "scientifica" Garaudyè giunto perfino a concepire il nuovo blocco storico socialista come una "fusione progressiva" fra classe operaia e strati intellettuali, ignorando completamente la questione dell'alleanza con i contadini o con la piccola borghesia urbana ed equivocando su altri elementi chiave, quali direzione della classe operaia sul sistema di alleanze ed i mezzi rivoluzionari per rovesciare il potere borghese (che per Garaudy si riducono allo sciopero generale economico).
E' evidente che la lettura economicista del blocco storico operata da Garaudy - dal momento che lo comprende al solo livello della struttura ed ignora il ruolo delle sovrastrutture - era del tutto funzionale a soppiantare i compiti rivoluzionari del proletariato con l'elaborazione di politiche borghesi come quella della nazionalizzazione dei monopoli, la programmazione economica, ecc.
Una lettura altrettanto monca e distorta del concetto di blocco storico è stata quella proposta da Togliatti, che lo ha "progressivamente" spogliato del suo significato originale e, attraverso travisamenti sempre più evidenti, lo ha mutato, di fatto, in quello di blocco sociale e politico.
Questa operazione si inserisce nella calcolata operazione di "mediazione culturale" che Togliatti, intenzionalmente ed in modo sistematico, condusse negli anni della costruzione del "partito nuovo", proprio a partire dalla pubblicazione dei Quaderni. Per lunghi anni Gramsci è stato tutt'uno col "gramscianesimo" che emergeva della riduttiva e manipolata lezione ufficiale togliattiana, per lunghi anni l'attenzione è stata posta solo su alcuni temi dei Quaderni oscurandone e rimuovendone altri (un precedente storico di questa operazione può essere trovato nella "mediazione" kautskyana di Marx nella socialdemocrazia tedesca).
L'obiettivo di Togliatti non era certo quello di rendere omaggio a Gramsci e nemmeno quello di offrire un contributo al dibattito culturale. Era invece un preciso obiettivo politico, connesso alla strategia della "legalità repubblicana" e della "unità democratica" sviluppata dopo la svolta di Salerno; una strategia che prefigurando la "via italiana al socialismo" diretta da un "partito di massa", escludeva qualsiasi passaggio ad una successiva fase rivoluzionaria ed anticipava, per alcuni versi, la linea kruscioviana. In tale cornice va inquadrata la pubblicazione, la diffusione e l'interpretazione dei Quaderni di Gramsci che Togliatti gestì e diresse nel dopoguerra: dovevano servire a fornire una base teoricometodologica al "nuovo corso" revisionista del P.C.I. Così Gramsci venne da una parte "popolarizzato" e dall'altra distorto ed amputato. Da un lato se ne sottaceva e nascondeva il leninismo, dall'altro si valorizzava tutto ciò che serviva per avvalorare la linea imperniata sul gradualismo riformista.
Per quanto riguarda la nozione di blocco storico, Togliatti la utilizzò in modo scorretto e limitato, alla stregua di una pura e semplice alleanza di classi sociali, senza considerare tutta l'articolazione interna di una situazione storica determinata e la complessità dialettica del rapporto base-sovrastruttura. Ad esempio nel convegno su Gramsci tenuto a Roma nel gennaio 1958, nella relazione su "Gramsci e il leninismo", facendo riferimento all'esperienza russa per poi parlare di quella italiana, affermò: "La via che venne scelta dalle classi dirigenti fu l'espressione di un determinato blocco storico, nel quale ebbe il sopravvento - e avrebbe anche potuto non averlo - il gruppo sociale dell'aristocrazia terriera, alleato in modo particolare, - e anche quest'alleanza avrebbe potuto essere diversa - con il ceto capitalistico. A questo blocco storico, cui corrisponde un certo sviluppo di tutti i rapporti sociali, la classe operaia oppone la sua alleanza con le masse contadine per lottare sia contro l'autocrazia, sia contro il capitalismo e crea così le condizioni della vittoria rivoluzionaria……La borghesia italiana ha preso il potere ed ha organizzato la società e lo stato alleandosi a determinate forze e non a determinate altre. Ciò è stato conseguenza della sua natura ed è il fatto di cui bisogna tener conto. Perciò la società italiana, del Risorgimento e post-risorgimentale, ha assunto quel particolare suo carattere. Si è creato un "blocco storico" e quindi particolari condizioni in cui la classe operaia comincia ad organizzarsi, combatte, acquista coscienza di sé e della propria finzione….".
Come si può vedere l'interpretazione togliattiana del blocco storico si basa sulle alleanze di classe, è sostanzialmente un sinonimo di "blocco di forze sociali e politiche", di inserimento nel "nuovo blocco" che allora era rappresentato dal centrosinistra. In questo senso egli è molto vicino a Garaudy, nonostante si sia cercato di dimostrare il contrario.
Questa traslazione di significato serviva per dimostrare che esistevano le condizioni di un "nuovo blocco storico" che, mentre per Gramsci presupponeva la separazione e la contrapposizione più netta delle forze rivoluzionarie rispetto a quelle dominanti, la rottura rivoluzionaria e la più totale indipendenza teorica, politica ed organizzativa della classe operaia, per Togliatti consisteva in un'alleanza fra rappresentanti politici di classi diverse ed antagoniste. Difatti il "Migliore" parlava di un ambiguo "blocco storico dirigente", di "blocco di potere", in cui la classe operaia non aveva funzione dirigente. In sostanza si trattava di un'alleanza interclassista che trovava il suo fondamento nell'analisi del processo incompiuto del Risorgimento e dall'arretratezza del capitalismo italiano, che la destra del P.C.I. utilizzava per mettere la classe operaia a rimorchio dell'oligarchia finanziaria, spacciando la pia illusione secondo la quale si sarebbe potuto "sviluppare un movimento e ottenere risultati tali che modifichino l'attuale blocco di potere e creino le condizioni di un altro, del quale le classi lavoratrici facciano parte e nel quale possano conquistare la funzione che a loro spetta" (P. Togliatti, Nella democrazia e nella pace verso il socialismo, E.R., pp. 228-9).
In effetti, Togliatti si spinse addirittura oltre l'utilizzo del blocco storico come sinonimo di alleanze sociali, traendo da questo "contenitore" gli elementi che di volta in volta facevano più comodo alla strategia revisionista. In particolare, egli estese tale concetto sul piano politico per favorire l'alleanza fra partiti espressione di diverse classi sociali, per poi trasferirlo sul terreno delle istituzioni, facendolo dunque diventare intesa parlamentare e costituzionale tra grandi forze politiche (P.C.I. e Democrazia Cristiana), reciprocamente garantite e legittimate. Un'intesa fondata sulla divaricazione crescente fra l'involuzione politico-istituzionale del P.C.I. ed il movimento reale della classe operaia, giustificata teoricamente in nome della autonomia della sovrastruttura e della critica alla concezione meccanicista del marxismo (sic!). Fin dalla Resistenza, Togliatti incentrò la sua azione sull'unità interclassista tra le forze comuniste e quelle cattoliche, rappresentate dalla D.C. All'interno di quest'ultima individuò la compresenza di un'ala conservatrice, legata alla "borghesia possidente" e alla parte più retriva della Chiesa cattolica, ed un'ala "democratica", radicata nelle masse popolari. Questa concezione della D.C. come partito "a due facce (dimenticando che aveva un unico cervello imperialista e reazionario), rimase una costante nella cultura politica dei revisionisti, che si posero l'obiettivo di favorirne l'ala progressista, dietro il pretesto di evitare lo scivolamento a destra della D.C., ma in realtà per spostare su posizioni sempre più moderate il partito, saldarlo organicamente alla borghesia nell'apparato istituzionale borghese, abbandonando definitivamente la via della mobilitazione rivoluzionaria della classe operaia e delle masse lavoratrici.
L'alleanza con le forze borghesi che hanno una base popolare viene così dapprima vista come una "necessità storica e politica" (1946), e poi addirittura come un aspetto della "via italiana al socialismo", che Togliatti, all'VII Congresso del P.C.I. (1956), tentò di contrabbandare come frutto della "preoccupazione costante di Antonio Gramsci il quale, in tutta la sua azione politica e particolarmente nell'ultimo periodo della propria vita, fu interessato a dare una traduzione, o per meglio dire, conversione in italiano degli insegnamenti della rivoluzione russa". Questa miserabile impostazione era funzionale alla strategia politica che puntava ad incardinare e successivamente spegnere la lotta rivoluzionaria all'interno dello Stato, spargendo tra le masse l'abbaglio disastroso dell'avanzata verso il socialismo "alla luce e nei limiti della Costituzione" democratico-borghese. Una strategia di costruzione del "nuovo rapporto fra strutture e sovrastrutture" che nel corso del tempo ha prodotto da un lato l'indebolimento e l'arretramento del movimento comunista ed operaio, e dall'altro ha visto l'inserimento stabile negli apparati oppressivi statali dei dirigenti revisionisti e riformisti.
E' dunque Togliatti - e non Gramsci - che ha abbandonato il marxismo-leninismo ed è passato nel campo revisionista, che ha sostituito il concetto di lotta di classe con quello di collaborazione di classe, che dal blocco storico è approdato al compromesso storico, che dalla dittatura del proletariato è passato alla difesa delle oppressive istituzioni borghesi. E' Togliatti ad aver coltivato la pretesa di reperire in Gramsci (sotto il mantello della sua "riscoperta"), la giustificazione e la premessa del nuovo corso revisionista e quindi del parlamentarismo, della concezione "neutrale" dello stato, ecc. E' sempre Togliatti ad avviare in Italia la manipolazione e la forzatura delle tesi di Gramsci, adottando il metodo di estrapolare in modo incongruente passi dei Quaderni dall'insieme dell'opera, dal momento storico e dalle condizioni in cui furono scritti, allo scopo di giustificare posizioni revisioniste ed antimarxiste, imboccare la via riformista e smantellare pezzo a pezzo la grande forza che il movimento comunista aveva acquisito con la Resistenza e la sconfitta del fascismo.
Morto Togliatti, a seguito del Concilio Vaticano II e dell'emergere di un diffuso "dissenso" cattolico, si accentuò nel P.C.I. revisionista la linea del dialogo con la "sinistra" democristiana, al fine di costruire quella "unità delle forze di sinistra laiche e cattoliche", che doveva consentire di andare oltre il centrosinistra. In questo quadro dapprima Longo e poi Berlinguer continuarono ed approfondirono la politica togliattiana e lo snaturamento del pensiero di Gramsci.
Nel discorso di chiusura del XII Congresso del P.C.I. Enrico Berlinguer affermò: "sembra a me che questa espressione - strategia delle riforme - vada integrata con altri concetti e inglobata nell'espressione, che è anch'essa propria della nostra tradizione di "blocco storico". Abbiamo detto più volte, del resto, che nella nostra concezione non è il partito che conquista il potere, ma un blocco di forze sociali e politiche diverse, di cui il partito è parte, e che bisogna procedere, sin d'ora, passo a passo, alla costruzione di questo blocco storico, affermando nel suo seno l'egemonia della classe operaia. La strategia delle riforme è quindi essenzialmente una strategia delle alleanze, che in definitiva è stato poi sempre e resta il problema centrale di ogni problema rivoluzionario".
E' del tutto evidente che Berlinguer proseguì e portò ad ulteriori nefaste conseguenze la politica togliattiana, riferendosi col "blocco storico" all'insieme delle alleanze politiche e sociali volte alla realizzazione del "compromesso storico". In sostanza l'accordo politico con la D.C. e la costruzione di un sistema di collaborazione ed intesa politica fra forze borghesi e revisioniste per gestire contro la classe
operaia la crisi del sistema capitalistico.
La strategia riformista di Berlinguer, il passaggio "all'eurocomunismo", si svilupparono dunque sulla base della mistificazione e distorsione del pensiero di Gramsci, avviate da Togliatti. Una strategia che, dopo il crollo del revisionismo al potere, è proseguita fino a giungere alla "Bolognina" ed alle sue miserabili conseguenze odierne: da un lato la fusione col blocco liberal-cattolico e la costituzione del Partito Democratico, completamente funzionale agli interessi della borghesia imperialista; dall’altro la copertura socialdemocratica di Rifondazione, P.d.C.I. e “cantieri” vari.
Partiti-azienda, partiti degenerati, oscene ammuccchiate tenute insieme dalle sempre più scarse rendite elettorali, nel cui eclettico "pantheon" Gramsci può figurare a fianco di De Gasperi o di San Francesco, ed il "moderno Principe" assumere le logore maschere di un Napolitano alla presidenza della Repubblica o di un Bertinotti presidente della Camera. Ciò ad ulteriore e definitiva dimostrazione che è sufficiente rinunciare ad uno solo dei principi marxisti-leninisti, che basta fare mezzo passo nel dirupo revisionista per finire immersi nella melma del pensiero e della pratica borghese, per ritrovarsi dall'altra parte della barricata della lotta fra le classi.

Tratto da Teoria & Prassi, n. 18, nov. 2007

Edited by Sandor_Krasna - 18/11/2014, 21:30
 
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LA CINICA STRUMENTALIZZAZIONE RIFORMISTA DI ANTONO GRAMSCI


di Amedeo Curatoli

“Nulla, nel Gramsci politico del decennio legale (cioè prima dell’arresto avvenuto nel 1926) induce a ritenere che egli si ponga il problema della democrazia in termini diversi da quelli correnti nella Terza Internazionale, che egli cioè intraveda un regime di democrazia politica, rappresentativa, come terreno storico su cui avanzare verso il socialismo. Siamo nel 1916-1926 e non nel 1936-46 né converrà dare a Gramsci quanto è di Togliatti”

(Spriano, in: “Gramsci, scritti politici”, Editori Riuniti, pag. XXXIV).

Anche noi siamo propensi a distinguere nella vita politica di Antonio Gramsci, il decennio della libertà e il decennio della carcerazione fascista, ma la facciamo, questa distinzione, per motivi opposti a quelli di Spriano.

Prima dell’arresto, dice Spriano, Gramsci era leninista, completamente allineato alle posizioni della III Internazionale, ancora non “intravedeva” la “democrazia rappresentativa” come “terreno di avanzamento verso il socialismo”. Siccome è Togliatti il teorico della democrazia rappresentativa come terreno di avanzamento verso il socialismo, stiamo attenti, avverte -Spriano- a tener ben separati Gramsci (prima della carcerazione) da Togliatti, non “converrà” dare a Gramsci quanto è di Togliatti. Però… durante la carcerazione avviene il miracolo: Gramsci assume le vesti di padre spirituale della via italiana al socialismo e Togliatti ne è il suo esecutore testamentario. Ecco, questa è la più cinica e truffaldina delle malefatte revisioniste del Migliore alla quale hanno partecipato, coralmente tutti i teorici togliattiani di spicco, da Natoli a Spriano, da Platone a Gerratana, da Gullo a Gruppi.

Ritornando a Spriano, vediamo come egli ci descrive la trasfigurazione politico-ideologica di Gramsci nel periodo della carcerazione:

“Pare possibile affermare che mentre in Lenin la coscienza del carattere decisivo che assumono..l’elemento di direzione dall’alto, la funzione del partito come massimo organizzatore e propulsore delle masse è nettissima, prevalente, in Gramsci l’aspetto dell’aggressione (??) dal basso dello Stato nemico, del processo molecolare per cui si arriva a creare un dualismo di potere, la ricerca di nuovi istituti e articolazioni delle masse ..sono non meno prevalenti e costanti.. semmai la differenziazione verrà accettata storicamente da Gramsci non come un punto di allontanamento dal leninismo ma come sua applicazione a società politiche e civili quali quelle occidentali, che richiedono una più complessa articolazione della strategia rivoluzionaria” (op. cit. pag. XVI)


In questo brano, ridotto alla sua essenza, il revisionista Spriano (si noti con quanta doppiezza, astuzia e cautela), con un linguaggio contorto e ai limiti della comprensibilità, afferma due cose: A) Lenin parlava chiaramente di rivoluzione armata diretta dall’alto, dal partito “massimo propulsore e organizzatore delle masse”; B) Gramsci, invece, prediligeva l’attacco (!!) dal basso. Ma che cos’era questo attacco dal basso? Era forse qualcosa che assomigliasse a una rivoluzione? No, era un processo molecolare (?), era la ricerca di nuovi istituti(?) e articolazioni delle masse(??). Però attenzione : questa paccottiglia che Spriano ha l’insolenza di attribuire a Gramsci non costituiva una differenziazione rispetto al leninismo ma una sua applicazione a diverse e più complicate situazioni. Spriano ci vuole dire che una “semplice” e “facile” rivoluzione va bene in Russia, va bene in Oriente, ma in Italia non va bene, siamo meno rozzi, noi. In Italia occorre una più complessa articolazione della strategia, la strategia dei “processi molecolari”, dei “nuovi istituti” e delle “articolazioni delle masse”…Non è questa tutta immondizia “teorica” che il revisionista Spriano, va a scavare dal cassonetto della socialdemocrazia notoriamente nemica della rivoluzione? Se lo meritava Gramsci che questi imbroglioni revisionisti lo declassassero da grande comunista rivoluzionario a uno che andava alla ricerca di non meglio identificati “nuovi istituti”?

Andiamo anche noi a vedere che cos’era il “Gramsci politico del decennio legale”.A settembre del ’25, da Milano, dove risiedeva in un ammezzato dell’edificio che ospitava la società editrice de “L’Unità”, Gramsci si trasferì a Roma, a casa di Togliatti in cui furono stese, sottola sua direzione, le Tesi per il III Congresso del Partito che si sarebbe tenuto clandestinamente, a Lione. La Tesi 23 recitava:

Il partito si trova oggi nella fase della preparazione politica della rivoluzione. Il suo compito fondamentale può essere indicato da questi tre punti:


1) organizzare e unificare il proletariato industriale e agricolo per la rivoluzione;


2) organizzare e mobilitare attorno al proletariato tutte le forze necessarie per la vittoria rivoluzionaria e per la fondazione dello Stato operaio;


3) porre al proletariato e ai suoi alleati il problema della insurrezione contro lo Stato borghese e della lotta per la dittatura proletaria e guidarli politicamente e materialmente alla soluzione di esso attraverso una serie di lotte parziali.

Nella seconda quindicina del gennaio 1926 passò clandestinamente la frontiera francese per recarsi a Lione, e quell’espatrio fu irto di pericoli e faticoso per le lunghissime camminate sulla neve delle Alpi. Da quel Congresso, dove c’erano delegati da tutta l’Italia, venne fuori la sconfitta di dimensioni “plebiscitarie” dell’ala ultrasinistra di Bordiga (9,2%) e la vittoria di Gramsci (90,8%)

La Carcerazione


A Roma, la sera dell’8 novembre 1926, nonostante l’immunità parlamentare in quanto deputato, Antonio Gramsci fu arrestato. Aveva 35anni. La carcerazione fascista rappresentò per questo grande uomo un infernale calvario di tortura freddamente pianificata per fiaccarne la forza fisica, intellettuale e morale. Fu un decennio di crimine continuato che ancora grida vendetta, perché oggi, ai vertici delle istituzioni e al governo del nostro paese ci sono i fascisti Fini, La Russa e Gasparri . Con il pretesto di accertarsi che le sbarre della sua cella non fossero segate, le guardie carcerarie andavano a verificarle più volte, nel cuore della notte, facendo scorrere sulle sbarre una mazza di ferro, per impedirgli di dormire.

Agosto 1932:

“Sono giunto a un punto tale che le mie forze di resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze. In questi giorni mi sento così male come non sono mai stato; da più di otto giorni non dormo più di tre quarti d’ora per notte e intere notti non chiudo occhio. E’ certissimo che se l’insonnia forzata non determina essa alcuni mali specifici, li aggrava però talmente e li accompagna con tali malesseri concomitanti, che il complesso dell’esistenza diventa insopportabile” (Fiore, Vita di Gramsci, Laterza, pag. 310)

Luglio 1931:

“Da qualche mese soffro molto di smemoratezza. Non ho avuto più da un pezzo delle forti emicranie come nel passato (emicranie che chiamerei ‘assolute’), ma in contraccambio mi risento di più, relativamente, di uno stato permanente che può essere indicato come uno svaporamento di cervello; stanchezza diffusa, sbalordimento, incapacità di concentrare l’attenzione, rilassatezza della memoria ecc.” (ibid. pag. 306).

Sette giorni dopo questa lettera, all’una del mattino ebbe un’emottisi che successivamente così descrisse:

“Non si trattò di una vera e propria emorragia continuata, di un flusso irresistibile come ho sentito descrivere da altri: sentivo un gorgoglio nel respirare come quando si ha del catarro, seguiva un colpo di tosse e la bocca si riempiva di sangue…ciò durò fino alle quattro circa e in questo frattempo cacciai fuori 250-300 grammi di sangue” (ibid. pag. 306).

Ma la cosa più terribile della trappola fascista in cui lo seppellirono vivo dovette essere per Gramsci la totale impossibilità, per lui che era il capo del partito comunista, di poter comunicare con i compagni e avere un minimo di possibilità di uscire dal totale isolamento, gli impedirono anche di vedere la moglie i due figli in tenera età. Le torture fisiche e morali a cui fu sottoposto non riuscirono a fiaccare le sue poderose capacità intellettuali. Ma non può esservi dubbio sul fatto che lo stato di prostrazione e di malessere fisico, unito al sentimento di vedersi tagliato fuori dal centro dirigente mondiale del comunismo, di cui egli fece parte per due anni, a Mosca, lo indussero ad una visione pessimistica, alla sopravvalutazione della persistenza del riflusso reazionario e della stabilità del fascismo. Date queste premesse egli delinea una nuova, possibile strategia rivoluzionaria che prevedeva tempi più lunghi per la presa del poterere espressa in queste celeberrime parole:

“Mi pare che Ilici (Lenin) aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente (in Russia) nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente”. E più avanti:”In Oriente, lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente, tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale”


E’ su queste parole, strumentalmente accolte come leggi mosaiche al di là della storia e al di là del mondo, che si è cercato di dare dignità a una nuova versione della revisione del marxismo. Non la farsesca rifondazione di Bertinotti, ma quella che compì Togliatti fu il vero dramma del comunismo italiano, perché su quelle casematte egli, dal 1956 in poi, in una immobile e artificiosa guerra di posizione da fiction, ha tenuto definitivamente bloccata la classe operaia nel miraggio delle via italiana, la quale via, invece di condurre al socialismo, ha prodotto la catastrofe ideologica e anche morale incarnata dai liquidatori del partito comunista, gli Occhetto, i D’Alema, i Veltroni, la cui radicale trasformazione in elementi anticomunisti è pari soltanto alla metamorfosi kafkiana in immondi insetti accomodatisi nei ranghi delle élites politiche della borghesia monopolistica italiana.

La vera eredità di Gramsci

Di Gramsci ci resta la grande figura di un comunista rivoluzionario riconosciuto tale dalla Terza Internazionale che lo volle segretario generale del PCd’I, comunista di testa, comunista di cuore, che presumibilmente, di fronte alla rivoluzione antifascista (perché tale è stata la Resistenza, lotta armata per la distruzione del fascismo e per regolare successivamente i conti con la borghesia italiana – come avvenne in mezza Europa) non sarebbe rimasto affezionato, dogmaticamente, alla sua idea dei “tempi lunghi” delle casematte, perché proprio quella rivoluzione ha rappresentato la negazione delle casematte e della guerra di posizione ma è stata pienamente guerra di movimento, cioè autentica rivoluzione. Scriveva Secchia sull’Unità (gennaio 1945):

“Il terrore nazifascista deve essere stroncato dall’azione generale dei lavorator e delle masse popolari, deve essere stroncato da un’azione spietata di rappresaglia da parte dei partigiani. Bisogna scioperare, manifestare, avventarsi con qualsiasi arma sulla canaglia “repubblicana”, colpire a morte. Non più disarmi ma esecuzioni sommarie dei fascisti e dei tedeschi che ci capitano fra le mani. Bisogna dare la caccia a queste belve, colpirle e sterminarle senza pietà. Nessun fascista e tedesco deve sentirsi sicuro né in casa né per la strada, né nel luogo di gozzoviglia, né negli antri più nascosti. Tutti sono responsabili, tutti devono pagare”.


Nella direttiva del PCI n.16 per l’insurrezione si legge:

“Nelle città i GAP (Gruppi di azione patriottica) e i Sap (Squadre di azione patriottica) devono attaccare e abbattere senza pietà quanti gerarchi fascisti possono raggiungere, quanti agenti e collaboratori dei nazifascisti che continuano a tradire la patria (questori, commissari, alti funzionari dello Stato e dei Comuni, industriali e dirigenti tecnici della produzione asserviti ai tedeschi) quanti fascisti e repubblichini che restano sordi all’intimazione della patria di arrendersi o perire. Azioni più ampie devono senz’altro essere iniziate nelle città per la liquidazione dei posti di blocco, di sedi fasciste e tedesche, di commissariati di polizia ecc. ecc.”


Quindi l’obiettivo era di spezzare, distruggere l’apparato statale fascista. Questa distruzione avveniva e doveva avvenire a vari livelli, da quello del prestigio fino al piano fisico. Il metodo: la guerra civile, la giustizia proletaria, che è tanto più perfetta nelle grandi svolte della storia quanto più è rapida, completa, scoperta, giustificata non dal cavillo giuridico ma dalla volontà delle masse che la compiono. Dalle rovine dello Stato fascista nasceva, come formazione transitoria, un nuovo Stato nel cui seno si sarebbe svolta una lotta che ne avrebbe deciso il destino di Stato borghese o operaio.

Rivoluzione Facile in Oriente, difficile in Occidente?

La storia infinita, infinitamente ripetuta dai revisionisti di tutte le specie, della presunta maggiore difficoltà delle rivoluzioni in paesi più sofisticati e complessi della Russia (ah, se Lenin non avesse mai pronunciato quella frase..!), è stata sconfessata dalle rivoluzioni socialiste vittoriose di mezza Europa: Romania, Albania, Iugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria. Oppure pensiamo che quei paesi non fossero Europa? O che quelle non fossero vere rivoluzioni ma semplici imposizioni dell’Armata Rossa per accordi sottoscritti a Yalta?

E se prendiamo la Cina? L’apparato egemonico di quel grande paese dalle civilissime millenarie tradizioni non era forse un apparato egemonico di tutto rispetto? Se noi abbiamo Cristo e la burocrazia loro non avevano Confucio e i mandarini? Ebbene in quell’antico paese asiatico è penetrato il marxismo leninismo come arma di liberazione del popolo e i comunisti cinesi hanno fatto trenta anni di guerra di movimento, hanno rigettato la pratica e la teoria della guerra di posizione e sono giunti al potere. Come si può ripetere miliardi di volte la vecchia frase che in Oriente, rispetto all’Occidente “avanzato” è più facile prendere il potere? In Cina, distruggere il vecchio Stato dei grandi proprietari terrieri e della borghesia compradora è stato difficile, niente affatto facile, sono occorsi 30 anni di Guerre civili e di Liberazione nazionale dirette dal partito comunista per raggiungere quell’obiettivo.

Quindi tutta l’impalcatura artatamente costruita dai revisionisti sulle casematte e la guerra di posizione si è rivelata una scenografia teatrale, un trompe l’oeil, e noi marxisti leninisti italiani, se ancora oggi, continuassimo a ritenere ciò il lascito testamentario del grande Gramsci, diventeremmo complici dell’operazione malefica e truffaldina compiuta da Togliatti, che ha spregiudicatamente usato il pensiero e il prestigio politico, teorico e morale di Antonio Gramsci per dare maggiore credibilità e consistenza alla sua creatura di cartapesta, la via italiana al socialismo.

“L’immagine del ‘ partito di Gramsci e di Togliatti’, di Togliatti fedele allievo di Gramsci, suo erede e continuatore, sapientemente costruita da Togliatti… ha avuto lo scopo fondamentale di legittimare con il ricorso strumentale a Gramsci lo smantellamento del partito leninista, la costruzione del ‘partito nuovo’, l’elaborazione della strategia revisionista e riformista della ‘via italiana al socialismo’…In tutto il periodo post bellico Gramsci è dipinto da Togliatti non solo come il ‘profeta’ della ricostruzione e salvezza nazionale, ma anche come ‘un grande intellettuale’, erede di tutta la tradizione progressista della cultura italiana, da Boccaccio a De Sanctis, in una interpretazione che non solo cancella il Gramsci dirigente rivoluzionario, ma anche il rapporto della cultura con la lotta delle classi, l’essere Gramsci un ‘intellettuale organico’ del proletariato (nel senso rivoluzionario che Gramsci stesso dava all’espressione). Non è un caso che ai Quaderni dal Carcere (pubblicati nel dopoguerra in volumi in cui le note sono raccolte e raggruppate per temi, devastando l’ordine cronologico di stesura) siano stati dati personalmente da Togliatti titoli di tipo storico-culturale: ‘Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce’ ‘Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura’ ecc. La stessa definizione di partito come ‘intellettuale collettivo’, attribuita a Gramsci ma che non si trova né nei Quaderni né in altri scritti di Gramsci serve egregiamente allo scopo” (Michele Martelli su ‘Unità Popolare” coop. Editrice “Gino Palmisano”, Napoli,1980, pag. 90 e pag. 94).

Gramsci morì il 27 aprile 1937, aveva 46 anni. Il Comitato Esecutivo della Terza Internazionale diede la notizia della morte in questi termini:


La classe operaia italiana e il proletariato mondiale perdono nella persona di Gramsci uno dei loro migliori capi, uno dei migliori rappresentanti della generazione dei bolscevichi educata nelle file dell’Internazionale Comunista.

Amedeo Curatoli

http://lanostralotta.org/?p=146#more-146
 
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Come sempre, la dottrina di Marx è il bilancio di un'esperienza,

Senza cadere nell'utopia, Marx aspettava dall'esperienza di un movimento di massa la risposta alla questione: quali forme concrete avrebbe assunto questa organizzazione del proletariato come classe dominante e in che modo precisamente questa organizzazione avrebbe coinciso con la più completa e conseguente "conquista della democrazia".

In Marx non v'è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la genesi della nuova società che sorge dall'antica, le forme di transizione tra l'una e l’altra. Egli si basa sui fatti, sull’esperienza del movimento proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici.

Lenin “Stato e Rivoluzione”


Anche noialtri marxisti facciamo "un bilancio dell'esperienza" per "non cadere nell'utopia", per non inventare, immaginare e così via.
Qual è il bilancio dell'esperienza del revisionismo togliattiano?
Posssiamo affermare che è un bilancio positivo od un bilancio negativo?
Questa fantomatica "via italiana al socialismo" a che cosa ha condotto?
Chi ha mai visto le "riforme di struttura"? Chi può con il bilancio dell'esperienza affermare che tali riforme di struttura avrebbero mai portato al socialismo?

Come afferma l'ottimo compagno Curatoli, e come io, più modestamente, mi permetto di sottolineare, "quella che compì Togliatti fu il vero dramma del comunismo italiano, perché su quelle casematte egli, dal 1956 in poi, in una immobile e artificiosa guerra di posizione da fiction, ha tenuto definitivamente bloccata la classe operaia nel miraggio delle via italiana, la quale via, invece di condurre al socialismo, ha prodotto la catastrofe ideologica e anche morale incarnata dai liquidatori del partito comunista, gli Occhetto, i D’Alema, i Veltroni, la cui radicale trasformazione in elementi anticomunisti è pari soltanto alla metamorfosi kafkiana in immondi insetti accomodatisi nei ranghi delle élites politiche della borghesia monopolistica italiana".
 
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IosifAlexander
view post Posted on 5/1/2011, 18:44




scusatemi se intervengo,ma nelle parole di Lenin non capisco una sua affermazione,"non immagina una società nuova".Io credo nel socialismo reale come unica via per una nuova società.Com'è possibile?
 
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view post Posted on 5/1/2011, 20:02
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compagno

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Stai dimenticando la parola "immagina", anzi "non immagina".
Comprì?
 
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barbarossa1
view post Posted on 27/4/2014, 17:41




http://prensapcv.wordpress.com/2014/04/24/...ntonio-gramsci/ questo libro è molto interessante il libro per adesso è solo in castigliano
 
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view post Posted on 27/4/2014, 17:47

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bisognerebbe tradurlo!
 
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view post Posted on 27/5/2015, 16:44

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Gramsci bolscevico…”I falsari del moderno revisionismo, gli illusionisti del “socialismo del 21° secolo” e tutti gli intellettuali borghesi e reazionari sono così smentiti su tutta la linea. Antonio Gramsci fu un grande dirigente rivoluzionario del proletariato, un gigante del pensiero e dell’azione comunista che ha sempre combattuto le deviazioni antileniniste, ha sempre difeso la dittatura del proletariato, il sistema della democrazia operaia incarnata nei consigli (soviet), contro la falsa democrazia borghese e le sue varianti socialdemocratiche (ad es. l’odierna “democrazia partecipativa”), ha sempre insistito sulla necessità di una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società attraverso l’abbattimento dello Stato borghese e si è sempre mantenuto fedele al marxismo-leninismo e al socialismo proletario, fino all’ultimo giorno della sua esistenza”

https://paginerosse.wordpress.com/2014/11/...-smentiti-su-t/
 
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view post Posted on 11/8/2017, 16:32

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LUNGA VITA PER ANTONIO GRAMSCI, ETERNO OBLIO PER PALMIRO TOGLIATTI


AMEDEO CURATOLI·MERCOLEDÌ 9 AGOSTO 2017

(sono cose che già sono state dette e scritte altre volte, ma siccome, in quanto marxisti leninisti italiani, abbiamo il dovere di scindere Gramsci da Togliatti, è meglio ripeterle queste cose)

Antonio Gramsci morì dopo dieci anni di torture fasciste ordinate da Mussolini : “Questo cervello –disse il criminale- deve smettere di pensare”. Gli hanno impedito di dormire la notte, tutte le notti della sua prigionia. Andavano più volte, nella notte, a “verificare” che le sbarre della sua cella non fossero segate! Ha resistito fino al 27 aprile del 1937, morì che aveva solo 46 anni. Ci ha lasciato 32 quaderni di fitta grafia su cui Gramsci, staccato dal mondo, nel buco nero del carcere fascista di Turi, a fatica, quasi quotidianamente scriveva, quando non aveva crisi di emottisi indotte dallo stato pietoso in cui si trovava in seguito alla tortura che gli infliggevano di non dormire. Egli si aggrappò alla scrittura, per tenere impegnato il suo cervello, animato da un’eroica volontà di sopravvivere nonostante la sua tempra e le sue capacità fisiche si indebolissero progressivamente, di giorno in giorno.

La cognata di Gramsci Tatiana Schucht riuscì a salvare i quaderni e li portò con sé in Unione Sovietica. Lei e sua sorella Giulia, moglie di Gramsci, chiesero di essere ricevute da Stalin e gli consegnarono i quaderni. Togliatti li ricevette qualche tempo dopo da Stalin. Dovette esaminarli febbrilmente per vedere se e come utilizzarli per i suoi fini politici. Da quando li ricevette (presumibilmente nello stesso anno della morte di Gramsci ) trascorsero 11 anni prima che Togliatti, nel 1948, si decidesse ad iniziare a pubblicare con Einaudi, sotto la sua strettissima sorveglianza, le note di Gramsci, sia pure nella forma di raggruppare queste note (arbitrariamente e strumentalmente), per argomento, anziché presentarle nell’ordine cronologico in cui furono scritte. A queste “antologie” verranno assegnati arbitrari titoli e introduzioni ancor più arbitrarie e mistificanti . L’introduzione alla prima di queste antologie (siamo nel 1948) “Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce” comincia così: ”Ha inizio, con questo volume, la pubblicazione delle note e dei saggi che Antonio Gramsci scrisse in carcere…I successivi volumi di questa stessa collana vedranno fra breve la luce ecc.” E seguiranno “Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura”; “Il Risorgimento”; “Note sul Machiavelli…” ecc.

Dovranno trascorrere ben 38 anni (38 anni!!) prima che, finalmente, i togliattiani, nel 1975, si decidessero a pubblicare le note nell’ordine cronologico in cui furono stese. Il “curatore”, Gerratana, ha fatto evidentemente un gran favore alle future generazioni di marxisti leninisti i quali, avendo a disposizione tutti i quaderni del carcere e un apparato critico alla fine del quarto volume davvero utilissimo, potranno dimostrare, punto per punto, l’opera mistificatoria di Togliatti che ha fatto del grande Gramsci il nume tutelare della antileninista e antigramsciana “via italiana al socialismo”. Questo Gerratana, nella “Cronologia della vita di Antonio Gramsci” ha, incredibilmente, omesso di pubblicare il messaggio di cordoglio che la Terza Internazionale Comunista pubblicò il giorno della morte di Antonio Gramsci. Eccolo:

“Strettamente legato alle masse, capace di istruirsi alla scuola delle masse, sapendo comprenderne tutti gli aspetti della vita sociale, rivoluzionario inflessibile, fedele fino al suo ultimo soffio all’Internazionale Comunista e al suo partito, Gramsci ci lascia il ricordo di uno dei migliori rappresentanti della generazione di bolscevichi che nelle file dell’Internazionale Comunista fu edificata nello spirito della dottrina di Marx, Engels, Lenin, Stalin, nello spirito del bolscevismo”.

Amedeo Curatoli
 
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view post Posted on 12/8/2017, 22:08
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sull'utilizzo distorsivo del patrimonio teorico e analitico di Gramsci da parte di Togliatti siamo d'accordo, ma sull'arbitrarietà dei titoli dei quaderni ho dei dubbi...francamente mi sembra chiaro che Gramsci stesso voleva confrontarsi con talune questioni poste dai massimi teorici borghesi del nostro paese quali Macchiavelli e Croce, che l'analisi del risorgimento fosse fondativa di alcune categorie come la "rivoluzione passiva" che fecero avanzare la comprensione del mondo da parte dei comunisti...rispetto a tali titoli, sinceramente, non ci vedo - devo dire la verità - niente di male...poi ci si potrebbe chiedere se sia corretta la scelta editoriale della pubblicazione per argomenti, ma questi erano gli argomenti che Gramsci trattò, mi sembra indubbio...poi se quello stronzo di Togliatti ha nascosto qualcosa non lo sapremo probabilmente mai...ma la genialità e il contenuto rivoluzionario di quello che ci è giunto ci è, diciamo, sufficiente per distinguere un rivoluzionario come Gramsci da un traditore come Togliatti.
 
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9 replies since 15/2/2010, 00:10   1573 views
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