Comunismo - Scintilla Rossa

Per la ricostruzione del Partito Comunista, Una lettera di Marco Rizzo

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Calexis
view post Posted on 29/9/2012, 10:49 by: Calexis




Lettera aperta ai Comunisti per una Sinistra Popolare, Roma, 22 luglio 2009.
Vorrei partire dall’analisi della sconfitta politica dell’Arcobaleno prima, e di quella delle europee e
amministrative poi.
A questo proposito è utile distinguere il fallimento politico in senso rappresentativo (soglia minima
di consenso sempre conseguito) da quello di effettiva rappresentatività degli interessi di classe (in
senso lato del concetto).
Ora, se facciamo questa distinzione vediamo che la sconfitta politica della rappresentatività degli
interessi di classe non coincide con quella del “consenso minimo sempre raggiunto” che chiamo
consenso rappresentativo, perché la prima avviene molto prima e già all’atto di nascita. La forma
del consenso rappresentativo non ha rappresentato la sostanza della rappresentanza degli interessi di
classe per una serie di ragioni che hanno sempre dilaniato la socialdemocrazia da Kautsky fino a
Berlinguer, e che non poteva sciogliersi se non con una riformulazione di tutta l’ortodossia marxista
che ha permeato e logorato le energie del comunismo, che avrebbe dovuto portare alla transizione
dal socialismo verso il comunismo. Il crollo del comunismo storico del novecento (1917-1991) non
è avvenuto per opera dello spirito santo ( papa Giovanni Paolo II ), ma più prosaicamente sulle
contraddizioni conosciute e volutamente taciute da una elite comunista ortodossa ( la corsa a chi è
più comunista è lo sport preferito dei falsi comunisti e ne ho conosciuti molti morti di infarto
agonistico-politico).
Il problema non è quindi dichiararsi comunista e neppure quello di spostare il discorso politico sul
personale ( anche se, per quanto mi riguarda, il personale è politico) per il semplice motivo che
questa pratica è stata da tutti abusata e ha pagato in riciclaggio politico (per fare un esempio,
Alessio D’Amato, comunista doc, vero compagno, segretario di federazione, consigliere alla
Regione Lazio, fondatore del progetto Rosso-Verde che gli è servito per un posto al PD), e che,
quindi, ci porterebbe nella poltiglia politica e non ci farebbe avanzare nel progetto dell’analisi e
delle risposte.
Il problema oggi è quello di come essere “attuazionisti”, ovvero di come rendere reale un’esigenza
di classe che, al momento, è solo percepita vagamente e quindi non compresa. Si tratta di sapere
qual è il soggetto rivoluzionario oggi, dopo che si è constatato non essere la classe operaia ( anche
se Marx non ha mai detto che la classe operaia fosse il soggetto capace di rivoluzionare i rapporti di
forza ma semplicemente (per modo di dire) il lavoratore collettivo cooperativo associato
dall’ingegnere all’ultimo manovale insieme al general intellect , inteso come potenza del sapere
tecnico) e neppure, come aveva giustamente intuito Lenin, il partito politico organizzato.
Per questo non è sufficiente spingere sullo scontento della gente perché si trovano scontenti in tutte
le classi sociali ( e vediamo che molti comunisti scontenti preferiscono votare la Lega).
Fintanto che il comunismo rimane una dottrina esposta interamente a parole si risolverà sempre in
un tradimento di classe (una falsa rappresentanza parlamentare se va bene, altrimenti nell’ennesimo
riciclaggio).
Fino a quando non cominceremo a pensare noi stessi come padroni del nostro destino (ovvero come
produttori e non come semplici consumatori) non faremo nessun avanzamento concettuale e sociale
e saremo condannati a vivere più per gli altri che per noi stessi.
La falsa contrapposizione (falsa coscienza) tra Io e NON-IO si deve risolvere tra la piena identità di
soggetto e oggetto (il produttore è anche padrone della sua produzione).
Com’è possibile che il PDCI, Rifondazione e Socialismo 2000 si siano alleati con i Consumatori
Uniti? Non credo che sia solo una questione di puro interesse (per me l’interesse è un concetto
nobile e un’arma da non sottovalutare in mano allo sfruttato) elettorale ma vi sia una ragione più
profonda che è quella di aver introiettato la propria subalternità alla produzione, una rivendicazione
passiva verso i proprietari dei mezzi di produzione e di non concepirsi come produttori.
Si è definitivamente realizzata la coscienza del consumatore, che non può che essere coscienza
supina incapace di azione concreta, ovvero di attuazione della propria libertà dal bisogno indotto e
mercificato.Fenomenologia della decenza. Nascita delle comunità del dissenso ai margini dei partiti.
È necessario riportare la misura delle cose entro i confini del decente. Per operare in questo senso
bisogna, prima di tutto, fare chiarezza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ciò che si dice è troppo; ciò
che si fa è niente. Le forze politiche che si richiamano in vario modo al pensiero rivoluzionario
comunista, al marxismo, al solo pensiero di Marx, al comunismo e basta (cioè in tutte le salse),
all’altermondismo, al movimentismo, all’ecologismo degli affari dipinto di centrosocialismo ecc.,
hanno esaurito la loro eredità di consenso che veniva da ciò che altri hanno pensato e soprattutto
fatto.
La falce e martello è un simbolo talmente nobile che appassisce subito piantato in un partito. Il
ricordo non alimenta il presente.
Detto questo, bisogna passare ad esaminare i problemi connessi a questo preambolo.
La questione del rapporto tra determinanti e determinati.
La questione tra oralità e scrittura (intesa come rapporto tra teoria e pratica).
La questione dell’autorevolezza (intesa come conquista sul campo e non per ceto, casta o
esposizione mediatica).
La questione tra determinanti e determinati verrà analizzata sotto l’aspetto del razionalismo, da cui
discendono l’assolutismo, la sovranità popolare, il diritto naturale.
Le forme partito, nate dopo la chiusura dell’esperienza del Partito Comunista Italiano, hanno
adottato un sistema misto per la gestione della cosa pubblica.
Sono stati, adottando la formula di Aristotele e Cicerone, aristocratici, oligarchici e democratici.
Aristocratici nella scelta di coloro che dovevano rappresentare il popolo, oligarchici nella gestione
del partito e democratici per tutto quello che rappresentava la manovalanza.
Queste tre forme miste hanno generato un rapporto con il militante prima, e nell’elettore dopo, che
non ammetteva vie di uscita alla determinazione e, quindi, escludeva qualsiasi forma di
razionalismo. Per trovare un senso a questa forma parossistica e tautologica si venivano formando
comunità spontanee che non avevano nessun legame con i partiti. Le comunità del dissenso
venivano viste come un bacino elettorale comunque di riferimento. Le cose non stavano proprio in
questi termini ed oggi, che sappiamo come sono andate le cose, ne abbiamo la prova.
Le comunità del dissenso che vivevano ai margini dei partiti, pur non facendo parte degli stessi, ne
vivevano comunque l’esperienza e alimentavano e si alimentavano della politica di riferimento.
Erano comunque un corpo vivo ai margini di un corpo morto. La differenza tra chi stava dentro e
chi stava fuori la faceva la coerenza e la dignità. La coerenza in quanto non si poteva sostenere una
questione morale che all’interno dei partiti era carta straccia e una questione di dignità per la
soppressione di qualsiasi considerazione individuale.
I vertici dei partiti, alle continue disaffezioni da parte dei militanti, non prestarono più di tanto peso
in quanto si andava elaborando una idea del partito leggero consistente nel ragionamento che meno
fastidi si ricevano dall’interno meglio era: tanto ciò che contava era il numero dei voti degli elettori.
Nel frattempo si ingrossavano le fila delle comunità del dissenso.
La questione dell’assolutismo.
La questione dell’assolutismo vive in forma ortodossa all’interno dei partiti eredi del PCI, ed in
forma eterodossa nelle comunità del dissenso.
All’interno dei partiti vi è la concezione che tra il popolo e il partito vi è un patto, o meglio
un’alleanza stretta davanti alla Grande Rivoluzione, da cui tutto nasce ed evidentemente deve
morire. È un patto teologico ereditario che non può essere infranto. Ed infatti non viene infranto
neppure davanti alla storia.
Nelle comunità del dissenso vi è un ragionamento che nasce dalla constatazione che la Grande
Rivoluzione è qualcosa che non può essere espressione delle masse ma soltanto delle potenze
nazionali: qui si trovano teorie che vanno dalla giustificazione degli eccidi da parte delle nazioni
che si oppongono all’imperialismo USA, a variopinti movimenti altermondisti a guida di
moltitudini desideranti. L’assolutismo può essere evidentemente destrutturato e ricomposto apiacimento. Vi sono, al contrario posizioni che vedono nella comunità insorgente la nascita del
soggetto portatore di libertà.
Da questa situazione nascono le guerre confessionali e la questione della sovranità popolare.
La sovranità popolare per i partiti politici è semplicemente la forza dei numeri: sono votato e quindi
ho ragione, oppure anche se non si è votati si trovano le ragioni per avere ragione: il partito, il
rilancio delle alleanze, ecc.
Per le comunità del dissenso la sovranità popolare non può più essere appannaggio dei partiti ed è
condizionata dalla strategia antimperialista: vi è sovranità se coincide con la mia visione altrimenti è
pura farsa.
Vi è anche una posizione più articolata che fa coincidere la sovranità popolare con l’Impero senza
imperialismo affidandola alle moltitudini
Quella che a mio parere sembra più pertinente è quella che la fa nascere dalla comunità per
l’attuazione del comunismo anche perché dà pari dignità a tutti coloro che lottano e sono disposti a
morire per la libertà.
La questione del diritto naturale all’interno dei partiti non esiste perché non esistono gli individui.
Non esistendo un soggetto portatore di diritti la questione non si pone. Nelle comunità del dissenso
il diritto naturale anche se viene in qualche modo riconosciuto è almeno problematizzato e in un
certo modo subordinato al diritto storico che decide caso per caso. Quindi non vi è un vero e proprio
diritto naturale ma semplicemente artificiale. Questo perché, anche all’interno delle comunità del
dissenso l’individuo è qualcosa che dà fastidio e che impedisce alla Verità di palesarsi in tutta la sua
regalità siano essi l’antimperialismo, la decrescita, la lotta degli oppressi ecc.
L’individuo che vive nella comunità del dissenso corre il rischio di non dissentire più
concretamente, perdendo quella prospettiva dell’agire comunicativo capace di raccogliere intorno a
sè gli elementi costitutivi che fanno della teoria la vera e propria prassi umana.
È qui che l’accordo tra oralità e scrittura prefigura la comunità per l’attuazione del comunismo
inserita in una prospettiva comunitaria e il terreno sul quale si può e si deve trovare il concetto di
autorevolezza.
Nel suo Platone e i fondamenti della metafisica (1982), Kramer scrive: < La pretesa di validità
della filosofia sistemica di Platone deve essere considerata operando una serie di distinzioni.
Difficilmente vi era collegata la pretesa di non aver bisogno di alcuna revisione; questo si può
ricavare dal concetto dinamico di filo-sofia (inteso in seno forte), così come dalla divergenza degli
scolari, sia nei confronti di Platone sia degli uni nei confronti degli altri tollerata nell’Accademia.
Anche la pretesa di esaurire la totalità dei contenuti filosofici probabilmente non vi era collegata; il
progetto era mantenuto piuttosto elastico e flessibile ed era fondamentalmente aperto ad
ampliamenti sia nel suo insieme sia nei suoi particolari. Si può pertanto parlare di una istanza non
dogmatica ma euristica e rimasta in alcuni particolari addirittura a livello di abbozzo, e quindi di un
sistema aperto; non, però, certamente di un antisistema di frammenti di teorie senza precise
connessioni. Invece è da tenere sicuramente in conto la tendenza alla totalizzazione e ad un progetto
generale e coerente e consistente. Questo è comprovato dalla teoria dei Principi, dalla elaborazione
di concetti generali di funzioni e di relazioni, e altresì dall’accordo di tutti i discepoli nelle precise
intenzioni di costruire un sistema. Perciò nella valutazione di queste questioni sono da tenere ben
distinti i punti di vista del grado di coerenza della dottrina dal grado di validità della medesima>.
Con il crollo dei regimi del cosiddetto socialismo reale prima e il rimpasto di PCI poi, lo stupore è
nel constatare che non ha lasciato niente dietro di sé, non ha operato nessuna trasformazione degli
stili di vita, della forma dei rapporti umani. La presunta e presuntuosa diversità di essere comunisti
si infrangeva in un meschino riciclo e un ridicolo sostegno a regimi “resistenti”.
Fare i conti con il passato serve più che altro a non commettere gli stessi errori e orrori.
Si è fatto questo rendiconto? Si, se si guarda a piccole nicchie importanti per contenuto e dibattito;
no, se si guarda in generale.
Il punto centrale della questione è il rapporto che si deve instaurare tra un pensiero
onnicomprensivo e gli uomini in carne ed ossa ai quali quel pensiero è rivolto. Il desiderio di libertànon può calpestare altre libertà legittime in nome di un nostro giustificato disegno, proprio perché
l’uomo non è mai mezzo ma sempre fine, quel desiderio di libertà non si deve trasformare in
egoistico “nostro” disegno di libertà.
Guardo per questo con preoccupazione alle “fantasie onnipotenti” che descrivono, in nome di un
marxismo revisionato, morti necessarie in vista di un progetto multicentrico, come se il desiderio di
libertà di quelle popolazioni non avesse lo stesso diritto del nostro.
È ora di mettere in crisi questo paradigma. Bisogna cominciare da un principio di elezione come
guida per la lotta di libertà ovunque venga sentita e non ovunque si pensi necessaria. La differenza
deve essere sempre difesa ovunque. L’esportazione della democrazia è omicida allo stesso modo
che calpestare i morti che insorgono contro regimi che pensiamo siano utili al nostro disegno
geostrategico. L’esportazione della democrazia e l’esportazione geostrategica per il multicentrismo
sono allo stesso modo due forme della sostanza aberrante.
Non sarà certo una massa totalmente alienata che farà fare il salto della trasparenza assoluta, ma
solo la ridefinizione dei confini del comune che legano ogni essere umano alla sua disposizione
libertà e all’insorgenza contro ogni forma che lo voglia privare e, dunque, privatizzare. È chiaro che
se vengo privato di un bene necessario quel bene mi sarà concesso solo sotto forma di merce
privata. Questo desiderio di messa in comune è una forma nuova che insorge, come rottura tra ciò
che non ha mai avuto e ciò che gli è stato tolto: l’essenza stessa dell’essere umano che è la sua
dignità. In questo senso si può parlare di una istanza non dogmatica ma euristica e sempre rimasta
confinata negli scantinati della storia. Essa è un sistema aperto e non certo sotto forma di
antisistema di frammenti di teorie senza precise connessioni. Questo è il principio di elezione senza
il quale ogni desiderio di libertà si trasforma in una rivoluzione che è una involuzione.
In questo senso la dialettica della soggettività e dell’oggettività che aspira ad una forma di comunità
si costituiscono in un rapporto di reciprocità reversibile. Il soggetto può produrre tutte le
determinazioni possibili e non sarà mai un soggetto determinato. Ciò che lui stesso produce
attraverso la sua comunità è un prodotto razionale che ne garantisce la riproduzione. Ciascuna sua
determinazione rimanda alla totalità della comunità che altro non è che l’attuazione del massimo di
realizzazione della soggettività.
Si può cominciare a parlare di attuazione comunista insorgente contro ogni forma di dispotismo e di
pretesa assoluta delle determinazioni?
Io credo di sì.
Spero che si possa aprire un confronto con tutte le comunità che vivono al di fuori dei partiti politici
usciti dalla dissoluzione del PCI partendo da queste poche e certe basi.
Si tratta quindi di attuare, al momento, pochi progetti atti a conseguire una piccola comunità
comunista che abbia al proprio interno la giusta consapevolezza di essere il motore decisivo verso
l’insorgenza contro la subalternità e lo sfruttamento. I dominanti dominano i dominati fino a quando
non si pensano tali. Vi è l’illusione che un atteggiamento estetico possa sconfiggere una condizione
etica; si tratta appunto di una illusione che dura il tempo di un fine settimana, il giorno dopo il
quotidiano ci restituisce tutto il sapore amaro della realtà, la consapevolezza di non essere padroni
di noi stessi.
Bisogna superare l’impasse tra ciò che si dice e ciò che si fa. Badate che non è una questione tra
teoria e pratica politica che attiene più al lavoro intellettuale, bensì di una più sottile e ardua messa
in opera (attuazione nel senso di rendere reale) tra individualità che si ritrovano in un progetto che
sentono e vivono “in comune”. Se questa intuizione politica non riesce al suo interno a comunicare
questa idealità concreta (l’ossimoro si supera nell’attuazione) saremo di fronte all’ennesima
sconfitta.
Stefano Moracchi

 
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