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BP: I crimini e il saccheggio senza fine dell’imperialismo anglo-americano

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view post Posted on 28/10/2010, 11:37
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www.resistenze.org - popoli resistenti - iran - 23-10-10 - n. 337


da Global Research, 20 settembre 2010 - Pubblicato da “Citizens International”
traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

BP: I crimini e il saccheggio senza fine dell’imperialismo anglo-americano


di Frederic Clairmont

Alla luce del crimine assurdo e grottesco, tuttora in corso, commesso contro l’umanità nel Golfo del Messico dalla British Petroleum, è opportuno ricordare brevemente i non meno odiosi delitti perpetrati in Iran da questa compagnia petrolifera BP, quando dapprima si configurava come Anglo-Persian Oil Company (APOC) [Compagnia petrolifera anglo-persiana] e quindi come Anglo-Iranian Oil Company (AIOC) [Compagnia petrolifera anglo-iraniana].

All’alba del ventesimo secolo, William D’Arcy, magnate della finanza ed uomo politico, seguendo il consiglio e le indicazioni del suo associato negli investimenti e costruttore di imperi finanziari Cecil Rhodes, dette inizio alla sua ricerca frenetica di petrolio nel Golfo Persico [N.d.tr.: Cecil John Rhodes (1853 – 1902) è stato un imprenditore e uomo politico britannico, celebre per il ruolo che ebbe nell’evoluzione storica dell’Africa coloniale. Da lui ha preso il nome la Rhodesia, (oggi in parte Zambia e in parte Zimbabwe). Rhodes costruì la sua enorme fortuna sfruttando le ricchezze naturali dell’Africa meridionale. Quando morì, era uno degli uomini più ricchi del mondo. La sua sete di ricchezza è ben rappresentata da una sua celebre frase: “Tutte quelle stelle.. quegli immensi mondi che restano fuori dalla nostra portata. Se potessi, annetterei altri pianeti.” (all of these stars... these vast worlds that remain out of reach. If I could, I would annex other planets)].

Pochi avevano compreso che presto, nella lunga e tormentosa storia dell’imperialismo britannico, sarebbe sorto uno dei più abbaglianti “El Dorado”. Geo-politicamente, questo avrebbe fatto sentire i suoi influssi ben oltre la regione del Golfo Persico. Si trattava di una delle fasi più decisive nella marcia della globalizzazione imperiale, con un’accelerazione della concentrazione del capitale e delle rivalità imperialiste, che sono un normale fattore concomitante all’accumulazione capitalista..

Nel 1908, la ricerca di D’Arcy veniva coronata da una delle scoperte più rilevanti di un enorme bacino petrolifero, e l’anno successivo veniva fondata la APOC. Subito dopo, il governo britannico avrebbe fagocitato una parte considerevole delle quote azionarie di APOC. Solo decenni più tardi, la BP veniva privatizzata per mano della Thatcher.
In tempo di primato, Abadan in Persia divenne la raffineria di petrolio più importante nel mondo. Non solo l’avvento di APOC costituiva l’annuncio di uno dei più rilevanti successi nella contesa per il petrolio globale e nella competizione per fette di mercato petrolifero sempre più grandi, ma la sua influenza delineava nuovi orizzonti per un imperialismo galoppante rispetto a quella che sarebbe diventata una delle principali materie prime strategiche mondialmente, sull’onda in arrivo dell’era dell’automobile.
Gli echi della produzione e della commercializzazione di questa materia prima, il petrolio, etichettato fin dall’inizio come “oro nero” da Rockefeller, nel momento in cui stava per esplodere il primo enorme olocausto dell’imperialismo, la Grande Guerra (1914-1918), rivoluzionarono l’economia mondiale.

Il potere influente di APOC non derivava per nulla dall’azione libera delle forze del mercato, come idealizzato dai costruttori del mito del liberalismo economico, ma dal ruolo del Grande Capitale e dalla spinta propulsiva del potere finanziario imperiale, per rafforzare il controllo dei mercati mondiali.
Come le precedenti conquiste e le brutali annessioni territoriali di Cecil Rhodes, la potenza di APOC rendeva evidente il matrimonio del Grande Capitale con il complesso politico-militare imperiale.
Il protagonista fondamentale in questo movimento propulsivo planetario verso la supremazia e il controllo dei mercati era Winston Churchill (1874-1965), che presto sarebbe diventato Primo Lord dell’Ammiragliato [Ministro della Marina britannica].
Come con le precedenti conquiste africane di Rhodes - dal Capo al Cairo - Churchill (un amico personale sia di Rhodes che di D’Arcy) afferrò immediatamente le potenzialità della APOC di alterare l’equilibrio di potere geopolitico a favore dell’imperialismo britannico, che avrebbe in seguito dovuto affrontare la sfida per la vita o per la morte lanciatagli dall’imperialismo germanico.

Inoltre, l’APOC si dimostrava un catalizzatore importante del potenziamento della portata globale e della supremazia incontrastata della Royal Navy e della marina mercantile britannica.
Si dischiudeva un Eldorado di prospettive senza limiti, e a buona ragione Churchill poteva etichettare la APOC, senza iperboli, come uno dei pilastri portanti dell’Impero Britannico.
Ben prima dell’esistenza di APOC, tutti i membri della classe dirigente britannica erano stati investitori ai massimi livelli per spartirsi il lautissimo bottino del loro impero.

APOC andava ad aggiungersi alla già immensa fortuna finanziaria personale di Churchill, e non meno a quella della famiglia reale.
Non solo costituiva una fonte prodigiosa di accumulazione per l’intera classe dirigente britannica, ma anche soffiava sul fuoco ad alimentare i già furiosi incendi di rivalità inter-imperialiste. L’azione della Germania imperiale nei confronti dell’Impero ottomano, suo diretto confinante, risultava vincente e l’aveva fatto arretrare.
Quando la Prima Guerra mondiale si scatenò, la Royal Navy riusciva con successo a bloccare le forniture di petrolio alla Germania.
Di cruciale importanza strategica stava il fatto che il capitalismo britannico aveva in larga misura cessato di essere dipendente dal più grande gigante petrolifero nel mondo, la Standard Oil Company del New Jersey, destinata a diventare uno dei suoi principali competitori economici.
Con enormi sovvenzioni del governo britannico, in definitiva con il denaro dei contribuenti, APOC acquisiva la più grande flotta mondiale di petroliere; così conseguiva il dominio dell’intera filiera di mercato del petrolio, dai pozzi alla pompa al dettaglio.

L’imperialismo britannico si esercitava nel raccogliere i frutti della sua vittoria sui suoi rivali imperialisti in tutti i modi, e APOC era uno dei catalizzatori vitali in questa battaglia per la conquista dei mercati mondiali.
Con lo smantellamento dell’Impero ottomano nel 1918, l’imperialismo britannico sottometteva l’Iraq di recente costituzione come neo-colonia britannica, a diritto privato esclusivo di APOC.
In joint venture con la britannica Burmah Oil Company, l’APOC si impadroniva e monopolizzava le vaste riserve di petrolio di Kirkuk.
Questo colosso dell’imperialismo britannico, come il suo omologo americano contemporaneo, la United Fruit Company (UFC, fondata nel 1898), veniva a sancire la rapacità dell’egemonia imperialista. Come per UFC, la sua essenza d’impresa era quella di essere intrisa di sangue, di essere immersa nell’intrigo e nella eccezionale manipolazione politica.

Lo sfacelo degli imperialismi tedesco, ottomano, austro-ungarico e russo non generava la fine delle rivalità imperialiste, ma piuttosto, negli anni colpiti dalla crisi e nei decenni che seguirono, intensificava le spinte per accrescere le conquiste dei mercati.
Il terrorismo di Stato, non il dialogo, diventava lo strumento esclusivo del dominio imperiale.

L’anno 1919 segnalava un punto di svolta nella storia della APOC in Iran e anzi in tutto il Medio Oriente (ancora un’altra progettazione imperialista). Si registrava il primo sciopero organizzato presso la raffineria di Abadan. Più di 30 lavoratori venivano uccisi dall’esercito dello Scià, che agiva di concerto con la speciale milizia armata creata dalla società. Decine venivano feriti. È stato a questo punto che l’MI6, il servizio segreto britannico per l’estero, dava inizio al suo stretto rapporto di collaborazione con la compagnia. Molti dei leader dello sciopero e dei lavoratori militanti che erano riusciti a sfuggire al massacro venivano arrestati per opera dell’MI6 e torturati in prigioni situate in edifici all’interno dei campi petroliferi. L’APOC, come già i dirigenti dell’Ufficio per le Colonie e dell’imperialismo britannico, aveva spiccato il salto a sostenere il terrorismo di Stato. Il Rubicone era stato attraversato.
Ma ciò che il duo APOC/MI6 non avrebbe mai immaginato erano le conseguenze rivoluzionarie che questi scioperi ben coordinati e organizzati avrebbero comportato a lungo termine.

Il primo importante sciopero di una classe operaia in una colonia del Medio Oriente scatenò una tempesta politica che avrebbe rimodellato la configurazione politica, ma naturalmente non si trattava di un evento isolato. Andava ad intrecciarsi con le lotte coloniali che stavano germogliando e che ormai stavano dilagando.
Nel 1919, la rivolta di massa dei contadini che si erano sollevati nel Delta del Mekong veniva schiacciata nel sangue dalla Legione Straniera. Si trattò di uno dei più grandi massacri, unico nella storia coloniale. Più di un migliaio fra uomini, donne e bambini vennero assassinati.
“Il mondo coloniale pacifico che noi abbiamo ereditato dai nostri genitori sta ormai esplodendo,” piagnucolava il Primo Ministro britannico David Lloyd George.
Non a caso la rivolta anti-colonialista e la battaglia per la libertà aveva avuto il suo inizio con la Rivolta di Pasqua (1916) in Irlanda, che veniva esaltata da Lenin e da tutto il mondo delle colonie.

Le uccisioni ad Abadan avvenivano nell’aprile 1919, negli stessi giorni del massacro di Jallianwala Bagh (Amritsar), India, in cui i mercenari Gurkha del generale Dyer macellavano, (in base ad un conteggio ufficiale grottescamente sottovalutato) 279 non violenti partecipanti ad un Satyagraha e ne lasciavano sul terreno 200 gravemente feriti. [N.d.tr.: la dimostrazione si era tenuta per richiedere il rilascio di due popolari dirigenti del Movimento Indiano per l’Indipendenza, che erano stati arrestati dal governo ed imprigionati in una località segreta. Il generale Dyer fece aprire il fuoco sulla folla, ordinò di mirare alla gente con lo scopo preciso di uccidere e ai soldati di ricaricare i loro fucili fino ad esaurimento delle munizioni, che più volte aveva mandato a prelevare nei magazzini. Il chirurgo civile dr. Smith indicava che vi erano stati 1526 feriti, di cui circa 1000 mortalmente].
Questo atto di macelleria imperiale così veniva commentato dalle arroganti parole di Dyer: “Per insegnare agli indigeni che con la potenza dell’Impero Britannico non c’era da scherzare!”

Ma questa potenza sarebbe stata sfidata non solo nel sub-continente indiano, ma universalmente.
Lo sciopero di Abadan ebbe estese ramificazioni politiche in altre importanti città e si espanse nelle campagne; divenne il catalizzatore cruciale nella creazione del Partito Comunista Iraniano nel 1920. Molti degli organizzatori dello sciopero erano destinati a diventare membri del Comitato Centrale di questo partito.
La loro missione politica a Mosca in quell’anno decisivo assumeva un’importanza rivoluzionaria con la stesura del nucleo delle tesi del Partito, che consistevano nella nazionalizzazione senza indennizzo dell’intero apparato produttivo e di mercato dell’APOC e delle sue infrastrutture; nella espropriazione dei latifondi di grandi dimensioni; nella democratizzazione delle forze armate e nella creazione di milizie di lavoratori e contadini. La lotta contro APOC metteva in luce le prime giovani radici dell’internazionalismo del Partito.

Si trattava di una piattaforma rivoluzionaria che non lasciava spazio ad una riconciliazione con l’ordine esistente imposto dall’imperialismo britannico e dall’APOC.
Ecco un esempio concreto dell’operare della Terza Internazionale. Molti dei futuri dirigenti del Partito Comunista Iraniano ebbero colloqui con Lenin, Zinoviev, Bucharin e Karl Radek, mediante i quali venivano delineate le loro strategie per la conquista del potere statuale. Le guerre imperialiste di intervento contro la Rivoluzione d’Ottobre russa (1918 - 1921) non erano ancora concluse, quando le discussioni con la dirigenza sovietica sotto assedio, ma ben presto trionfante, avevano preso il via.
Facilmente immaginabile, avveniva l’immediata reazione di APOC, che aveva già cooptato molti settori della classe dirigente iraniana, l’esercito e l’alto clero, con massicce elargizioni.

Churchill e i padroni di APOC avevano subito afferrato il significato rivoluzionario di questo nuovo orientamento politico-ideologico. La questione non risultava troppo difficile da capire, dato il contesto internazionale rivoluzionario, per il fatto che potenze imperialiste straniere stavano conducendo una lotta senza quartiere per annientare le forze emergenti della Rivoluzione di Ottobre, la cui consistenza minacciava l’ordine esistente.
Veniva fatto emergere lo spettro dell’anti-comunismo. L’APOC pubblicava e distribuiva migliaia di libelli che si scagliavano su questo programma del Partito, imputandogli di volere rivedere i rapporti di proprietà esistenti, la qual cosa avrebbe costituito un attacco contro l’Islam. Questo programma avrebbe inesorabilmente portato, date le conseguenze delle sue conclusioni politiche, alla eliminazione, anche fisica, dell’aristocrazia terriera, della monarchia e della proprietà privata e alla distruzione su larga scala della legge e dell’ordine.

Tali erano gli attacchi ideologici che sarebbero durati fino alla estromissione dal potere di Mossadeq, decenni più tardi. Il Partito veniva aggredito su tutti i fronti. L’incipiente movimento sindacale risultava la prima vittima, ma resisteva alla sua definitiva cancellazione, come si dimostrò nei decenni successivi. I militari, vedendo la potenziale minaccia che il Partito e i suoi documenti programmatici libertari costituivano per i loro privilegi e prerogative di classe, contribuirono validamente nell’imprigionare centinaia di membri del Partito e coloro che venivano sospettati di “comportamento sedizioso”, secondo l’espressione dello Scià Reza Pahlavi.
Il terrorismo di Stato era ormai diventato una realtà presente e cupa.

Mohammad Mossadeq (1882-1967) [1], la cui partecipazione alla vita politica attiva era avvenuta agli inizi degli anni ‘20, aveva compreso il senso più ampio del programma del Partito, ma si ritrasse dalla proposta di organizzare un movimento di fronte popolare. Questo è stato il suo primo grossolano errore strategico politico di cui si è rammaricato, come avrebbe dichiarato più volte durante il suo imprigionamento dopo il colpo di stato e negli anni successivi agli arresti domiciliari. Questo poteva essere comprensibile in quanto Mossadeq era un aristocratico fondiario che in precedenza aveva coltivato l’illusione utopistica che l’APOC poteva essere convinta a concordare una sorta di condivisione dei profitti e un’intesa per una giusta commercializzazione del petrolio.
Era quello che io definisco come un “riconciliazionista”, uno che crede che le pecore e i lupi possano coesistere pacificamente. Questo è stato anche il punto di vista condiviso dal cileno Salvador Allende; il risultato è a tutti conosciuto. Sia detto tra parentesi, che ho avuto un lungo colloquio con Allende poco tempo prima della sua morte e prima che le sue illusioni venissero frantumate dai proiettili e dagli stivali del colpo di stato di Pinochet/Kissinger.

Questa era la prova sufficiente del fatto che Mossadeq, un ben intenzionato borghese intellettuale di cultura occidentale, non si era mai completamente liberato dalla morsa dell’imperialismo culturale (un tema che Edward Said ha analizzato con acutezza nel suo capolavoro, Cultura e Imperialismo). Come un sedicente nazionalista, l’obiettivo di Mossadeq negli anni ‘20 e nei primi anni ‘30 non fu mai di effettuare cambiamenti nelle relazioni sociali dell’Iran relative alla proprietà privata. Questo era vero in relazione non solo alla monarchia e al latifondo, ma anche nei confronti dell’APOC. Egli era strenuamente convinto che la ragione poteva prevalere e che il capitalismo era un congegno economico suscettibile di modifiche, vale a dire, di diventare più umano. Non riusciva a capire la verità di Gandhi, vale a dire che non poteva sussistere in realtà una “uguaglianza tra disuguali”.

Gli anni ‘30 e gli orrori della Grande Depressione irrigidirono e radicalizzarono il suo pensiero attraverso passaggi successivi.
L’odio viscerale da parte della classe sociale di appartenenza verso la sua persona e la sua politica diventava più evidente con l’aggravarsi della crisi. generale Fazlollah Zahedi, suo ministro degli Interni e successivamente suo sicario che avrebbe preteso la sua impiccagione dopo il putsch di successo, ribadiva: “Era un criminale irredimibile che aveva tradito la sua classe.”

L’avvento di partiti filo-nazisti in Iran rese più profonde le intuizioni di Mossadeq sulle dinamiche dell’imperialismo e dei suoi tirapiedi domestici. Egli aveva cessato di vivere in un mondo ovattato. Ciò che risultava importante era che un intellettuale acuto come Mossadeq, un cittadino di un paese semi-coloniale, che aveva viaggiato molto in Iran, nel Medio Oriente e in Europa in quegli anni di fascismo in ascesa e di brutale repressione coloniale, aveva afferrato la rilevanza dei cambiamenti che stavano per scuotere il mondo coloniale e la natura del fascismo europeo.
Egli era arrivato a rendersi conto che il fascismo, nonostante le sue varianti parlamentari e non parlamentari, costituiva un baluardo dell’imperialismo e del razzismo a questo associato. Le sue intuizioni teoriche presto si sarebbero trasformate in direttive politiche concrete. La Grande Depressione, con lo strascico del crollo dei prezzi delle materie prime e della disoccupazione di massa su una dimensione senza precedenti nella storia del capitalismo, lo portava più vicino ai movimenti di resistenza nel mondo coloniale. L’India cominciò a influenzare la formazione del suo pensiero rispetto alle politiche nazionaliste che ne derivavano. I suoi incontri e i prolungati scambi con i leggendari leader della resistenza nazionalista indiana come Nehru, Gandhi e, soprattutto, con Krishna Menon risultarono di importanza decisiva.

Mossadeq, (come Menon mi ha riferito in molte occasioni a Bangalore), racchiudeva le qualità e i dilemmi, e le insufficienze, di molti intellettuali delle colonie. Vero! Mossadeq trasferì il suo bagaglio ideologico durante gli anni ’30 squassati dalla crisi, e si trattava di una radicalizzazione, o piuttosto di una conversione che arrivò alla elaborazione di un rapporto di militanza operativa appassionata con il Partito Comunista Iraniano. (Nel 1941, quest’ultimo si era rinominato “Partito Tudeh”.)

Una data cruciale nel percorso politico di Mossadeq (e in quello di APOC, che nel 1935 veniva ribattezzata come Anglo-Iranian Oil Company – AIOC,) è stata l’abdicazione forzata nel 1941 di Reza Shah Pahlavi, a cui succedeva il figlio Mohammed Reza Pahlavi.
La data assumeva un’enorme importanza geopolitica. Essa coincideva con la prima massiccia offensiva sovietica che respingeva la Wehrmacht 200 km ad ovest di Mosca e con l’attacco giapponese a Pearl Harbour.
La coalizione anti-fascista dava un nuovo impulso alle lotte di resistenza. Per la prima volta, il petrolio era stato commercializzato con l’Unione Sovietica, nonostante la forte opposizione di AIOC.

La nuova strategia del Tudeh era quella di opporsi alle richieste di una precipitosa nazionalizzazione. Il suo obiettivo centrale era di estendere la base del suo potere organizzativo in tutto il paese, mobilitando la classe operaia industriale e i contadini, e facendo incursioni di reclutamento in profondità all’interno delle forze armate.
Questo orientamento politico veniva assunto in una più stretta collaborazione con il Fronte Nazionale di Mossadeq. Questa nuova svolta si riassumeva autorevolmente in un proclama emesso dal Comitato Centrale del Tudeh. Per quanto redatto usando un linguaggio di moderazione, nondimeno venne interpretato dalla classe dirigente, dall’AIOC e dagli imperialisti come un segnale di volontà di liquidazione dell’AIOC e della fine dell’influenza della Gran Bretagna:

“Il nostro obiettivo a lungo termine è la costruzione di una società socialista coerente. Ciò significa democrazia, giustizia sociale, uguaglianza davanti alla legge, e l’eliminazione di ogni forma di repressione e violenza contro il nostro popolo. Noi dobbiamo allargare la nostra organizzazione a tutti i settori della società, in ogni angolo della nostra terra. Questo segna un approfondimento del processo democratico. Dovremo lavorare con coloro che onestamente cercano di collaborare con noi per un ordine sociale democratizzato. Continueremo a sostenere le lotte dei popoli dell’Unione Sovietica contro i barbari fascisti. Noi dobbiamo agire con calma per non compromettere il nostro rapporto fraterno con i nostri amici e simpatizzanti”.

Anche se in seguito sarebbe ritornato in Iran dal suo internamento forzato a Cipro, le voci consimili a quella del generale Zahedi, un agente al soldo nazista e un servo di AIOC, venivano al momento tacitate. Ma, alla fine della guerra, sarebbero ancora riaffiorate per potere conseguire i loro obiettivi controrivoluzionari.
Di grande importanza politica, nel mese di aprile 1951, da parte del Majlis, il Parlamento iraniano, era avvenuta l’elezione di Mossadeq come Primo ministro. La Guerra Fredda aveva raggiunto nuovi livelli di intensità, e ugualmente intensa era la campagna antimperialista in Iran. Il primo maggio - e la scelta della data non era dovuta al caso - più di 50.000 lavoratori, membri delle forze armate, intellettuali e contadini, con la presenza di un nutrito contingente di donne, si erano ammassati davanti al Majlis per esprimere il loro sostegno alla nazionalizzazione di AIOC. Era una vittoria la cui eco andava ben oltre i confini dell’Iran, in quanto si trattava della prima riuscita manifestazione della lotta anti-imperialista.

L’invasione della Corea del Nord (giugno 1950) da parte di Syngman Rhee, con il tacito consenso degli Stati Uniti, era stata avviata, ma tre mesi più tardi aveva subito scacco matto da volontari cinesi.
Nel 1949, la guerra in Indocina aveva raggiunto una fase critica con la liberazione delle aree di frontiera al confine con la Cina. Questo aveva segnato la fine dell’isolamento geografico dei combattenti per la libertà Viet Minh. Una frontiera di 1.000 chilometri era ormai liberata. Approvvigionamenti provenienti dall’Unione Sovietica e dalla Cina ora potevano aumentare la capacità offensiva del Viet Minh in Indocina.
Uno dei suoi più stretti collaboratori mi ha riferito che Mossadeq aveva posto tutta la sua attenzione per studiare gli eventi che si svolgevano in Indovina, in particolare attraverso lo studio sistematico degli eccellenti servizi giornalistici che ogni giorno Le Monde pubblicava. Il suo interesse o, meglio ancora, il suo impegno ideologico si rivolgeva a tutto il Sud-Est asiatico.
La sua battaglia contro l’imperialismo lo aveva sospinto in prima linea nella direzione della lotta anti-coloniale.
Il decreto di nazionalizzazione e i suoi discorsi giornalieri senza interruzione nelle città e nelle campagne ci fanno intravedere la figura di un militante, che sarebbe diventato uno dei più grandi oratori del suo tempo contro il colonialismo. Aveva cessato di essere un politico da tavolino. Questo alto volo retorico può essere considerato quello che sarebbe diventato un manifesto di libertà economica e politica:

"Noi stiamo per nazionalizzare l’AIOC in quanto questa compagnia, sistematicamente per diversi decenni, si è sempre rifiutata di instaurare un dialogo costruttivo con noi. Operando in piena sintonia con il governo britannico, ha calpestato i nostri diritti nazionali. Il loro atteggiamento è stato di una indicibile arroganza. La nostra battaglia per mettere fine al predominio della compagnia è arrivata a conclusione e noi dobbiamo esultare. È stata una guerra contro una bestia che ha corrotto funzionari ad ogni livello governativo. Questa compagnia ha saccheggiato la nostra antica nazione per decenni. Ci ha ridotto in povertà e ci ha sprofondato nella umiliazione. Più di tutto, la nostra è una lotta per la conquista della nostra libertà politica.”

L’acclamazione entusiastica delle masse convinceva i padroni e i dirigenti di AIOC e dell’Ufficio Britannico per le Colonie che queste non erano le espressioni frivole da parte di un politico disposto opportunisticamente a mendicare briciole dalle strutture di potere dell’uomo bianco e che riteneva che le loro conquiste e saccheggi fossero permanenti ed immutabili nel tempo. Piuttosto, costituivano un potente colpo diretto alle parti vitali dell’imperialismo.
Infatti, a mio avviso, questo è stato uno dei più potenti manifesti anti-coloniali che sia mai stato scritto.

Il governo Churchill e la stampa scandalistica di Lord Beaverbrook (N.d.tr.: a capo di una catena di giornali, “Daily Express” – “Sunday Express” – “Evening Standard”, concepiti come strumento di propaganda di massa e di condizionamento politico, su posizioni conservatrici ed imperialiste) diffondevano nel Regno Unito i loro veleni. Tra le altre cose, Mossadeq veniva qualificato come “negro ladro”, “bazaari malvivente, piccolo borghese islamico delinquente” e, naturalmente, come “fantoccio comunista”. Questa effusione continua di sporcizia non si fermava qui. La BBC si univa al coro, seguita dalla Voce dell’America. Il governo britannico architettava una serie di misure repressive o, con il gergo contemporaneo di Hillary Clinton, una serie di “sanzioni paralizzanti”, volte a rovesciare il governo. Si metteva in guardia la flotta di petroliere che i trasportatori non avrebbero ricevuto i pagamenti dalle banche britanniche ed europee se avessero commercializzato il petrolio iraniano. (Il deficit del petrolio iraniano veniva compensato dalla produzione potenziata in Arabia Saudita, Kuwait e Iraq. Questo si può ben comprendere, visto che l’Arabia Saudita era un nemico ostile delle riforme di Mossadeq.)

Seguiva un boicottaggio bancario da parte della City nei confronti degli istituti di credito iraniano. Le Sette Sorelle, il cartello delle società petrolifere che controllava il mercato mondiale del petrolio, erano parte integrante della cospirazione per soffocare il decreto di nazionalizzazione e far cadere il governo. L’AIOC aveva richiamato i suoi tecnici, ma i lavoratori bloccarono tempestivamente i tentativi di smantellare e perfino talvolta di sabotare gli impianti petroliferi. La Marina Reale Britannica imponeva un blocco su tutto il Golfo Persico. L’Unione Sovietica, in ragione di considerazioni politiche al suo interno e per ammorbidire Churchill, gli Stati Uniti ed anche la AIOC, non portava soccorso all’Iran in questo momento di estremo bisogno.
Il Regno Unito portava la questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il discorso di Mossadeq nella sessione del Consiglio dell’ottobre 1951 è stato una delle espressioni più tragiche di un paese che stava per essere violentato e saccheggiato, che tentava di salvaguardare la sua dignità:

"Inutile dire che, fintanto che l’Anglo-Iranian Oil Company aveva il monopolio di questa fonte di ricchezza nazionale, il governo e il popolo dell’Iran non potevano godere dell’indipendenza politica. Nonostante la sua facciata di impresa, questa società deve essere considerata come la parte moderna corrispondente alla vecchia British East India Company, che in un breve arco di tempo ha esteso il suo controllo su tutta l’India. La Anglo-Iranian Oil Company aveva profitti annuali superiori a quelli del governo iraniano; il suo commercio con l’estero superava il nostro; interveniva attivamente negli affari interni del paese, e gravemente interferiva nelle nostre elezioni del Majlis e nella formazione dei gabinetti di governo, e così si comportava in modo calcolato per strappare il massimo profitto dalle risorse che essa possedeva e controllava. Con una complessa rete cospirativa all’interno del paese, attraverso una diffusa corruzione dei ministeri governativi, e mediante il finanziamento illegale a giornalisti e politici iraniani, la Compagnia aveva di fatto creato uno Stato nello Stato. A poco a poco ha minato l’indipendenza della nazione iraniana.” [2]

Quello che Mossadeq ci ha consegnato è un ritratto di genocidio imperiale scolpito nell’animo di una delle sue vittime più leggendarie. Questo schiacciante atto di accusa nei confronti di una delle più criminali corporation di tutti i tempi non è stato mai, a mio parere, delineato in modo più conciso.
L’offensiva contro le forze nazionaliste e di progresso guidate da Mossadeq non ebbe tregua. Il putsch contro-rivoluzionario bolliva in pentola.
Churchill, che aveva avuto le mani in pasta in attività contro-rivoluzionarie fin dal 1917, e il cui odio nei confronti delle rivoluzioni e dei popoli di colore era leggendario, riconosceva che una Gran Bretagna carica di debiti era incapace da sola di abbattere il governo iraniano. Perciò, egli supplicò Eisenhower, che comunque non aveva bisogno di troppe sollecitazioni, in nome delle “speciali relazioni” anglo-americane, di abbattere il “mostro che stava minacciando la civiltà occidentale”. Quello che segue è un manifesto pubblico di un genocidio politico. Non veniva tralasciato nulla di non detto.

“Stiamo combattendo una guerra”, sbraitava Churchill, “contro un’offensiva comunista che si sta muovendo su tutti i fronti. I terroristi cinesi ci stanno alla gola in Malesia. Stanno sottoponendo ad una stretta mortale il paese. Ho Chi Minh, sostenuto dai comunisti cinesi e russi, sta battendosi per agguantare la ricca Indocina. L’indonesiano Sukarno è un fantoccio comunista e l’Indonesia, regione dotata di petrolio e risorse minerarie e agricole impareggiabili, diventerà bottino di Pechino e Mosca. In Corea, le orde rosse di Mao hanno invaso il paese e stanno uccidendo Americani in gran numero. Ad aggravare questo attacco, una Russia comunista risoluta ad ulteriori conquiste ha gettato tutto il suo peso in appoggio della guerra contro la libertà. Il momento è propizio per arrestare la spinta propulsiva verso il comunismo. Per tutte queste ragioni dobbiamo sradicare la tirannia di Mossadeq.”

Nei corridoi del potere imperiale a Washington, le ciarle del tutto familiari di Churchill, riciclate per decenni e distillate nella Dichiarazione Fulton (1946), trovavano un’eco nei nuovi circoli militanti per un espansionismo imperialista delle grandi compagnie, con il sostegno dell’oligarchia politico-militare degli Stati Uniti.
[N.d.tr.: il 15 marzo 1946, a Fulton, nel Missouri, W.Churchill pronunciò un discorso in cui affidava agli Stati Uniti la tutela del capitalismo e degli interessi imperiali britannici. Per la prima volta veniva usato il termine “cortina di ferro”, con toni adeguati all’atmosfera di Guerra Fredda ormai dominante. “Da Stettino, sul Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è calata su tutto il Continente.” Churchill proclamava con efficacia che la Russia comunista era protesa alla conquista del mondo. Giovandosi dell’immensa popolarità che si era guadagnata durante il corso del conflitto mondiale e del fascino della sua grande personalità, Churchill preparò milioni di ascoltatori all’idea di un nuovo gigantesco cordone sanitario intorno alla Russia e ad una crociata mondiale per schiacciare il comunismo, in nome della democrazia e della… civiltà anglosassone.]

Di grande significato storico, che andava ad aggravare l’agonia dell’imperialismo, era in corso allora un’altra lotta di liberazione, che aveva messo radici nel cortile di casa di Washington, (in Guatemala) che poteva, come ha affermato Che Guevara, alterare la storia delle Americhe, e del mondo.
Nel 1951 il presidente Jacobo Arbenz (1913-1971) aveva ottenuto una schiacciante vittoria elettorale contro le forze arroccate della oligarchia guatemalteca, della gerarchia cattolica romana (uno dei più grandi proprietari terrieri di tutte le Americhe) e dei loro sostenitori “gringo”.
Uno degli elementi portanti della sua riforma agraria – “la più mite delle miti” – concedeva la possibilità al governo di espropriare le terre incolte possedute dall’oligarchia e dalle compagnie multinazionali alimentari.

Le linee di battaglia erano diventate più chiare. Uno dei più grandi latifondisti in Guatemala (e anzi in tutta l’America centrale) era la United Fruit Company (UFC), con sede a Boston. Le sue azioni erano possedute dalla maggior parte dei membri del Congresso e del Senato degli Stati Uniti, che ampiamente contribuivano alla sua potenza ed influenza politica.
Uno dei suoi principali azionisti e finanziatori politici era John Foster Dulles (1888-1959), in seguito Segretario di Stato dell’amministrazione Eisenhower, che era andato al potere nel gennaio del 1953 - un anno di primaria importanza, come vedremo, nella storia dell’Iran.
Suo fratello Allen Dulles, che avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella macellazione della democrazia iraniana, divenne capo della Central Intelligence Agency (CIA).
Dopo lo sradicamento dell’amministrazione Arbenz nel 1954, sotto orchestrazione della CIA, Allen Dulles divenne il presidente del consiglio di amministrazione della United Fruit. Per giunta, la famiglia Dulles era stata tra i maggiori azionisti della UFC dagli anni ’20.

All’inizio del gennaio 1953, l’offensiva contro l’Iran era già in azione. L’Operazione Ajax, come denominata in codice, era stato progettata per licenziare in tronco il governo legittimamente eletto. Sarebbe stato il prodromo di molti crimini contro l’umanità negli anni e nei decenni successivi.
Per carattere, e data la sua decisa propensione ideologica ad allargare la sfera delle conquiste imperiali e ad arraffare le risorse petrolifere del Medio Oriente, Kermit Roosevelt Jr. (1916-2000), un agente della CIA con molti anni di servizio professionale, si dimostrò la scelta ideale per dirigere l’Operazione Ajax. Un fatto riconosciuto più volte dai suoi mentori, i fratelli Dulles.
Nipote dell’ex-presidente Theodore Roosevelt, Kermit Roosevelt era un conservatore radicale e membro tesserato del Partito Repubblicano. Indicativo della sua concezione classista era il suo odio ardente nei confronti del New Deal e di Franklin Delano Roosevelt, che egli incessantemente proclamava avere tradito la sua classe e lo accusava di stare spianando la strada dell’America al comunismo. Da qui egli trasse la conclusione che la CIA era l’istituzione più appropriata “per difendere gli interessi dell’America in patria e all’estero”.

Kermit Roosevelt era un simbolo della classe dirigente danarosa della East Cost; un WASP (White Anglo-Saxon Protestant), un protestante anglo-sassone bianco educato a Groton e Harvard. I suoi primi incarichi in Medio Oriente avevano rafforzato i suoi collegamenti precedenti con i magnati di Big Oil e con i banchieri di Wall Street - connessioni che nutrì fino alla sua morte. In breve, le sue credenziali per il genocidio politico e umano che ora stava per innescare erano decisamente adeguate.
Si infiltrò in Iran sotto lo pseudonimo di James Lockridge. Egli aveva personalmente reclutato i componenti della cricca criminale dei cospiratori fra l’esercito iraniano e il clero alto sciita, fra i membri del MI6 con passaporto americano e fra i membri della AIOC. Uno dei più spietati cospiratori (soprannominato l’“Himmler dell’Iran” dai suoi collaboratori militari iraniani) era il generale Zahedi, ex ministro degli Interni nel gabinetto di Mossadeq. Zahedi, come un animale che si alimenta da diverse mangiatoie, era stato a lungo sul libro paga di AIOC. Il cappio, come sottolineava un cospiratore MI6 giubilante, era stato appeso al collo di Mossadeq, ma la botola ancora non era scattata.

Un aereo speciale noleggiato dalla AIOC aveva riportato da Roma lo Scià esiliato. Su quell’aereo si trovava anche Allen Dulles. Come Zahedi più tardi ha riferito: “Il denaro scorreva nelle nostre casse, come le cascate del Niagara”. In un certo senso aveva ragione, ma per Dulles la somma di 5 milioni di dollari distribuiti a pioggia a tutto lo spettro di una banda completamente corrotta di politici gangster era insignificante rispetto ai guadagni, sia finanziari che geo-strategici, che l’imperialismo avrebbe successivamente acquisito in decine di miliardi.
Mossadeq fu arrestato il 19 agosto 1953 e trascinato davanti a un tribunale militare. Trattato come un traditore e un criminale, veniva torturato e tenuto in isolamento fino al 21 dicembre. In secondo momento, il suo periodo di detenzione veniva esteso a tre anni di prigionia seguiti da arresti domiciliari fino alla sua morte nel 1967.
“Il nostro lavoro non è ancora finito”, si vantava Kermit Roosevelt. “Il nemico sta correndo veloce, ma noi stiamo correndo più velocemente. Ovunque vada, gli daremo la caccia e lo ammazzeremo.” Ancora una volta centrava il bersaglio.

Quello che seguì in Iran è stato a dir poco un inferno. La CIA aveva unito le sue forze con il servizio di spionaggio del Mossad israeliano, che sarebbe diventato uno dei fondatori e degli addestratori delle forze della polizia segreta Savak in Iran. Bisogna sottolineare che la Savak, come concepita dal Mossad e dalla CIA, era una forza che combinava le prerogative istituzionali della polizia segreta nazista Gestapo con quelle delle unità militari combattenti delle SS. Migliaia furono i deportati, i massacrati e coloro che vennero fatti scomparire. Tuttavia, questo era un non-problema per la stampa scandalistica padronale.
Questa repressione presenta impressionanti similitudini con il Cile di Pinochet, salvo avere assunto dimensioni ben più vaste. L’intera nazione cadeva sotto il controllo della Savak, che divenne il più pagato e privilegiato branco di teppisti dell’impero dello Scià, sotto il dominio anglo-americano.

Il premier israeliano David Ben Gurion proclamava estaticamente che Israele da quel momento in poi non avrebbe mai smesso di godere di un facile accesso a fonti inesauribili e a forniture a buon mercato di petrolio. Tuttavia, il petrolio poteva risultare più disponibile e conveniente, ma ora era intriso del sangue dei resistenti iraniani, lavoratori e contadini. La gioia di Ben Gurion derivava non solo per il petrolio a buon prezzo ma anche da altri fattori politici. Come rivelato da documenti storici, Mossadeq e il Tudeh avevano vigorosamente espresso senza remore la loro ostilità rispetto all’espulsione in massa dei Palestinesi dalla loro patria e nei confronti dell’occupazione coloniale selvaggia che ne era seguita.
Savak divenne la base di addestramento per assassini e torturatori. Campi di addestramento venivano prontamente organizzati in Iran e in Israele, come modelli di quella istituzione per genocidi di massa che è stata la Scuola delle Americhe a Panama. Ormai la “Genocidio Inc.” in Iran era stata globalizzata.
La paga degli assassini della Savak era eccezionalmente elevata. Generosi compensi venivano assegnati a coloro che denunciavano combattenti della resistenza, che si erano dati alla clandestinità. Il più grande e famigerato campo di sterminio, nei pressi del villaggio di Irafshan nel sud dell’Iran, dove la temperatura raggiungeva i 50 °C nei mesi estivi, al momento della partenza dello Scià ospitava 50.000 reclusi. Migliaia furono i morti per malnutrizione, tifo e malaria.

Presso l’Università di Ginevra, a Parigi e altrove, ho avuto il privilegio di incontrare diversi membri della famiglia di Mossadeq e del suo entourage politico, che comprendeva membri del Tudeh che erano stati individuati per venire sterminati dalla Savak.
La velocità del massacro della democrazia iraniana e gli orrori che si trascinarono sulla sua scia portarono alla ribalta in Medio Oriente due principali attori criminali: l’Iran e Israele.
La tirannia dello Scià ha proseguito la sua marcia di terrore implacabile fino a quando è stata ignominiosamente schiacciata nel 1979.
La liquidazione della democrazia in Iran ha potenziato l’egemonia imperiale degli Stati Uniti. Essa avrebbe consentito il dominio imperiale degli Stati Uniti, ma avrebbe segnato anche l’irreversibile eclissi dell’imperialismo britannico, che si era accentuata dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez nel 1967.
Kermit Roosevelt e i suoi collaboratori nella cospirazione avevano salvato la pelle miserabile alla BP (nel 1954 l’AIOC era stata ribattezzata con British Petroleum).

In questi tre decenni (1953-1979) la BP diveniva completamente globalizzata, valorizzata dalla sua recente riscoperta dell’El Dorado. Bene! gli azionisti avrebbero potuto godere di loro guadagni favolosi. Per la capitalizzazione borsistica (1979), la BP diveniva per dimensioni la quinta compagnia nel mondo.
Roosevelt aveva raggiunto l’apice della sua sordida carriera. Rappresentava il prototipo del criminale di guerra prodotto dalla CIA, dal Mossad e dal MI6. La strisciante gratitudine dello Scià verso questi assassini, e verso il Mossad, compendiava la sua euforia all’indomani del 19 agosto, giorno dell’arresto di Mossadeq:

"Ringrazio Dio per tutte le Sue misericordie che egli ha riversato su [questo] Regno, e tutti voi, che siete qui riuniti, per l’aiuto che ci avete fornito nell’eliminare il più grande flagello che il nostro Paese abbia mai conosciuto. Porgo i miei speciali ringraziamenti al sig. Kermit Roosevelt, che è venuto fin qui da migliaia di chilometri, da una terra benedetta dalla libertà, per la sua devozione costante e disinteressata alla causa della libertà”.

Risulta del tutto irrilevante, se sia stato lo Scià in grado di redigere queste righe, o se siano state scritte da uno dei boia stranieri del popolo iraniano nelle loro ambasciate. Ma sotto esisteva qualcosa di più di questo pezzo fatuo di verbosità. I personali profitti colossali di Roosevelt ora venivano generosamente dispiegati sul tavolo perché il mondo vedesse. Però, i corpi delle sue vittime non furono messi in mostra nella sua collezione di trofei acquisiti di recente. Tra i riconoscimenti acquisiti da Roosevelt vi furono le più alte decorazioni militari e civili del Trono del Pavone, a cui andava a sommarsi una pensione annua di 25.000 dollari (e un compenso forfettario di un milione di dollari), che ricevette fino alla caduta del regime nel 1979.
Ma naturalmente aveva ricevuto anche altri deliziosi doni. La BP gli aveva concesso un ruolo direttivo nel suo consiglio di amministrazione, che tuttavia rifiutò. Quella che invece non rifiutò fu la manna di 500.000 dollari assegnatagli dal governo britannico (al momento, il più grande azionista della BP) e dalla BP. Immediatamente si trasformò in un investitore ai massimi livelli in BP, i cui profitti di lusso ora salivano vertiginosamente alle stelle a seguito del colpo di stato politico. Il suo destino rimase vincolato alla perpetuazione della Big Oil.

In seguito, Roosevelt assunse una posizione direttiva presso un altro gigante del petrolio, la Gulf Oil, e veniva proiettato verso la direzione politica ed economica dell’impero petrolifero della Gulf, che ovviamente abbracciava anche l’Iran.
Quasi fino alla fine della sua vita, nel 2000, questo assassino cospiratore non ha reciso mai i suoi collegamenti con l’Iran, che ha visitato regolarmente. Nemmeno ha tagliato le sue relazioni con la CIA, il Mossad e i suoi congiurati britannici.
Roosevelt era più di un campione dello spionaggio assetato di sangue. Egli sanciva e conservava l’unità del potere politico ai suoi più alti livelli e garantiva le esigenze finanziarie per l’aumento del potere imperialista. E per questo divenne il destinatario del più alto riconoscimento per le spie degli Stati Uniti, la National Security Medal. Presente alla cerimonia alla Casa Bianca era lo stesso presidente Eisenhower, che in precedenza aveva rifiutato in via riservata di riconoscere suoi collegamenti con la progettazione del colpo di stato, con i fratelli Dulles, con il capo del MI6 e con il direttore delle operazioni della BP in Medio Oriente.
Questa era la grande galassia dell’imperialismo!

Nel frattempo, a Mossadeq fu risparmiato il cappio del boia a causa dei conflitti all’interno della cricca dei cospiratori. Alla sua morte, nel 1967, i suoi documenti personali e le sue memorie ampiamente dettagliate sono stati confiscati e presumibilmente distrutti. Inclusi i suoi preziosi diari personali, dal momento che vi erano contenuti i rapporti della CIA sul golpe, che egli aveva rifiutato di rimuovere. Quello che sappiamo è che la sua caduta non ha messo fine alla sua militanza e a ciò che definirei come una sua fede inflessibile nel processo di azione rivoluzionaria.
Ha sempre seguito gli avvenimenti politici intensamente e, come mi hanno fatto notare molti dei miei amici e confidenti, il suo unico rammarico era quello di non aveva seguito il pressante consiglio del Tudeh di armare i contadini e le masse urbane. In breve, di non avere assunto la direzione della lotta armata. Nel salotto della sua residenza era appeso un grande ritratto di Ho Chi Minh, che si era rifiutato di rimuovere quando gli era stato ordinato di farlo. Ha seguito, fino alla fine della sua vita, le lotte di liberazione (e le repressioni) nel mondo coloniale. Il trionfo della libertà di Cuba nel gennaio del 1959 gli aveva causato una delle sue più grandi gioie, a riprova del suo internazionalismo.

Anche se l’Iran di oggi e il suo governo democraticamente eletto devono affrontare la minaccia di liquidazione fisica da parte della concentrazione delle forze del sionismo e dell’imperialismo, le lotte e le aspirazioni di questo grande umanista e architetto della libertà resteranno sempre vive nella memoria per tutti coloro che si battono per la giustizia e la dignità dei popoli.

Note
[1] Mossadeq aveva completato il corso dei suoi studi con la laurea presso l’Università di Parigi e con il dottorato presso l’Università di Neuchatel.
[2] documento ufficiale del Consiglio di Sicurezza.

Nota dell’autore: Senza la tenacia e la devozione costante dei miei amici Lim Jee Yuan e Lean Ka-Min, che sono stati una fonte costante di cameratismo e di ispirazione nel corso di decenni, questa monografia non sarebbe mai venuta alla luce.

Pubblicato da Citizens International
Jalan Masjid Negeri
11.600 Penang Malesia
email: [email protected]

ISBN 978-983-3046-11-9
Frédéric Clairmont è un assiduo collaboratore di Global Research. Articoli di Frederic Clairmont su Global Research.


 
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