CITAZIONE (carre @ 6/10/2009, 16:48)
Tu continui a dare per scontato che in Cina viga una qualche forma di socialismo.
E questo secondo i dati non è dimostrato.
Inoltra non mi hai risposto sulla domanda che ti ho fatto circa l'export cinese costituito per il 60% da multinazionali.
A proposito ti sembra che Microsoft (una delle maggiori multinazionali che opera in Cina) lavori in un sottore non strategico?
Tu che cosa fai? Per dimostrare lo sviluppo della Cina - che il socialismo non l'hai dimostrato, perché non c'è! - porti gli interventi di alcuni esperti di economia che dicono che la Cina è in grande sviluppo.
Insomma come a dire il prato è verde perché ... è verde.
Invece bisognerebbe farlo parlando della clorofilla, della fotosintesi ecc. ecc.
Il socialismo non è un processo lineare: lo sappiamo bene noi marxisti. Ma una cosa è una ritirata momentanea durante l'edificazione del socialismo, quando ancora non esiste sostanzialmente il socialismo, e durante la quale il popolo mantiene salde le redini del processo di transizione, ed un'altra cosa è una ritirata di diversi lustri e di dimensioni apocalittiche (in gergo militare si chiama "rotta"!) in un paese nel quale era già stato edificato il socialismo, e con la estromissione pratica delle masse dalla gestione del processo.
Se è vero che le multinazionali producono il 60% dell'export cinese - poi se avrò tempo andrò a trovare altri dati - allora è indubitabile che stiamo di parlando di una forma di economia capitalista e non di un fantomatico socialismo di mercato che Marx non ha mai immaginato solo perché è inimmaginabile per un marxista, andando a distruggere le basi e le fondamenta della concezione del mondo del marxismo.
Infine - e mi scuso se non ho toccato tutti gli interessanti argomenti (antimarxisti) che hai proposto, ma lo farò quando avrò dei dati più certi - qui non si tratta di contrapporre l'idea di carre a quella del marxologo cinese. Infatti qui non c'è alcuna idea di carre, il quale al massimo pone dei quesiti a cui i dogmatici non sanno o non possono rispondere, ma le idee del marxismo, del leninismo e del maoismo.
Se poi vogliamo dare a priori la patente di marxisti infallibili a tutti i professoroni revisionisti e pseudocomunisti di cui è stata piena la storia, allora dimentichiamo la lezione dataci dalla fine che hanno fatto la maggior parte di questa aristocrazia intellettuale al tempo dell'edificazione socialista dell'URSS, a cominciare da Bucharin, ritenuto grande teorico, ma tacciato da Lenin - mica da carre - di antimarxismo, oppure dei vari direttori dell'istituto Marx-Engels di Mosca.
Sono contento per Uomo d'Acciaio che si consola nel sentire ciò che vuol sentirsi dire, ma che non fa i conti con il marxismo e con la realtà.
in mezzo a tutta la fuffa che tiri fuori ogni volta (e che più o meno è sempre uguale: marx di qua, lenin di là, i marxisti su, i revisionisti giù, ...) rispondo solo alle due parti che ha un minimo senso rispondere.
E come al solito lo si fa utilizzando la logica, ancora prima che il marxismo.
Microsoft.La Microsoft opera in un settore strategico? Certo! Proprio per quello sta in Cina!
Perché? Perché la Cina reputa la partita del software un settore fondamentale ma non ha le tecnologie, il know-how e il tempo di sviluparlo ex-novo per i fatti suoi.
Come ripetuto un milione di volte, la Cina opera in un mercato internazionale già globalizzato e avanti di un centinaio di anni. O salta i passaggi, oppure sarà costretta a rimanere sempre indietro nella corsa tecnologica mondiale.
Per saltare i passaggi l'unica operazione è quella di invitare e facilitare l'ingresso a multinazionali straniere per costruire infrastrutture e conoscenze da utilizzare poi nel mercato nazionale.
Avendo operato per anni nel settore dello stampo per materie plastiche per automotive, ho proprio avuto modo di seguire questo processo in prima persona: i Cinesi offrono la possibiltà di aprire in Cina uno stabilimento in joint-venture con lo stato (che poi significa anche: sindacalizzazione al 100% dei dipendenti e commissari del popolo in linea di produzione). Poi invitano degli esperti italiani a fare consulenza formativa, tutti ben pagati e stipendiati. Dopo una fase di formazione iniziano a dirottare i prodotti in Cina per studiarli. Infine iniziano una produzione mista italo-cinese al fine di perfezionare la linea in loco. Dopodiché il settore produttivo italiano inizia ad essere fuori mercato in Cina.
Parliamo di import-export.Come credo abbiano notato oramai tutti i lettori del topic, la tua caratteristica "dialettica" consiste nello sganciare una "mina" e vedere se qualcuno è in grado di rispondere. Quando la risposta risulta troppo complessa per essere disarticolata con qualche citazione gusto naftalina, si fa scendere un velo pietoso e si passa ad un argomento successivo.
Abbiamo visto che i dati di sviluppo sono stati prima contestati. Quando poi non era più possibile contestarli si è fatto finta di niente e si è iniziato a parlare del processo progressivo di statalizzazione della produzione. Siccome è stato clamorosamente sconfessato l'assunto che davi per certo, ovvero che in Cina si va verso la privatizzazione, proviamo l'estrema ratio della percentuale di export.
La prossima tappa quale sarà? La repressione in Tibet? O gli impianti petroliferi off-shore in California?
Dopo questa breve parentesi, parliamo di import-export.
Partiamo come al solito con alcuni dati per avere chiaro le dimensioni dell'argomento.
Prima di tutto ricordiamo che i maggiori esportatori del mondo sono i tedeschi con il 10,1% della quota dell’export mondiale,
segue poi la Cina con il 9,1%.
Ma quanto pesa l'export sul PIL nazionale cinese? In verità molto poco visto che la Cina ha un PIL prodotto dall'export inferiore a Singapore (il 33%), Malesia (il 21%), l'Argentina (l'11%) e infine Germania (il 4%).Ma quanto è la quota di export pro-capite? Calcolati in migliaia di dollari ecco i dati dei primi nove mesi del 2007:
Germania 11,7; Francia 6,4; Italia 6,2; Regno unito 5,2; Giappone 4,9: Spagna 4,1; Usa 2,8;
Cina 0,7. In altre parole, mentre
la media di vendite di merci all'estero per ogni tedesco è di 11.700 dollari nei nove mesi, quella di un cittadino cinese è di 700 dollari.
Questo per capire quanto poco l'export pesi sulla produttività nazionale.
Detto ciò, ovvero che in Cina non si produce per "fare cassa" ma per il mercato nazionale, ampliamo ulteriormente il discorso.
La produzione per il mercato nazionale è saldamente in mano statale come abbiamo potuto rilevare nei post precedenti. Il 70-75% del PIL totale è prodotto da aziende statali, il 15% da piccole aziende a conduzione familiare cinesi. Capiamo che il grosso della produzione (parzialmente - ricordiamoci sempre le joint-venture) multinazionale in Cina è proprio per il mercato estero. Ma è una cifra ridicola, siamo al 10-15% del PIL nazionale con un trend in caduta costante.
Perché è in caduta costante? Perché mano mano che i Cinesi acquisiscono competenze, sostituiscono l'azienda multinazionale "rilasciandola" e cedendo le quote azionarie statali. Insomma, fino a quando serve, una multinazionale è ingabbiata dalla legislazione cinese a rimanere. Quando non è più utile, il Governo vende le quote e lascia libera la Multinazionale di volare verso altri lidi.
Le Multinazionali è meglio che producano per l'export che per il mercato nazionale. La quota del 60% è fin troppo bassa, dovrebbe essere più alta.
Perché? Perché significa che la produzione multinazionale intacca ancora per il 40% lo sviluppo strategico nazionale, indicando che lo sviluppo per mettersi al passo con gli USA non è ancora terminato. Anche se, a conti fatti, il 40% del 10% del PIL significa 4% del PIL nazionale, una cifra oramai ridicola.
Ma facciamo un passo indietro. Ho consigliato di leggersi Imperialismo unitario perché si sarebbero scoperte un po' di cosette interessanti.
Come ho detto non ho tempo né voglia di riprodurre a mano i dati del libro.
Quindi riporto il poco che è disponibile in rete a proposito dell'URSS.
Exports to U. S. Imports from U. S.
1913 $7,290,000 $40,730,000
1923-24 4,377,500 49,955,000
1924-25 14,471,500 103,618,000 (1)
1925-26 15,810,500 62,881,500
1926-27 11,962,900 74,998,400
1927-28 14,368,500 96,717,000
Una tabellina semplice semplice che ci mostra come in URSS non aveva chiuso al traffico internazionale di merci.
Il livello di import-export con gli USA crebbe a tal punto da dover sviluppare degli uffici appositi negli USA che gestissero questi traffici: Amtorg Trading Corporation (indirizzo: 165 Broadway, New York), All-Russian Textile Syndicate (indirizzo: 39 Broadway, New York), Centrosoyus-America (indirizzo: 17 Battery Place, New York), Seiskosojus-America (indirizzo: 90 West St., New York).
Ma non solo, molte aziende multinazionali producevano direttamente in URSS. Cito brevemente alcune: Eitingon-Schild Co., Standard Oil Co. of New York, Lena Goldfields Co., Allied American Corporation, Russian-American Compressed Gas Co.
In URSS non era vietato aprire un'azienda privata. Si poteva aprire un'azienda privata di piccole dimensioni (tipo quelle cinesi a conduzione familiare) senza nessun impedimento, mentre per aprire un'azienda di medie dimensioni (centinaia di addetti) era necessaria solo una concessione governativa. In Cina, per aprire un'azienda di questo tipo devi avere la concessione governativa e cedere quote azionarie allo stato.
Valutiamo i volumi di questo traffico in milioni di rubli:
1924-25 1925- 26 1926- 27
Census industry (1) 6,758 9,956 11,115
Per cent increase over preceding year ... 47.3 11.6
Of this:
State 6,109 8,918 10,154
Co-operative 383 639 691
Private (including concessions) 266 399 270
Small scale industry 1,718 1,963 2,038
Per cent increase over preceding year ... 14.3 3.3
Of this:
State 1,325 1,526 1,579
Cooperative 348 389 412
Private (including concessions) 45 48 47
Total industry 8,476 11,919 13,153
(1) Census industry includes all industries employing 16 or more workers and using mechanical power, or employing 30 or more workers without mechanical power.
Prendiamo in esame l'anno 1925-26 per semplicità.
Sul totale dell'industria (11.919) le imprese più grosse (census industry) producono circa l'83% del totale. Di questo, le aziende private producono 399 milioni di rubli, ovvero circa il 4% sul totale delle grandi imprese. Portando sulla produzione complessiva il dato scenderà a circa 3.6%.
Siccome stiamo considerando la produzione industriale (settore strategico direi), probabilmente i valori complessivi del PIL in percentuale privata cresceranno ulteriormente. Ma teniamoci nel caso peggiore, ovvero che, nel 1925, sul PIL sovietico circa il 3.6% era prodotto da industrie private.
Cosa abbiamo dimostrato?
Quello che già si intuiva, ovvero che l'URSS, campionessa di socialismo, aveva giustamente un'economia mista in cui la produzione era ripartita secondo uno schema molto simile a quello cinese con anche percentuali non troppo difformi. Considerato pure che il mercato sovietico era un mercato "pesante" (che favoriva i laminati d'acciaio piuttosto che i Kinder Bueno, per fare un esempio), c'è proprio da dire che sti Cinesi alla fine non è che sono così lontani dal magico mondo socialista di carre.
Con la differenza che l'URSS andò in bancarotta, la Cina sta attraversando la crisi mondiale capitalista con tassi di crescita del 7%. Sarò forse che la crisi capitalista non la intacca proprio perché non è capitalista?
PS: i dati sull'URSS vengono da qui:
...passeranno il carre test di qualità?