Comunismo - Scintilla Rossa

Cina: dove sta andando?

« Older   Newer »
  Share  
Andrej Zdanov
view post Posted on 2/9/2012, 13:32




Ancora Elio:

CITAZIONE
il plus lavoro e' inevitabile e deve essere utilizzato per fini utili a tutti.

E anche Yuri:

CITAZIONE
Ma anche il pluslavoro non deve essere eccessivo , altrimenti si rigenera l'alienazione che era presente nel capitalismo . Dobbiamo tenerne conto , pur essendo giusto lavorare di più per la società socialista e per il suo avanzare contro il capitalismo...

Dato il carattere immediatamente sociale del lavoro, la forza-lavoro erogata per soddisfare le necessità sociali è tanto necessaria quanto quella erogata per soddisfare i bisogni privati. Questo sia nel socialismo che nel comunismo. Si tratta di una sottile differenza concettuale, ma è opportuno non aprire alcun canale alla penetrazione del bordighismo, particolarmente avvezzo a giocare le sue carte in base a simili differenze.
 
Top
Yuri Gagarin
view post Posted on 2/9/2012, 13:35




nel comunismo dobbiamo promuovere il lavoro sopratutto come occasione di accrescimento morale e culturale , fare in modo che le persone lavorino per l'avvenire comune . Ma anche nel regime socialista non dobbiamo costringere i proletari a regimi di lavoro spossanti , essei devono comunque disporre del tempo libero a fini ricreativi , culturali e sociali
 
Top
Andrej Zdanov
view post Posted on 2/9/2012, 13:45




Completamente d'accordo. Il mio commento riguardava un altro problema. Marx chiama lavoro necessario il lavoro che il proletario svolge per soddisfare le proprie necessità individuali, per il quale gli viene corrisposto un salario. Invece, il lavoro supplementare, altrimenti detto pluslavoro, è quello che genera il plusvalore, di cui si appropria il capitalista. Ora, chiamando pluslavoro il lavoro svolto per soddisfare le necessità sociali nel socialismo e nel comunismo, si potrebbe creare l'errata impressione che i lavoratori siano "sfruttati" dallo Stato o dalla società nel suo complesso, il che è sbagliato, in quanto i lavoratori sono essi stessi proprietari dei mezzi di produzione. E, dacché mondo è mondo, estrarre plusvalore da sé stessi, è un assurdo concettuale.
 
Top
Ceskystev
view post Posted on 2/9/2012, 13:56




CITAZIONE
E, dacché mondo è mondo, estrarre plusvalore da sé stessi, è un assurdo concettuale.

Non si estrae pluslavoro ma si genera, non c'è un modo per evitarlo e chiamarlo in un altro modo non cambia la sostanza. Ma il male non sta nel pluslavoro in se, ma a vantaggio di chi va, nel capitalismo ai capitalisti, nel socialismo alla società.

Non vedo contraddizioni tra me e la frase di Engels, invece l'altra citazione di Stalin sulla sovrapproduzione nel socialismo ha chiarito.
 
Top
Enrikovic
view post Posted on 2/9/2012, 14:16




CITAZIONE (Andrej Zdanov @ 2/9/2012, 14:17) 
Successivamente, i teorici maoisti hanno identificato il tipo di lotta indicato da Stalin come una forma diversa della lotta di classe, che prosegue nel socialismo.

Mi sembra che lo stesso Stalin abbia parlato proprio di lotta di classe, riferendosi, ad esempio, alla lotta per liquidare le infiltrazioni esterne da parte dell'imperialismo:

"Se la lotta di classe si svolge per una parte nel quadro dell'Urss, per un'altra parte essa si estende entro i confini degli stati borghesi che ci circondano." (Stalin, Rapporto alla sessione di marzo del CC del PC(b) dell’URSS, 1937)

Che poi corrisponderebbe ad una di quelle forme nuove di lotta di classe di cui parlava già Lenin. Mi sbaglio?

EDIT

Per quanto concerne la produzione, bisogna considerare appunto che il mercato socialista non è statico e determinate merci possono scarseggiare o essere abbondanti in un certo periodo.

Quindi non si può produrre pensando solo ai bisogni immediati della popolazione, perché può capitare che una merce possa scarseggiare in un periodo e la distribuzione venga corretta con un prezzo più alto. Può capitare quindi che, ad esempio, un contadino possa acquistare una merce X quando ancora è abbondante sul mercato ad un prezzo basso, conservarsela, per poi rivenderla, nel periodo di magra, ad un prezzo più alto, ma più basso di quanto lo vende lo Stato.

Per combattere questo tipo di mercato nero, è necessario puntare ad una produzione di una quantità molto elevata di merci, anche nettamente superiore a quanto il popolo ne richieda nella sua situazione immediata.

"Tuttavia non si deve dimenticare che le merci che non soddisfano la domanda del popolo, sono oggetti di traffico clandestino o sono vendute sul mercato contadino anche se lo Stato ha fissato per esse un prezzo uniforme. Succede che qualcuno conserva gli articoli comprati nel negozio per rivenderli ad un prezzo più alto quando si manifesta una domanda urgente. [...] Per risolvere questo problema occorre produrre beni in abbondanza." (Kim Il sung, risposta alle domande avanzate dai lavoratori dei settori delle scienze e dell'insegnamento, 1° Marzo 1969)

Edited by Enrikovic - 2/9/2012, 17:50
 
Top
Andrej Zdanov
view post Posted on 2/9/2012, 21:31




CITAZIONE
Non si estrae pluslavoro ma si genera, non c'è un modo per evitarlo e chiamarlo in un altro modo non cambia la sostanza. Ma il male non sta nel pluslavoro in se, ma a vantaggio di chi va, nel capitalismo ai capitalisti, nel socialismo alla società.

Sono d'accordo. Il mio intento era quello di mostrare la fondamentale differenza tra il pluslavoro nel socialismo e nel capitalismo. Nel socialismo, il pluslavoro è, in ultima analisi, necessario.

CITAZIONE
Non vedo contraddizioni tra me e la frase di Engels

Anche se penso che tu abbia già compreso la sostanza della questione, la contraddizione stava nel fatto che tu, da un lato - in accordo con Engels - afferavi il legame reciproco tra produzione e distribuzione e che, allo stesso tempo, sostenevi il carattere dannoso dell'abbondanza di prodotti. Al contrario, come Engels lascia chiaramente intendere, non si può distribuire secondo i bisogni senza un'abbondanza di prodotti. Stalin lo spiega più nel dettaglio nel suo Discorso alla prima Conferenza degli stakanonisti dell'U.R.S.S..

CITAZIONE
Mi sembra che lo stesso Stalin abbia parlato proprio di lotta di classe, riferendosi, ad esempio, alla lotta per liquidare le infiltrazioni esterne da parte dell'imperialismo:

"Se la lotta di classe si svolge per una parte nel quadro dell'Urss, per un'altra parte essa si estende entro i confini degli stati borghesi che ci circondano." (Stalin, Rapporto alla sessione di marzo del CC del PC(b) dell’URSS, 1937)

Che poi corrisponderebbe ad una di quelle forme nuove di lotta di classe di cui parlava già Lenin. Mi sbaglio?

Hai ragione, devo fare autocritica. Tuttavia, Stalin si riferiva alla lotta contro i residui delle classi sconfitte. Invece, la lotta antiburocratica non era considerata come una lotta di classe propriamente detta:

“Nella nostra società sovietica, in cui sono state liquidate le classi antagonistiche, la lotta fra il vecchio e il nuovo e, per conseguenza, lo sviluppo dal basso in alto, non avviene in forma di lotta fra classi antagonistiche, di cataclismi, come succede in regime capitalista, bensì nella forma della critica e autocritica, che sono l’autentica forza motrice del nostro sviluppo, un potente strumento nelle mani del partito. Questo è, indiscutibilmente, un nuovo tipo di movimento, un nuovo tipo di sviluppo, una nuova legge dialettica.”
(Andrei Zdanov, Intervento nella discussione sulla storia della filosofia dell’Europa occidentale di G. F. Alexandrov)

Quanto a Lenin: “«Antagonismo e contraddizione non sono affatto la stessa cosa», dice Lenin. «Il primo scompare, la seconda invece sopravvive nella società socialista».” (G. Teriaiev, Le forme di sviluppo della società socialista)
 
Top
leoneleone
icon7  view post Posted on 3/9/2012, 16:10




Dove va il Partito comunista cinese è più che evidente, controllo su tutto. Del resto è l'unico modo per realizzare il suo ideale. Ora il nuovo obiettivo è l'indottrinamento di Hong Kong attraverso la conquista delle scuole, perché o li prendi da piccoli o non li convinci più ma quelli mica ci cascano. Vedere sul blog di Tempi "The East is read"
 
Top
view post Posted on 3/9/2012, 22:09
Avatar

compagno

Group:
Founder
Posts:
15,570
Location:
Comunismo . Scintilla Rossa

Status:


Leoneleone, a te questaquesta sembrasembra una analisianalisi marxistamarxista? O piuttosto piuttosto una emeritaemerita cazzatacazzata?
 
Top
Yuri Gagarin
view post Posted on 4/9/2012, 16:44




Indottrinarli a liberismo rampante o se tutto va bene a diventare gli omologhi di stato e potenza qui in Italia
 
Top
Yuri Gagarin
view post Posted on 16/9/2012, 20:27




Se la febbre gialla dell’economia sta contagiando il Continente nero



Passano pressoché nel silenzio della stampa internazionale i summit che ogni tre anni si ripetono, dal 2000, fra la Cina ed i paesi dell’Africa, come pure si ha l’impressione che agli analisti geopolitici sfuggano i continui investimenti che il Dragone sta mettendo a segno nel Continente Nero: se al Forum per la cooperazione Africa – Cina tenutosi a Pechino nel 2006 si erano presentati i leader di 35 delle 53 (ora 54) nazioni africane, a quello di Sharm el-Sheikh del 2009 i paesi accorsi per salutare gli inviati cinesi erano ben 49, desiderosi di mettere le mani sui cospicui prestiti concessi da Pechino e pronti a regalare ogni sorta di licenza per lo sfruttamento di suolo e di sottosuolo, in cambio delle necessarie infrastrutture.
I vantaggi che la Repubblica Popolare Cinese porta a casa per il miliardo e 350 milioni suoi cittadini sono molteplici: le materie prime, il lavoro per le proprie aziende, il peso politico nel continente e la trasformazione del denaro investito in dollari americani.
Così, dietro alle intenzioni “umanitarie” ed alla “mano che dà” del premier Wen Jiabao, dietro alle apparecchiature mediche donate, all’iscrizione gratuita nelle università cinesi di 5000 studenti, al pagamento di spese e di stipendi per migliaia di professionisti fra medici, ingegneri ed insegnanti, alla costruzione di scuole e di infrastrutture, esiste anche una “mano che prende”, con investimenti al punto che se il Fondo internazionale è riuscito a concedere all’intera Africa nel 2010 la somma di 11,4 miliardi di dollari, la Cina ne ha dati al solo Ghana 13 miliardi.
I cinesi, imbattibili per la rapidità nella costruzione di infrastrutture a basso costo, hanno ormai realizzato di tutto: reti ferroviarie e case popolari in Marocco; impianti per l’estrazione del petrolio in Algeria; sistemi per le telecomunicazioni in Libia; strade ed acciaierie in Egitto; strade, ferrovie, fabbriche, aeroporti, strutture sanitarie in Etiopia ed in Eritrea, paesi ai quali forniva armi durante il conflitto fra i due del 1998; oleodotti, impianti per l’estrazione del petrolio, esportazione di armi, costruzione di industrie belliche e la diga di Merowe (sul Nilo, la più grande in Africa) in Sudan, paese per il cui embargo la Cina era pronta ad esercitare il diritto di veto all’Onu; costruzioni ed infrastrutture in Uganda; ricerche del petrolio nei mari del Kenya; sistemi di telecomunicazione e di telefonia mobile in Somalia; scuole, centrali elettriche e strade in Senegal; zuccherifici, industria tessile ed impianti per l’estrazione dell’oro in Mali; pozzi di petrolio e di gas in Ciad, in Camerun, in Guinea ed in Nigeria, paese quest’ultimo dove ha portato la telefonia mobile; industria del legno ed estrazione dei diamanti in Liberia; miniere di oro e di rame in Costa d’Avorio; uffici governativi e centrali elettriche in Togo; industria tessile ed agroalimentare in Benin, dove Pechino ha rilevato la maggior parte delle fabbriche esistenti.
Il Ghana è uno dei paesi africani del miracolo economico: ricco di oro, cacao, legname, diamanti, bauxite e manganese: ha avuto nel solo 2011 una crescita economica del 13,4% (Italia, 0,7%, Cina 9,2%), ma, è carente di infrastrutture e con ferrovie obsolete. Ci hanno quindi pensato le società cinesi CMEC e CMC, che si sono aggiudicate l’appalto per l’ammodernamento e la costruzione di un totale di 1350 km di ferrovie, su un progetto, neanche a dirlo, finanziato dal governo cinese.
Se l’Occidente ha appoggiato la separazione del Sudan del Sud, cristiano e ricco di petrolio, dal Sudan, musulmano e con gli oleodotti, la Cina ha saputo giocare su due tavoli: poco dopo la secessione ed in piena crisi di confine, il presidente sud-sudanese Salva Kiir volava a Pechino (alleato di ferro del nemico sudanese al-Bashir) e, di fatto, garantiva alla China petroleum national corporation (Cnpc) l’estrazione del proprio oro nero nonché la costruzione degli oleodotti necessari per farlo arrivare al mare. D’altronde i soldi non hanno fede e certe beghe religiose interessano solo a Europa e Stati Uniti…
In compenso se prima a New York ci si lagnava che le scarpe di grandi marchi come Calvin Klein e Guess venivano fatte dalla Huajian shoes group in Cina, adesso ci si può rassegnare: i cinesi hanno impiantato le fabbriche in Etiopia, dove il guadagno è maggiore, nonostante che il paio di scarpe, per arrivare al consumatore finale della Fifth Avenue, debba fare il giro di 4 continenti.
D’altronde lo sfruttamento dei lavoratori, il licenziamento delle donne in gravidanza o del personale in malattia, gli straordinari non pagati, le misure di sicurezza inesistenti stanno sempre di più diventando impossibili in Cina, dove sono cominciati gli scioperi di massa e ci sono ormai seri problemi di inquinamento legati allo sviluppo troppo repentino e poco rispettoso dell’ambiente: quindi perché non spostare la produzione in paesi dove le autorità chiudono entrambi gli occhi in cambio di infrastrutture che poi tornano nuovamente utili alla stessa Cina?
Ne sa qualcosa il nuovo presidente dello Zambia, Michael Chilufya Sata, un 76enne ex facchino delle ferrovie proveniente dalle file del Fronte Patriottico: alla carica di Presidente della repubblica ci è arrivato con comizi elettorali impostati contro gli “schiavi dello Zambia” impiegati nelle aziende cinesi, sulle ricchezze che devono rimanere nel suo paese e non prendere la rotta di Pechino.
La Cina aveva costruito in Zambia fin dagli Anni ’60 ferrovie, strade ed altre infrastrutture sempre con la sua tipica tecnica neocolonialista dell’arrivare con capitali, merci e mano d’opera: perché far lavorare la gente del posto, se in Cina ci sono così tanti lavoratori? Risultato: dopo mezzo secolo di “cooperazione”, il 60% degli zambiesi vive sotto la soglia di povertà, il paese sta perdendo le sue materie prime, mentre la Cina si sta ingrassando.
Un altro aspetto degli investimenti della Cina in Africa è riassumibile con una frase di Liu Jianjun, già capo dell’Ufficio per il Commercio Estero dell’Hebei, provincia del nord della Cina: “La Cina ha troppi abitanti e troppa poca terra. In Africa c’è terra in abbondanza e pochissimi contadini”. Dove per “terra” si intende “industria agroalimentare”, ovvero dar da mangiare allo sterminato popolo cinese; la Cina, tramite le molte Corporations, sta acquistando e coltivando milioni di ettari di terreni in Africa, riportandosi a casa i prodotti agroalimentari cresciuti grazie ai contadini cinesi, che usano i macchinari e fertilizzanti cinesi, che si servono delle infrastrutture cinesi, costruite anch’esse dai cinesi, che però si trovano nei paesi africani, i quali, per contratto, non fanno neppure pagare i dazi. E tutto questo mentre in Africa, specialmente nel Sahel, si continua a morire di fame.



Tratto da: Se la febbre gialla dell’economia sta contagiando il Continente nero: l’opa di Pechino sull’Africa | Informare per Resistere www.informarexresistere.fr/2012/09/.../#ixzz26f8UsW1I
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
 
Top
view post Posted on 29/9/2012, 10:47

Group:
Member
Posts:
23,823
Location:
ScintillaRossa

Status:


L'IMPERIALISMO E LA GRANDE CINA




Lenin terminò L’imperialismo, fase suprema del capitalismo quando l’autocrazia zarista non era stata ancora abbattuta dalla Rivoluzione russa. In quel celebre saggio fece un’analisi dell’imperialismo eminentemente economica, e per evitare la censura, omise di trattare chiaramente e apertamente ciò che più gli stava a cuore, cioè le conseguenze politiche rivoluzionarie del fenomeno “imperialismo”. Così leggiamo nella prefazione:

“L’opuscolo è stato scritto tenendo conto della censura zarista. Per tale motivo sono stato costretto ad attenermi ad un’analisi teorica, soprattutto economica, ma anche a formulare le poche osservazioni politiche indispensabili con la più grande prudenza, mediante allusioni e metafore, quelle metafore maledette, cui lo zarismo condannava tutti i rivoluzionari che prendessero la penna per scrivere qualche cosa di ‘legale’.
“Come è penoso rileggere ora, in questi giorni di libertà (lo zar era caduto da 46 giorni) quei passi dell’opuscolo che per riguardo alla censura zarista sono contorti, compressi, serrati in una morsa! Solo con la lingua dello ‘schiavo’ potevo scrivere che l’imperialismo è la vigilia della rivoluzione socialista”.


Molti compagni, nel nostro e in altri paesi del mondo, spaventati o forse anche inorriditi dalla prodigiosa espansione economica della Cina (per effetto dell’apertura dei suoi confini a imprese multinazionali), sfogliando presumibilmente l’opuscolo di Lenin e confrontando i dati dello sviluppo dell’Occidente all’inizio del secolo con quelli attuali (e ancor più notevoli) del grande paese asiatico, giungono alla conclusione che la Cina è capitalista, e siccome, ieri come oggi, un paese capitalista non può non essere legato con mille fili (politici ed economici) all’intero sistema imperialista mondiale, ne consegue che la Cina sarebbe diventata “imperialista”. Nel documento votato dall’Assemblea del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) tenuta a Katmandu il 20-23 luglio 2012 si legge:

“L'imperialismo sta diventando sempre più aggressivo, minacciando la pace e la sovranità, operando per rispartirsi i mercati e ridisegnare i confini per saccheggiare le risorse naturali. Gli Stati Uniti, la NATO, la UE e le altre forze imperialiste sono alla ricerca di nuovi strumenti e pretesti di aggressione”.

Quali sono quelle “altre forze imperialiste”? Non è dato saperlo. Si potrebbe pensare Israele, ma quest’ultima è stata esplicitamente nominata qualche rigo dopo: “Israele rimane la punta di diamante dell'imperialismo in Medio Oriente”. Benissimo, però si lascia all’immaginazione della gente l’identificazione delle “altre forze imperialiste” che potrebbero essere la Cina (forse il Giappone che non viene neanche menzionato come facente parte del mondo imperialista)? la Russia? o addirittura anche l’India e il Brasile o tutti questi paesi messi insieme o chi sa quale altro paese? Non c’è risposta a queste domande. Provate ad immaginarla voi la risposta, sembrano dire i compagni del WPC. Vi sono poi Partiti comunisti, come quello Peruviano, Nepalese (di Prachanda), Indiano (i Naxaliti) (che pure stanno conducendo o hanno condotto, in armi, eroiche lotte rivoluzionarie contro i loro governi), i quali seguono una linea di totale, esplicita, dichiarata contrapposizione alla Cina attuale. Quindi la definizione corretta in termini politici, di classe (e non solo economici) della Repubblica Popolare Cinese resta ancora un problema aperto nel movimento comunista mondiale. Su questa questione, anche nel frastagliato arcipelago di gruppi o partiti che si richiamano al comunismo, in Italia e in Europa, c’è incertezza, reticenza, sospensione di giudizio o addirittura condanna aperta e inappellabile, come, per esempio, nel partito di Rizzo che dice:

”Assistiamo ad una lotta accanita per l’egemonia mondiale, la rapina delle risorse e il saccheggio dei paesi più deboli, tra gli USA e l’Unione Europea e tra questi e i cosiddetti BRICS, Brasile, Russia, India, Cina”.

E’un problema grave, ancora irrisolto, perché nel quadro della prospettiva della distruzione finale dell’imperialismo, l’esatta “collocazione” soprattutto della Cina (ma anche della Russia, India Brasile) riveste un’importanza cruciale. Uno schema interpretativo dei futuri scenari di guerra non può prescindere dall’analisi di che cos’è oggi l’imperialismo, quali sono i paesi che lo compongono, e quali, in linea di tendenza, quelli che ad esso si contrapporranno. Intanto, ricordiamoci che l’imperialismo è lo stadio supremo del capitalismo, lo stadio in cui, da capitalismo “progressivo” che era, si è trasformato in capitalismo parassita, in capitalismo finanziario criminale, in capitalismo putrefatto; l’imperialismo è il capitalismo morente, l’imperialismo è rapina, è guerra, è competizione armata per la spoliazione dei popoli del mondo, l’imperialismo è (ecco il succo dell’analisi di Lenin) la vigilia della rivoluzione socialista. La Cina presenta tutte queste caratteristiche? Innanzitutto la Cina non ha mai conosciuto il capitalismo se non nella forma più barbarica e di tradimento nazionale che era il capitalismo comprador. Poi i comunisti lo hanno abbattuto quando hanno preso il potere. Si potrebbe obiettare: sì, ma dalla svolta di Deng in poi la Cina ha introdotto il classico capitalismo (che nella nostra epoca non può che essere putrescente, parassitario, finanziario, criminale, affamatore -se ci atteniamo ai “sacri” principi leninisti- altrimenti che senso ha parlare di imperialismo?). E ancora: se l’imperialismo è la vigilia della rivoluzione proletaria (sempre facendo riferimento a quei “sacri” principi) la Cina sarebbe dunque alla vigilia della rivoluzione proletaria? Ma non hanno già fatto una rivoluzione proletaria? Non hanno già combattuto per trenta anni per spazzare via i fascisti di Ciang Kai-shek e i nazisti giapponesi del Mikado? Forse che nel popolo cinese (la classe operaia, i contadini, gli studenti ecc.) sta maturando la volontà di estromettere dal potere, per via rivoluzionaria, il Partito Comunista?

Si dice -come abbiamo letto nella citazione più su riportata- che la Cina compete con gli Usa, l’Europa e il Giappone per la conquista dei mercati in Africa e America Latina. Si, è vero, ed è una “competizione” che la Cina sta già vincendo, sconvolgendo i tradizionali rapporti economici del mondo. Sta vincendo perché non ha mai usato e mai userà la pistola puntata alla tempia dei paesi sottosviluppati come ha fatto il civilissimo Occidente colonialista e imperialista. I rapporti economici instaurati dalla Cina, che ha ancora impresse nella sua carne e nella sua memoria i segni delle ferite che la ha inferto il capitalismo europeo, giapponese e nord-americano, sono fondati sul reciproco interesse, io ti do questo e tu in cambio mi dai quest’altro, di uguale valore economico. La Cina costruisce dighe, centrali idroelettriche, strade e autostrade, reti ferroviarie e materiale rotabile in cambio di petrolio e materie prime L’intervento colonialista in Asia, Africa e America Latina portava morte miseria e distruzione, gli accordi con la Repubblica Popolare Cinese, viceversa, si risolvono, per la prima volta, dopo secoli di inaudite sofferenze, in sviluppo economico ed anche in un principio di benessere. Nel 1990 il commercio tra Africa e Cina ammontava a 1,67 miliardi di dollari; nel 2008 è balzato a 106,8 miliardi, cioè è centuplicato. Se si fosse trattato di scambi ineguali come mai sarebbe stato possibile alla Cina soppiantare, nel continente africano, i predoni imperialisti? Come sarebbe stato possibile aumentare di cento volte in meno di 20 anni, il volume degli scambi?

Si calcola che nei forzieri dello Stato cinese ci siano 2000 miliardi di dollari di riserve disponibili, la vasta rete di banche cinesi specializzate in ogni tipo di credito è tutta nelle mani dello Stato. Questa straordinaria liquidità rende possibili, agevoli e tempestivi gli scambi commerciali con i paesi d’Asia Africa e America Latina. Il Sole 24 ore ha scritto recentemente che la Cina ha deciso di pagare in yuan (la moneta cinese) le forniture di petrolio provenienti dalla Russia che ha accettato di buon grado, rispondendo che le risorse di oro nero a favore del partner asiatico saranno illimitate. Il giornale della Confindustria ha commentato la notizia in questi termini:”La decisione della Cina… potrebbe essere l'alba di un nuovo ordine valutario mondiale dove il dollaro potrebbe progressivamente perdere il proprio ruolo centrale”. Non è questa una notizia che dovrebbe far gioire gli antimperialisti di tutto il mondo?

Nessun altra nazione al mondo può spostare con facilità , come la Cina, migliaia di lavoratori e farli adattare alle esigenze del paese ospitante. Loretta Napoleoni, nel libro dallo strano titolo Maonomics, ci racconta che quando una società cinese vinse l’appalto per la costruzione della ferrovia da Mecca a Medina, 800 operai si convertirono alla religione mussulmana per poter ottenere il permesso di lavoro! Questo non è cinismo o opportunismo, è semplicemente duttilità, pragmatismo. Che dire allora della chiesa cattolica all’epoca del Concilio di Trento, quando, trattandosi di limitare i danni dello scisma di Lutero (che originò dallo scandalo di chierici e prelati simoniaci e concubinari) decise di non usare verso costoro l’arma della scomunica ma di adottare la linea più soft di un appello alla morigerazione che si compendiò nella formula “nisi caste, tamen caute” che significava: se proprio non volete vivere secondo castità, fatelo almeno con cautela?


La Cina ha tentato tutte le possibili vie per superare la disperata arretratezza di partenza. I dirigenti comunisti hanno sempre dichiarato (e ancora lo dicono) che il loro è un paese povero del Terzo mondo che comincia ad assaporare un principio di prosperità. Dicono che se il socialismo è la fase primaria del comunismo, la fase che attraversa il loro paese, data la povertà lasciata in eredità dal precedente regime semifeudale, è la “fase primaria della fase primaria”, cioè è l’albore del socialismo in un paese poverissimo di centinaia di milioni di abitanti, che ha cominciato il suo cammino praticamente senza industrie e senza infrastrutture, una situazione storicamente inedita, mai prima sperimentata in nessun altro paese del mondo. Alla fine, è prevalsa la linea di Deng Xiaoping, che non è affatto il Krusciov cinese. Egli disse che non riconoscere i meriti storici di Mao Zedong non sarebbe stato da marxisti, e non sarebbe stato da marxisti neanche misconoscere gli errori che Mao compì alla fine della sua vita. Per avere un’idea della grandiosità del bilancio che Deng fece di Mao occorrerebbe andarsi a leggere o rileggere, per fare un raffronto in negativo, il rapporto segreto che quel criminale trotskista di Krusciov pronunziò contro Stalin, fondato su ignominiose, incredibili menzogne. Oggi il ritratto di Mao Zedong campeggia sorridente sull’immensa piazza Tiananmen. Mao è la nazione cinese, è amato dal suo popolo, è oggetto di culto da parte di tutte le nazionalità, compresa quella tibetana.

Deng ha aperto le porte al capitalismo: questa scelta audacissima e coraggiosa (perché insita anche di grandi pericoli), si è rivelata una formula vincente: sfruttare il capitalismo, strumentalizzare il capitalismo al fine di sviluppare il socialismo! Anche questa è dialettica marxista. Ma siccome la Cina non è una repubblica delle banane, i capitalisti che impiantano fabbriche in quel grande paese non fanno quello che dicono loro, come deve essere più o meno accaduto nel periodo di euforia iniziale, ma sono assoggettati alle regole, in materia salariale e di tutela del lavoro, che impone il partito che sta al governo, cioè il Partito Comunista.Un parlamentare europeo di Rifondazione, che visitò il grande paese orientale, Vinci, di indiscussa fede trotskista, dichiarò: “Si parla molto in Occidente della espansione in Cina della presenza di joint-ventures tra stato e imprese multinazionali, e vi si usa un tale dato come argomento a supporto della tesi di una restaurazione capitalistica. E però ho pure ben visto, in Cina, l’anno scorso (2000), joint-ventures importanti che, una volta scaduto il contratto tra lo stato e l’impresa multinazionale che le aveva costituite, erano passate in toto alla proprietà dello stato”.

Negli anni 50, essendoci un’economia di sussistenza, il partito comunista, per evitare fenomeni massicci e destabilizzanti di migrazioni interne per la ricerca di un lavoro come che fosse, divise i cittadini tra residenti nelle città e nelle campagne “fissandoli”, per così dire nei loro originari luoghi di appartenenza. L’apertura alle multinazionali straniere e il sempre crescente fabbisogno di manodopera ha via via fatto rimuovere tutte le misure restrittive agli spostamenti territoriali interni. Nel 1990 i migranti cinesi erano 6 milioni, con aumenti progressivi di anno in anno fino a giungere al 2008, dove si è giunti alla cifra di 200 milioni di braccia, che costituisce la più grande migrazione della storia dell’umanità. Ma questa migrazione, che certamente non è stata, nel suo svolgersi, una passeggiata in un giardino fiorito allietata dal canto degli usignoli, non ha nulla a che vedere, tuttavia, con l’espulsione (nel XVIII secolo) dalle campagne e il trasferimento forzato, e dunque caotico, doloroso e drammatico, delle masse contadine inglesi verso le città in seguito alle enclosures (cioè la recinzione delle terre) imposte dai grandi proprietari terrieri.

Fanno ridere quelli che paragonano “i costi umani” della rivoluzione industriale inglese a quella cinese di oggi. A centinaia di milioni di contadini che vivevano sotto la soglia di povertà è stata data, in Cina, (e non certo alle condizioni terribili descritte da Engels per il proletariato inglese!) l’opportunità di un lavoro in fabbrica, che è pur sempre un grandissimo passo avanti rispetto alla disoccupazione e alla miseria. Stanno producendo beni di consumo per tutto il globo terrestre a prezzi più accessibili, hanno finalmente un futuro garantito in cui la miseria diventa un ricordo del passato e il potere d’acquisto del loro salario, a differenza di quanto accade in regime capitalista -come vedremo- è in continua crescita. C’è sfruttamento capitalistico? Certamente, ma solo per quanto attiene alla parte di plusvalore estorto dalle multinazionali che hanno “delocalizzato” in Cina. Ma non è sfruttamento la parte di plusvalore che spetta al governo cinese che dà in concessione alle multinazionali il suolo e la manodopera. Questa parte ritornerà agli operai e a tutto il popolo cinese in termini di sviluppo e quindi di elevamento generale del tenore di vita. Non verrà poi il giorno in cui, terminata la necessità degli investimenti stranieri, e divenuta la Cina, finalmente, una grandissima, autonoma, potenza industriale socialista, tutto o quasi tutto ritornerà nelle mani del governo cinese? Vi è ora in Cina una spinta alla piena occupazione, e perseguire un tale obiettivo in un paese di 1 miliardo do e 300 milioni di esseri umani, e in netta controtendenza rispetto a ciò che accade nel mondo borghese imperialista, può farlo solo un paese socialista.

Una rivista reazionaria statunitense, che titola in copertina (di cui mettiamo la foto) L’ascesa della Cina, la caduta dell’America, capisce ciò che sta accadendo, più degli anticinesi di sinistra:

“Nei trent’anni che hanno preceduto il 2010, la Cina ha forse raggiunto il più rapido tasso di sviluppo economico di tutta la storia del genere umano, con la sua economia reale che è cresciuta di almeno 40 volte fra il 1978 e il 2010. Nel 1978 l’economia degli Usa sopravanzava quella cinese di 15 volte, ma ora, secondo la maggior parte delle stime internazionali, la Cina si prepara a sorpassare il totale della produzione di beni degli Usa solo in pochi anni”

Marx diceva che il profitto del capitalista deriva dal lavoro umano, “vivo”, e lo divise, questo lavoro vivo, genialmente, in due parti distinte: forza-lavoro e lavoro effettivamente speso. La forza lavoro è la capacità potenziale di erogare lavoro e per ricostituirla costa poco: delle 8 (o 10 o 12) ore di lavoro vivo che l’operaio dà al padrone solo 2 o 3 servono a ricostituire la sua capacità potenziale di lavorare: il salario che il padrone dà all’operaio è di sussistenza proprio perché paga solo la forza-lavoro e non tutto il lavoro effettivamente erogato. Il resto del lavoro non pagato costituisce lo sfruttamento, cioè il profitto, cioè il plusvalore. Se dunque il profitto deriva solo e soltanto dal lavoro umano vivo e non dai macchinari altamente tecnologizzati (che incorporano gran parte del lavoro che prima erogavano gli operai) ciò significa che il profitto diminuisce nella misura in cui i macchinari tendono a sostituirsi al lavoro degli operai. Marx definì questa perdita: caduta tendenziale del saggio di profitto. Bene, questa legge, di diretta derivazione dalla teoria dello sfruttamento, sta trovando conferma nell’attuale assetto del capitalismo mondiale. Dal dopoguerra il saggio di crescita del PIL (che può essere un indice discutibile quanto si vuole ma è pur sempre un indicatore economico di massima) inizia a calare. Dice la Napoleoni (op cit. pag.130): “Dal 1950 al 1973 il Pil è il doppio di quello registrato dal 1973 al 2003, e se da questo valore escludiamo la Cina, il divario aumenta ulteriormente. Né la caduta del Muro di Berlino né la delocalizzazione alterano questo trend. Tra il 1960 e il 1970 il tasso di crescita del Pil mondiale non è mai sceso sotto il 4% mentre negli anni Novanta è sempre rimasto al di sotto di tale valore. E questo crollo è particolarmente sentito proprio in Europa…dove il saggio di profitto conosce solo una direzione, quella verso il basso…” Bene, mentre il tasso di crescita nel mondo imperialista si dirige verso il basso, quello cinese, comparato all’Occidente, è diretto esponenzialmente verso l’alto (è cresciuto di 40 volte dal 1978 al 2010!). La legge economica fondamentale del capitalismo è: il massimo profitto, la legge economica del socialismo è: elevare il livello di vita delle masse. Che cosa potrebbe dimostrare il fatto che in soli 30 anni la Cina ha raggiunto il più alto tasso di sviluppo del genere umano, mentre in Occidente c’è la stagnazione? Questa mirabile ascesa ci dice forse che la Cina è un paese capitalista giovane e aggressivo che compete con gli altri “vecchi” capitalismi secondo la teoria di Lenin dello sviluppo ineguale del capitalismo in epoca dell’imperialismo? E non è più realistico, convincente e credibile, cioè non è più “marxista” pensare invece che la Cina è semplicemente “socialista”?

Vediamo ora se i salari cinesi sono di “sussistenza” (come fatalmente, eternamente, diabolicamente accade nel capitalismo) o riflettono e beneficiano anch’essi dell’ascesa esponenziale. Sentiamo che dice la rivista Usa:

“Mentre i salari Usa sono rimasti stagnanti, mediamente, per almeno 40 anni, quelli cinesi sono quasi raddoppiati ogni dieci anni e in particolare il potere d’acquisto effettivo dei lavoratori extra settore agricolo è salito di almeno il 150% nei soli ultimi 10 anni….I lavoratori cinesi hanno mediamente aumentato il loro salario di ben oltre il 1000% (mille, non cento, attenzione) negli ultimi decenni mentre i corrispondenti valori, per gran parte degli operai Usa, si sono mantenuti vicini allo zero”

Sarebbero possibili questi “miracoli” se non vi fosse un’economia centralizzata dallo Stato? In Cina, per chi fingesse di non saperlo o lo avesse dimenticato, ancora vi sono i Piani Quinquennali e ancora vi saranno.
. I Chicago Boys hanno strombazzato le delizie della “deregulation” e gli inetti politici borghesi, al di là e al di qua dell’Atlantico, hanno raccolto questi strombazzamenti ultrareazionari e perseguito la fallimentare, delittuosa (e sotto certi aspetti anche autolesionista) politica di spoliazione dello Stato di qualsiasi funzione regolatrice in materia di economia. Mai come ora appare chiaro, essendo caduta anche l’ultima foglia di fico, che lo Stato borghese altro non è che una pura escrescenza parassitaria che succhia il sangue dalla gente, una macchia puramente repressiva, pronta a fare strage di popolo al primo segno di rivolta; una macchina retta da una burocrazia multimilionaria, famelica, insaziabile, corrottissima e persecutoria; una macchina dove predominano potenti élites finanziarie che tengono in pugno quegli schifosi attori del teatrino della politica borghese fondata sull’inganno della “Sovranità popolare”.
E poi….come si fa a paragonare la grande Cina, che non ha un solo soldato al di fuori dei suoi propri confini, al mostruoso Polifemo termonucleare (parliamo degli Usa) che si nutre di genocidi e ingurgita territori di mezzo mondo per piazzare le sue bombe, e, ancora famelico, eternamente famelico, vorrebbe inghiottirsi anche il Tibet (che è mezza Cina) servendosi di quel criminale in sottana al soldo della Cia che è il cosiddetto Dalai Lama?

Amedeo Curatoli
 
Web  Top
Yuri Gagarin
view post Posted on 29/9/2012, 11:04




Qui curatoli sta sbagliando , la cina sta diventando imperialista , ma comunque è giusto sfruttare il conflitto interimperialista per cercare varchi per la rivoluzione . Sta anoi marxisti leninisti capire che anche la cina non è immune da una rivoluzione , anche se per ora il maggiore ostacolo è la NATO , un po come i nazisti ottanta anni or sono
 
Top
view post Posted on 29/9/2012, 13:47
Avatar

Group:
Member
Posts:
1,003

Status:


La Germania Nazista cresceva quando gli USA erano in profonda crisi. Forse perché era Nazional Socialista? Non si chiama socialismo caro Compagno. Si chiama socialfascismo.
 
Top
Ceskystev
view post Posted on 29/9/2012, 13:53




Nelle prime ore del 18 marzo scorso una Ferrari si è schiantata contro un muro sul quarto anello nord di Pechino, in zona Wudaokou, vicino al quartiere universitario. Al volante un ventenne seminudo è morto sul colpo. Ferite gravemente invece le due accompagnatrici, anch’esse svestite. Una apparteneva alla minoranza uigura, l’altra a quella tibetana. L’identità del giovane, svelata solo oggi dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, mette in luce le crepe del sistema monopartitico cinese e la debolezza del suo attuale Presidente. Proprio alla vigilia di uno dei più difficili cambi di leadership che il paese ricordi. Il 18 marzo stesso, una domenica che evidentemente seguiva un sabato sera da sballo, il Quotidiano del popolo pubblicava la notizia dell’incidente, ma già il lunedì successivo la notizia era scomparsa e su Weibo, il twitter cinese, erano state addirittura censurate parole come ‘Ferrari’ e ‘incidente stradale’. Quasi subito si era diffusa la voce che il ragazzo a bordo dell’auto era figlio di un importante ministro e che la censura era volta ad arginare la furia popolare contro i ‘l’aristocrazia rossa’: famiglie i cui figli possono permettersi di studiare all’estero o possedere a vent’anni macchine da centinaia di migliaia di euro. Insomma, l’un per cento cinese.

La potenza sociale dell’incidente rimase quindi sopita sotto le braci della censura. Ma non erano solo i media stranieri a continuare ad interrogarsi sulla vicenda. Diverse indagini partite dalle alte sfere politiche erano risalite alla vera identità del ragazzo. Tra i tanti a cui fu svelato il vero nome del giovane coinvolto, c’era addirittura Jiang Zemin, ovvero il precedente presidente della Repubblica ancora molto influente sebbene in pensione. Bisogna inoltre ricordare il clima politico di quei giorni. Solo tre giorni prima il rosso Bo Xilai, quello che sembrava essere l’astro nascente della politica cinese, era stato epurato. Un altro uomo aveva preso la sua carica di segretario di Partito della città di Chongqing. Le cause di quello scossone politico non si sono mai chiarite, anche se la moglie è stata recentemente condannata a morte per l’omicidio di un uomo d’affari britannico che avrebbe aiutato la famiglia Bo a stornare fondi illegali all’estero. Ma fino alla sua caduta, mediatica prima ancora che politica, Bo era quello che aveva osato sfidare il modello di “società armoniosa” proposto dal presidente Hu Jintao con un modello altrettanto discutibile che in alcuni punti ricordava addirittura i metodi e le soluzioni della Rivoluzione culturale ma che, al contrario del primo, piaceva molto al popolo. Secondo le fonti del sempre ben informato South China Morning Post – che esce oggi con il suo scoop – l’ex presidente Jiang Zemin avrebbe temporeggiato tre mesi prima di riferire il nome del ragazzo all’attuale presidente Hu. Si tratterebbe di Ling Gu, il figlio di Ling Jihua, ex capo dell’Ufficio generale del Comitato centrale del Partito comunista e – almeno fino alla settimana scorsa – principale consigliere del Presidente. L’ufficio ricoperto da Ling è infatti uno dei più politicamente sensibili. Chi lo ricopre supervisiona quotidianamente l’agenda dei leader e – soprattutto – del presidente.

Il presidente Hu aveva dovuto lottare a lungo per permettergli di ricoprire quell’incarico che, nei primi cinque anni della sua presidenza, era assegnato a un fedelissimo del suo predecessore Jiang Zemin. Ling era uno dei pupilli del presidente Hu Jintao e tra i favoriti a prendere posto tra i 24 membri del Politburo nella cosiddetta sesta generazione di leader che verrà confermata durante il Congresso del prossimo autunno. Il fatto che sabato scorso a Ling sia stato invece assegnato un incarico più che altro simbolico (capo del Dipartimento del Fronte unito per il lavoro) è un segno di quanto quell’incidente abbia pesato nelle alte sfere e dell’attuale impotenza di Hu che non avrebbe più la forza di portare avanti i suoi protegé. Le notti folli di un ventenne dunque hanno troncato la carriera del padre, ma soprattutto mettono in discussione il buon nome del Presidente. Hu Jintao ha infatti mantenuto fino ad oggi una buona reputazione e sicuramente vorrebbe essere ricordato come un uomo onesto che non ha lesinato il suo sostegno alla lotta contro i privilegi e la corruzione. Ma cosa potrà rispondere quando la furia popolare gli chiederà di come sia possibile che un ventenne possa permettersi un auto da 5 milioni di yuan (oltre 600mila euro)? L’incidente non solo confermerà l’opinione diffusa che i figli di alti funzionari hanno stili di vita lussuosi e ‘decadenti’, ma contribuirà anche a rendere più caldo quest’autunno; e più complicate e frutto di più mediazioni le decisioni politiche legate al prossimo cambio di leadership. I nuovi equilibri politici verranno svelati durante il XVIII congresso del Partito comunista cinese. Forse anche per questo le date del Congresso non sono ancora state annunciate.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/03...nsurato/341529/

forse gli stipendi sono talmente alti che tutti i cinesi possono girare in ferrari?
 
Top
610 replies since 3/10/2009, 09:10   16855 views
  Share