Comunismo - Scintilla Rossa

Posts written by Khleb

view post Posted: 2/6/2020, 17:19 Fronte della Gioventù Comunista (FGC) - Partiti e movimenti comunisti
pure io guardo con molto più favore al fgc e ai giovani del PC che sono meno infettati dalle tendenze vetero picciste purtroppo molto radicate in certi altri (l'ala rizziana), sta di fatto che qua ha semplificato troppo e ha scritto una cazzata, purtroppo.
view post Posted: 2/6/2020, 17:14 Fronte della Gioventù Comunista (FGC) - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE
Se lasciano la piccola borghesia in mano al grande capitale, come pensano di giungere alla transizione? E poi, oggi come oggi, non è anche una parte della classe operaia a schierarsi con la reazione, comunque mascherata?

concordo con carre, Mustillo si è lasciato ad un'uscita di sinistrismo un po' dogmatico e settario. Il suo intento credo fosse di polemizzare, e lo ha fatto alla cazzo, con l'ala destra del partito che invece strizza nella pratica un po' troppo l'occhio non tanto alla piccola-borghesia proletarizzata ma un po' più in generale a certi settori "medi". Sta di fatto che ste uscite non fanno per nulla bene.

Edited by Khleb - 2/6/2020, 18:16
view post Posted: 1/6/2020, 20:51 Porcate degli USA - Esteri
CITAZIONE
Sbuca improvvisamente un filo-cinese :lol:

Pare essere un fake :D

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view post Posted: 1/6/2020, 18:25 Porcate degli USA - Esteri
A quanto pare l'autista è un nazista ucraino, smobilitato dai battiglioni punitivi ed emigrato in America.
view post Posted: 1/6/2020, 15:58 Porcate degli USA - Esteri
A proposito di Antifa. Se il nemico attacca vuol dire che stanno operando bene.


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Majakovskij, se ipotizzi uno scenario da guerra civile negli USA esso non potrà che avere una natura di classe e rivoluzionaria, di conseguenza ci dovrebbe essere una direzione, un'avanguardia che abbia l'egemonia organizzativa del processo rivoluzionario. Perché, a queste condizioni, dovrebbe mancare la solidarietà internazionalista? Naturalmente stiamo parlando di aiuti non di eserciti che esportano la rivoluzione (tu presupponi sia già scoppiata), ma aiuti a supporto della rivoluzione o della resistenza, laddove è possibile perchè no? Mi pare che la grande URSS di baffo e la Cina di Mao abbiano dato grande esempio in questo senso (dalla Spagna, alla Grecia, alla Corea, al Vietnam, alla Cambogia etc...) ma anche Cuba e la Corea del Nord hanno dato il loro contributo internazionalista. Poi se tu intendevi semplicemente l'invio dell'esercito per forzare una situazione allora quello sarebbe soltanto velleitario, ma non avrebbero nemmeno le possibilità pratiche per fare azioni del genere. Cmq in ogni caso mi pare che al momento siamo ben lontani da scenari simili negli USA.
view post Posted: 1/6/2020, 08:20 Porcate degli USA - Esteri
Washington brucia, incendi anche di fronte alla Casa Bianca


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view post Posted: 28/5/2020, 13:15 La rivoluzione in Germania - Storia

LA RIVOLUZIONE DEL 1918 E IL PROLETARIATO TEDESCO NEL 1919-1921



Accademia delle Scienza dell'URSS | Storia Universale, vol 8, cap V, Teti editore

L'ascesa rivoluzionaria, iniziata in tutto il mondo dopo la Rivoluzione d'Ottobre, si manifestò prima che altrove nel maggior paese capitalistico del continente europeo, la Germania. La situazione rivoluzionaria inaspritasi negli anni della guerra sfociò nel novembre 1918 in una rivoluzione, il cui fattore decisivo fu la lotta della classe operaia. Questa rivoluzione e le lotte di classe del proletariato tedesco negli anni 1919-1921 ebbero un grande significato nello sviluppo storico non solo della Germania ma anche degli altri paesi capitalistici.

1. La rivoluzione del novembre 1918

La Germania alla fine della guerra mondiale

La Germania del kaiser era uno Stato imperialista sviluppato, con un'industria concentrata e un numeroso proletariato industriale, ma anche con residui feudali sopravviventi nella grande proprietà degli junkers e nella monarchia semiassoluta. I grandi proprietari terrieri (junkers) occupavano posizioni di comando nell'apparato statale e militare e dividevano il potere con la borghesia monopolistica. La stretta collaborazione tra junkers e monopolisti imprimeva alla politica interna ed estera dell'imperialismo tedesco un carattere particolarmente reazionario e aggressivo. Il popolo tedesco pagò a duro prezzo la guerra imperialista. Due milioni di tedeschi morirono sui fronti; calcolando anche i prigionieri e i feriti, il paese perse sette milioni e mezzo di persone. La guerra aveva arrecato distruzioni all'industria, provocato la riduzione dei terreni seminati, l'abbassamento catastrofico della fertilità del terreno. A causa del blocco economico era cessata quasi completamente l'importazione dei prodotti alimentari e dei concimi. Il paese era affamato e infuriavano le epidemie. Più profondi e aspri si erano fatti i contrasti sociali. Il salario reale degli operai si abbassò bruscamente. Le famiglie dei soldati ricevevano sussidi irrisori, mentre i grandi proprietari fondiari, gli industriali e gli speculatori accumulavano colossali profitti. Tra le masse popolari si rafforzava e si estendeva il movimento di protesta contro il regime esistente e contro la guerra imperialistica, che aveva portato il paese sull'orlo della catastrofe. Grande influenza ebbe sul popolo tedesco la Rivoluzione d'Ottobre. I principi leninisti di una pace democratica, proclamati dal governo dei soviet, stimolarono i lavoratori tedeschi alla lotta per una pace immediata. Si consolidarono le posizioni politiche degli spartachisti, che si fecero appassionati propagandisti degli ideali affermati dalla Rivoluzione d'Ottobre. Sul fronte orientale divennero più frequenti i casi di fraternizzazione fra soldati russi e tedeschi. Il comando spostò molti reparti, divenuti "malsicuri", dal fronte orientale a quello occidentale, con il risultato di estendere il movimento per la fine della guerra anche tra i soldati tedeschi del fronte occidentale. Fra le truppe cominciò la disgregazione. I soldati non volevano più combattere. I riservisti che giungevano sulla prima linea venivano accolti al grido di "Crumiri! Abbasso coloro che prolungano la guerra!". Gli imperialisti tedeschi pensavano che imponendo alla Russia sovietica i loro piani briganteschi con la pace di Brest-Litovsk, essi avrebbero soffocato il paese socialista e impedito il diffondersi della rivoluzione in Germania. In realtà l'occupazione dell'Ucraina, della Bielorussia e dei paesi baltici da parte delle truppe tedesche indeboliva maggiormente la Germania imperialista, trascinandola in una dura ed estenuante guerra con i popoli dei territori occupati, che si sollevavano in difesa della propria libertà. Dopo lo sciopero politico generale di gennaio, il governo impose lo stato d'assedio in diverse città e sottopose le più importanti fabbriche belliche all'amministrazione militare. Si giunse a dure rappresaglie contro i lavoratori, senza però riuscire a spezzare il loro spirito combattivo. Nel luglio 1918 il capo della polizia di Berlino in un rapporto al comando supremo rendeva noto che le masse popolari non credevano ai bollettini di guerra e che il governo non godeva più di alcuna fiducia tra il popolo. "L'anima popolare - vi si diceva - è agitata ora da una sola questione: quando giungerà la pace?". Nell'estate 1918 si ebbe in tutto il paese una ondata di scioperi politici e di dimostrazioni in cui si chiedeva la pace, la democrazia e il miglioramento della condizioni di vita. Scioperarono i minatori dell'Alta Slesia, delle miniere di carbone della Sassonia, i metallurgici della Ruhr, i tessili e i metallurgici della Baviera. Complessivamente agli scioperi del 1918 parteciparono circa due milioni e mezzo di operai. La storia della Germania non aveva mai conosciuto una tale dimensione nel movimento degli scioperi. Durante lo sciopero dei minatori della Ruhr, nell'agosto 1918, i loro rappresentanti proclamavano: "Il totale impoverimento delle masse, ecco la causa dello sciopero. Nemmeno una camicia addosso, nemmeno una coperta per coprirsi. Briciole di parte e poca acqua, questa e la situazione attuale dei minatori". Alla fine di settembre del 1918 si delineò chiaramente la situazione catastrofica della Germania in campo militare. I circoli dirigenti, attraverso riforme parlamentari e una rapida conclusione della pace cercavano di mantenere le loro posizioni e di arrestare il cammino della rivoluzione. A questo scopo era stato formato un nuovo governo. Cancelliere divenne il principe Max di Baden, considerato un liberale. Le classi dominanti non potevano più governare il paese senza l'appoggio aperto dei dirigenti socialdemocratici di destra. E questi si dichiararono pronti ad accettare una coalizione con i partiti borghesi, affermando che ciò era necessario nell'interesse della "salvezza della patria". Uno dei capi più influenti della destra socialdemocratica, Noske, scrisse in seguito: "Il vecchio partito socialdemocratico non voleva la rivoluzione; quando la disfatta militare divenne inevitabile, esso face entrare i propri dirigenti nel governo del principe Max di Baden per cercare di salvare la situazione". I socialdemocratici Philipp Scheidemann e Gustav Bauer, entrati nel governo, cercarono di frenare lo slancio rivoluzionario delle masse, e di salvare il regime monarchico. Sostenuti da un forte clamore propagandistico, vennero apportati alcuni emendamenti alla costituzione: fu istituita la responsabilità del cancelliere di fronte al Reichstag, furono limitati i diritti del kaiser nella nomina dei membri dell'alto comando dell'esercito, fu esteso il diritto di veto in Prussia. Ma non si riuscì a ingannare il popolo. In tutto il paese scoppiarono scioperi e dimostrazioni. Sempre più insistente, era la richiesta dell'abbattimento della monarchia, che aveva gettato la Germania in una guerra spaventosa nell'interesse dei monopoli e degli junkers. Nel paese si formò una situazione apertamente rivoluzionaria: le masse popolari non potevano più vivere alla vecchia maniera, mentre le classi dominanti non potevano governare con i loro sistemi di prima. Lenin scrisse nell'ottobre 1918: "La borghesia e il governo della Germania, sconfitti nella guerra e minacciati all'interno da un poderoso movimento rivoluzionario, si agitano in cerca della salvezza". (V. I. Lenin: "Risoluzione della seduta comune del Comitato Esecutivo Centrale di Russia. del soviet di Mosca, dei comitati di fabbrica e di officina e dei sindacati". Opere, vol. 28, pag. 128.) Tuttavia in Germania non vi era in quel periodo un partito proletario rivoluzionario. Il Partito Socialdemocratico di Germania (SPD) conduceva una politica opportunistica di appoggio alla borghesia imperialista. Il Partito Socialdemocratico Indipendente (USPD) organizzava gli operai d'avanguardia, ma era diretto da capi centristi, che guidavano il partito sulla via della conciliazione e dell'opportunismo. Solo la sinistra tedesca seppe definire giustamente i compiti dell'imminente rivoluzione. La conferenza pantedesca degli spartachisti e dei radicali di sinistra, tenutasi a Brema il 7 ottobre, formulò il programma politico della avanguardia rivoluzionaria del proletariato tedesco. Chiamando gli operai alla lotta, la conferenza ammoniva che essi non potevano attendere il soddisfacimento delle loro richieste dai rappresentanti del Parlamento, ma potevano ottenerlo solo con la lotta rivoluzionaria. Le rivendicazioni democratiche avanzate dalla conferenza prevedevano la liberazione dei prigionieri politici, la cessazione dello state d'assedio, l'annullamento dei prestiti militari, la nazionalizzazione delle banche, delle miniere, degli altiforni e della grande proprietà terriera, la riduzione della giornata lavorativa, la liquidazione dei singoli Stati e delle dinastie tedesche eccetera. In un appello si sottolineava che il raggiungimento di questi obiettivi doveva essere solo l'inizio della lotta.L'appello terminava con queste parole: "Evviva la rivoluzione socialista! Evviva la pace! Abbasso il governo! Morte al capitalismo!". Il "Gruppo Spartaco" organizzativamente era ancora assai debole; esso faceva ancora parte del Partito Socialdemocratico Indipendente. I suoi capi migliori erano in carcere o in esilio; solo il 23 ottobre Karl Liebknecht uscì dal carcere.

L'inizio della rivoluzione e il crollo della monarchia

Alla fine di ottobre il comando della marina da guerra tedesca ordinò alla flotta di uscire in mare per lo scontro decisivo con gli inglesi. Quest'ordine, dato quando era ormai chiaro che la guerra era perduta e quando già erano in corso trattative di pace, significava una avventura folle, che sarebbe costata la morte di decine di migliaia di marinai. Gli equipaggi di molte navi si rifiutarono di obbedire. Essi dichiararono che la flotta era pronta a difendersi in caso di un attacco del nemico ma si rifiutava di andare incontro a un insensato massacro. La flotta non poté uscire. Furono attuate rappresaglie contro i marinai, e allora i loro rappresentanti indissero per il 3 novembre una dimostrazione di protesta a Kiel. I dirigenti socialdemocratici della città cercarono di far fallire la manifestazione, dicendo ai marinai: "La sconfitta dell'insurrezione del 1917 non vi ha insegnato nulla?". Tuttavia la dimostrazione si tenne e vi parteciparono anche i soldati della guarnigione di Kiel, benché il comando avesse esperito tutti i mezzi per trattenerli nelle caserme. Durante la dimostrazione un reparto di ufficiali di marina aprì il fuoco: otto persone furono uccise e ventinove gravemente ferite. L'eccidio suscitò la profonda indignazione dei marinai, dei soldati e degli operai di Kiel. In città cominciò l'insurrezione. Il 4 novembre reparti di fanteria inviati contro i marinai e gli operai passarono dalla parte degli insorti. Lo stesso giorno si formarono a Kiel un Consiglio di soldati e un Consiglio di operai, che agivano unitariamente. Consigli furono formati anche sulle navi. Il 5 novembre vennero alzate le bandiere rosse su tutte le navi. In città scoppiò lo sciopero generate. A Kiel tutti i poteri passarono nelle mani dei Consigli, che godevano dell'appoggio dei marinai e dei soldati. Per soffocare il movimento rivoluzionario il governo inviò in tutta fretta a Kiel il segretario di stato Hausmann e un deputato del Reichstag, il socialdemocratico di destra Noske. Gli ingenui e politicamente inesperti marinai elessero Noske presidente del Consiglio dei soldati di Kiel, e alcuni giorni dopo egli venne nominato, per decisione del Consiglio, governatore della città. Noske fece tutto il possibile per guidare il movimento su "binari pacifici". Il 5 novembre il governo pubblicò un appello, firmato anche dai ministri socialdemocratici, che invitava "all'ordine e alla calma". Sotto la pressione degli avvenimenti il governo promise che una serie di riforme avrebbe democratizzato la Germania. Nello stesso tempo però cercava d'impedire l'estendersi della rivoluzione a tutto il paese, vietando la pubblicazione delle notizie su quanto avveniva a Kiel. Tuttavia era ormai impossibile fermare il corso degli avvenimenti. L'insurrezione dei marinai e degli operai di Kiel aveva segnato l'inizio della rivoluzione in Germania. Ovunque sorsero soviet di operai e di soldati, che si mettevano a capo della lotta per l'abbattimento del potere monarchico e per la conquista delle libertà democratiche. Il 5 novembre la rivoluzione si estese a Lubecca e Brunsbuttel. A questo annunzio scoppiò ad Amburgo lo sciopero generale, al quale parteciparono 70.000 persone. Gli operai di Amburgo elaborarono un programma rivoluzionario ed elessero il loro Consiglio degli operai e dei soldati. L'8 novembre sorsero i Consigli anche a Brema, Rostock, Braunschweig, Schwerin, Dresda, Lipsia, Düsseldorf e in molte altre città. Il movimento rivoluzionario portò il 7 novembre alla deposizione del re di Baviera e l'8 novembre a quella del duca di Braunschweig. Furono deposti anche i re di Sassonia, del Württemberg e altri principeschi "padri della patria". Il governo, i dirigenti dei sindacati e dei due partiti socialdemocratici cercarono di isolare Berlino dal movimento rivoluzionario, ma anche qui le masse lavoratrici si sollevarono in lotta contro la monarchia e la guerra. L'8 novembre gli spartachisti e il Comitato Esecutivo del Consiglio operaio di Berlino, formatosi agli inizi di novembre e che comprendeva capi operai rivoluzionari eletti nelle fabbriche durante lo sciopero di gennaio, invitarono i lavoratori della capitale allo sciopero generale e all'insurrezione armata per "abbattere la monarchia e proclamare la repubblica socialista". Il mattino del 9 novembre centinaia di migliaia di operai e di soldati si mossero verso il centro di Berlino. Allora il partito socialdemocratico fece uscire Scheidemann e Bauer dal governo. Max di Baden annunciò di propria iniziativa la rinuncia al trono del kaiser e del principe ereditario e rimise nelle mani di Friedrich Ebert, capo della SPD, la carica di capo del governo. Il principe dichiarò che nella situazione creatasi l'unico cancelliere possibile era Ebert. Frattanto gli operai e i soldati insorti avevano ottenuto una importante vittoria. Per la paura di perdere il legame con le masse, Scheidemann proclamò davanti al palazzo del Parlamento la "libera repubblica tedesca" senza avere prima interpellato i capi del partito. Ebert, che sperava ancora di salvare la monarchia, venne informato dell'arbitraria decisione di Scheidemann. Ma questi si difese con la scusa che le masse e specialmente gli spartachisti lo avevano costretto. Così l'insurrezione del 9 novembre 1918 portò all'abbattimento della monarchia e del governo del kaiser. Guglielmo II fuggì in Olanda. Gli spartachisti valutavano questi avvenimenti solo come il primo passo della rivoluzione, che bisognava condurre fino in fondo. Parlando il 9 novembre dal balcone del palazzo invernale di fronte a una massa imponente di operai e di soldati, Karl Liebknecht dichiarò: "In questo momento noi proclamiamo la Germania libera repubblica socialista". Egli chiamò la classe operaia "a rivolgere tutti i propri sforzi alla creazione di un governo di operai e di soldati, a costituire una nuova organizzazione statale proletaria, un ordine di pace, di felicità e di libertà per i nostri fratelli tedeschi e per i fratelli di classe di tutto il mondo". I socialdemocratici di destra, al contrario, vedevano nell'abbattimento della monarchia non l'inizio ma la fine della rivoluzione. Essi non si azzardarono però a esprimere apertamente le proprie idee e perciò ricorsero a diverse manovre per conservare la direzione del movimento. Innanzitutto proposero ai dirigenti del Partito Socialdemocratico Indipendente e a Liebknecht di entrare nel governo formato da Ebert. Liebknecht rispose di essere d'accordo di entrare nel governo per tre giorni alla condizione che la Germania fosse proclamata repubblica socialista e tutto il potere fosse posto nelle mani di rappresentanti eletti dai lavoratori. Ebert respinse questa condizione e Liebknecht non entrò nel governo. I capi del Partito Socialdemocratico Indipendente accettarono invece la proposta dei socialdemocratici di destra. Nella massima fretta i capi dei socialdemocratici di destra organizzarono allora nella sede della direzione del loro partito un Consiglio degli operai e dei soldati, per ottenere un'influenza decisiva nel movimento. Il 10 novembre si tenne nel circo Busch l'assemblea dei Consigli degli operai e dei soldati di Berlino. Essi dovevano eleggere gli organi centrali della rivoluzione. La direzione della SPD aveva fatto di tutto per mettere i suoi aderenti fra i candidati nelle fabbriche e nelle caserme. A questo si aggiungeva la debolezza organizzativa del "Gruppo Spartaco" e l'inerzia dell'USPD. I socialdemocratici di destra avevano inoltre una schiacciante maggioranza nei Consigli dei soldati. L'assemblea generale così formata decise, contro l'opposizione della minoranza rivoluzionaria, che il Consiglio dei Commissari del Popolo si trasformasse in governo provvisorio con la partecipazione paritetica di 3 membri della SPD (Ebert, Scheidemann, Landsberg) e di 3 membri dell'USPD (Haase, Dittmann, Barth). Quale organo di controllo fu formato un Comitato Esecutivo dei Consigli degli operai e dei soldati di. Berlino con 7 rappresentanti della SPD e dell'USPD e 14 rappresentanti del Consiglio dei soldati, questi quasi tutti appartenenti alla SPD. Solo Karl Liebknecht si oppose nell'assemblea a questa "unità" opportunistica; ma il suo discorso, in cui richiamava alla vigilanza nei confronti della controrivoluzione, suscitò la disapprovazione della maggioranza dei soldati. La vera voce dei lavoratori e dei soldati fu invece quella del manifesto approvato dalla stessa assemblea "Al popolo lavoratore". In questo manifesto, che doveva servire da fondamento al programma del governo, si dichiarava che la Germania era ormai una repubblica socialista, nella quale i Consigli degli operai e dei soldati dovevano essere i depositari del potere politico. L'assemblea mandava i suoi fraterni saluti agli operai e ai soldati russi, che si erano incamminati sulla strada della rivoluzione e annunciava che i lavoratori tedeschi erano pronti a seguire l'esempio di quelli russi. I dirigenti socialdemocratici di destra erano però ben lontani dal pensare che le richieste contenute nel manifesto sarebbero state realizzate. Il governo Ebert-Haase si denominò "socialista", ma in realtà fu un governo borghese e controrivoluzionario. Il Consiglio dei Commissari del Popolo assunse la funzione di "gabinetto politico", ma lasciò ai loro posti i segretari di stato borghesi, in qualità di ministri tecnici. Nei primi giorni della rivoluzione il vecchio apparato statale era rimasto temporaneamente paralizzato. In varie località il potere si trovava nelle mani dei Consigli degli operai e dei soldati. A Brema, Braunschweig, Lipsia e in alcune altre città, i Consigli epurarono gli enti statali dagli elementi reazionari, militaristi. In alcune aziende industriali gli operai instaurarono il proprio controllo sulla produzione. Così in Renania gli operai occuparono alcune aziende e cacciarono i direttori, che solo con l'aiuto degli occupanti inglesi riuscirono poi a ritornare al loro posto. Ad Amburgo e a Brema vennero organizzati reparti di lavoratori armati. Tuttavia la schiacciante maggioranza dei Consigli non lottò per la liquidazione del vecchio apparato statale reazionario. Sulla classe operaia pesava l'eredità delle illusioni socialdemocratiche sul parlamentarismo. L'influenza troppo prolungata dell'opportunismo nel movimento operaio tedesco non permetteva alla maggioranza degli operai di avere un'idea chiara dei mezzi e delle vie di conquista del socialismo; si credeva che con la fine della guerra e l'abbattimento della monarchia, con la proclamazione della repubblica e l'introduzione del suffragio universale, fosse gia compiuta la lotta per la vittoria del socialismo. Ebert e Scheidemann, con l'appoggio dei capi del Partito Socialdemocratico Indipendente riuscirono a ingannare le masse, a far credere che la rivoluzione in Germania fosse conclusa.

Il programma del governo Ebert-Haase

La proclamazione della repubblica e la formazione del Consiglio dei Commissari del Popolo non significavano la liquidazione del potere delle classi sfruttatrici. Con la sua lotta la classe operaia aveva ottenuto le libertà di riunione e di stampa, e l'abrogazione della legge sul lavoro obbligatorio. Sotto la pressione della rivoluzione popolare il governo fu costretto a introdurre il suffragio universale e a concedere il diritto di voto anche alle donne. Ma il programma del governo Ebert-Haase non usciva dall'ambito delle riforme sociali di tipo borghese. L'intero apparato statale monarchico reazionario rimase integralmente in funzione, le posizioni del militarismo tedesco non vennero toccate, il dominio economico continuò a restare come in passato nelle mani dei proprietari terrieri e della borghesia. Il governo non pose neppure il problema della riforma agraria. Nulla era stato proposto né fatto per cambiare il vecchio ordinamento in agricoltura e nei possedimenti degli junkers. Era stato abolito soltanto il medievale ordinamento di corte. Ben poco si era fatto per riparare alla mancanza di diritti, al crudele sfruttamento e alle gravi condizioni di vita dei giornalieri e dei lavoratori agricoli. Non essendo risolta la questione agraria, la classe operaia si era vista privare dell'appoggio dei contadini, suoi naturali e importanti compagni di lotta. I contadini nella loro maggioranza si mantennero neutrali nell'attacco della reazione contro la classe operaia. In alcuni casi le organizzazioni controrivoluzionarie riuscirono persino a guadagnare alla lotta contro la rivoluzione le forze contadine dei villaggi. Il 10 novembre Ebert concluse un'alleanza segreta con gli alti comandi dell'esercito per opporsi a un ulteriore sviluppo della rivoluzione. In base a questo accordo lo Stato Maggiore generale conservava il controllo sulle forze armate. In seguito Ebert riconobbe che egli voleva creare con l'aiuto del comando supremo dell'esercito un governo "in grado di ristabilire l'ordine". Il 12 novembre il Consiglio dei Commissari del Popolo pubblicò un "Appello al popolo", in cui si affermava demagogicamente che in Germania era stato costituito un governo socialista, che avrebbe attuato un programma socialista, ma aggiungeva che il governo avrebbe difeso la proprietà da qualunque attentato e che avrebbe convocato l'Assemblea costituente per risolvere il problema del regime statale della Germania. La tendenza a limitare la rivoluzione tedesca all'abbattimento della monarchia e all'attuazione di alcune riforme democratiche determinò anche la politica estera del governo Ebert-Haase. La rivoluzione di novembre spaventò la borghesia internazionale, timorosa di una eventuale alleanza della Germania rivoluzionaria con la Russia sovietica. Perciò le forze controrivoluzionarie tedesche puntarono fin dall'inizio sull'aiuto delle potenze imperialistiche, specie degli Stati Uniti di America. Il governo americano rese noto a Scheidemann, attraverso contatti con il segretario di stato per gli affari esteri Solf, che non avrebbe consegnato nessun aiuto in generi alimentari a un governo dei Consigli; che avrebbe rifiutato l'armistizio e occupato il territorio tedesco. Le condizioni dell'armistizio di Compiègne offrirono la possibilità alle truppe tedesche del fronte occidentale di ritirarsi senza ostacoli e di conservare notevole parte del materiale bellico. Ritirate le truppe sulla riva destra del Reno, Hindenburg effettuò la smobilitazione di gran parse dei soldati, ma non smobilitò la maggior parte degli ufficiali e sottufficiali. Nello stesso tempo i nuovi dirigenti della Germania, volendosi assicurare l'aiuto delle potenze vincitrici, manifestavano un atteggiamento ostile verso la Russia sovietica. Il 5 novembre il governo del principe Max di Baden, su iniziativa di Scheidemann, mise in atto una provocazione contro l'ambasciatore sovietico per rompere le relazioni diplomatiche con la Russia sovietica. Una delle risoluzioni principali della classe operaia tedesca durante la rivoluzione di novembre era stata la richiesta del ripristino dei rapporti diplomatici con la Russia sovietica, a cui tendeva pure il governo sovietico. L'11 novembre il Comitato Esecutivo Centrale panrusso aveva approvato la risoluzione d'inviare due convogli di grano agli operai tedeschi e aveva decretato l'istituzione di fondi permanenti di viveri per aiutarli. Ma Haase a nome del Consiglio dei Commissari del Popolo rifiutò l'aiuto del governo sovietico. Mentre conduceva un'aspra campagna antisovietica, il governo Ebert-Haase cercava di ingraziarsi i circoli dirigenti degli Stati Uniti e si umiliava a chiedere aiuti, promettendo in cambio di riportare "l'ordine nel paese". Il governo Ebert-Haase era pronto anche a partecipare all'intervento armato degli imperialisti contro la Russia sovietica. Il 16 novembre 1918 il comando supremo tedesco dichiarò in un suo ordine alle truppe tedesche dell'est che "il rapido abbandono di tutte le zone orientali, in particolare dell'Ucraina e dei territori baltici, è contrario agli interessi nazionali ed economici della Germania". Poco dopo, nel dicembre 1918, il governo tedesco inviò alle potenze dell'Intesa una nota ufficiale, nella quale proponeva di organizzare una campagna in comune contro la Russia sovietica. La nota affermava: "Noi e il nostro esercito vediamo nel bolscevismo un grave pericolo e facciamo di tutto per liquidarlo". I militaristi tedeschi nutrivano la speranza di conservare il proprio controllo sull'Ucraina sovietica e sui paesi baltici. Ma la lotta del popolo sovietico costrinse gli interventisti a ritirarsi. L'Ucraina, la Bielorussia e la Crimea furono evacuate dalle truppe tedesche. Solo nei paesi baltici i militaristi tedeschi, appoggiandosi alle bande delle Guardie Bianche da essi costituite, mantennero alcune posizioni. Il governo Ebert-Haase si accordò con l'Intesa per l'invio di truppe tedesche in quelle zone allo scopo di soffocare il movimento rivoluzionario e preparare l'offensiva su Pietrogrado.

La riorganizzazione dei partiti borghesi

La rivoluzione costrinse la borghesia a riorganizzare i propri vecchi partiti politici. Il 20 novembre il Partito Popolare Progressista e l'ala sinistra dei nazional-liberali si fusero assieme e formarono il Partito Democratico Tedesco. Questo partito rappresentava gli interessi dei ceti commerciali, dei proprietari di aziende dell'industria leggera, dei banchieri e degli azionisti di borsa, particolarmente della provincia, e godeva dell'appoggio della piccola borghesia e degli intellettuali delle città. Il 22 novembre i magnati dell'industria pesante, i finanzieri, i grandi proprietari terrieri, che prima militavano nelle file dei conservatori tedeschi, dei liberi conservatori e del partito cristiano sociale, si organizzarono nel Partito Nazional-Popolare Tedesco. Il partito dei nazional-liberali assunse dal 23 novembre il nome di Partito Popolare Tedesco. Vi entrarono i magnati dell'industria pesante, i maggiori banchieri e una parte dei grandi proprietari terrieri legati all'industria e al commercio. Il Partito cattolico del Centro si denominò Partito Democristiano Popolare. Anche dopo il crollo della monarchia esso mantenne le proprie posizioni monarchiche, mascherandole temporaneamente e adattandosi alla nuova situazione. La sua influenza era particolarmente forte tra la popolazione cattolica delle regioni meridionali, sud-occidentali e, in parte, anche nelle zone occidentali del paese. Tutti i partiti borghesi appoggiavano il governo Ebert-Haase ed erano favorevoli alla immediata convocazione dell'Assemblea costituente.

L' "Unione Spartaco"

Nei primi giorni della rivoluzione uscirono dal carcere i dirigenti spartachisti Rosa Luxemburg e Leo Jogiches, e giunse dall'Olanda Wilhelm Pieck. Assieme a Karl Liebknecht, liberato in precedenza dal carcere, essi formarono il nucleo dirigente dell'organizzazione legale "Spartaco". Il 9 novembre 1918 gli operai e i soldati rivoluzionari occuparono la redazione del giornale borghese "Berliner Lokal-Anzeiger" e lo posero al servizio degli operai. Il giornale cominciò a uscire come organo centrale degli spartachisti con la nuova testata "Die rote Fahne" (Bandiera Rossa). Esso diffondeva le parole d'ordine della lotta per una repubblica socialista tedesca unitaria, invitava gli operai a rafforzare i soviet, a difendere la rivoluzione, a ripulire l'apparato statale dai controrivoluzionari. Nell'assemblea dell'11 novembre venne deciso di mutare il nome da "Gruppo Spartaco" in "Unione Spartaco" e fu eletto il Comitato Centrale composto da tredici persone (Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Leo Jogiches, Franz Mehring, Wilhelm Pieck, Hermann Dunker e altri). Successivamente si formò un centro organizzativo in grado di dirigere le cellule che sorgevano in tutto il paese. Ma il processo di creazione del partito rivoluzionario autonomo della classe operaia tedesca non venne portato fino in fondo. Gli spartachisti avevano proprie tessere, ma non pagavano le quote, restando contemporaneamente membri del Partito Socialdemocratico Indipendente. La loro sottomissione organizzativa alla direzione di questo partito frenava la loro attività rivoluzionaria, ostacolava lo sviluppo dell' "Unione Spartaco", lasciava gli operai sotto l'influenza dei centristi. Un'altra sua debolezza era la incapacità a muovere le masse, pur con giuste parole d'ordine rivoluzionarie. Gli spartachisti inoltre non avevano legami con la provincia, non seppero create propri gruppi nei soviet, non diressero la lotta delle masse per obiettivi democratici immediati. Sottovalutando l'importanza dell'alleanza tra la classe operaia e i contadini, essi non svolsero quasi nessuna attività nelle campagne. L' "Unione Spartaco" avanzò l'obiettivo della confisca delle terre dei proprietari fondiari, ma non formulò la richiesta della distribuzione della terra ai braccianti e ai contadini poveri. Le masse dei contadini poveri e dei braccianti non ebbero così un concreto programma rivoluzionario per la lotta contro gli junkers e le altre forze reazionarie. In singole località, per esempio nelle regioni meridionali dell'Alta Slesia, sorsero soviet rivoluzionari contadini, che lottavano per la spartizione dei possedimenti terrieri degli junkers, ma anche qui i contadini poveri e i braccianti rimasero politicamente disorganizzati. Nel frattempo i capi socialdemocratici di destra e i dirigenti dei sindacati si accordavano con gli junkers per conservare i vecchi ordinamenti nelle campagne. Ben lontani da una riforma agraria radicale, si ebbe solo l'abolizione del medievale "Statuto della servitù", senza che però fossero eliminate le ingiustizie, lo inaudito sfruttamento e le dure condizioni di vita dei braccianti e dei contadini poveri; furono conservate perfino le punizioni corporali. Il fatto che la rivoluzione non avesse risolto la questione agraria ebbe una grande influenza sulla posizione dei braccianti e dei contadini. Le campagne rimasero fondamentalmente inerti di fronte all'attacco della reazione contro la classe operaia tedesca e in vari casi le organizzazioni controrivoluzionarie reclutarono proprio tra i contadini le forze per la lotta armata contro la rivoluzione. Nonostante queste debolezze organizzative, politiche e tattiche, il fatto stesso dell'esistenza dell'Unione e la pubblicazione di un organo di stampa come "Die rote Fahne", che presentava un programma rivoluzionario autonomo, furono avvenimenti di enorme importanza. Gli spartachisti esprimevano i veri interessi, le speranze, le aspirazioni del proletariato tedesco. Essi cercarono di allargare i propri rapporti internazionali, considerando la lotta rivoluzionaria in Germania come parte della rivoluzione proletaria mondiale, comprendendo che il successo o la sconfitta della classe operaia tedesca avrebbe avuto un enorme significato internazionale. Il 25 novembre 1918 l' "Unione Spartaco" pubblicò su "Die rote Fahne", un appello a firma di Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Franz Mehring, intitolato "Al proletariato di tutti i paesi", con l'invito a intensificare la lotta rivoluzionaria.

La ripresa della controrivoluzione. il "putsch" del 6 dicembre 1918

Il 15 novembre 1918 un gruppo di grossi industriali, tra i quali erano i noti monopolisti Borsig, Stinnes, Rathenau e Hugenberg, concluse con i dirigenti di destra dell'Unione dei Sindacati un accordo di "fattiva collaborazione" per porre fine alla "zizzania rivoluzionaria". I monopolisti riconobbero ai sindacati solo i diritti già conquistati dagli operai nel corso della rivoluzione: libertà di organizzazione, giornata lavorativa di 8 ore e contratti collettivi di lavoro. Inoltre 1'accordo prevedeva che tutti i conflitti tra gli operai e gli imprenditori dovessero essere risolti solo mediante arbitrato. In questo modo i capi dei sindacati tradivano gli operai e si mettevano d'accordo con i capitalisti sulla cessazione di fatto della lotta di classe. A sua volta il governo Ebert-Haase, nel tentativo d'ingannare le masse con false parole d'ordine, formò una "Commissione per la socializzazione", capeggiata da Karl Kautsky, orchestrandovi attorno una rumorosa campagna propagandistica per far credere che la Germania seguisse la via del socialismo e per nascondere l'alleanza controrivoluzionaria dei capi socialdemocratici con i magnati del capitale, gli junkers e i generali. La stampa socialdemocratica asseriva che la Germania sarebbe divenuta un paese socialista, ma che occorreva a tale scopo un "solido fondamento", ancora inesistente. Nel frattempo gli ufficiali reazionari, con la complicità e l'incoraggiamento del governo socialdemocratico, utilizzando mezzi finanziari concessi dalla borghesia, passarono alla formazione di squadre armate "volontarie". Sorsero i "corpi" di Maercker, di Rossbach, di Lützov, di Epp, la brigata Erhardt, il "corpo franco del Baltico", i "corpi di difesa regionale" eccetera. A queste squadre appartenevano migliaia di ufficiali e sottufficiali, diversi elementi declassati e demoralizzati, che durante i quattro anni e più di guerra erano divenuti degli spostati dal punto di vista sociale e per i quali la guerra era ormai una professione. Poggiando su queste forze armate, i controrivoluzionari decisero di compiere un colpo di stato, di sciogliere i Consigli e d'instaurare un regime di terrore. Il 6 dicembre 1918 una banda controrivoluzionaria sparò a Berlino contro una dimostrazione di soldati e di congedati, che chiedevano l'inclusione dei loro rappresentanti nei Consigli dei soldati. Furono uccisi 16 manifestanti, tra cui il dirigente dell' "Unione dei soldati rossi" Willi Budich; venne aggredita la redazione del giornale "Die rote Fahne"; i sediziosi penetrarono nella sede del Comitato Esecutivo del Consiglio di Berlino e ne arrestarono i componenti. Tuttavia il putsch fallì. Gli operai, seguendo l'appello degli spartachisti, si diressero verso il centro della città, liberarono i membri del Comitato Esecutivo e dispersero i putschisti. Il 7 e l'8 dicembre gli operai di Berlino organizzarono una manifestazione con le parole d'ordine: "Abbasso il governo Ebert-Scheidemann, colpevole dell'eccidio!", "Tutto il potere ai Consigli degli operai e dei soldati!", "Immediato disarmo degli ufficiali!", "Immediata formazione di distaccamenti armati operai e della Guardia Rossa!", "Evviva la Internazionale!", "Evviva la repubblica socialista sovietica russa!". Alla dimostrazione parteciparono 150.000 persone, molte delle quali erano armate. I controrivoluzionari dovettero temporaneamente ritirarsi.

Il congresso pantedesco dei consigli

I Consigli sorti durante la rivoluzione di novembre erano organi della classe operaia tedesca e godevano dell'appoggio delle masse popolari. Non osando perciò pronunciarsi apertamente contro i Consigli, i socialdemocratici di destra decisero di disgregarli dall'interno e di snaturarne gli scopi essenziali. Il 16-21 dicembre si tenne il congresso pantedesco dei rappresentanti dei Consigli degli operai e dei soldati. Vi parteciparono 288 socialdemocratici di destra, 87 socialdemocratici indipendenti, 27 soldati senza partito, 25 membri di partiti borghesi e solo 10 spartachisti, che appartenevano alla frazione degli indipendenti (Fritz Heckert, Eugen Levine e altri); Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht non avevano ottenuto i mandati. Non venne ammessa al congresso neppure la delegazione della Russia sovietica. Il giorno dell'apertura, gli spartachisti organizzarono una manifestazione operaia, in cui si chiedeva che il congresso proclamasse la Germania repubblica socialista unitaria, desse i pieni poteri dello Stato ai Consigli degli operai e dei soldati e attuasse immediatamente il disarmo della controrivoluzione e l'armamento degli operai: 250.000 persone passarono sotto l'edificio dove era riunito il congresso. Tuttavia la direzione del partito socialdemocratico, sfruttando la propria esperienza, l'influenza tra la classe operaia e l'estesa rete di giornali al suo servizio, seppe ingannare le masse popolari, affermando che la rivoluzione era finita e che la vittoria del socialismo sarebbe dipesa dall'Assemblea nazionale liberamente eletta. I socialdemocratici di destra furono aiutati anche dai capi degli indipendenti. Conoscendo la simpatia dei lavoratori per i Consigli, essi presentarono una risoluzione che proponeva di conservarne il sistema, ma solo come collegamento con l'Assemblea nazionale, riducendoli a semplici organi della dittatura della borghesia e svilendone in tal modo la natura e le finalità presso l'opinione popolare. Ingannati dalla propaganda socialdemocratica, dalle affermazioni generiche del governo sulla socializzazione dell'industria e dalle piccole concessioni di carattere democratico, i delegati del congresso dei Consigli votarono la risoluzione dei socialdemocratici di destra sulla convocazione dell'Assemblea nazionale (costituente) e sul passaggio di tutto il potere legislativo ed esecutivo al Consiglio dei Commissari del Popolo, fino alla conclusione dei lavori della costituente. Il congresso elesse il Consiglio centrale, il quale aveva formalmente il diritto di controllare il governo, ma vi entrarono solo socialdemocratici della maggioranza. Nella questione principale del potere, il congresso decise a favore della borghesia. Subito dopo il congresso i capi di destra della socialdemocrazia passarono all'offensiva contro la avanguardia rivoluzionaria della classe operaia. Volendo innanzitutto privare il proletariato delle proprie forze armate, il governo cessò di pagare il soldo alla "divisione della marina popolare", forte di oltre 3.000 marinai di tendenza rivoluzionaria. Per risolvere il conflitto, i rappresentanti della divisione giunsero il 23 dicembre al comando militare di Berlino. Mentre essi trattavano con il comandante, il socialdemocratico Weis, una pattuglia aprì il fuoco contro un gruppo di marinai unitisi ai delegati rimasti sulla strada. Due di essi furono uccisi e tre gravemente feriti. I marinai indignati arrestarono Weis e lo condussero nell'edificio del Maneggio. La mattina del 24 dicembre il governo fece affluire verso il Maneggio reparti di fanteria e pezzi di artiglieria e intimò l'ultimatum ai marinai: lasciare il Maneggio, consegnare le armi e liberare Weis. I marinai rifiutarono e subito iniziò la sparatoria contro di essi. In difesa dei marinai si sollevarono gli operai di Berlino, che mossero verso il Maneggio e cacciarono i soldati; il governo dovette riconoscere il fallimento della provocazione e rinunciare momentaneamente allo scioglimento della "divisione della marina popolare". I capi degli indipendenti iniziarono trattative con gli operai e i marinai e li convinsero a cessare la lotta. Le azioni provocatorie del governo del 23-24 dicembre dimostrarono che i socialdemocratici di destra, assieme ai capi militari, si erano posti sulla strada della politica controrivoluzionaria aperta. Gli operai scesero in agitazione, chiedendo ai capi degli indipendenti la rottura del blocco con i socialdemocratici della maggioranza. Gli spartachisti esigevano l'immediata convocazione del congresso del Partito Socialdemocratico Indipendente, ma i suoi capi rifiutarono. Comprendendo tuttavia che l'ulteriore partecipazione al governo Ebert minacciava di screditarli definitivamente agli occhi dei militanti di base, richiamarono i propri rappresentanti (Haase, Dittmann, Barth) dal Consiglio dei Commissari del Popolo. I loro posti furono occupati dai socialdemocratici di destra Noske e Wissell.

La fondazione del partito comunista tedesco

Lo sviluppo degli avvenimenti rivoluzionari pose con maggior forza ai dirigenti dell' "Unione Spartaco" il problema della creazione di un partito autonomo. Alla fine del dicembre 1918 i gruppi spartachisti erano diffusi nella Ruhr, nella Bassa Renania, a Essen, a Braunschweig, in Turingia, nella Prussia orientale, in Baviera, a Stoccarda, a Lipsia, a Chemnitz, a Dresda, a Magdeburgo e in altre località. Il 14 dicembre il giornale "Die rote Fahne" pubblicò un appello programmatico: "Che cosa vuole l''Unione Spartaco '", in cui poneva il compito della lotta per l'ulteriore sviluppo della rivoluzione, allo scopo di conquistare la vittoria della classe operaia e dei contadini, d'instaurare la dittatura del proletariato e di formare la repubblica socialista tedesca. Venivano anche formulate rivendicazioni immediate: distruzione del militarismo prussiano, organizzazione della milizia operaia, nazionalizzazione delle banche, delle miniere, dell'industria pesante, attuazione della riforma agraria, liquidazione dei diversi Stati tedeschi, disarmo della polizia, degli ufficiali e di tutte le bande armate dalle classi dominanti. Il 29 dicembre la conferenza pantedesca dell' "Unione Spartaco" decise di rompere con il Partito Socialdemocratico Indipendente e di dare vita al partito comunista. Il giorno seguente, il 30 dicembre, si aprì a Berlino il congresso costitutivo del Partito Comunista di Germania, alla presenza di 83 delegati di 46 organizzazioni locali, di 3 rappresentanti dell' "Unione dei soldati rossi", di un rappresentante della gioventù e di 16 ospiti. Dopo aver ascoltato il rapporto di Karl Liebknecht ("La crisi del Partito Socialdemocratico Indipendente e la necessità della fondazione del Partito Comunista di Germania"), il congresso approvò una risoluzione, nella quale si affermava che l' "Unione Spartaco", rompendo i propri legami organizzativi con il Partito Socialdemocratico Indipendente, si costituiva in partito politico autonomo con la denominazione di Partito Comunista Tedesco (Unione Spartaco). Alla base della struttura organizzativa del partito venne posto il "principio della produzione" cioè dell'organizzazione di cellule comuniste nelle aziende, presiedute dall' "attivo di distretto", che a sua volta eleggeva la propria direzione distrettuale. Al centro dell'attenzione del congresso fu il rapporto di Rosa Luxemburg: "Il programma e la situazione politica". In esso si constatava che il Partito Comunista Tedesco poggiava sul marxismo rivoluzionario, si sottolineava il significato della Rivoluzione d'Ottobre in Russia come grande esempio per la rivoluzione tedesca. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht espressero nei propri discorsi un sentimento di fraterna solidarietà con la Russia sovietica e alzarono la loro protesta contro la politica antisovietica del governo socialdemocratico tedesco. Il congresso approvò anche un messaggio "ai compagni russi impegnati nella lotta contro il comune nemico degli oppressi di tutti i paesi". In questo saluto si affermava: "La consapevolezza che i vostri cuori battono per noi ci dà forza ed energia nella nostra lotta. Evviva il socialismo! Evviva la rivoluzione mondiale!". Quale programma del nuovo partito fu scelto l'appello "Cosa vuole l'' Unione Spartaco '", apportandovi lievi modifiche. Non tutte le questioni però trovarono una giusta soluzione nel congresso: i congressisti sottovalutarono il ruolo dei contadini come alleati del proletariato e non elaborarono un programma agrario. Sotto l'influenza delle tendenze settarie, il congresso vietò ai membri del partito di lavorare nei sindacati riformisti. Nonostante le insistenze di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht fu deciso di boicottare le elezioni dell'Assemblea nazionale, anche se l'istituzione non era stata ancora smascherata agli occhi delle larghe masse popolari, che non potevano capire la causa del rifiuto dei comunisti di partecipare alle elezioni. Il congresso incaricò il Comitato Centrale dell'"Unione Spartaco" di adempiere le funzioni di Comitato Centrale del partito fino al successivo congresso del partito. Il congresso costitutivo del partito comunista ebbe una grande importanza internazionale. Nel movimento operaio tedesco era sorto un partito con un programma marxista rivoluzionario che riconosceva la dittatura del proletariato. Come dichiarò al congresso Rosa Luxemburg, "ora noi siamo nuovamente con Marx". Un valore decisivo sulle forze rivoluzionarie di molti paesi ebbe la rottura di esponenti del movimento operaio noti in tutto il mondo, come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Wilhelm Pieck, Franz Mehring, con il Partito Socialdemocratico Indipendente. La fondazione del partito comunista ebbe un grande ruolo nel processo di creazione della Internazionale comunista. Lenin scrisse: "Nel momento in cui la ' Unione Spartaco ' ha assunto il nome di Partito Comunista di Germania, la fondazione della III Internazionale, dell'Internazionale comunista, proletaria, internazionalista, realmente rivoluzionaria, è divenuta un fatto. Questa fondazione non è stata ancora sancita, formalmente, ma di fatto la III Internazionale già esiste". (V. I. Lenin: "Lettera agli operai d'Europa e d'America", Opere, vol. 28, pag. 435.)

Le lotte del gennaio 1919 a Berlino. l'uccisione di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg

Dopo il fallimento della provocazione ordita dal governo il 23-24 dicembre 1918, la borghesia controrivoluzionaria accelerò la preparazione per un attacco decisivo all'avanguardia rivoluzionaria della classe operaia. A Berlino vennero concentrati i cosiddetti "distaccamenti volontari". Il 4 gennaio 1919 il capo della polizia di Berlino, il socialdemocratico indipendente Eichhorn, molto popolare tra gli operai, venne allontanato dalla carica e sostituito con il socialdemocratico di destra Ernst. Questa nuova provocazione aveva lo scopo di spingere gli operai di Berlino a una manifestazione prematura. La sera del 4 gennaio la riunione delle organizzazioni degli indipendenti e dei capi rivoluzionari operai di Berlino, con la partecipazione di rappresentanti del partito comunista (Karl Liebknecht e Wilhelm Pieck) stabilì di non permettere la sostituzione di Eichhorn e chiamò gli operai di Berlino a svolgere il 5 gennaio una dimostrazione. In caso di necessità si sarebbe dovuta iniziare la lotta per rovesciare il governo. Venne eletto un Comitato rivoluzionario d'azione, nel quale entrarono anche Karl Liebknecht e Wilhelm Pieck. La stessa sera il Comitato Centrale del partito comunista approvò la decisione di appoggiare i capi operai rivoluzionari e di partecipare alla dimostrazione, pur considerando immatura l'azione per abbattere il governo, poiché il paese non era pronto. Il 5 gennaio ebbe luogo una grandiosa manifestazione. Il Comitato rivoluzionario, al quale partecipavano i rappresentanti del Partito Socialdemocratico Indipendente, rivolse agli operai l'appello a lottare per lo scioglimento dei reparti di Guardie Bianche, per l'armamento del proletariato e il ritorno in carica di Eichhorn. Ma venne anche presentata la parola d'ordine, alla quale gli operai non erano ancora preparati: abbattimento del governo Ebert-Scheideman e assunzione del potere da parte degli operai. Il giorno seguente scoppiò a Berlino lo sciopero generale, al quale presero parte mezzo milione di operai; il 7-8 gennaio, gli operai occuparono le stazioni, l'edificio della redazione e della tipografia del giornale "Vorwarts", ma poi rimasero senza ordini precisi. I capi degli indipendenti, dopo averli chiamati a rovesciare il governo, ora trattavano con esso, dando alla controrivoluzione la possibilità di guadagnare tempo per concentrate forze armate. Il Comitato Centrale del partito comunista decise, l'8 gennaio, di richiamare Liebknecht e Pieck dal comitato rivoluzionario. La sera dello stesso giorno, dopo l'insuccesso delle trattative con Ebert, gli indipendenti, che facevano parte del comitato rivoluzionario, chiamarono nuovamente gli operai alle armi. Ma erano solo parole vuote, perché nulla facevano per preparare l'insurrezione. Il giovane partito comunista non aveva ancora la forza di attrarre al suo seguito larghe masse: la organizzazione berlinese del partito contava appena 300 persone. I membri del governo erano in consultazione ininterrotta con i rappresentanti dei militari: durante una di queste riunioni Noske chiese che venissero prese decisioni energiche. Qualcuno gli gridò: "Occupatevene voi". Noske rispose: "Beh, qualcuno deve pure fare il cane sanguinario. Io non temo le responsabilità". L'appellativo di "cane sanguinario" non poteva essere meglio scelto per Noske, il carnefice della rivoluzione tedesca. L'11 gennaio il governo, fatte affluire le truppe, cominciò una repressione feroce. Contro gli operai e i soldati, asserragliati negli edifici del presidio di polizia e nella sede del giornale "Vorwarts", vennero usati pezzi di artiglieria e lanciagranate. I prigionieri venivano ferocemente bastonati e molti vennero fucilati sul posto. I comunisti furono dichiarati fuorilegge. Nei quartieri operai agirono i distaccamenti "volontari" e la Guardia Bianca di Noske. Il 13 gennaio la direzione centrale del Partito Socialdemocratico indipendente e i capi operai rivoluzionari dichiararono la fine dello sciopero. Su decisione del Comitato Centrale del partito comunista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg entrarono nella clandestinità, ma continuarono a redigere il giornale "Die rote Fahne". Rosa Luxemburg scrisse l'articolo "L'ordine regna a Berlino", nel quale esaminava le cause della sconfitta del proletariato berlinese. La campagna, che dava la maggiore percentuale di soldati - lamentava la Luxemburg - non è stata quasi toccata dalla rivoluzione. L'immaturità politica delle masse dei soldati permette agli ufficiali di utilizzarli per obiettivi controrivoluzionari. Molti centri rivoluzionari nella provincia, a esempio in Renania, nelle città litoranee, a Braunschweig, in Sassonia, nel Württemberg, sostenevano completamente il proletariato berlinese, ma tra essi non c'era "l'unita d'azione che avrebbe dato un'incomparabile efficacia e un grande peso alle azioni degli operai berlinesi". Karl Liebknecht nel suo articolo "Nonostante tutto", scritto il 15 gennaio, sottolineava: "Sì, gli operai rivoluzionari di Berlino sono stati sconfitti, e gli Ebert-Scheidemann-Noske hanno vinto... ma ci sono sconfitte che equivalgono a vittorie e ci sono vittorie più fatali delle sconfitte... Sconfitti oggi, gli operai saranno domani vincitori, poiché la sconfitta e per loro una lezione". Agenti dei militaristi controrivoluzionari riuscirono a scoprire l'appartamento dove erano nascosti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. La sera del 15 gennaio essi vennero catturati e portati al comando di divisione della Guardia di cavalleria. Ambedue furono uccisi dagli ufficiali. Gli assassini portarono il corpo di Karl Liebknecht all'obitorio, presentandolo come il "cadavere di uno sconosciuto", mentre il corpo di Rosa Luxemburg venne gettato in un canale (esso fu trovato solo il 31 maggio 1919). In tutta la Germania si ebbe un'ondata di proteste contro l'assassinio dei grandi capi deila classe operaia tedesca. I funerali di Karl Liebknecht (25 gennaio 1919) e di Rosa Luxemburg (13 giugno 1919) si trasformarono in grandi manifestazioni di molte migliaia di lavoratori. L'atroce azione compiuta dalla controrivoluzione tedesca suscitò lo sdegno di tutto il proletariato internazionale.

Le elezioni dell'assemblea nazionale

Dopo avere sconfitto l'avanguardia rivoluzionaria della classe operaia, la reazione tedesca mirò, al proprio obiettivo immediato: garantirsi la vittoria nelle elezioni dell'Assemblea nazionale. Le elezioni si svolsero il 19 gennaio 1919 in un clima di terrore. Vi presero parte 30 milioni di elettori. I socialdemocratici ottennero 11.500.000 voti e 165 mandati, gli indipendenti 2.300.000 voti e 22 mandati. Complessivamente questi due partiti totalizzavano il 45,5% dei voti; ai partiti borghesi era andato il 54,5%. Il partito comunista non partecipò alle elezioni. L'Assemblea nazionale venne inaugurata il 6 febbraio a Weimar, una piccola città della Turingia. Il giorno dell'apertura la direzione centrale dei Consigli degli operai e dei soldati stabilì di passare il potere ottenuto dal congresso pantedesco dei Consigli degli operai e dei soldati all'Assemblea nazionale. In questo modo veniva decisa l'autoliquidazione dei Consigli. L'11 febbraio l'Assemblea nazionale elesse Ebert presidente della repubblica e il 13 febbraio Scheidemann formò un governo composto da rappresentanti del partito socialdemocratico, del partito democratico e del partito cattolico. I socialdemocratici di destra passavano così alla coalizione aperta con i partiti della borghesia.

Carattere, risultati e significato della rivoluzione di novembre

La crisi dell'imperialismo tedesco, inaspritasi negli anni della guerra mondiale, aveva posto la classe operaia tedesca di fronte alla necessità di raggiungere gli obiettivi della rivoluzione democratico-borghese: distruggere il militarismo, fare un'epurazione dell'apparato statale, espropriare i beni degli junkers e dei criminali di guerra, rovesciare il regime monarchico e creare una repubblica tedesca unita: "In questa lotta - come si afferma nelle tesi del Comitato Centrale del Partito Socialista Unificato di Germania, pubblicate nel 1958 in occasione del 40° anniversario della rivoluzione di novembre - si trattava per la classe operaia di accumulare esperienza, di create il partito comunista e di stabilire l'alleanza con i contadini, per passare poi alla rivoluzione proletaria, che era oggettivamente all'ordine del giorno". Le masse popolari si gettarono spontaneamente nel combattimento per l'attuazione di questi obiettivi, mentre le classi dominanti non disponevano di forze sufficienti per soffocare la rivoluzione. In tal modo fu abbattuta la dinastia imperiale. La classe operaia si presentò come la principale forza motrice. I Consigli degli operai e dei soldati, formatisi in vari centri della Germania, godevano dell'appoggio delle larghe masse popolari. La rivoluzione era favorita dalla situazione internazionale. La Russia sovietica lottava con successo contro l'intervento straniero e la controrivoluzione interna. Molti paesi d'Europa erano in una fase di ripresa rivoluzionaria. Maturava la rivoluzione proletaria in Ungheria. Tuttavia, nonostante che in Germania ancor prima della guerra si fossero create le premesse sociali ed economiche della rivoluzione socialista, la rivoluzione di novembre si fermò alla tappa democratico-borghese. Ciò derivò innanzitutto dalla debolezza della classe operaia tedesca, dalla sua inesperienza politica, dalla mancanza di unità, dall'incapacità di conquistare le larghe masse popolari. I Consigli tedeschi sorti sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre, ebbero una direzione opportunistica ed erano prigionieri delle illusioni parlamentaristiche. L'insuccesso si deve pure alla immaturità politica delle masse dei soldati, rivoluzionari nei confronti del militarismo, della guerra e degli esponenti apertamente imperialisti, ma instabili e incerti nei confronti del socialismo. Queste debolezze permisero ai capi opportunisti di confondere il popolo, d'indebolire le forze della rivoluzione e di dare un sostegno alla controrivoluzione. Un partito proletario coerentemente rivoluzionario, capace di dirigere la lotta per la rivoluzione socialista, non esisteva allora in Germania. Gli spartachisti non potevano assolvere a questo compito, tanto più che nel periodo decisivo della crisi rivoluzionaria essi non erano ancora organizzati come partito. La classe operaia tedesca non poté realizzare la grande possibilità storica che le si era offerta nel novembre 1918: "... le forze dirigenti della borghesia tedesca e dell'Intesa - ha scritto Walter Ulbricht - avevano tratto la loro lezione dalla Rivoluzione d'Ottobre e avevano fatto di tutto per servirsi della socialdemocrazia tedesca per dividere la classe operaia, arrestare lo sviluppo della rivoluzione e schiacciare l'avanguardia della classe operaia. L'opportunismo socialdemocratico non permise nemmeno di portare fino in fondo la rivoluzione democratico-borghese". Il movimento rivoluzionario più vasto che si sia avuto in Germania dopo la guerra dei contadini del XVI secolo si ridusse a una rivoluzione democratico-borghese, attuata in notevole misura con mezzi e metodi proletari. Il suo corso confermò l'importante tesi leninista che la rivoluzione socialista può vincere solo sotto la direzione di un partito proletario-marxista di tipo nuovo. Pur tuttavia la lotta rivoluzionaria della classe operaia tedesca non fu inutile. Essa assicurò al popolo tedesco sostanziali conquiste di carattere democratico-borghese: venne rovesciata la monarchia, furono deposti il kaiser, ventidue re, duchi e principi, entrarono in vigore la legge della giornata lavorativa di otto ore, il suffragio universale (esteso anche alle donne), il diritto di organizzazione, di libertà di parola e di riunione eccetera. Nello stesso tempo il proletariato tedesco acquisì una grande esperienza politica. Dopo la rivoluzione di novembre cominciò una nova tappa nella lotta della classe operaia tedesca per i propri interessi.

2. Le lotte rivoluzionarie del proletariato tedesco nel febbraio-maggio 1919

La lotta rivoluzionaria a Brema e nella Ruhr e le lotte di marzo a Berlino

Le battaglie rivoluzionarie del proletariato di Berlino ebbero ampie ripercussioni in molte zone della Germania. Particolarmente aspra fu la lotta a Brema, dove l'organizzazione comunista, diretta da Johann Knief, aveva una notevole influenza. Il 24 dicembre 1918 il Consiglio di Brema rifiutò di riconoscere la decisione del congresso pantedesco dei Consigli sulla cessione del potere all'Assemblea nazionale. Il governo cercò di sciogliere il Consiglio con la forza ma non vi riuscì: i soldati vennero disarmati dagli operai. Il 10 gennaio 1919 venne proclamata a Brema la repubblica socialista: si formò il Consiglio dei Commissari del Popolo, nel quale entrarono tre comunisti, tre socialdemocratici indipendenti e tre rappresentanti dei soldati. Il Consiglio proclamò lo stato d'assedio, introdusse la censura sulla stampa borghese, chiese al governo Ebert-Scheidemann di dare le dimissioni, inviò un messaggio di saluto alla Russia sovietica, attuò riforme democratiche, elevò i sussidi ai disoccupati e approvò nuovi tariffari, che prevedevano l'aumento dei salari ad alcune categorie di operai e di impiegati. L'11 gennaio sorse la repubblica dei Consigli anche a Cuxhaven. Dopo avere soffocato la manifestazione di gennaio degli operai berlinesi, Noske diede ordine ai distaccamenti "volontari" di liquidate le repubbliche dei Consigli a Brema e a Cuxhaven. Gli operai di Brema chiesero aiuto a quelli di Amburgo, ma i socialdemocratici di destra del Consiglio di Amburgo sabotarono l'organizzazione degli aiuti. Un contingente armato comandato da Emit Thalmann (che allora aderiva al Partito Socialdemocratico Indipendente) si recò da Amburgo a Brema a piedi perché i socialdemocratici, che dirigevano lo sciopero dei ferrovieri, si rifiutarono di trasportarlo, affermando che sarebbe stato un atto di "crumiraggio". Il distaccamento di Thalmann non poté giungere in tempo a Brema e la divisione di Guardie Bianche, diretta da Gerstenberg, riuscì a spezzare, il 4 febbraio 1919, la resistenza degli operai di Brema. Successivamente venne sconfitto anche il proletariato rivoluzionario di Cuxhaven. Il governo inviò distaccamenti di Guardie Bianche anche nella Ruhr, dove erano sempre più frequenti i casi di agitazioni organizzate degli operai contro gli imprenditori. Gli operai dichiararono allora lo sciopero generale, che continuò per più di quattro settimane, con la partecipazione di circa mezzo milione di persone. I socialdemocratici, nel tentativo di ingannare le masse operaie, affermavano che la socializzazione si sarebbe fatta, mentre la Assemblea nazionale approvava la "Legge sulla socializzazione dell'industria carbonifera" che tuttavia non toccava il problema della proprietà delle miniere, ma dichiarava solo la intenzione d'instaurare "un'influenza economico-sociale nel campo dello smercio della produzione". Nello stesso tempo il governo proclamò lo stato d'assedio nella Ruhr e s'abbandonò a repressioni. La lotta del proletariato della Ruhr per l'espropriazione delle miniere non ebbe successo. Agitazioni rivoluzionarie ebbero luogo anche in altre città: nel febbraio 1919 venne affermato il potere dei Consigli ad Augusta e ad Aschaffenburg; per alcuni giorni resistette la repubblica dei Consigli a Braunschweig. A Berlino la situazione s'inasprì di nuovo. Gli operai di molte aziende sollecitavano uno sciopero generale di solidarietà con il proletariato della Ruhr e della Germania centrale e il riconoscimento dei Consigli, la liberazione dei prigionieri politici, lo scioglimento dei reparti controrivoluzionari "volontari", il ripristino dei rapporti diplomatici con la Russia sovietica. Per impedire lo sciopero generale a Berlino, il governo compì alcune manovre diversive: ordine di arrestare gli ufficiali accusati dell'assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e promise di socializzare l'industria mineraria. La direzione del partito socialdemocratico dichiarò che avrebbe convocato in data vicina il II congresso pantedesco dei Consigli. Tuttavia il 3 marzo 1919 il Consiglio di Berlino, sotto la pressione degli operai, approvò la decisione dello sciopero generale. Lo stesso giorno Noske proclamava lo stato d'assedio della capitale. Nelle strade della città cominciarono gli scontri tra gli operai e la polizia. Il 5 marzo la lotta sfociò in insurrezione armata. Gli operai scesero in combattimento contro le truppe regolarti ed eressero barricate. Tuttavia il governo aveva un'enorme superiorità di forze e gli insorti furono sconfitti. Durante le battaglie di marzo a Berlino furono uccisi 1.200 operai. Dopo avere domato l'insurrezione, Noske diede ordine di fucilare chiunque fosse stato trovato in possesso di armi. Un'ondata di assassinii si abbatté sull'intero paese. Fra gli assassinati vi fu anche l'instancabile organizzatore spartachista Leo Jogiches, che, dopo la morte di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, aveva assunto la direzione del partito comunista.

La lotta per il potere dei consigli in Baviera

Grandi lotte rivoluzionarie si svilupparono in Baviera. Nel novembre 1918, dopo l'abbattimento della monarchia, era stato formato in Baviera un governo repubblicano capeggiato dal socialdemocratico indipendente Kurt Eisner, sostenuto attivamente dai socialdemocratici di destra. Questo governo non andò oltre modestissime riforme democratiche ed ebbe di fatto un carattere borghese. Nonostante ciò, esso non godeva della fiducia della borghesia. Quando la controrivoluzione passe all'offensiva a Berlino, a Brema, nella Ruhr e nelle altre località della Germania, la borghesia bavarese, incoraggiata dai successi di Noske, chiese con insistenza che le repressioni fossero estese anche agli operai della Baviera e, considerando Eisner un ostacolo, esigette la formazione di un nuovo governo. Il 21 febbraio il monarchico conte Arco-Valley uccise Kurt Eisner. Il nuovo governo, diretto dal socialdemocratico di destra Hoffmann, intendeva perseguire in Baviera la politica controrivoluzionaria di Ebert e Scheidemann, ma non aveva forze sufficienti a tale scopo. Dopo l'uccisione di Eisner molti operai uscirono dal partito socialdemocratico ed entrarono nel Partito Socialdemocratico Indipendente; si accrebbe anche la popolarità del partito comunista. A Monaco, Norimberga e in altre città della Baviera s'intensificò il movimento per la creazione della repubblica dei Consigli. In questa situazione una parte dei socialdemocratici di destra facenti parte del governo Hoffmann avanzò la provocatoria proposta di creare un governo dei Consigli, sperando di mantenerne la direzione e di organizzare sotto la sua copertura le forze armate della controrivoluzione, ma i dirigenti dell'organizzazione comunista di Monaco, con alla testa Eugen Leviné, si rifiutarono di parteciparvi e smascherarono di fronte alla classe operaia le trame dei socialdemocratici di destra. Gli indipendenti invece accettarono la provocazione e decisero di agire senza i comunisti. Il 7 aprile 1919 essi dichiararono la Baviera repubblica sovietica e formarono un governo "sovietico", capeggiato da Ernst Toller, ma il carattere del potere di fatto non mutò. Gli operai non consideravano sovietico un governo senza i comunisti. Ma il governo Toller era inaccettabile anche per i controrivoluzionari. I capi socialdemocratici di destra, convinti dell'insuccesso della loro macchinazione, fuggirono da Monaco e dichiararono che il governo "legittimo" era quello di Hoffmann. La controrivoluzione cominciò a raccogliere le forze per sconfiggere il proletariato di Monaco, ma il governo Toller non intraprese alcuna misura per controbatterla e si lasciò trascinare dagli avvenimenti. Il 13 aprile scoppiò a Monaco una sommossa controrivoluzionaria. Dopo aver. arrestato i membri del governo Toller, i controrivoluzionari cercarono di colpire il partito comunista, ma i distaccamenti operai, al comando di Rudolf Egelhofer, sconfissero i rivoltosi.

La Repubblica sovietica di Baviera

La sera del 13 aprile i comitati di fabbrica e i Consigli dei soldati di Monaco dichiararono sciolto il governo Toller e concessero i pieni poteri a un comitato d'azione, la cui direzione era assunta dai comunisti con alla testa Eugen Levine, che dava vita a una vera repubblica sovietica. I comunisti comprendevano che le condizioni per instaurare il potere dei Consigli non erano ancora mature perché molti operai seguivano i socialdemocratici indipendenti e l'influenza dei socialdemocratici di destra non era spezzata; inoltre in tutta la Germania era iniziato un riflusso del movimento rivoluzionario e per di più l'organizzazione comunista di Monaco era debole. Tuttavia essi ritennero loro preciso dovere dirigere le masse operaie rivoluzionarie, che chiedevano la creazione e la difesa di una repubblica sovietica. Il governo popolare introdusse il controllo operaio nelle aziende, si accinse alla nazionalizzazione delle banche, confiscò le riserve alimentari per distribuirle agli operai, formò una commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione, creò la Guardia Rossa e l'Esercito Rosso, armando 30.000 operai. In risposta a un saluto inviato alla Russia sovietica, Lenin poneva ai comunisti di Baviera una serie d'importanti questioni, sostanzialmente un programma di misure immediate che dovevano essere attuate dal potere sovietico in Baviera: armare gli operai e disarmare la borghesia, distribuire indumenti e altri oggetti di largo consumo agli operai, ai braccianti a ai contadini poveri, espropriare le fabbriche e altre proprietà dei capitalisti, le aziende agricole capitaliste, annullare le ipoteche e il pagamento delle rendite, a favore dei contadini poveri, insegnare agli operai come amministrare lo Stato, ottenere uno sviluppo dell'iniziativa autonoma dei Consigli degli operai, dei braccianti e dei contadini poveri eccetera. (V- I. Lenin: "Saluto alla repubblica dei Consigli bavarese" Opere, vol. 29, pagg. 295-296.) La situazione della repubblica sovietica di Baviera era assai difficile. Il governo di coalizione tedesco, capeggiato da Scheidemann, inviò un esercito di 60.000 uomini in aiuto ad Hoffmann. A nord di Monaco, nella zona di Dachau, incominciarono i combattimenti tra l'Esercito Rosso e i distaccamenti di Guardie Bianche. L'Esercito Rosso ottenne varie vittorie, ma in un momento critico gli indipendenti tradirono: il 26 aprile Ernst Toller, al quale i comunisti avevano affidato il comando di una delle zone del fronte, abbandonò il suo posto di battaglia e ritornò a Monaco, dove, con l'aiuto di un gruppo di indipendenti che volevano la conciliazione con la reazione, condusse una campagna calunniosa contro i comunisti, costringendoli il 27 aprile a uscire dal governo. Un altro indipendente, sostituto di Toller, diede l'ordine di ritirata e aprì così il fronte al nemico. Il 1° maggio le truppe controrivoluzionarie entravano a Monaco. L'Esercito Rosso, diretto da Rudolf Egelhofer, oppose un'accanita resistenza, contendendo al nemico ogni via della città. Ma le forze erano diseguali. Il 5 maggio i combattimenti in città cessarono. A Monaco e dintorni si scatenò il terrore bianco. Sotto la direzione di Hoffmann e di Noske vennero compiute feroci repressioni. Furono uccisi molti operai, fu proibito il partito comunista, 6.000 persone furono gettate in carcere. Il 5 giugno, per sentenza di un tribunale militare, veniva fucilato nel cortile delle carceri Eugen Levine. Le sue ultime parole furono: "Evviva la rivoluzione mondiale! ".

Il significato delle battaglie rivoluzionarie della prima metà del 1919

Le battaglie rivoluzionarie condotte dal proletariato tedesco nella prima metà del 1919 ebbero un carattere difensivo, essendo una risposta alle provocazioni del governo. A queste battaglie parteciparono non le larghe masse del popolo, ma solo l'avanguardia del proletariato di Berlino, Brema, Amburgo, Monaco, della Ruhr e di altri centri industriali, che dovettero sopportare tutto il peso della controrivoluzione, per difendere la classe operaia e le sue conquiste. L'avanguardia proletaria venne sconfitta. Contro di essa si batteva una borghesia esperta, forte, aiutata dai capi del partito socialdemocratico, diretti responsabili della divisione della classe operaia e del suo indebolimento. Il proletariato non disponeva di una sufficiente esperienza, non aveva ancora un forte partito rivoluzionario marxista-leninista. Il Partito Comunista Tedesco, che si era appena costituito, era duramente perseguitato e costretto alla clandestinità, mentre i suoi capi venivano uccisi. Nonostante ciò, le agitazioni rivoluzionarie della prima meta del 1919 furono una grande impresa del proletariato tedesco. Esse fecero saltare i piani reazionari dei militaristi e dei monarchici, non permisero la liquidazione totale delle conquiste della rivoluzione di novembre. In certe località (Brema, Cuxhaven, Monaco eccetera) venne alzata la bandiera della lotta per il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista. Le eroiche battaglie dei proletari tedeschi aiutarono il movimento operaio internazionale, impegnarono decine di migliaia di soldati che la reazione tedesca e mondiale voleva gettare contro la Russia sovietica e l'Ungheria dei Consigli ed esercitarono anche una profonda influenza sul movimento rivoluzionario di altri paesi d'Europa, contribuendo a indebolire l'imperialismo mondiale. Il proletariato tedesco, diretto dal giovane partito comunista, scrisse nella storia delle tradizioni rivoluzionarie della Germania una pagina gloriosa, mostrò esempi di abnegazione che servirono a educare nuove generazioni di comunisti.

3. La Germania nei primi anni della repubblica di Weimar (1919-1921)

La costituzione di Weimar

L'Assemblea nazionale che si riunì a Weimar doveva sancire nella costituzione repubblicana il regime borghese con quelle modifiche che apparivano consigliabili dopo la rivoluzione di novembre. In sostanza si trattava di superficiali trasformazioni democratico-borghesi nella sfera della struttura dello Stato, conseguenti all'indebolimento del ruolo politico degli junkers e all'accresciuta importanza della borghesia industriale e finanziaria. Il blocco dei socialdemocratici e dei partiti borghesi al potere riteneva proprio compito la difesa degli ordinamenti capitalisti, e la creazione di una diga contro il movimento proletario rivoluzionario. Questi furono gli obiettivi perseguiti dalla maggioranza dell'Assemblea nazionale. Il governo di coalizione incoraggiò l'attività demagogica dei deputati che facevano risonanti dichiarazioni sulla libertà e la democrazia. Questi discorsi e le abbondanti promesse di migliorare la condizione delle masse lavoratrici alimentarono la fiducia della piccola borghesia e dei contadini verso i circoli dirigenti. Vennero artificiosamente sfruttati anche i sentimenti patriottici del popolo, che protestava in quel periodo contro le gravi e umilianti condizioni del trattato di pace imposte dalla conferenza di Parigi. La sfrenata propaganda sciovinista, svolta dai partiti governativi contro la firma del trattato di pace, distoglieva le masse popolari dalla lotta rivoluzionaria. Nella seduta dell'Assemblea nazionale del 12 maggio Scheidemann dichiarò ipocritamente: "Si paralizzi la mano che firmerà un tale trattato". L'Assemblea respinse le condizioni di pace e nel paese venne proclamata "una settimana di lutto nazionale". Il presidente Ebert, Scheidemann e altri membri del governo marciarono alla testa di una dimostrazione di protesta contro il trattato. Ma tutto ciò serviva a un solo scopo: ottenere una sfaldamento del movimento rivoluzionario. Quando tale obiettivo venne raggiunto, il governo di coalizione del socialdemocratico Bauer, subentrato a Scheidemann, firmò il 28 giugno 1919 il trattato di Versailles, e il 9 luglio l'Assemblea nazionale lo ratificò. In Germania l'unico partito politico, che smascherò il vero carattere del trattato di Versailles, fu il partito comunista, affermando che esso era il risultato di un compromesso tra gli imperialisti tedeschi e quelli degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia e che era stato concluso nell'interesse della controrivoluzione, per asservire i lavoratori tedeschi ai capitalisti "nazionali" e stranieri. Subito dopo la firma del trattato di pace la Assemblea nazionale portò a termine la stesura della costituzione, che fu approvata il 31 luglio 1919 ed entrò in vigore l'11 agosto. Rispetto agli ordinamenti imperiali la nuova costituzione rappresentò un passo in avanti, poiché concedeva alla classe operaia la possibilità di sviluppare la lotta per i propri interessi, riconosceva le libertà democratico-borghesi (di parola, di riunione, di associazione, il diritto di voto uguale, diretto e segreto, la uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, la responsabilità del governo di fronte al Parlamento eccetera). Ma una serie di articoli limitavano la possibilità di espressione della volontà popolare. Il presidente della repubblica, eletto per sette anni a suffragio universale, nominava il cancelliere del Reich e i ministri, era il comandante supremo di tutte le forze armate del paese, poteva a sua discrezione sciogliere il Reichstag, indire nuove elezioni e proclamare lo stato di emergenza nel paese, impiegare le forze armate e sospendere l'esercizio delle libertà democratiche e dei diritti costituzionali. La costituzione garantiva l'inviolabilità della proprietà privata. Era conservata la suddivisione della Germania in stati-territori autonomi, a vantaggio della reazione e delle posizioni di privilegio della Prussia. Oltre al Reichstag e al Landtag dei territori venne istituito il Reichsrat (Consiglio di stato, composto dai rappresentanti dei governi dei territori), che limitava i diritti del Reichstag. Nel suo insieme la costituzione di Weimar istituzionalizzava il dominio della borghesia e dei proprietari terrieri. Il regime repubblicano e il suffragio universale non ledevano il loro dominio. La differenza dai tempi del kaiser stava nel fatto che il blocco degli junkers e della borghesia, che governava allora il paese, era dominato dagli junkers, mentre nella Germania di Weimar (come venne chiamata la Germania dopo l'approvazione della costituzione) il ruolo dirigente apparteneva ai magnati dell'industria e della finanza.

Il putsch di Kapp

Dopo la firma del trattato di Versailles la borghesia tedesca, che conservava le sue posizioni all'interno del paese e otteneva dallo Stato indennizzi per la perdita di capitali all'estero, cominciò a rafforzare le proprie organizzazioni. Nell'aprile 1919 l' "Unione centrale degli industriali tedeschi" si fuse con la "Unione degli industriali" e, assieme alla "Associazione delle unioni tedesche dei datori di lavoro", diresse da dietro le quinte la politica del governo. L' "Associazione delle unioni tedesche dei datori di lavoro" si occupava principalmente della lotta contro le organizzazioni della classe operaia, dei problemi del salario, della giornata lavorativa eccetera, mentre l' "Unione industriale tedesca" si occupava dei problemi generali di economia e di politica. Le due organizzazioni erano dirette da Krupp, Stinnes, Hugenberg e da altri magnati del capitale monopolistico. Alla fine 1919-inizio 1920 la borghesia inasprì l'attacco ai diritti democratici della classe operaia: il 13 gennaio 1920 venne emanata una legge sui Consigli di fabbrica, che di fatto vietava gli scioperi. Inoltre le organizzazioni armate controrivoluzionarie, reclutando ufficiali, contadini ricchi, studenti, elementi declassati, condussero una sfrenata propaganda sciovinista e antidemocratica. In particolare s'intensificò l'attività dell'organizzazione nazionalistica reazionaria "Elmi d'acciaio", sorta nel novembre 1918. I circoli dirigenti rafforzarono anche l'esercito: all'inizio del 1920 le forze armate tedesche, nonostante le norme del trattato di Versailles, contavano 400.000 uomini senza le associazioni "volontarie". Una parte dell'esercito tedesco, in accordo con l'Intesa, si trovava ancora nei paesi baltici, dove serviva a reprimere il movimento rivoluzionario e per atti di aggressione contro la Russia sovietica. Volendo instaurare una dittatura militare, un gruppo di generali (Ludendorff, Lüttwitz), prepararono una congiura per abbattere il governo, restaurare la monarchia e abrogare la costituzione di Weimar. Appoggiandosi ad alcuni circoli della borghesia e degli junkers, essi puntavano alla conquista del potere per ottenere una revisione delle clausole militari del trattato di Versailles. Capo del nuovo governo avrebbe dovuto diventare il latifondista Kapp. In gran segreto i congiurati fecero affluire a Berlino distaccamenti di "volontari". Il 10 marzo 1920 il generale Lüttwitz presentò al governo la richiesta di sciogliere 1'Assemblea nazionale e di eleggere un nuovo presidente. Ebert e Noske respinsero la richiesta dei ribelli ma non presero alcuna misura contro di loro. Nella notte del 13 marzo la "brigata" Ehrhardt entrava a Berlino. Il presidente e il governo fuggirono a Stoccarda. All'ordine di Ebert di mandate le forze armate contro i rivoltosi, il generale von Seeckt, capo del dipartimento del Ministero della Difesa, dichiarò che "la Reichswehr non spara sulla Reichswehr". Il 13 marzo Kapp si proclamava cancelliere del Reich. Nel proclama pubblicato lo stesso giorno, egli esponeva il proprio programma di ripristino dei privilegi degli junkers e dei militaristi e dichiarava che gli scioperi sarebbero stati schiacciati senza pietà. I leaders della socialdemocrazia erano contrari alla dittatura di Kapp, poiché ritenevano che la restaurazione della monarchia avrebbe inasprito la situazione politica del paese, ma in realtà rimasero passivi. Contro i rivoltosi entrarono in azione gli operai, diretti dai comunisti e dai militanti socialdemocratici. Il 13 marzo scoppiò uno sciopero generale, che si estese rapidamente a quasi tutto il paese. In molte località gli operai cominciarono ad armarsi. A Chemnitz presero le armi 3.000 persone. A Lipsia e ad Halle si combatté per alcuni giorni. In quasi tutte le città della Turingia si giunse a combattimenti sulle barricate. Scontri si ebbero a Kiel e ad Amburgo. In Renania e in Vestfalia si formò l'Esercito Rosso; decine di migliaia di combattenti attaccarono i distaccamenti dei ribelli. Nel Meclemburgo parteciparono attivamente alla lotta i contadini salariati, che procurarono armi per sé e per gli operai delle città, asportandole dai depositi dei grandi proprietari terrieri. Così si formò un fronte unico della classe operaia contro il colpo di stato reazionario. Lo sciopero generale e l'insurrezione armata degli operai fecero fallire il "putsch". La dittatura di Kapp venne liquidata e lo stesso Kapp fuggì in Svezia. Subito dopo la sconfitta della rivolta il dirigente dei sindacati riformisti, Legien, dichiarava: "Nessun governo può resistere in Germania 24 ore contro la volontà degli operai". Tuttavia le manovre dei riformisti tendevano a impedire che la classe operaia potesse realizzare le proprie aspirazioni. Il 17 marzo il governo ritornò da Stoccarda a Berlino e dichiarò la cessazione dello sciopero. Esso promise di punire i colpevoli della rivolta, di sciogliere le unità militari controrivoluzionarie, di permettere la formazione di reparti locali di difesa operaia, di "passare rapidamente alla socializzazione dei settori dell'economia già maturi allo scopo" eccetera. Erano false promesse, perché poco dopo lo stesso governo inviò i "volontari" contro gli operai della Renania e della Vestfalia, dimostrando di temere più il proletariato in armi che non i ribelli monarchici. Scheidemann valutava così la situazione creatasi con l'azione degli operai contro il putsch "di Kapp": "Esisteva allora il pericolo che sotto il peso di questa pressione su tutta la linea si disperdesse non solo il potere della forza militare a Berlino, condannato ovunque, ma la stessa Reichswehr, e che al suo posto sorgesse una specie di esercito popolare repubblicano. con la conseguenza che le armi sarebbero state esclusivamente nelle mani del proletariato ". Gli operai armati della Renania e della Vestfalia sconfissero le squadre "volontarie". Allora il governo rinnovò le sue promesse, ma nel frattempo inviò nella Ruhr ventimila soldati della Reichswehr. Nel corso di sanguinose battaglie gli operai furono sconfitti. I ribelli rimasero impuniti, le promesse del governo non furono mantenute, i reparti "volontani" reazionari non vennero sciolti.

L'ulteriore consolidamento delle posizioni della borghesia tedesca

La sconfitta nella Ruhr indebolì la classe operaia. La borghesia ne approfittò e, godendo dell'appoggio della direzione del partito socialdemocratico, intensificò l'attacco al livello di vita dei lavoratori. La politica d'inflazione perseguita dal governo contribuì ad aumentare il volume delle esportazioni. I profitti degli esportatori tedeschi crebbero smisuratamente. Le società per azioni ingrossarono i loro capitali mentre le masse popolari dovevano compiere grandi sacrifici: la vendita dei generi alimentari alla popolazione fu ridotta, i prezzi dei beni di largo consumo aumentarono. Il paese cadde in preda alle forze più reazionarie: "Due decine di migliaia di ufficiali di professione dell'esercito degli Hohenzollern - si affermava nel manifesto del II congresso dell'Internazionale comunista - costituiscono, soprattutto dopo la rivolta Kapp-Luttwitz, un forte nucleo controrivoluzionario... Questa organizzazione centralizzata di terroristi del vecchio regime è completata dai reparti di partigiani 'bianchi' delle tenute agrarie degli junkers". Le forze reazionarie tedesche godevano dell'appoggio morale e materiale degli imperialisti degli altri paesi e in primo luogo degli Stati Uniti: il 30 aprile 1919 l'Ufficio Federale delle Riserve decise di concedere un prestito alla Germania. Nello stesso anno il consorzio "Standard Oil" riallacciò i suoi antichi legami con la Germania, impadronendosi di una parte notevole del mercato petrolifero tedesco. Ai trusts americani erano strettamente legati esponenti politici borghesi e capitalisti tedeschi, quali Stresemann, Cuno, Rathenau e altri. Nel 1920 il "re delle ferrovie" americane, Harriman, concluse un accordo con la compagnia marittima amburghese "Hapag". Sorsero diversi gruppi bancari misti tedesco-americani. Alcune banche americane concessero finanziamenti ai maggiori trusts tedeschi, tra i quali la "Compagnia Generale di Elettricità". I capitalisti americani contribuirono al riarmo della Germania e alla lotta della grande borghesia tedesca contro la classe operaia. Verso la metà del 1920 la borghesia tedesca si era talmente rafforzata che non aveva più bisogno di mascherare la sua politica con l'aiuto dei socialdemocratici di destra, tanto più che le posizioni di questi ultimi si erano indebolite. Nelle elezioni del Reichstag, che si svolsero nel giugno 1920, il numero dei voti ottenuti dal partito socialdemocratico si era ridotto della meta (5,6 milioni di voti) rispetto alle elezioni del 1919, mentre era aumentato di oltre il doppio il numero dei voti dati al Partito Socialdemocratico Indipendente (5 milioni di voti). Il partito comunista, che partecipava per la prima volta alle elezioni, ottenne poco più di 400.000 voti. I militaristi tedeschi decisero di porre fine alla coalizione e di formare un governo senza i socialdemocratici. Il 25 giugno 1920 uno dei capi del Partito del Centro, Fehrenbach, formò un governo con la partecipazione dei rappresentanti del Partito Popolare Tedesco e del partito democratico, e con l'appoggio dei nazionalisti.

La situazione nel partito comunista

Dopo l'assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg la direzione del partito comunista fu assunta da Jogiches, ma il 10 marzo 1919 egli veniva arrestato e ucciso in carcere con un colpo alla nuca. Pur essendo nell'illegalità, il partito continuò a crescere di numero, a rafforzarsi ideologicamente e a condurre un'energica lotta contro i socialdemocratici. In questo periodo ruppe con il Partito Socialdemocratico Indipendente e aderì al partito comunista la veterana del movimento operaio Clara Zetkin, compagna di lotta di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg.
Essa si era appena rimessa da una lunga e grave malattia. Alla conferenza clandestina, apertasi il 29 marzo a Francoforte sul Meno, Clara Zetkin venne eletta nel Comitato Centrale. Nell'ottobre 1919 si riunì clandestinamente a Heidelberg il congresso del partito, con la partecipazione di 46 delegati in rappresentanza di 106.000 membri. Il congresso riconobbe che il boicottaggio delle elezioni dell'Assemblea costituente era stato un errore e approvò la decisione di far partecipare il partito alle prossime elezioni parlamentari. Alcuni delegati di tendenza settaria non accettarono questa decisione e sostennero anche che i comunisti non dovevano lavorare nei sindacati riformisti. Nel febbraio 1920 i fautori di questa opposizione "di sinistra" furono esclusi dal partito. Due mesi dopo essi formarono il cosiddetto Partito Comunista Operaio, ma la maggioranza dei suoi aderenti rientrò successivamente nel partito comunista, mentre il Partito Comunista Operaio si ridusse a una piccola organizzazione settaria, che per alcuni anni lottò contro il partito comunista tedesco e l'Internazionale comunista. Nell'estate 1920, sotto la direzione del partito comunista, si sviluppò la lotta degli operai tedeschi per far cessare l'appoggio del governo tedesco ai controrivoluzionari polacchi. A Ludwigshafen, a Mannheim, nel posto di Danzica, nelle stazioni ferroviarie di Berlino, Erfurt, Chemnitz, Stoccarda, Stettino, gli operai si rifiutarono di scaricare e fermarono i trasporti di armi e di vettovagliamenti destinati alla Polonia reazionaria dei borghesi e dei proprietari terrieri. Il Partito Comunista Tedesco ricevette un grande aiuto dal partito comunista russo e in particolare da Lenin. Negli scritti: "Lettera agli operai d'Europa e d'America" del gennaio 1919, "Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi", "Lettera al Comitato Centrale del Partito Comunista di Germania sulla scissione" dell'ottobre 1919 e "Lettera agli operai tedeschi c francesi" del settembre 1920, Lenin diede preziosi consigli su importanti questioni riguardanti l'attività del partito. Una grande importanza per i comunisti tedeschi ebbe l'opera di Lenin "L'estremismo, malattia infantile del comunismo". Aumentando l'influenza dei comunisti si approfondì la crisi del Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania. Molti operai. che avevano aderito agli indipendenti per protesta contro il tradimento dei dirigenti socialdemocratici, avevano trovato anche in questo partito l'opportunismo, l'ipocrisia e il cedimento. Gli operai coscienti non volevano condividere le responsabilità dei traditori. Si confermò la tesi formulata da Lenin nell'ottobre 1919 che gli "indipendenti sembrano un partito unico; in realtà la massa dei membri del loro partito non è solidale con i capi sulla questione principale, essenziale, vitale". (V. I. Lenin: " Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi", Opere, vol. 30, pag. 43.) Nell'ottobre 1920 al congresso del Partito Socialdemocratico Indipendente ad Halle venne approvata con 236 voti contro 156 la adesione all'Internazionale comunista. Nel dicembre 1920 si tenne il congresso unitario dei comunisti e dell'ala rivoluzionaria degli indipendenti, che approvò la risoluzione sulla liquidazione del Partito Socialdemocratico Indipendente e sulla creazione del Partito Comunista Unificato di Germania. Nel partito comunista entrò anche il dirigente degli operai rivoluzionari amburghesi Ernst Thalmann, che aveva avuto un ruolo importante nell'organizzazione dell'ala sinistra del Partito Socialdemocratico Indipendente e nella fusione di quest'ala con il partito comunista. Per effetto dell'unificazione i membri del partito salirono da 100.000 a 300.000. Durante le elezioni del Landtag prussiano, nel febbraio 1921, esso ottenne più di un 1.200.000 voti. Gli indipendenti di destra, capeggiati da Kautsky, Hilferding, Bernstein, conservarono alla loro organizzazione il nome di Partito Socialdemocratico Indipendente, ma esso non visse a lungo e nell'autunno 1922 si fuse con il partito socialdemocratico.

Le battaglie del marzo 1921

L'intensificata attività politica del proletariato allarmò la borghesia e i circoli dirigenti decisero di assestare un nuovo colpo all'organizzazione operaia: il 18 marzo 1921, per ordine del primo presidente della provincia prussiana della Sassonia, il socialdemocratico Horsing, imponenti forze di polizia e di truppe vennero concentrate nelle zone operaie della Germania centrale. Ebbero inizio provocazioni, perquisizioni, persecuzioni e arresti. In risposta gli operai del circondario industriale di Mansfeld, diretti dai comunisti, dichiararono uno sciopero di protesta. Lo sciopero si estese a tutta la Germania centrale e in varie località si trasformò in lotta armata contro la polizia. Nel circondario di Mansfeld si formarono reparti partigiani diretti da Max Helz, un dirigente assai popolare della lotta armata contro il "putsch" di Kapp nel 1920. I partigiani infersero colpi su colpi alla polizia e all'esercito. Il movimento di solidarietà con il proletariato della Germania centrale si estese a Berlino, Amburgo e in altre zone. Ma la direzione della socialdemocrazia e dei sindacati fece di tutto per frenare il movimento e il proletariato della Germania centrale venne sconfitto. Le lotte di marzo erano state imposte agli operai dalla borghesia. Ancora una volta alla lotta partecipò la sola avanguardia della classe operaia, costretta a iniziare la battaglia prima dell'intervento delle larghe masse popolari. Il partito comunista si batté nelle prime file e conquistò una grande autorità tra le masse. Come indicò in una sua risoluzione l'Internazionale comunista, il Partito Comunista Tedesco dimostrò che cosa sia un partito del proletariato rivoluzionario. Ma nello stesso tempo nella risoluzione dell'Internazionale comunista si affermava che il partito aveva commesso vari errori, il più grave dei quali era stato di non avere sufficientemente sottolineato il carattere difensivo della lotta. L'errore del partito comunista venne sfruttato dal traditore Paul Levi. Dopo la tragica fine di Jogiches, egli era giunto alla direzione del partito e, contro le decisioni del Comintern, ne aveva trascurato il consolidamento. Nel febbraio 1921 era uscito dal Comitato Centrale formando una propria frazione. Erano appena terminate le battaglie di marzo, quando Levi pubblicò un opuscolo dal titolo "La nostra via contro il putschismo", in cui si affermava che alle lotte di marzo avevano partecipato "elementi declassati", e che il partito si era posto sulla via del "putschismo e delle avventure". Il Comitato Centrale del Partito Comunista Tedesco espulse, nell'aprile 1921, Paul Levi dal partito: "Se qualcuno dopo una lotta alla quale hanno partecipato centinaia di migliaia di lavoratori si pronuncia contro questa lotta e si comporta come Levi, - affermò Lenin - costui deve essere escluso dal partito. Ciò è stato fatto". (V. I. Lenin: "III congresso dell'Internazionale comunista. Discorso sulla tattica dell'Internazionale comunista". Opera, vol. 32) Nell'agosto 1921 il congresso del partito, tenutosi a Jena, riconobbe giusta la critica degli errori del partito formulata dall'Internazionale comunista e approvò una risoluzione sul rafforzamento dell'attività nei sindacati. In una lettera ai comunisti tedeschi Lenin scrisse in quei giorni sui compiti che stavano di fronte al partito: "Non perdere il sangue freddo e la tenacia; correggere sistematicamente gli errori del passato; conquistare incessantemente la maggioranza tra le masse operaie sia nei sindacati che fuori di essi; costruire con pazienza un forte e intelligente partito comunista, capace di dirigere effettivamente le masse in tutti e in ognuno degli avvenimenti; elaborare una strategia che sia al livello della migliore strategia internazionale della borghesia più 'istruita' (esperienza accumulata da secoli, in generale, ' esperienza russa ', in particolare...)". (V. I. Lenin: "Lettera ai comunisti tedeschi", Opere, vol. 32) Nonostante la sua vittoria, la borghesia tedesca non era ancora riuscita a consolidare la sua posizione economica e politica. La Germania presto si sarebbe trovata ancora dinanzi a una nuova crisi rivoluzionaria.


fonte:
www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custim18-020877.htm
www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custim22-020878.htm
view post Posted: 27/5/2020, 10:36 Porcate degli USA - Esteri
La polizia yankee ammazza l'ennesimo nero, dimostrandosi sempre più uno strumento di terrore di classe. Dure proteste a Minneapolis.

https://www.wired.it/attualita/politica/20...a-george-floyd/
view post Posted: 26/5/2020, 18:34 Fine dell'Impero Romano d'occidente. Rivoluzione degli schiavi e invasione dei barbari - Edizioni SR Web-inediti
compagni, qui c'è una analisi marxista-leninista sulla caduta dell'impero romano del grande storico antichista sovietico Sergei I. Kovaliov, questo frammento fa parte del suo manuale "Storia di Roma" del 1948, è il capitolo conclusivo. Mi ripropongo, col tempo, di digitalizzare l'intera opera che è molto interessante, ottimo esempio di analisi storico-materialistica sulla storia di Roma e sull'età schiavistica che potrebbe tornare utile anche a molti giovani compagni. Poi metterò nella nostra biblioteca in cloud, qui, anche per possibili motivi di copyright, metterò solo il link.



FINE DELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE. RIVOLUZIONE DEGLI SCHIAVI E INVASIONE DEI BARBARI (1)



La società del IV -V sec.

Nel IV e V sec. lo sviluppo sociale dell'Impero mantenne la stessa direzione che già aveva preso molto tempo prima. Nella seconda metà del IV sec. si era venuto definitivamente formando un originale sistema di rapporti fondati sull'economia chiusa naturale e sul servaggio, caratteristico del tardo Impero. La decadenza del commercio (2) trovò la sua espressione perfino in tutte le forme di pagamento allo Stato o da parte di esso: tributi, stipendi, ecc. furono pagati in natura. Impiegati e soldati ricevevano lo stipendio o il soldo sotto forma di prodotti, vestiti, mobili. Si trattava di generi provenienti dai magazzini statali, i quali, a loro volta, erano riforniti con le merci portate dai contribuenti in conto tributi. Solo i militari e i funzionari di grado più elevato ricevevano parte del loro stipendio in denaro. Il commercio si contrasse fino al punto di non spingersi quasi più oltre i limiti del locale mercato urbano. Le città assunsero un aspetto del tutto diverso da quello precedente: divennero simili più a fortezze che a centri commerciali e industriali; l'area occupata si restrinse, il numero delle piazze diminuì, solide mura sorsero a loro difesa, ecc. Il centro di gravità della vita economica dell'Impero passò completamente al villaggio. Nel campo dei rapporti agrari trionfò definitivamente la colonia. Nel corso del IV e del V sec. quel legame fra coloni e terra, che di fatto esisteva già prima, prese forma giuridica con una serie di editti imperiali che gradualmente tolsero ai coloni la libertà di trasferirsi, trasformandoli in veri servi della gleba. Una delle cause più impor-tanti che indussero il governo romano a legare i coloni alla terra fu l'estrema mobilità della popolazione. La situazione degli strati medi e bassi delle città e dei villaggi era infatti così difficile che ognuno era pronto a fuggire in qualsiasi luogo pur di sottrarsi alle tasse, alle angherie dei funzionari e ai debiti. E i fuggiaschi affluivano preminentemente presso i barbari. Uno scrittore romano del V sec. ci ha lasciato un quadro vivace di tale fenomeno:

«E intanto i poveri, le vedove e gli orfani, spogliati e oppressi erano giunti a un punto di disperazione tale che molti, pur appartenendo a famiglie note e avendo ricevuto una buona educazione, erano costretti a cercare rifugio presso i nemici del popolo romano per non rimanere vittime di ingiuste persecuzioni. Essi si recavano presso i barbari in cerca dell'umanità romana, poiché non potevano sopportare presso i Romani l'inumanità barbara. Sebbene essi fossero estranei, per costumi, per lingua, ai barbari presso i quali fuggivano, sebbene fossero colpiti dal loro basso livello di vita, nonostante tutto risultava loro più facile abituarsi ai costumi barbari che sopportare l'ingiusta crudeltà dei Romani. Essi si mettevano al servizio dei Goti o dei Bagaudi e non se ne pentivano, preferendo vivere liberamente col nome di schiavi, piuttosto che essere schiavi mantenendo soltanto il nome di liberi». (3)

Ma non sempre era possibile fuggire presso i barbari. Molti si nascondevano presso ricchi proprietari terrieri. Perché ciò risulti comprensibile è necessario formarsi una chiara idea di che cosa fosse, nel IV sec., la grande proprietà. Essa era ormai affatto diversa dall'antico latifondo schiavista. Nel IV sec. la proprietà si era trasformata in qualche cosa di quasi indipendente, non solo dal lato economico, ma anche dal lato politico. Il proprietario era un piccolo sovrano che regnava sui suoi coloni e schiavi. Egli viveva in una villa recintata da mura fortificate, protetto da un intero esercito di servi armati, quasi incurante del potere centrale e, in modo particolare, incurante della sua politica fiscale. Comunque non era nei suoi interessi permettere che i funzionari imperiali mandassero in rovina i suoi coloni. Ecco perché raccogliere le imposte dalla popolazione delle grandi proprietà era un compito ben lontano dall'esser facile. È naturale quindi che i coloni abbandonassero volentieri i piccoli e i medi proprietari per trasferirsi sulle terre dei grandi, dove avevano la possibilità di trovare una certa difesa contro gli agenti del governo. La mobilità della popolazione sconvolgeva tutto il sistema fiscale dell'Impero. Dato il passaggio dell'economia al sistema degli scambi in natura, era necessario calcolare con accuratezza ogni unità contribuente. Ogni persona doveva rimanere inamovibile al suo posto e pittore quanto gli veniva imposto. Per questo motivo i coloni furono legati alla terra, gli artigiani, obbligati a pagare imposte sui prodotti del loro lavoro, furono vincolati alle loro corporazioni; le professioni divennero ereditarie, dovendo il figlio svolgere lo stesso lavoro che già era del padre. A causa dell'impoverimento della popolazione e della decadenza del commercio, anche l'artigianato andò sfiorendo. Il governo non era in condizioni di aver soddisfatta tutta la sua richiesta in prodotti dell'artigianato per il rifornimento dell'esercito e della burocrazia e fu pertanto costretto ad organizzare laboratori statali dove lavoravano artigiani e schiavi, vincolati ad essi, a condizioni pressoché uguali: catalogati e sottoposti a punizioni corporali. I rapporti di servaggio si diffusero in quasi tutti gli aspetti dell'attività: nel commercio, nel servizio militare (il mestiere di colono militare nelle zone di confine divenne ereditario), nel servizio municipale, ecc. Se Diocleziano e Costantino erano riusciti a rimandare di alcuni decenni la disgregazione definitiva dell'Impero, ciò era stato loro possibile solo soffocando il movimento rivoluzionario e tendendo ulteriormente tutte le forze della popolazione lavoratrice dell'Impero. Il servaggio del IV sec. era l'espressione di questo colossale sforzo provocato dalla reazione politica e dal completo disfacimento degli antichi legami economici della società schiavista. Si trattava però dell'ultimo sforzo. La situazione interna ed esterna dell'Impero era giunta, nel IV sec., a un grado di tensione tale che un nuovo scoppio era inevitabile. Engels ci dà una descrizione classica della società romana alla vigilia della sua fine:

«Su tutti i paesi del bacino mediterraneo era passata la pialla livellatrice del dominio mondiale romano e ciò per secoli. Là dove il greco non aveva opposto resistenza, tutte le lingue nazionali avevano dovuto cedere di fronte a un latino corrotto; non vi erano più differenze nazionali, non più Galli, Iberi, Liguri, Norici; tutti erano diventati Romani, L'amministrazione romana e il diritto romano avevano disciolto dappertutto le antiche unioni gentilizie e insieme gli ultimi residui di autonomia locale e nazionale. La cittadinanza romana, acquisita da fresca data, non offriva compenso di sorta: essa non era espressione di una nazionalità, ma solo della mancanza di nazionalità. Gli elementi di nuove nazioni esistevano dovunque... In nessun luogo però esisteva una forza capace di unificare questi elementi in nazioni nuove, in nessun luogo vi era ancora traccia di una capacità di sviluppo, di una forza di resistenza, e meno che mai di una capacità creativa. L'enorme massa di uomini di quell'enorme territorio era tenuta unita da un solo vincolo: lo Stato romano; e questo era diventato, col tempo, il suo peggior nemico ed oppressore. Le province avevano annientato Roma; Roma stessa era diventata una città di provincia come le altre, privilegiata, ma non più a lungo dominante, non più a lungo centro dell'Impero del mondo, non più sede degli imperatori e viceimperatori, che dimoravano a Costantinopoli, Treviri, Milano. Lo Stato romano era divenuto una macchina gigantesca e complicata, esclusivamente per lo sfruttamento dei sudditi. Imposte, tributi di Stato, prestazioni di ogni genere spingevano la massa della popolazione in una povertà sempre maggiore. Al di là dei limiti della sopportazione fu spinta l'oppressione con le estorsioni dei governatori, degli esattori delle imposte, dei soldati. A questo aveva portato il dominio dello Stato romano esteso su tutto il mondo: esso fondava il suo diritto all'esistenza sulla conservazione dell'ordine all'interno, sulla difesa contro i barbari all'esterno. Ma il suo ordine era peggiore del peggior disordine e i barbari, da cui lo Stato romano pretendeva di proteggere i cittadini, erano considerati da costoro come salvatori. La situazione sociale non era meno disperata. Già fin dagli ultimi tempi della Repubblica il dominio romano aveva mirato allo sfruttamento senza scrupoli delle province conquistate; l'Impero non aveva abolito questo sfruttamento, al contrario lo aveva regolato. Quanto più l'Impero declinava, tanto più aumentavano i tributi e le prestazioni, tanto più sfrontatamente i funzionari predavano ed estorcevano... Impoverimento generale, regresso del commercio, dell'artigianato, dell'arte, diminuzione della popolazione, decadenza delle città, ritorno dell'agricoltura a uno stadio inferiore: questo fu il risultato finale del dominio mondiale di Roma... L'economia dei latifondi, fondata sul lavoro degli schiavi, non fruttava più... La piccola coltivazione era ridiventata la sola forma redditizia. Tutte le ville, una dopo l'altra, vennero spezzettate in piccoli appezzamenti e assegnate a fittavoli ereditari che pagavano una determinata somma o a partiarii, più amministratori che fittavoli, i quali, in cambio del loro lavoro, ricevevano la sesta o la nona parte del raccolto annuale. Prevalentemente, però, questi piccoli appezza-menti venivano concessi a coloni che pagavano un certo canone annuo, che erano incatenati alla gleba e potevano essere venduti insieme al loro appezzamento; essi non erano certo schiavi, ma neppure liberi, non potevano sposarsi con donne libere, e i matrimoni tra loro erano considerati non pienamente validi ma, come quelli degli schiavi, semplici concubinati (contubernium). Essi erano i precursori dei servi della gleba medievali. L'antica schiavitù aveva fatto il suo tempo. Essa non dava più un profitto che valesse la pena, né in campagna, nella grande agricoltura, né nelle manifatture cittadine: il mercato per i suoi prodotti era scomparso. La piccola agricoltura, però, e il piccolo artigianato, in cui si era rattrappita la gigantesca produzione del periodo aureo dell'Impero, non avevano posto per schiavi numerosi. Nella società vi era ancora posto solo per gli schiavi domestici e di lusso dei ricchi... La schiavitù non rendeva più, ecco perché scomparve. Ma la schiavitù morente lasciò il suo pungiglione avvelenato nel dispregio in cui era tenuto il lavoro produttivo dei liberi. Questo era il vicolo cieco nel quale andò a cacciarsi il mondo romano: la schiavitù era economicamente impossibile, il lavoro degli uomini liberi era moralmente al bando. L'una non poteva più essere, l'altro non poteva ancora essere la forma fondamentale della produzione sociale. Solo una completa rivoluzione poteva portare un rimedio a questo stato di cose». (4)

Alla fine del IV sec. scoppiò una nuova crisi rivoluzionaria su una base più ampia di quelle precedenti. Al nuovo movimento rivoluzionario aderirono masse sempre più numerose di coloni, schiavi e artigiani. Crebbe la pressione dei barbari, i quali entrarono anche in stretto collegamento con gli strati dei lavoratori dell'Impero sollevatisi. I barbari si installarono saldamente sul territorio romano. Le rivolte dei soldati, che furono un fenomeno così frequente nel III sec., persero di importanza. Le riforme militari del IV sec. avevano quasi completamente cancellato le differenze fra truppe di confine e popolazione locale e la progressiva barbarizzazione dell'esercito aveva sempre più distrutto l'avversione fra coloro che difendevano l'Impero e coloro che lo attaccavano. Ciò aveva creato le premesse per la trasformazione del movimento rivoluzionario in rivoluzione e per il suo definitivo trionfo: «La rivoluzione degli schiavi liquidò i proprietari di schiavi e soppresse la forma schiavistica di sfruttamento dei lavoratori». (5)

Valentiniano, Valente, Graziano.

A Valentiniano, prima dell'elezione ad imperatore, fu posta come condizione che egli si nominasse un conregnante. La rovina dell'Impero e l'approfondirsi dell'opposizione fra le due metà, orientale e occidentale, avevano reso questa misura necessaria. Dopo essere giunto a Costantinopoli, Valentiniano, infatti, nominò Augusto il fratello Flavio Valente, dandogli il governo dell'Oriente, mentre egli stesso si dirigeva in Occidente, dove la situazione ai confini era andata di nuovo peggiorando. Valentiniano dovette combattere con gli Alemanni sul Reno, con i Quadi e i Sarmati sul Danubio, mentre il suo generale Teodosio respingeva in Britannia le incursioni dei Pitti, degli Scoti e dei Sassoni. In Africa settentrionale lo stesso Teodosio soffocò un movimento separatistico-rivoluzionario, diretto dal principe mauritano Firmo, movimento che riuniva sotto la sua bandiera gli elementi più disparati della popolazione locale, compresi anche gli agonisti. Nel 367, Valentiniano nominò conregnante il figlio Graziano. Inoltre l'esercito acclamò anche Valentiniano II, fratello di Graziano, dell'età di quattro anni. Così i cristiani dell'Occidente potevano dire di essere governati dalla trinità: il padre con i due figli! Nel 375 Valentiniano I morì sul Danubio. Suo successore fu Graziano, ardente cristiano seguace di Atanasio (Valentiniano I aveva cercato di mantenere una posizione neutrale). Graziano fu il primo imperatore romano che rinunziò al tradizionale titolo di sacerdote supremo. Egli pubblicò alcuni editti contro gli eretici e privò i collegi pagani dei sussidi statali. Molto peggio andavano le cose in Oriente. All'inizio Valente dovette lottare contro l'usurpatore Procopio, parente di Giuliano, il quale si era proclamato imperatore a Costantinopoli. Costui era sostenuto da strati abbastanza numerosi; ma quando Valente apparve in Asia Minore con un grosso esercito Procopio fu abbandonato dai suoi partigiani di Costantinopoli e consegnato a Valente (366). Strettamente collegata a questi avvenimenti fu la successiva guerra contro i Goti, i quali appoggiavano l'usurpatore. Nel 369 fu conclusa una pace, dopo la quale ebbe inizio la conversione forzata dei Goti al cristiane-simo di confessione ariana. L'imperatore orientale dovette altresì combattere i Persiani.

Trasmigrazione dei Goti.

Ma un altro più grave pericolo minacciava l'Impero. Verso il 375, numerose tribù barbare mossero dalle steppe caucasiche verso Occidente. Alla loro testa stavano gli Unni, popolo, sembra, di origine mongolica. Nel II sec. gli Unni conducevano una vita nomade a oriente del mar Caspio. Di là avevano cominciato gradualmente a spostarsi verso occidente sottomettendo e aggregandosi le tribù della regione settentrionale del Caucaso. Si era così venuta formando una federazione di Unni, Alani, Goti, ecc. La parte di Goti che viveva nella regione del Danubio inferiore aveva chiesto a Valente il permesso di fissar dimora in territorio romano. L'imperatore aveva acconsentito a condizione che i Goti si disarmassero. Numerosi barbari avevano così passato il Danubio (e molti segretamente avevano portato armi).

Rivolta del 378.

I Goti, stabilitisi nella Mesia, per un certo periodo rimasero tranquilli. Ma la corruzione e gli arbitrii dei funzionari romani li obbligarono a riprendere le armi. Valente, comprendendo che non avrebbe potuto aver ragione di loro con le sue sole forze, richiamò dalla Gallia Graziano, che aveva appena finito di respingere le scorrerie degli Alemanni. Graziano accorse in aiuto, ma ancor prima del suo arrivo Valente diede battaglia ai Goti sotto Adrianopoli (9 agosto del 378). L'esercito romano fu distrutto e lo stesso imperatore morì in combattimento. Vi sono motivi per pensare che parte delle sue truppe, composte essenzialmente da barbari, lo avesse abbandonato per passare ai Goti. In seguito i Goti, non incontrando più alcuna resistenza organizzata, si disseminarono per la penisola balcanica. Ammiano Marcellino, contemporaneo degli avvenimenti sopradescritti, ci ha lasciato una descrizione dell'invasione dei Goti:

«[I Goti] sparsisi per tutta la costa della Tracia avanzavano cautamente, mentre alcuni uomini o arresisi spontaneamente, o fatti prigionieri, mostravano loro le località più ricche, e quelle specialmente che avevano fama di essere ben fornite di vettovaglie. Il loro innato coraggio era poi grandemente accresciuto al vedere come di giorno in giorno si univano a loro numerose persone della loro stessa gente, persone vendute da tempo dai mercanti, ed anche altri che nei primi giorni del passaggio, spinti dalla fame, si erano dati in cambio di un sorso di vino o di un tozzo di pane. A costoro si unirono anche molti operai delle miniere d'oro che non erano più in grado di sopportare i gravi tributi loro imposti e che, accolti con grande benignità da tutti, rendevano un prezioso servigio a quelle genti che viaggiavano per paesi sconosciuti, mostrando loro i magazzini segreti di viveri e i nascondigli più riposti». (6)

Il valore di questa testimonianza è dato dalla chiarezza con la quale essa ci svela le forze in movimento nell'ultima fase della rivoluzione degli schiavi. La caratteristica di questa fase è appunto lo stretto legame fra schiavi, coloni, operai e barbari. Mai, in tutta la precedente storia di Roma, avevamo visto un fronte unico di lavoratori ed elementi oppressi. Le rivolte (quale che fosse la loro importanza) avevano un carattere locale e spesso non coincidevano nel tempo. Gli schiavi agivano indipendentemente dai contadini e dalla plebe cittadina; qualche loro eventuale coalizione aveva avuto carattere casuale e instabile. Solo allora la rivoluzione cominciò ad abbracciare tutto l'Impero, e solo da allora si venne formando un fronte unico rivoluzionario. Ciò era possibile perché i rapporti di servaggio univano in una sola massa compatta tutti gli strati lavoratori dell'Impero. Nell'oppressione e nel servaggio generale che caratterizzò gli ultimi secoli dell'Impero era scomparsa l'antica differenza fra schiavo e povero libero, fra schiavo e colono, fra contadino e artigiano della città. Tutti erano ugualmente oppressi, tutti ugualmente odiavano il comune oppressore e sfruttatore: lo Stato romano. Alla forza rivoluzionaria interna se ne aggiunse una esterna: i barbari. Prima della fine del IV sec. non abbiamo notato alcun contatto fra queste due forze, e prima del III sec. anche la pressione dei barbari non era forte. Solo da allora la pressione sui confini dell'Impero divenne effettivamente consistente, e ciò fu dovuto al progressivo indebolimento di Roma da una parte e al concentramento dei barbari in grosse formazioni e in vere e proprie federazioni dall'altra. La disgregazione dell'organizzazione di stirpe, la differenziazione di una classe dirigente e l'apparizione di milizie furono gli elementi che determinarono la concentrazione dei barbari. E siccome gli schiavi romani e considerevole parte di coloni appartenevano a quegli stessi barbari, e siccome avevano entrambi un nemico comune, Roma, vi erano le premesse per uno stretto contatto. Nel migliore dei casi (per Roma) gli schiavi e i coloni assumevano una posizione di amichevole neutralità, nel peggiore essi passavano apertamente dalla parte dei barbari. Questa volta lo Stato schiavista, disgregato economicamente e socialmente, non fu in grado di sostenere il duplice colpo della rivoluzione interna e della pressione dei barbari sui confini. Esso dovette perciò cadere.

Teodosio. Vittoria definitiva del cristianesimo.

Graziano, il quale dovette di nuovo tornare in Gallia per respingere gli Alemanni, nominò Augusto per l'Oriente Teodosio, figlio del generale Teodosio di Valentiniano, del quale abbiamo già parlato. Con grande difficoltà, Teodosio reclutò un esercito, al quale ammise anche una parte di Goti, e diede inizio a una lotta metodica contro i barbari, scacciandoli dalla Tracia. Tuttavia solo con l'aiuto di Graziano, tornato dalla Gallia, fu possibile pacificare i Goti. A questi ultimi, in qualità di « alleati » (federati) obbligati a prestare servizio militare fu nuova-mente permesso di fissare dimora nella Mesia (392). In Oriente sopravvenne una relativa calma che diede a Teodosio la possibilità di occuparsi degli affari della Chiesa. Con il suo energico aiuto la corrente ortodossa prese definitivamente il sopravvento in quella ariana. Contemporaneamente furono distrutti gli ultimi resti del culto pagano: i sacrifici proibiti e i templi distrutti. Il trionfo ufficiale del cristianesimo fu accompagnato da persecuzioni e dalla distruzione dei centri di antica civiltà che fino allora erano stati risparmiati, come l'incendio del tempio di Serapide da parte della plebaglia alessandrina, incendio nel quale andarono distrutti i resti della biblioteca alessandrina (391). Alquanto più tardi, in Alessandria, dagli stessi cristiani venne uccisa Ipazia, filosofa di grandissima fama. Intanto l'imperatore Graziano era caduto vittima della lotta fra i due partiti, romano e barbaro, che si erano venuti formando nell'ambiente aristocratico. Graziano simpatizzava apertamente per i barbari e aveva favorito la loro ascesa ai posti più importanti dell'esercito e dell'amministrazione. In reazione a tale politica si era avuta una rivolta di elementi romani dell'esercito, i quali avevano proclamato imperatore Magno Clemente Massimo, governatore della Britannia. Nella lotta che ne era seguita, Graziano aveva perso la vita (383). In seguito a ciò nella metà occidentale dell'Impero si ebbe un decennio di guerre civili e di usurpazioni, alle quali prese parte anche Teodosio. Uno dei momenti più interessanti fu la proclamazione ad imperatore d'Occidente del ricco e colto romano Eugenio, avvenuta nel 392. Questi cominciò a proteggere il paganesimo, determinando il deciso intervento di Teodosio. Sul confine fra l'Italia settentrionale e Illiria le truppe di Eugenio furono sconfitte e il loro capo trovò la morte (394). In seguito Teodosio riunì sotto il suo potere tutto l'Impero, ma solo per alcuni mesi. Proprio all'inizio del 395 egli moriva.

Divisione dell'Impero in due parti.

Da quel momento l'Impero non fu più riunito nemmeno una sola volta. Molto tempo prima di morire Teodosio aveva nominato Augusto dell'Oriente il figlio primogenito Flavio Arcadio. Durante la guerra contro Eugenio il secondo figlio di Teodosio, Flavio Onorio, era stato nominato sovrano dell'Occidente. Entrambi gli Augusti erano giovani. Perciò Teodosio li aveva affidati a consiglieri esperti, destinando al primo il gallo Rufino, prefetto del pretorio, e al secondo il vandalo Stilicone, capo dell'esercito. Dopo la morte di Teodosio sorsero dissensi fra Rufino e Stilicone, dissensi che portarono di fatto alla definitiva divisione dell'Impero.

Alarico e Stilicone.

Teodosio era riuscito a vivere in pace coi Goti, soprattutto perché li aveva attratti al suo servizio. Con Arcadio, in Oriente, presero il sopravvento elementi anti-gotici, mentre fra i Goti si distingueva un capo di talento, Alarico, che i suoi compatrioti proclamarono re. Sotto la sua guida cominciarono di nuovo le scorrerie sulla penisola balcanica, e Stilicone, accorso in aiuto, essendo osteggiato in ogni modo dal governo di Arcadio, lasciò che i Goti si ritirassero indisturbati in Epiro (397). Quattro anni dopo Alarico invase l'Italia, devastò le regioni settentrionali e pose l'assedio a Milano. Stilicone riuscì però a concludere con lui un trattato per la guerra comune contro l'Impero orientale. I Goti occuparono l'Illiria. Il concentramento di forze militari in Italia per far fronte ad Alarico aveva costretto Stilicone a lasciare i confini occidentali dell'Impero indifesi. Tribù di Vandali, Alani, Svevi, Burgundi erano così penetrati prima in Gallia e poi in Spagna, mentre Angli e Sassoni effettuavano le loro scorrerie dal mare sulla Britannia.

La presa di Roma.

Intanto anche fra le truppe occidentali e alla corte di Onorio aveva preso il sopravvento il partito romano. L'esercito si ribellò contro Stilicone che fu condannato a morte a Ravenna (408). Onorio si rifiutò di riconoscere il trattato stipulato con Alarico e i Goti invasero nuovamente l'Italia. L'imperatore, terrorizzato, si rinchiuse in Ravenna, mentre Alarico si spingeva fino a Roma ponendo l'assedio alla città. 40.000 schiavi provenienti da tutta l'Italia accorsero da Alarico, e schiavi romani, di notte, gli aprirono le porte della città. Roma fu spietatamente saccheggiata (24 agosto del 410). La presa di Roma, a quei tempi, non aveva più alcun significato strategico, ma l'impressione morale e politica di questo avvenimento fu enorme. Dal 390 a.C., per 800 anni, la città «eterna» era rimasta inviolata, il suo potere aveva lasciato una profonda orma su tutto il mondo civile del Mediterraneo; sembrava non vi fossero forze che potessero debellare la padrona dell'universo. Ed ecco che l'alleanza di quegli stessi schiavi e barbari che per molti secoli erano stati solo l'oggetto dello sfruttamento romano aveva fatto precipitare il superbo colosso. «È noto — ha detto il compagno Stalin al XVII Congresso del partito — che l'antica Roma considerava gli antenati dei tedeschi e dei francesi dei nostri giorni esattamente nello stesso modo in cui i rappresentanti della "razza superiore" considerano oggi le nazione slave. È noto che l'antica Roma li trattava come "razza inferiore", come "barbari", destinati ad essere eternamente sottoposti alla "razza superiore", alla "grande Roma", e — sia detto fra noi l'antica Roma aveva qualche ragione per farlo, il che non si può dire dei rappresentanti dell'attuale "razza superiore". Ma quale fu il risultato? Che i non Romani, cioè tutti i barbari, si unirono contro il nemico comune e come una tempesta abbatterono Roma» (7). Nella complessa e lunga catena di avvenimenti che determinarono la grandiosa catastrofe della caduta del mondo antico il giorno 24 agosto del 410 ha una grande importanza di principio. Determinare con precisione la data della fine del mondo schiavistico è, naturalmente, impossibile, poiché si trattò di un lungo processo: ma se una data bisogna scegliere, nessuna è più adatta di quella della presa di Roma da parte di Alarico.

I barbari sul territorio dell'Impero.

Dopo aver saccheggiato Roma, i barbari si avviarono verso sud con l'intenzione di occupare la Sicilia e l'Africa. Ma nell'Italia meridionale Alarico morì improvvisamente. Il suo genero e successore Ataulfo portò i barbari nella Gallia sud-occidentale e in Spagna, dove essi si sistemarono solidamente. I Vandali passarono dalla Spagna in Africa settentrionale, scacciandone, con l'aiuto dei coloni e degli schiavi, i Romani. Nel 455 i Vandali, al comando del re Genserico, sbarcarono in Italia e presero Roma. La città fu nuovamente saccheggiata e in misura ancor maggiore di quanto non avessero fatto i Goti. Alla metà del V sec. una parte considerevole dell'Impero occidentale era già occupata dai barbari. Oltre ai Goti ed ai Vandali, vi erano Anglo-sassoni in Britannia, Franchi nella Gallia settentrionale e Burgundi sul Rodano e sulla Saona. Nello stesso tempo si era formata in Pannonia una nuova federazione di tribù con a capo il condottiero unno Attila. All'inizio gli Unni avevano spietatamente devastato la penisola balcanica ed avevano costretto l'imperatore dell'Oriente, Teodosio II, a pagar loro un contributo. In seguito si erano diretti ad Occidente. Nel 451 Attila aveva invaso la Gallia. Sui Campi Catalaunici, nella Gallia orientale, si erano a lui opposti Franchi, Goti, Burgundi al comando del generale romano Ezio. La battaglia era stata condotta con grande accanimento da entrambe le parti, ma infine i barbari orientali decisero di ritornare sui propri passi e ripassarono il Reno. Nel 452 Attila invase l'Italia settentrionale, la devastò, ma non proseguì verso sud. La leggenda narra che egli avesse desistito dal marciare su Roma in seguito alle insistenze di una ambasceria della quale faceva parte anche il vescovo (papa) Leone. In realtà Attila sembra sia stato trattenuto invece dal timore della peste e della fame che allora infierivano in Italia. Nell'anno seguente Attila, che dagli scrittori cristiani è stato chiamato «castigo di Dio», morì e la federazione unna si disciolse rapidamente.

Deposizione di Romolo Augustolo.

L'Impero romano di Occidente, di fatto, non esisteva più. In Italia esisteva ancora formalmente un illusorio potere degli imperatori, ma si trattava di fantocci senza autorità nelle mani dei capi delle truppe mercenarie barbare. Nel periodo di tempo compreso fra il 455 ed il 476, si succedettero ben nove di questi «imperatori». (8) Nessuno di essi governò più di 5 anni e tutti furono deposti con la forza. Infine nel 476 uno dei capi barbari Odoacre, dopo aver deposto il giovane imperatore Romolo, soprannominato Augustolo, decise di por fine alla commedia. Mandò un'ambasciata all'imperatore d'Oriente Zenone chiedendogli di non nominare altri imperatori per l'Italia e di incaricare lui, Odoacre, del governo, col titolo di patrizio romano. A Zenone non rimase null'altro da fare che riconoscere il fatto compiuto...

La sorte dell'Impero romano d'Oriente.

Abbiamo già parlato delle cause che determinarono una maggior resistenza da parte della metà orientale dell'Impero, e cioè delle antiche tradizioni degli artigiani, del più sviluppato sistema di vie commerciali, del maggior sviluppo civile della popolazione nel complesso. Lo stesso sistema schiavistico non aveva mai raggiunto nell'Oriente ellenistico quel grado di sviluppo che aveva toccato l'Occidente romano. Nello schiavismo orientale (e anche in quello greco) si erano conservati molti elementi di forme di dipendenza più primitive e perciò più miti, forme che esteriormente ricordavano la servitù della gleba. Ecco perché le forze produttive dell'Oriente, meno minate dalla schiavitù, resistettero più a lungo alla terribile crisi che aveva investito l'Occidente. Ma la differenza esistente fra i due Imperi non era una differenza di principio, non era tanto una differenza qualitativa quanto quantitativa, e la sorte storica dell'antico Oriente non poteva differire da quella dell'Occidente. Alla metà del IV sec. l'Impero Orientale (o Bizantino) aveva fatto uno sforzo grandioso per restaurare l'antica potenza romana. L'imperatore Giustiniano aveva iniziato grandi guerre contro l'Occidente. I suoi generali Belisario e Narsete erano riusciti a riprendere ai Vandali l'Africa settentrionale, a strappare ai Goti l'Italia e la regione sud-orientale della Spagna. Bisanzio pretese anche di essere la depositaria della civiltà del mondo antico. Con Giustiniano fu portato a termine un grande lavoro per la riunione e la sistemazione del diritto romano, lavoro che ebbe come risultato il famoso Corpus iuris civilis. Il grandioso tempio di S. Sofia a Costantinopoli doveva essere la testimonianza della potenza dell'Impero e della devozione dell'imperatore. Tuttavia questi successi raggiunti a prezzo di colossale dispendio di denaro e di forze sono discutibili. Con i Persiani fu d'uopo accordarsi mediante il pagamento di un contributo annuale; sui confini settentrionali a malapena era trattenuta la pressione degli Slavi che erano penetrati in massa nella penisola balcanica; nella stessa Costantinopoli, nel 532, scoppiò una terribile rivolta popolare che durò 6 giorni e che per poco non costò il trono allo stesso Giustiniano. I rivoltosi furono alfine ricacciati nell'ippodromo, dove le truppe governative massacrarono circa 40.000 persone. Già alla fine del governo di Giustiniano apparvero i sintomi della crisi, determinata dalla sovrumana tensione di tutte le forze dell'Impero, e con i suoi successori giunse la catastrofe: il completo esaurimento del tesoro, la fame, le ribellioni e la perdita di quasi tutte le conquiste di Giustiniano Inoltre, all'inizio del VII sec., i Persiani scatenarono l'offensiva generale sui confini orientali, e in breve tempo l'Impero perdette l'Egitto, la Siria e la Palestina, mentre reparti di avanguardia nemici raggiungevano il Bosforo. Contemporaneamente gli Slavi e gli Avari assediavano Costantinopoli. È pur vero che l'imperatore Eraclio (610-641) riuscì a sconfiggere i Persiani e a riprendere le province orientali perdute, ma è altrettanto vero che non le mantenne per molto tempo. In quello stesso periodo in cui Eraclio combatteva con successo i Persiani, le tribù arabe si univano sotto il segno di una nuova religione, l'Islam. Attorno al 630 cominciarono i primi attacchi degli Arabi sulla Palestina e in Siria, e verso il 650, Palestina, Siria, Mesopotamia, parte dell'Asia Minore, Egitto e parte dell'Africa settentrionale si trovavano già sotto il dominio degli Arabi. Nei decenni successivi gli Arabi costruirono la flotta, occuparono le isole di Cipro e Rodi e attraverso il mar Egeo giunsero a Costantinopoli che cinsero d'assedio. Bisanzio riuscì per allora a respingere l'attacco alla capitale, ma aveva definitivamente perduto tutti i suoi possedimenti al di là del Bosforo. La rapidità delle conquiste arabe è dovuta alle stesse cause che resero facili le invasioni dei barbari: la popolazione indigena oppressa non solo non offriva alcuna resistenza, ma accoglieva gli Arabi con gioia considerandoli liberatori. Così verso sec. l'Impero orientale era limitato alla penisola balcanica, a parte dell'Asia Minore e alle isole del mare Egeo. D'altra parte anche i territori rimasti erano densamente popolati da barbari (ad esempio gli Slavi della penisola balcanica). In essi, così come nei primitivi Stati barbari dell'Occidente, dall'unione dei rapporti di servaggio del tardo Impero e dell'organizzazione comunale apportata dai barbari, cominciarono a svilupparsi i rapporti feudali del Medioevo. Il processo della caduta della società schiavistica e della formazione del feudalesimo fu così uguale sia nell'Occidente che nell'Oriente mediterraneo. L'antica schiavitù e la civiltà su di essa fondata erano scomparse, ma non senza lasciar traccia: sul terreno preparato da millenni di storia dell'antica civiltà era cresciuto un nuovo sistema sociale, più alto, più corrispondente allo sviluppo storico.

note:

(1) In questo capitolo diamo solo un rapido sguardo ai fatti principali. Per maggiori particolari si consulti il Corso di storia del Medioevo.
(2) Un certo risveglio del commercio, verificatosi alla metà del IV sec. e legato alle riforme di Diocleziano e Costantino, fu temporaneo.
(3) SALVIANO, De gubernatione Dei, V.
(4) F. ENGELS, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato cit. pp. 147-150.
(5) STALIN, Discorso al primo congresso dei colcosiani-udarnik dell'URSS, in Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita, Roma, 1952, p. 507.
(6) Storia, XXXI, 6, 5, 6.
(7) STALIN, Rapporto al XVII Congresso del partito sull'attività del Comitato centrale, in Questioni del leninismo, op. cit., p. 530.
(8) Massimo, Avito, Maioriano, Libio Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio, Giulio Nepote e Romolo.

tratto da: S. I. KOVALIOV, Storia di Roma, vol. II, Ed. Rinascita, Roma, 1955 pp. 249-260
view post Posted: 24/5/2020, 11:16 L'imperialismo si organizza in Libia - Esteri

L’inarrestabile escalation del conflitto libico



Mentre continua l’avanzata delle forze fedeli al Governo di accordo nazionale libico (GNA) sostenute dai turchi a ovest di Tripoli aumentano le voci di un forte incremento di rinforzi e aiuti militari in arrivo in Cirenaica da Russia e Siria a sostegno dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Uno sviluppo che, con il rapido rafforzamento delle truppe turche e dei mercenari siriani filo-Ankara, sembra accentuare l’internazionalizzazione del conflitto e la sua conseguente escalation.

Il comando dell’operazione “Vulcano di Rabbia” del GNA nelle ultime ore ha annunciato la presa delle cittadine di al-Asaba e Jandouba e che le sue forze si trovano 180 chilometri a sud di Tripoli occupando una zona strategica per tagliare le linee di rifornimento dalla base di al-Jufra e dalla Cirenaica alle forze di Haftar schierate a sud della capitale.

La situazione sul campo di battaglia

La situazione nell’area ancora confusa e l’LNA ha annunciato una controffensiva aerea sulle zone di al-Watya (nella foto sopra) e di al-Asaba esortando la popolazione di questa cittadina sulla strada tra Tarhuna e Zawiya di non uscire dalle proprie case.

Si tratta degli sviluppi che hanno fatto seguito la caduta della base aerea di al-Watya evacuata dopo un lungo assedio da circa 1.500 militari dell’LNA lasciando nelle mani del nemico alcuni mezzi e veicoli danneggiati, un sistema antiaereo Pantsir danneggiato e una decina di aerei da combattiment che fecero parte dell’aeronautica libica all’epoca di Muammar Gheddafi ma da tempo fuori servizio.

Il ritiro delle forze di Haftar dalla base aerea di al-Watya era da un mese oggetto di trattative tra GNA e LNA, alternate a fitte incursioni aeree tese a incoraggiare gli assediati a cedere.

L’obiettivo del GNA e dei turchi era prendere possesso della grande base aerea riducendo al minimo i danni alle infrastrutture a conferma delle voci provenienti da tripoli che riferiscono la volontà di Ankara di farne una grande base per la propria aeronautica schierandovi caccia F-16, droni Anka e Bayraktar, cargo A-400M e C-130 e probabilmente anche elicotteri da trasporto e attacco T-129.

Secondo l’emittente “Libya 24″, vicina all’LNA, esisterebbe un “patto” tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per garantire alla Turchia la base aerea di al-Watya che diventerebbe una “base in comune con il Comando statunitense in Africa (Africom)”. In cambio, la Russia “otterrebbe la base aerea di Qardabiyah a Sirte” e una base navale nel porto della città costiera libica, al fine di garantire a Mosca uno sbocco sul Mediterraneo centrale. Secondo “Libya 24”, Erdogan avrebbe intimato al generale Haftar tramite “un mediatore russo” di fermare la guerra e di ritirarsi dalle sue attuali posizioni a sud della capitale.

Indiscrezioni che spiegherebbero le dichiarazioni del portavoce dell’LNA, colonnello Ahmed al- Mismari, che ha annunciato il “riposizionamento tattico” delle truppe a 2-3 chilometri più a sud di quelle tenute alla periferia di Tripoli. Valutazioni almeno in parte da non escludere, specie in tema di intesa strategica tra Russia e Turchia già emersa da anni in Siria e manifesta in Libia dall’autunno scorso.

Appare evidente che il governo turco punti a stabilire in Libia una base aerea ma anche una navale che gli consentirebbe di aumentare il proprio peso nell’area e di appoggiare e ricostituire la Marina Libica. La base ideale è quella di Abu Sitta. Dove oggi è presente una nave italiana con circa 70 militari che appoggiano e coordinano l’attività antri immigrazione illegale della Guardia Costiera libica. Una ulteriore conferma che la penetrazione turca in Libia è contrapposta agli interessi italiani e rientra nella strategia di Erdogan che negli ultimi due anni ha aperto basi militari in Somalia, Qatar, Siria e Sudan.

Il ripiegamento dell’LNA dagli avamposti alla periferia di Tripoli sembra essere imposto dalla necessità di accorciare il fronte per difendere meglio i reparti esposti soprattutto a martellanti attacchi aerei effettuati dai droni Bayrackar TB2 turchi, almeno due dei quali abbattuti dalle forze di Haftar nelle ultime ore (circa 35 quelli probabilmente perduti da Ankara dal novembre scorso).

Al-Mismari ha parlato di riposizionamento tattico negando le notizie su “un ritiro totale da Tripoli”, sottolineando che l’obiettivo è “una ridistribuzione delle forze e il loro riposizionamento negli hub di combattimento in punti specifici nell’ambito delle operazioni. Il comando generale ha confermato che questa iniziativa viene attuata per risparmiare ai quartieri civili di Tripoli i bombardamenti del nemico durante i giorni di fine Ramadan, in modo che i civili non siano presi di mira da milizie terroristiche ed estremiste”, ha aggiunto al-Misnari.

Più probabile invece che l’LNA cerchi di sganciarsi dal contatto diretto col nemico (ipotesi che verrebbe confermata dalla posa di molte mine nei settori abbandonati, come denuncia il GNA) per riorganizzarsi in una fase molto critica del conflitto in cui le forze schierate sul fronte di Tripoli rischiano di vedersi tagliate le vie di rifornimento a sud e vedono sotto attacco la roccaforte di Tarhuna, sede del comando dell’LNA sul fronte di Tripoli dove operano anche molti consiglieri militari russi, emiratini e giordani.

Proprio in questi settori si stanno intensificando gli attacchi del GNA con l’obiettivo di investire Tarhuna da ovest dopo aver sfondato le linee nemiche ad Ain Zara, nella periferia sud di Tripoli.

Un piano il cui successo dipende molto dalla superiorità aerea imposta dai droni turchi che begli ultimi giorni avrebbero distrutto a Tarhuna e Washka (sul fronte orientale tra Misurata e Sirte) 6 sistemi di difesa aerea Pantsir forniti all’LNA dagli Emirati Arabi Uniti ma anche da almeno un altro paese che, a differenza degli emiratini, monta il sistema d’arma su autocarri russi KAMAZ invece dei tedeschi MAN.

Il cedimento sui fronti di Tripoli sembra poter pregiudicare ad Haftar (già molto criticato nella “sua” Cirenaica) il supporto dei nostalgici di Gheddafi, fino a ieri al suo fianco. La tv pro-Gheddafi al-Jamahiriya ha diramato un comunicato delle forze leali al rais in cui si accusa il generale Khalifa Haftar di essere un “traditore” legato agli interessi di Paesi stranieri, “un agente che riceve ordini da oltremare”.

Lo scrive il Libya Observer. Le forze leali al regime di Gheddafi sostengono che Haftar non è un vero comandante che “combatte sul campo di battaglia” ma “da residenze lussuose e a migliaia di chilometri dalla linea del fronte” che fa “accordi commerciali e politici a spese del sangue della gente comune”. “Non saremo parte di un comando virtuale che non ha mai visitato la linea del fronte per un anno e mezzo”, recita la nota delle forze leali a Gheddafi. Il comunicato è stato diffuso in risposta all’annuncio del ripiegamento dell’LNA da sud di Tripoli.

La guerra siriana di Libia

L’offensiva condotta dalle forze del GNA non è stata indolore per i turchi e per i mercenari siriani arruolati da Ankara. Le forze di Ankara hanno perduto diversi droni e blindati mentre secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), Ong con sede a Londra che afferma di disporre di una fitta rete di informatori in tutte le regioni siriane, nei combattimenti in Libia erano stati uccisi al 17 marzo 304 mercenari siriani filo-turchi.

Negli ultimi mesi la Turchia ha portato in Libia 9.600 mercenari e altri 3.300 si stanno addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio che monitora funerali e rimpatri nel nord della Siria delle salme dei caduti, vi sono circa 180 minori di età’ compresa tra 16 e 18 anni. Finora le vittime tra i minori sono state 17.

Aumentano anche i flussi di miliziani siriani arruolati tra i filo-governativi dai russi (probabilmente con fondi emiratini che già pagano il conto dei mercenari ciadiani e sudanesi che affiancano l’LNA). Sempre l’Ondus il numero di reclute ha raggiunto 215 persone provenienti da Raqqah, Homs, Latakia e al-Hasakah e trasferite nella base militare russa di Hmeymim, a Latakia, per poi essere trasferite in Libia.

“Ogni recluta riceve uno stipendio mensile di 1.000 dollari per combattere dalla parte delle forze di Haftar contro il Governo di accordo nazionale sostenuto dalla Turchia, che anch’essa recluta mercenari in Siria”, spiegano le fonti dell’Ondus.

Alcune centinaia di mercenari reclutati tra le milizie fedeli a Damasco nelle province del sud della Siria sarebbero già in Cirenaica insieme ad armi ed equipaggiamento trasportati da aerei cargo russi e della compagnia siriana Cham Wings, a cui appartengono anche i due voli arrivati il 20 maggio a Bengasi. Uno di questi, proveniente da Teheran ma che ha fatto scalo a Damasco, ha aperto l’ipotesi che milizie scite filo-iraniane ed Hezbollah possano affiancare le forze dell’LNA.

Il dibattito sull’ipotetico ruolo dell’Iran in Libia è forse utile a sostenere il riposizionamento degli USA al fianco del GNA ma appare francamente impensabile sul piano politico, non fosse altro perché gli sponsor più importanti di Haftar sono sauditi, emiratini ed egiziani, i cui governi non sono certo sospettabili di simpatie per l’Iran.

Più plausibile invece che il conflitto quasi concluso in Siria e la crisi finanziaria che sta portando l’Iran a smobilitare parte delle milizie arruolate in tutto il mondo islamico scita e schierate in Siria stia lasciando senza lavoro qualche migliaio di combattenti difficilmente ricollocabili nella vita civile. Veterani che potrebbero essere allettati dalla paga offerta per combattere in Libia nei ranghi dell’LNA.

Non sembra essere poi così remota l’ipotesi che sui campi di battaglia libici si ritrovino faccia a faccia gli stessi combattenti che si sono duramente affrontati sui fronti siriani.

Arrivano i jet russi

Dopo il massiccio intervento turco, la notizia che sembra imprimere maggiore spinta all’internazionalizzazione del conflitto libico è quella diffusasi ieri circa l’arrivo a Bengasi di 6 cacciabombardieri Mig 29 e 2 aerei da interdizione e attacco al suolo Sukhoi Su-24S provenienti dalla base aerea russa di Hmeymim.

L’arrivo dei velivoli russi era stato reso noto dal ministro dell’interno del GNA, Fathi Bashagha e sulla vicenda starebbero già indagando esperti Onu impegnati a segnalare le ormai quotidiane violazioni dell’embargo sulle armi alla Libia.

Haftar, preannunciando enfaticamente “la più grande campagna aerea della storia libica”, ha implicitamente confermato il 21 maggio la presenza dei jet russi, già trasferiti almeno in parte nella base aerea di al-Jufra (350 chilometri a sud di Misurata e 460 chilometri a sud-ovest di Tripoli) per appoggiare le operazioni intorno a Tripoli.

“Nelle prossime vedrete ore la più vasta campagna aerea nella storia della Libia, per colpire interessi turchi e forze del governo di Tripoli in tutte le città libiche”, ha annunciato il generale Saqr al-Jaroushi, capo dell’Aeronautica dell’LNA.

Ankara ha risposto che riterrà le forze del generale Khalifa Haftar come un “obiettivo legittimo” se attaccheranno gli interessi di turchi in Libia, come ha dichiarato Hami Aksoy, portavoce del ministero degli Esteri.

Il giorno successivo il portavoce dell’LNA, colonnello al-Mismari, ha annunciato che sono stati ripristinati dai tecnici dell’aeronautica e rimessi in attività quattro caccia da combattimento (di tipo non specificato) dopo un lungo periodo di inattività. Gli aerei verranno usati nella battaglia contro il governo di Tripoli e si affiancheranno probabilmente ai velivoli inviati dai russi circa i quali molti aspetti non sono stati chiariti.

Difficile dire in base agli elementi noti se si tratti di velivoli in forza all’Aeronautica Russa o se abbiano le insegne dell’LNA. Potrebbe infatti trattarsi dei Sukhoi Su-24 già in dotazione all’LNA ed ereditati dalle forze aeree di Gheddafi ma inviati in Russia per essere messi in condizioni di volare a cui si sono aggiunti Mig 29 acquisiti nuovi o di seconda mano in Russia o ceduti dalla Siria dopo che Damasco ha stretto relazioni diplomatiche ufficiali con Haftar.

Roma, 13 gen. (askanews) - Il generale libico Khalifah Belqasim Haftar "ha firmato un accordo" con Mosca per l'installazione di una base militare in Libia. A scriverlo oggi è al Quds al Arabi, quotidiano panarabo di proprietà del Qatar, Paese che sostiene l'ex governo islamista di Salvezza nazionale di Tripoli. Non solo ma la stessa testata, in un editoriale pubblicato oggi sul suo sito on-line, parla di "prossime manovre della marina militare russa" nelle acque del mediterraneo davanti alle coste libiche che avrebbe l'obbiettivo di "testare eventuali reazioni dei Paesi occidentali, troppo preoccupati di non impantanarsi" nel caos del Paese Nordafricano. Mercoledì scorso, il generale Haftar ha visitato l'incrociatore russo Kuznetsov. Il comandante del sedicente esercito nazionale libico è stato accolto a bordo dal Vice Ammiraglio V. N. Sokolov e una volta sul vascello si è collegato in videoconferenza con il Ministro della Difesa della Federazione Russa Sergei Shoigu, come ha fatto sapere in un comunicato il ministero della Difesa russo. (segue)

Mosca ha un accordo di cooperazione militare con l’LNA firmato nel gennaio 2017 dal generale Haftar a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov (nella foto a lato) in navigazione nel largo di Tobruk, che potrebbe includere anche i contractors della società militare privata Wagner stimati da alcuni tra i 1.200 e i 1.400 effettivi, numeri che potrebbero rivelarsi sovrastimati.

Il ruolo russo nella fornitura sembra del resto confermato non solo dal fatto che gli aerei provenissero dalla base siriana utilizzata da Mosca (forse utilizzata come scalo intermedio per il trasferimento dei velivoli?) ma dal fatto che Mig 29 e Sukhoi 24 fossero scortati da due caccia Sukhoi Su-35 delle forze aeree russe.

Gli stessi piloti e tecnici destinati a operare con questi velivoli potrebbero essere libici addestrati in Russia oppure contractors russi o ancora siriani, che impiegano da anni questi due tipi di velivoli. In ogni caso la deterrenza espressa dai velivoli russi potrebbe influire sugli sviluppi a btreve termine della situazione.

Fonti militari russe citate dall’Agenzia Nova hanno riferito che difficilmente avrebbe dato il via libera ad un dislocamento di velivoli delle forze aeree russe in territorio libico evidenziando come l’aeronautica siriana abbia da tempo in dotazione sia i Mig-29 che gli Su-24 in varie versioni e valutando che tali velivoli sono probabilmente giunti in Libia con personale militare siriano.



Una guerra sempre più “internazionale”

Da un lato tutti i protagonisti internazionali della crisi libica si dichiarano a favo-re del cessate il fuoco e della pace salvo poi sostenere le due fazioni con armi e combattenti.

A giorni è attesa la firma di un nuovo accordo di cooperazione militare tra Tripoli e uno Stato finora non precisato, ma che necessariamente sarà in gradi di aiutare militarmente il GNA senza fare troppa “ombra” alla Turchia e ai suoi interessi in Libia.

Ieri i ministri degli Esteri di Russia e Turchia, Serghiei Lavrov e Mevlut Cavusoglu, hanno ribadito la necessità di un cessate il fuoco immediato e della ripresa “di un processo politico sotto l’egida dell’Onu”.

Difficile però credere che dopo le diverse intese raggiunte in Siria, russi e turchi siano pronti a combattersi oggi in Libia. Più probabile che il reciproco rafforzamento militare possa favorire, dopo la sconfitta dell’LNA in Tripolitania, una sorta di spartizione della Libia tra una Tripolitania a influenza turco-qatarina garantita dalle basi militari turche e una Cirenaica sotto l’influenza russo-egiziana-emiratina.

Un’ipotesi che può apparire lontana dal momento che anche ieri il GNA ha reso noto di non accontentarsi di liberare Tripoli dall0’assedio ma di mirare a conquistare “tutto il territorio libico” a partire dalla cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo della Sirte indicata come obiettivo a medio termine del GNA.

Il comandante delle forze del GNA, generale Ahmed al Haddad, ha infatti affermato che il prossimo obiettivo è “liberare la regione della Mezzaluna petrolifera con l’assistenza degli alleati turchi”. In una dichiarazione ripresa dalla testata online “Al Ain”, Al Haddad ha aggiunto che “è giunto il momento di riprendere a produrre ed esportare petrolio libico” (dopo che il blocco imposto da Haftar ha già provocato danni all’export di greggio per oltre 4 miliardi di dollari) osservando che “i paesi che hanno sostenuto le forze del GNA avranno la priorità nel beneficiare delle risorse economiche libiche”.

Minacce a cui l‘LNA ha risposto annunciando che “continuerà la sua battaglia contro l’invasione turca” precisando che ci sono “1.500 soldati turchi attualmente in Libia” e “altri 2.500 sono in arrivo”. Un numero che non include i già citati mercenari siriani ma potrebbe includere i contractors turchi della compagnia privata Sadat, ex militari presenti a Tripoli già da molti anni.

I proclami bellicosi dei protagonisti libici devono però fare i conti con la orai totale dipendenza di entrambe le formazioni militari dal supporto che ricevono dall’estero. Per questo la crescente influenza militare di Mosca e Ankara potrebbe costituire la migliore garanzia per giungere a un accordo il più possibile stabile che quanto meno “congeli” il conflitto.

A conferma di quanto un’intesa russo -turca in Libia venga temuta in dalle potenze Occidentali, ieri all’Onu Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto alla Russia di smetterla di inviare mercenari in Libia, dopo che un rapporto Onu ha confermato la presenza di combattenti russi e siriani nel paese.

“Siamo particolarmente preoccupati da ulteriori notizie secondo le quali parti esterni continuano a fornire materiali, equipaggiamenti, mercenari”, ha detto l’ambasciatore britannico Jonathan Allen. “Le attività del Wagner Group continuano a esacerbare il conflitto e a prolungare la sofferenza del popolo libico”. Gli ha fatto eco l’ambasciatrice statunitense Kelly Craft. “Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Libia devono immediatamente sospendere le operazioni militari”, ha affermato.

“Devono fermare il trasferimento in corso di equipaggiamento e personale militare verso la Libia, compresi quelli, come menzionato dal Regno Unito, dei mercenari del Wagner Group”.

L’ambasciatore russo Vasily Nebenzia ha parlato di “speculazioni” e ha attaccato il rapporto Onu “per la gran parte basato su dati non verificati o chiaramente falsificati con l’obiettivo di screditare la politica russa in Libia.Molti dei dati in particolare riguardanti cittadini russi menzionati nel rapporto sono semplicemente infondati. Non ci sono soldati russi in servizio in Libia”.

Da tempo Mosca gioca sul fatto che i contractors non sono soldati e on seno neppure pagati dalla Russia ma il fatto che all’ONU gli ambasciatori anglo-americani citino esplicitamente il migliaio di contractors russi e omettano di citare i quasi 10 mila mercenari jihadisti arruolati da Ankara in Siria offre la piena misura del tentativo di riavvicinare la Turchia alle potenze della NATO puntando sul confronto russo-turco in atto in Libia.

Basti pensare che è stato lo stesso ministro turco della Difesa turco, Hulusi Akar, a dichiarare il 20 maggio all’agenzia ufficiale Anadolu che gli equilibri in LIBIA sono “cambiati in modo considerevole dopo che la Turchia ha iniziato a sostenere il governo di Tripoli con la formazione, la cooperazione e l’assistenza in campo militare”.
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