Comunismo - Scintilla Rossa

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view post Posted: 14/3/2020, 11:41 Un articolo che aumenta la confusione e danneggia la lotta per il Partito - Marxismo
SUL MOVIMENTO COMUNISTA DELL’UE
Analisi del Passato, Stato delle cose e Compiti per Ora e per il Domani
di Fosco Giannini
La nozione di “crisi del movimento comunista” è un’invenzione tipica della cultura dominante nei
Paesi dell’occidente capitalistico. Tanto forte, in questi Paesi, è stata la spinta a trasformare questa
falsa nozione in senso comune di massa, in falsa coscienza, quanto forte è stata e rimane la necessità delle classi dominanti
capitalistiche di sorreggere il proprio potere anche attraverso una narrazione mistificata volta a “ratificare” la fine mondiale
del movimento comunista e affermare che la società liberale e liberista è “la fine della storia”.
In verità, anche dopo la fine della prima e grande esperienza storica comunista, quella sovietica, il movimento comunista
mondiale, senza interruzioni di continuità, ha proseguito a svolgere il proprio compito rivoluzionario mondiale, pagando
inevitabilmente prezzi in alcune aree del mondo, ma persino avanzando significativamente e anche titanicamente (come
nell’esperienza della Repubblica Popolare Cinese) sul piano internazionale generale. Come se dopo la sconfitta della
Rivoluzione francese non fosse arrivata solo la Restaurazione, ma in grandi Paesi si fosse immediatamente affermata una nuova
rivoluzione robespierriana. Cosa non avvenuta e che, dunque, consegna ancor più valore storico alla tenuta, al consolidamento
e allo sviluppo comunista mondiale dopo la caduta dell’URSS.
Allo stato delle cose, contrariamente alla vulgata capitalistica, oltre cento sono i partiti comunisti nel mondo – di diverse
dimensioni – che si autodefiniscono tali e che operano concretamente nei propri Paesi. Spesso con un grande ruolo
politico e sociale. A circa cento milioni giunge la cifra dei militanti comunisti del mondo, come somma delle varie organizzazioni
comuniste del pianeta, e circa settanta milioni sono i militanti delle organizzazioni giovanili comuniste mondiali. Vi sono,
inoltre, partiti comunisti che, governando direttamente i propri Paesi o essendo per i propri Paesi forze decisive (PC Cinese,
Giapponese,Vietnamita, Sudafricano, Cubano, Russo, Brasiliano, Portoghese, il PC del Nepal, l’Akel di Cipro, della
Repubblica di Boemia e Moravia, i due PC Indiani) orientano in verità la vita quotidiana e concreta di circa la metà dell’intera
popolazione mondiale. Nonostante ciò, a dimostrazione della gigantesca forza di persuasione della cultura dominante,
nei Paesi dell’occidente capitalistico vige la nozione di “crisi del movimento comunista”. Persino di “estinzione” di questo
movimento. E non di rado tali nozioni si insinuano nelle stesse file del movimento comunista dell’occidente, dell’Ue, spingendo
alcune forze, che a questo movimento si richiamano, alla rassegnazione o al cambio di identità politica e culturale.
In verità, noi assistiamo ad una vera e propria crisi del movimento comunista soprattutto (o solamente) nei Paesi dell’Ue. E su ciò
vorremmo gettare una luce ed una prima riflessione. A partire dalle ultime elezioni per il Parlamento europeo del maggio 2019.
Il Partito Comunista Italiano (PCI) non presenta le liste per le elezioni del Parlamento europeo del 2019 perché non riesce a
raccogliere le firme necessarie, nonostante lo strenuo impegno del gruppo dirigente e dei militanti per superare l’altissimo scoglio
antidemocratico delle 30 mila firme per ogni Circoscrizione (5 Circoscrizioni: 150 mila firme).
Il Partito della Rifondazione Comunista ottiene, con tutta la lista de La Sinistra, l’1,88%, perdendo l’unico seggio conquistato nel
2014, quello della compagna Eleonora Forenza. Il Partito Comunista di Marco Rizzo può evitare di raccogliere
le firme grazie alla concessione del simbolo da parte del Partito Comunista di Grecia (KKE) e ottiene lo 0,88% dei consensi.
Il Partito Comunista Francese, che nelle presidenziali del 2012 e del 2017 aveva sostenuto Jean-Luc Mélenchon, attraverso
la nuova linea d’autonomia comunista emersa al Congresso del novembre 2018 e voluta innanzitutto dal nuovo segretario
nazionale Fabien Roussel, decide di partecipare alle europee del 2019 in modo autonomo, sceglie Ian Brossat come capolista
ottenendo il 2,47% dei voti e 0 seggi. Nelle elezioni europee del maggio 2014 si era presentato con la lista France Insoumise,
con Mélenchon ed altre forze di sinistra. Tale lista aveva ottenuto il 6,31% dei voti e 6 seggi.
Il Partito Comunista Portoghese, che per storia, prestigio, livello della ricerca politico-teorica e radicamento nel proprio Paese e
tra le masse è uno dei più importanti partiti comunisti d’Europa e del mondo e che si presenta, com’è sua tradizione, con la
lista CDU (Coalizione Democratica Unitaria, composta dallo stesso PCP e il Partito Ecologista) ottiene alle europee del 2019
il 6,65% dei voti e conquista 2 seggi (nelle elezioni europee del 2014 aveva ottenuto il 12,7% e 3 seggi). L’arretramento a
queste ultime europee (che è anche addebitabile, in questo 2019, ad una molto più vasta platea elettorale, rispetto al 2014)
apre nel PCP una discussione relativa all’appoggio esterno che lo stesso PCP, assieme ad altre forze di sinistra, offre al governo
socialista (monocolore e di minoranza) presieduto dal 2015 da Antonio Costa, premier e segretario del Partito Socialista
Portoghese. Il governo Costa, che nasce con i requisiti dichiarati di non mettere in discussione l’appartenenza del Portogallo alla
NATO e all’Ue e che nel contempo esordisce con un aumento del salario minimo da 589 a 616 euro a partire dal 1 gennaio 2016,
riducendo in seguito a 35 ore l’orario di lavoro dei dipendenti pubblici e abbassando l’IVA per alberghi e ristoranti dal 23%
al 13%, ottiene sino al 2018, pur all’interno delle compatibilità capitalistiche portoghesi e all’interno dei dettami di Maastricht,
alcuni successi sociali. Una linea sociale che ora, sotto la pressione del grande capitale portoghese e dell’Ue, sta pian
piano venendo meno, aprendo conseguentemente nel PCP un dibattito volto al “che fare?”.
Il Partito Comunista di Spagna (PCE) non si presenta più in forma autonoma, sia alle elezioni nazionali che a quelle europee, dal
1986. Il 13 marzo del 1986 si tenne in Spagna un referendum sulla permanenza, o meno, della Spagna alla NATO. Vinse il
SI. Tuttavia, il fronte del NO, formato dal PCE e da altre forze di sinistra, giunse a raccogliere ben 7 milioni di consensi. La
stessa, grande, affermazione del NO spinse il governo socialista di Felipe Gonzales a indire le elezioni anticipate. A queste
elezioni quel fronte del NO che aveva raccolto 7 milioni di voti contro la NATO si costituì in un’alleanza di sinistra (PCE ed
altre forze) e per la prima volta scese in campo come Izquierda Unida (IU, Sinistra Unita). Paradossale, ma denso di significati
futuri per il cambiamento della natura politica di IU, fu il fatto che essa, che proveniva dalla battaglia per il NO alla NATO,
abbandonò, per costituirsi, il progetto di uscita della Spagna dall’Alleanza Atlantica. L’abbandono della parola d’ordine “Fuori
la Spagna dalla NATO” non fu il solo prezzo che il PCE pagò per la costituzione di IU; ma sin dal primo Statuto dell’Izquierda vi
furono altri prezzi da pagare, come la ratifica degli articoli dello Statuto che impedivano ai soggetti appartenenti a IU di avere
una loro propria politica internazionale ed un loro autonomo radicamento sociale. La questione della trasformazione di IU
in partito, superando la forma dei soggetti federati, si manifestò nell’Izquierda sin dall’inizio della sua storia, per proseguire negli
anni. L’ormai lunga vita di IU ha probabilmente portato il PCE a perdere una porzione significativa della propria autonomia
politica e ideologica da partito comunista e all’interno dello stesso del PCE tale contraddizione è da tempo motivo di una
profonda discussione (tutto da mettere in luce è, peraltro, il rapporto tra la scelta del PCE – in qualche modo strategica,
vista l’ormai lunga vita dell’Izquierda – di appartenere a IU e la scelta dell’eurocomunismo). Nel corso degli anni, tra l’altro,
la stessa IU avrebbe assunto una linea politica molto più prossima ad una forza di sinistra progressista e antiliberista che
antimperialista e anticapitalista.
Nelle elezioni per il Parlamento europeo del 2019 il PCE si presenta con la lista Unidas Podemos, l’insieme di Podemos,
Izquierda Unida e Catalunya en Comù (Verdi e soggetti di sinistra). Unidas Podemos raccoglie il 10,7% dei voti e conquista
6 seggi: 3 vanno a Podemos, 2 a IU e 1 a Catalunya en Comù.
Nelle elezioni europee del 2014 il PCE (all’interno di IU) si era presentato, assieme a Iniziativa per la Catalogna/Verdi, con la
lista La Sinistra Pluralista, ottenendo, senza Podemos, il 10,3% dei voti e 4 seggi. Podemos, nel 2014, alle europee era andato
da solo e ottenendo il 7,98% dei voti e 5 seggi.
L’Akel (Partito Progressista dei Lavoratori) di Cipro (Partito Comunista di natura antimperialista e leninista, membro del
GUE/NGL e mai vicino alle tesi dell’eurocomunismo, simile in questo al PC Portoghese e al Partito Comunista Greco) alle
elezioni europee del 2019 ottiene il 27,49% dei voti e conquista 2 seggi. Nelle elezioni europee del 2014 aveva ottenuto il
26,98% e 2 seggi.
Il Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM), proveniente dal Partito Comunista Cecoslovacco, si costituisce nel 1989,
dividendosi dal Partito Comunista Slovacco, dopo la divisione tra la Repubblica Ceco-Morava e la Slovacchia. Fortemente
perseguitato dai governi liberisti successivi al socialismo cecoslovacco (terribile fu la legge contro i comunisti ceco-moravi
che prese il nome di “Lustrace” e diversi sono stati i tentativi di mettere fuorilegge sia il KSCM che la Gioventù Comunista cecomorava) il KSCM ha subìto negli anni e ripetutamente pressioni politiche fortissime (nelle quali era contemplata la perdita della
legalità) che avevano come obiettivo quello di fargli accettare e riconoscere l’Ue, minaccia costante che non è stata certo
ininfluente al fine di mettere a fuoco una linea politica, da parte del KSCM, tendente al cambiamento profondo dei Trattati ma
non più all’uscita dall’Ue e dall’Euro. Una posizione, in un partito come il KSCM che conserva la propria identità comunista, più
prossima a quella di Rifondazione Comunista (o a quella del Partito Comunista d’Austria,KPÖ) che a quella del PCI (che
nei suoi Documenti Congressuali ha espresso una linea volta all’uscita dall’Ue e dall’Euro).
Nelle elezioni europee del 2019 il Partito Comunista di Boemia e Moravia ha ottenuto il 6,94% dei voti e 1 seggio. Nel 2004,
con posizioni molto più radicali contro l’Ue, aveva ottenuto il 20,3% dei voti e 6 seggi; nel 2009 il 14,2% dei voti e 4 seggi;
nel 2014 l’11% dei voti e 3 seggi. Il Partito Comunista di Grecia (KKE), che nei primi anni ’80
ha subìto una forte scissione da parte di una sua ala volta al superamento dell’autonomia comunista (il Synaspismos di
Maria Damanaki) è una forza molto radicata nel movimento operaio greco. Leninista e stalinista, per sua stessa definizione,
il KKE esprime oggi posizioni fortemente critiche verso il socialismo cinese (definito “neoimperialista”), si differenzia
da tanta parte del movimento comunista mondiale e punta, assieme ad altri partiti comunisti sul piano mondiale (in gran
parte partiti di piccole dimensioni) a formare una nuova internazionale comunista. Il KKE, anche sulla scorta delle sue
posizioni internazionali che lo dividono dalle altre formazioni comuniste dell’Ue, è fuoriuscito dal GUE/ NGL formando un
suo piccolo Gruppo (Iniziativa dei Partiti comunisti e Operai d’Europa) non riconosciuto, per mancanza del numero minimo
dei deputati previsto dalle regole parlamentari, dal Parlamento europeo.
Nelle elezioni europee del 2019 il KKE ha ottenuto il 5,37% dei voti e 2 seggi; nel 2014 6,11% dei voti, sempre con 2 seggi.
Il Partito del Lavoro del Belgio (PTB) nelle europee del 2019 ottiene il 5,72% dei voti (più il 2,97% come PVDA), eleggendo
un eurodeputato.
Il Gruppo della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (GUE/ NGL) è composto, in questa IX Legislatura (2019-
2024) da 41 membri su 751 seggi. Il precedente Gruppo (VIII Legislatura, 2014-2019) era composto da 52 membri su 750
seggi. Tranne il Partito Comunista di Grecia, gli altri partiti comunisti dell’Ue che hanno eletto deputati al Parlamento
europeo hanno confermato la loro presenza all’interno del GUE/ NGL. Il Gruppo Confederale della Sinistra unitaria europea/
Sinistra verde nordica nasce nel 1995, erede del Gruppo della Coalizione delle Sinistre (1989-1994). Dall’anno di costituzione
sino alle elezioni europee del 2019 (in grandi linee) il Gruppo, pur se formato da forze anche molto diverse tra loro (forze
comuniste dal carattere antimperialista, contrarie alla NATO e alla subordinazione dell’Ue agli USA e alla NATO, contrarie
all’esercito europeo e contrarie alla stessa Ue e all’Euro, assieme a forze di sinistra, “antagoniste”, movimentiste e
ambientaliste, capaci di sviluppare una critica all’Ue ma in un’ottica tutta interna al progetto dell’Ue, non contrarie alla NATO
né all’esercito europeo) ha mantenuto un proprio equilibrio ed una certa unità d’azione (ma solo all’interno della dinamica
parlamentare di Strasburgo e Bruxelles, non certo sul terreno della lotta sociale sul territorio generale dell’Ue, non certo sul
piano del conflitto sociale sovranazionale, mancanza e vuoto ormai pesantissimo, in relazione all’attacco sovranazionale del
grande capitale transnazionale dell’Ue).
Dalla fase temporalmente centrale dell’VIII Legislatura (anni 2014/2019) sino alla fase precedente la campagna elettorale per
le europee del 2019, le tensioni tra le forze interne al GUE/NGL si acuiscono. Ciò che, rozzamente, accade è che diverse forze
della “sinistra radicale” e della sinistra più moderata all’interno del GUE/NGL (“La France Insoumise” di Mélenchon,il Bloco
de Esquerda – BE, portoghese, aree della stessa Die Linke tedesca, la Siryza greca di Tsipras, aree dell’Izquierda spagnola
ed altre aree minori di sinistra) iniziano a porre, con forza e a più livelli, “l’esigenza” del superamento dei partiti comunisti e
“l’opportunità” che all’interno del GUE/NGL “finisca l’egemonia comunista”. Un’egemonia che, per queste forze della sinistra,
sembra essere esiziale. Un pensiero politico che può sfociare, se già non è sfociato, nell’obiettivo di chiudere il rapporto
unitario tra forze di sinistra e forze comuniste, che può giungere all’obiettivo di far saltare lo stesso GUE/NGL. Le avvisaglie
di questa posizione sono emerse nella fase precedente la campagna elettorale per le europee del 2019 e si sono poi con
più forza evidenziate in quella della discussione sull’Appello lanciato dalle forze del GUE/NGL per la campagna elettorale.
È in questo passaggio che, trainate da Mélenchon e dal Blocco di Sinistra Portoghese, alcune forze della sinistra hanno rivelato
la loro sostanziale contrarietà a proseguire l’unità con i partiti comunisti ed è stato per questo motivo che, al contrario, i partiti
comunisti, tranne quello di Grecia, hanno spinto sull’unità del GUE/NGL, linea espressa nello stesso Appello per le elezioni
europee.
È del tutto evidente che quest’attacco ai partiti comunisti dell’Ue, anche da parte delle forze non comuniste, prende corpo proprio
nel momento in cui cala il consenso elettorale anche dei maggiori partiti comunisti dell’Ue e in cui la crisi del movimento comunista
dell’Ue inizia con più chiarezza a manifestarsi.
È possibile rintracciare, mettere a fuoco i motivi di fondo di questa crisi, che stabilisce una vera e propria differenza tra la
vitalità e la centralità politica e sociale di tanti altri partiti comunisti del mondo (extra Ue) e il movimento comunista dell’Ue? Non è
certo facile avviare una ricerca del genere: sarebbe un compito da intraprendere collettivamente, che lo stesso movimento
comunista dell’Ue dovrebbe darsi (e che ancora non si dà). Ma occorre iniziare ad aprire il sipario.
Potremmo iniziare una prima discussione unendo, con una linea ipotetica, tre momenti storici chiave che si sviluppano nell’arco
di un quindicennio: nel 1977, a Madrid, si incontrano Enrico Berlinguer (segretario del PCI), Santiago Carrillo (segretario del
PCE) e George Marchais (segretario del PCF). È l’inizio (come si afferma a Madrid) della “nuova via”, dell’eurocomunismo,
i cui “germi” stavano da tempo maturando all’interno del PCI (e sarà forse per questo che sarà proprio questo partito
l’unico a sciogliersi, come forza comunista) e che erano già stati evidenziati alla Conferenza di Berlino del 29/30 giugno
1976. L’eurocomunismo si presenta, nella sua superfice, nel suo aspetto fenomenologico, come critica e autonomia
dal socialismo sovietico. In verità è molto di più e la critica all’esperienza sovietica si fa funzione politica per l’abbandono
di tanta parte del sistema di pensiero comunista. L’elezione della classe operaia europea a classe rivoluzionaria mondiale è
funzionale alla rottura con la classe operaia e contadina, con il proletariato antimperialista, comunista e rivoluzionario del resto
del pianeta e la scelta dell’Europa come terreno privilegiato della costruzione del socialismo è propedeutica alla rottura, da parte
dei partiti dell’eurocomunismo, sia con il movimento comunista mondiale che con i partiti comunisti leninisti (PC Portoghese,
Akel, e Partito Comunista di Grecia innanzitutto), scelta che sfocia infine nel privilegiare, anche sul piano strategico, il
rapporto con le socialdemocrazie europee (Willy Brandt, Olof Palme). La scelta eurocomunista dell’Europa come terreno
privilegiato della lotta per il socialismo è propedeutica alla rottura con la concezione leninista della “rottura dell’anello debole” e
della costruzione di un vasto fronte mondiale antimperialista che costituendosi nelle “periferie del mondo” cambi i rapporti
di forza mondiali a sfavore dei centri imperialisti occidentali.
L’eurocomunismo contiene oggettivamente in sé sia la rimozione dell’antimperialismo che dell’internazionalismo proletario. La
scelta dell’eurocomunismo di individuare l’Europa come il terreno internazionale privilegiato per la lotta per il socialismo e
il movimento operaio europeo come il movimento d’avanguardia sul piano mondiale,cancellando anche la concezione leninista
dell’ “aristocrazia operaia” (in riferimento alla classe operaia dei Paesi imperialisti e capitalisti) riporta in auge la raffigurazione di
un quadro europeo e mondiale simile a quello già delineato dalla Seconda Internazionale, che in modo positivista considerava
– appunto, prima di Lenin e della Terza Internazionale –che il socialismo non poteva che nascere nei Paesi ad alto sviluppo
capitalistico. Mai fuori di esso. Considerazione dalle nefaste conseguenze, la prima delle quali non poteva che essere
quella della presa di distanza (e poi della condanna) del cosiddetto “marxismo asiatico”, presa di distanza e condanna
che anticiperanno il distacco dal leninismo, dall’Ottobre e dalle esperienze del “socialismo realizzato” (liquidate e non criticate,
come invece si sarebbe dovuto), anticipando anche la famosa formulazione, coniata dal gruppo dirigente di maggioranza del
PCI, dell’ “esaurimento della forza propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”.
L’abbandono processuale dell’internazionalismo, dell’antimperialismo e la scelta strategica della NATO (soprattutto da parte del
PCI) sono conseguenze dello stesso apparato ideologico eurocomunista. Il PCI, (che nella seconda metà degli anni
ottanta aprirà un nebbioso dibattito sul senso politico e teorico di “riforme” e “rivoluzione”, sulla “terza via”, sul
centralismo democratico e sulla relazione tra comunismo e socialdemocrazia, dibattito che troverà una sua confusa
conclusione al XVII Congresso dell’aprile 1986, dove il PCI si definisce “parte della sinistra europea”, concezione attraverso la
quale persino la linea della “terza via” viene superata da destra e viene cancellato persino il centralismo democratico), pagherà
il prezzo dell’eurocomunismo con il proprio dissolvimento e poi con la continua degenerazione di sé, sino a farsi PD. Il
Partito Comunista di Spagna (pur, infine, salvando la propria esistenza) lo pagherà attraverso quella processuale perdita di
autonomia politica, ideologica e organizzativa vissuta all’interno dell’Izquierda Unida. Nemmeno il PC Francese si salverà
completamente dai guasti dell’eurocomunismo, indebolendosi man mano sul piano ideologico (uno snaturamento comunque
molto lontano e molto meno pernicioso di quello del PCI) e specularmente su quello politico, organizzativo ed elettorale.
Oltretutto, l’eurocomunismo degli anni’70 e ’80, condotto dal PCI, dal PCE e dal PCF, provocherà una grave e profonda
divisione all’interno del movimento comunista dell’area dell’Ue, indebolendo di fatto il movimento comunista proprio nella fase
in cui va storicamente prendendo corpo l’Ue come unità del grande capitale transnazionale e come emanazione di politiche
iperliberiste sovranazionali. Di questo problema (la divisione del movimento operaio dell’Ue per mano dell’eurocomunismo)
non si è parlato a sufficienza, tale questione non è stata messa sufficientemente a fuoco nella sua gravità: resta il fatto che
invece di affrontare unito il nuovo, gigantesco moloch liberista dell’Ue, che in breve tempo avrebbe cancellato le strutture
socialdemocratiche avanzate (soprattutto il welfare) che erano tate erette in molti Paesi d’Europa; invece che affrontare unito
il nuovo processo di militarizzazione della NATO sull’intero territorio europeo e le guerre imperialiste USA e NATO che
dopo la caduta dell’URSS vanno moltiplicandosi; invece che affrontare unito la formidabile controffensiva ideologica di
carattere essenzialmente anticomunista che il nuovo fronte ideologico USA-Ue conduce nell’intento di spazzar via dal terreno
europeo quel vasto senso comune comunista, antimperialista, di sinistra formatosi attraverso la vittoria sovietica sul
nazifascismo, attraverso le grandi conquiste sociali sovietiche, le lotte antifasciste della Resistenza europea e le grandi lotte
dei partiti comunisti europei (in testa il PCI) sino agli anni’70, invece che affrontare unito tutto ciò, il movimento comunista
dell’Ue viene spaccato in due dall’eurocomunismo con la parte non eurocomunista che tende a contrarsi in sé. E i partiti
dell’eurocomunismo, nella loro rapida mutazione moderata, nella loro veloce trasfigurazione in partiti sostanzialmente di
sinistra (trasfigurazione che nel PCI dura sino alla fine stessa del PCI, mentre nel PC Francese e nel PCE ad un certo punto
si interrompe), lasciano i partiti comunisti d’spirazione marxista e leninista ed antimperialisti (il PC Portoghese, il PC di Grecia,
l’Akel di Cipro ed altri) soli nella battaglia.
Il secondo punto temporale che partecipa alla costruzione del quindicennio terribile per il movimento comunista dell’Ue è
naturalmente il 26 dicembre 1991, quando, per responsabilità primaria di Gorbaciov, viene ammainata dalle cupole del
Cremlino la gloriosa bandiera sovietica e l’URSS viene disciolta. La scomparsa dell’URSS investe come un mortale
fiume in piena le già indebolite strutture ideologiche delle forze eurocomuniste: il PCI corre ad autodissolversi e tra le file sia
del PCF che del PCE si acutizzano le contraddizioni. La caduta dell’URSS richiederebbe ancor più unità tra le forze comuniste
dell’Ue; richiederebbe un surplus di unità di fronte all’ondata ideologica anticomunista che si leva dal mondo capitalista,
tendente (come accadrà) a cancellare quel vastissimo senso comune comunista, antimperialista, di sinistra, progressista che
si era profondamente disseminato anche tra i popoli europei e tra il movimento operaio attraverso la vittoria sovietica sul
nazifascismo e attraverso le grandi conquiste sociali sovietiche; richiederebbe ancor più unità del movimento comunista dell’Ue
di fronte alle politiche iperliberiste dell’Ue, che si dispiegano rapidamente anche in relazione alla scomparsa di un modello
socialista come quello rappresentato dall’URSS; richiederebbe più unità di fronte alla imponente militarizzazione dell’Europa
da parte degli USA e della NATO e di fronte allo scatenamento delle guerre imperialiste; richiederebbe ancor più unità del
movimento comunista dell’Ue al fine di mettere a punto una ricerca politico-teorica alta in relazione alla stagnazione
sovietica, alla crisi del modello produttivo sovietico e, infine,
alla caduta dell’URSS, al fine di uscire “da sinistra” da quella
sconfitta e non lasciare ai liquidatori dell’intera esperienza
sovietica e del socialismo realizzato, come Occhetto e Bertinotti
e tanti altri dirigenti e intellettuali dei partiti comunisti dell’Ue
formatisi nell’eurocomunismo, il compito di “analizzare”,
uscendone “da destra”, le esperienze prodotte dall’Ottobre.
Questa unità sarebbe stata necessaria, indispensabile nella
fase storica più difficile e di fronte alle immense difficoltà
prodotte dal quadro post-sovietico e di fronte alla nuova
aggressività dell’imperialismo USA, della NATO e del capitale
transnazionale dell’Ue. Ma l’eurocomunismo aveva già
profondamente diviso il movimento comunista dell’Ue, aveva
immesso nebbia ideologica in sé stesso spargendola anche
fuori di sé, aveva indebolito il movimento operaio europeo
complessivo, aveva modificato in senso moderato la natura
politica e ideologica delle forze eurocomuniste sospingendo i
partiti comunisti dell’Ue che avevano mantenuto un carattere
marxista, leninista e antimperialista a raccogliere le forze e
dispiegarle soprattutto all’interno del loro quadro nazionale.
La terza data che va a configurare il quindicennio terribile per il
movimento comunista dell’Ue è il 7 febbraio del 1992, quando si
firma il Trattato di Maastricht (a soli due mesi, significativamente,
dall’autoscioglimento dell’URSS). La firma di questo Trattato dà
la stura alla già imponente pressione liberista che si era gonfiata
nelle pompe del capitale transnazionale europeo. In quella
fase il capitalismo europeo viveva un “movimento” tipico del
proprio mai lineare sviluppo: la fase era quella contrassegnata
dall’esigenza di un nuovo ciclo di trasformazione, volto alla
stessa sopravvivenza capitalistica e ad un nuovo processo di
accumulazione. Fasi che storicamente si ripetono – appunto,
come cicli – e che richiedono l’annullamento delle conquiste
operaie precedentemente ottenute e l’abbattimento progressivo
dei diritti e dei salari già strappati nelle lotte. Un meccanismo
antisociale di autodifesa del capitale che punta ogni volta al
cambiamento ciclico della divisione del lavoro nazionale e
sovranazionale. Questo è ciò che stava accadendo, sul piano
macroeconomico, nell’Ue che vedeva il movimento comunista
diviso dall’eurocomunismo, piegato dalla sconfitta sovietica
e impreparato ad opporsi al vento furioso del nuovo ciclo
capitalistico europeo. Ma oltre a ciò, oltre al ciclo macroeconomico
in atto, un altro “movimento” di gigantesche proporzioni si
levava nell’area intera dell’Ue: l’esigenza dell’unità (per quanto
possibile tra forze capitalistiche tendenti ognuna al proprio
profitto) del grande capitale sovranazionale europeo di fronte ad
un mondo che la scomparsa dell’URSS aveva trasformato in un
nuovo mercato planetario da conquistare; l’esigenza di questa
unità nell’obiettivo di attrezzare il polo neoimperialista europeo
per la lotta interimperialista diretta alla conquista di quei nuovi
e sterminati mercati che la caduta dell’URSS aveva aperto sul
piano planetario.
È del tutto evidente che l’esigenza, da parte del grande capitale
europeo, di far partire un nuovo ciclo di trasformazione si
sposava dialetticamente con l’esigenza di unire il grande
capitale transnazionale europeo in un unico polo neo imperialista
(appunto, l’Ue e le sue istituzioni mute asservite al capitale) in
grado di giocare la sua parte nella lotta interimperialistica per
la conquista dei nuovi mercati. Questo combinato disposto
crea un’altra e sconosciuta Europa, crea un’Ue particolarmente
feroce e antioperaia che nulla ha a che vedere con l’Europa del
welfare e del compromesso sociale del secondo dopoguerra.
Di fronte a questa nuova Europa, in cui si estenuano le forze
socialdemocratiche aventi il ruolo (non più richiesto, per questa
fase europea estinto) di mediazione tra capitale e lavoro, di
fronte all’Ue che si presenta nella storia come la tipica belva
feroce di ogni nuovo ciclo di trasformazione capitalistico, il
movimento comunista dell’Ue si presenta indebolito e diviso
dall’eurocomunismo, disorientato dal colpo della caduta
dell’URSS e impossibilitato, anche per le stesse divisioni
imposte dal gruppo eurocomunista, a formulare una risposta
politica, teorica e sociale alle nuove ed immense difficoltà e
contraddizioni.
Alcuni dati, largamente approssimativi, ma che danno il segno di
quanto pesante, per il movimento comunista dell’Ue, sia stato il
quindicennio tra il 1976 (inizio dell’eurocomunismo) e il biennio
1991-’92 (autodissoluzione dell’URSS e firma del Trattato di
Maastricht): nel 1976 il PCI può contare su di 1 milione e 800
mila iscritti circa, che scendono nel 1990 ad 1 milione e 200 mila
circa, con una perdita secca di 600 mila tesserati. Nelle elezioni
del 1976 il PCI ottiene il 34% circa di voti, nel 1989 il 27% circa,
prima di quella “Bolognina” che avrebbe rapidamente portato il
PCI alla morte politica.
Il PC Francese ottiene nel 1967, prima della sua scelta
eurocomunista (che peraltro abbandonerà nel giro di un
decennio, senza fare la fine del PCI, ma subendone ugualmente
i danni) il 22,5% dei voti, conquistando ben 73 deputati. Già
nella prima metà degli anni ’80 (l’eurocomunismo inizia nella
metà degli anni ’70, ripetiamo per comodità del lettore) scende
sotto il 10% dei consensi elettorali, per poi crollare, nelle elezioni
politiche nazionali del 2007, al 4,3% dei voti. Negli anni ’70 il
PCF può contare su circa 200 mila iscritti: negli anni diventano
20 mila.
Il Partito Comunista Portoghese, nelle prime elezioni del 1975
per l’Assemblea Costituente, dopo il regime fascista di Salazar,
ottiene il 12,5% e 30 seggi; nel 1976 il 14,4% dei voti, nel 1979 il
18,8%, nel 1999 il 9%, nel 2005 il 7%. Ciò che va registrata è la
tenuta complessiva del PCP, che subisce il danno storico della
caduta dell’URSS, l’inizio e lo svilupparsi dell’offensiva generale
(ideologica, politica e sociale) dell’Ue, ma, non facendo parte,
da posizioni leniniste, del gruppo eurocomunista, non vive le
laceranti contraddizioni interne che portano alla morte del PCI
e ai gravi problemi che vivono sia il PC Francese che quello di
Spagna.
Il Partito Comunista di Grecia ottiene nel 1975 il 12,5% dei voti,
nel 1979 quasi il 19%, nel 1999 il 9%, nel 2015 l’8,3%. Anche
nel caso del KKE (un partito sempre fortemente avversato
dalle forze fasciste, reazionarie e conservatrici greche,
che soffre più di ogni altra forza politica il colpo di Stato dei
colonnelli greci nel 1967 e che subisce la dolorosa scissione
da parte del Synaspismos) assistiamo, nei tempi lunghi, ad una
sostanziale tenuta elettorale (ma anche una tenuta in relazione
al radicamento e ai legami di massa) che non c’è invece nei
partiti dell’eurocomunismo.
L’Akel di Cipro, partito d’ispirazione marxista e leninista,
nel 2008 elegge un proprio esponente, Dīmītrīs Christofias,
Presidente della Repubblica di Cipro, come primo capo di Stato
comunista in un Paese dell’Ue. Ogni altro candidato dell’Akel
alla Presidenza di Cipro, dal 1988 sino al 2019, ottiene altissimi
consensi, che vanno da un minimo del 27% ad un massimo del
51,5%, passando per risultati del 30 o 40%. Dal 1960 sino al
2016, l’Akel ottieni voti, per le elezioni politiche nazionali, che
vanno dal 35% al 25%, senza mai scendere sotto questa cifra.
Dal 2004 sino al 2019 l’Akel conquista sempre, in ogni tornata
elettorale per le europee, 2 seggi. Anche nel caso dell’Akel, il
profilo ideologico e culturale, la tenuta interna, l’organizzazione
ed il radicamento non sono stati mai scalfiti dalle contraddizioni
che altrove ha provocato l’eurocomunismo.
Detto tutto ciò, è del tutto evidente che l’attuale movimento
comunista dell’Ue, nel suo insieme e al di là delle cause che
hanno determinato il suo indebolimento (cause che tuttavia
devono rimanere ben presenti) ha il compito gravoso di rilanciarsi
e offrirsi di nuovo quale punto di riferimento, per il movimento
operaio complessivo dell’Ue e per i popoli (movimento operaio
e popoli attratti dalle sirene false dei populismi e delle destre
dell’Ue) nella lotta contro l’imperialismo USA, contro la NATO,
contro l’Ue e l’Euro.
Il ritardo nel leggere la crisi e la sconfitta dell’URSS e
del socialismo realizzato per uscirne da sinistra, senza
liquidazionismi o apologie, ma solo attraverso la ricerca politicoteorica alta, in grado di arricchire e non depauperare il patrimonio
culturale del movimento comunista; la comprensione dei moti
macroeconomici che attraversano l’Ue e delle contraddizioni
interimperialistiche che determinano l’attuale natura predatrice
dell’Ue; un progetto di fuoriuscita dall’Ue e dall’Euro e un progetto
di nuove alleanze internazionali per gli Stati e i popoli dell’Ue
che renda ancor più credibile la lotta contro l’Ue; un’azione
serrata, continua, volta alla costruzione di un senso comune di
massa contro l’imperialismo USA, contro la NATO, contro una
Ue subordinata alla NATO e contro l’esercito europeo; un’analisi
aggiornata e profonda dei nuovi processi produttivi del grande
capitale dell’Ue, che sbocchi in una progetto di attacco generale
al profitto al fine di abbattere l’orario di lavoro a parità di salario e
ricostruire welfare e diritti; un’analisi profonda del nuovo mondo
del lavoro su scala continentale volto anche alla ricostruzione (in
sintonia con i tempi) di un efficace organizzazione comunista nei
nuovi luoghi del lavoro; la comprensione delle esigenze attuali
della “classe” e delle giovani generazioni al fine di delineare
una forma-partito comunista in grado di rispondere a tali
esigenze ed essere all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro
di classe continentale; la costruzione dell’unità dei comunisti
dell’Ue e delle forze della sinistra di classe dell’Ue nella lotta
anticapitalista sovranazionale, unità di classe come risposta
attiva alla già avvenuta unità del capitale transnazionale; la
questione dell’immigrazione da affrontare razionalmente,
attraverso la condanna totale del razzismo, la delineazione di
un progetto solidale, concreto, non idealistico di accoglienza
e integrazione e attraverso la messa in campo di un progetto
di costruzione, nella lotta anticapitalista comune, di un unico
proletariato “bianco e nero”, volto alla trasformazione sociale.
Sono questi, ed altri, i temi che attendono il movimento comunista
dell’Ue, che proprio a partire dalla pregnanza storica di questi
temi, deve assolutamente porsi la questione di un luogo unitario
comunista ove possa iniziare la ricerca collettiva e il confronto
politico e teorico di tutte le forze comuniste (unità da perseguire
senza pregiudizi) superando nella ricerca aperta e nella prassi
unitaria i tanti decenni di diaspora e di rottura che hanno segnato
l’esperienza dei partiti comunisti dell’Ue degli ultimi decenni.
Non si tratta,ora, di ricostruire una nuova internazionale
comunista; si tratta di comprendere che il GUE/NGL come
unico e parlamentare (lontano, dunque, dallo scontro di classe)
luogo di incontro tra forze comuniste non può più essere la sola
risposta (o la risposta primaria) all’esigenza dell’unità comunista
sovranazionale (tanto più in una fase come l’attuale, dove
all’interno del GUE/NGL le forze della sinistra non comunista
sono ormai fortemente inclini ad attaccare l’autonomia ed il
ruolo dei partiti comunisti); si tratta di riconsegnare alla “classe”
dell’Ue, col tempo, un punto di riferimento antimperialista,
anticapitalista, rivoluzionario, di nuovo legato ai popoli e al
movimento operaio; si tratta di rispondere alla lotta antioperaia
e antipopolare sovranazionale che conduce il grande capitale
transnazionale dell’Ue (sia da solo che attraverso le armi
che si è dato attraverso l’Ue) con una lotta, politica, sociale e
sindacale, organizzata sul piano sovranazionale del movimento
operaio complessivo dell’Ue. Come i tempi e la lotta di classe
reale, di oggi, sul terreno dell’Ue, richiedono.
view post Posted: 11/3/2020, 22:29 Fumate o avete mai fumato? - Off topic
CITAZIONE (carre @ 11/3/2020, 22:28) 
Cazzo! Questo mi ha chiuso le tabaccherie per 15 giorni (+15) e io sono rimasto solo con una scatola di toscani,

e io che ti credevo un compagno!
view post Posted: 11/3/2020, 22:26 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Kollontaj_2 @ 11/3/2020, 18:31) 
vogliamo dire che i comunisti non devono parlare di carceri e condizioni dei carcerati, repressione etc, perchè se no rischiamo di spingere qualche lavoratore verso Salvini?
bell'orizzonte politico abbiamo davanti.

Non credo che si possano fare deduzioni così nette e assolute in questo caso.
Delle carceri se ne parla eccome e lo ha Fatto anche Rizzo sebbene tu ritenga che non avrebbe dovuto farlo. Insomma, mi sembra di poter attribuire un diverso significato al suo post e questa volta non mi ci vedo niente di così errato e neppure vomitevole.
view post Posted: 11/3/2020, 17:07 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Kollontaj_2 @ 11/3/2020, 12:14) 
cioè, i comunisti dovrebbero porsi il problema di non dire e/o fare cose che potrebbero avvicinare le classi popolari alla destra? da quando?

Il problema dovrebbero porselo eccome.
Per affrontare il discorso della legalità e del monopolio statale (borghese) della repressione è necessaria una profonda rivoluzione culturale. Rizzo parla alle masse con noncuranza e con approssimazione tali da far impallidire come in altre occasioni, si veda il caso ILVA, era stato sottolineato tale aspetto, tuttavia non mi sembra di poter dire la stessa cosa circa quest'ultimo intervento.
Occorre aggiungere che Rizzo pare applicare il nuovo metodo di comunicazione più adatto ai socialnetworks. E' davvero utile pubblicare papiri per giustificare determinate affermazioni se solo una minima parte dei lettori di quel post riusciranno a rimanere concentrati fino alle ultime parole?
Occorre confrontarsi con una platea di persone che si limitano a leggere i titoli degli articoli https://www.bufale.net/guida-utile-il-70-d...ale-una-bufala/
view post Posted: 5/3/2020, 17:56 Repressione e dintorni - Varie
Riccardo Sotgia sotto processo per solidarietà internazionalista

Un militante comunista internazionalista italiano, Riccardo Sotgia, è indagato dalla Procura generale ucraina per le pesanti accuse di banda armata, spionaggio e terrorismo. Tutto ciò per aver partecipato come osservatore internazionale alle elezioni a Lugansk e aver portato solidarietà alla popolazione del Donbass.

Sarà interrogato venerdì prossimo dalla Digos per contro del sostituto procuratore di Brescia, titolare di una rogatoria internazionale richiesta dai magistrati ucraini.

I precedenti.
Il caso di Sotgia non è isolato. Tempo fa altri militanti della Carovana Antifascista, sono stati inquisiti dalla Procura di Kiev con le stesse ipotesi di reato.

La replica.
Riccardo replica alle accuse dicendo che è stato in Donbass tre volte: la prima come osservatore internazionale durante le elezioni nella Repubblica Popolare di Lugansk, delegato del “Coordinamento Ucraina Antifascista”. Le altre due al seguito della “Carovana Antifascista” creata sei anni fa dalla Banda Bassotti, la cui attività era pubblica e aperta a tutti.

La pena.
Riccardo rischia l’estradizione in Ucraina per essere sottoposto a processo.

Non è un crimine recarsi in un altro Paese, portare solidarietà e aiuti umanitari insieme a tantissimi altri italiani in un viaggio organizzato e pubblico. Non è un crimine far parte di un gruppo di osservatori internazionali affinchè si possa essere garanti della legittimità e non ingerenza su delle elezioni di un paese. Tuttavia, questo non ha importanza per il fascismo ucraino. La cosa principale è che Riccardo Sotgia sia un comunista, un antifascita, un anti-imperialista. Questo è ciò che il fascismo dell’Ucraina considera “crimine”. Andare in Donbass è considerato un “crimine” perché è visto come espressione di idee anti-fasciste.

Il Donbass è una regione vessato dalla guerra dal 2014. Stanno combattendo per la loro indipendenza dall’Ucraina perché non si sentono appartenere ad uno stato neonazista. E’ doveroso ricordare come in Ucraina è permesso al “Battaglione Azov” di creare colonie per bambini dai 9 ai 17 anni per fornire i primi rudimenti all’uso delle armi. Questo sì si può chiamare crimine! Cooperare – come sta facendo l’Italia e come fanno tutti i paesi imperialisti – con l’Ucraina, questo sì è un crimine!

Garantire l’unità dei popoli contro l’imperialismo e il fascismo non è un crimine, ma un dovere onorevole.

Essere internazionalista e anti-fascista non è un crimine, è un dovere onorevole.

Il Fronte Anti-Imperialista esprime la propria solidarietà internazionalista con il compagno italiano Riccardo Sotgia.

UNITI VINCIAMO!
view post Posted: 5/3/2020, 17:50 Il ruolo della donna oggi e nella società socialista e comunista. - Marxismo
I maoisti attaccano i padroni del turismo sessuale nel Kerala

La mattina del 15 gennaio, membri del People's Liberation Guerilla Army (PLGA-Esercito guerrigliero popolare di liberazione) hanno attaccato un complesso alberghiero noto per il turismo sessuale ad Attamala, situato nel distretto di Wayanad, nello stato indiano del Kerala. I membri del PLGA hanno fracassato le finestre e dato fuoco ai mobili nel resort di nuova costruzione.
L'attacco è stato lanciato in risposta allo sfruttamento sessuale delle donne Adivasi (tribali indigene) da parte della direzione del resort nel 2019. Le donne Adivasi sono state piazzate in vari punti della strada vicino al resort e dovevano offrire riso e cibo in cambio di essere "oggetti del turismo sessuale" secondo i proprietari del resort.
Grandi manifesti sono stati lasciati nel luogo dell'attacco firmato dal comitato di area Nadugani del Partito Comunista dell'India (maoista) di condanna dello sfruttamento sessuale delle donne Adivasi. Un poster recitava: "Tutti i proprietari di resort che rappresentano una minaccia all'esistenza pacifica delle donne di Adivasi saranno cacciati via con la forza". Negli ultimi anni ci sono state diverse altre azioni contro gli hotel del turismo sessuale da parte del PLGA a Wayanad. Nel 2014 il resort di Agraham a Thirunelli è stato attaccato e nel 2015 un hotel di proprietà del governo è stato attaccato nella stessa area. Nel 2019 anche il resort Upavan di Vythiri è stato attaccato.
view post Posted: 3/3/2020, 10:23 ambientalismo borghese e ambientalismo proletario - Documenti e Dossier
LO SVILUPPO DELL’AUTO ELETTRICA: 40 MILA BAMBINI MINATORI.
Il cobalto è un elemento base per la produzione delle nuove batterie. Estratto nelle miniere del Congo per le grandi industrie cinesi americane ed europee vi lavorano centinaia di migliaia di minatori di cui una buona parte bambini.
L’auto del futuro è elettrica, pulita, etica e sostenibile, così recitano molte pubblicità. Gran parte delle nuove applicazioni elettroniche (cellulari, tablet, computer, ecc) sono possibili grazie alle nuove batterie al cobalto. Il cobalto ha un gran pregio: stabilizza la carica e allunga la durata del “pieno” delle batterie. Il 60% della produzione mondiale del metallo arriva dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo. Da tempo si è scatenata la guerra tra le multinazionali per impadronirsi delle miniere del cobalto. Gli operai e gli operai- bambini pagano il prezzo degli altissimi profitti dei padroni.

Nella Repubblica Democratica del Congo grande è la ricchezza delle materie prime, più feroce è lo sfruttamento e la povertà.

“oltre il 53% del cobalto in circolazione nel 2016 veniva estratto in RDC (66mila tonnellate su circa 123mila). È comprensibile quindi che la RDC sia oggi una destinazione molto ambita per le multinazionali, sia quelle che si occupano di estrazione, sia quelle che muovono le migliaia di tonnellate estratte verso le raffinerie – localizzate per la maggior parte in Cina.”

Diverse multinazionali fanno profitti con il cobalto del Congo. Industrie come Glencore, CDM, Randgold, China Molybdenum e altre hanno indirizzato le loro attività in RDC; ad esempio, gli svizzeri di Glencore concentrano nelle loro mani uno spaventoso 35% dell’intera produzione mondiale. Molte industrie hanno aperto stabilimenti in diretta prossimità dei siti estrattivi (da Volkswagen ad Apple, da Microsoft a Huawei).

Lo sfruttamento dei minatori è feroce. Incidenti e morti sono frequenti. Gli orari di lavoro superano spesso le 12 ore giornaliere, guadagnando in media uno o due dollari. L’esposizione a polveri contenenti cobalto causa malattie, asma e riduzione della funzione polmonare. L’ UNICEF ha stimato in circa 40.000 i bambini dai 6 ai 7 anni che lavorano quotidianamente nelle miniere.

Il Cobalto del Congo è un esempio della lotta tra le grandi industrie capitalistiche per impossessarsi delle materie prime. Evitiamo volutamente di chiamarle semplicemente “multinazionali”, anche se va di moda. Sono imprese capitalistiche, grandi, che operano in diversi paesi ma che conservano comunque una base nazionale e che vanno combattute non in quanto “multinazionali” ma in quanto fondate sullo sfruttamento operaio.

Fanno ridere coloro che auspicano la fine delle “multinazionali” sognando un capitalismo democratico, senza sfruttamento, fondato sulla libera concorrenza. È proprio la libera concorrenza che ha prodotto prima la concentrazione della produzione, quindi il monopolio ed un nuovo livello di concorrenza mondiale, con la sua lotta per accaparrarsi le materie prime.

Se le guerre per il petrolio sono iniziate in Medio Oriente (Iraq, Iran, Afghanistan, Siria, ecc)

Altre guerre si preparano.

In Libia ancora una volta per il petrolio. Nel resto dell’Africa per molte materie prime necessarie all’industria capitalista.

L.S.

Le notizie sono tratte da un articolo di Marco Simoncelli su Nigrizia da una inchiesta di Amnesty International e Afrewatch.
view post Posted: 3/3/2020, 10:16 comunismo usa - Storia
Sul settimanale Left l’intervista all’attivista che ha sconfitto Amazon a Seattle. Popoff ha trovato i suoi compagni italiani
«Così ho sconfitto il capo di Amazon». Sul settimanale @Left in edicola da venerdì 7 febbraio Kshama Sawant spiega al “nostro” Checchino Antonini la lotta di Seattle, dove è stata rieletta in un consiglio comunale di soli 8 seggi, per una Amazon Tax, una tassa sui profitti delle multinazionali e delle imprese più ricche per finanziare programmi di edilizia sostenibile e popolare, per il diritto all’abitare in una metropoli in cui gli sfratti «sono un’epidemia». Sawant ha parlato con Left da Nieuwpoort, nelle Fiandre, mentre partecipava al congresso del Committee for a Workers’ International di cui Socialist Alternative, l’organizzazione nella quale milita è parte. Si tratta di un’internazionale marxista rivoluzionaria, una tendenza trotskista :P che ha dentro un’organizzazione italiana: si chiama Resistenze internazionali.



Il dodicesimo congresso del Cwi ha deciso all’unanimità di adottare il nome International Socialist Alternative «che riflette la nuova fase nella quale ci troviamo come organizzazione anticapitalista mondiale in uno scenario dominato dalla crescente sfiducia nei confronti delle elites politiche ed economiche a livello mondiale. Questo cambiamento fa seguito ad un intenso dibattito sviluppatosi in tutta l’internazionale che, lo scorso anno, che ha visto la partenza di una piccola minoranza legati alla vecchia direzione divenuta incapace di analizzare correttamente la nuova fase e le nuove opportunità di crescita – – spiegano Giuliano Brunetti e Valeryia Parkhomenko, militanti a Genova – Resistenze Internazionali è un’organizzazione politica anticapitalista di giovani e lavoratori dentro ISA, presente in più di 30 paesi, con un forte radicamento sindacale e giovanile. In alcuni posti siamo un punto politico di riferimento di importanti lotte. Siamo una forza determinante nel sindacato belga; in Irlanda abbiamo due parlamentari e abbiamo diretto la lotta contro le Water Charges, in Sud Africa siamo stati alla testa della lotta dei minatori a seguito del massacro di Marikana. In Italia Resistenze Internazionali si batte per ricostruire un fronte politico dei lavoratori e della gente comune per dare una risposta anticapitalista alla crisi del sistema».



Dopo aver transitato, come altri soggetti, nella costruzione e nella successiva crisi di Potere al popolo, come esperienza inclusiva, questa organizzazione, che raccoglie alcune decine di militanti, partecipa ora al coordinamento delle sinistre di opposizione, scaturito da un’assemblea nazionale a Roma lo scorso 7 dicembre a cui Resistenze Internazionali ha preso parte assieme a settori consistenti del Prc, a Pc, Pcl, Sinistra Anticapitalista e altri. «Siamo dentro le campagne e nelle mobilitazioni a difesa dei diritti dei lavoratori e dei giovani – continuano i due militanti – in particolar modo lottiamo contro lo sfruttamento legalizzato rappresentato dai tirocini formativi e dall’alternanza scuola /lavoro. Abbiamo lanciato la campagna Stop Alternanza scuola lavoro e un sondaggio online per raccogliere le esperienze degli studenti che ha avuto un discreto successo. Siamo convintamente antifascisti e antirazzisti. Abbiamo recentemente autoprodotto un libro/inchiesta sulla crescita del neofascismo in Italia negli ultimi anni. Siamo attivi nei movimenti femministi contro la violenza di genere e per l’emancipazione delle donne. Per questo motivo abbiamo scritto e pubblicato un libro intitolato “Le donne e la lotta per il socialismo”. Allo stesso tempo ci battiamo per difendere l’ambiente ed il clima dalle devastazione ambientali prodotte dalla sete di profitto dei grandi capitalisti. Siamo attivi contro le guerre e le politiche imperialiste di spoliazione delle risorse da parte delle multinazionali internazionali. Ci battiamo per la solidarietà internazionale dei giovani e dei lavoratori e per una società socialista che superi l’economia di mercato e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo».



Socialist Alternative, negli States, è parte di quel movimento di massa che sostiene la corsa di Bernie Sanders alla nomination democratica. «È evidente che l’establishment del Partito democratico farà di tutto per mettere i bastoni fra le ruote a Sanders. È impossibile cambiare il Partito democratico dall’interno, perché è un partito che rappresenta gli interessi dei capitalisti – dicono ancora – Sanders dovrebbe uscire dal Partito democratico e dare vita ad un partito di sinistra indipendente in tutti gli Stati Uniti, alternativo tanto ai democratici quanto ai repubblicani. Non è fantascienza, ma questione di volontà politica».



La tesi di Resistenze Internazionali è che, negli USA ci sono le condizioni per far nascere un partito socialista di massa. «La società americana sta vivendo una forte radicalizzazione a sinistra, soprattutto fra i giovani: milioni di persone stanno cercando un’alternativa di sinistra ai due principali partiti borghesi, il Partito repubblicano e quello democratico. Prova ne è la crescita dei DSA (Democratic Socialist of America), organizzazione socialista e democratica che conta migliaia di militanti (Popoff ha tradotto l’intervista di Mediapart a Maria Svart), l’elezione della marxista Kshama Sawant al consiglio comunale di Seattle e la formazione di una forte sinistra interna allo stesso Partito democratico (basti pensare allo stesso Sanders e alla deputata Alexandra Ocasio Cortez). Negli Stati Uniti la parola socialismo non è più una parolaccia e anzi milioni di persone sono contro il capitalismo e cercano un’alternativa socialista!»
view post Posted: 3/3/2020, 10:03 La Serbia oggi - Esteri
Bologna 1.4.2020: Presentazione del libro "IN SERBO"
Un libro, uscito nel ventennale del bombardamenti, racconta quelle giornate drammatiche dal punto di vista di una bambina serba, legando nella narrazione memorie familiari e popolari alla riscoperta di suggestioni antiche della cultura di quel popolo
A noi sembra ieri, ma sono già passati 21 anni da quando una coalizione di paesi NATO, Italia inclusa, aggredì dall'aria ciò che rimaneva della Jugoslavia, per portarne a termine lo smembramento.

Il libro sarà presentato da Rosa D'Amico, vicepresidente della nostra Onlus alla presenza dell'Autrice Milica Marinković, a Bologna, mercoledì 1 aprile 2020
alle ore 17:30 presso la Biblioteca O.Tassinari Clò, Parco di Villa Spada, Via di Casaglia 7
view post Posted: 3/3/2020, 09:55 La Polonia va all’ultradestra che guarda a Washington - Esteri
No alla messa fuorilegge della stampa comunista in Polonia. Un appello
Un appello contro la criminalizzazione della stampa comunista in Polonia. Lunedi 2 marzo ci sarà un Sit in di protesta sotto l’ambasciata polacca:

“Esprimiamo la nostra solidarietà militante e internazionalista alle compagne ed ai compagni del Partito Comunista della Polonia, oggetto di un’ inaudita e continua persecuzione anticomunista, ad opera di un governo di estrema destra, attraverso riforme e modifiche alla legge nazionale in senso antidemocratico. Già alla fine del 2018, ci siamo mobilitati contro questa persecuzione, motivata dall’accusa rivolta contro i quadri e militanti comunisti di “promozione di un sistema totalitario”,

Oggi è in corso un processo giudiziario ai danni del comitato editoriale del quotidiano di partito “Brzask”, con una prima udienza prevista il 3 Marzo 2020. Nonostante la pronuncia di assoluzione precedentemente emessa dagli organi giudiziari, questa persecuzione anticomunista per via giudiziaria in Polonia continua da oltre 4 anni ed è un pezzo di una più generale campagna per la messa al bando del comunismo e del partito comunista.

Le modifiche al codice penale nazionale polacco – dell’art. 256 in particolare – hanno pienamente recepito questa offensiva anticomunista, equiparando il comunismo al nazismo e al fascismo, includendolo quindi tra i sistemi totalitari; vietando la stampa e la riproduzione dei simboli e delle parole d’ordine dei comunisti; inasprendo le pene carcerarie, da 2 a 3 anni, grazie al voto favorevole del parlamento polacco.

Dall’Italia rispondiamo all’appello alla solidarietà internazionalista e alla mobilitazione inviato dai compagni della Polonia, mobilitandoci con un presidio il 2 marzo 2020, davanti all’Ambasciata della Polonia a Roma in Via Rubens 20, dalle ore 15:30.
Denunciamo la grave violazione delle libertà democratiche e la persecuzione politica contro i comunisti; l’inaccettabile equiparazione del comunismo con nazismo e fascismo, quale vergognosa mistificazione reazionaria, oggi ampiamente sostenuta anche dalle istituzioni europee, dopo il vergognoso voto del Parlamento europeo di una risoluzione di questo segno avvenuto alcuni mesi fa.
Chiediamo, pertanto, la fine di questa inaudita persecuzione.”

Partito Comunista Italiano

Rete dei Comunisti
view post Posted: 28/2/2020, 07:32 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
Non necessariamente, a prescindere dal caso specifico, gli strumenti forgiati nel capitalismo sfruttati dal proletariato possono ritorcersi contro la stessa classe dei padroni.
view post Posted: 27/2/2020, 20:00 Partito Comunista - Partiti e movimenti comunisti
CITAZIONE (Kollontaj_2 @ 27/2/2020, 11:40) 
per me è una roba né carne né pesce, livellata verso il basso, con qualche slogan facilmente comprensibile alle masse, e nessun piano concreto per arrivarci, che rimane molto ambiguo sulla questione del potere, e che immagina di poter applicare queste misure sia con una via legale che con quella rivoluzionaria.
il punto è che con la via legale non ci arriviamo mai, e con quella rivoluzionaria, il programma sarebbe veramente arretrato, se si conquista il potere, perchè limitaci a una brutta socialdemocrazia, quando potremmo instaurare il socialismo vero?

Condivido in pieno! E riferendomi a quanto detto qualche tempo addietro, ribadisco che certi obiettivi strategici, espressamente dichiarati anche in altre occasioni, potrebbero essere particolarmente nocivi. Nel senso che, unitamente alla repressione proveniente dall'altra parte, contribuiscono a veicolare la rabbia nei soliti percorsi affatto integrati nella società borghese frutto dell'attuale sistema economico. Tuttavia, rimanendo sul programma, cosa dovrebbe scrivere Rizzo nella parte esecutiva? Compagni operai per realizzare gli obbiettivi è preliminarmente necessario che vi armiate di molotov? Insomma la spregiudicatezza non è di sicuro la via per il socialismo.
A onor del vero nel programma ci sono spunti interessanti come "E’ del tutto evidente che il perseguimento stesso di obbiettivi di questo tipo ponga all’ordine del giorno la questione del governo e del potere.
La battaglia di opposizione ai governi borghesi di qualsiasi tipo, per l’attuazione degli obbiettivi che il Partito si è dato in questa fase, dovrà essere condotta non tanto nelle aule parlamentari, quanto nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio e il suo esito dipenderà dalla capacità che il blocco sociale organizzato nel Fronte avrà di mettere in crisi qualsiasi governo borghese attraverso la lotta di massa, coinvolgendovi strati sempre più ampi di lavoratori, di giovani, di donne.

E' anche interessante la parte sulla piattaforma sindacale contenuta nel 2° documento congressuale. E io credo che la lotta sindacale possa fare molto in questo preciso periodo storico, e nello specifico mi riferisco ai lavoratori della logistica che oggi, se uniti, sarebbero portatori di una forza tale da incidere seriamente nel conflitto.
view post Posted: 25/2/2020, 12:53 Repressione e dintorni - Varie
Processo "Renzi" 27 febbraio - Basta processare le lotte!
In occasione della nuova udienza del processo per le contestazioni a Renzi nel 2016 - previsto per il 27 febbraio, dalle 9.30 alle 11 i rappresentanti dello Slai cobas per il sindacato di classe processati incontrano la stampa, fuori dal tribunale o presso l'aula del primo piano per commentare l'andamento della udienza e per rivendicare:

- la fine dei processi che riguardano lavoratori, rappresentanti sindacali e lotte sociali a Taranto e nel nostro paese

- l'abolizione dei decreti sicurezza per tutte le parti sia quelle razziste antimmigrati e anti ONG sia quelle che riguardano lotte sociali, blocchi stradali, libertà di sciopero e manifestazione

Slai cobas per il sindacato di classe Taranto
view post Posted: 19/2/2020, 11:54 Canada: blocchi contro la costruzione del nuovo Gasdotto. - Esteri
Ferrovie canadesi bloccate contro la costruzione di un gasdotto nei territori indigeni

Ormai da un paio di giorni vanno in scena in tutto il Canada blocchi ferroviari contro la costruzione di un nuovo gasdotto, il Costal GasLink Pipeline Project, all'interno dei territori indigeni del Wet'Suwet'en.

Il Wet'Suwet'en è una nazione a predominanza indigena che si trova nella Columbia Britannica, nel nord ovest del Canada. Gli abitanti del Wet'Suwet'en sono considerati un ramo del popolo Dakelh o Carrier. Il loro territorio si estende per circa 22mila kilometri quadrati. La nazione non è coperta da alcun trattato e da generazioni le popolazioni del Wet'Suwet'en vivono e si governano secondo le loro leggi. Già in passato si erano opposte con successo a condotte o progetti di altro tipo sul loro territorio, considerandone gli effetti nefasti per la salute e per l'ambiente.

La lotta contro il nuovo gasdotto, che sarebbe il più grande investimento privato di questo genere in Canada (intorno ai 6,6 miliardi di dollari), va avanti dal 2018 e ha visto diversi punti di frizione tra il governo federale e le popolazioni indigene. Con i blocchi stradali gli abitanti della nazione hanno cercato di impedire, tra fine 2018 e inizio 2019, l'avanzata delle compagnie petrolifere sul loro territorio. Il primo momento di rottura ha avuto luogo nel gennaio 2019 quando la polizia canadese ha imposto ai manifestanti di rimuovere un blocco dopo che un'ingiunzione giudiziaria era stata emessa a favore del Costal GasLink Pipeline Project.

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Nel dicembre 2019 poi la Corte Suprema canadese ha concesso alla GasLink un'ingiunzione allargata che gli permetteva di fatto di prendere completamente possesso dei territori interessati dalla costruzione della condotta e di rimuovere qualsiasi blocco sulla loro strada. Gli abitanti di Wet'Suwet'en per risposta hanno notificato un avviso di sfratto nei confronti dell'azienda poiché essa viola le leggi tradizionali e hanno rafforzato i blocchi interrompendo la viabilità stradale con tronchi e barricate.

Il 6 Febbraio la polizia ha iniziato ad attaccare i blocchi delle popolazioni indigene e ha arrestato 28 persone tra cui un capo ereditario della nazione. L'atteggiamento della polizia e gli arresti hanno fatto molto scalpore in tutto il Canada spingendo la gente a mobilitarsi in favore delle popolazioni del Wet'Suwet'en. Di fatto l'azione delle forze dell'ordine canadesi è stata letta come una sostanziale subalternità del governo e dei gestori dell'ordine pubblico alle compagnie private. Inoltre molti giornalisti durante gli sgomberi sono stati allontanati dai territori in questione per nascondere il modo in cui venivano condotte le operazioni. Dunque in tutto il paese hanno iniziato a fiorire iniziative in solidarietà con gli abitanti della nazione, tra occupazioni delle sedi istituzionali e blocchi ferroviari. Il Women's Coordinating Committee for a Free Wallmapu di Toronto riferisce che ieri ci sono stati 6 blocchi ferroviari in zone sensibili della rete canadese. A Tyendinaga e Kahnawake le popolazioni Mohawk si sono attivate per interrompere il traffico dei treni, così come a Listuguj i Mik'maq, a New Hazelton, a Squamish e ad Halifax. A Winnepeg oltre 400 persone hanno bloccato la strada e ad Ottawa, Toronto e Victoria giovani ed indigeni hanno occupato alcune sedi di uffici istituzionali tra cui il Ministero della giustizia federale. Le iniziative stanno coinvolgendo anche i molti giovanissimi impegnati nelle lotte per la giustizia climatica in tutto il Canada.

Fonte: Infoaut
view post Posted: 3/1/2020, 18:41 Iraq, assaltata l'ambasciata USA - Esteri
Più che sulla questione geopolitica mi concentrerei maggiormente sui risvolti che questa azione potrebbe comportare sotto il profilo della lotta di classe e della lotta antimperialista. Insomma, questa è una dichiarazione di guerra bella e buona, espressa e non più "sommersa, il cambio di passo pare evidente a tutti. E' ragionevole pensare che i popoli sentano maggiormente l'aggressione, anche lì, dove la situazione era relativamente più distaccata. Ed inoltre, una variazione quantitativa come l'aumento delle operazioni condotte dall'esercito iraniano e dei suoi alleati nei luoghi già citati cosa potrebbe comportare? Forse, un rafforzamento della lotta antimperialista e della resistenza, auspicabilmente condotta, sempre in maggior numero, sotto altri vessilli. Non mi auguro certo la guerra come innesco per la rivoluzione, ma la situazione è già questa e per certi aspetti offre l'opportunità per il proletariato di organizzarsi ed armarsi, operazione che ritengo essere più difficoltosa in tempi di "pace", per le ben note ragioni! In ogni caso gli anelli deboli dell'imperialismo sono ormai parecchi.
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