Rispondo a questa discussione per mettere un punto, anche perché è stato citato il me passato e revisionista. Prendetela come un'autocritica dato che le tesi che andrò ad esporre(non certo originali
) sono in totale contrapposizione con le mie tesi idealistiche passate.
Il problema massimo della filosofia(di tutta la filosofia) non è solo la sua tendenza conservativa presa in se stessa(alla maniera degli ideologi della classe dominante) poiché questa tendenza può essere dichiarata(filosofi dalla parte delle classi dominanti esistite nella storia) o essere una conseguenza che contraddice le intenzioni(penso all'illuminismo). Ovvero: un filosofo può pure avere tutte le intenzioni "rivoluzionarie" di questo mondo(pensiamo ad un Rousseau), ma in realtà limitarsi ad interpretare(seppur diversamente dalle classi dominanti) il mondo, senza saperlo né poterlo trasformare. E questo avviene in tutta la filosofia per via del suo stesso procedere: è un problema interno risolvibile solo con un suo superamento(quale è il marxismo-leninismo-maoismo).
Ecco il problema massimo della filosofia: il suo collocarsi esclusivamente sul piano sovrastrutturale, ideologico. Le sue battaglie sono solo battaglie sovrastrutturali, senza ripercussioni pratiche materiali derivate.
Per la filosofia la lotta si confina nel mondo delle idee. La filosofia pensa che il semplice cambiare le idee(interpretazioni del mondo) produrrà paralleli cambiamenti materiali(trasformazioni del mondo). Penso ad esempio a Fichte il quale pensava che la sua "Dottrina della Scienza"(se recepita) avrebbe prodotto effetti storici e politici per via di una rinnovata coscienza, il tutto slegato dal movimento reale(vittoria fichtiana del soggetto sul mondo). O penso ad Hegel che pensava che la Riforma Luterana fosse il parallelo tedesco della rivoluzione avvenuta in Francia e rendesse quindi superflua - in Germania - una rivoluzione politica come quella francese.
E questo lo si vede anche nella filosofia borghese recente. Penso a Severino il quale credeva che la filosofia(ideologia, sovrastruttura) avesse determinato il procedere del capitalismo e dell'epoca presente(era solito parlare di sottosuolo filosofico, rovesciando i termini marxisti: la sovrastruttura diventava struttura e viceversa).
Ma perché questo? Perché tutta la filosofia é intrinsecamente metafisica, idealistica; anche quella materialistica(pre-marxista, non dialettica) ha dei vizi idealistici, anche il materialismo di Feuerbach(come scrive Engels in
"Ludovico Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca").
Scrive Engels - nell'opera sopracitata - riguardo il materialismo settecentesco:
《La seconda ristrettezza specifica di questo materialismo consisteva nella sua incapacità di concepire il mondo come un processo, come una sostanza soggetta a una evoluzione storica. Ciò corrispondeva allo stato delle scienze naturali di quel tempo e del relativo modo di filosofare metafisico, cioè antidialettico.》E questo vizio antidialettico in cosa consiste? In questo: nel vizio della
ipostatizzazione, del prendere un elemento storico, determinato, sfilarlo dalla storia e renderlo categoria eterna o sostanza eterna compiuta in se stessa. Un vizio antidialettico e perciò metafisico. Pensiamo alla categoria filosofica illuminista di "diritti dell'uomo"(decostruita da Marx ne
"La questione ebraica" ad esempio) o pensiamo alla categoria filosofica di "libertas" degli stoici. Un elemento storico viene eternizzato, sparato nel cielo delle idee e fatto scontrare con altre idee(anch'esse in realtà derivanti dal vivo materiale storico determinato). E di nuovo: lotte tra idee, lotte ideologiche eterne. E quindi produzione - al massimo - di etiche contrapposte ad altre etiche, posizioni morali contrapposte ad altre posizioni morali. Pensiamo alla riduzione dello sfruttamento a semplice questione morale praticata da tanta parte dei socialisti utopisti e le loro parole d'ordine sull'uomo in quanto uomo. Tutte categorie ideali, scontri tra idee, scontri celestiali. E tutto questo mentre il filosofo è convinto di riferirsi non ad idee, ma a cose reali. Un inganno ideologico, un ribaltamento.
Anche il materialista settecentesco - in realtà - considerando la natura in maniera antidialettica, finisce per parlare di cose compiute in se stesse, ovvero delle idee di cose(idee di una certa fase determinata, che ha avuto un inizio e avrà una fine) che in realtà sono tutt'altro che compiute. E lo stesso fa il materialista pre-marxista in campo politico e morale: il più delle volte si limita a contrapporre visioni morali a visioni morali(sempre campo delle idee) o - come nel caso di Feuerbach - a contrapporre una religione(dell'amore sessuale etc) ad un'altra religione. Per lo stesso Feuerbach la storia è la storia di mutamenti religiosi. Insomma, morali(elementi sovrastrutturali) giudicate come più naturali/umane contrapposte ad altre morali(giudicate come impositive, innaturali, religiose). Siamo sempre nel campo delle idee.
Ecco perché - allontanandoci dal semplice materialismo pre-marxista - l'Illuminismo al massimo produsse una critica all'ideologia dominante del tempo, ma non diede mai indicazioni utili per una pratica rivoluzionaria. Fece al massimo delle critiche ideologiche alla sovrastruttura giuridica, ma non vide la struttura economico-sociale da cui quella sovrastruttura giuridica sorgeva o quantomeno non vide questo rapporto di derivazione o - se lo vide - non lo vide in maniera storica, dialettica, come parte di uno sviluppo, ma si limitò a fissare nel cielo alcuni elementi e a farli combattere solo idealmente(penso a Rousseau, seppur questo lo portò comunque a geniali intuizioni: intuizioni però, non scienza). Contrappose sovrastrutture giuridico-politiche ad altre sovrastrutture ideologico-politiche, senza indicare come produrle praticamente.
Insomma, la filosofia illuminista al massimo andò dietro le azioni rivoluzionarie della borghesia del tempo, diede loro il battesimo ideologico, diede loro una giustificazione ideologica, ma non le diresse, non diede indicazioni per la prassi, non elaborò una teoria per la prassi: si limitò a giustificare ideologicamente una prassi già avvenuta o annunciata. Niente di più. Fu il concentrato ideologico delle spinte più progressive della borghesia del tempo, la faccia ideologica degli interessi materiali di classe della borghesia del tempo: non una scienza per la sua prassi, ma una giustificazione ideale di interessi materiali. E in quanto giustificazione ideologica funse da molla soggettiva per l'azione, alzó il morale alle truppe, spinse all'azione in maniera del tutto morale, soggettiva, ma non indicò di certo come intraprendere realmente la pratica rivoluzionaria. Non fu scienza per la prassi rivoluzionaria, ma caricò solo "gli spiriti" spingendoli all'adesione, giustificando ideologicamente una prassi rivoluzionaria da lei non realmente/scientificamente guidata.
Ecco perché il marxismo è il superamento dell'atteggiamento filosofico, il suo rovesciamento.
Nel marxismo certo esiste anche uno scontro ideologico: l'ideologia del proletariato cosciente contrapposta a quella della borghesia. Visioni del mondo contrapposte. Visione del mondo che però è forza ideale-materiale finalizzata alla trasformazione dell'esistente, al superamento materiale di contraddizioni materiali, allo sviluppo materiale di tendenze e necessità assolutamente materiali. Non è uno scontro ideologico e basta. Il marxismo è scienza per la prassi rivoluzionaria(e in questa prassi rientra anche l'ideologia di partito: la lotta ideologica è finalizzata alla prassi partitica e non ai salotti o alla contemplazione), guida scientifica per la rivoluzione, analisi concreta del contesto concreto al fine di guidare una prassi concreta. Scienza che si misura con la prassi, si corregge con la prassi. La filosofia - invece - costruisce sistemi, si misura al massimo con le contraddizioni interne a quel sistema, contraddizioni di tipo logico, ideale, cerca una verità idealmente non contraddittoria, senza misurarne la reale verità tramite la prassi ed è spesso incline a piegare i fatti al sistema, pur di conservare il sistema.
Conclusione:Ho scritto quanto ho scritto per chiarire le mie posizioni e smarcarmi da quelle passate e anche per espandere ulteriormente gli interventi del compagno
Primomaggio che secondo me parlando della filosofia come giustificazione poteva essere frainteso da taluni "filosofi" che credono di potersi smarcare dall'accusa semplicemente dicendo: "ma io non giustifico affatto". La giustificazione diretta dell'esistente è solo una delle due forme di giustificazione operata dalle ideologie filosofiche, almeno secondo me. La filosofia può operare due tipi di giustificazione: quella diretta e quella indiretta. Giustificazione
diretta è quella delle filosofie delle classi dominanti. Giustificazione
indiretta è quella delle filosofie anche "rivoluzionarie", ma che essendo filosofie, si limitano solo ad interpretare il mondo in maniera contraria a come esso si presenta, senza di fatto trasformarlo praticamente. Quindi lo giustificano/conservano nella misura in cui la loro critica è solo ideale, inconcludente. Ovvero: a volte una filosofia é conservativa non tanto perché si ponga come obiettivo la conservazione dell'esistente, ma perché pensa - errando - di poter cambiare l'esistente semplicemente contrapponendo - all'interpretazione del mondo dominante e all'esistente stesso - un'altra interpretazione del mondo. O di contrapporre un sistema politico - che esiste solo nel cervello dei singoli filosofi - ad un sistema politico esistente che sorge da una precisa e determinata struttura economico-sociale. O di imporre al movimento reale delle masse un progettino ideale creato a tavolino. Risultato: ovviamente non trasforma il mondo e si limita a scontri puramente ideologici, sovrastrutturali. È conservativa suo malgrado, giustifica l'esistente in quanto ogni sua pretesa risulta inconcludente rispetto ad una trasformazione dell'esistente medesimo.
Certo, una filosofia può essere giustificatrice anche perché - pur con intenti "rivoluzionari" - in realtà conserva e addirittura esaspera l'esistente. Si pensi alle proposte piccolo-borghesi di Proudhon.
O perché inneggiando a rivoluzioni pacifiche, nega in realtà ogni possibilità rivoluzionaria, fungendo così da giustificazione indiretta e mascherata dell'esistente: si pensi al socialismo utopistico.
Il marxismo - come scriveva Primomaggio - distrugge l'involucro giustificazionista e libera il nucleo rivoluzionario delle tre più avanzate filosofie(il socialismo critico-utopistico francese, l'economia politica borghese inglese e l'idealismo classico tedesco). Superamento, non semplice distruzione. Ma il superamento è superamento, non continuitività progressiva e meccanicistica(come pensano i tanti Preve che sorgono come funghi) quindi ogni tentativo di imbastardire(come feci io in passato) il marxismo con i metodi, gli approcci e le tesi idealistiche della filosofia, è un tentativo che maschera un antimarxismo volto al compiere cento passi indietro, tornando all'utopia - se va bene - o alla reazione pura e semplice - il più delle volte - in definitiva ad abbandonare la scienza, ad abbandonare il marxismo.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi pare di aver scritto l'essenziale e di essermi - anzi - dilungato troppo.