Comunismo - Scintilla Rossa

Trotskismo: controrivoluzione mascherata (1935), Moissaye J. Olgin

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Sandor_Krasna
view post Posted on 6/1/2015, 02:35 by: Sandor_Krasna
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7. Il Partito Comunista

Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che taluni dei nostri si mettono a gridare: “Andiamo nel pantano!”. E, se si incomincia a confonderli, ribattono: “Che gente arretrata siete! Non vi vergognate di negarci la libertà d’invitarvi a seguire una via migliore?”. Oh, sì, signori, voi siete liberi non soltanto di invitarci, ma di andare voi stessi dove volete, anche nel pantano; del resto pensiamo che il vostro posto è proprio nel pantano e siamo pronti a darvi il nostro aiuto per trasportarvi i vostri penati. Ma lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la nostra grande parola della libertà, perché anche noi siamo “liberi” di andare dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso. (Lenin, “Che fare?”, Opere complete, vol. V, p. 326)

Con queste splendide parole, nel 1902 Lenin descrisse il significato della disciplina rivoluzionaria proletaria per il Partito Bolscevico. Il Partito è un’associazione volontaria di persone che accettano di perseguire lo stesso obiettivo e combattere lo stesso nemico. Per essere più efficaci, devono mantenere l’ordine tra i loro ranghi. Tollereranno differenze di opinioni ma insisteranno sull’unità di azione. Il singolo in disaccordo con una decisione è libero di andarsene, ma finché è membro non deve seguire la propria strada in contraddizione con quella del Partito. La libertà di opinione esiste finché il Partito non ha definito la posizione collettiva. Una volta che questa è stabilita, le opinioni contrarie a quella del Partito non devono essere diffuse, perché si causerebbe una spaccatura. Maggiori sono l’unità e la coesione tra i membri del Partito, maggiori saranno le possibilità di successo.
Tutto questo è così evidente che non c’è bisogno di sottolinearlo, ma evidentemente per Trockij non è così. Dai primi giorni della sua carriera egli ha sviluppato un odio particolare per l’organizzazione del Partito Bolscevico, per la disciplina bolscevica, per l’unità bolscevica di pensiero e azione. Su questa base ha lottato contro Lenin per quattordici anni, contro Stalin per dodici, e oggi lotta contro l’Internazionale Comunista.
Accadde dopo il Secondo Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, che segnò la grande divisione tra bolscevichi e menscevichi. I bolscevichi guidati da Lenin proposero e affermarono la decisione di fondare un autentico Partito Bolscevico dove ogni membro sarebbe stato sotto il controllo dell’organizzazione e avrebbe svolto il suo lavoro secondo quanto stabilito dal piano centrale. I menscevichi, fedeli alla loro natura riformista, proposero un’organizzazione più libera in cui ciascuno sarebbe stato effettivamente libero di fare ciò che voleva. Trockij si schierò con i menscevichi. In un opuscolo pubblicato nel 1903 disse del Congresso:

I morti dettarono il loro volere ai vivi. Ci offrirono come pagamento una fattura da usuraio per i debiti del passato recente, e la storia, con la spietatezza di uno Shylock, chiedeva carne dall’organismo vivente del Partito. Una maledizione! Dovemmo pagare. […] Ovviamente non intendiamo negare qui la responsabilità personale del compagno Lenin durante il Secondo Congresso del POSDR. Quest’uomo, con l’energia e il talento che gli sono naturali, recitò la parte del disorganizzatore di partito. (Lev Trockij, Il Secondo Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, rapporto della delegazione siberiana, p. 11)

Abbiamo tutto in poche righe. Trockij maledice la decisione di fondare un vero Partito Bolscevico ben organizzato. Lenin per lui è il disorganizzatore del Partito perché ha insistito per un’organizzazione in cui la marmaglia piccolo-borghese e gli intellettuali individualisti con programmi vanesi e tattiche testarde non avranno spazio. Trockij ripudia il centralismo, pensa che abbia un significato “puramente formale”. In particolare lo irrita l’affermazione di Lenin che il proletariato sia più incline alla disciplina rispetto agli intellettuali con il loro individualismo anarchico.
In un altro opuscolo dello stesso periodo scrive:

Che indignazione ti prende quando leggi quelle terribili e deliberate menzogne demagogiche [di Lenin]! Il proletariato, quello stesso proletariato che ti hanno detto giusto ieri essere naturalmente portato verso il sindacalismo, già oggi è chiamato a dare lezioni di disciplina politica! E a chi? A quella stessa intelligencija che, secondo lo schema di ieri, aveva il compito di portare il proletariato alla coscienza di classe, alla coscienza politica! Ieri il proletariato strisciava ancora nella polvere, oggi è stato elevato a un’altezza inattesa! Ieri l’intelligencija era portatrice della coscienza socialista, oggi il guanto di sfida della disciplina di fabbrica è gettato contro di essa! E questo è marxismo! E questo è pensiero socialdemocratico! In verità è impossibile trattare con maggiore cinismo il miglior patrimonio ideologico del proletariato di quanto faccia Lenin! (Lev Trockij, Il nostro compito politico, 1904, p. 75)

Trockij non riesce a capire le basi dell’approccio marxista al proletariato e all’intelligencija. Una delle idee basilari del marxismo è che senza un Partito Comunista il proletariato sarà spinto verso il mero sindacalismo. Il Partito Comunista rappresenta l’avanguardia della classe proletaria, i suoi elementi migliori, la sua parte più coraggiosa e intelligente. Perciò la conoscenza di quella parte dell’intelligencija che si è identificata con i proletari è molto importante. Questo tipo di intelligencija aiuta a dare forma all’ideologia proletaria. Non c’è contraddizione nell’idea che, mentre la portatrice della teoria e della pratica rivoluzionarie è l’avanguardia del proletariato, anche gli intellettuali rivoluzionari hanno un ruolo importante in questa avanguardia. Ed è una verità evidente che il proletariato è più incline alla disciplina, che capisce meglio il significato della disciplina rispetto all’intelligencija piccolo-borghese che può simpatizzare con il movimento dei lavoratori ma non si identifica con i proletari.
Si noti con quale disprezzo Trockij parla del proletariato che dà lezioni di disciplina politica all’intelligencija. Non era un caso. Trockij prende sotto la sua protezione l’intelligencija piccolo-borghese, e sottolinea ripetutamente che gli studenti e gli altri intellettuali possono avere un’importanza maggiore per la rivoluzione dei rivoluzionari di professione (coloro che si dedicano interamente alla rivoluzione, come li descrisse Lenin). Si noti anche l’odio per Lenin:

Non è un caso ma un sintomo rivelatore che il leader dell’ala reazionaria del nostro Partito [corsivo nostro], il compagno Lenin, che difende i metodi tattici di un giacobinismo caricaturale, è stato psicologicamente obbligato a dare una definizione della socialdemocrazia che non rappresenta altro che un tentativo teorico di distruggere il carattere di classe del nostro Partito. Sì, un tentativo teorico non meno pericoloso delle idee politiche di Bernstein [il leader dell’estrema destra revisionista della socialdemocrazia]. (Ibid.., p. 98)

Lenin, il leader dell’ala reazionaria del Partito Socialdemocratico! Queste parole dovrebbero essere marchiate a fuoco sulla fronte di Trockij.
Per i trent’anni successivi ha definito i bolscevichi l’ala reazionaria, i burocrati, i dittatori sul proletariato, i frazionisti. Nel 1904 affermò che Lenin stava preparando “una giustificazione filosofica per la scissione del Partito che ha cospirato al fine di mantenere e consolidare i resti del suo esercito”.
Questa è la definizione classica di bolscevismo a cui ancora oggi è attaccato:

Il regime da caserma non può essere il regime del nostro Partito proprio come le fabbriche non possono esserne l’esempio. Questi metodi porteranno a una situazione in cui l’organizzazione del Partito sostituirà il Partito, il Comitato Centrale sostituirà l’organizzazione, e alla fine il “dittatore” sostituirà il Comitato Centrale. […] I commissari prenderanno tutte le decisioni mentre “il popolo starà in silenzio”.

Questo è il modo in cui Trockij intende l’organizzazione del Partito Bolscevico.
Gli anni sono passati. Trockij è entrato nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica e ha lottato sotto la direzione di Lenin. È stato elevato a incarichi importanti. Ha visto il Partito Comunista in azione come guida del proletariato in una Rivoluzione vittoriosa su un sesto della superficie del mondo. Ha visto lo stesso Partito combattere una gloriosa battaglia storica durante la guerra civile per quasi tre anni. Ha visto il Partito Comunista lavorare mano nella mano con le masse contadine, assicurandosi così la vittoria della Rivoluzione. Ha visto gli inizi del periodo della ricostruzione quando, da un paese quasi devastato, il proletariato ha iniziato a costruire un nuovo sistema industriale che doveva gettare le basi del socialismo. Ha visto ciò che ha reso possibile la vittoria: iniziativa dal basso, flussi di energia creativa aperti dalla dittatura del proletariato e diretti in modo pianificato dal Partito Comunista.
Questo Partito è stato guidato per tutto il tempo dal grande maestro, Lenin, che ha dedicato la maggior parte delle sue enormi forze al problema della costruzione del Partito. Tra il 1923 e il 1924 il Partito stava iniziando a orientarsi lungo le linee della ricostruzione economica e si volgeva verso nuovi obiettivi. Stava cambiando la sua psicologia da un tempo di guerra a un tempo di pace relativa. Gli obiettivi del tempo di pace erano spesso molto più difficili dei precedenti. Gli assestamenti personali e organizzativi furono compiuti non senza contrasti. La gestione degli affari industriali non fu sempre efficiente. L’organizzazione interna al Partito non lavorò sempre con facilità, non poteva farlo. Il Partito era cresciuto. Era un partito proletario diretto verso la prima dittatura del proletariato al mondo. Imperfezioni nella sua organizzazione e squilibri nel suo funzionamento erano inevitabili.
Il Partito possedeva abbastanza democrazia interna, autocritica, flessibilità e coraggio per riconoscere quelle mancanze e correggerle?
Non possiamo riassumere qui la storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Basti ricordare la Tredicesima Conferenza del Partito, che si svolse nel gennaio 1924. La situazione interna fu ampiamente discussa. Vennero dibattute, acutamente e con vigore, questioni come le differenze nelle situazioni materiali dei membri, i loro legami con elementi borghesi e le influenze ideologiche di questi ultimi, le divisioni interne che dovevano essere distinte dalla necessaria specializzazione e che tendevano a indebolire i rapporti tra comunisti impegnati in diversi ambiti di lavoro, il pericolo di perdere di vista la prospettiva dell’edificazione socialista complessiva e della rivoluzione mondiale, i pericoli della degenerazione della NEP da parte di lavoratori venuti a stretto contatto con l’ambiente borghese, la burocratizzazione degli apparati di Partito e la minaccia di una separazione dal proletariato che ne conseguiva.
La Conferenza fece una descrizione completa della situazione. Era allarmante? Non c’era ragione di allarmarsi. Le manchevolezze non mettevano realmente in pericolo l’esistenza del Partito Comunista. Il suo corpo era solido, la sua ideologia corretta, le fonti della sua vitalità inesauribili. Quelle fonti erano le masse proletarie dell’Unione Sovietica, e verso quelle masse fu guidato il Partito. La Conferenza dichiarò che “la fiducia delle masse proletaria nel Partito è cresciuta” e definì “compito fondamentale” del Partito “reclutare nuovi membri tra i lavoratori eletti”.

È compito dell’organizzazione del Partito dedicare un’attenzione particolare proprio a questa categoria di lavoratori, fare tutto il possibile per non allontanarli dal lavoro produttivo, aiutarli a elevare il loro livello culturale e favorire in ogni modo la possibilità di un’autentica partecipazione in tutti gli affari del Partito. L’allargamento del nucleo proletario del Partito deve costituire nei mesi a venire uno dei compiti più importanti di tutte le sue organizzazioni. (Risoluzione della Tredicesima Conferenza del Partito Comunista (Bolscevico) Russo)

Trockij era presente a quella conferenza. Ebbe tutte le opportunità di presentare le sue critiche e offrire i suoi rimedi. Non obiettò alla risoluzione, che fu adottata all’unanimità. Ma quando tutto era finito pubblicò un opuscolo dal titolo Il nuovo corso, una bordata contro il Partito Bolscevico e i suoi leader più anziani. Il suo urlo di battaglia era “degenerazione”. In questo opuscolo si finge il paladino dei membri più giovani contro quelli che erano stati in clandestinità prima della Rivoluzione. Afferma curiosamente che sarebbero gli studenti il “barometro” della Rivoluzione (e non i proletari o i proletari-comunisti)! Alla buona e vecchia maniera dichiara che “il Partito vive su due piani: a quello superiore decidono, a quello inferiore si apprende soltanto la decisione”. Parla di “autocompiacimento burocratico e ignoranza degli umori, pensieri e richieste del Partito”. Arriva a parlare di una “degenerazione opportunistica” dei vecchi membri. Di nuovo ha paura, come vent’anni prima, che l’“apparato”, il Comitato Centrale, stia sostituendo il Partito.
Trockij avanzò un programma diverso da quello della Conferenza? Poteva avanzarne uno? Non aveva un programma suo, eccetto un punto che dev’essere discusso in dettaglio. Chiese “libertà di raggruppamento” dentro il Partito Comunista. In realtà quello che chiedeva era la libertà di scindere il Partito in numerosi sotto-partiti in lotta fra loro, ciascuno capace di imporre ai membri la propria disciplina. Non abbandonò mai la concezione del Parlamento nei paesi capitalisti.
È ovvio che un Partito così scisso non può guidare una rivoluzione.
Lenin era ancora vivo quando Trockij iniziò la sua opposizione, ma quest’ultimo lanciò un attacco contro il leninismo già a quel tempo. Disse che il partito Comunista stava “trasformando il leninismo da metodo, l’applicazione del quale richiede iniziativa, pensiero critico, coraggio ideologico, in un dogma che richiede soltanto interpreti scelti una volta e per sempre”.
Non era la situazione nel Partito a dettare il “nuovo corso” di Trockij, né le mancanze dell’apparato. Erano l’influenza della piccola borghesia esterna al Partito e la sua ostilità al bolscevismo che trovavano voce nella bordata di Trockij. Era la contro-rivoluzione. Se fosse stato realmente preoccupato per la Rivoluzione avrebbe smesso con le critiche subito dopo la morte di Lenin, quando nel giro di poche settimane un quarto di milione di lavoratori dalle fabbriche e dagli stabilimenti si riversarono nel Partito Comunista per sostituire, come dicevano, la guida di Lenin con una leadership collettiva dei lavoratori. Trockij non si fermò. Affilò i suoi attacchi e formò una fazione all’interno del Partito. Attraverso la propaganda di quella fazione danneggiò l’unità e la potenza del Partito.
La Tredicesima Conferenza del Partito Comunista dell’Unione Sovietica definì la sua opposizione “non soltanto un allontanamento diretto dal leninismo, ma anche la chiara espressione di una discesa piccolo-borghese”.
Gli anni passano. Il Partito Comunista va di vittoria in vittoria. I suoi obiettivi crescono. Il suo lavoro assume proporzioni gigantesche. Il suo equipaggiamento teorico diventa più profondo e ampio, la sua unità più forte. È un monolite. La “catastrofe” prevista da Trockij nel 1924 non si è materializzata. L’accusa di essere un partito degli uomini della NEP e dei kulaki è stata spazzata via e ridicolizzata dagli sviluppi successivi. Eppure Trockij mantiene lo stesso atteggiamento verso il Partito Bolscevico che aveva nel 1904, nel 1914 e nel 1924. Solo che invece di Lenin ora ha un nuovo bersaglio: Stalin.
Trasferisce il suo attacco all’organizzazione del Partito Bolscevico in campo internazionale. Il centralismo, oggi come ieri, è talmente ripugnante alle sue concezioni mensceviche che vede in esso la distruzione del Partito. L’Internazionale Comunista e i Partiti Comunisti che ne costituiscono le sezioni nazionali sono tanto detestabili per lui a causa della loro organizzazione bolscevica quanto detestabile era il Partito Bolscevico con Lenin. Usa le stesse invettive contro l’Internazionale Comunista che erano diventate abituali nei suoi attacchi al Partito nella Russia pre-rivoluzionaria. E lo fa sempre a nome della “democrazia interna al Partito” e della “libertà di critica” che non vengono negate a nessuno nell’Internazionale Comunista.
In uno dei suoi libri Karl Marx cita il filosofo tedesco Hegel dicendo che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte[2]. Marx disse che Hegel si era dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Le prediche di Trockij contro il metodo bolscevico di organizzazione non sono mai state un evento della storia universale, ma se il suo primo attacco pareva avere i tratti della tragedia e il secondo quelli della farsa, allora cosa sono il terzo, il quarto e il centesimo? Si direbbero grotteschi se non fosse per la sostanza controrivoluzionaria.
Ciò che segue è la spiegazione più coerente del perché il metodo bolscevico dell’organizzazione sarebbe sbagliato che si possa trovare nei suoi scritti:

Il bolscevismo si è sempre contraddistinto per una concretizzazione storica nell’elaborazione delle forme organizzative, ma non mediante schemi spogli. I bolscevichi cambiarono la propria struttura organizzativa a ogni transizione da una fase a un’altra. Ora, al contrario, uno e un solo principio di “organizzazione rivoluzionaria” viene applicato al potente Partito della dittatura del proletariato come al Partito Comunista Tedesco, che costituisce un serio fattore politico, al giovane Partito Cinese, che è stato immediatamente trascinato nel vortice delle lotte rivoluzionarie, e infine anche al Partito degli Stati Uniti, che in realtà è soltanto un piccolo circolo di propaganda. (Lev Trockij, Strategia della rivoluzione mondiale, 1930, pp. 74-75)

Non una sillaba è vera in tutta questa “teoria”. Trockij fa credere di lottare per forme organizzative adeguate, mentre in realtà sta lottando contro i principi organizzativi fondamentali del bolscevismo. È contro l’essenza stessa dell’organizzazione bolscevica, che consiste nell’avere un Partito indiviso, una linea di Partito, una politica, una guida, mentre le forme di organizzazione e i metodi di lavoro variano al variare delle condizioni. Si dimentica comodamente di essersi sempre opposto all’organizzazione bolscevica che ora finge di elogiare. È rimasto sempre l’individualista piccolo-borghese, erede dell’odio del “padrone di casa” (come disse Lenin) nei confronti dell’organizzazione proletaria.
Qual è il principio dell’organizzazione bolscevica? È il centralismo democratico.

Il centralismo democratico del Partito Comunista deve essere un’autentica sintesi, una fusione di centralismo e democrazia proletaria. Questa fusione può essere raggiunta soltanto sulla base di una continua azione comune, una continua lotta comune dell’intera organizzazione. In un Partito Comunista la centralizzazione non significa una centralizzazione formale e meccanica, ma la centralizzazione dell’azione comunista, cioè la formazione di una guida forte, dotata di un potere solido, e flessibile. […] Soltanto i nemici del comunismo possono affermare che il Partito Comunista, mediante la guida della lotta di classe proletaria e la centralizzazione di questa leadership comunista, aspira a dominare sul proletariato rivoluzionario. Questa è una menzogna. (Tesi del Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista)

Il centralismo democratico permette la massima flessibilità, la massima unità, il massimo potere. I principi organizzativi del bolscevismo non sono un dogma morto ma una forza viva e animante.

Il Partito del marxismo rivoluzionario nega nei suoi principi la ricerca di una forma assolutamente corretta di organizzazione adatta a tutte le fasi del processo rivoluzionario, o di metodi assolutamente corretti per il suo lavoro. Al contrario, la forma organizzativa e i metodi di lavoro sono interamente determinati dalle peculiarità di una data situazione storica concreta e dagli obiettivi che sorgono direttamente da quella situazione. (Risoluzione del Decimo Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, 1921)

Questi sono i principi guida dell’organizzazione bolscevica nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica e nel Partiti Comunisti dei paesi capitalisti. I Partiti sono diversi in forza ed esperienza, negli obiettivi concreti di fronte a loro, ma sono uniti nel loro scopo e nei principi della loro organizzazione. I bolscevichi insistono ovunque sulla completa unità ideologica, che significa accordo di tutti i Partiti sui principi e le tattiche di base. In tutte le fasi di sviluppo i Partiti Bolscevichi mantengono una stretta disciplina, che non è meccanica ma basa sulla comprensione da parte di ogni membro di ciò che deve essere fatto e perché. I principi bolscevichi si sono rivelati solidi e fruttuosi per l’organizzazione del proletariato nei paesi più avanzati e in quelli più arretrati. Questi sono i principi essenziali della formazione di battaglia, perché la vita del Partito Comunista non è mai quella di pace, dato che anche in tempi relativamente pacifici esso guida la lotta di classe che ha sempre, in un modo o nell’altro, gli elementi di una guerra civile.
Le cellule e le sezioni di Partito, fondamenta dell’organizzazione bolscevica, sono gli strumenti del proletariato avanzato prima, durante e dopo la rivoluzione. Esse garantiscono il massimo adattamento alle condizioni e la massima unità di azione. Se Trockij non riesce a capire perché questi fondamenti dell’organizzazione rivoluzionaria sono applicabili sia in Unione Sovietica e in Germania sia nel Partito Cinese, è una sua sfortuna. Ma questo non toglie che essi abbiano avuto successo sotto tutte le condizioni. Se Trockij si riferisce al Partito Comunista degli Stati Uniti, si sbaglia e basta. Proprio perché l’Internazionale Comunista non intendeva permette a quel Partito di essere “un piccolo circolo di propaganda”, essa ha insistito a basarlo sulle cellule e a far crescere le sezioni. Un circolo di propaganda non ha bisogno di un apparato bolscevico. Ma un Partito d’azione, un Partito Bolscevico che guida le masse nella lotta di classe, deve possedere un apparato radicato nelle masse e capace di muoverle grazie allo stretto contatto con esse nella lotta per i loro bisogni quotidiani. Le cellule e le sezioni non sono organizzazioni isolate nei loro circoli e separate dagli altri lavoratori. Devono essere le nervature in ogni fabbrica, miniera e organizzazione di lavoro, devono difendere i diritti fondamentali dei lavoratori, stare in prima linea in ogni lotta e diventare così la guida delle masse.
È ovvio che questa organizzazione non è ben organizzata e disciplinata, non sarà in grado di svolgere il suo compito.
“Lenin mise in guarda senza sosta sugli eccessi del centralismo”, dice Trockij. Ovviamente Lenin mise in guardia contro il centralismo formale, che non è una sintesi di centralismo e democrazia proletaria. Ovviamente mise in guardia contro il centralismo meccanico e chiese una connessione viva tra la leadership del Partito e i militanti da un lato, e tra il Partito e le ampie masse proletarie dall’altro. Ma chiese anche disciplina. Questo è ciò che scrisse nelle condizioni di ammissione al Comintern:

Nell'epoca attuale di aspra guerra civile il Partito Comunista potrà assolvere il suo dovere soltanto se sarà organizzato nel modo più centralizzato, se in esso dominerà una disciplina ferrea, confinante con la disciplina militare, se il centro del Partito sarà un organo autorevole di potere, dotato di ampi poteri, e godrà della fiducia generale degli iscritti al Partito. (Lenin, “La fondazione dell’Internazionale Comunista”, Opere complete, vol. XXVIII, p. 487)

Questo vale per la disciplina di Partito quando il potere non è stato ancora conquistato dal proletariato. Riguardo a un Partito come quello dell’Unione Sovietica, che guida la dittatura del proletariato, Lenin scrisse:

Chi indebolisce, sia pur di poco, la disciplina ferrea del partito del proletario (in particolare nel periodo della dittatura proletaria) aiuta di fatto la borghesia contro il proletariato. (Lenin, “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, Opere complete, vol. XXXI, p. 35)

***


Trockij aiuta la borghesia contro il proletariato.
Per quanto riguarda le fazioni, nella sua rivendicazione della “libertà di raggruppamento” all’interno del Partito Trockij difende in realtà gli interessi delle forze ostili contro gli interessi della lotta di classe proletaria. È il frazionista supremo. Non ha mai lavorato in un’organizzazione di massa come membro fedele: è sempre riuscito a organizzare attorno a sé un gruppo, una cricca, una corte di ammiratori. Ha combattuto Lenin, ha combattuto Stalin, combatte l’Internazionale Comunista. Nel 1920 organizzò una fazione, ma fu schiacciato. Nel 1922, quando Lenin era ancora vivo, ne organizzò un’altra. Mantenne quella fazione per molti anni, anche se la rinnegò pubblicamente molte volte (questa è la parola di Trockij quando ha a che fare con il Partito Bolscevico!). Sottoscrisse le decisioni della Quindicesima Conferenza del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (nell’ottobre 1926) che proibivano le fazioni, e immediatamente ruppe il giuramento.
“Senza raggruppamenti ideologici temporanei, la vita ideologica del Partito è impensabile”, scrive nella Strategia della rivoluzione mondiale. “Senza una vera libertà nella vita di Partito, libertà di discussione e libertà di elaborazione collettiva della propria strada – e con questa anche di raggruppamento – questi Partiti [dell’Internazionale Comunista] non diventeranno mai un potere rivoluzionario”.
Perché i raggruppamenti sono necessari? Supponiamo che il Partito discuta la questione dei metodi di lavoro migliori nei sindacati. Supponiamo che la maggioranza accetti l’idea che i comunisti devono lavorare nei sindacati riformisti e farli crescere fino a diventare organizzazioni militanti. Supponiamo che una minoranza dica che i lavoratori rivoluzionari dovrebbero lasciare i sindacati riformisti e fondare sindacati rivoluzionari separati. Finché la questione non è ancora decisa, ciascun membro del Partito ha il diritto e il dovere di esporre la propria opinione mentre il problema viene discusso. Questa è libertà di discussione. I raggruppamenti non sono necessari per questo scopo. Ma supponiamo che la maggioranza del Partito abbia deciso di lavorare all’interno dei sindacati riformisti. In queste condizioni la minoranza deve smettere di operare a favore della propria linea. Quello che Trockij propone è che alla sua minoranza dovrebbe essere permesso di funzionare come un gruppo, che le si dia libertà di “elaborare collettivamente” la “propria strada”. Qual è questa strada? Ovviamente una lotta contro la maggioranza del Partito.
O la “libertà di raggruppamento” non significa nulla, e allora è una totale assurdità, o significa libertà di formare un partito all’interno di un partito, quella libertà che Trockij si è presa per sé tutta la vita.
Una simile “libertà” indebolisce il Partito, ne mina le fondamenta, crea al suo interno uno stato d’assedio e demoralizza le forze della rivoluzione. Quando ciò accade, dice Stalin, il Partito deve affrontare “il pericolo di essere trasformato in un giocattolo nelle mani degli agenti della borghesia”.

***


Trockij si definisce un “vero bolscevico leninista”, ma più predica più si rivela nemico di tutti i principi che Lenin ha sostenuto e per i quali ha lottato. Il suo articolo per la rivista reazionaria Liberty del 23 marzo 1935, dal titolo “se l’America dovesse diventare comunista”, è estremamente illuminante. Trockij parla alla borghesia americana ma ovviamente pensa ai lavoratori. Cerca di convincere i lettori che la rivoluzione in America sarebbe un gioco da ragazzi. “la rivoluzione comunista americana sarebbe insignificante a confronto di quella bolscevica in Russia”, dice tacendo il fatto che la borghesia americana è molto meglio organizzata, accorta ed equipaggiata di quella russa. L’ovvia lezione ai lavoratori di questa tesi trotskista è che non c’è bisogno di organizzare un forte Partito Comunista di massa. “la guerra civile […] non è combattuta da una manciata di uomini al comando, il 5 o 10% che possiede i nove decimi della ricchezza americana”, dichiara Trockij ignorando la grande influenza di quel “5 o 10%” sulla classe media cittadina e sui contadini ricchi. (È significativo che Trockij, l’uomo che dichiarò impossibile il socialismo in un solo paese perché tutte le classi sfruttate si sarebbero rivoltate contro il proletariato appena questo avesse preso il potere, ora fa marcia indietro e dice che tutti sarebbero a favore del socialismo una volta sconfitto il governo capitalista: fa di tutto per illudere i lavoratori.) “Tutti al di sotto di questo gruppo [del 5 o 10%] sono già economicamente pronti per il socialismo”, dice. Ovviamente, con un così grande numero di comunisti pronti, non c’è bisogno di forgiare i ranghi di un partito proletario negli Stati Uniti.
“Senza costrizione!”: questo è lo slogan avanzato da Trockij per gli Stati Uniti, per i soviet americani. In un paese dove la violenza e gli spargimenti di sangue segnano ogni passo della classe dominante in relazione al proletariato, Trockij vuole convincere i lavoratori – in una maniera degna del pastore Norman Thomas[3] – che “i soviet americani non avranno bisogno di ricorrere alle misure drastiche che le circostanze hanno spesso imposto ai russi”. Trockij tenta di prendere due piccioni con una fava: da un lato intende dimostrare che i lavoratori russi sbagliarono a usare “troppa violenza” contro i borghesi e i proprietari terrieri controrivoluzionari; dall’altro tenta di “insegnare” ai lavoratori americani che la loro rivoluzione sarà una festa di amichevole cooperazione da parte delle classi possidenti e che l’approccio leninista alla rivoluzione e i metodi leninisti di organizzazione e lotta non si applicano su questa sponda dell’oceano. Non è un caso che Trockij sia il padre della teoria di Lovestone sull’“eccezionalismo” americano.
Occorre far notare però che Trockij non vede alcun motivo per cui le classi possidenti, con l’eccezione dei capi dei monopoli più grandi, dovrebbero essere spaventate da una rivoluzione sovietica. Propone che esse continuino i loro affari sulla base della proprietà e del lavoro privato anche dopo la rivoluzione. Il governo, dice, deve fornire loro materie prime, crediti e una certa quantità di ordini finché i loro affari “saranno gradualmente e senza costrizione risucchiati all’interno del sistema di affari socializzato”. L’uomo che una volta inveiva contro la Nuova Politica Economica in Unione Sovietica quando era politicamente ed economicamente necessaria ora propone per gli Stati Uniti un ampio sistema semi-capitalista, per un periodo post-rivoluzionario in cui non ve n’è alcuna necessità perché il paese è economicamente pronto per il socialismo. Tutto va bene per corrompere le menti dei lavoratori, persino il riformismo della vecchia guardia del Partito Socialista Americano. (Perché non acquistare le aziende dai proprietari con buoni statali, come propongono alcuni socialisti? Sarebbe ancora di più “senza costrizione”.)
Ancora più eloquente è la sua difesa della democrazia borghese in un’America sovietica. Qui rivela completamente la sua natura: un devoto all'altare del sistema politico capitalista.
Egli immagina il socialismo americano non con la dittatura del proletariato ma come con conglomerato di partiti e gruppi in lotta tra loro. “Con noi [in Russia]”, scrive nell’articolo per Liberty, “i soviet sono stati burocratizzati come risultato del monopolio politico di un singolo partito”. Una cosa del genere non deve succedere in America. Non solo devono esserci gruppi e gruppetti all’interno del Partito Comunista, ma il Partito stesso non deve avere il “monopolio politico”. Devono esserci molti partiti con eguali diritti, cioè senza privilegi speciali per alcuno. Chi rappresenteranno quei partiti? Se il Partito Comunista rappresenta i lavoratori, allora è ovvio che gli altri partiti devono rappresentare i coltivatori ricchi, i contadini poveri, la media borghesia, la piccola borghesia, forse gli intellettuali. Come opereranno quei partiti? Naturalmente, mediante la lotta. “Un’ampia lotta tra interessi, gruppi e idee non è soltanto concepibile: è inevitabile”, dice Trockij. Splendido. Un soviet che ricorda molto un parlamento borghese. Molti partiti vi sono rappresentati con eguali diritti. Ciascun partito in lotta con gli altri. Molti partiti che formano una coalizione per sconfiggere un pericoloso rivale comune. Perché non una coalizione di tutti questi partiti contro il partito dei lavoratori? Quest’ultimo partito, nella concezione di Trockij, dovrebbe essere diviso in una serie di gruppi e fazioni legalizzati con i loro programmi separati. La popolazione avrà la sua scelta di partiti, gruppi, programmi. Nessuna disciplina speciale è necessaria per alcun partito; nessuna unità monolitica per il Partito Comunista. (È significativo che nel suo progetto per Liberty Trockij non nomini affatto il Partito Comunista). Una maggioranza di voti nella camera legislativa deciderà la politica da seguire. Tra le questioni principali da affrontare c’è anche “la trasformazione delle fattorie”, la transizione dall’agricoltura capitalista a quella socialista. Se dovesse esserci una maggioranza di voti contro la collettivizzazione, allora questa sarebbe la “volontà del popolo”. Ciascun partito e gruppo avrà la propria stampa, “perché l’America sovietica non imiterà il monopolio della stampa da parte della burocrazia sovietica russa”. Ciascun gruppo e partito avrà la sua quota di stampa “sulla base della rappresentazione proporzionale dei voti nell’elezione di ciascun soviet”, “lo stesso principio sarà applicato all’uso di sale per le conferenze, alla concessione di tempo all’aria aperta, e così via”.
Sotto questo quadro idilliaco c’è l’idea di un soviet nel quale gli affari privati prosperano e l’organizzazione statale è copiata da quella dei parlamenti capitalisti. L’assunto è che non esiste controrivoluzione, non esistono tentativi da parte della borghesia di rovesciare il nuovo sistema, non c’è necessità per i lavoratori di difendere la rivoluzione contro gli attacchi interni ed esterni, e quindi nessuna necessità di organizzarsi in potenti organizzazioni politiche di lotta con disciplina quasi militare e unità di volontà e azione, che garantiscono una rapida ed efficace possibilità di attacco. Ciò che Trockij descrive non è un proletariato organizzato in una formazione di battaglia e capace di attirare a sé degli alleati dalle altre classi un tempo oppresse mentre sopprime la controrivoluzione e abolisce le classi, ma una massa eterogenea di umanità divisa, fedele a vari partiti e fazioni di partito e che difende i propri “interessi, gruppi e idee”. Come si possa raggiungere l’unità in queste condizioni resta uno dei segreti di Trockij. Ma egli non si preoccupa tanto dell’unità, perché il suo slogan è “senza costrizione”.
La piccola borghesia, spaventata da un forte Stato proletario e da un forte Partito proletario, non disposta a vedere il proletariato che esercita il potere rivoluzionario, mostra qui la sua natura di classe più chiaramente di quanto abbia mai fatto prima.
Quello che descrive come un soviet americano non ha nulla a che vedere con la dittatura del proletariato insegnata e messa in pratica da Lenin.

La dittatura del proletariato è la guerra più eroica e più implacabile della classe nuova contro un nemico più potente, contro la borghesia, la cui resistenza è decuplicata dal fatto di essere stata rovesciata.
[…]
La dittatura del proletariato è una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società. (Lenin, “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, Opere complete, vol. XXXI, pp. 14 e 35)


La ragione delle “critiche” e delle “ammonizioni” di Trockij è molto semplice. Denuncia come “burocrazia” qualunque cosa non si adatti alle sue idee parlamentari borghesi, e il piccolo borghese che c’è in lui accusa di “paralizzare la rivoluzione” ciò che rappresenta veramente la dittatura del proletariato e l’autentica unità rivoluzionaria. Un autentico Partito Bolscevico modellato sulle linee leniniste diventa una “fazione stalinista”.
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[2] - Georg Friedrich Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, 1840; citato in Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, 1852. [N.d.t.]
[3] - Norman Mattoon Thomas (1884-1968) fu un pastore presbiteriano, sei volte candidato alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito Socialista Americano. Alla guida del Partito tra il 1937 e il 1940, tentò di aumentarne l’influenza mediante alleanze strategiche con piccoli gruppi della galassia di sinistra e l’apertura a personalità di fama, tra cui Jay Lovestone (espulso dal Partito Comunista Americano per il suo supporto all’opposizione buchariniana) e il trotskista James Cannon. [N.d.t.]

Edited by Sandor_Krasna - 24/2/2015, 02:30
 
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