Comunismo - Scintilla Rossa

Trotskismo: controrivoluzione mascherata (1935), Moissaye J. Olgin

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Sandor_Krasna
view post Posted on 30/12/2014, 02:43 by: Sandor_Krasna
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6. L'Unione Sovietica

Ancora nel 1931, in un opuscolo dal titolo La rivoluzione permanente, Trockij scrive testualmente:

La rivoluzione socialista inizia su basi nazionali, ma non può essere completata su quelle basi. Il mantenimento della rivoluzione proletaria all’interno di un quadro nazionale può essere soltanto provvisorio anche se, come mostra l’esperienza dell’Unione Sovietica, di lunga durata. In una dittatura proletaria isolata, le contraddizioni interne ed esterne crescono inevitabilmente al crescere dei successi. Restando isolato, lo Stato proletario diventerà alla fine vittima di queste contraddizioni.

Ora, i bolscevichi non hanno mai sostenuto che un attacco all’Unione Sovietica da parte dei governi capitalisti sia impossibile. I dirigenti bolscevichi sono sempre stati espliciti in questo senso. Lenin disse:

Fintantoché la nostra Repubblica sovietica resta un’isolata zona di confine circondata dall'intero mondo capitalista, sarà una fantasia assolutamente ridicola e utopica il pensare […] alla scomparsa di alcuno dei pericoli che ci sovrastano. Ovviamente, fino a quando queste contraddizioni fondamentali permangono, restano anche i pericoli, e non c’è posto dove possiamo nasconderci da essi. (Lenin, “Discorso all’assemblea dei segretari di cellula dell’organizzazione moscovita del Partito Comunista di Russia”, Opere complete, vol. XXXI, p. 414)

Con la crescita della potenza sovietica, il progresso dell’industrializzazione, lo sviluppo dell’agricoltura socialista, il rafforzamento delle forze difensive del paese mentre le simpatie per l’Unione Sovietica da parte dei lavoratori dei paesi capitalisti crescono rapidamente, i mezzi per resistere a un attacco militare dall’esterno sono aumentati. Ciononostante, il pericolo permane, e nessuno lo sa bene come la dirigenza sovietica.
Ma quando Trockij parla della crescita inevitabile delle contraddizioni interne ed esterne non intende il pericolo semplice e chiaro di un attacco militare imperialista. Insiste non tanto sulle contraddizioni esterne, cioè le contraddizioni tra la parte capitalista e quella socialista del mondo, ma piuttosto su quelle che chiama “contraddizioni interne”. Alla fine, dice, l’Unione Sovietica deve “cadere vittima” di queste contraddizioni.
Quali sono? Quali contraddizioni rimanevano in Unione Sovietica nel 1931? La classe dei proprietari terrieri si era estinta da tempo. La borghesia era ridotta a piccole e insignificanti frazioni di ciò che era in passato. I kulaki erano stati enormemente indeboliti in seguito alla rapida collettivizzazione dei villaggi. Le contraddizioni di classe diminuivano giorno dopo giorno con la rapida liquidazione dei resti delle vecchie classi. Le differenze tra città e campagna stavano diminuendo in seguito all’introduzione delle macchine e della tecnica moderna nella campagna collettivizzata. I successi crescenti dell’Unione Sovietica significavano un ulteriore miglioramento della produzione industriale, un ulteriore progresso nella collettivizzazione, l’eliminazione dei kulaki e della piccola borghesia, la crescita della cultura in un paese in cui l’esistenza delle masse è assicurata. Perché questi successi crescenti dovrebbero celare delle “contraddizioni interne” che devono “inevitabilmente” aumentare?
Le difficoltà c’erano, sicuramente. I resti della borghesia non intendevano arrendersi senza combattere, e facevano danni qui e là, ma la crescita dell’economia socialista e la rapida padronanza delle vette della conoscenza da parte dei lavoratori destinavano quei tentativi al fallimento. La stessa acquisizione delle tecniche moderne, il superamento delle vecchie abitudini di lavoro, il dominio della natura erano accompagnati da alcune discrepanze, alcune inadeguatezze. Ma quelle erano le difficoltà della crescita. Ogni passo successivo della Rivoluzione offriva soluzioni a quei problemi.
Da dove viene, quindi, l’inevitabilità di “restare vittima” di terribili contraddizioni interne?
Questo è uno dei tanti segreti del ragionamento di Trockij. Non è affatto un ragionamento. Ovviamente in questo caso il desiderio è il padre del pensiero, il desiderio che l’Unione Sovietica fallisca, così che la sua teoria della “rivoluzione permanente”, cioè lo scontro inevitabile tra proletari e contadini, si riveli corretta.
Forse Trockij intende dire che è impossibile costruire il socialismo in Unione Sovietica perché il paese non ha i requisiti necessari? A rischio di essere tediosi, vorremmo ricordare un’altra volta che l’Unione Sovietica ha realizzato miracoli nella costruzione della vita economica e culturale del paese. Anche prima della fine della guerra civile, anche mentre gli eserciti interventisti stranieri erano ancora sul suolo sovietico, i bolscevichi iniziarono a pianificare il lavoro dell’edificazione socialista. All’inizio sembrava un compito sovrumano. Il paese era stato distrutto da tre anni di guerra imperialista, razziato dalle armate dei generali bianchi russi e dei governi stranieri, strangolato da quasi cinque anni di embargo economico. Ma i bolscevichi videro il grande patrimonio della dittatura del proletariato, l’inesauribile energia e le abilità creatrici delle masse liberate di lavoratori, con il proletariato in testa e il Partito Bolscevico alla guida.
Lenin, che meglio di chiunque altro conosceva le mancanze di quel grande paese, vide anche la possibilità di costruire il socialismo. Al tempo in cui Trockij stava pubblicando il suo 1905 per dimostrare che il socialismo in un solo paese era impossibile, al tempo in cui stava lavorando al suo programma di opposizione al leninismo, Lenin scrisse (gennaio 1923):

In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l’alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall’alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la NEP, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? [Corsivo nostro] Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurre a termine la costruzione. (Lenin “Sulla cooperazione”, Opere complete, vol. XXXIII, p. 428)

Oggi la fondazione di una società socialista è già iniziata e l’Unione Sovietica si sta rapidamente avvicinando a una società senza classi. Ma Trockij mantiene ancora la posa del profeta e “avverte” il mondo:

La crisi incombente dell’economia sovietica farà inevitabilmente collare, in un prossimo futuro, la leggenda zuccherosa [della possibilità di costruire il socialismo in un solo paese] e, non abbiamo motivo per dubitarne, causerà molti morti. […] La crisi sovietica coglierà i lavoratori europei, e specialmente i comunisti, del tutto impreparati. […] Le contraddizioni dell’economia sovietica, l’incompletezza e la precarietà di molte delle sue conquiste, i grossolani errori della dirigenza e i pericoli che sbarrano la strada al socialismo […] Il prossimo futuro porterà con sé una nuova conferma della nostra correttezza. (Lev Trockij, L’economia sovietica in pericolo, pp. 4-5)

Essendosi convinto che il socialismo in Russia è semplicemente irrealizzabile, sviluppa una livorosa ostilità verso tutto ciò che accade in Unione Sovietica. Magnifica le difficoltà, ne inventa dove non esistono, vede una “crisi” dove c’è soltanto uno dei tanti ostacoli da superare, vede un affievolimento delle forze quando le forze stanno aumentando e aspettano il momento buono, nega i successi, li interpreta come fallimenti, assume la posa dell’accusatore puntando il dito contro il Partito Comunista e il suo Comitato Centrale guidato da Stalin, e dice: “eccoli, i burocrati che sono la rovina della Rivoluzione dei lavoratori”.
Alla base di tutto stanno la sua sfiducia intellettuale piccolo-borghese nella Rivoluzione e la sua paura di fronte agli ostacoli che minacciano la dittatura del proletariato in un mondo ostile.
Che cosa lo infastidiva così terribilmente all’inizio della sua carriera di oppositore? Che cosa ha fatto da base per l’unione priva di principi dei trotskisti con Zinov’ev e Kamenev? Era l’atteggiamento disfattista nei confronti della Nuova Politica Economica dell’Unione Sovietica.
Nel 1921 i bolscevichi, contro le valutazioni erronee di alcuni comunisti “di sinistra”, abbandonarono il cosiddetto comunismo di guerra e introdussero la Nuova Politica Economica (NEP). Il comunismo di guerra, che aveva prevalso dal 1918, era un mezzo per affrontare la guerra civile e respingere l’invasione. Il governo si appropriava di tutto ciò che veniva prodotto nel paese e lo distribuiva secondo quanto pianificato al fine di resistere all’attacco delle forze di classe nemiche. In quegli anni la produzione non aumentò, ma diminuì. I trasporti non furono migliorati e si deteriorarono. La quota maggiore di quanto veniva prodotto nelle fabbriche e nelle fattorie andava al fronte. Il governo raccoglieva vettovaglie e materie prime dai contadini e doveva fornire in cambio prodotti lavorati. Questi però non arrivavano a causa del collasso del sistema industriale e della necessità di rifornire il fronte. Perciò i contadini stavano supportando il paese in quegli anni cruciali e il governo, per usare l’espressione di Lenin, pagava in cambiali. Promise loro una sorte migliore in futuro. Quando la guerra finì, almeno nei suoi aspetti principali, quando la Repubblica sembrava al sicuro, almeno per un po’, divenne ovvio che la continuazione del comunismo militare era impossibile. Era necessario rafforzare l’alleanza con i contadini medi che si era indebolita sotto la pressione del comunismo di guerra. Era necessario gettare le fondamenta dell’edificazione del socialismo. In primo luogo, il paese dei soviet doveva imparare a produrre. Ai contadini dovevano essere dati gli incentivi per aumentare i raccolti, e questo era fattibile soltanto quando sarebbero stati liberi di vendere i loro prodotti al mercato libero. Per questo era necessaria la legalizzazione del mercato libero. Per uscire dall’orrenda stagnazione economica era necessario incoraggiare persino la produzione industriale privata.
La Nuova Politica Economica comprendeva:
a) le risorse naturali e gli stabilimenti industriali su larga scala sotto il controllo della dittatura del proletariato;
b) l’intero sistema bancario sotto il controllo della dittatura del proletariato;
c) l’intero sistema di trasporti su rotaia e su acqua sotto il controllo della dittatura del proletariato;
d) gli scambi con l’estero interamente sotto il controllo della dittatura del proletariato;
e) i suoli e gli edifici cittadini sotto il controllo dei soviet locali;
f) i terreni agricoli sotto il controllo dei soviet regionali e locali;
g) le manifatture e gli scambi privati permessi sotto la supervisione dello Stato proletario e in accordo alle leggi proletarie;
h) la possibilità per i contadini di vendere il surplus della loro produzione al mercato libero dietro pagamento di una tassa.
Era una ritirata dalla posizione del comunismo di guerra, ma era necessaria per un rapido salto in avanti. La dittatura del proletariato era più forte che mai. Le posizioni strategiche dell’intero sistema economico furono mantenute sotto controllo proletario; l’industria e gli scambi privati servivano soltanto come stimolo all’industria e al commercio socialisti per migliorare in quantità e qualità ed essere in grado di competere con il settore privato. Con i soviet che proteggevano le loro stesse industrie e i commerci, privilegiandoli rispetto a quelli privati, non era difficile prevedere che alla fine i primi avrebbero trionfato sui secondi.
Lenin, che aveva una fiducia incrollabile nelle abilità creative delle masse lavoratrici, introdusse la Nuova Politica Economica perché i soviet potessero iniziare un rapido progresso economico verso il socialismo. Trockij non vide quel progresso.
E poi c’erano i contadini. Trockij, come sappiamo, non ebbe mai una gran fiducia nei contadini come forza rivoluzionaria. Con l’introduzione della Nuova Politica Economica riapparve in campagna il contadino ricco, il kulak. In realtà, non assomigliava molto al contadino ricco pre-rivoluzionario. Era privo di potere politico e decisamente non così ricco come alcuni kulaki sotto il capitalismo. Ma era un dato di fatto innegabile. Per legge non poteva comprare terre, ma possedeva illegalmente le terre di alcuni contadini poveri che non avevano le attrezzature e la forza per lavorare la loro proprietà, e che molto spesso diventavano suoi braccianti. I kulaki divennero gli sfruttatori delle campagne. A volte si facevano strada fino ai soviet locali, dove esercitavano influenza politica. Il governo fece tutto il possibile per aiutare i contadini poveri: li liberò dalle tasse, concesse crediti, a volte forniva loro bestiame e attrezzature. D’altro lato, tassava la maggior parte dei profitti dei contadini ricchi. Nonostante questo, la divisione di classe nelle campagne era tornata.
Gli uomini della NEP nelle città, i kulaki in campagna! Trockij vide la sua opportunità. Insieme a Zinov’ev e Kamenev affermò che la Rivoluzione era in pericolo, che gli elementi capitalisti si stavano mangiando quelli socialisti nell’economia sovietica. Se gli oppositori fossero sinceramente spaventati o fingessero di allarmarsi, non ci riguarda. Quello che fecero fu rivolgere un attacco maligno e senza scrupoli contro la dirigenza del Partito Comunista.
Uno degli elementi caratteristici dell’opposizione trotskista è che non vuole vedere lo sviluppo dell’Unione Sovietica; finge di non notare le forze sociali che passano da una fase a un’altra. Nella NEP vide un sistema che sarebbe durato decenni, se non per sempre. Grazie alle difficoltà di quella politica, l’opposizione si rianimò. I bolscevichi avevano un piano preciso che consisteva nel cambiare la situazione radicalmente, e in un breve arco di tempo. Ma ignorare le affermazioni dei bolscevichi contrarie alle previsioni è un’altra caratteristica particolare del trotskismo.
Come previdero quel cambiamento il Partito Bolscevico e Stalin? Immaginarono e lavorarono per una rapida vittoria del settore socialista dell’economia nazionale su quello capitalista. Previdero che nell’immediato futuro le fabbriche socialiste sovietiche sarebbero migliorate a un punto tale che avrebbero potuto competere facilmente con quelle capitaliste e portare all’estinzione. Previdero che molto presto le cooperative avrebbero appreso così bene l’arte del commercio che sarebbero state in grado di escludere dagli affari i venditori privati e li avrebbero ridotti al rango di dipendenti. Per quanto riguarda i contadini piccoli e medi, il Partito e Stalin sapevano perfettamente che le proprietà e le gestioni private erano una fase di passaggio, che molto presto i contadini si sarebbero uniti alle cooperative, cioè che con l’aiuto del Partito e dello Stato avrebbero iniziato a costruire fattorie collettive, il che avrebbe significato la fine dei kulaki e l’abolizione delle classi nei villaggi.
Videro che alcuni kulaki si stavano arricchendo, ma non ne erano affatto spaventati. Sapevano che i kulaki non sarebbero durati a lungo come classe. La loro politica intendeva “riformare” i contadini poveri e medi, insegnargli a organizzare l’agricoltura socialista sotto la guida della dittatura del proletariato, e sapevano che questo avrebbe reso impossibile l’esistenza dei kulaki. Procedettero con tutta la prontezza possibile in quelle circostanze per preparare il materiale necessario alla collettivizzazione dell’agricoltura. Questo materiale consisteva in attrezzature migliori, macchine agricole, sementi migliorate e agronomi esperti per portare l’agricoltura al livello della produzione socialista.
Il piano era ben progettato. Fu concepito da Lenin e messo in pratica con coerenza e abilità dal Partito Bolscevico sotto Stalin. Era l’unica via possibile. Ma questa rivoluzione in campo agricolo poteva essere possibile solo con un’alleanza tra gli operai e i contadini.
Combattere i kulaki imponendo una pesante tassa sui loro profitti ed eliminando la loro influenza nei soviet locali; aiutare i contadini poveri con terre, attrezzature agricole, crediti e libertà dalle tasse; allearsi con i contadini medi per migliorare le loro condizioni economiche e avvicinarli agli obiettivi del proletariato; “elevare il livello culturale e materiale della vita contadina, mettere i piedi delle masse contadine sulla strada che porta al socialismo” (Stalin): questo era il piano ben progettato dai bolscevichi. Contro tutto questo furono sviluppate due teorie: quella di destra e quella di “sinistra”. La destra sottovalutava la natura capitalista dei kulaki, considerati come contadini medi. La “sinistra” (Trockij) sopravvalutava la natura piccolo-borghese dei contadini medi, considerati come kulaki.
All’improvviso Trockij scoprì una massa contadina che consisteva in larga misura di “kulaki”. Il Partito Bolscevico combatté queste due tendenze perché sapeva dove stava andando.

L’essenziale è ora di stringere i legami con le masse fondamentali dei contadini, elevarne il livello materiale e culturale e andare avanti insieme a queste masse fondamentali sulla via che porta al socialismo. L’essenziale è di edificare il socialismo insieme ai contadini, assolutamente insieme ai contadini e assolutamente sotto la direzione della classe operaia, poiché la direzione della classe operaia è la garanzia principale che l’edificazione percorrerà il cammino che porta al socialismo. (Stalin, “Bilancio dei lavori della XIV conferenza del PCR(b)”, Opere complete, vol. VII, pp. 143-144)

In che cosa consisteva il cammino per il socialismo nelle campagne? Stalin risponde così:

Ma come inserire l’economia contadina nel sistema dell’edificazione economica? Attraverso la cooperazione. Attraverso la cooperazione creditizia, agricola, di consumo, di produzione.
Queste sono le vie e i sentieri attraverso i quali lentamente, ma sicuramente, l’economia contadina deve inserirsi nel sistema generale dell’edificazione socialista (Ibid., p. 145)


La cooperazione di produzione è l’altro nome delle fattorie collettive. Perché si doveva procedere lentamente? Perché le fabbriche e gli stabilimenti socialisti dovevano produrre abbastanza macchinari e utensili da spingere i contadini a organizzarsi in cooperative; perché le miniere sovietiche dovevano produrre carbone e minerali grezzi sufficienti per la produzione di ferro e acciaio da usare per i macchinari agricoli; perché i lavoratori dovevano essere addestrati per essere in grado di produrre; e per tutto questo ci vollero anni. In totale ci vollero non meno di sette anni, dal 1922 al 1929, dall’inizio della NEP alla grande balzo verso la collettivizzazione. Ma quanto rumore fecero i trotskisti in quegli anni! Quanti mali fecero! Quanti granelli di sabbia misero nella macchina dell’economia sovietica! Quanto danneggiarono l’unità del Partito Comunista, la prima condizione per realizzare la costruzione dell’economia socialista!
Per tre anni, dal 1924 al 1927, quando erano ancora membri del Partito, continuarono a insistere sulla crescita dei kulaki e degli uomini della NEP. Le loro proposte pratiche non erano dettate da una comprensione dell’economia sovietica, ma dal panico. Dicevano: “collettivizziamo tutti i contadini in una volta sola; se necessario usiamo la forza”. Il che avrebbe aizzato i contadini contro i proletari e mandato in rovina la Rivoluzione. Chiedevano di velocizzare l’industrializzazione investendo un altro miliardo di rubli nell’industria. Questo miliardo doveva essere ottenuto alzando i prezzi dei beni prodotti, il che avrebbe abbassato la qualità della vita: una misura che avrebbe aumentato le difficoltà invece di diminuirle, dato che l’innalzamento dei prezzi avrebbe colpito duramente i contadini poveri e medi, consumatori principali dei beni industriali, e avrebbe abbassato la qualità della loro vita, rafforzando soltanto la posizione dei kulaki. L’opposizione di Trockij stava facendo tutto il possibile per separare il proletariato e i contadini medi.
Erano ancora nel Partito, ma lo combattevano come nemici intenzionati non a criticarlo ma a distruggerlo. Nessuna esagerazione era eccessiva per loro, nessuna insinuazione troppo bassa, nessuna distorsione troppo miserabile. Misero in circolazione pubblicazioni piene di vili accuse contro tutto quello che il Partito faceva. Salutarono il decimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre affermando che il Partito Comunista era il partito dei burocrati, dei kulaki e degli uomini della NEP. Questa propaganda era accompagnata dalla formazione di fazioni segrete che stampavano volantini e li distribuivano clandestinamente. Il Partito dovette fermarli. L’opposizione fu espulsa, ma questo non fermò la propaganda.
Abbiamo dovuto dilungarci su questa fase delle attività dell’opposizione perché permette di capire ciò che segue. Ogni essere umano ragionevole, dopo aver visto che le sue paure e le sue apprensioni erano ingiustificate, avrebbe ammesso di essersi sbagliato. Non Trockij. La rapida industrializzazione dell’Unione Sovietica, la scomparsa quasi totale degli uomini della NEP, la collettivizzazione dell’agricoltura, l’eliminazione della classe dei kulaki, si poteva pensare, avrebbero soddisfatto i trotskisti, se davvero credevano quello che andavano urlando a gran voce. Ma l’opposizione di Trockij diventa più livorosa man mano che la terra gli manca sotto i piedi. È il livore di quegli elementi piccolo-borghesi che vedono la vittoria del socialismo ma non vogliono diventare dei lavoratori e guadagnarsi da vivere onestamente nella condizione in cui il proletariato è in possesso del potere.
Trockij continua sempre a far danni.

***


Se c’è una vittoria in Unione Sovietica che anche i nemici sono stati costretti a riconoscere, è il fenomenale successo economico nell’industria e nell’agricoltura. I fatti sono talmente noti che è quasi superfluo nominarli un’altra volta. Da un paese arretrato, l’Unione Sovietica è diventata uno dei paesi industriali più avanzati. Da un paese con venti milioni di possedimenti contadini individuali, è diventata un paese con coltivazioni moderne su larga scala. Da un paese che dipendeva dagli altri per i macchinari industriali, è diventata in grado di produrre per sé le tecnologie più complesse e avanzate. Da un paese a maggioranza analfabeta a uno in cui quasi tutti, soprattutto le giovani generazioni, hanno un’istruzione. Gli stabilimenti sovietici sono tra i migliori al mondo. Gli ingegneri e gli operai sovietici padroneggiano le tecnologie più avanzate. La produzione industriale è cresciuta del 400% in cinque anni. L’agricoltura ha superato le iniziali difficoltà e si avvia a fornire al paese un’abbondanza di prodotti. Le fabbriche producono trattori, camion e altri macchinari agricoli nell’ordine di centinaia di migliaia.
I successi dell’Unione Sovietica, il miglioramento del livello di vita delle masse, la loro vita culturale: tutto questo suscita l’ammirazione di milioni di lavoratori in tutto il mondo e fa crescere la rabbia degli sfruttatori.
Dov’è Trockij? Non è con i lavoratori. Sputa livore in accordo con gli sfruttatori. Dà loro aiuto e conforto. Ha anche iniziato una campagna contro l’Unione Sovietica e definisce questi successi inesistenti.
Cosa c’è che non va, secondo lui? Semplicemente, “non si può costruire il socialismo in un solo paese”. Ecco perché:

La crescita generale dell’economia da un alto e il sorgere di nuovi bisogni e nuovi squilibri dall’altro aumentano invariabilmente la necessità di collegarsi all’economia mondiale. Il programma di “indipendenza”, cioè del carattere di autosufficienza dell’economia sovietica, rivela sempre più la sua natura reazionaria e utopica. L’autarchia è l’idea di Hitler e non di Marx e Lenin. (Lev Trockij, L’economia sovietica in pericolo, p. 17)

Non c’è una sola frase in questa lunga tirata che significhi qualcosa. Il signore sceglie di “ignorare” la differenza tra l’economia capitalista e quella socialista. Nell’economia capitalista le contraddizioni sono inevitabili e non possono essere risolte. La crescita della produzione di massa accompagnata da salari più bassi, per fare un esempio, crea quel tipo di “squilibri” che il capitalismo non è in grado di risolvere. Nell’economia sovietica la cosa è diversa. Gli “squilibri” di cui parla Trockij, come per esempio i ritardi nella produzione di carbone o gomma, sono tutt’altro che catastrofici. Creano alcune difficoltà facili da superare. Con la crescita dell’economia sovietica tendono a diminuire invece che ad aumentare. Quando c’è abbondanza di acciaio, non importa granché se questo o quest’altro stabilimento è in ritardo. Quando il sistema ferroviario è migliorato, non importa se questa o quest’altra strada è incompleta. Quando l’agricoltura ha raggiunto una moderna base scientifica, non importa molto neppure se le condizioni climatiche sono favorevoli. Il raccolto di quest’anno è stato abbondante nonostante una terribile siccità. Gli squilibri e le difficoltà che li accompagnano, signor Trockij, tendono a diminuire, invece che ad aumentare, nell’economia sovietica.
Riguardo al programma di indipendenza, perché è reazionario e perché è utopistico? Non è vero che oggi l’economia sovietica è meno dipendente dagli altri paesi rispetto a cinque anni fa? Le industrie sovietiche non sono giganti industriali in grado di fornire al paese le tecnologie necessarie mentre cinque anni fa dipendeva dalle importazioni? L’enorme quantità e varietà di risorse naturali non garantisce all’Unione Sovietica un libero sviluppo economico indipendente dai paesi capitalisti? Che cosa c’è di utopico in un fatto vero?
E perché è reazionario? Se lo sviluppo economico fosse rallentato come conseguenza di una certa politica, questa potrebbe essere definita “reazionaria” dal punto di vista economico, ammesso che i soli dirigenti sovietici fossero in grado di alterare quella politica. Comunque, se lo sviluppo economico fosse immensamente accelerato come conseguenza della politica bolscevica, se andasse al di là di qualunque cosa i paesi capitalisti possono sognare anche nei periodi di massima prosperità, dov’è la reazione?
Che l’idea dell’economia socialista non è l’autarchia ma lo scambio internazionale, e che solo sotto un sistema sovietico internazionale questo scambio sarà posto su basi scientifiche, non abbiamo proprio bisogno di impararlo da Trockij. Questa è una delle tesi fondamentali del marxismo. L’autarchia non è l’ideale dell’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica non desidera e non lavora per l’autarchia. Ma l’indipendenza economica dal mercato mondiale capitalista è una necessità dovuta al fatto che l’Unione Sovietica è circondata da un mondo capitalista ostile.
L’idea che lo sviluppo dell’Unione Sovietica richieda un aumento della “necessità di collegarsi all’economia mondiale” è radicalmente sbagliata. Da molti anni Trockij ha cara l’idea che l’economia sovietica faccia parte dell’economia mondiale, che regge e cade con quest’ultima. Quali sono i fatti?
L’economia sovietica procede da una vittoria all’altra; l’economia capitalista sta marcendo, si disintegra, collassa. L’economia sovietica avanza verso conquiste senza precedenti in un paese sempre più solido sotto il governo dei soviet. L’economia capitalista è incapace di superare la sua crisi e i paesi capitalisti sono diretti verso il rovesciamento dell’intero sistema esistente. Anche i ciechi possono vederlo.
Sono passati più di due anni dalla pubblicazione di L’economia sovietica in pericolo. Allora Trockij disse che il prossimo futuro avrebbe portato una conferma della sua correttezza. In questi anni l’economia sovietica ha conosciuto una nuova, fenomenale impennata. Ma i latrati di Trockij contro la vittoriosa edificazione socialista continuano con toni persino più alti. La struttura del socialismo è quasi completa, ed egli continua a ripetere che “il socialismo in solo paese è impossibile”.
Alle numerose “contraddizioni” che Trockij scopre nella costruzione del socialismo sovietico se n’è aggiunta un’altra nuova di zecca: la contraddizione tra produzione e consumo. Neppure un trotskista può più negare la colossale crescita economica dell’Unione Sovietica. Anche il nemico più acerrimo deve ammettere con dispiacere che la collettivizzazione dell’agricoltura è un dato di fatto. Ma i fatti non scoraggiano i trotskisti. I fatti possono essere distorti, e la distorsione più recente di Trockij è che, nonostante lo straordinario aumento della produzione di beni di consumo e lo straordinario aumento dei consumi dei singoli lavoratori e contadini, le merci sarebbero ancora molto desiderate dalle masse e tutti vorrebbero consumarne di più. Trockij lo chiama “stimolo all’accumulazione individuale” e, dato che ha sentito che Marx parlava “anche” di accumulazione (accumulazione originaria del capitale!), arriva alla conclusione molto profonda che questo “stimolo all’accumulazione individuale” potrebbe portare a un ritorno del capitalismo.

Finché la stragrande maggioranza della popolazione non è ancora uscita dell’autentica povertà, l’urgenza dell’appropriazione individuale e dell’accumulazione di beni mantiene un carattere di massa ed entra continuamente in contrasto con le tendenze collettiviste della vita economica. […] Se si permette all’accumulazione di superare certi limiti, si trasforma in un’accumulazione originaria capitalista e può risultare in un rovesciamento dei kolchoz e in seguito anche dei monopoli [il complesso delle fabbriche statali]. “Abolizione delle classi” in senso socialista significa garantire a tutti i membri della società condizioni di vita tali da eliminare lo stimolo all’accumulazione individuale. Siamo ancora molto lontani da questo. […] L’attuale società di transizione è piena di contraddizioni che, nella sfera del consumo, la sfera più immediata e vitale per chiunque, arrivano a un punto di estrema tensione e minacciano sempre di causare un’esplosione nella sfera della produzione. […] Potenzialmente, riguardo alle possibilità e ai pericoli in essa latenti, è una lotta di classe […] che emerge dalla feroce competizione tra gli interessi insiti nella sfera del consumo, sulla base di un’economia ancora deficitaria e squilibrata. (Lev Trockij, L’assassinio di Kirov, febbraio 1935, pp. 10-11)

Trockij si traveste ancora da paladino del socialismo. Dato che il socialismo in Unione Sovietica non è ancora arrivato a una situazione in cui si stimolano gli acquisti di beni di consumo, egli vede l’occasione per un attacco. Il fatto che le masse dell’Unione Sovietica siano ancora “affamate di merci” (che è un incentivo per una produzione maggiore e migliore) è trasformato da Trockij in una nuova lotta di classe. Trasforma con un colpo di mano il desiderio di acquisti in un desiderio di accumulazione. La necessità per il contadino collettivo di ricevere più metri di tele di cotone per sé e la sua famiglia lo spingerà, secondo Trockij, ad “accumulare” così tanto tessuto che alla fine diventerà un capitalista e, chi lo sa, potrebbe anche aprire una fabbrica tessile sulla base della proprietà privata. Il lavoratore tessile ansioso di ricevere più farina di grano e cavoli potrebbe mettere da parte quei prodotti (“accumularli”) mentre nel frattempo rifiuta di consumarli, e (“estrema tensione nella sfera del consumo”!) potrebbe ancora trasformarsi nel proprietario di un silos di grano capace di competere con i silos statali e causare “un’esplosione nella sfera della produzione”. O forse il contadino collettivo, che era così ansioso e impaziente di ricevere la sua radio dalla città, potrebbe non usarla per sé ma venderla al suo vicino, e con i soldi così “accumulati” mettersi in affari e gradualmente sviluppare una “lotta di classe” e diventare una minaccia per i kolchoz e i monopoli.
È assurdo, ma c’è una logica in tutte le assurdità trotskiste. Trockij spera che, siccome i beni di consumo non sono ancora disponibili in Unione Sovietica in quantità sufficienti da assicurare a tutti il lusso oltre che il comfort, alcuni contadini delle fattorie collettive possano ancora illudersi e fidarsi dei kulaki, ancora presenti nelle cooperative travestiti da membri fedeli, e con l’aiuto dei trotskisti sabotare l’agricoltura collettiva.
Purtroppo per Trockij, le masse contadine hanno imparato la lezione nel 1932, quando a causa dell’inesperienza alcuni di loro si arresero alle pressioni dei kulaki nel Caucaso del Nord e in Ucraina. Ora sanno che le loro speranze stanno in una migliore produzione collettiva. I membri individuali delle cooperative potrebbero mettere da parte una quota del grano comune “per i giorni delle vacche magre”, ma questo non li renderà dei kulaki, e con la crescita della sicurezza e dell’abbondanza nei villaggi anche questa pratica sarà presto abbandonata. Gli operai cittadini non hanno mai “accumulato”, non mettono da parte nulla, spendono volentieri tutto quello che guadagnano perché non hanno paura di perdere il lavoro e si aspettano salari ancora più alti e una migliore qualità della vita. Non c’è pericolo di una nuova lotta di classe “nella sfera del consumo” in Unione Sovietica.
In realtà esiste una contraddizione in questa sfera: quella tra i fatti e i desideri di Trockij, tra un ex rivoluzionario e un attuale controrivoluzionario. Gli piacerebbe vedere un’accumulazione di capitale dove c’è desiderio di produrre e consumare e dove le masse imparano dall’esperienza quotidiana che più producono e più consumeranno. Sa che le masse hanno sentito parlare delle contraddizioni tra la produzione di massa e il mercato in contrazione nei paesi capitalisti, e si affretta a usare espressioni simili nella speranza di illudere gli sprovveduti e fargli credere che la crisi del capitalismo (povertà in mezzo all’abbondanza) e la relativa carenza di beni in Unione Sovietica (dove l’apparato produttivo è stato ricostruito da capo e la produzione crescente sta eliminando le carenze) siano la stessa cosa.
Da nessun’altra parte Trockij ha rivelato la sua vera natura di falsario controrivoluzionario come in queste invenzioni.
Che cosa vuole? Ha un piano? Ha un qualche programma? Tempo fa ha avanzato la proposta, molto profonda, che l’Unione Sovietica rallenti il ritmo dell’industrializzazione e della collettivizzazione. Tutto a nome del comunismo “di sinistra”, del “vero” comunismo. Era tipico di Trockij: fraseologia rivoluzionaria e proposte controrivoluzionarie. Ora che l’Unione Sovietica è sorta su basi di granito, ora che agli operai e ai contadini vengono fornite quantità ancora maggiori di beni di consumo, ora che le loro conoscenze e le loro esperienze sono aumentate di mille volte, ora che possono aumentare facilmente la produzione delle fabbriche e dei campi, che cosa propone? Ha un programma per oggi?
Cercherete invano una risposta negli innumerevoli scritti di Trockij e dei suoi seguaci.
In realtà non intendono avanzare un programma. Intendono confondere i lavoratori dei paesi capitalisti che non conoscono a sufficienza la costruzione del socialismo in Unione Sovietica. Intendono dissuadere i lavoratori dei paesi capitalisti, compresi i lavoratori degli Stati Uniti, dallo scegliere la via bolscevica per uscire dalla crisi. Lottano per diffondere pessimismo sulla conquista più grande del proletariato mondiale, l’unica vittoria importante e duratura della rivoluzione socialista nel tempo presente. Intendono preparare ideologicamente le masse a una guerra contro l’Unione Sovietica. Servono alla perfezione i fini capitalisti.

***


Dalla particolare versione trotskista della “rivoluzione permanente” alla teoria dell’impossibilità di costruire il socialismo in un solo paese; da questa agli attacchi controrivoluzionari contro tutto ciò che viene fatto in Unione Sovietica; dagli attacchi verbali contro le roccaforti del comunismo ai sostegni e aiuti pratici ai nemici di classe. È davvero una sorpresa che le conseguenze logiche estreme di Trockij e Zinov’ev portino al revolver?

Edited by Sandor_Krasna - 24/2/2015, 02:24
 
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