Comunismo - Scintilla Rossa

Trotskismo: controrivoluzione mascherata (1935), Moissaye J. Olgin

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Sandor_Krasna
view post Posted on 25/12/2014, 02:28 by: Sandor_Krasna
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5. La rivoluzione e i contadini

Quell’abile teoria sull’impossibilità della rivoluzione in un singolo paese è stata chiamata impropriamente “rivoluzione permanente”. Il termine è improprio, come molti altri termini pseudo-marxisti usati da Trockij. È l’esatto opposto di ciò che il marxismo intende per rivoluzione permanente. La “rivoluzione permanente” di Trockij è un tentativo di spiegare perché una rivoluzione in un solo paese deve fallire dall’interno, anche se non viene schiacciata dall’esterno. La spiegazione è che durante una rivoluzione socialista il proletariato non ha alleati all’interno del paese in cui quella rivoluzione avviene. In particolare, il trotskismo cerca di dimostrare che le masse contadine non rappresentano una riserva rivoluzionaria, e che perciò una rivoluzione in un solo paese è destinata a soccombere alla forze controrivoluzionarie, che comprendono anche i contadini, a meno che le rivoluzioni vittoriose in altri paesi non vengano in aiuto. La “rivoluzione permanente” di Trockij è quindi l’espressione della sfiducia nella capacità del proletariato di guidare nella rivoluzione le altre masse sfruttate e oppresse.
La teoria marxiana della rivoluzione si basa proprio sulla concezione del proletariato come guida di tutti gli sfruttati e gli oppressi verso la rivoluzione. L’egemonia del proletariato nella rivoluzione è il fondamento della concezione marxiana della rivoluzione e trova la sua formulazione classica già nel 1850 in uno scritto di Marx ed Engels dal titolo Indirizzo del Comitato Centrale alla Lega dei Comunisti.
In quel documento, rivolto a una delle prime organizzazioni proletaria rivoluzionarie in Europa, Marx ed Engels definirono i compiti di un partito operaio durante una rivoluzione, come quella che si era svolta in vari paesi europei nel 1848, cioè una rivoluzione contro il sistema feudale. Gli autori, avendo in mente gli interessi della classe lavoratrice ed essendo ben consapevoli del fatto che una rivoluzione democratica borghese (cioè una rivoluzione per instaurare una democrazia borghese) non può mai soddisfare le vere necessità dei lavoratori, non considerarono tuttavia i lavoratori isolati da tutte le altre forse rivoluzionarie. Definirono così i compiti dei lavoratori: insieme ai democratici piccolo-borghesi contro il vecchio sistema; contro i democratici piccolo borghesi e insieme ai contadini poveri quando i primi volevano consolidarsi e diventare la classe dominante dello Stato. Il documento continua così:

Mentre i piccoli borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione, e realizzando tutt’al più le rivendicazioni di cui sopra [le richieste della piccola borghesia], è nostro interesse e nostro compito rendere permanente la rivoluzione sino a che tutto il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l’associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari. Non può trattarsi per noi di una trasformazione della proprietà privata, ma della sua distruzione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del miglioramento della società attuale, ma della fondazione di una nuova società [corsivo nostro]. (Karl Marx, Friedrich Engels, Indirizzo del Comitato Centrale alla Lega dei Comunisti)

Troviamo qui, in una forma straordinariamente chiara, il significato di “rivoluzione permanente” inteso da Marx ed Engels. Il partito del proletariato, dicono gli autori, non è interessato a concludere la rivoluzione piccolo-borghese: è interessato a trasformarla in una rivoluzione permanente, cioè a farla passare da una fase all’altra, da una rivoluzione democratica-borghese a una socialista, da una rivoluzione che tenta di migliorare la società esistente a una che fonda una nuova società, da una rivoluzione in cui la borghesia è il potere dominante e controlla i mezzi di produzione a una dove il proletariato è al potere e nazionalizza tutti i mezzi di produzione, da una società di classi a una senza classi. Marx ed Engels sottolineano anche la caratteristica di una rivoluzione permanente, da una società di classi a una senza classi. Ma mentre la rivoluzione democratica-borghese è in corso, i lavoratori non devono dimenticare di essere la guida di tutti gli oppressi:

Come nella prima rivoluzione francese, i piccoli borghesi vorranno dare le terre feudali ai contadini in libera proprietà, e cioè vorranno lasciar sussistere il proletariato agricolo, e creare una classe di contadini piccolo-borghesi […].
Gli operai, nell’interesse del proletariato agricolo e nel proprio, debbono opporsi a questo piano. Essi debbono esigere che la proprietà feudale confiscata resti patrimonio dello Stato e venga trasformata in colonie di operai, coltivate dal proletariato agricolo associato, con tutti i vantaggi della grande agricoltura e in modo che il principio della proprietà comune riceva subito una forte base in mezzo ai vacillanti rapporti della proprietà borghese. Come i democratici si alleano coi contadini così gli operai debbono allearsi col proletariato agricolo. (Ibid.)


Abbiamo qui lo schema di un’alleanza dei lavoratori con gli altri sfruttati e la difesa degli interessi di questi ultimi nella rivoluzione.
La teoria e la pratica dell’egemonia del proletariato nella rivoluzione furono sviluppate e perfezionate durante la Rivoluzione russa dai bolscevichi di Lenin.
In Russia regnava l’assolutismo. Il sistema era semi-feudale. Il potere era nelle mani dell’aristocrazia terriera e di una potente burocrazia. Lo zar si considerava il più grande dei proprietari terrieri. Quando il capitalismo si sviluppò nell’ultimo quanto dell’Ottocento, lo zarismo cedette con riluttanza alcune cariche di governo ai rappresentanti dei ricchi industriali e banchieri. Una nuova industria con un moderno proletariato era nata, ma i potenti resti del feudalesimo regnavano ancora nelle campagne. I contadini non avevano neppure il pieno diritto di scegliere il posto dove vivere. I proprietari terrieri avevano su di loro dei privilegi che ricordavano quelli della servitù della gleba. Ampie masse popolari, proletari, contadini, piccoli borghesi delle città, erano quasi prive di diritti politici. Arrivò il momento in cui la Rivoluzione sembrava inevitabile. Era negli interessi dei lavoratori e delle altre masse oppresse che i proletari prendessero la guida (l’egemonia) della Rivoluzione. Questo è ciò per cui combatterono i bolscevichi.
Si chiedevano: che cosa chiederanno gli operai alla Rivoluzione? Qual è il loro compito nella Rivoluzione? I socialisti del ramo menscevico (social-riformisti) credevano che l’unica che la Rivoluzione poteva realizzare fosse la fondazione di una democrazia sul modello inglese o francese. I menscevichi dissero che gli operai dovevano accontentarsi delle libertà costituzionali e della partecipazione a un parlamento borghese. Pensavano che quello fosse il massimo in cui si poteva sperare in quelle condizioni. Riguardo all’introduzione del socialismo, la relegavano a un futuro lontano e indefinito; se mai pensavano al socialismo, lo vedevano arrivare (per gradi, ovviamente, e senza sconvolgimenti violenti) entro cento o duecento anni dopo la rivoluzione democratica-borghese. In realtà non pensarono mai al socialismo in connessione alla Rivoluzione che era all’ordine del giorno.
Ben diverso era il punto di vista dei bolscevichi con a capo Lenin. Già nel 1894, nell’opuscolo Che cosa sono gli “Amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici?, in cui definiva il ruolo del proletariato e del suo partito, Lenin scrisse:

Quando i rappresentanti d’avanguardia di questa classe avranno assimilato le idee del socialismo scientifico, l’idea della funzione storica dell’operaio russo, quando queste idee si saranno largamente diffuse e quando tra gli operai saranno sorte solide organizzazioni che trasformeranno la guerra economica degli operai, oggi sporadica, in una lotta di classe cosciente, allora l’operaio russo, postosi alla testa di tutti gli elementi democratici, abbatterà l’assolutismo e condurrà il proletariato russo (al fianco del proletariato di tutti i paesi) sulla via diritta della lotta politica aperta, verso la vittoria della rivoluzione comunista. (Lenin, “Che cosa sono gli “Amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici?”, Opere complete, vol. I. pp. 303-304)

Troviamo qui un’esposizione completa della teoria della rivoluzione permanente. Il proletariato marcia alla testa degli altri elementi democratici verso una rivoluzione democratica-borghese; insieme a questi elementi rovescia l’assolutismo e fonda una democrazia borghese; ma non si ferma qui e continua a lottare fino al rovesciamento del capitalismo e alla realizzazione del comunismo.
Questa è la formulazione leninista della rivoluzione permanente. Consiste di due elementi: primo, il proletariato guida gli altri elementi oppressi; il proletariato è “l’unico e naturale rappresentante della popolazione lavoratrice e sfruttata”; secondo, la rivoluzione passa dalla prima alla seconda fase, dalla fase democratica-borghese a quella socialista.
Questo approccio alla rivoluzione permanente implica l’idea di un’alleanza rivoluzionaria tra gli operai delle città e i contadini.
L’argomentazione bolscevica di Lenin, formulata più di una volta nel 1905 e negli anni seguenti, è la seguente: i liberali, che rappresentano la borghesia, sono a favore della rivoluzione, ma in modo incostante, egoista e codardo. Appena i loro angusti interessi sono soddisfatti, la massa borghese girerà le spalle al popolo, alla rivoluzione, e si alleerà con l’autocrazia contro di loro. Chi rimarrà? Il proletariato e i contadini. Anche quando abbiamo a che fare soltanto con una rivoluzione democratica, è chiaro sin dall’inizio che solo il proletariato è in grado di portare quella rivoluzione alla sua conclusione logica, perché va molto più in là. Il proletariato è il solo elemento rivoluzionario che non tentenna e non cede. I contadini sono instabili, perché contengono elementi semi-proletari e piccolo-borghesi. Ma l’instabilità dei contadini è radicalmente diversa dall’instabilità della borghesia. I contadini sono interessati non tanto alle garanzie costituzionali della proprietà privata, quanto a strappare la terra dalle mani dei proprietari, una delle fondamenta della proprietà privata.
Perciò Lenin insegnò che era compito del proletariato unirsi ai contadini per spingere la rivoluzione democratica-borghese più in là possibile. Questo obiettivo, disse, poteva essere raggiunto unendosi a tutti i contadini. Quando la rivoluzione democratica-borghese sarà compiuta il proletariato, in alleanza con i contadini semi-proletari, cioè con i contadini poveri, sarà in grado di realizzare l’abolizione del capitalismo, superando così la resistenza della borghesia e dei contadini ricchi.
Il piano era solido, coerente con le forze sociali esistenti in Russia e in piena armonia con la dottrina di Marx ed Engels.
Perché la transizione da una rivoluzione democratica borghese a una socialista sia possibile, disse Lenin, non si deve permettere che il potere passi nelle mani della borghesia. In altre parole, anche nella rivoluzione democratica-borghese alla borghesia non deve essere permesso di diventare la classe dirigente. Il potere deve passare nelle mani degli operai e contadini vittoriosi che instaureranno la dittatura rivoluzionaria democratica del proletariato e dei contadini. Appena il proletariato è abbastanza forte, appena le condizioni sono favorevoli, si procederà alla fase successiva, alla rivoluzione socialista, e si instaurerà la dittatura del proletariato.
Abbiamo quindi due fasi nella concezione di Lenin: la dittatura rivoluzionaria democratica del proletariato e dei contadini, e immediatamente dopo la dittatura del proletariato.
Perché la prima? Perché è necessario rompere la resistenza dei proprietari terrieri, della borghesia ricca e degli ufficiali zaristi, e per fare ciò è necessaria un’alleanza con tutti i contadini. “senza la dittatura [rivoluzionaria democratica] non è possibile spezzare la loro resistenza e reprimere i tentativi controrivoluzionari”.

Ma ovviamente questa sarà una dittatura democratica, non socialista. Non sarà in grado di intaccare le fondamenta del capitalismo (senza un’intera serie di fasi intermedie di sviluppo rivoluzionario). Al massimo sarà in grado di introdurre una fondamentale redistribuzione della proprietà terriera a favore dei contadini, di realizzare una coerente e piena democratizzazione fino a includere una repubblica, di sradicare le caratteristiche slave asiatiche non solo dalla vita nei villaggi, ma anche nella vita di fabbrica, di far iniziare un autentico miglioramento della condizione dei lavoratori e alzare la qualità della vita, e, ultimo ma non meno importante, far arrivare l’esplosione rivoluzionaria in Europa. Una tale vittoria non renderà affatto la nostra rivoluzione borghese una rivoluzione socialista; il rovesciamento democratico non uscirà immediatamente dal quadro dei rapporti sociali ed economici borghesi; ciononostante il significato di una tale vittoria sarà enorme per gli sviluppi futuri della Russia e del mondo intero. Nulla stimolerà a tal punto le energie rivoluzionarie del proletariato mondiale, nulla accorcerà così tanto la strada che porta alla piena vittoria della rivoluzione iniziata in Russia. (Lenin, “la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini”, Opere complete, vol. VIII, p. 273)

Ci sarà un lungo intervallo tra la prima e la seconda fase della rivoluzione? Certamente i ritardi sono possibili, e a volte le sconfitte sono inevitabili. Nel momento in cui furono scritte queste righe (nel luglio del 1905) il risultato della rivoluzione in corso era tutt’altro che certo. Lenin stesso sottolineò di non essere “incline all’ottimismo insensato su questo argomento”, di rendersi conto della “straordinaria difficoltà di questo obiettivo”. Disse però: “dobbiamo sperare nella vittoria e sapere come mostrare l’autentica strada verso di essa”. La strada era la transizione immediata dalla rivoluzione democratica-borghese a quella socialista:

Dalla rivoluzione democratica cominceremo subito, nella misura delle nostre forze, delle forze del proletariato cosciente e organizzato, a passare alla rivoluzione socialista. Noi siamo per la rivoluzione ininterrotta [corsivo nostro]. Non ci arresteremo a metà strada. […] Senza cadere nello spirito d’avventura, senza tradire la nostra coscienza scientifica, senza perseguire una popolarità a buon mercato, possiamo dire e diciamo una cosa sola: con tutte le forze aiuteremo tutti i contadini a fare la rivoluzione democratica, affinché più facile sia a noi, partito del proletariato, passare con la massima rapidità a un compito nuovo e più elevato, alla rivoluzione socialista. (Lenin, “L’atteggiamento della socialdemocrazia verso il movimento contadino”, Opere complete, vol. IX, p. 220)

Aiutare tutti i contadini a portare a compimento la rivoluzione democratica! Per i bolscevichi il significato e il contenuto della rivoluzione democratica consistono, riguardo ai contadini, nell’abolizione di tutti i resti del feudalesimo. Una volta fatto ciò, una volta che il potere è nelle mani del proletariato e di tutti i contadini, una volta che la resistenza delle classi un tempo dominanti è stata spezzata, una volta che il proletariato si è rafforzato e meglio organizzato nel processo rivoluzionario, la strada è aperta alla rivoluzione socialista. Si aprirà la strada al proletariato alleato non con tutti i contadini, dato che i contadini ricchi saranno naturalmente contrari alla rivoluzione socialista, ma in alleanza con gli elementi semi-proletari della popolazione.
Ecco la formula classica di Lenin:

Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia. Il proletariato deve fare la rivoluzione socialista legando a sé la massa degli elementi semi-proletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola borghesi [corsivo di Lenin]. (Lenin, “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica”, Opere complete, vol. IX, p. 90)

Ci siamo soffermati a lungo sulla teoria leninista della rivoluzione permanente, perché solo su questa base è possibile valutare la perversione fattane da Trockij. Quella di Trockij è in sostanza la negazione della rivoluzione proletaria. Egli ci resta aggrappato, ritenendola il proprio contributo alla scienza della rivoluzione, ma in realtà è un pezzo di menscevismo avvolto in una fraseologia “rivoluzionaria”. La sua “teoria” è esposta così:

Il proletariato russo, ritrovatosi in possesso del potere – anche se si trattava soltanto la conseguenza di una temporanea combinazione di forze nella nostra rivoluzione borghese – troverà ostilità organizzate da parte della reazione mondiale, e necessiterà di supporto organizzato da parte del proletariato mondiale. Lasciato alle sue forze, il proletariato russo sarà inevitabilmente schiacciato dalla controrivoluzione nel momento in cui i contadini lo abbandoneranno [corsivo nostro]. Non gli resterà altro da fare che legare il destino del suo dominio politico, e di conseguenza il destino dell’intera rivoluzione russa, a quello della rivoluzione socialista in Europa. Quel colossale potere politico statale che ha ottenuto dalla temporanea combinazione di forze nella rivoluzione borghese russa sarà portato alle proporzioni della lotta di classe dell’intero mondo capitalista. Con il potere statale nelle sue mani, con la controrivoluzione dietro di sé, con la reazione europea di fronte a sé, lancerà ai fratelli di tutto il mondo il vecchio grido di battaglia, che questa volta sarà il grido di battaglia dell’attacco finale: proletari di tutto il mondo, unitevi! (Trockij, Bilanci e prospettive, 1906)

Lo stile è drammatico, ma il contenuto è disfattista. Se supponiamo che il proletariato russo è solo, che non ha alleati, allora non potrà affatto entrare in possesso del potere statale. Se supponiamo che per qualche miracolo ha ottenuto il potere ma ha la reazione europea di fronte a sé e i nove decimi della popolazione alle sue spalle sono ostili, allora a che cosa può servire un grido di battaglia? Le rivoluzioni, anche quando i tempi sono maturi, richiedono tempo per svilupparsi. Il grido di battaglia del proletariato che è assediato dai nemici potrebbe non far insorgere immediatamente i lavoratori degli altri paesi. Inoltre, una simile situazione di classe è prevalente anche in altri paesi. Anche là i contadini costituiscono larga parte della popolazione. Anche là, secondo Trockij, i lavoratori devono avere la controrivoluzione dietro di sé e la reazione mondiale di fronte. Una rivoluzione, secondo Trockij, è impossibile in un singolo paese.
Facciamo un esempio vicino a noi. Negli Stati Uniti abbiamo un proletariato industriale (nelle fabbriche, nelle miniere e nei trasporti)che costituisce un’ampia parte ma non la maggioranza della popolazione. Ci sono decine di milioni di piccoli e medi contadini, piccoli commercianti, intellettuali piccolo-borghesi. Dall’idea “originale” di Trockij consegue che il proletariato non potrebbe avere il supporto di questi milioni in una rivoluzione contro il capitalismo, che si unirebbero inevitabilmente agli sfruttatori contro i rivoluzionari. Perciò non potrebbe esserci speranza per una rivoluzione, in nessuna circostanza.
Il paladino della sua “rivoluzione permanente” è in realtà il paladino della sconfitta permanente.
I bolscevichi sapevano che in Russia, come in ogni altro paese capitalista, il proletariato era l’unica forza coerentemente rivoluzionaria, e lavorarono per assicurarne l’egemonia nella Rivoluzione. Eppure sapevano anche che i contadini erano una riserva inesauribile di energia rivoluzionaria. E le loro valutazioni si rivelarono corrette. Guidando i contadini affamati di terre – nelle vesti di soldati o semi-servi della gleba – fu possibile per il proletariato realizzare la Rivoluzione del febbraio 1917. Guidando non tutti contadini, ma quelli poveri che erano contro i capitalisti delle città e dei villaggi, cioè i contadini ricchi (kulaki), e con i contadini medi neutralizzati, fu possibile per il proletariato, con il Partito Comunista come avanguardia e “tutto il potere ai soviet” come slogan, realizzare la Rivoluzione dell’ottobre 1917, che ha fondato la dittatura del proletariato. Guidando i milioni di contadini poveri che si unirono volontariamente all’Armata Rossa per difendere la conquista rivoluzionaria, fu possibile per il proletariato – con i bolscevichi alla testa – vincere la guerra civile e assicurare la vittoria finale della Rivoluzione.
La storia ha eloquentemente rifiutato la “rivoluzione permanente” di Trockij. Eppure egli non ha mai rinnegato il suo stupido concetto, che tra l’altro non è neppure una sua invenzione: fu avanzato inizialmente da un socialdemocratico di nome Parvus, che in seguito divenne un violento social-sciovinista durante la Grande guerra. L’idea alla sua base, che tutti i contadini sono controrivoluzionari, è un concetto menscevico.
Gli anni passano. Le rivoluzioni vanno e vengono. Prima la Rivoluzione del 1905, poi il periodo della controrivoluzione, poi il periodo di instabilità, poi la Rivoluzione di febbraio, poi la Rivoluzione d’ottobre. Enormi masse contadine sono spinte verso la Rivoluzione e le danno il carattere di massa che è necessario perla vittoria. È introdotta la collettivizzazione dell’agricoltura, i kulaki sono liquidati come classe, la differenza tra contadini piccoli e medi scompare grazie alla partecipazione comune alle cooperative. Ma il nostro pessimista resta ancora aggrappato alla “sua” idea che i contadini siano in sostanza ostili alla Rivoluzione.
Non ha imparato nulla.
Nel 1909 prevede una situazione in cui i lavoratori al potere, una volta introdotte una serie di misure socialiste, entreranno inevitabilmente in conflitto con i contadini. “Il conflitto,” dice, “deve finire con i lavoratori puniti dai contadini o con questi ultimi rimossi dal potere” (un articolo intitolato “le nostre controversie”, poi ristampato nel volume 1905). A Trockij non entra in testa che il proletariato possa introdurre delle misure per stimolare il supporto delle grandi masse contadine, assicurando così una marcia unita verso il socialismo.
Nel 1915, sul giornale parigino Naše Slovo, ribadisce che non bisogna nutrire “speranze esagerate sul ruolo rivoluzionario” dei contadini (Ibid.).
Nel 1922, dopo cinque anni di dittatura del proletariato così pieni di supporto delle masse contadine verso la Rivoluzione, scrive una prefazione a una raccolta di suoi articoli che pubblica con il titolo 1905, e dice:

Fu nell’intervallo tra il 9 gennaio e lo sciopero generale dell’ottobre 1905 che la concezione del carattere dello sviluppo rivoluzionario in Russia, che divenne nota come la teoria della “rivoluzione permanente”, si cristallizzò nella mente dell’autore. Questo termine complicato rappresentava un’idea piuttosto semplice. […] La Rivoluzione non sarebbe stata in grado di risolvere i suoi problemi borghesi immediati se non mettendo il proletariato al potere. E quest’ultimo, assunto il potere, non sarebbe stato capace di limitarsi al quadro borghese della Rivoluzione. Al contrario, proprio al fine di assicurarsi la vittoria, l’avanguardia proletaria sarebbe stata costretta nelle primissime fasi del suo potere a intaccare pesantemente non solo la proprietà feudale, ma anche la proprietà capitalista. Perciò il proletariato arriverà a una collisione ostile non solo con i raggruppamenti borghesi che lo hanno supportato durante le prime lotte rivoluzionarie, ma anche con le ampie masse di contadini che sono state fondamentali per portarlo al potere. Le contraddizioni nella situazione del governo proletario in un paese arretrato con una maggioranza schiacciante di contadini possono essere risolte solo su scala internazionale, nell’arena della rivoluzione proletaria mondiale. (Trockij, 1905, prefazione)

Ancora oggi Trockij resta attaccato a questa “semplice idea”. Questa idea ha fatto di lui l’avanguardia della controrivoluzione. C’è bisogno di contarla? Le lezioni della storia sono abbastanza chiare. Non solo la conquista del potere e la repressione dei capitalisti e dei proprietari terrieri sarebbero state impossibili per il proletariato russo senza l’aiuto di milioni e milioni di contadini, ma neppure l’edificazione del socialismo sarebbe stata possibile. Il socialismo, ha detto Stalin, non riguarda soltanto le città. Il socialismo è un’organizzazione della vita economica che può essere stabilita soltanto con la cooperazione di industria e agricoltura sulla base della socializzazione dei mezzi di produzione. Il socialismo è impossibile senza l’unione di industria e agricoltura. L’agricoltura non significa solo terra e fattorie, ma prima di tutto contadini, milioni di contadini.
Quando il proletariato, sotto la guida del Partito Bolscevico, ha espropriato gli industriali e i banchieri nella prime fasi della Rivoluzione socialista in Russia, che cosa costituiva le sue forze armate? L’Armata Rossa, composta per la maggior parte da contadini. Quando le rivolte dei kulaki sul Volga contro il potere sovietico dovettero essere represse nel 1918-1920, chi lo fece? La stessa Armata Rossa in cui i contadini piccoli e medi erano la maggioranza. Quando il proletariato iniziò a “dekulakizzare” i contadini ricchi con l’introduzione della collettivizzazione nei villaggi, chi gli diede aiuto e chi erano i suoi alleati? Il suoi aiuto erano i contadini poveri, negli interessi dei quali dovevano essere compiuti gli espropri. I suoi alleati erano i piccoli contadini. Supponiamo che ci sia un attacco all’Unione sovietica: chi sarebbe in prima fila per difenderla? L’Armata Rossa, che è composta da proletari e contadini delle cooperative.
Che cosa resta della “peculiarità” della rivoluzione permanente di Trockij? È un’idea esausta. È una “peculiare” controrivoluzione. È in contraddizione con fatti ben noti e inoppugnabili, e con l’idea di Lenin di dittatura del proletariato:

La dittatura del proletariato è una particolare forma di alleanza di classe fra il proletariato, avanguardia dei lavoratori e i numerosi strati di lavoratori non proletari (piccola borghesia, piccoli proprietari, contadini, intellettuali, ecc.), o la maggior parte di loro, alleanza contro il capitale, alleanza che tende al completo abbattimento del capitale, al completo soffocamento della resistenza della borghesia e dei suoi tentativi di restaurazione, alleanza che tende alla definitiva edificazione e al consolidamento del socialismo. (Lenin, “Come si inganna il popolo con le parole d’ordine di libertà e uguaglianza”, Opere complete, vol. XXIX, p. 347)

La teoria di Trockij suona “rivoluzionaria” solo a chi non è informato. Sostiene che i braccianti del Sud degli Stati Uniti si rivolteranno contro i proletari non momento in cui questi ultimi, dopo la presa di potere, inizieranno a espropria le miniere e i mulini dai capitalisti dell’Alabama; che i fittavoli del Midwest si uniranno agli eserciti di Morgan e Ford per opporsi alla confisca delle fabbriche di automobili, ferrovie e banche da parte degli operai; che i piccoli borghesi di New York si rivolteranno contro i lavoratori che introdurranno misure socialiste in quella metropoli mondiale. Questo è ciò che i ciechi non notano nella “varietà del menscevismo” di Trockij, come la definì Stalin.

***


Ma Trockij non si limita a questa “peculiarità”. Questa è solo la base, il punto di partenza. Arriva a conclusioni “peculiari”, ciascuna più fantastica delle altre. Da una premessa erronea seguono numerose conclusioni controrivoluzionarie che costituiscono la natura principale del trotskismo:
1. la base è: l’impossibilità del socialismo in un solo paese;
2. conseguenza: l’asserzione che quello che sta succedendo in Unione Sovietica non è socialismo;
3. conseguenza: la conclusione che quello che viene costruito in Russia è “nazional-socialismo”;
4. conseguenza: la conclusione che il governo “nazional socialista” dell’Unione Sovietica è termidoriano, cioè controrivoluzionario, ed è un ostacolo per la rivoluzione mondiale;
5. conseguenza: l’asserzione che l’Internazionale Comunista, dominata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica che è il partito del “nazional socialismo”, sta sbarrando la strada alla rivoluzione mondiale;
6. conseguenza: la conclusione che il bisogno del proletariato mondiale sia la costituzione di una “quarta internazionale” guidata dal “grande stratega” della rivoluzione, Lev Trockij;
7. da tutto ciò consegue che supportare l’intervento miliare e l’assassinio di dirigenti sovietici sono atti rivoluzionari.
Come vedete, c’è una logica in queste farneticazioni. Nascono tutte con ferrea coerenza dalla negazione trotskista del socialismo in un solo paese. Se sono in totale contrasto con i fatti storici, non è colpa di Trockij.

Edited by Sandor_Krasna - 29/12/2014, 02:44
 
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