Comunismo - Scintilla Rossa

Ucraina, scendono in campo gli Stati Uniti

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view post Posted on 29/2/2016, 21:03

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La crisi politica ucraina con conseguente paralisi ha allarmato e non poco le cancellerie europee, in particolar modo Berlino


di Eugenio Cipolla

L’affare che riguarda Arseniy Yatsenyuk ha ufficialmente sconfinato. Il cruccio di Petro Poroshenko, con il quale si dice che i rapporti siano ormai ai minimi termini, sta diventando un vero e proprio caso internazionale. Ieri sera, ospite del programma “10 minuti con il primo ministro”, in onda su diversi canali televisivi ucraini, il leader del Fronte Popolare è tornato ad attaccare «le forze all’interno del paese che vogliono avidamente prendere il potere». Secondo il premier, il suo governo è quello «che ha fatto di più in un anno rispetto a tutti i governi precedenti negli ultimi venti».

Parole, quelle di Yatsenyuk, che alla Bankova sono arrivate dirette e che hanno mandato su tutte le furie Poroshenko. Di dimettersi, infatti, il premier non ne ha la minima intenzione. Almeno, finché non gli sarà garantito uno spazio di manovra molto ampio nel governo che dovrebbe succedergli. «Il governo – ha proseguito - ha messo a punto un piano d'azione per il 2016 ed è pronto per la sua attuazione». Sulla scrivania di Poroshenko, intanto, rimangono aperti gli scenari più disparati. I nomi di Turchinov e Groismann, che avevano subito un’impennata negli ultimi giorni, si sono raffreddati, ed è tornata in auge l’ipotesi di un esecutivo tecnico guidato da Natalia Jaresko, attuale ministro delle Finanze di Kiev e con un passato nelle più grandi compagnia finanziarie statunitensi.

Per ora, nei conteggi fatti tra i corridoi della Rada, la donna di Washington avrebbe i voti necessari per la nomina. Ma allo stesso tempo, ha scritto qualche giorno fa il quotidiano ucraino ‘Vesti’, Poroshenko difficilmente prenderà misure drastiche senza l’approvazione degli Stati Uniti. In realtà, viene spiegato in ambienti di governo, non vi è alcun divieto diretto da parte del vicepresidente Usa, Joe Biden, al siluramento di Yatsenyuk, ma, si legge ancora su Vesti, «la candidatura della Yaresko sarebbe un tentativo di “corrompere” gli Stati Uniti per ottenere il loro sostegno sulle dimissioni di Yatsenyuk».

Sulle dinamiche della politica ucraina, però, non pesano solo gli interessi d’oltreoceano, ma anche quelli dell’Unione Europea, che sul progresso di Kiev ci ha messo la faccia. Non a caso, la crisi politica con conseguente paralisi ha allarmato e non poco le cancellerie europee, in particolar modo Berlino. La settimana scorsa il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier era stato a Kiev assieme al collega francese Ayrault. Ufficialmente per constatare di persona la situazione del paese, ma il vero motivo potrebbe essere un altro: l’attuazione nel paese di un “Piano Marshall” europeo per l’Ucraina.

A parlare di questa ipotesi oggi è stato Karl-Georg Welman, pezzo grosso della Cdu di Angela Merkel. Intervistato dal giornale ucraino “Segodnya”, il deputato del Bundestag lo ha detto senza troppi giri di parole: «Non vogliamo che l’Europa si stanchi a causa della corruzione persistente. […] Quindi stiamo lavorando a una nuova strategia per la stabilizzazione e lo sviluppo dell’Ucraina con un maggiore impegno finanziario e politico. E’ qualcosa di nuovo che verrà definito con l’accordo di associazione. E’ una nuova strategia ancora in fase di sviluppo, non essendo entrata a far parte ufficialmente della politica. Questa idea comprende un “Piano Marshall” per la ripresa economica, della gestione, della magistratura […] Se questo “Piano Marshall” inizierà mai a lavorare, sarà solo sotto il pieno controllo e monitoraggio (della Germania). Il destino dell’Ucraina è l’Europa».
 
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view post Posted on 1/3/2016, 07:43
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Ucraina. Le mire di Kiev sulla Crimea




Torna l'attenzione sulla Crimea. Ieri Petro Porošenko ha parlato del suo ultimo viaggio nella penisola, nella primavera del 2014, alla vigilia del referendum che, con il 96,77% dei suffragi, la riportò nella compagine della Federazione Russa. Il presidente ucraino ha detto che, con quel tour, egli intendeva dimostrare come “anche un uomo solo sarebbe stato in grado di dissolvere le nebbie della propaganda russa. Da allora le mie intenzioni non sono cambiate”.
A quanto pare, non sono però mutati nemmeno i propositi di quel 96,77% di crimeani. E ciò, a dispetto di ogni tentativo, “legale” o terroristico, di gruppi armati del medžlis dei tatari, di reparti neonazisti o di pretese internazionali della junta di Kiev, di far tornare la penisola in mano ucraina. Porošenko si dice convinto che Mosca stesse pianificando la riunione della Crimea alla Russia sin dal 1991 (l'anno della finale dissoluzione dell'Urss a opera dei presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia, El'tsin, Kravčuk e Šuškevič) e non ci sia riuscita solo “grazie agli sforzi eroici del popolo ucraino”. Ora, Porošenko chiede al Ministero della difesa e allo stato maggiore di rafforzare i controlli lungo tutta la costa del mar Nero e sostenere ogni focolaio di resistenza sulla penisola, ricordando che “ovviamente l'Ucraina non riconosce e non riconoscerà mai de-jure come cittadini russi i crimeani che hanno ricevuto il passaporto russo”.
Ciò avviene nel momento in cui, sullo sfondo di tali mire ucraine, la Russia, dopo aver annunciato la costruzione di un ardito ponte autostradale sull'istmo di Kerč che conduce in Crimea, sta già iniziando i lavori per una nuova linea ferroviaria di circa 122 km che congiungerà le regioni russe di Rostov sul Don e di Voronež, evitando il precedente percorso ucraino. La linea dovrebbe essere inaugurata nell'autunno del 2017, in barba alle pretese di Kiev.
E ieri, in risposta alle dichiarazioni del direttore del Dipartimento di politica sociale e umanitaria del Ministero della difesa ucraino, Valentin Fedičev, secondo cui, “in caso di guerra su larga scala” tra Ucraina e Russia, quest'ultima lascerebbe sul terreno “come minimo 20mila soldati”, l'agenzia Novorosinform riportava il sarcastico commento del presidente dell'amministrazione municipale di Sebastopoli, Sergej Menjajlo. Curiosamente, ha detto il capo di Sebastopoli, “la dottrina militare ucraina è dettata non dallo stato maggiore, ma dai finanzieri. Non appena si stanziano soldi per le necessità militari, i piani di guerra con la Russia vengono messi a punto in qualche villa a cinque piani sulle rive dei Caraibi e i soldati ucraini rimangono con gli scarponi rotti e i vecchi mitragliatori”.
Nell'epos nazionalistico si è inserito anche il leader del gruppo rock “Vopli Vidopljasova” (più o meno: Urla di Vidopljasov, personaggio del dostoevskiano Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti), Oleg Skripka, il quale ha dichiarato a Ukraina.ru che sapeva da tempo che la Crimea sarebbe tornata a far parte della Russia. “La Crimea non tornerà mai più a essere ucraina” ha detto Skripka; “in Ucraina non c'è sufficiente volontà politica per questo. E cosa dovremmo fare con quei milioni di traditori in Crimea? Deportarli? Essere amici? Non ci riusciremo … Per qualsiasi persona normale era chiaro che ci avrebbero preso la Crimea. Per me era chiaro sin dall'inizio del 2000; già allora noi avremmo dovuto prenderci la “debole” Transdnistria, requisire tutti gli armamenti che vi erano concentrati e andare a riprenderci la Crimea”.
Per la soddisfazione di Skripka, c'è da dire che, comunque, Porošenko non demorde. Anatolij Baranov, del PC russo, scriveva ieri su Forum.msk.ru di come il presidente ucraino abbia in programma una riunione speciale del Consiglio di sicurezza e difesa in cui mettere a punto un piano di tutela degli interessi ucraini contro la Russia di fronte ai tribunali internazionali. Sembra un progresso, scrive Baranov: finora il Consiglio di difesa studiava il metodo di riacquisizione della Crimea con la forza; appena pochi giorni fa, il Ministro degli interni Arsen Avakov aveva annunciato la formazione di reparti speciali atti allo scopo. Sinora, Kiev si è limitata a interrompere parzialmente le forniture di acqua ed energia elettrica, ma la cosa non ha influito sugli umori prorussi del 97% della popolazione, come sperava Kiev. Baranov scrive di come, nonostante gli accenti critici dei cittadini di Sebastopoli per l'operato di Menjajlo, le osservazioni critiche di Baranov stesso suscitino disappunto e lo si sospetti di essere “una spia ucraina”.
E, comunque, appena pochi giorni fa, EurAsia Daily scriveva di come gruppi mobili di sabotatori stiano passando dal blocco economico della Crimea - coi conseguenti introiti dal contrabbando delle merci sequestrate agli autotrasportatori - al terrore aperto verso gli abitanti della regione di Kherson, confinante a ovest con la penisola, eletta al ruolo di avamposto dal medžlis dei tatari dopo la fuga dalla Crimea. Avamposto in cui il battaglione musulmano “Noman Čelibidžikhan” (primo Mufti dei musulmani di Crimea, che avversò il potere sovietico) si va rimpinguando per l'afflusso di “gruppi radicali da tutto il mondo” e i lauti sostegni in armi del governo di Ankara. A detta del vice premier della Crimea, Ruslan Bal'bek, nel battaglione ci sarebbero ben pochi tatari e quasi solamente mercenari stranieri, per lo più dell'Isis. Secondo EurAsia Daily, la spina dorsale del battaglione sarebbe composta da islamisti dei “Lupi Grigi” fuggiti dalla Siria, insieme a elementi provenienti dall'Africa settentrionale e da altre parti del mondo.
D'altronde, che l'ipotesi militare sia sempre stata presa in considerazione, sin dall'inizio del colpo di stato a Kiev, lo conferma ora la pubblicazione sul sito di Komsomolskaja Pravda del lunghissimo stenogramma della riunione del Consiglio di sicurezza e difesa ucraino, tenutasi il 28 febbraio 2014, relativa alla questione della Crimea. La possibilità di entrare in guerra con la Russia fu discussa dall'allora speaker della Rada, Aleksandr Turčinov, insiema al capo del Consiglio di difesa Valentin Nalivajčenko, i Ministri di interni, difesa ed esteri, Arsen Avakov, Igor Tenjukh e Andrej Deščitsa, il premier Arsenij Jatsenjuk, vari capi del controspionaggio, Julija Timošenko e altri. Accanto all'appoggio di massa dei crimeani per le possibili azioni russe, si metteva l'accento sulla demoralizzazione delle truppe e della flotta ucraine in Crimea, sulla diserzione di vari reparti del Ministero degli interni e sulla possibilità di inviare non più di 5.000 uomini nella pensola, ma sulla impossibilità di controllare l'intera frontiera con la Russia che, in caso di attacco, in meno di un giorno avrebbe raggiunto Kiev. Jatsenjuk riconosceva che Kiev non era pronta a operazioni militari e, ricordando che anche Washington non aveva una posizione ferma, proponeva una soluzione “federativa” per la penisola. In quella riunione, Jatsenjuk appare il “più ragionevole”, ricordando che nessun intervento militare, come prospettato da Turčinov - che proponeva la legge marziale l'arresto dei capi “separatisti” - sarebbe arrivato in quel momento in aiuto dalla Nato e che la legge marziale avrebbe significato una dichiarazione di guerra alla Russia. Come suo solito, “l'eroina” dell'Occidente, Julija Timošenko mostra scrupoli solo formali: “Se noi avessimo anche una sola chance su cento di vincere Putin, sarei la prima ad appoggiare un'azione energica. Ma la nostra situazione militare è disastrosa e dobbiamo invocare l'aiuto occidentale a nostra difesa, vestendo i panni della colomba della pace”. Particolarmente efficaci le parole di Turčinov: “I nostri partner occidentali ci chiedono di non fare bruschi movimenti”. In definitiva, solo la consapevolezza dell'inadeguatezza delle proprie forze militari, fermò la junta dalla guerra aperta con Mosca, anche se non impedì poi, un mese e mezzo più tardi, ai golpisti di Kiev, di iniziare i bombardamenti e l'offensiva sul Donbass. Se Turčinov, conclude l'osservatore di Komsomolskaja Pravda, fosse veramente stato convinto della presenza di reparti russi nel Donbass, anche in quel caso a Kiev sarebbero rimasti, secondo la colorita espressione russa, “più cheti dell'acqua e più bassi dell'erba”; e non a caso la Timošenko ha già denunciato come “delitto” la pubblicazione di quello stenogramma.
Come scriveva il grande Tolstoj, Napoleone era convinto che non è bene ciò che è bene, ma è bene quello che a lui passa per la testa.
 
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Kiev. In arrivo ricambi formali ai vertici ucraini



Non sembra che i rapporti tra Ucraina e Polonia, nell'ultimo secolo, siano stati particolarmente calorosi. Non lo erano all'epoca della guerra civile e dell'intervento straniero contro la giovane repubblica sovietica russa, appena sorta dalla Rivoluzione d'ottobre, nonostante i comuni attacchi contro l'Esercito Rosso sia da parte delle bande di Petljura, Makhno e dell'esercito di Denikin, in Ucraina; sia da parte, poi, delle truppe polacche di Pilsudskij, proprio in terra ucraina. Non lo furono nemmeno una ventina di anni dopo, quando le SS ucraine di Stepan Bandera e Roman Šukhevič, arruolate nella Wehrmacht, si diedero a massacrare, oltre che i soldati sovietici, anche i civili polacchi, soprattutto nella regione della Galizia. E proprio le regioni di Galizia e Volinija sembrano rappresentare tutt'oggi il “pomo della discordia” tra Varsavia e Kiev, con diversi raggruppamenti nazionalisti polacchi che ne rivendicano l'annessione, forti anche della cosiddetta norma sulle “restituzioni” di beni appartenuti alla nobiltà polacca in epoca presovietica.

Nonostante tutto ciò, alle porte di un sempre più annunciato ricambio al vertice governativo ucraino, l'ultima uscita del presidente Porošenko è quella, secondo vari media ucraini, di sostituire l'ormai “moribondo politico” primo ministro Arsenij Jatsenjuk con l'ex vice premier e Ministro delle finanze polacco Leszek Balczerowicz, uno dei molti allievi e propagatori della cosiddetta “terapia shock” imposta da Washington e FMI per il trapasso delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi est-europei dall'economia pianificata a quella di mercato.

Secondo quanto riporta la russa RT, basandosi sulla Ukrainskaja Pravda, consultazioni tra rappresentanti del Blocco Porošenko e Balczerowicz sarebbero in corso già dallo scorso dicembre e, fattore certo non secondario, il polacco gode dell'appoggio occidentale, a differenza degli altri nomi ventilati: il segretario del Consiglio di sicurezza e di difesa, Aleksandr Turčinov e lo speaker della Rada, Vladimir Grojsman. Di fronte alle prossime dimissioni del premier Jatsenjuk – da più parti lo si dà per “dimissionato” dal presidente, molto probabilmente, già per l'8 o il 9 marzo - nettamente svantaggiato sarebbe anche il leader del Partito radicale, Oleg Ljaško, che si è autocandidato alla carica di primo ministro, dicendosi contrario a elezioni anticipate; a suo dire, infatti, la formazione di una diversa coalizione parlamentare che sostenga il nuovo gabinetto, sarebbe possibile anche nell'attuale configurazione della Rada.

In ogni caso, che sia un ucraino o un polacco a sostituire Jatsenjuk, a Washington pare ci si occupi d'altro; anzi, la nomina di Balczerowicz potrebbe combinarsi proprio coi piani yankee di utilizzo della regione di L'vov (il capoluogo della Galizia in cui maggiori sono gli attriti ucraino-polacchi) per i piani di addestramento di truppe e battaglioni neonazisti. Dunque, non più soltanto l'area del poligono di Javorov, nella regione di L'vov, dove da oltre un anno gli istruttori della 173° brigata aerotrasportata USA (di stanza a Vicenza) istruiscono la guardia nazionale ucraina; ora il Pentagono avrebbe stanziato ulteriori 267mila dollari per la ristrutturazione di un istituto scolastico, nel villaggio di Starič (nella medesima provincia di Javorov) in cui dovrebbe allenarsi il battaglione “Azov”. Quello stesso battaglione i cui membri hanno preso parte, insieme ai “volontari” di Pravyj Sektor e UNA-UNSO, alla marcia notturna che sabato scorso, nell'anniversario della morte (fu giustiziato dall'intelligence sovietica il 5 marzo 1950) del capo dell'UPA filonazista, Roman Šukhevič, ha attraversato proprio le vie di L'vov inneggiando a Stepan Bandera e a Šukhevič, quali “eroi dell'Ucraina”.

Secondo la Tass, tra le condizioni dettate da Washington alla ditta ucraina appaltatrice che si occupa della ristrutturazione dell'edificio, ci sarebbe anche quella dell'apposizione di una targa con la scritta in inglese e ucraino “La ristrutturazione è stata possibile grazie alle elargizioni del popolo USA agli abitanti del villaggio di Starič, con il sostegno dell'Ufficio per la collaborazione militare e dell'ambasciata USA a Kiev”. I “miseri” 267mila dollari vanno ad aggiungersi ai 250 milioni di $ stanziati dagli USA per “la sicurezza” ucraina, ai 265 milioni elargiti dall'inizio dell'aggressione al Donbass e ai 658 milioni di $ di aiuti economici previsti per il 2016.

Secondo le dichiarazioni dell'assistente del Segretario per la difesa, Michael Carpenter, rilasciate a “Golos Ameriki” e riportate da RIA Novosti, “Dall'inizio del conflitto, gli USA hanno fornito all'Ucraina 265 milioni di dollari. Abbiamo contribuito ai programmi di addestramento e alle forniture di apparecchiature radar e radio, visori notturni, veicoli e mezzi anfibi. L'obiettivo è quello di rendere le forze armate ucraine più forti e più capaci di una autonoma difesa del paese”.

D'altronde, appena pochi giorni fa, il capo della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, aveva dichiarato che l'Ucraina non diventerà membro UE e Nato (anche se, di fatto, membro dell'Alleanza atlantica Kiev lo è già) prima di 20-25 anni. Una secca risposta a Porošenko che, nel settembre scorso, aveva sentenziato: “Ucraina e Nato non sono mai state così vicine come oggi”! Pur se, lo stesso presidente aveva riconosciuto che “Le riforme condotte in Ucraina corrispondono al 99% alle richieste Nato. Ma il paese non è pronto a divenire membro dell'Alleanza e non lo sarà prima di 6-7 anni”. Dunque, ecco che Washington si preoccupa di assicurare a Kiev i mezzi necessari ad accelerare il processo di integrazione nell'Alleanza atlantica.

Processo che non appare né veloce, né lineare, considerate anche le condizioni economiche di un paese in cui, secondo l'Associazione agraria ucraina, nonostante nel 2015 il 45% della produzione agricola lorda sia venuto dalle aziende agricole familiari, il 29,2% di esse utilizza ancora il cavallo per dissodare la terra e solo il 17% dispone di un qualche strumento meccanico, con appena il 4,6% delle aziende familiari che possiede un trattore.

Ma questo non preoccupa né Bruxelles né tantomeno Washington, che dettano la road map dell'avvicinamento ucraino al loro soglio e decretano tempi modi e soggetti dei ricambi ai vertici del paese. Il compito affidato a Kiev, alle frontiere con la Russia, è tutt'altro che non lo “sviluppo” del paese.
 
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Ucraina: nomi e figure di scena per fare la guerra al Donbass



Da oltre un mese l'attenzione internazionale sulle questioni ucraine appare maggiormente concentrata sulle possibili candidature in sostituzione del primo ministro Arsenij Jatsenjuk che non sulla guerra che, a dispetto dei mai concretizzati accordi di Minsk-2 del febbraio 2015, Kiev sta continuando a condurre contro il Donbass. A partire dalla batosta elettorale subita dal partito del premier, il “Fronte del popolo”, nelle elezioni dell'autunno 2014, le quotazioni di Jatsenjuk hanno continuato a precipitare, fino a raggiungere quota zerovirgola; ciononostante, egli non dà segni di cedimento. Nemmeno con le maniere forti si è riusciti a staccarlo – nel senso letterale della parola – dallo scranno ministeriale. Qualcosa o qualcuno ce lo tiene saldamente attaccato. La questione è tornata a ripresentarsi dallo scorso 4 febbraio, allorché la Rada aveva giudicato “insoddisfacente” il lavoro del gabinetto e il presidente in persona, l'oligarca Petro Porošenko, aveva parlato della “necessità di riavviare il lavoro del governo”, sottintendendo un ricambio di figure, a partire dal premier. La questione era divenuta “scottante” nei giorni successivi, dopo le dimissioni del Ministro dello sviluppo economico, il lituano Aivaras Abromavičius, il cui passo era stato approvato dagli ambasciatori dei paesi occidentali e dal portavoce del Dipartimento di stato, John Kirby. In quell'occasione, era apparso evidente il ruolo del lituano quale “residente” di servizi stranieri nel governo ucraino, cui i vertici dell'intelligence avevano ordinato l'uscita di scena. Ma, evidentemente, questo non significava ancora che le forze che avevano installato Jatsenjuk al timone dell'Ucraina, avessero deciso di buttarlo a mare. E infatti è ancora lì e oggi ha addirittura proposto alle frazioni parlamentari del Partito Radicale e di AutoAiuto di rientrare nella coalizione governativa. E, a dirla tutta, anche molte previsioni di politologi russi non si sono avverate. Dopo le dimissioni del lituano Abromavičius, si era parlato di quelle del Ministro della sanità, la georgiana Aleksandra Kvitašvili, di Mikhail Saakašvili e addirittura della Jaresko: di una evasione in massa, insomma, dei ministri e funzionari stranieri dalla nave che stava affondando. Ma nulla di tutto questo si è ancora verificato, a parte la “fuga” in Francia della vice Ministro degli interni, la georgiana Eka Eguladze, fermata alla frontiera ucraina con 4 milioni di $ in borsa che, a suo dire, le servivano per pagare le spese di parto in Francia.
Ora dunque, nelle cinque settimane trascorse dal 4 febbraio sono stati fatti diversi nomi di possibili candidati al soglio: di alcuni si è detto che godrebbero dell'appoggio occidentale, di altri, addirittura, di quello del Dipartimento di stato, per altri ancora è parso di subito evidente il ruolo di “cavallo scosso”. Per nessuno di essi, come era prevedibile, la cessazione della guerra contro il Donbass pare una priorità.
In qualità di outsider si è parlato dell'attuale segretario del Consiglio di sicurezza e di difesa, Aleksandr Turčinov, sostenuto da segmenti di varie frazioni parlamentari (Blocco Porošenko, Fronte Nazionale, Partito Radicale, Volontà del popolo, AutoAiuto). Non più solida anche l'autocandidatura del leader del Partito Radicale e sindaco di L'vov, Oleg Ljaško. Di tutt'altro spessore invece le possibilità del Ministro delle finanze, l'americano-ucraina ex funzionaria del Dipartimento di stato USA, Natalja Jaresko. Il suo nome era già stato fatto la scorsa estate – contrapposto alle rinnovate velleità da premier di Julja Timošenko – allorché i sondaggi davano già Jatsenjuk sotto il 10% nel “gradimento degli ucraini. Se ne è parlato ancora nei mesi scorsi e di lei ha parlato ieri l'ex ambasciatore USA a Kiev Steven Pifer. La frazione presidenziale alla Rada, il Blocco Porošenko, aveva rivelato appena pochi giorni fa che trattative sono in corso già dallo scorso dicembre con l'ex premier polacco Leszek Balczerowicz, gradito all'Occidente e autore in patria delle ben note terapie shock con cui da Washington si è “raccomandato” il passaggio all'economia di mercato nei paesi dell'Europa dell'est. Nell'altalena di cittadinanze che vengono elargite a uso e consumo del Dipartimento di stato USA, non si è mancato di fare anche il nome dell'ex presidente georgiano e attuale governatore ucraino di Odessa, l'ultrayankee Mikhail Saakašvili. Nonostante la quantità di potenziali candidature alla sostituzione di Jatsenjuk, il politologo Kirill Kortyš, intervistato da RT ha dichiarato che "Vengono proposte figure freak per creare deliberatamente un clima da teatro dell'assurdo, come è il caso di Ljaško … figure come la sua vengono ventilate a dimostrazione di alternative terribili, che potrebbero verificarsi nel caso Jatsenjuk desse davvero le dimissioni". In realtà, sostiene Kortyš, “nessun politico vuole prendersi la responsabilità” di guidare il paese nelle attuali condizioni. Lo stesso Porošenko “non è interessato alle dimissioni di Jatsenjuk. Si fa molto rumore, ma l'obiettivo è quello di dimostrare all'Occidente che Porošenko non ha abbastanza influenza in parlamento nemmeno per dimissionare il governo impopolare di Jatsenjuk. Di conseguenza, è anche inutile chiedergli il rispetto degli accordi di Minsk e della riforma costituzionale”. Ecco a cosa si riduce il balletto di nomi: a “dimostrare” l'impossibilità per Kiev di non fare la guerra. E infatti la sta facendo e la sta addirittura intensificando.
In questo balletto di nomi e cognomi, rimane irrisolta – e, evidentemente, tale è destinata a rimanere ancora a lungo, nei piani dei direttori d'orchestra d'oltreoceano – la questione della guerra nel Donbass e del ruolo di punta avanzata Nato dell'Ucraina contro la Russia. Ed è all'ordine del giorno della Rada per il prossimo 16 marzo la rottura delle relazioni diplomatiche con Mosca. Dopo le dimostrazioni, con lancio di pietre verso l'edificio, di fronte all'ambasciata russa a Kiev, il relativo disegno di legge è stato presentato da deputati del Blocco Porošenko, AutoAiuto e Partito Radicale: “proprio come prima della guerra”, titolava ieri Pravda.ru.
E dove la guerra continua per davvero, nel Donbass, sono di stamani le notizie sullo “strisciante accerchiamento” di Gorlovka, con i combattimenti riaccesisi furiosi attorno a Jasinovata (importante snodo ferroviario a nordovest di Donetsk), con l'obiettivo principale fissato su Donetsk stessa puntando da nord su Makeevka ed Enakievo da sud. A oggi, i combattimenti più accesi vengono registrati attorno a Gorlovka, Jasinovata e nell'area dell'aeroporto di Donetsk; più a sud, lungo la direttrice di Mariupol. La Tass scriveva stamani di edifici civili danneggiati nel villaggio di Naberežnoe, nella provincia di Novoazovskij.
E' la stessa ONU che parla oggi del repentino riacutizzarsi della situazione nel Donbass registrato in febbraio, con 9.187 morti e oltre ventunmila feriti (cifre ufficiali) dall'inizio del conflitto, insieme a 1 milione e centomila profughi e oltre 3 milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari.
Sono Donetsk, Lugansk, Gorlovka, Volnovakha, Kostjantinovka e tutte le città e i villaggi martoriati dalle artiglierie ucraine, che segnano la storia del golpe a Kiev; gli Jatsenjuk, i Porošenko, le Timošenko, restano in scena solo finché le loro figure rappresentano il copione scritto molto più a ovest.

http://old.contropiano.org/internazionale/...erra-al-donbass
 
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Kiev inizia la svendita dei suoi beni pubblici




In quest’ottica potrebbe concretizzarti anche la vendita di molte miniere di carbone ucraina alla Turchia. La guerra contro la Russia di Putin prosegue.



Un mese dopo la mozione di sfiducia, bocciata, al premier ucraino Arseniy Yatsenyuk, la situazione politica dell’Ucraina rimane ancora instabile e caotica. Le voci che si rincorrono nei palazzi del potere continuano ad essere confuse e contrastanti. Ogni giorno, infatti, spuntano fuori le ipotesi più disparate sul successore di Arsenji Yatsenyuk. Ieri Petro Poroshenko ha fatto l’ennesima mossa nel tentativo di scaricare il primo ministro e leader del Fronte Popolare.
Sulla propria pagina Facebook, Svyatoslav Tseholko, portavoce del capo di Stato ucraino, ha scritto che al momento esistono tre opzioni per la formazione di un nuovo governo senza ricorrere alle urne: un esecutivo tecnico, uno politico e una proposta che verrà fuori direttamente dalla Rada, l’assemblea parlamentare nazionale.

Il governo dei tecnici, uno riedizione ucraina basata sul “modello Monti”, potrebbe essere guidato dall’attuale ministro delle Finanze, Natalie Jaresko, personaggio di spicco della finanza internazionale con molti contatti a Washigton e dintorni, sia lato Casa Bianca che Fondo Monetario Internazionale. In questo caso tutti i gruppi filo-Ue sarebbe disposti a riunirsi intorno al nome della Jaresko. La seconda ipotesi è un governo politico, che potrebbe essere guidato dal sindaco di Leopoli, Andriy Sadovy, leader anche del partito Samopomich, in crescita verticale nell’ultimo anno. Sadovy ha smentito a mezza bocca le parole di Tseholko, affermando, non troppo convintamente, di voler rimanere sindaco della sua città.

La terza opzione, sulla quale per ora vige il massimo riserbo, sarà presentata direttamente in Rada la prossima settimana, direttamente su proposta dei capigruppo delle varie fazioni parlamentari. Di incognite al momento ce ne sono parecchie, ma il tempo attorno ai maggiori leader politici ucraini stringe. Se non verrà trovata una maggioranza attorno a una nuova coalizione Poroshenko dovrà indire elezioni anticipate e questo cambierebbe di molto la composizione del nuovo Parlamento, dove i partiti filorussi e quelli ultranazionalisti potrebbe avanzare a discapito di quelli filo-Ue.

Intanto Kiev ha annunciato uno sconto enorme sulla vendita dei beni dello Stato rimasti invenduti negli ultimi mesi. Si tratta di assett messi in vendita più di dieci volte e che finora non hanno trovato acquirenti. Circa 22 dei 34 beni messi in vendita dallo Stato ucraino verranno venduti a prezzo di saldo, con uno sconto del 60%, mentre altri 9 con uno del 50%. Kiev ha annunciato uno sconto enorme sulla vendita dei beni dello Stato, che non sono riusciti a trovare acquirenti stranieri. Fondo di proprietà dello Stato dell'Ucraina dice tutti i beni sono stati messi in vendita più di 10 volte e non hanno trovato acquirenti. Tra gli oggetti messi in vetrina spiccano la quota del 9,6% del cantiere navale del Mar Nero, il 37,6% della Lviv Coal Company e della Chernigov Radio Plant.

«La scorsa settimana i beni sono stati messi in vendita con sconti rispettivamente 50% e 30%, ma le aste non si sono svolte per mancanza di acquirenti», ha fatto sapere il Fondo del Demanio, il quale sta già progettando di privatizzare 450 aziende statali, di cui 20 grandi imprese, 50 imprese di medie dimensioni e 380 piccole. Il governatore della Banca Nazionale Ucraina, Valeria Gontareva, ha detto che la vendita di beni statali sarà in grado di portare nella casse dello Stato fino a 1 miliardo di dollari. Secondo le sue parole, se Kiev sarà in grado di realizzare le riforme necessarie e privatizzare le proprietà dello stato, il paese avrà un livello stabile di riserve per i prossimi tre anni. Riserve che per ora si attestano a 13,5 miliardi di dollari.

In quest’ottica potrebbe concretizzarti anche la vendita di molte miniere di carbone ucraina alla Turchia. Durante la sua visita ad Ankara della scorsa settimana, Petro Poroshenko ha chiesto all’omologo turco Tayyip Erdogan di partecipare al grande piano delle privatizzazioni. «La parte turca ha espresso interesse a partecipare alla privatizzazione dei beni energetici in Ucraina, in particolare sulle miniere di carbone», ha detto in un comunicato il Ministero
dell'Energia di Kiev. La guerra contro la Russia di Putin prosegue.
 
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Kiev: anziani antifascisti mettono in fuga i neonazisti della Azov


di Fabrizio Poggi

azov
Come recita quel bizzarro adagio britannico: “le cronache riferite dai giornali sono tutte veritiere, tranne quelle che raccontano dei fatti cui hai assistito direttamente”. Quantomeno, le cronache non sono sempre complete.

Orbene, lo scorso 17 marzo, a Kiev, nel 25° anniversario del referendum che in Urss aveva visto la schiacciante vittoria del Sì al mantenimento dell’Unione Sovietica, un meeting della coalizione “Opposizione di sinistra” (cui partecipavano in maggioranza persone anziane) a favore di quei risultati poi disattesi dalla dirigenza eltsiniano-gorbacioviana, era stato attaccato alla maniera fascista da “attivisti civili” del battaglione neonazista Azov. Nel corso dell’assalto, che la polizia si era ben guardata dall’ostacolare, un anziano era stato colpito alla testa; ma l’autoambulanza, avvertita dai manifestanti, aveva preso tutto il tempo possibile prima di arrivare sul posto. E lo stesso 17 marzo, gli “azovisti” si erano affrettati a tessere le lodi di se stessi, per aver “disperso un meeting dei separatisti”, come vengono definiti in Ucraina non solo milizie e civili del Donbass, ma tutti coloro che manifestano la pur minima resistenza e opposizione al potere golpista.

Sin qui la cronaca. Oggi l’agenzia Novorosinform pubblica alcuni video dell’accaduto, che testimoniano come, ancora una volta, i fascisti si siano comportati da par loro: vero che i neonazisti di Azov hanno attaccato il meeting; vero che hanno pestato diversi anziani. Ma i baldi giovani di Azov, che nell’occasione non avevano rispettato la regola fascista del 10 contro 1, sono stati respinti a suon di legnate e messi in fuga da anziani pensionati per nulla intimoriti dalla provocazione.

In questo i neonazisti ucraini non si differenziano dallo “stile” fascista classico: “prodi” e baldanzosi quando hanno le spalle protette dalla forza dello stato; pavidi e pronti alla fuga quando gli assaliti non si lasciano intimorire. Come a Scandicci nel marzo o a Sarzana nel luglio 1921, oppure a Parma nell’agosto 1922; così oggi in Ucraina, quando le armi (o i bastoni) sono pari, i fascisti se la danno a gambe.

http://contropiano.org/news/internazionale...lla-azov-076809
 
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L'asse del male Erdogan-Poroshenko: la Crimea
in mano all'Ucraina come perno del complotto turco-ucraino


Una Crimea occupata dai golpisti di Kiev costituirebbe una sicura testa di ponte per le mire di Ankara nella regione.

di Fabrizio Poggi* per Contropiano

La dichiarazione congiunta sul rafforzamento della partnership strategica tra Turchia e Ucraina – in particolare: sostegno tecnico militare e missilistico ucraino alla Turchia, creazione di una zona di libero scambio, attrazione di capitali turchi nelle privatizzazioni ucraine, collaborazione energetica e questione della Crimea – sottoscritta ad Ankara da Petro Porošenko e Recep Erdoğan lo scorso 9 marzo, viene da lontano. E va oltre il recente scambio di cortesie tra i due presidenti. Se nell’occasione dell’incontro, Erdoğan aveva promesso la concessione a Kiev di 10 milioni di $ in “progetti umanitari”(!), a ridosso della visita c’erano state le manovre congiunte turco-ucraine nel mar di Marmara, con la fregata ucraina “Ghetman Sagajdačnyj” e la nave appoggio “Balta” che erano poi rientrate a Odessa con un carico d’armi valutato a oltre 800mila $.

Queste sono solo alcune delle “perle” più recenti; ma, negli ultimi dodici-quindici mesi, Contropiano ha scritto più volte della collaborazione brigantesca tra Kiev e Ankara. Ne riproponiamo una sintesi.


La Crimea in mano a Kiev come perno del complotto turco-ucraino

C’è un comune denominatore ideologico, al di sopra di interessi convergenti tra i golpisti di Kiev e gli uomini forti di Ankara. Le mire sono quelle degli interessi di potenza (al servizio di disegni strategici più vasti) nell’area del mar Nero e, più in generale, dell’Europa sudorientale, contro la “minaccia russa”. La comune dottrina è quella delle croci uncinate sventolate nell’indifferenza delle “democrazie” occidentali. Gli strumenti sono i gruppi di terroristi che ricevono o forniscono aiuto, ora in territorio ucraino, ora in quello turco.

Se il presidente turco Erdoğan invoca per sé l’attribuzione di pieni poteri esecutivi, sull’esempio della Germania hitleriana, a Kiev si celebra la data di nascita dell’ideologo dei filonazisti ucraini, Stepan Bandera, capo di quell’UPA-OUN che collaborò con le SS tedesche nelle stragi di soldati sovietici, civili ucraini, polacchi, ebrei e rom durante l’occupazione nazista. E vengono alla luce gli “scambi di favore” tra terroristi Isis, loro protettori turchi e autorità ucraine. Il territorio ucraino fa da retrovia ai terroristi islamici; i neonazisti ucraini non fanno mistero dei loro legami con le bande terroristiche caucasiche, attive fonti di reclutamento per le formazioni islamiste; le milizie della Novorossija denunciano la presenza di sabotatori di lingua araba e turca e il medžlis dei tatari di Crimea fedeli a Kiev parla apertamente del sostegno turco alla formazione di battaglioni destinati alla “riconquista della Crimea”. La Crimea sembra dunque rappresentare il punto di convergenza tra Kiev e Ankara. L’ambasciatore straordinario e plenipotenziario ucraino Jurij Ščerbak, ha fatto addirittura ricorso a paragoni storici, per “dimostrare” come, a differenza di Grecia, Italia e Impero ottomano, la Russia non disponga di alcun fondamento per avanzare pretese sulla Crimea! Quella Crimea che nei giorni scorsi ha festeggiato il secondo anniversario della riunione alla Federazione Russa. Ma Kiev non sembra darsi per vinta: Porošenko chiede al Ministero della difesa di sostenere ogni focolaio di resistenza sulla penisola; il Consiglio di difesa continua a studiare il metodo della sua riconquista e il Ministro degli interni Arsen Avakov annuncia la formazione di reparti speciali atti allo scopo. D’altronde, l’ipotesi militare era stata presa in considerazione sin dall’inizio del colpo di stato a Kiev e solo la consapevolezza dell’inadeguatezza delle proprie forze militari, fermò la junta dalla guerra aperta con Mosca per la penisola.

Qualche settimana fa, EurAsia Daily scriveva di come gruppi mobili di sabotatori stiano passando dal blocco economico della Crimea al terrore aperto verso gli abitanti della regione di Kherson, confinante a ovest con la penisola, eletta al ruolo di avamposto dal medžlis dei tatari dopo la fuga dalla Crimea. Avamposto in cui il battaglione musulmano “Noman Čelibidžikhan” (primo Mufti dei musulmani di Crimea, che avversò il potere sovietico) si va rimpinguando per l’afflusso di “gruppi radicali da tutto il mondo” e i lauti sostegni in armi del governo di Ankara. A detta del vice premier della Crimea, Ruslan Bal’bek, nel battaglione ci sarebbero ben pochi tatari e quasi solamente mercenari stranieri, per lo più dell’Isis. Secondo EurAsia Daily, la spina dorsale del battaglione sarebbe composta da islamisti dei “Lupi Grigi” fuggiti dalla Siria, insieme a elementi da altre parti del mondo.

La collaborazione tra Kiev e Ankara era stata ribadita anche dalle dichiarazioni del segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e di difesa ucraino, Aleksandr Turčinov, durante la sua visita in Turchia nel gennaio scorso. E nel dicembre precedente, il portale fondsk.ru, basandosi su dichiarazioni dell’ambasciatore UE in Iraq Jana Khibaskova, scriveva di traffici di petrolio che vedrebbero coinvolti Isis, Turchia, Ucraina, e non solo. Si facevano i nomi dei principali centri del contrabbando (Manbij, Al Bab, Al Qaim) tra Isis e Ankara, affermando che l’Isis controllerebbe l’oleodotto Kirkuk-Ceykan e il porto turco fungerebbe da approdo di petroliere della compagnia Palmali Shipping & Agency JSC, di proprietà del miliardario turco-azerbajžano Mubariz Gurbanoglu. A questo proposito, lo scorso dicembre i premier di Turchia e Azerbajžan, Ahmet Davutoğlu Ilham Aliyev, si erano pronunciati per l’accelerazione della costruzione del gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), che aggirando il territorio russo, porterà il gas azerbajžano in Europa attraverso la Turchia. Quanto al petrolio, l’Ucraina costituirebbe per Erdogăn il ponte ideale per il trasporto del greggio verso Polonia e Lituania: i due paesi, scrive oko-planet “che più risolutamente sostengono il regime di Porošenko”. Il petrolio arriverebbe al Baltico passando per l’Ucraina: qui, i punti chiave sarebbero Odessa, controllata dal governatore ultrayankee Mikhail Saakašvili e il terminale di Iličevsk, a sud della città; si spiegherebbero così anche le lotte di qualche mese fa per il controllo delle locali infrastrutture portuali. Da rilevare che, a dispetto della profonda crisi economica in cui versa l’Ucraina, rileva oko-planet, il vice Ministro per le infrastrutture Vladimir Šulmejster ha parlato di progetti per la realizzazione di un nuovo porto nell’area della foce del Dnepr-Bug e di un eventuale terminale petrolifero. Da parte sua, il Ministro per l’industria estrattiva e per l’energetica, Vladimir Demčišin ha dichiarato che le imprese commerciali ucraine sono riuscite a sostituire le forniture di prodotti petroliferi dalla Federazione russa con circa 170mila tonnellate al mese di misteriose “fonti alternative”. Di sicuro, nel novembre scorso, Ukrnafta ha venduto all’asta 144mila tonnellate di idrocarburi: “un successo indiscutibile, per un paese in guerra e che estrae una quantità microscopica di petrolio”, scrive oko-planet. E come è stato possibile? “Con la rivendita. Da qui anche il guadagno netto di Ukrnafta nel 2014 di 27,891 miliardi di grivne”.

Inoltre, lo scorso 30 novembre, la direzione della ditta di tubazioni Sarmatia ha dichiarato di attendere il permesso per la realizzazione dell’oleodotto Brody-Płock, allungare cioè l’attuale condotto, lungo 667 km, che unisce Odessa a Brody (nella regione di L’vov) di altri 490 km fino alla polacca Płock. Ancora una volta, spunta la mano di Baku: l’impresa Sarmatia è controllata dall’azienda statale azerbajžana Socar, dalla georgiana GOGC Ldt, dall’ucraina Ukrtransnafta, dalla polacca Przedsiebiorstwo Eksploatacji Rurociagow Naftowych Przyjazn s.a. e dalla lituana AB Klaipedos Nafta.

“Non a caso”, conclude oko-planet, “i colpi dell’aviazione russa sul sistema del trasporto del petrolio sottratto dall’Isis, attraverso Siria e Turchia, hanno così messo in allarme Porošenko e ogni volta che Kiev insorge contro le visite di personalità russe in Crimea, le fa immediatamente eco la Turchia, che si dichiara a favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina, inclusa la Crimea. E lo scorso 9 marzo, Porošenko è tornato a esortare il parlamento turco a qualificare come “genocidio” la deportazione nel 1944 dei tatari di Crimea che si erano schierati con gli invasori nazisti.

Questo, per quanto riguarda più direttamente Ankara. Da parte ucraina si punta su due fronti: il leader del battaglione neonazista “Azov”, Andrej Biletskij, ha detto che può “riunire una propria legione straniera e inviarla a combattere per la coalizione occidentale in Siria”, probabilmente rifornita di quelle armi di fabbricazione cinese acquistate da gruppi terroristici kuwaitiani in Ucraina e smerciate in Siria passando per la Turchia. Già nelle prime settimane di presenza russa in Siria, il sito web “Mirotvorets” (“Mediatore di pace”!) iniziava a pubblicare foto, nomi, indirizzi e dati personali dei piloti russi e uno dei suoi ispiratori, l’ultranazionalista Anton Geraščenko, scriveva che, con la pubblicazione dei nomi, l’Ucraina avrebbe aiutato i combattenti islamici e i loro confratelli in Russia a vendicarsi secondo i canoni della Sharia.

Sul fronte “di casa”, invece, alle frontiere con la Crimea, gruppi armati formati per lo più da bande del Medžlis dei tatari di Crimea fuggiti in Ucraina, vanno ogni giorno annunciando operazioni per “la riconquista della penisola”. “Insieme al blocco energetico e a quello marittimo”, aveva avvertito lo scorso dicembre l’oligarca tataro-crimeano Lenur Isljamov, “ce ne sarà un altro, ben più efficace”, sottolinenando di contare sull’aiuto della Turchia e che “i turchi, quando hanno abbattuto l’aereo, che attaccava il loro territorio, stavano già attuando il blocco del Bosforo e dei Dardanelli. Rimane solo lo stretto di Kerč” – per attraversare il quale Mosca sta costruendo un ponte che, facendo perno sull’isoletta di Tuzla, avrà una lunghezza di 19 km – “e noi ce ne stiamo già occupando”. A ridosso dell’abbattimento del cacciabombardiere russo (e dei mancati “incidenti” tra vascelli russi e turchi, pochi giorni dopo, valutati da Mosca come “provocazione, affinché si accrescano sempre più i pericoli e la Nato intervenga a sostenere la Turchia”) era venuto infatti anche il blocco energetico della Crimea, annunciato da due deputati della Rada e leader del Medžlis, Refat Čubarov e Mustafa Džemilev e attuato da Pravyj sektor e gruppi tataro-crimeani dell’Ucraina. A detta di alcuni, l’operazione era stata pianificata ad Ankara, ansiosa di liberare il mercato crimeano per le merci turche, la cui importazione nella penisola sarebbe poi cresciuta di quattro volte. Da notare che Džemilev appare strettamente legato ai servizi segreti turchi ed è stato a suo tempo decorato con l’Ordine della Repubblica, la seconda decorazione turca per livello di importanza.

D’altronde, anche se non legata apertamente ad Ankara, la stretta “unità d’armi” tra neonazismo ucraino e islamismo caucasico risale ben addietro nel tempo. Dopo il sanguinoso attacco islamista a Grozny, nel dicembre 2014, alla Rada ucraina si proponeva di “aprire un secondo fronte contro la Russia, accanto al Donbass”, fornendo appoggio e basi ai terroristi ceceni e daghestani; uno dei capi del battaglione Azov, il deputato Igor Mosijčuk, esortava a stimolare azioni del tipo di quella di Grozny in tutta l’Asia centrale e parlava della convocazione “a Kiev di una conferenza con ceceni, daghestani e altri popoli che soffrono per l’aggressione russa”. Per questo, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, mentre denunciava la presenza anche di alcuni suoi connazionali nell’Isis – i primi nuclei di terrorismo islamista poi sfociati nell’Isis hanno avuto il battesimo proprio in Cecenia, foraggiati da chi intendeva dirigerli contro Mosca – rivelava di come l’intelligence cecena fosse a conoscenza dei campi d’addestramento di terroristi wahabiti (con istruttori Nato) in Medio Oriente, prima ancora della nascita ufficiale dello Stato islamico e di come “agenti ceceni e i migliori combattenti della repubblica” si fossero introdotti in quei campi per studiarne le mosse. E’ così che islamisti ceceni wahhabiti, in nome della vendetta contro i russi, combattono nel Donbass spalla a spalla coi neonazisti di Pravyj sektor. “I battaglioni Sceicco Mansur e Džokhar Dudaev”, ha dichiarato un loro comandante “si compongono per lo più di ceceni; ma ci sono anche musulmani di altre regioni dello spazio postsovietico, come uzbeki e balkari. Nel raggruppamento “Crimea” ci sono soprattutto tatari di Crimea”. Ad armarli sarebbero quegli stessi stati che armano gli islamisti in Siria, cioè Qatar, Kuwait, Emirati arabi e Arabia Saudita. Uno degli organizzatori di questi battaglioni, Adam Osmaev, detenuto in Ucraina, secondo quanto riportava l’estate scorsa Medias-Presse-Info era stato scarcerato prima del termine, come se tra tra “Kiev e Isis esista un legame segreto. In tal modo, gli islamici, provvisti di passaporti dell’Ucraina, si sono trovati le porte aperte verso l’occidente”.

E il politologo russo Vladimir Kornilov sottolinea come . Il comandante del battaglione “Dnepr-1”, Jurij Berëza, ha proposto a suo tempo la formazione di gruppi di sabotatori da infiltrare in Russia, dichiarando che la Cecenia dovrà tornare a far parte dell’Ucraina, come prima del 1917, per dei tempi in cui i cosacchi erano i pretoriani degli zar.

Una Crimea occupata dai golpisti di Kiev costituirebbe una sicura testa di ponte per le mire di Ankara nella regione.

www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=14895
 
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Russia: l’ucraina Nadezda Savchenko condannata a 22 anni

http://contropiano.org/news/internazionale...-22-anni-076960
 
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In Europa si apre ufficialmente il fronte anti-ucraino. L’Olanda: «Non li vogliamo in Ue»


di Eugenio Cipolla

«La scorsa settimana abbiamo stilato una lista di sanzioni dirette ad alcuni personaggi coinvolti nella cattura di Nadia Savchenko. Noi invitiamo Usa e Ue a fare lo stesso per dare un segnale forte». Direttamente da Washington, dove è in visita ufficiale da ieri, Petro Poroshenko ha esortato gli “alleati” a mettere nuovamente pressione su Mosca sul caso dell’ex top gun dell’esercito ucraino. Ospite del World Affairs Council of America, il presidente ucraino ha lanciato nuove accuse a Vladimir Putin e ha ringraziato il governo degli Stati Uniti «per essersi schierato dalla parte dell’Ucraina negli ultimi due anni, i più duri nella storia del paese».

Ma mentre Poroshenko è negli Usa per cercare di ottenere da Obama ulteriori aiuti economici e militari, in Europa si è aperto ufficialmente il “fronte anti-ucraino”, che potrebbe presto raccogliere le adesioni di diversi paesi dell’Unione. Intervista dal portale di notizie NU.nl, il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, ha detto che il suo paese è contrario a un ingresso dell’ex repubblica sovietica in Europa. «Noi crediamo che l’Ucraina dovrebbe avere buona relazioni sia con l’Europa che con la Russia – ha affermato – e questo non sarebbe possibile nel caso in cui l’Ucraina diventasse un membro dell’Unione Europea».

Al momento, è l’opinione di Rutte, è difficile che Kiev costruisca buoni rapporti con Mosca, visti i recenti eventi della Crimea e del Donbass. «Ci vuole tempo - ha aggiunto – ma in un’ottica di lungo termine è una cosa molto importante». Negli ultimi giorni in Olanda il tema Ucraina è molto attuale. Mercoledì 6 aprile, infatti, i cittadini dei Paesi Bassi saranno chiamati a esprimere la propria opinione sull’accordo di associazione tra Ue e Ucraina, che, secondo molti, rappresenta un passo ulteriore di Kiev verso l’Europa unita.

Il referendum sarà valido solo con affluenza maggiore del 30% e, anche se di natura consultiva, potrebbe aprire una forte divisione all’interno del mondo politico olandese. Un recente sondaggio commissionato dal Ministero degli Esteri di Amsterdam ha rilevato una profonda spaccatura interna al paese sul tema Ucraina. «Al momento – ha detto Bogdan Globa, attivista per il sì della campagna referendaria, al Kyiv Post – l’opinione pubblica è spaccata a metà, 50 e 50. Ma è più probabile che gli olandesi diranno ‘no’ all’Ucraina. Troppi di loro hanno paura della guerra nella parte orientale. Pensano che l’Ucraina possa essere un’altra Grecia».

Alla base della campagna per il ‘no’ ci sono tre motivazioni: l’accordo di associazione è un enorme passo verso l’adesione dell’Ucraina all’Ue e gli olandesi non hanno bisogno di sostenere gli ucraini; non vi è alcuna necessità di mantenere le sanzioni alla Russia, poiché Amsterdam ha bisogno di commerciare con Mosca; se l’accordo sarà approvato, gli europei si assumeranno la responsabilità per la guerra in Donbass.

La partita è al photofinish e potrebbe causare sconquassi interni a Bruxelles. Intervistato dal quotidiano olandese
Handelsblad lo scorso gennaio, Jean-Claude Juncker ha avvertito i cittadini dei Paesi Bassi:«Non credo che diranno no all’accordo di associazione, perché questo aprirebbe la porta a una grande crisi continentale». Ad Amsterdam e dintorni sono avvertiti.
Notizia del: 31/03/2016
 
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Il presidente ucraino è l'unico oligarca ad aver visto aumentare
il suo reddito personale, stimato in quasi 900 milioni di dollari


di Eugenio Cipolla

Delle fortune di Petro Poroshenko ce ne eravamo già occupati lo scorso anno, raccontando di come il presidente ucraino, nonostante la difficile situazione economica del paese, nel 2014 si avesse guadagnato sette volte di più rispetto al 2013. Oggi sul sito del presidente è stata pubblicata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno fiscale 2015. Il magnate ucraino ha visto “precipitare” i suoi guadagni agli stessi livelli del 2013, dichiarando solo 62 milioni di grivne, al cambio attuale circa 2.371.000 dollari. Un abisso rispetto al 2014, dove lo stesso Poroshenko aveva dichiarato redditi per qualcosa come 17 milioni di dollari.

Secondo il documento, Poroshenko ha guadagnato 4.600 dollari come presidente dell’Ucraina, 472.000 dollari da dividendi azionari e 1.894.000 dollari da “altri tipi di reddito”. Il capo del colosso dolciario Roshen ha dichiarato inoltre la proprietà di diversi appezzamenti di terreno e immobili e un totale di 21,5 milioni di dollari di depositi bancari.

Complessivamente, dunque, il quadro sembrerebbe indicare una situazione negativa delle finanze di Poroshenko. Cosa, però, ampiamente smentita da Forbes Ucraina, che proprio ieri ha aggiornato la lista dei 100 uomini più ricchi del Paese. Nella top six l’unico ad aver aumentato il proprio patrimonio è proprio il capo della Bankova.

Andiamo con ordine. Al primo posto c’è ancora saldamente in testa Rinat Akhmetov. Il magnate del mercato metallurgico ucraina ha visto ridurre il proprio patrimonio da 4,6 miliardi di dollari e 2,3 miliardi. Alla base di questo dimezzamento c’è la guerra in Donbass, che lo ha privato di molte attività e di un mercato letteralmente crollato a causa dello scontro tra separatisti ed esercito regolare. Dietro di lui c’è Igor Kolomoisky con una fortuna di 1,3 miliardi di dollari. Su di lui Forbes ha fatto notare come negli ultimi 5 anni il suo patrimonio complessivo sia calato di oltre il 50%. Al terzo posto, distanziato di qualche milione, c’è Gennadiy Bogolyubov, co-owner della Privat Group, uno dei colossi bancari ucraini.

Fuori dal podio ci sono Viktor Pinchuk con 1,2 miliardi (in perdita di 300 milioni rispetto allo scorso anno) e Yuri Kosyuk con 1 miliardo tondo, il quale, nonostante la crisi, scrive Forbes, ha continuato a investire nel mercato dell’alimentare. Al sesto posto troviamo Petro Poroshenko. «Il patrimonio del capo di Stato – si legge – è stimato in 858 milioni di dollari. Nell’ultimo anno è aumentato di 100 milioni di dollari. In più Roshen Corporation è stata convogliata in un blind trust. Egli possiede la Banca Internazionale degli investimenti, beneficiaria della holding “UPI-Agro”. Inoltre possiede un certo numero di attività nel settore dell’amido, dell’automobilismo, del navale e dell’ingegneria meccanica. Infine ha anche diverse aziende multinazionali e regionali nel settore radiofonico e televisivo». Insomma, il presidente ucraino si è tutt’altro che impoverito, in netto contrasto con il trend negativo che ha colpito i più grandi oligarchi del paese.
 
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Costui finanzierà i nazisti criminali ucraini (golpisti) al governo?

Appello Papa, colletta in chiese Europa per Ucraina



Papa Francesco vuole dare un segno concreto di aiuto alle popolazioni dell'Ucraina. "Oltre ad accompagnarli con il mio costante pensiero e con la mia preghiera, ho sentito - ha detto alla folla di piazza San Pietro al momento del Regina Caeli - di decidere di promuovere un sostegno umanitario in loro favore. A tale scopo, avrà luogo una speciale colletta in tutte le chiese cattoliche d'Europa domenica 24 aprile prossimo. Invito i fedeli ad unirsi a questa iniziativa del Papa con un generoso contributo. Questo gesto di carità, oltre ad alleviare le sofferenze materiali, vuole esprimere la vicinanza e la solidarietà mia personale e dell?intera Chiesa all?Ucraina. Auspico vivamente che esso possa aiutare a promuovere senza ulteriori indugi la pace e il rispetto del diritto in quella terra tanto provata".
 
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addàrivenì baffone

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CITAZIONE (Skatered @ 3/4/2016, 13:50) 
Costui finanzierà i nazisti criminali ucraini (golpisti) al governo?

sinceramente non trovo notizie ulteriori (oltre al rilancio delle affermazioni pubbliche del monarca) però mi pare molto strano che si riferisca al regime... anche perché finanziare con una colletta chi? credo che si riferisca alle popolazioni del donbas; ultimamente se non mi sbaglio il "contatto" fra il clero russo-ortodosso e il papa abbia mandato fuori dai gangheri i greco-cattolici dell'ucraina uccidentale (bastione dei neonazi). Comunque mi riservo di controllare la propaganda ucraina e qualche rilancio di stampa russo per vedere come pongono la questione, se ci sono novità aggiorno il messaggio.
 
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E' probabile che chiederanno l'apertura di un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione e fare intervenire la caritas, cioè autogestiscono questi fondi!
 
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view post Posted on 6/4/2016, 14:35

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Perché l’accordo di “associazione” Ue-Ucraina diventerà un accordo di “sottomissione”Perché l’accordo di “associazione” Ue-Ucraina diventerà un accordo di “sottomissione”


di Eugenio Cipolla

Oggi, nonostante per noi italiani sia un qualsiasi giorno feriale, in Olanda i cittadini sono chiamati ad esprimersi sull’Accordo di associazione tra Ue e Ucraina, firmato nel 2014 all’indomani delle proteste di Maidan, che portarono alla caduta di Viktor Yanukovich e alla salita al potere dei partiti filo-europei. I sondaggi dicono che al momento dovrebbero prevalere i “no” alla ratifica dell’accordo, ma l’alta percentuale di indecisi (circa il 30%) potrebbe portare un clamoroso ribaltamento dei pronostici. Il referendum ha valore puramente consultivo, anche se il governo olandese ha fatto già sapere che rispetterà a pieno l’esito.

Esito che potrebbe avere importanti «ripercussioni a livello internazionale», ha spiegato a Euronews Andrej Plenkovic, presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con l’Ucraina, rafforzando l’allarme lanciato a marzo da Jean-Claude Juncker, che aveva parlato di rischio di «crisi continentale», nel caso di una vittoria del ‘no’. Perché nel caso in cui prevalessero gli euroscettici, il referendum creerebbe un altro precedente “pericoloso” assieme a quello sul ‘Brexit’, mettendo in crisi tutto il sistema decisionale dell’Ue.

E’ per questo che molti in queste ore si stanno chiedendo se sia giusto o meno far fare all’Ucraina un passo avanti verso l’integrazione europea. In molti meno, invece, si stanno domandando quali conseguenze ci saranno per l’Ucraina in caso di una possibile ratifica del trattato. Tra quest’ultimi sono parecchi quelli convinti che si stia procedendo verso una sensibile diminuzione della sovranità dell’ex repubblica sovietica, già messa a dura prova dalle imposizioni economiche del Fondo Monetario Internazionale, il quale, in cambio di liquidità, ha preteso misure impopolari e molto spesso rigide per la popolazione.

Una volta che l’accordo sarà entrato pienamente in vigore, le autorità ucraine saranno costrette a riscrivere ogni tipo di legge e norma votata dal 1991 (anno dell’indipendenza ucraina) ad oggi da Parlamenti eletti secondo la volontà popolare. Nell’accordo di “associazione” ci sono oltre 2.000 pagine di requisiti che chiaramente l’Europa pretenderà vengano rispettati. Così tutto, dall’economia all’ambiente, passando per la gestione della sicurezza, all’istruzione, al lavoro, dovrà essere “riformulato” secondo i valori dettati dall’Unione Europea. Insomma, l’Ucraina rischia di trasformarsi nell’ennesimo Stato satellite di Bruxelles pur non facendone parte.

Dando uno sguardo di approfondimento al testo dell’accordo, si può intravedere come non ci si muova verso una “associazione”, quanto più verso una “sottomissione”, ovviamente a senso unico, verso i diktat dei burocrati europei. Tutti i valori ucraini verranno sostituiti con quelli europei e non integrati. E questo, considerata la situazione geopolitica del paese, ormai isolatosi dalla Russia, e totalmente dipendente dalla istituzioni occidentali, ha un solo significato: il totale asservimento ai processi decisionali di Unione Europea e Nato.

www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=15115
 
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L'Ucraina golpista e banderista non la vogliamo! Un grazie ai cittadini olandesi


Un grazie ai cittadini olandesi per il "NO" espresso con il 61% nei confronti dei golpisti di Kiev. La bocciatura dell9;accordo Ue-Ucraina è un messaggio chiaro ad una Unione Europea che ha lisciato il pelo a bande di neonazisti e nostalgici del collaborazionismo. E anche un avviso espresso contro la subalterna politica anti-russa seguita sino ad ora.
 
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