Capitolo diciassettesimo: Tradimento e terrore
1. La diplomazia del tradimentoTra il 1933 e il 1934 le nazioni d'Europa sembravano prese da una misteriosa malattia. Un paese dopo l'altro veniva scosso improvvisamente da colpi di Stato, putsch militari, sabotaggi, assassini e impressionanti rivelazioni di intrighi e di congiure. Non passava quasi mese senza qualche nuovo atto di tradimento e di violenza. Un'epidemia di tradimento e di terrore dilagava in tutta l'Europa.
La Germania nazista era il focolaio dell'infezione. L'11 gennaio 1934 un telegramma della United Press riferiva da Londra: “Ora che la Germania nazista è il centro dei nuovi movimenti fascisti, tutto il continente è scosso dalle agitazioni e dalle violenze di coloro che ritengono condannate le vecchie forme di governo”.
Il termine “quinta colonna” non era ancora noto. Ma già le avanguardie segrete del Comando Supremo tedesco avevano lanciato la loro offensiva contro le nazioni d'Europa. I cagoulard e la Croix-de-Feu in Francia; la Union of Fascists in Gran Bretagna; i rexisti nel Belgio; il POW polacco; gli henleinisti e le guardie di Hlinka in Cecoslovacchia; i collaborazionisti in Norvegia; la Guardia di ferro in Romania; l'Imro bulgaro; il finlandese Lappo; i Lupi di Ferro in Lituania; la Croce Fiammeggiante in Lettonia e molte altre società segrete naziste di recente fondazione o leghe controrivoluzionarie riorganizzate erano già all'opera per spianare la via alla conquista della Wehrmacht tedesca e all'asservimento del continente e stavano preparando l'attacco all'Unione Sovietica.
Ecco una lista dei principali atti terroristici condotti dai nazifascisti subito dopo l'ascesa di Hitler al potere.
Ottobre 1933: assassinio di Aleksandr Mailov, segretario dell'ambasciata sovietica, a Leopoli, in Polonia, da parte dei nazionalisti ucraini dell'OUN, organizzazione terroristica finanziata dai nazisti.
Dicembre 1933: assassinio del presidente romeno Ion Duca da parte dei fascisti della Guardia di Ferro.
Febbraio 1934: disordini a Parigi fomentati dalla Croix-de-Feu, organizzazione fascista francese.
Marzo 1934: tentativo di colpo di stato in Estonia da parte dei “combattenti per la libertà” finanziati dai nazisti.
Maggio 1934: colpo di stato fascista in Bulgaria; tentato putsch in Lettonia organizzato dalla Fratellanza Baltica filo-nazista.
Giugno 1934: assassinio del Ministro dell'Interno polacco, il generale Bronisław Pieracki, per mano dell'OUN, che nello stesso mese ucciderà anche il capo dell'Organizzazione per l'Azione Cattolica, Ivan Babiy; tentativo di insurrezione di massa in Lituania guidato dall'organizzazione fascista del Lupi di Ferro.
Luglio 1934: fallito putsch in Austria e assassinio del cancelliere Engelbert Dollfuss per mano di terroristi nazisti.
Ottobre 1934: assassinio di re Alessandro di Jugoslavia e del Ministro degli Esteri francese Barthou da parte di membri del movimento degli ustascia, organizzazione fascista croata.
Due uomini erano responsabili dell'organizzazione e della direzione di quest'attività della quinta colonna nazista che presto si estese molto al di là dell'Europa, penetrando negli Stati Uniti, nell'America Latina, nell'Africa e, d'intesa con il servizio segreto giapponese, in tutti i territori dell'Estremo Oriente. Essi erano Alfred Rosenberg e Rudolf Hess. Rosenberg sovraintendeva all'ufficio per la politica estera del Partito Nazista, con il compito di dirigere migliaia di agenzie di spionaggio, sabotaggio e propaganda naziste in tutto il mondo, con determinati punti di riferimento nell'Europa orientale e nella Russia sovietica. Come delegato di Hitler, Rudolf Hess aveva l'incarico di tutte le trattative estere segrete per conto del governo nazista.
Fu Alfred Rosenberg, l'ex emigrato zarista di Reval, a stabilire per primo rapporti ufficiali segreti fra i nazisti e Lev Trockij. Fu Rudolf Hess, il sostituto di Hitler, a rafforzarli …
Nel settembre 1933, otto mesi dopo che Hitler era diventato dittatore della Germania, il diplomatico trotskista e agente tedesco Nikolaj Krestinskij, che era diretto a una casa di cura di Kissingen per il suo annuale “periodo di riposo”, sostò alcuni giorni a Berlino. Krestinskij era allora Vicecommissario del Popolo per gli Affari Esteri.
A Berlino, Krestinskij vide Sergej Bessonov, l'agente di collegamento trotskista all'ambasciata sovietica. Krestinskij, in preda a grande agitazione, informò Bessonov che “Alfred Rosenberg, capo del reparto di politica estera del partito nazionalsocialista di Germania”, aveva “compiuto sondaggi nei nostri ambienti circa una possibile alleanza segreta fra i nazionalsocialisti tedeschi e i trotskisti russi”.
Krestinskij disse a Bessonov che doveva vedere Trockij. Bisognava combinare un incontro a ogni costo. Krestinskij si sarebbe fermato nella casa di cura di Kissingen sino alla fine di settembre, poi sarebbe andato a Merano, in Alto Adige. Trockij avrebbe potuto avvicinarlo, con la dovuta cautela, nell'uno o nell'altro dei due luoghi.
L'incontro fu fissato. Nella seconda metà dell'ottobre 1933 Lev Trockij, accompagnato dal figlio Sedov, varcò con un passaporto falso la frontiera franco-italiana e s'incontrò con Krestinskij all'Albergo Bavaria di Merano1.
Si discusse su quasi tutte le questioni fondamentali che riguardavano il futuro sviluppo della congiura in Unione Sovieticao. Trockij esordì asserendo chiaramente che “la conquista del potere poteva avvenire in Russia solo con la forza”. Ma, così da solo, l'apparato cospirativo non era abbastanza forte per effettuare un colpo con successo e per mantenersi al potere senza un aiuto dal di fuori. Per questo era assolutamente necessario stabilire un accordo concreto con quegli stati stranieri che, per i loro fini, fossero interessati ad appoggiare i trotskisti contro il governo sovietico.
“L'embrione di un tale accordo,” disse Trockij a Krestinskij, “è stato il nostro accordo con la Reichswehr; ma quest'accordo non era soddisfacente né per i trotskisti né per i tedeschi per due ragioni: in primo luogo, una delle parti non era il governo tedesco nel suo insieme, ma solo la Reichswehr. In secondo luogo, quale era la sostanza del nostro accordo con la Reichswehr? Ricevevamo modeste somme di denaro, ed essi a loro volta ricevevano informazioni di cui avrebbe avuto bisogno in caso di un attacco armato. Ma il governo tedesco, e Hitler specialmente, desidera colonie, territori, e non solo informazioni di spionaggio. E si accontenterebbe di territori sovietici piuttosto che di colonie per le quali dovrebbe far la guerra alla Gran bretagna, agli Stati Uniti e alla Francia. Quanto a noi, non abbiamo bisogno di 250.000 marchi oro. Abbiamo bisogno delle forze armate tedesche per conquistare il potere con il loro appoggio. Ed è in questa direzione che il lavoro dovrebbe essere continuato”.
La prima cosa, disse Trockij, era di cercare un accordo col governo tedesco. “Ma anche i giapponesi sono una forza con cui ci si dovrebbe necessariamente accordare,” aggiunse. “Sarebbe necessario che i trotskisti russi iniziassero sondaggi presso i rappresentanti giapponesi a Mosca. A questo riguardo, usate Sokolnikov che lavora al Commissariato del Popolo per gli Esteri ed è incaricato degli affari orientali”.
Trockij istruì a fondo Krestinskij sull'organizzazione dell'apparato cospirativo russo.
“Anche se l'Unione Sovietica fosse attaccata dalla Germania,” diceva Trockij, “questa non ci permetterebbe ancora di impadronirci della macchina dello stato se certe forze interne non sono state preparate. È necessario avere un punto d'appoggio, un'organizzazione fra i comandanti dell'Armata Rossa e allora, riunendo i nostri sforzi , potremo impossessarci, al momento opportuno, dei centri più vitali e salire al potere, sostituendo al governo attuale, che bisognerà arrestare, un governo nostro formato in precedenza”.
Al suo ritorno in Russia, Krestinskij doveva avvicinare il generale Tuchačevskij, Vicecapo di Stato Maggiore dell'Armata Rossa. “È un uomo di tipo bonapartista,” disse Trockij a Krestinskij, “un avventuriero ambizioso, desideroso non solo di avere un'importante parte militare ma anche militare-politica, e farà certamente causa comune con noi”.
I seguaci di Trockij in Russia dovevano dare ogni appoggio al generale Tuchačevskij, badando allo stesso tempo di collocare i loro uomini in posizioni strategiche così che, al momento del colpo di stato, l'ambizioso Tuchačevskij non sarebbe stato capace di controllare il nuovo governo senza l'aiuto di Trockij.
Prima della fine della conferenza Trockij diede a Krestinskij ordini specifici per Pjatakov sulle campagne terroristiche e di sabotaggio in Russia. Parlandone nello specifico, disse che “gli atti sovversivi e terroristici” dovevano essere considerati da due punti di vista. Prima di tutto, dovevano “essere attuati in tempo di guerra con l'obiettivo di sabotare la capacità difensiva dell'Armata Rossa e disorganizzare il governo al momento del colpo di stato”. Ma in secondo luogo, bisognava comprendere che questi atti avrebbero reso la posizione di Trockij “più forte” e avrebbero dato “una maggiore confidenza nei negoziati con i governi stranieri”, perché così avrebbe potuto “confidare sul fatto che i suoi seguaci in Unione Sovietica sarebbero stati sufficientemente forti e attivi”.
Tornato a Mosca, Krestinskij fece, in una riunione clandestina di trotskisti russi, un'ampia relazione del suo incontro con Trockij. Alcuni cospiratori, in particolare Karl Radek, considerato il “Ministro degli Esteri” di Trockij, erano irritati dal fatto che Trockij avesse iniziato trattative così importanti senza prima essersi consultato con loro.
Radek, udito il rapporto di Krestinskij, mandò a Trockij un messaggio speciale chiedendo “ulteriori chiarimenti sulla questione della politica estera”.
La risposta di Trockij, scritta dalla Francia, fu consegnata a Radek poche settimane dopo, da Vladimir Romm, un giovane corrispondente estero dell'Agenzia Tass, che serviva da corriere trotskista. Romm aveva ricevuto la lettera da Trockij a Parigi e l'aveva portata clandestinamente in Russia, nascondendola nella copertina di un popolare libro sovietico, Tsushima2. Più tardi, Radek descrisse il contenuto della lettera nei termini seguenti:
Trockij formulava il problema in questo modo. In Germania l'avvento al potere del fascismo aveva fondamentalmente mutato l'intera situazione. Implicava la guerra in un prossimo futuro, una guerra inevitabile tanto più che al tempo stesso si acutizzava la situazione nell'Estremo Oriente. Trockij non aveva nessun dubbio che questa guerra sarebbe finita con la disfatta dell'Unione Sovietica. La disfatta creerà condizioni favorevoli per l'avvento al potere del blocco. [...] Trockij affermava di aver preso contatto con uno stato dell'Estremo Oriente e con uno stato dell'Europa Centrale, e di aver detto apertamente in circoli semi-ufficiali di questi stati che il blocco era disposto a trattare con essi e a fare considerevoli concessioni sia di carattere economico che di carattere territoriale.
Nella stessa lettera, Trockij informava Radek che i trotskisti russi, i quali occupavano posti diplomatici, sarebbero stati presto avvicinati da alcuni diplomatici stranieri e avrebbero dovuto confermare ad essi la propria lealtà verso Trockij e assicurarli che appoggiavano Trockij in ogni maniera...
Grigorij Sokolnikov, il Vicecommissario agli Affari Orientali, si precipitò poco tempo dopo nell'ufficio di Radek, all'Izvestija. “Immagina un po'!” esclamò Sokolnikov nervosamente appena la porta fu chiusa. “Sto conducendo trattative al Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri. La conversazione si avvia alla fine. Gli interpreti hanno lasciato la stanza. Improvvisamente l'inviato giapponese si rivolge a me e mi chiede se sono informato delle proposte che Trockij ha fatto al suo governo”.
Sokolnikov fu profondamente turbato da quest'incidente. “Come vede Trockij questa cosa?” domandò a Radek. “Come posso io, Vicecommissario del Popolo, condurre simili trattative? È una situazione assolutamente impossibile!”
Radek cercò di calmare il suo amico agitato. “Calmati,” disse. “Trockij non si rende conto di questa particolare situazione, è ovvio”. Radek continuò ancora assicurando Sokolnikov che la cosa non si sarebbe ripetuta. Aveva già scritto a Trockij dicendogli che era impossibile che i trotskisti russi conducessero trattative con agenti tedeschi e giapponesi “sotto gli occhi dell'OGPU”. I trotskisti russi, disse Radek, avrebbero dovuto lasciare carta bianca a Trockij, incaricandolo di continuare le trattative per suo conto, purché li tenesse pienamente informati degli ulteriori sviluppi.
Poco dopo, lo stesso Radek presenziava una cerimonia diplomatica a Mosca, quando un diplomatico tedesco gli sedette accanto e gli disse tranquillamente: “I nostri capi sanno che il signor Trockij si sta adoperando per un avvicinamento con la Germania. I nostri capi desiderano sapere che cosa significa quest'idea del signor Trockij. Forse è l'idea di un emigrato che dorme male? Che cosa c'è dietro queste idee?”
Descrivendo la propria reazione a quest'inatteso approccio nazista, Radek disse più tardi:
La nostra conversazione durò, naturalmente, solo un paio di minuti; l'atmosfera di un ricevimento diplomatico non è propizia a lunghi discorsi. Avevo letteralmente un minuto secondo per decidere e dargli una risposta. […] Gli dissi che gli uomini politici realisti dell'URSS capivano il significato di un ravvicinamento tedesco-sovietico ed erano disposti a fare le necessarie concessioni per attuarlo.
Nella notte del 30 giugno 1934 il terrore nazista colpì all'interno dei suoi stessi ranghi quando Hitler liquidò gli elementi dissenzienti del suo movimento. Nel giro di ventiquattro ore, il capitano Ernst Röhm, comandante delle SA di Hitler, Edmund Heines, leader supremo del movimento nella Germania orientale, Karl Ernst, capo delle SA berlinesi, insieme a schiere di loro amici e associati, caddero sotto il fuoco dei fucili nazisti a Monaco e Berlino. Ansia e paura si abbatterono sull'intero movimento nazista.
Da Parigi, Trockij ordinò immediatamente a uno dei suoi “segretari” più fidati, una spia di nome Karl Reich, alias Johanson, di contattare Sergej Bessonov, il contatto trotskista a Berlino, che fu convocato a Parigi per fare un rapporto completo sulla situazione tedesca.
Bessonov non fu in grado di recarsi a Parigi immediatamente, ma alla fine di luglio riuscì a lasciare Berlino. Dopo aver incontrato Trockij in un albergo parigino e aver presentato il suo rapporto sulla situazione in Germania, ritornò a Berlino quella sera stessa. Trockij era in uno stato di grande agitazione nervosa quando Bessonov lo vide. Gli eventi in Germania, l'eliminazione dei “nazisti radicali” guidati da Röhm, avrebbero potuto interferire con i suoi piani. Bessonov gli garantì che Hitler, Himmler, Hess, Rosenberg, Goering e Goebbels avevano ancora il potere saldamente nelle loro mani.
“Verranno presto da noi!” gridò Trockij. Disse a Bessonov che aveva importanti compiti per lui a Berlino per il prossimo futuro. “Non dobbiamo fare gli schizzinosi in queste storie,” disse. “Per ottenere veri e importanti aiuti da Hess e Rosenberg, non dobbiamo esitare a concedere importanti cessioni di territori. Dobbiamo consentire la cessione dell'Ucraina. Tienilo a mente per il tuo lavoro e i negoziati con i tedeschi. Lo scriverò anche a Pjatakov e Krestinskij”.
Una rete di tradimenti era già stata tessuta nei vari uffici dei corpi diplomatici sovietici. Ambasciatori, segretari, consoli e agenti consolari minori erano coinvolti in un apparato cospirativo non solo in Europa, ma anche in Estremo Oriente...
L'ambasciatore sovietico in Giappone era coinvolto nella cospirazione. Il suo nome era Jurenev ed era un trotskista segreto dal 1926. Seguendo le istruzioni di Trockij, strinse accordi con i servizi segreti giapponesi. Ad assistere Jurenev nei suoi affari con i giapponesi c'era il vecchio amico di Trockij Christian Rakovskij, l'ex ambasciatore in Francia e Germania che ora non occupava più posti di rilievo nel Ministero degli Esteri sovietico: lavorava come funzionario in varie commissioni sanitarie pubbliche, ma era ancora una personalità importante nella cospirazione.
Nel settembre 1934 Rakovskij andò in Giappone con una delegazione sovietica per partecipare a una conferenza internazionale della Croce Rossa che si sarebbe svolta a Tokyo in ottobre. Prima di partire, ricevette una busta dal Commissariato per le Industrie Pesanti di Mosca. Era stata spedita da Pjatakov e conteneva una lettera che Rakovskij avrebbe dovuto consegnare a Jurenev. All'apparenza la lettera chiedeva informazioni di routine sugli scambi commerciali, ma sul retro, scritto con inchiostro invisibile, c'era un messaggio che informava Jurenev che Rakovskij doveva essere “usato” negli accordi con i giapponesi.
Il giorno dopo il suo arrivo in Giappone, Rakovskij fu contattato da un agente giapponese. L'incontro si svolse in un corridoio della sede della Croce Rossa a Tokyo. L'agente disse a Rakovskij che gli obiettivi del movimento trotskista “coincidevano totalmente” con quelli del governo giapponese, e aggiunse di essere sicuro che egli sarebbe stato in grado di fornire a Tokyo informazioni utili riguardanti la “situazione” in Unione Sovietica.
Quella sera stessa Rakovskij riferì a Jurenev delle sua conversazione con l'agente giapponese. “L'idea è di reclutarmi come spia,” disse, “come informatore del governo giapponese”.
“Non c'è motivo di esitare,” rispose l'ambasciatore trotskista, “il dado è tratto”.
Alcuni giorni dopo Rakovskij cenò con un lato ufficiale dei servizi segreti giapponesi. Il militare venne subito al punto. “Sappiamo che lei è un seguace e amico intimo di Trockij,” gli disse. “Devo chiederle di scrivergli che il nostro governo non è soddisfatto dei suoi articoli sulla questione cinese e del comportamento dei trotskisti cinesi. Abbiamo il diritto di aspettarci una linea di condotta diversa da parte di Trockij. Deve capire quello che è necessario. Non c'è bisogno di scendere nei dettagli, ma è chiaro che un incidente provocato in Cina sarebbe un pretesto auspicabile per intervenire”.
L'ufficiale giapponese descrisse poi a Rakovskij il genere di informazioni confidenziali che il governo giapponese era interessato a ricevere dagli informatori trotskisti: le condizioni delle fattorie collettive, ferrovie, miniere e industrie, soprattutto nelle zone orientali dell'Unione Sovietica. A Rakovskij furono dati vari nomi in codice e pseudonimi per la sua attività di spionaggio. Fu stabilito che il dottor Naida, un segretario della delegazione della Croce Rossa, avrebbe fatto da contatto tra lui e i servizi segreti giapponesi...
Prima di lasciare Tokyo, Rakovskij parlò un'ultima volta con Jurenev. L'ambasciatore trotskista era abbattuto. “Ci siamo cacciati in un tale casino che a volte non si sa più come comportarsi!” disse con aria cupa. “C'è il timore che aiutando un alleato si finisca col danneggiarne un altro. Per esempio, adesso sta crescendo l'antagonismo tra Gran Bretagna e Giappone sulla questione cinese, e noi dobbiamo mantenere i rapporti con i servizi segreti di entrambi. […] E io devo trovare il modo di orientarmi in tutto questo!”
Rakovskij rispose: “Noi trotskisti abbiamo tre carte da giocare in questo momento: i tedeschi, i giapponesi e i britannici. […] Dobbiamo puntare su tutto, tentare il tutto per tutto; ma se una mossa azzardata ha successo, gli avventurieri si fanno chiamare grandi statisti!”3
2. La diplomazia del terroreMentre i congiurati russi rafforzavano i loro rapporti e preparavano il tradimento con i rappresentanti della Germania e del Giappone, un'altra fase dell'offensiva segreta contro il governo sovietico era già avviata. Al tradimento si aggiungeva il terrore.
Nell'aprile 1934 un ingegnere sovietico di nome Bojaršinov entrò nell'ufficio del costruttore capo delle miniere del Kuzneck, in Siberia, per fare rapporto su qualcosa di molto sospetto che stava accadendo nel suo dipartimento. C'erano decisamente troppi incidenti, incendi sotterranei, guasti meccanici. Bojaršinov sospettava che si trattasse di sabotaggio.
Il capo costruttore lo ringraziò per le informazioni. “Informerò la gente giusta,” disse, “nel frattempo non dire niente a nessuno”.
Il capo costruttore era Aleksej Šestov, spia tedesca e capo dei sabotatori trotskisti in Siberia.
Alcuni giorni dopo Bojaršinov venne trovato morto in un fossato. Era stato investito da un camion mentre tornava a casa dal lavoro per una strada solitaria di campagna. Il conducente era un terrorista professionista di nome Čerepuchin. Šestov lo aveva incaricato di uccidere Bojaršinov in cambio di quindicimila rubli.4
Nel settembre 1934 Vjačeslav Molotov, presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, arrivò in Siberia per un giro d'ispezione nei territori minerari e industriali. Molotov stava tornando dalla visita di una delle miniere del bacino carbonifero di Kuzneck quando l'automobile su cui viaggiava uscì improvvisamente di strada, precipitò per un argine scosceso e si arrestò proprio sull'orlo di un profondo bacino d'acqua. Fortemente scossi e contusi, ma senza gravi conseguenze, Molotov e i suoi compagni uscirono dall'automobile rovesciata. Per poco erano sfuggiti alla morte.
Il guidatore era Valentin Arnold, direttore del garage locale e membro dell'organizzazione terroristica trotskista. Šestov gli aveva dato istruzione di assassinare Molotov; e Arnold aveva deliberatamente fatto uscire l'automobile dalla strada, con l'intenzione di uccidere se stesso insieme a Molotov. L'attentato fallì solo perché all'ultimo momento Arnold perse il coraggio e rallentò, avvicinandosi all'argine dove l'“incidente” sarebbe dovuto avvenire...
Nell'autunno del 1934 gruppi di terroristi trotskisti e di destra agivano in tutta l'Unione Sovietica. Le organizzazioni erano composta da ex socialisti rivoluzionari, ex menscevichi, assassini professionisti ed ex agenti dell'Ochrana zarista. In Ucraina e Bielorussia, in Georgia e Armenia, in Uzbekistan, Azerbaigian e nelle regioni marittime dell'Estremo Oriente, nazionalisti antisovietici e fascisti vennero reclutati nelle organizzazioni terroristiche. In molti luoghi, agenti nazisti e giapponesi ne dirigevano direttamente le operazioni.
Era stata compilata una lista dei capi sovietici da assassinare. Il capolista era Josif Stalin. Fra gli altri, c'erano i nomi di Klement Vorošilov, Vjačeslav Molotov, Sergej Kirov, Lazar' Kaganovič, Andrej Ždanov, Vjačeslav Menžinskij, Maksim Gor'kij e Valerian Kujbyšev.
I terroristi ricevevano periodicamente messaggi da Lev Trockij, nei quali si sottolineava la necessità di eliminare i capi sovietici. Uno di tali messaggi giunse a Efraim Dreitzer, l'ex guardia del corpo di Trockij, nell'ottobre del 1934. Trockij lo aveva scritto con inchiostro invisibile sui margini di una rivista cinematografica tedesca. Fu portato a Dreitzer da sua sorella che lo aveva ricevuto da un corriere trotskista a Varsavia. Il messaggio diceva:
Caro amico. Comunica che oggi abbiamo dinanzi a noi i seguenti compiti principali:
1) eliminare Stalin e Vorošilov;
2) svolgere attività per l'organizzazione di nuclei nell'esercito;
3) nel caso di una guerra, approfittare di ogni insuccesso e di ogni confusione per prendere il potere.
Il messaggio era firmato Starik (“vecchio”), che era la firma cifrata di Trockij.
Dopo lunghe osservazioni, i cospiratori scoprirono la strada usata dal Commissario per la Difesa Vorošilov per recarsi a Mosca. Tre terroristi armati di revolver stazionarono per alcuni giorni lungo via Frunze, una delle strade principali attraverso le quali la macchina di Vorošilov doveva passare. Ma la macchina viaggiava sempre ad alta velocità, così i terroristi decisero, come disse in seguito uno di loro, che era “inutile sparare a una macchina in corsa”.
Anche molti piani per uccidere Stalin andarono a vuoto. Un terrorista trotskista, che avrebbe dovuto sparargli durante una conferenza del Partito a Mosca, riuscì a intrufolarsi nella sala del congresso ma non fu in grado di avvicinarsi abbastanza al leader sovietico per usare il revolver. Un'altra volta dei terroristi spararono con un fucile ad alta potenza mentre Stalin viaggiava su una motonave, ma i colpi lo mancarono. “Peccato,” disse Lev Kamenev quando il terrorista Ivan Bakaev lo informò del fallimento di uno dei suoi piani per uccidere Stalin, “speriamo di avere più successo la volta prossima”5.
Trockij si faceva sempre più impaziente. Il tono dei suoi messaggi ai seguaci in Russia cambiò bruscamente. Li accusò rabbiosamente di essere “sempre impegnati a organizzare preparativi e conversazioni” e di non aver realizzato “nulla di concreto”. Iniziò a mandare i suoi agenti speciali in Unione Sovietica per aiutare a organizzare e aumentare gli atti terroristici. Questi agenti, émigré russi o trotskisti tedeschi, viaggiavano con passaporti falsi forniti loro dai cospiratori attivi nel servizio diplomatico sovietico o dai servizi segreti tedeschi e la Gestapo.
Il primo degli agenti speciali era un trotskista tedesco di nome Nathan Lurye. Era seguito da altri due uomini: Konon Berman-Jurin e Fritz David, alias Ilja-David Krugljanskij. Nel marzo 1933 Trozkij mandò altri due agenti: Valentine Olberg e Moissei Lurye, alias Alexander Emel.
Prima di lasciare Berlino, a Nathan Lurye fu detto che avrebbe dovuto operare sotto la supervisione di un ingegnere e architetto tedesco di nome Frantz Weitz, che all'epoca lavorava in Unione Sovietica. Weitz non era un seguace di Trockij ma un membro del Partito Nazionalsocialista Tedesco. Era stato mandato in Unione Sovietica in missione segreta da Heinrich Himmler, direttore della Gestapo. Himmler aveva incaricato Weitz di organizzare operazioni terroristiche e di spionaggio in collaborazione con il centro trotskista-zinovevista.
Quando un seguace di Zinov'ev chiese spiegazioni su questa alleanza diretta con un agente nazista, Zinov'ev rispose: “Che cosa ti disturba tanto? Sei uno storico, conosci la storia di Lasalle e Bismarck, quando Lasalle voleva usare Bismarck negli interessi della rivoluzione. Perché oggi non possiamo usare Himmler?”
Poco prima di partire per l'Unione Sovietica, Berman-Jurin e David incontrarono Trockij di persona. L'incontro si svolse a Copenaghen verso la fine del novembre 1932. Berman-Jurin disse poi:
Mi incontrai due volte con lui [Trockij]. Prima di tutto iniziò a farmi domande sulle mie attività passate, poi parlammo dell'Unione Sovietica. Mi disse: “La questione principale è Stalin. Dev'essere fisicamente distrutto”. Disse che altri metodi di lotta erano ormai inefficaci. Per questo erano necessarie persone disposte a osare qualsiasi cosa, capaci di sacrificare anche se stesse per questa missione storica. Disse proprio così. […]
In serata continuammo la conversazione. Gli chiesi come si potesse conciliare il terrorismo individuale con il marxismo. Allora Trockij rispose che i problemi non dovevano essere affrontati in modo dogmatico. In Unione Sovietica si era arrivati a una situazione che Marx non avrebbe potuto prevedere. Disse anche che oltre a Stalin era necessario assassinare anche Kaganovič e Vorošilov. […]
Durante la conversazione camminava nervosamente su e giù per la stanza e parlava di Stalin con un odio straordinario. […]
Disse che l'attacco terroristico, se possibile, avrebbe dovuto colpire durante il plenum o al congresso del Comintern, così che il colpo a Stalin potesse risuonare in una grande assemblea. Questo avrebbe avuto una ripercussione tremenda, ben oltre i confini dell'Unione Sovietica. […] Sarebbe stato un evento storico di importanza mondiale.
A Fritz David, l'altro agente, Trockij disse: “Il terrore contro Stalin, questo è il compito rivoluzionario. A un vero rivoluzionario la mano non tremerà”. Parlò anche del “dissenso crescente” in Unione Sovietica. David gli chiese se questo scontento potesse scomparire nel caso di una guerra contro i giapponesi. Trotckij rispose: “No. Al contrario, in quel caso le forze ostili al regime cercherebbero di unirsi e mettersi alla guida delle masse scontente, armarle e guidarle contro i burocrati al governo”.
Il centro terroristico trotskista-zinovevista stava per vibrare l'importante primo colpo della congiura contro il governo sovietico. Questo primo colpo fu l'assassinio di Sergej Kirov, segretario del Partito a Leningrado e uno dei più stretti collaboratori di Stalin nel governo.
All'inizio del novembre 1934 Zinov'ev, che si trovava a Mosca, mandò Bakaev a controllare l'organizzazione delle cellule terroristiche a Leningrado.
I terroristi di Leningrado, che avevano già provato più volte ad avvicinarsi a Kirov, non erano troppo contenti di ricevere l'emissario di Zinov'ev. “Così Grigorij Eveseevič [Zinov'ev] non si fida di noi,” disse a Bakaev uno dei sicari. Manda gente a controllar eil nostro umore e il nostro lavoro. Beh, non ne siamo orgogliosi!”
Una riunione delle cellule di Leningrado, a cui parteciparono sette terroristi, mise Bakaev al corrente degli ultimi sviluppi. Fu informato che era stata organizzata una sorveglianza regolare lungo la strada che Kirov prendeva per recarsi in ufficio, all'Istituto Smol'nyj. Bakaev incontrò l'uomo che era stato scelto per compiere l'omicidio. Leonid Nikolaev, un pallido, esile ex libraio trentenne che era stato licenziato per irregolarità ed era stato espulso dal Komsomol* perché inaffidabile.
Nikolaev disse a Bakaev che aveva programmato di sparare a Kirov vicino a casa sua o allo Smol'nyj. Aggiunse di aver già provato a ottenere un appuntamento con Kirov, senza successo.
Bakaev ripeté le istruzioni che Zinov'ev gli aveva dato a Mosca:
Il compito principale è organizzare il lavoro terroristico segretamente, così da impedire di essere compromessi in qualsiasi modo. […]
Quando venite interrogati, la cosa più importante è negare con insistenza ogni legame con l'organizzazione. Se vi accusano di attività terroristiche, dovete negare con tutte le forze e rispondere che il terrorismo è incompatibile con i principi dei bolscevichi marxisti.
Zinov'ev fu soddisfatto dagli sviluppi a Leningrado. Egli e Kamenev erano sicuri che l'assassinio di Kirov avrebbe avuto luogo presto. Credevano che quell'atto avrebbe gettato il governo sovietico in confusione e che sarebbe stato un segnale per atti simili contro altri dirigenti sovietici in tutto il paese. “Quello che le teste hanno di particolare,” commentò Kamenev, “è che non ricrescono”.
Il 10 dicembre 1934, alle 4:27 del pomeriggio, Sergej Kirov lasciò il suo ufficio allo Smolnyj. Scese il lungo corridoio ornato di marmo che conduce a una stanza dove avrebbe dovuto fare un rapporto sulla delibera del Comitato Centrale di abolire il razionamento del pane. Mentre passava per un corridoio che incrociava quello principale, un uomo saltò fuori, gli puntò la rivoltella alla nuca e sparò.
Alle 4:30 Kirov era morto.
L'assassino era Leonid Nikolaev. Cercò dapprima di scappare, poi di spararsi, ma fu immobilizzato prima di poter fare qualunque cosa.
Il 28 dicembre 1934 Nikolaev fu processato di fronte al Collegio Militare della Corte Suprema sovietica. “Quando sparai a Kirov,” dichiarò, “pensavo questo: uno sparo dev'essere un segnale per un'esplosione, una rivolta nel paese contro il Partito Comunista e contro il governo sovietico”.
Il Collegio Militare condannò Nikolaev alla fucilazione6.
Nikolaev non confessò il fatto che Zinov'ev, Kamenev e altri leader del centro terroristico trotskista-zinovevista fossero direttamente coinvolti nell'omicidio.
Ma era chiaro al governo sovietico che l'attenta pianificazione dell'assassinio aveva richiesto un'organizzazione molto più elaborata e pericolosa di quella del gruppo di Nikolaev. Il Partito Bolscevico incaricò un investigatore speciale di far luce sull'affaire di Leningrado. Il suo nome era Nikolaj Ivanovič Ežov, membro del Comitato Centrale del Partito e capo della Commissione di Controllo.
Due settimane dopo il processo a Nikolaev, Grigorij Zinov'ev, Lev Kamenev e numerosi loro complici, tra i quali Bakaev, furono messi sotto processo a Leningrado con l'accusa di complicità nell'assassinio di Kirov. Per tutto il processo Zinov'ev e Kamenev seguirono una condotta attentamente preparata in anticipo. Non ammettendo nulla oltre a ciò che il governo aveva già scoperto durante le indagini, finsero un profondo rimorso e “confessarono” che le attività dell'opposizione politica in cui erano stati coinvolti avevano “creato un'atmosfera” favorevole alle “attività antisovietiche”. Ammisero di essere i leader di un “centro moscovita” di oppositori politici e si assunsero la “responsabilità morale” dell'assassinio di Kirov, dato che avevano il sedizioso movimento politico nel quale il crimine era maturato. Ma negarono con decisione di essere stati personalmente a conoscenza della cospirazione per assassinare Kirov.
“Sono abituato a considerarmi un leader,” dichiarò Zinov'ev, “e ovviamente avrei dovuto sapere tutto. […] Quello spaventoso assassinio ha gettato una luce così negativa su tutta la nostra lotta contro il Partito, che ora posso ammettere che il Partito ha assolutamente ragione quando parla della responsabilità politica del vecchio gruppo zinovevista riguardo all'omicidio”.
Kamenev recitò la stessa parte. “Devo dire che non sono un codardo per natura, ma non ho mai pensato di combattere con delle armi,” disse. “Ho sempre pensato che saremmo arrivati a un punto in cui il Comitato Centrale sarebbe stato costretto a negoziare con noi, che se ne sarebbe andato e avrebbe lasciato il posto a noi”.
Lo stratagemma funzionò, Il tribunale non fu in grado di provare che Zinov'ev e Kamenev avevano partecipato direttamente all'assassinio di Kirov. Furono invece giudicati colpevoli di aver organizzato pericolose attività antisovietiche. Nella sentenza si legge:
Il procedimento non ha portato alla luce alcun elemento in grado di qualufucare le attività dei membri del centro moscovita come un incitamento diretto all'assassinio del compagno Kirov del 1° dicembre 1934; ciononostante, il processo ha confermato che i membri del centro controrivoluzionario moscovita erano consapevoli delle tendenze terroristiche del gruppo di Leningrado e le hanno stimolate.
Per le loro attività cospirative, Zinov'ev e Kamenev furono condannati rispettivamente a dieci e cinque anni di reclusione.
Il processo si era limitato a grattare la superficie della cospirazione, e molti strani elementi non erano stati portati alla luce.
Quando Zinov'ev e Kamenev furono arrestati, quattro agenti dei servizi segreti sovietici li portarono al quartier generale del dell'NKVD7. Gli agenti erano Molčanov, capo del Dipartimento Politico dell'NKVD, Pauker e Volovič, capo e vicecapo del Dipartimento Operativo, e Bulanov, assistente del segretario dell'NKVD.
Quando arrestarono Zinov'ev e Kamenev gli agenti agirono in modo decisamente insolito. Non solo non perquisirono gli appartamenti dei sospettati per cercare materiale compromettente, ma permisero ai due di distruggere un gran numero di documenti che avrebbero potuto incriminarli.
Ancora più sorprendenti erano i segreti dei quattro agenti: Molčanov e Bulanov erano membri segreti della cospirazione trotskista, mentre Pauker e Volovič erano agenti tedeschi. I quattro erano stati scelti appositamente per eseguire l'arresto da Genrich Jagoda, il segretario dell'NKVD.
Capitolo diciottesimo: Assassinio al Cremlino
1. JagodaNel maggio del 1934, sei mesi prima dell'assassinio di Sergej Kirov, era morto di un attacco cardiaco Vjačeslav Rudol'fovič Menžinskij, direttore dell'OGPU, da lungo tempo sofferente. Il suo posto fu occupato dal vicedirettore Genrich Grigor'evič Jagoda, un quarantatreenne efficiente e di bassa statura, con il mento sfuggente e i baffetti ben tagliati.
Jagoda era membro segreto del blocco delle destre e dei trotskisti. Era entrato nella congiura nel 1929 come membro dell'opposizione di destra, non perché credesse nel programma di Bucharin o in quello di Trockij, ma perché pensava che l'opposizione fosse destinata a prendere il potere in Russia. Jagoda voleva trovarsi dalla parte dei vincitori. Ecco le sue parole:
Seguivo il corso della lotta con la più grande attenzione, avendo deciso già sin da principio che mi sarei schierato con la parte che sarebbe uscita vittoriosa. […]
Quando iniziò la repressione dei trotskisti, non era ancora certo chi potesse uscirne vincitore, i trotskisti o il Comitato Centrale. In ogni caso, sarei rimasto fedele a quello che pensavo. Perciò, come Vicesegretario dell'OGPU incaricato di svolgere le operazioni repressive, operai in modo tale da non farmi odiare dai trotskisti. Quando li mandavo in esilio, creavo per loro delle condizioni tali da permettere loro di continuare le attività.
Il ruolo di Jagoda nella cospirazione era inizialmente noto solo ai tre leader di destra, Bucharin, Rykov e Tomskij. Nel 1932, quando venne formato il blocco delle destre e dei trotskisti, il suo ruolo divenne noto anche a Pjatakov e Krestinskij.
Come vice-presidente dell'OGPU, Jagoda era in grado di proteggere i cospiratori dalla scoperta e dall'arresto. “Per parecchi anni,” dichiarò più tardi, “presi tutte le precauzioni necessarie per proteggere l'organizzazione, specialmente il suo centro”. Jagoda nominò membri del blocco delle destre e dei trotskisti agenti speciali nella OGPU. In tal modo, vari agenti dei servizi segreti stranieri poterono penetrare nella polizia segreta sovietica e svolgere, sotto la protezione di Jagoda, un'attività spionistica per conto dei loro rispettivi governi. “Li consideravo,” disse più tardi Jagoda riferendosi alle spie straniere, “forze utili all'attuazione dei piani cospirativi, specialmente per il mantenimento dei legami con i servizi segreti stranieri”.
Nel 1933 Ivan Smirnov, organizzatore-capo del centro terroristico trotskista-zinovevista, fu arrestato inaspettatamente da agenti del governo sovietico. Jagoda non ne poté impedire l'arresto. Con il pretesto di interrogare il prigioniero, Jagoda visitò Smirnov nella sua cella e lo “istruì” sul modo di comportarsi durante l'interrogatorio.
Nel 1934, molto tempo prima dell'assassinio di Kirov, era stato arrestatoa da agenti dell'OGPU di Leningrado il terrorista Leonid Nikolaev. In suo possesso erano state trovate una pistola e una cartina con tracciata la via percorsa ogni giorno da Kirov. Quando Jagoda era stato informato dell'arresto di Nikolaev, aveva dato istruzioni a Zaporožec, vicecapo dell'OGPU di Leningrado, di rilasciare il terrorista senza interrogarlo ulteriormente. Zaporožec, che era uno degli uomini di Jagoda, obbedì.
Poche settimane più tardi, Nikolaev aveva assassinato Kirov.
Ma l'assassinio di Kirov non fu che uno dei molti assassini compiuti dal blocco delle destre e dai trotskisti con l'aiuto diretto di Jagoda...
Dietro l'aspetto tranquillo e sicuro di sé, Jagoda nascondeva un'ambizione sfrenata, ferocia e astuzia. Poiché le operazioni segrete del blocco delle destre e dei trotskisti dipendevano sempre più dalla sua protezione, il vicedirettore dell'OGPU cominciò a considerarsi come la figura centrale e la personalità dominante di tutta la congiura. Sognava di diventare la versione russa di Hitler. Lesse il Mein Kampf e confidò al devoto vicesegretario di averlo trovato “un libro molto interessante”. Restò impressionato, gli disse, dal fatto che Hitler avesse fatto carriera “da umile sergente all'uomo che è ora”. Anche Jagoda aveva iniziato la carriera militare come sergente.
Jagoda aveva le sue idee sul tipo di governo che sarebbe dovuto venire instaurato dopo il rovesciamento di Stalin. Sarebbe stato modellato su quello della Germania nazista, disse a Bulanov. Egli stesso ne sarebbe stato il Führer; Rykov avrebbe rimpiazzato Stalin alla guida di un Partito riorganizzato; Tomskij sarebbe stato il capo dei sindacati, che sarebbero stati messi sotto un rigido controllo militare, come i Reichsarbeitsdienst (“battaglioni del lavoro”) nazisti; il “filosofo” Bucharin, come lo definì Jagoda, sarebbe stato il Goebbels russo.
Quanto a Trockij, Jagoda non era certo se gli avrebbe permesso di ritornare in Russia. Sarebbe dipeso dalle circostanze. Nel frattempo, Jagoda era tuttavia disposto a servirsi delle trattative condotte da Trockij con la Germania e il Giappone. Il colpo di stato, diceva Jagoda, avrebbe dovuto coincidere con lo scoppio della guerra contro l'Unione Sovietica.
“Useremo ogni mezzo per attuare il putsch: azioni armate, provocazioni e perfino avvelenamenti,” disse a Bulanov. “Ci sono momenti in cui occorre agire lentamente e con cautela, e altri in cui bisogna agire rapidamente e all'improvviso”.
La decisione del blocco delle destre e dei trotskisti di adottare il terrorismo come arma politica contro il regime sovietico aveva l'approvazione di Jagoda. La decisione gli fu comunicata da J. S. Enukidze, ex soldato e funzionario della segreteria del Cremlino, organizzatore degli atti di terrorismo per la destra. Jagoda aveva una sola obiezione: i metodi terroristici usati dai cospiratori erano, secondo lui, troppo primitivi e pericolosi. Egli cominciò a escogitare metodi di assassinio politico più raffinati delle armi tradizionali, bombe, pugnali o pallottole.
In un primo tempo Jagoda fece esperimenti con il veleno. Installò un laboratorio clandestino e vi fece lavorare diversi chimici. Il suo scopo era di scoprire un metodo di uccisione che non destasse sospetti. “Assassinio con garanzia”, lo chiamava.
Ma perfino i veleni erano troppo primitivi. Però non occorse molto tempo a Jagoda per perfezionare la sua speciale tecnica dell'assassinio, che egli raccomandava ai capi del Bloccodella Destra e dei trotskisti come arma perfetta. “È molto semplice,” diceva, “una persona si ammala per cause naturali, oppure è stata ammalata per qualche tempo. Quelli che le stanno vicino si abituano, naturalmente, all'idea che il paziente morirà o guarirà. Il medico che cura il paziente ha la facoltà di facilitare la guarigione del paziente o la sua morte. [...] Ebbene, tutto il resto è questione di tecnica”.
Bastava trovare i medici adatti.
2. L'assassinio di MenžinskijIl primo medico coinvolto da Jagoda nel suo originale schema di assassinio fu il dottor Lev Levin, un uomo corpulento, di mezza età, ossequiente, che si vantava volentieri del suo disinteresse per le cose politiche. Era medico curante di Jagoda. Più importante era per Jagoda il fatto che il dottor Levin fosse un membro eminente del corpo sanitario del Cremlino. Fra i suoi pazienti abituali vi erano importanti capi sovietici, tra cui il superiore di Jagoda, Vjačeslav Menžinskij, segretario dell'OGPU.
Jagoda iniziò a ricoprire Levin di favori speciali: gli inviava vini costosi, fiori per la moglie e vari altri regali. Mise a sua disposizione una casa in campagna, senza spese. Quando il dottor Levin viaggiava all'estero, Jagoda gli permetteva di portare in Russia che acquisti senza pagare le imposte dovute. Il medico era lusingato e un po' sorpreso da quelle insolite attenzioni da parte di un paziente così influente.
In conseguenza delle manovre di Jagoda, l'ignaro dottor Levin fu indotto ad accettare denaro sottomano e a commettere alcune infrazioni di minor conto delle leggi sovietiche. Allora Jagoda entrò senza indugi in argomento. Disse al Levin che nell'Unione Sovietica stava per prendere il potere un movimento clandestino di opposizione, di cui egli stesso era uno dei capi. I cospiratori, disse, avrebbero potuto far buon uso dei suoi servigi. Alcuni capi sovietici, fra cui alcuni pazienti del dottor Levin, dovevano essere tolti di mezzo.
“Si ricordi bene,” disse Jagoda al dottore atterrito, “che non può fare a meno di ubbidirmi, che non può sfuggirmi. Una volta che ho riposto la mia fiducia in lei per questa faccenda, lei deve apprezzarlo ed eseguire quanto ho detto. Non deve parlarne con nessuno. Nessuno le crederà. Crederanno a me e non a lei”. Jagoda aggiunse: “Lasciamo questo discorso, ci penserà a casa sua. La richiamerò fra pochi giorni”.
Levin descrisse in seguito la sua reazione alle parole di Jagoda.
Non ho bisogno di dirvi quale fu la mia reazione psicologica, quanto fu terribile per me sentire quelle parole. Si può capire abbastanza bene. E poi, quell'incessante tortura mentale. […]
E poi aggiunse: 'Si rende conto chi le sta parlando, il capo di quale istituzione!' […] Disse ripetutamente che un mio rifiuto di attuare il suo piano avrebbe significato la rovina mia e della mia famiglia. Ritenni di non aver altra via se non quella di sottomettermi.
Levin aiutò Jagoda ad assicurarsi i servigi di un altro medico, il quale a sua volta curava di frequente Menžinskij. Era il dottor Ignatij Nikolaevič Kazakov, i cui metodi terapeutici, poco ortodossi erano stati motivo di accese controversie nell'ambiente medico sovietico nei primi anni trenta.
Il dottor Kazakov pretendeva di avere scoperto una cura quasi infallibile per numerosissime malattie per mezzo di una tecnica speciale da lui chiamata “lisatoterapia”. Il segretario dell'OGPU Menžinskij, che soffriva di angina pectoris e di asma bronchiale, aveva grande fiducia nelle cure di Kazakov e vi si sottoponeva regolarmente1.
Seguendo le istruzioni di Jagoda, Levin andò dal Kazakov. Levin gli disse: “Menžinskij è un cadavere che cammina. Sta veramente perdendo tempo”.
Kazakov guardò il suo collega con aria attonita.
“Devo avere un colloquio riservato con lei,” disse Levin.
“Su che cosa?” chiese Kazakov.
“Sulla salute di Menžinskij...”
Poi Levin entrò in argomento. “Credevo che fosse più intelligente, ancora non mi ha capito,” disse a Kazakov. “Mi stupisce che si occupi della cura di Menžinskij con tanto zelo e che abbia persino migliorato la sua salute. Non avrebbe mai dovuto metterlo in condizioni di tornare al suo lavoro”.
Poi, mentre stupore ed orrore aumentavano in Kazakov, Levin proseguì:
“Deve capire che Menžinskij è già un uomo morto e che, ridandogli la salute, permettendogli di tornare al suo lavoro, lei si sta mettendo in contrasto con Jagoda. Menžinskij sbarra la strada a Jagoda ed egli ha interesse a toglierlo di mezzo al più presto. Jagoda è uomo che non si ferma davanti a nulla”.
Levin aggiunse: “Non una parola con Menžinskij! La avviso che se ne parlerete con lui Jagoda la eliminerà. Non riuscirà a sfuggirgli, e non importa dove si nasconderà . La troverebbe anche se fosse sotto terra”.
Nel pomeriggio del 6 novembre 1933, Kazakov ricevette una chiamata urgente dalla casa di Menžinskij. Quando arrivò dal segretario dell'OGPU fu accolto da un odore soffocante di trementina e vernice. Nel giro di pochi minuti ebbe difficoltà a respirare. Uno dei segretari di Menžinskij lo informò che la casa era stata riverniciata e che una “sostanza speciale” era stata aggiunta alla vernice per “farla asciugare più in fretta”. Era quella “sostanza speciale” a causare l'odore pungente.
Kazakov salì le scale. Trovò Menžinskij in agonia. Le condizioni dei bronchi erano state terribilmente aggravate dalle esalazioni. Stava seduto in una posizione innaturale, con la faccia e il corpo gonfi, a malapena in grado di respirare. Kazakov gli ascoltò il respiro: era difficoltoso e rauco, con esalazioni prolungate, tipico di un serio attacco di asma bronchiale. Kazakov gli fece immediatamente un'iniezione per alleviare le sue condizioni, poi spalancò tutte le finestre della stanza e ordinò al segretario di aprire tutte le porte e le finestre della casa. Lentamente l'odore si dissolse. Il dottor Kazakov rimase con Menžinskij finché il paziente si sentì meglio. Quando l'attacco fu passato, tornò a casa.
Appena rientrato sentì squillare il telefono. Era una chiamata dal quartier generale dell'OGPU. Fu informato che Genrich Jagoda desiderava vederlo immediatamente. Una automobile era già partita per venirlo a prendere e portarlo al suo ufficio.
“Allora, che cosa ne pensa della salute di Menžinskij?” fu la prima cosa detta da Jagoda quando lui e Kazakov furono soli nell'ufficio. Il basso, azzimato e bruno Vicesegretario dell'OGPU stava seduto dietro la sua scrivania e osservava freddamente l'espressione di Kazakov.
Kazakov rispose che un improvviso rinnovarsi degli attacchi d'asma aveva aggravato le condizioni di Menžinskij.
Jagoda rimase in silenzio per un momento.
“Ha parlato con Levin?”
“Sì”.
Jagoda si alzò improvvisamente dalla sedia e cominciò a passeggiare in su e in giù davanti alla sua scrivania. D'un tratto, si voltò verso Kazakov investendolo furiosamente: “In tal caso perché perde tempo? Perché non agisce? Chi le ha detto di immischiarsi negli affari altrui?”
“Che cosa vuole da me?” domandò Kazakov.
“Chi le ha detto di prestare le vostre cure mediche a Menžinskij?” chiese Jagoda. “Si sta dando da fare con lui inutilmente la sua vita non serve a nessuno. È un ingombro per tutti. Le ordino di concordare con Levin un metodo di cura che possa determinare la rapida fine di Menžinskij!” Dopo una pausa aggiunse: “La avviso, Kazakov, se tenta di disobbedirmi, troverò la maniera di sbarazzarmi di lei! Non mi sfuggirà mai”.
I giorni successivi furono per Kazakov pieni di terrore, di paura e di incubi. Faceva il suo lavoro in uno stato di sonnambulismo. Doveva o non doveva riferire alle autorità sovietiche quello che sapeva? A chi poteva parlare? Come poteva essere sicuro di non parlare a una delle spie di Jagoda?
Levin, che spesso s'incontrava con lui durante questo periodo, gli parlò dell'esistenza di una vasta congiura clandestina contro il governo sovietico. Funzionari influenti e famosi come Jagoda, Rykov e Pjatakov facevano parte della congiura; scrittori e filosofi brillanti come Karl Radek e Bucharin vi erano entrati; uomini dell'esercito l'appoggiavano in segreto. Se egli, Kazakov, rendeva ora qualche servizio utile a Jagoda, questi se ne sarebbe ricordato il giorno in cui fosse al potere. Una guerra segreta si stava combattendo entro l'Unione Sovietica e i medici dovevano, come gli altri, decidere da che parte schierarsi.
Il dottor Kazakov cedette. Disse a Levin che avrebbe eseguito gli ordini di Jagoda.
Ecco, con le parole dello stesso Kazakov, la tecnica usata da lui e da Levin per assassinare il presidente dell'OGPU Vjačeslav Menžinskij:
Mi incontrai con Levin e insieme a lui elaborai il seguente metodo. Approfittammo delle due proprietà fondamentali dell'albume e dei suoi prodotti. Primo: i prodotti della decomposizione idrolitica dell'albume stimolano gli effetti delle medicine. Secondo: il lisato aumenta la sensibilità dell'organismo. Approfittammo di queste due proprietà. Inoltre sfruttammo anche le particolari condizioni dell'organismo di Menžinskij, la combinazione dell'asma bronchiale con l'angina pectoris. È noto che in caso di asma bronchiale vengono prescritte sostanze che stimolano il sistema nervoso simpatico e la tiroide. La sostanza è un estratto della ghiandola surrenale, prodotta nella parte midollare. In caso di angina pectoris viene stimolato il sistema simpatico che parte dal plesso sottogiugulare del ganglio simpatico. Ci approfittammo proprio di questo. […]
Gradualmente sostituimmo dei nuovi preparati ai vecchi. […] Era necessario far uso di stimolanti cardiaci (digitale, adonide, atropina). Questi medicinali furono somministrati in quest'ordine: prima somministrammo i lisati, poi, dopo un periodo di interruzione, gli stimolanti cardiaci. Il risultato di quel trattamento fu un indebolimento completo.
Nella notte del 10 maggio 1934 Menžinskij morì.
L'uomo che ne prese il posto come capo dell'OGPU era Genrich Jagoda.
“Nego di aver causato la morte di Menžinskij spinto da motivi di natura personale”. Dichiarò in seguito Jagoda. “Aspiravo al posto di capo dell'OGPU non per considerazione personale, ma nell'interesse dell'organizzazione cospirativa”.
3. Assassinio con garanziaLa lista degli obiettivi del blocco delle destre e dei trotskisti comprendeva questi alti dirigenti sovietici: Stalin, Vorošilov, Kirov, Menžinskij, Molotov, Kujbyšev, Kaganovič, Gor'kij e Ždanov. Queste persone erano tutte sotto protezione. Il governo sovietico aveva una lunga e amara esperienza nei rapporti con i terroristi, e nulla veniva lasciato al caso. Jagoda lo sapeva molto bene. Quando il terrorista di destra Enukidze gli comunicò la decisione del centro terroristico trotskista-zinovevista di assassinare pubblicamente Sergej Kirov, Jagoda inizialmente obiettò. Nelle sue parole:
Esposi il mio timore che un atto terroristico diretto potesse esporre non solo me, ma anche l'intera organizzazione. Feci notare a Enukidze che c'era un metodo meno pericoloso e gli ricordai che Menžinskij era stato assassinato con l'aiuto di medici. Enukidze rispose che Kirov doveva essere ucciso secondo il piano, che i trotskisti e gli zinovevisti si sarebbero occupati personalmente dell'assassinio e che non dovevamo frapporre ostacoli. Riguardo al metodo sicuro di uccidere con l'aiuto di medici, Enukidze disse che molto presto il centro avrebbe discusso su chi tra i dirigenti del Partito e del governo dovesse essere ucciso in quel modo.
Un giorno, verso la fine dell'agosto 1934, un giovane membro dell'opposizione di destra fu chiamato al Cremlino nell'ufficio di Enukidze. Si chiamava Venjamin Maksimov. Da studente aveva frequentato nel 1928 la speciale “scuola marxista” di Mosca allora diretta da Bucharin. Questi lo aveva reclutato per la congiura. Intelligente, giovine, privo di scrupoli, Maksimov era stato addestrato accuratamente dai dirigenti della destra ed era stato assegnato, dopo il conseguimento del diploma, a vari uffici di segretario. All'epoca in cui fu chiamato nell'ufficio di Enukidze, Maksimov era segretario personale di Valerian Kujbyšev, presidente del Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale, membro dell'ufficio politico del partito comunista e amico intimo e collaboratore di Stalin.
Enukidze informò Maksimov che, “mentre prima la destra calcolava che il governo sovietico potesse essere rovesciato organizzando certi strati della popolazione a tendenza antisovietica, ora la situazione è mutata […] ed è necessario passare a metodi più energici per prendere il potere”. Enukidze descrisse la nuova tattica dei congiurati. D'accordo con i trotskisti, la destra aveva adottato la decisione di eliminare diversi avversari politici con mezzi terroristici. Questo si doveva fare “rovinando la salute dei dirigenti”. Tale metodo era “il più opportuno, perché, fermandosi alle apparenze, se ne sarebbe attribuita la causa a una malattia e sarebbe stato perciò possibile mascherare l'attività terroristica della destra”.
“I preparativi di tale azione sono già iniziati,” aggiunse Enukidze, informando Maksimov che le fila di tutta la faccenda risalivano a Jagoda. Di lui, segretario di Kujbyšev, ci si doveva valere per l'assassinio del presidente del Consiglio Supremo dell'Economia. Kujbyšev soffriva di una seria affezione cardiaca e i cospiratori progettavano di approfittarne.
Maksimov, sorpreso dal tipo di incarico, era esitante.
Alcuni giorni dopo fu di nuovo convocato nell'ufficio di Enukidze. Questa volta, mentre l'assassinio di Kujbyšev veniva discusso nei dettagli, un terzo uomo rimase seduto in un angolo della stanza. Per tutta la conversazione non disse una parola, ma le implicazioni della sua presenza furono subito chiare a Maksimov. L'uomo era Genrich Jagoda...
“Quello che le chiediamo,” gli disse Enukidze, “è: primo, di dar loro [ai medici di Enukidze] la possibilità di visitare di frequente il paziente, di fare in modo che non ci siano ostacoli alle loro cosiddette visite; secondo, nel caso di malattia grave o attacchi di ogni specie, di non affrettarsi a chiamare il medico e, se sarà necessario, di chiamare solo i medici che lo hanno in cura”.
Verso l'autunno del 1934, la salute di Kujbyšev peggiorò rapidamente. Soffriva intensamente e poteva lavorare ben poco.
Il dottor Levin descrisse più tardi la tecnica che egli, seguendo le istruzioni di Jagoda, applicò per aggravare il male di Kujbyšev:
Il punto debole del suo organismo era il cuore, e fu il cuore che colpimmo. Sapevamo che il suo cuore già da tempo era in cattive condizioni. Soffriva di un'affezione dei vasi cardiaci di miocardite, ed era soggetto a leggeri attacchi di angina pectoris. In tali casi, è necessario risparmiare il cuore, evitare stimolanti cardiaci potenti, che ecciterebbero eccessivamente l'attività del cuore e condurrebbero gradualmente al suo ulteriore indebolimento. […] A Kujbyšev somministrammo stimolanti senza intervalli per un periodo prolungato, fino cioè all'epoca del suo viaggio nell'Asia Centrale. A partire dall'agosto, fino al settembre o ottobre 1934, gli furono fatte iniezioni di speciali estratti di ghiandole endocrine e di altri stimolanti cardiaci, senza mai interrompere. Ciò intensificò e provocò attacchi frequenti di angina pectoris.
Alle due del pomeriggio del 25 gennaio 1935, Kujbyšev ebbe un grave attacco cardiaco nel suo ufficio del Consiglio dei Commissari del Popolo a Mosca. A Maksimov, che si trovava con lui in quel momento, Levin aveva detto che, nel caso di un simile attacco, sarebbe stato necessario che il malato si sdraiasse e rimanesse assolutamente immobile, ma che era suo compito far in modo che Kujbyšev facesse esattamente l'opposto. Maksimov persuase Kujbyšev, le cui condizioni erano gravissime, ad andar a casa.
Pallido come uno spettro e muovendosi con difficoltà estrema, Kujbyšev lasciò l'ufficio. Maksimov telefonò subito a Enukidze informandolo dell'accaduto. Il leader della destra disse a Maksimov di non perdere la calma e di non chiamare medici.
Con grande sforzo Kujbyšev lasciò il Consiglio dei Commissari del Popolo e raggiunse la sua abitazione. Lentamente, tra atroci dolori, salì i tre piani che conducevano al suo appartamento. La domestica che gli venne incontro sulla porta, appena lo ebbe visto, telefonò immediatamente al suo ufficio chiedendo che si chiamasse d'urgenza un medico.
Quando i medici arrivarono, Valerjan Kujbyšev era morto.
3. “Necessità storica”I più brutali degli omicidi compiuto sotto la supervisione di Jagoda furono quelli di Maksim Gor'kij e di suo figlio Peškov.
Gor'kij aveva sessantotto anni all'epoca del suo omicidio. Era celebre ed apprezzato in tutto il mondo non solo come il più grande autore russo vivente ma anche come straordinario umanista. Soffriva di tubercolosi ed era cardiopatico. Suo figlio Peškov aveva ereditato un'estrema propensione alle infezioni respiratorie. Entrambi erano pazienti del dottor Levin.
Gli assassini furono orchestrati da Jagoda in seguito a una decisione unanime dei leader del blocco della destra e dei trotskisti. Nel 1934 Jagoda comunicò la decisione al dottor Levin e gli ordinò di metterla in atto.
“Gor'kij è molto vicino alla dirigenza,” gli disse, “un uomo molto devoto alla politica attuata in questo paese, molto fedele a Stalin, un uomo che non si troverà mai sulla nostra strada. Lei conosce l'autorità che le parole di Gor'kij hanno nel nostro paese e oltreconfine. Sa benissimo dell'influenza di cui quell'uomo gode e quanto male può causare al nostro movimento con le sue parole. Deve accettare di fare il suo lavoro e ne raccoglierà i frutti quando il nuovo governo sarà al potere”.
Quando Levin si mostrò esitante a queste parole, Jagoda continuò: “Non c'è bisogno che si preoccupi, deve capire che è inevitabile, che è un momento storico, una necessità storica, una fase della Rivoluzione attraverso cui dobbiamo passare, e ci passerà insieme a noi, ne sarà testimone e ci aiuterà con i mezzi a sua disposizione”2.
Peškov fu ucciso prima del padre. Il dottor Levin disse:
C'erano tre elementi nel suo organismo dei quali potevamo approfittare: un sistema cardiovascolare straordinariamente sensibile, la debolezza degli organi respiratori ereditata dal padre, e infine il sistema nervoso vegetativo. Anche una piccola quantità di vino aveva effetti sul suo organismo, ma nonostante questo beveva vino in gran quantità.
Il dottor Levin lavorò metodicamente sulle debolezze dell'organismo di Peškov, che all'inizio del 1934 prese un violento colpo di freddo e si ammalò di polmonite batterica.
Quando sembrava che Peškov stesse per riprendersi, Jagoda era furioso. “Maledetti,” esclamò, “sono capaci di uccidere persone in salute con le loro cure, e adesso non ci riescono con un malato!”
Ma alla fine gli sforzi di Levin ottennero i risultati sperati. Il medico disse in seguito:
Il paziente era molto debilitato; il cuore era in condizioni pietose; il sistema nervoso, per quanto ne sappiamo, ha un ruolo fondamentale durante le infezioni. Era iperteso e indebolito, e la malattia si aggravò terribilmente.
[…] Il progresso della malattia era aggravato dal fatto che le medicine in grado di aiutare il cuore furono eliminate mentre, al contrario, vennero somministrate quelle che lo indebolivano. E alla fine, […] l'11 maggio morì di polmonite.
Maksim Gor'kij fu assassinato con metodi simili. Per tutto il 1935 i suoi frequenti viaggi lontano da Mosca, che lo sottrassero alla morsa del dottor Levin, gli salvarono temporaneamente la vita. Ma all'inizio del 1936 arrivò l'occasione che Levin stava aspettando. Gor'kij contrasse una seria influenza a Mosca. Il dottor Levin ne aggravò deliberatamente le condizioni e, come nel caso di Peškov, la malattia degenerò in polmonite batterica. Per la seconda volta Levin uccise un suo paziente:
Per quanto riguarda Aleksej Maksimovič Gor'kij, il programma era questo: usare le medicine indicate in generale, contro le quali non potevano sorgere dubbi o sospetti e che potevano essere usate per stimolare l'attività cardiaca. Tra queste medicine c'erano la canfora, la caffeina, il cardiosol e il digalen. Potevamo usarle per un certo gruppo di malattie cardiache, ma nel suo caso furono somministrate in dosi straordinarie. Così, per esempio, ricevette non meno di quaranta iniezioni di canfora […] in ventiquattro ore. Quella dose era troppo pesante per lui. […] Più due iniezioni di digalen. […] Più due iniezioni di caffeina. […] Più due iniezioni di stricnina.
Il 18 giugno 1936 il grande scrittore sovietico morì.
Capitolo diciannovesimo: Giorni decisivi
1. Guerra in OccidenteNel 1935 i piani per l'attacco coordinato tedesco-giapponese contro l'Unione Sovietica erano a buon punto. Le armate giapponesi in Manciuria compivano perlustrazioni e incursioni oltre la frontiera sovietica orientale. Nei paesi baltici e balcanici, in Austria e in Cecoslovacchia, si preparavano le quinte colonne naziste. Diplomatici britannici e francesi reazionari favorivano zelantemente il Drang nach Osten promesso da Hitler...
Il 3 febbraio , a conclusione di discussioni fra il presidente del Consiglio francese Pierre Laval e il Ministro degli Esteri britannico Sir John Simon, il governo francese e quello britannico annunziarono di essere disposti ad abolire, di comune accordo, a favore della Germania nazista alcune clausole del Trattato di Versailles sul disarmo.
Il 17 febbraio il London Observer commentò:
Perché in questo momento la diplomazia di Tokyo è così impegnata a Varsavia e a Berlino? […] Mosca dà la risposta. […] I rapporti tra Germania, Polonia e Giappone si fanno ogni giorno più stretti. In caso di emergenza potrebbero portare a un'alleanza antisovietica.
Poiché le armi sarebbero state usate contro l'Unione Sovietica, il programma di riarmo della Germania nazista fu appoggiato in ogni possibile maniera dagli uomini di stato antisovietici della Gran Bretagna e della Francia.
Il l° marzo, dopo un plebiscito preceduto da un'intensa campagna di terrore e di propaganda fra gli abitanti del distretto, la Saar con le sue miniere di carbone, di importanza vitale, fu consegnata dalla Francia alla Germani a nazista.
Il 16 marzo il governo del Terzo Reich ripudiò formalmente il trattato di Versailles e comunicò agli ambasciatori francesi, britannici, polacchi e italiani a Berlino che un decreto aveva proclamato il “servizio militare universale” in Germania.
Il 13 aprile Berlino annunciò l'intenzione di creare una flotta aerea di bombardieri pesanti.
Il 18 giugno, undici giorni dopo che il leader dei conservatori Stanley Baldwin era stato nominato primo ministro britannico, fu annunziato un accordo navale anglo-tedesco. La Germania nazista era autorizzata a costruirsi una nuova flotta e “a disporre di un tonnellaggio di sottomarini pari a quello posseduto complessivamente dai membri del Commonwealth britannico”. L'accordo fu raggiunto dopo uno scambio di lettere fra il Ministro degli Esteri nazista Joachim von Ribbentrop e il nuovo Ministro degli Esteri britannico, Sir Samuel Hoare.
Il 3 novembre l'Écho de Paris dava notizia di una conferenza a cui avevano partecipato il banchiere nazista Hjalmar Schacht, il governatore della Banca d'Inghilterra Sir Montagu Norman e il governatore della Banca di Francia, M. Tannéry. Secondo il giornale francese, Schacht aveva dichiarato:
Non abbiamo intenzione di modificare le nostre frontiere occidentali. Prima o poi, Germania e Polonia si divideranno l'Ucraina, ma per il momento ci accontentiamo di far sentire la nostra forza nelle province baltiche.
L'11 novembre il New York Herald Tribune osservò:
Il premier Laval, che è anche Ministro degli Esteri, è sostiene fortemente l'ipotesi di un accordo tra la Terza Repubblica francese e il terzo Reich tedesco, ed è intenzionato a rinnegare il patto franco-sovietico, firmato ma non ratificato dal Parlamento francese, qualora il regime di Hitler dovesse garantire la frontiera orientale francese in cambio della completa libertà di azione nella regione del Memel e in Ucraina.
Di fronte alla crescente minaccia di guerra, il governo sovietico propose ripetutamente un 'azione unita da parte di tutte le nazioni minacciate dall'aggressione fascista. Ripetutamente, dinanzi alla Società delle Nazioni e nelle capitali d'Europa, il Commissario agli Esteri Maksim Litvinov insistette sulla necessità che le nazioni non aggressive stringessero un patto di alleanza e di sicurezza collettiva. Il 3 maggio 1935, il governo sovietico firmò un trattato di mutua assistenza con il governo francese e il 16 maggio un trattato analogo con il governo cecoslovacco.
“La guerra deve apparire a tutti come il pericolo minaccioso del domani,” disse Litvinov alla Società delle Nazioni. “All'organizzazione, attivissima, della guerra dev'essere contrapposta l'organizzazione della pace, per la quale finora ben poco è stato fatto”.
Nell'ottobre del 1935, con la benedizione diplomatica di Pierre Laval e di Sir Samuel Hoare, le armate italiane fasciste invadevano l'Etiopia.
La seconda guerra mondiale, iniziatasi con l'attacco del Giappone alla Manciuria nel 1931, si spostava verso l'Occidente1.
In territorio sovietico l'avanguardia fascista segreta aveva già lanciato un 'importante offensiva contro il potenziale bellico dell'armata rossa. Insieme agli agenti tedeschi e giapponesi, il blocco delle destre e dei trotskisti aveva già iniziato una campagna sistematica, preparata con ogni cura, contro l'industria, i trasporti e l'agricoltura con l'obiettivo di minare, in vista della imminente guerra, il sistema difensivo sovietico.
La campagna di sabotaggio sistematico fu continuata sotto l'esperto controllo di Pjatakov, il Commissario per l'Industria Pesante.
“Il terrore è un metodo drastico,” disse Pjatakov durante un incontro segreto dei cospiratori trotskisti e di destra a Mosca, “ma non basta. È necessario sabotare i risultati ottenuti dal potere sovietico, distruggere il prestigio della guida di Stalin e disorganizzare la politica economica. […] Le attività vanno sviluppate nel modo più energico. Dobbiamo agire con la massima determinazione. Dobbiamo agire con forza e persistenza, non fermarci di fronte a nulla. Ogni mezzo è utile e giusto: questa è la direttiva di Trockij che il centro trotskista deve seguire!”
Entro l'autunno del 1935 le operazioni di sabotaggio nei luoghi strategici dell'Unione Sovietica avevano raggiunto il massimo livello. Nelle nuove industrie pesanti degli Urali, nelle miniere di carbone dei bacini del Donec e del Kuzneck, nelle ferrovie, negli impianti elettrici e nelle opere edili, i sabotatori trotskisti guidati da Pjatakov sferravano attacchi potenti e coordinati alle branche vitali dell'industria sovietica. Simili attività di sabotaggio, dirette da Bucharin e da altri leader della destra, erano in corso nelle fattorie collettive, nelle cooperative e nelle agenzie statali economiche e commerciali. Agenti segreti tedeschi e giapponesi dirigevano molte delle azioni di sabotaggio.
Quelli che seguono sono soltanto alcuni esempi dei sabotaggi realizzati da tedeschi, giapponesi, cospiratori di destra e trotskisti, nelle parole dei terroristi stessi.
Ivan Knjazev, trotskista e agente del Giappone, dirigente del sistema ferroviario degli Urali:
Riguardo alla progettazione delle diverse attività di sabotaggio sulle ferrovie e agli incidenti ferroviari, ho seguito pienamente le istruzioni, dato che in quel caso le istruzioni dei servizi segreti militari giapponesi coincidevano perfettamente con quelle che avevo ricevuto in precedenza dall'organizzazione trotskista. […]
Il 27 ottobre […] ci fu un incidente ferroviario a Šumicha. […] Era un treno per le truppe. […] Fu opera della nostra organizzazione. […] Il treno viaggiava ad alta velocità, circa quaranta o cinquanta chilometri orari. Si scontrò all'ottavo binario, dove c'era un treno merci. […] Ventinove uomini nell'Armata Rossa [rimasero uccisi], altri ventinove feriti. […] Da trenta a cinquanta incidenti furono causati da noi.
I servizi segreti giapponesi insistevano sulla necessità di usare armi batteriologiche in tempo di guerra, con l'obiettivo di contaminare i treni dei soldati, le mense e gli ospedali militari con batteri altamente infettivi.
Leonid Serebrjakov, trotskista, vice-supervisore dell'Amministrazione Ferroviaria:
Stabilimmo un obiettivo molto concreto e preciso: distruggere il traffico di merci, ridurre i carichi quotidiani aumentando le corse di vagoni vuoti, evitando di aumentare il livello molto basso di funzionamento di veicoli e locomotive ed evitando di sfruttare pienamente la loro capacità di trazione e trasporto, e così via. […]
Su proposta di Pjatakov, Livšic [agente trotskista e spia dei giapponesi] si incontrò con me nell'ufficio dell'Amministrazione Centrale dei Trasporti su Strada. Era il supervisore delle ferrovie meridionali. […] Mi informò che alle ferrovie meridionali aveva un assistente, Zorin, che poteva occuparsi di quelle attività. […] Livšic e io discutemmo la questione e concludemmo che, oltre alle azioni dell'organizzazione nel centro e nelle province, i cui effetti avrebbero causato confusione e caos sulle ferrovie, era necessario anche assicurarci la possibilità di bloccare i più importanti snodi ferroviari nei primi giorni di mobilitazione creando degli ingorghi che avrebbero intralciato il sistema dei trasporti e ridotto la capacità degli snodi.
Aleksej Šestov, trotskista e agente nazista, membro dell'Associazione Industriale Carbonifera Orientale e Siberiana:
Nelle miniere di Prokopevek il metodo a camere e pilastri era usato senza riempire la cavità in cui si lavorava. Come risultato avevamo una perdita di circa il 50% del carbone invece del solito 15 o 20%. Inoltre ci furono circa sessanta incendi sotterranei nelle miniere fino alla fine del 1935.
[…] Gli allungamenti dei condotti iniziarono al momento sbagliato, in particolare nella cava “Molotov”; nella cava “Koksovaja” non andammo intenzionalmente oltre i cento metri di profondità dopo il 1933, e l'estensione della cava “Meneicha” non iniziò al momento giusto. […] Nell'installazione dei macchinari e dei generatori sotterranei fu compiuto un lavoro di sabotaggio su vasta scala.
Stanislav Rataičak, trotskista e agente nazista, Capo dell'Amministrazione Centrale delle Industrie Chimice:
Su mie istruzioni […] furono provocati tre guasti, un atto diversivo alle fabbriche Gorlovka e poi altri due guasti, uno alle fabbriche Nevskij e un altro alle Voskressensk.
Jakov Drobnis, vicedirettore delle fabbriche Kemerovo:
Alla fine del luglio 1934 mi vennero affidate le attività di sabotaggio e diversione nell'intero bacino del Kunzeck. […] Vissi in nell'Asia centrale fino al 1933 e me ne andai l'anno seguente, perché il centro trotskista decise di trasferirmi nella Siberia occidentale. Dato che Pjatakov aveva l'autorità di trasferirmi da un lavoro all'altro, il problema fu risolto facilmente. […]
Uno degli atti di sabotaggio previsti era mettere i fondi a disposizione di progetti di importanza secondaria. Un altro era ritardare la costruzione di lavori in modo da impedire la messa in attività di dipartimenti importanti per la data fissata dal governo. […]
La centrale elettrica del distretto fu ridotta in uno stato tale che, se fosse stato necessario per i sabotaggi, la miniera avrebbe potuto essere inondata appena dato l'ordine. Inoltre venne fornito del carbone tecnicamente inadatto come carburante, e questo causò delle esplosioni. Fu fatto deliberatamente. […] Numerosi operai furono gravemente feriti.
Michail Černov, membro della destra, agente dei servizi segreti tedeschi, Commissario dell'Agricoltura dell'Unione Sovietica:
I servizi segreti tedeschi diedero istruzioni precise riguardo all'allevamento di cavalli per […] non fornire cavalli all'Armata Rossa. Riguardo ai semi, progettammo di confonderli e mischiarli tra loro per abbassare il livello delle coltivazioni nel paese. […]
Riguardo all'allevamento, l'obiettivo era uccidere le razze con pedigree e aumentare la mortalità delle mandrie impedendo lo sviluppo della produzione di foraggio e soprattutto infettando artificialmente i capi con vari tipi di batteri. […]
Per causare un'alta mortalità tra le mandrie della Siberia orientale diedi istruzione a Ginsburg, capo del Dipartimento Veterinario e membro dell'organizzazione di destra, […] di non fornire siero anti-carbonchio. Quando scoppiò un'epidemia, nel 1936, si scoprì che non c'era siero disponibile. Non so dire le cifre precise, ma il risultato fu che almeno 25.000 cavalli morirono.
Vasilij Šarangovič, membro della destra e agente segreto dei polacchi, segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Bielorusso:
Fui impegnato soprattutto in attività di sabotaggio nel campo agricolo. Nel 1932 noi tutti, e io personalmente, compimmo un'intensa attività distruttiva in quella sfera. Prima di tutto, rallentando il ritmo della collettivizzazione. […]
Inoltre ci impegnammo a sabotare i piani di raccolta del grano. […] Diffondemmo epidemie tra i maiali che portarono a un alto tasso di mortalità; lo facemmo iniettando loro vaccini contaminati. […]
Nel 1936 causammo un aumento dell'anemia tra i cavalli in Bielorussia. Fu fatto intenzionalmente, perché in Bielorussia i cavalli sono estremamente importanti per la difesa. Ci impegnammo a distruggere questa risorsa nel caso in cui fosse servita per la guerra.
Se ricordo bene, trentamila cavalli morirono in seguito a quell'operazione.
2. Una lettera da TrockijAlla fine del 1935, mentre la guerra si avvicinava sempre più, Karl Radek ricevette a Mosca, per mezzo di un corriere speciale, una lettera di Trockij da tempo attesa. Veniva dalla Norvegia2. Radek l'apri e cominciò a scorrerla ansiosamente. In otto pagine di sottile carta inglese, Trockij illustrava i particolari dell'accordo segreto che stava finalmente per concludere con i governi della Germania e del Giappone.
Dopo un preambolo in cui accentuava l'importanza della “vittoria del fascismo tedesco” e l'imminenza della “guerra internazionale”, Trockij veniva al punto:
Ci sono due forme possibili del nostro avvento al potere. La prima è che esso avvenga prima della guerra, la seconda durante la guerra. [...]
Bisogna riconoscere che la questione del potere, in pratica, si presenterà al blocco soltanto nel caso della sconfitta in guerra dell'URSS. Per questa ragione il blocco deve fare energici preparativi. [...]
Da adesso in poi, scriveva Trockij, “gli atti di sabotaggio dei trotskisti nelle industrie belliche” dovevano essere compiuti sotto il diretto “controllo degli alti comandi tedesco e giapponese”. I trotskisti non dovevano intraprendere nessuna “attività pratica” senza il previo consenso dei loro alleati tedeschi e giapponesi.
Per garantire il pieno appoggio della Germania e del Giappone, senza i quali “sarebbe assurdo sperare di salire al potere”, il blocco di destra e dei trotskisti doveva esser pronto a fare notevoli concessioni. Trockij le elencava:
La Germania ha bisogno di materie prime, di alimenti e di mercati. Dovremo permetterle di partecipare allo sfruttamento dei minerali, del manganese, dell'oro, del petrolio, delle apatiti, e impegnarci di rifornirla per un certo periodo di prodotti alimentari e di grassi a prezzi inferiori a quelli mondiali.
Dovremo dare il petrolio di Sachalin al Giappone e impegnarci a rifornirlo di petrolio nel caso di una guerra con l'America. Dovremo anche permettergli di sfruttare i nostri giacimenti auriferi.
Dovremo accogliere la richiesta della Germania di non opporci alla sua annessione dei paesi danubiani e dei Balcani, e non dovremo ostacolare l'annessione della Cina da parte del Giappone. [...] Dovremo, inevitabilmente, fare delle concessioni territoriali. Dovremo cedere la Provincia marittima e l'Amur al Giappone e l'Ucraina alla Germania.
La lettera descriveva poi il tipo di regime che sarebbe stato instaurato dopo il rovesciamento del governo sovietico:
Bisogna comprendere che senza riportare la struttura sociale dell'URSS in linea con quella dei paesi capitalisti, il governo del blocco non sarà in grado di restare al potere. […]
L'ammissione dei capitali tedeschi e giapponesi per lo sfruttamento dell'URSS creerà importanti interessi capitalisti in territorio sovietico. Gli strati sociali dei villaggi che non hanno abbandonato la psicologia capitalista e sono insoddisfatti delle fattorie collettive entreranno nella loro orbita. I tedeschi e i giapponesi ci chiederanno di allentare l'atmosfera nei distretti rurali; dovremo quindi fare concessioni e permettere la dissoluzione delle fattorie collettive o ritirarci da esse.
Dal punto di vista politico, territoriale ed economico ci sarebbero stati drastici mutamenti nella nuova Russia:
Non si deve parlare di democrazia. La classe operaia ha vissuto diciotto anni di rivoluzione e ha grandi appetiti; e questa classe operaia doverà essere rimandata nelle fabbriche private e statali che dovranno competere con i capitali stranieri nelle condizioni più difficili. Ciò significa che le condizioni di vita dei lavoratori si abbasseranno drasticamente. Nelle campagne la lotta dei contadini poveri e medi contro i kulaki sarà rinnovata. E poi, per mantenere il potere, avremo bisogno di un governo forte, incurante delle forme che saranno usate per dissimularlo.
La lettera di Trockij concludeva:
Dobbiamo accettare qualsiasi cosa, ma se resteremo in vita e al potere, non tarderà a scoppiare, come conseguenza della vittoria di questi due paesi [Germania e Giappone], dei loro saccheggi e profitti, un conflitto fra di essi e altri paesi, e questo porterà a un nostro nuovo passo in avanti, alla nostra revanche.
Radek lesse la lettera con sentimenti contrastanti. “Dopo aver letto quelle direttive,” disse in seguito, “ci pensai sopra tutta la notte. […] Era chiaro che, anche se contenevano tutti gli elementi che erano sempre stati presenti, in quel momento quegli elementi erano così maturi che […] ciò che Trockij proponeva era senza limiti. […] Avevamo smesso di essere padroni delle nostre azioni”.
Il mattino seguente Radek mostrò la lettera di Trockij a Pjatakov. “Bisogna assolutamente incontrarsi con Trockij, in una maniera o nell'altra,” disse Pjatakov. Egli stesso stava per lasciare l'Unione Sovietica con un incarico ufficiale e si sarebbe fermato a Berlino alcuni giorni. Radek doveva mandare un messaggio urgente per informare Trockij del viaggio di Pjatakov e chiedergli di contattarlo a Berlino il più presto possibile.
3. Volo per OsloPjatakov giunse a Berlino il 10 dicembre 1935. Era stato preceduto da un messaggio di Radek a Trockij, e un corriere doveva avvicinarlo appena fosse arrivato in città. Il corriere era Dmitri Bucharcev, un trotskista, corrispondente berlinese dell'Izvestia. Egli disse a Pjatakov che un tale Stirner gli avrebbe portato notizie di Trockij. Stirner, disse, era l'“uomo di Trockij” a Berlino3.
Pjatakov si recò con Bucharcev in un viale del giardino zoologico. Un uomo li stava aspettando. Era “Stirner”. Consegnò a Pjatakov una nota di Trockij, che diceva: “J. L. [le iniziali di Pjatakov], il latore della presente è uomo di assoluta fiducia”.
In parole concise come quelle della nota consegnata, Stirner dichiarò che Trockij era molto desideroso di vedere Pjatakov e aveva dato a lui l'incarico di prendere le disposizioni necessarie. Si sentiva Pjatakov di recarsi in aereo a Oslo, in Norvegia?
Pjatakov si rese pienamente conto del rischio di essere scoperto che un simile viaggio implicava. Ma era deciso a vedere a ogni costo Trockij. Accettò. Stirner gli disse di trovarsi la mattina seguente all'aeroporto di Tempelhof.
Quando Pjatakov s'informò del passaporto, Stirner rispose: “Non si preoccupi. Ci penserò io. Ho conoscenze a Berlino”.
Il mattino seguente, all'ora fissata, Pjatakov andò all'aeroporto di Tempelhof. Stirner lo aspettava all'ingresso. Fece segno a Pjatakov di seguirlo. Mentre andavano verso il campo, Stirner mostrò a Pjatakov il passaporto che era stato preparato per lui. Era rilasciato dal governo nazista.
Al campo un aereo stava aspettando, pronto a decollare...
In quello stesso pomeriggio l'aereo atterrò su un campo nelle vicinanze della città di Oslo. Un'automobile era in attesa di Pjatakov e di Stirner. Girarono per una mezz'ora finché giunsero a un quartiere di campagna nei dintorni di Oslo. L'automobile si fermò davanti a una piccola casa, dove Trockij stava aspettando il suo vecchio amico.
Gli anni dell'amaro esilio avevano mutato l'uomo che Pjatakov riconosceva come capo. Trockij sembrava più vecchio dei suoi cinquant'anni circa. La barba e i capelli erano grigi. Era incurvato. Dietro al pince-nez, i suoi occhi brillavano con un'intensità quasi maniacale.
Poche parole furono perdute per i saluti. Per ordine di Trockij, egli e Pjatakov furono lasciati soli nella casa. La loro conversazione durò due ore.
Pjatakov cominciò con un resoconto sulla situazione nella Russia. Trockij lo interrompeva continuamente con commenti taglienti e sarcastici.
“Non riuscite a staccarvi dal cordone ombelicale di Stalin!” esclamò. “Scambiate l'opera staliniana per una costruzione socialista!”
Trockij criticò Pjatakov e gli altri seguaci russi, accusandoli di parlare troppo e fare troppo poco. “Ovviamente,” disse con rabbia, “laggiù perdete troppo tempo a discutere degli affari internazionali; fareste meglio a dedicarvi agli affari vostri, che stanno andando così male! Riguardo alle questioni internazionali, me ne intendo molto più io di voi!”
Ripeté la sua convinzione che il crollo del regime staliniano era inevitabile. Il fascismo non avrebbe tollerato a lungo lo sviluppo della potenza sovietica.
I trotskisti si trovavano in Russia dinanzi a questa alternativa: “perire fra le rovine del regime staliniano”, oppure galvanizzare immediatamente tutte le loro energie in uno sforzo generale per rovesciarlo. Non ci doveva essere nessuna esitazione circa l'accettazione della guida e dell'assistenza degli alti comandi tedesco e giapponese in questa lotta cruciale.
Un conflitto militare fra Unione Sovietica e potenze fasciste era inevitabile, aggiunse Trockij, non in un futuro remoto, ma presto, molto presto. “La data dello scoppio della guerra è già fissata,” disse. “Sarà nel 1937”.
Era chiaro per Pjatakov che Trockij non aveva inventato questa informazione. Trockij rivelò ora a Pjatakov che qualche tempo addietro aveva “condotto trattative piuttosto lunghe con il vicepresidente del Partito Nazionalsocialista Tedesco, Rudolf Hess”.
In seguito a esse aveva concluso un accordo, “un accordo assolutamente definitivo”, con il governo del terzo Reich. I nazisti erano disposti ad aiutare i trotskisti a salire al potere in Unione Sovietica.
“Va da sé,” disse, “che un atteggiamento così favorevole non è dovuto a uno speciale affetto per noi. Deriva semplicemente dai reali interessi dei fascisti e da quanto abbiamo promesso di fare per loro, se saliremo al potere”.
In concreto l'accordo concluso da Trockij con i nazisti consisteva di cinque punti. In cambio dell' appoggio tedesco dato alla presa del potere dei trotskisti in Russia, Trockij aveva accettato:
l) di garantire un atteggiamento generale favorevole verso il governo tedesco e la necessaria collaborazione con esso nelle più importanti questioni internazionali ;
2) di fare concessioni territoriali [l'Ucraina];
3) di permettere a industriali tedeschi, in forma di concessione (o in altre forme), di esercitare a loro vantaggio industrie complementari o essenziali per l'economia tedesca (metalli ferrosi, manganese, petrolio, oro, legname da costruzione, ecc.);
4) di creare in URSS condizioni favorevoli all'attività dell'impresa tedesca privata;
5) di procedere in tempo di guerra a vaste operazioni di sabotaggio nell'industria bellica e al fronte. Quest'attività sabotatrice doveva essere condotta, secondo le istruzioni di Trockij, d'accordo con il Comando Supremo tedesco.
In quanto rappresentante di Trockij in Russia, Pjatakov era preoccupato che questo accordo così impegnativo con i nazisti potesse essere difficile da spiegare ai militanti trotskisti e di destra.
“I militanti non devono essere informati delle condizioni previste dall'accordo,” rispose Trockij con impazienza. “Li spaventerebbero e basta”.
L'organizzazione non doveva sapere nulla dell'accordo dettagliato che era stato raggiunto con le potenze fasciste. “Non è possibile né conveniente renderlo pubblico,” disse, “e neppure comunicarlo a un numero troppo alto di trotskisti. Solo un gruppo piccolo e ristretto di persone potranno esserne informate, in questo momento”.
Trockij continuò a insistere sull'importanza del fattore tempo.
Si tratta di un periodo piuttosto breve. Se ci lasciamo sfuggire quest'occasione, sorgerà da un lato il pericolo di una completa liquidazione del trotskismo in Russia, e dall'altro il pericolo che presenta l'esistenza, per altri decenni, di quella mostruosità che è il regime staliniano, favorito da un certo numero di risultati economici, e specialmente da quadri nuovi, da giovani che si sono formati e sono stati educati a considerare tale regime come naturale, a considerarlo come un regime socialista, sovietico. Essi non pensano a nessun altro e non possono immaginarne nessun altro! È nostro dovere opporci a tale regime!
“Senta,” concluse Trockij quando si avvicinò l'ora della partenza di Pjatakov. “Ci fu un tempo in cui tutti noi socialisti democratici consideravamo lo sviluppo del capitalismo un fenomeno progressivo, positivo. [...] Ma avevamo un altro compito, cioè quello di organizzare la lotta contro il capitalismo, di preparare i suoi affossatori. Allo stesso modo, noi ora dovremmo entrare al servizio del regime staliniano, non però per aiutarne la costruzione, ma per divenirne gli affossatori. È questo il nostro compito!”
Due ore dopo Pjatakov lasciava Trockij nella casetta dei dintorni di Oslo, e rientrava a Berlino allo stesso modo in con cui era venuto: un aereo privato preso a nolo e con un passaporto nazista.
4. Ora zeroLa seconda guerra mondiale, che secondo Trockij avrebbe dovuto colpire l'Unione Sovietica nel 1937, era già arrivata in Europa. Dopo la conquista dell'Etiopia da parte di Mussolini (maggio 1936), gli eventi erano precipitati. Nel marzo 1936 Hitler aveva rimilitarizzato la Renania. A luglio, i fascisti promossero in Spagna un putsch militare contro il governo repubblicano. Con il pretesto della “lotta contro il bolscevismo” e della soppressione di una “rivoluzione comunista”, truppe tedesche e italiane sbarcarono in Spagna per appoggiare la rivolta. Il capo fascista spagnolo, il generale Francisco Franco, marciò su Madrid. “Quattro colonne stanno marciando su Madrid,” si vantava l'ubriacone generale fascista Quiepo de Llano. “Una quinta colonna è in attesa di darci il benvenuto dentro la città!” Fu la prima volta che il mondo udì la fatale espressione: “quinta colonna”4.
Adolf Hitler, parlando a migliaia di militi al congresso del Partito Nazista a Norimberga, manifestò pubblicamente, il 12 settembre, la sua intenzione di invadere l'Unione Sovietica.
“Siamo pronti in qualunque momento!” gridò. “Non posso permettere che, sulla soglia di casa mia, ci siano Stati rovinati! [...] Se avessi i monti Urali con la loro immensa massa di tesori di materie prime, se avessi la Siberia con le sue vaste foreste e l'Ucraina con i suoi immensi campi di grano, la Germania con il suo regime nazionalsocialista nuoterebbe nell'abbondanza!”
Il 25 novembre 1936 il Ministro degli Esteri nazista Ribbentrop e l'ambasciatore giapponese in Germania, Mushakoji, firmarono a Berlino il patto anti-Comintern, impegnando le loro forze unite per un attacco comune contro il “bolscevismo mondiale”.
Consapevole dell'imminente pericolo di guerra, il governo sovietico iniziò una subitanea controffensiva contro il nemico entro i propri confini. Durante la primavera e l'estate del 1936, in una serie di energiche operazioni compiute in tutto il paese, le autorità sovietiche fecero retate di spie naziste, organizzatori segreti trotskisti e della Destra, terroristi e sabotatori. In Siberia un agente nazista di nome Emil Stickling venne arrestato e si scoprì che aveva diretto attività di sabotaggio nelle miniere di Kemerovo in collaborazione con Aleksej Šestov e altri trotskisti. A Leningrado fu catturato Valentine Olberg, che non era soltanto un agente nazista ma anche uno degli emissari speciali di Trockij: aveva contatti con Fritz David, Nathan Lurye, Konon Berman-Jurin e altri terroristi. L'uno dopo l'altro, i capi del primo “strato” della congiura vennero scoperti.
Un messaggio in codice che Ivan Smirnov aveva spedito dal carcere ai suoi complici fu intercettato dalle autorità sovietiche. I terroristi trotskisti Efraim Dreitzer e Sergej Mračkovskij furono arrestati.
I congiurati russi furono invasi da uno stato di febbrile ansietà. Ora tutto dipendeva dall'attacco dall'esterno.
Gli sforzi di Jagoda diretti a ostacolare le indagini ufficiali diventavano sempre più brutali. Sembra che Ežov abbia raggiunto il fondo della cospirazione di Leningrado,” disse furiosamente al segretario Bulanov.
Uno dei suoi uomini, l'agente del NKVD Borisov, fu chiamato di punto in bianco al quartier generale delle investigazioni speciali, all'Istituto Smolnyj a Leningrado, per essere interrogato. Barisov aveva avuto una parte decisiva nei preparativi dell'assassinio di Kirov. Jagoda agì da disperato. Mentre si recava allo Smolnyj, Borisov fu ucciso in un “incidente automobilistico”...
Ma l'eliminazione di un singolo testimone non bastava. Le indagini ufficiali proseguirono. Di giorno in giorno giungevano notizie di nuovi arresti. Uno a uno, le autorità sovietiche mettevano insieme i complicati pezzi della congiura, del tradimento e dell'assassinio. In agosto, quasi tutti i membri più importanti del centro terroristico trotskista-zinovevista erano in stato d'arresto. Il governo sovietico annunziava che le indagini speciali sull'assassinio di Kirov avevano portato alla luce materiale nuovo sensazionale. Kamenev e Zinov'ev erano di nuovo a processo.
Il processo cominciò il 19 agosto 1936, davanti al Collegio Militare della Corte Suprema dell'URSS, nella Sala d'Ottobre della Casa dei Sindacati. Zinov'ev e Kamenev, condotti dinanzi al tribunale dalla prigione, dove scontavano ancora delle pene per le condanne precedenti, erano accusati di alto tradimento insieme a quattordici dei loro vecchi seguaci. Gli altri accusati comprendevano gli ex leader della guardia trotskista, Ivan Smirnov, Sergej Mračkovskij ed Efraim Dreitzer; il segretario di Zinov'ev, Grigorij Evdokimov, e il suo aiutante, Ivan Bakaev; e i cinque emissari speciali di Trockij, Fritz David, Nathan Lurye, Moissei Lurye, Konon Berman-Jurin e Valentine Olberg.
Il processo – il primo dei cosiddetti “processi di Mosca” – mise a nudo e distrusse il centro terroristico, primo strato dell'apparato cospirativo. Contemporaneamente, mise in luce che la cospirazione contro il regime sovietico era molto più grave e coinvolgeva forze di gran lunga più importanti dei terroristi trotskisti e zinovevisti processati.
Mentre il processo andava vanti, il pubblico ebbe una prima visione negli stretti rapporti che si erano creati fra Trockij e i capi della Germania nazista.
L'interrogatorio da parte del procuratore Vyšinskij di Valentine Olberg, il trotskista tedesco inviato in Unione Sovietica da Trockij in persona, portò alla luce alcuni elementi sorprendenti:
Vyšinskij: Che cosa sa di Friedmann?
Olberg: Friedmann era un altro membro dell'organizzazione trotskista berlinese inviato in Unione Sovietica.
Vyšinskij: È al corrente del fatto che Friedmann aveva contatti con la polizia segreta tedesca?
Olberg: Ne avevo sentito parlare.
Vyšinskij: I contatti fra i trotskisti tedeschi e la polizia erano sistematici?
Olberg: Sì, erano sistematici e fatti con il consenso di Trockij.
Vyšinskij: Come sa che Trockij ne era al corrente e approvava?
Olberg: Mi occupavo direttamente di un contatto. Il mio contatto fu stabilito con l'approvazione di Trockij.
Vyšinskij: Il suo contatto con chi?
Olberg: Con la polizia segreta fascista.
Vyšinskij: Quindi possiamo dire che lei stesso ammette i contatti con la Gestapo?
Olberg: Non lo nego. Nel 1933 iniziammo i contatti sistematici fra i trotskisti tedeschi e la polizia fascista tedesca.
Olberg descrisse alla corte come si era procurato il falso passaporto sudamericano con il quale era entrato in Unione Sovietica. Disse di averlo ottenuto tramite “Tukalevskij”5, un agente della polizia segreta tedesca a Praga. Olberg aggiunse che per ottenere il passaporto era stato aiutato anche dal fratello, Paul Olberg.
“Suo fratello aveva qualche rapporto con la Gestapo?”
“Era l'agente di Tukalevskij.”
“Un agente della polizia fascista?”
“Sì,” rispose Olberg.
Nathan Lurye disse alla corte che prima di lasciare la Germania aveva ricevuto istruzioni di lavorare in Unione Sovietica con l'ingegnere Franz Weitz.
“Chi è Franz Weitz?” chiese Vyšinskij.
“Frantz Weitz era un membro del Partito Nazionalsocialista Tedesco,” rispose Lurye. Era arrivato in URSS su ordine di Himmler, che all'epoca era il capo delle SS e in seguito divenne capo della Gestapo”.
“Franz Weitz era il suo rappresentante?”
“Franz Weitz arrivò in Unione Sovietica con l'obiettivo di compiere attacchi terroristici”.
Ma fu soltanto con la deposizione di Kamenev che i leader trotskisti e di destra si accorsero di quanto la loro situazione fosse disperata. Kamenev rivelò l'esistenza degli altri “livelli” dell'apparato cospirativo.
“Sapendo che potevamo essere scoperti,” disse alla corte, “demmo incarico a un piccolo gruppo di continuare le nostre attività terroristiche. Scegliemmo Sokolnikov. Ci sembrava che dal lato dei trotskisti questo ruolo potesse essere svolto con successo da Serebrjakov e Radek. […] Nel 1932, 1933 e 1934 mantenni personalmente delle relazioni con Tomskij e Bucharin e mi informai sui loro sentimenti politici. Simpatizzavano con noi. Quando chiesi a Tomskij delle opinioni di Rykov, mi rispose: 'Rykov la pensa come te'. Allora gli chiesi cosa ne pensasse Bucharin, ed egli rispose: 'Bucharin la pensa come me, ma segue una tattica diversa. Non è d'accordo con la linea del Partito, ma sta seguendo una tattica di radicamento persistente per guadagnarsi la fiducia personale della dirigenza'”.
Alcuni degli accusati chiesero pietà. Altri sembravano rassegnati al loro destino. “La nostra importanza politica e il nostro passato non erano uguali,” disse Efraim Dreitzer, “ma essendo diventati degli assassini, ora siamo tutti uguali. Sono uno tra quelli che non hanno alcun diritto di aspettarsi o di chiedere pietà”.
Nelle sue ultime parole, il terrorista Fritz David urlò: “Maledico Trockij! Maledico l'uomo che mi ha rovinato la vita e mi ha spinto a commettere un crimine odioso!”
La sera del 23 agosto il Collegio Militare della Corte Suprema emise la sua sentenza. Zinov'ev, Kamenev, Smirnov e gli altri tredici membri del blocco terroristico trotskista e zinovevista erano condannati alla fucilazione per tradimento e per attività terroristiche.
Una settimana dopo, Pjatakov, Radek, Sokolnikov e Serbrjakov furono arrestati. Il 27 settembre, Jagoda fu allontanato dal suo ufficio di presidente del NKVD. Lo sostituì Nikolaj Ežov, capo del comitato di investigazione speciale della Commissione Centrale di Controllo del Partito Bolscevico. Il giorno prima del suo allontanamento dagli uffici del NKVD, Jagoda fece un ultimo disperato tentativo: quello di avvelenare il suo successore Ežov. Il tentativo fallì.
Era giunta l'“ora zero” per i congiurati russi. I capi della destra – Bucharin, Rykov e Tomskij – si aspettavano di essere arrestati a giorni. Chiesero un'azione immediata senza attendere lo scoppio della guerra. Il capo sindacalista di destra Tomskij, in preda al panico, propose di passare immediatamente a un attacco armato contro il Cremlino. La proposta fu scartata perché troppo rischiosa. Le forze non erano pronte per un'avventura simile.
In un ultimo incontro fra i capi del blocco delle destre e dei trotskisti, poco prima che Pjatakov e Radek fossero arrestati, fu deciso di preparare un putsch armato. La sua organizzazione e la direzione di tutta l'organizzazione cospirativa furono affidate a Nikolaj Krestinskij, Vicecommissario per gli Affari Esteri. Krestinskij non si era mai esposto come gli altri ed era poco probabile che venisse sospettato; d'altro canto, aveva mantenuto stretti rapporti con Trockij e con i tedeschi. Sarebbe stato in condizione di proseguire anche se Bucharin, Rykov e Tomskij fossero stati arrestati.
Come sostituto e comandante in seconda Krestinskij si scelse Arkadij Rosengoltz che era tornato a Mosca da poco, dopo aver diretto per molti anni a Berlino la Commissione per il Commercio Estero. Alto, biondo, dall'aspetto atletico, Rosengoltz aveva svolto incarichi importanti nell'amministrazione sovietica e tenuta accuratamente nascosta la sua affiliazione all'opposizione trotskista. Solo Trockij e Krestinskij sapevano che era trotskista e agente dei servizi segreti militari tedeschi fin dal 19236.
Da questo momento in poi il controllo diretto del blocco delle destre e dei trotskisti si trovava nelle mani di due trotskisti che erano entrambi agenti tedeschi, Krestinskij e Rosengoltz. Dopo una prolungata discussione, entrambi decisero che era giunto il momento in cui la quinta colonna russa doveva giocare l'ultima carta.
Quest'ultima carta era il putsch militare. L'uomo scelto come capo dell'insurrezione armata fu il maresciallo Tuchačevskij, Vicecommissario per la Difesa dell'Unione Sovietica.
Edited by Sandor_Krasna - 16/2/2014, 01:17