Comunismo - Scintilla Rossa

L'insurrezione armata, A. Neuberg

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Public Enemy
view post Posted on 29/11/2012, 16:40 by: Public Enemy




II bolscevismo e l'insurrezione

Lenin non si è limitato a ripristinare la teoria marxiana dello Stato (si veda il suo opuscolo Stato e rivoluzione], ma ha anche studiato e posto praticamente il problema della dittatura del proletariato, facendone la parola d'ordine della lotta di tutto il proletariato internazionale. Lenin ha arricchito il marxismo, scoprendo la forza concreta di questa dittatura: il sistema sovietico.
Per quanto riguarda l'insurrezione, già nel 1902 (si veda il suo Che fare?}, Lenin sottolineava la necessità di prepararsi all'insurrezione armata imminente. Nel 1905, essendosi create le condizioni favorevoli, egli fece ricorso a tutta la sua autorità per dimostrare come soltanto l'insurrezione armata, la forma più acuta e decisiva della lotta in tempo di rivoluzione, possa alla fine condurre il proletariato alla vittoria.
Tracciando il bilancio dell'insurrezione di Mosca del dicembre 1905 e portando un vigoroso attacco alla famosa frase di Plekhanov, ripresa da ogni opportunista ("Non bisognava prendere le armi"), Lenin critica e insegna al nostro Partito e a tutto il proletariato ciò che segue:

Al contrario, si sarebbero dovute impugnare le armi con maggior decisione, energia e spirito offensivo, si sarebbe dovuto spiegare alle masse l'impossibilità di limitarsi a uno sciopero pacifico e la necessità di condurre una lotta armata intrepida, implacabile. Ed oggi dobbiamo infine riconoscere direttamente e apertamente che gli scioperi politici sono insufficienti, dobbiamo condurre fra le più larghe masse un'agitazione per l'insurrezione armata, senza dissimulare questo problema con ogni specie di "gradi preliminari," senza coprirlo con nessun velo. Nascondere alle masse la necessità di una guerra accanita, sanguinosa, distruttiva, come obbiettivo immediato dell'azione futura, vuoi dire ingannare se stessi e il popolo.

In occasione della rivoluzione d'Ottobre del 1917 Lenin, come si sa, fu l'anima dell'insurrezione, l'anima della rivoluzione.
Rispondendo ai professionisti della falsificazione del marxismo, cioè ai menscevichi e ai socialisti-rivoluzionari che, in piena armonia con i cadetti e con altri partiti monarchici e borghesi, accusavano i bolscevichi di blanquismo,2 Lenin dettò (nel 1917) la formula classica del problema dell'insurrezione armata e delle condizioni per la sua riuscita:

Per riuscire, l'insurrezione deve appoggiarsi non su di un complotto, non su di un partito, ma sulla classe progressiva. Questo in primo luogo. L'insurrezione deve appoggiarsi sullo slancio rivoluzionario del popolo. Questo in secondo luogo. L'insurrezione deve sfruttare il punto crìtico nella storia della rivoluzione ascendente, che è il momento in cui l'attività delle file più avanzate del popolo è massima e più forti sono le esitazioni nelle file dei nemici e nelle file degli amici deboli, equivoci e indecisi della rivoluzione. Questo in terzo luogo. Ecco le tre condizioni che, nell'impostazione del problema dell'insurrezione, distinguono il marxismo dal blanquismo.

E aggiunge subito:

Ma allorquando queste condizioni esistono, rifiutarsi di considerare l'insurrezione come un'arte - cioè prepararla politicamente e militarmente - significa tradire il marxismo e tradire la rivoluzione.3

Qui è detto tutto, in profondità, in una forma concisa e generale, circa le premesse di una insurrezione vittoriosa. Tuttavia Lenin, in quello stesso anno 1917, nella Lettera ai compagni torna in modo ancor più concreto e più dettagliato sulla differenza tra marxismo e blanquismo a proposito dell'insurrezione, sottolineando contemporaneamente le condizioni necessarie perché essa riesca vittoriosa:

Una congiura militare è blanquismo se essa non è organizzata dal partito di una classe determinata, se coloro che l'organizzano non hanno valutato giustamente il momento politico in generale e la situazione internazionale in particolare, se il partito non ha la simpatia, dimostrata concretamente, della maggioranza del popolo; se lo sviluppo degli avvenimenti rivo-luzionari non ha condotto alla distruzione pratica delle illusioni conciliatrici della piccola borghesia; se non si è conquistata la maggioranza degli organi - del genere dei "soviet" - riconosciuti "muniti di pieni poteri" o diversamente considerati tali per la lotta rivoluzionaria; se non vi è nell'esercito (nel caso che gli avvenimenti si svolgano in tempo di guerra) uno stato d'animo completamente maturo di ostilità contro un governo che prolunga una guerra ingiusta, contro la volontà del popolo; se le parole d'ordine dell'insurrezione (come "Tutto il potere ai soviet," "La terra ai contadini," "Proposta immediata di una pace democratica a tutti i popoli belligeranti," "Annullamento immediato dei trattati segreti, abolizione della diplomazia segreta" ecc.) non hanno la più larga diffusione e la massima popolarità; se gli operai avanzati non sono convinti della situazione disperata delle masse e sicuri dell'appoggio delle campagne, appoggio dimostrato da un importante movimento contadino o da un'insurrezione contro i grandi proprietari fondiari e contro il governo che li difende; se la situazione economcia del paese permette seriamente di sperare in una soluzione favorevole della crisi con i mezzi pacifici e parlamentari.

Nell'opuscolo II fallimento della II Internazionale nel 1915, Lenin scriveva a tal proposito quanto segue:

Per un marxista è cosa certa che nessuna rivoluzione è possibile in mancanza di una situazione rivoluzionaria. Non è poi detto che ogni sir tuazione rivoluzionaria scaturisca in una rivoluzione. Quali sono, in generale, i sintomi di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliarci nell'indicare i tre elementi seguenti:

1. L'impossibilità da parte delle classi dominanti di conservare integro il proprio dominio; una "crisi" dei circoli dirigenti, crisi politica della classe al potere, produce una falla nella quale penetrano il malcontento e l'indignazione delle classi oppresse. Affinchè abbia luogo una rivoluzione non basta, in genere, che "non si accetti di scendere più in basso"; bisogna altresì che non si possa più vivere come per il passato.
2. Il peggioramento abnorme delle privazioni e delle sofferenze delle classi oppresse.
3. L'incremento sensibile, in funzione di quanto precede, dell'attività delle masse le quali, "in tempo di pace," si lasciano tranquillamente derubare, ma che nei momenti di crisi sono incitate da tutta la situazione, e anche dai dirigenti, a prendere l'iniziativa di un'azione storica.
In mancanza di queste modificazioni oggettive, indipendenti dalla vo-lontà dei gruppi isolati e dei partiti, nonché da quella delle classi, la rivoluzione è, in linea generale, impossibile. L'insieme di queste modificazioni oggettive costituisce esattamente la situazione rivoluzionaria. Una situazione di questo tipo si ebbe in Russia nel 1905 e in tutti i paesi dell'Occidente nell'era delle rivoluzioni; ma si è anche avuta in Germania nel 1859-60^e in Russia nel 1879-80, quantunque fosse mancata la rivoluzione. Perché? Perché non è detto che da ogni situazione rivoluzionaria scaturisca la rivoluzione; perché la rivoluzione si compie soltanto quando, ai fattori enumerati, si aggiunga l'elemento soggettivo, ossia l'attitudine della classe rivoluzionaria all'azione rivoluzionaria, l'attitudine di masse abbastanza forti da spezzare o scuotere il vecchio regime che, anche all'apice della crisi, "non cade se non lo si fa cadere."3
Lenin è tornato più volte sulla necessità di queste premesse sociali e politiche.6 I brani qui citati, che si potrebbero moltipli-care a volontà, rivelano quale immensa e decisiva importanza egli attribuisse alla questione delle premesse politiche della rivoluzione. Appunto in relazione a queste premesse, determinanti il grado di maturità della situazione rivoluzionaria, Lenin ha sempre deciso i problemi d'ordine storico: il Partito deve già orientarsi all'organizzazione immediata dell'insurrezione, o deve continuare nel solito lavoro di mobilitazione rivoluzionaria delle masse, attendendo un momento più favorevole all'insurrezione?
È ovvio che Lenin non considerò mai l'insurrezione come atto isolato, senza rapporto alcuno con gli altri momenti della lotta di classe. L'insurrezione è preparata da tutta la lotta delle classi di un dato paese, non essendo altro che la continuazione organica di quella lotta. Ogni attività del partito rivoluzionario, lotta per la pace, contro l'intervento imperialista (in Cina, nel-l'URSS, ecc.), contro le guerre imperialiste in corso di preparazione (in Europa, in America, ecc.), contro la razionalizzazione capitalista, per gli aumenti salariali, le riforme sociali in genere, per il miglioramento del tenore di vita del proletariato, la nazionalizzazione delle terre, la battaglia parlamentare, ecc., tutto questo deve essere diretto alla preparazione e alla mobilitazione delle masse in vista di una forma superiore di lotta, nella fase iniziale della rivoluzione, in previsione dell'insurrezione.
Partendo dalla dottrina di Lenin, il progetto programmatico dell'Internazionale Comunista specifica quali sono le situazioni che impongono al Partito di condurre le masse al combattimento per rovesciare il potere borghese:

In presenza di una spinta rivoluzionaria, quando le classi dominanti sono disorganizzate, quando le masse sono in istato di fermento rivoluzionario, quando gli elementi intermedi esitano a favore del proletariato, quando le masse sono pronte all'azione e al sacrificio, allora al partito del proletariato incombe il dovere di guidarle all'attacco diretto contro lo Stato borghese. Tale risultato s'ottiene con la propaganda di parole d'ordine transitorie sempre più attive (Soviet, controllo operaio sulla produzione, consigli contadini per l'occupazione dei latifondi, disarmo della borghesia e riarmo del proletariato) e con l'organizzazione di azioni di massa, alle quali vanno subordinate tutte le ramificazioni dell'agitazione di Partito e della propaganda, ivi compresa l'azione parlamentare. In queste azioni delle masse rientrano: gli scioperi, scioperi abbinati a dimostrazioni o a manifestazioni armate, e infine lo sciopero generale di concerto con l'insurrezione armata contro il potere della borghesia. L'insurrezione armata, che è la forma più alta della lotta, poggia sulle regole dell'arte militare, presuppone un piano militare, reca il carattere offensivo delle operazioni militari, presuppone nel proletariato la dedizione assoluta e l'eroismo assoluto. Condizione indispensabile di tali azioni è l'organizzazione delle grandi masse in unità di combattimento, la cui stessa forma abbracci e metta in movimento il più alto numero possibile di lavoratori (Soviet dei deputati operai e contadini, Soviet dei soldati, ecc.), nonché un'opera rivoluzionaria intensificata in seno all'esercito e alla flotta.
Passando a nuove e più accentuate parole d'ordine, bisogna lasciarsi guidare dalla regola essenziale della tattica politica del leninismo: saper condurre le masse su posizioni rivoluzionarie in modo tale che siano le masse stesse a convincersi, per propria esperienza, della giustezza della linea seguita dal Partito. La mancata osservanza di questa norma conduce fatalmente al distacco delle masse, al "golpismo" e alla degenerazione ideologica del comunismo, in un dottrinarismo di sinistra, in "un avventurismo" rivoluzionario "piccolo borghese." Né sono minori i pericoli quando, per converso, si tralascia di approfittare del momento critico della situazione rivoluzionaria, che impone al partito del proletariato l'attacco decisivo, con estrema arditezza, contro il nemico: lasciar trascorrere questo momento senza scatenare l'insurrezione, significa lasciare l'iniziativa all'avversario e condannare la rivoluzione alla sconfitta.7

Una cosa è definire teoricamente le condizioni indispensabili in presenza delle quali sia possibile il successo dell'insurrezione; altra cosa, assolutamente diversa e molto più complessa, è valutare praticamente il grado di maturazione raggiunto dalla situazione rivoluzionaria e quindi risolvere la questione dell'avvio all'insurrezione. Questo problema della data dell'insurrezione è di importanza eccezionale.
L'esperienza sta a dimostrare come non sia sempre possibile risolverlo come le circostanze vorrebbero. Capita sovente che, sotto l'influenza dell'impazienza rivoluzionaria, del terrorismo e della provocazione delle classi dirigenti, si esageri il grado di maturità della situazione rivoluzionaria, precipitando il disastro dell'insurrezione; oppure capita di sottovalutare una situazione che esigerebbe dal Partito del proletariato azioni decisive, lasciandosi così sfuggire il momento favorevole all'organizzazione di un'insurrezione vittoriosa.
A titolo illustrativo citeremo alcuni esempi storici.
Il 14 agosto 1870 i blanquisti organizzano a Parigi un'insurrezione. Le masse non sostengono gli insorti, i quali vengono annientati. Tre settimane dopo, rimaste sconfitte a Sedan le truppe francesi a opera dei Prussiani, tutta Parigi si solleva il 4 settembre. Tra le masse il fermento era già grande al momento dell'azione blanquista, però era mancata la forza d'urto necessaria per dare alle masse stesse l'impulso voluto, proprio quando la disorganizzazione delle classi dirigenti era un fatto compiuto. La scossa attesa giunse con la disfatta di Sedan. I blanquisti non avevano compreso appieno il grado di maturazione della situazione, avevano sbagliato per difetto la scelta della data dell'insurrezione e, così, erano stati battuti.
Kamenev, Zinov'ev e altri, nel 1917, allorché era stata dibattuta in seno al Partito la questione della presa del potere, ritennero che le circostanze non fossero ancora mature, che i bolsce-vichi non avrebbero conservato il potere, che le masse non sarebbero scese in piazza, che non fossero abbastanza rivoluzionarie, che "non vi fosse nella situazione internazionale nulla che costringesse il Partito bolscevico all'azione immediata, che nuocerebbe piuttosto alla causa della rivoluzione socialista in Occidente l'inevitabile massacro," che noi si fosse isolati, mentre la borghesia sarebbe stata ancora forte e che, insomma, bisognasse attendere l'Assemblea costituente per decidere della sorte della rivoluzione russa.
Per fortuna Zinov'ev e Kamenev non godevano di alcun sostegno all'interno del Partito, però non è difficile immaginarsi che cosa sarebbe accaduto se questi compagni, membri del Comitato centrale, avessero avuto dietro di sé, non dico la maggioranza del Partito, ma anche soltanto una frazione più o meno importante, e avessero prolungato la discussione sulla presa del potere. La situazione avrebbe potuto modificarsi a danno del proletariato rivoluzionario, poiché in linea di massima non esistono mai situazioni veramente senza uscita per le classi dirigenti. Magari si sarebbe perduto il momento favorevole e, di conseguenza, la presa del potere sarebbe stata rinviata a tempo indeterminato. Il fatto certo è che, se mai il Partito avesse adottato la posizione di Zinov'ev e Kamenev, la crisi rivoluzionaria del 1917 sarebbe finita in un vicolo cieco, esattamente come la crisi rivoluzionaria tedesca del 1918. Sarebbe mancato, insomma, un partito che considerasse suo compito inderogabile assumersi la responsabilità di organizzare un autentico governo proletario.
La posizione di Zinov'ev e Kamenev nel 1917 è un esempio tipico del modo in cui talvolta la rivoluzione può andar perduta.
In luglio la parte rivoluzionaria del proletariato di Pietro-grado bruciava d'impazienza e, di fatto, intervenne per rovesciare il governo provvisorio. Il Partito bolscevico, Lenin in testa, ammonì le masse: "È ancora troppo presto!" Le giornate dal 3 al 5 luglio si conclusero con un insuccesso. Nel settembre-ottobre, invece, Lenin, nonostante gravi dissensi in seno al Comitato centrale del Partito bolscevico circa il momento della presa del potere, non si stancò di ripetere: "Oggi o mai più! La rivoluzione è in pericolo di morte!", emanando nel frattempo ogni sorta di direttive di natura politica, militare e pratica che garantissero il successo dell'insurrezione. Ecco come valutava la situazione nel settembre 1917:
II 3-4 luglio si poteva, senza peccare contro la verità, porre la questione in questi termini: sarebbe preferibile impadronirsi del potere perché, diversamente, i nostri nemici ci accuseranno egualmente di sedizione e ci puniranno come insorti. Ma questa considerazione non permetteva di concludere allora per la presa del potere, perché mancavano le condizioni ob-biettive per la vittoria dell'insurrezione:
1. La classe che è all'avanguardia della rivoluzione non era ancora con noi.
Non avevamo ancora la maggioranza tra gli operai e i soldati delle due capitali. Oggi l'abbiamo in entrambi i Soviet...
2. Mancava allora lo slancio rivoluzionario di tutto il popolo. Oggi, dopo l'avventura di Kornilov, esso esiste. Quel che avviene in provincia e la presa del potere da parte dei Soviet in molte località lo dimostrano.
3. Non v'erano esitazioni importanti su scala politica generale fra i nostri nemici e fra la piccola borghesia irresoluta. Oggi queste esitazioni sono gigantesche: il nostro principale nemico, l'imperialismo alleato e mondiale (perché gli "alleati" sono alla testa dell'imperialismo mondiale) esita in questo momento tra la guerra fino alla vittoria finale e la pace separata contro la Russia. I nostri democratici piccolo-borghesi, che hanno indubbiamente perduto la maggioranza tra il popolo, hanno cominciato a esitare fortemente, rinunciando al blocco, cioè alla coalizione con i cadetti.
4. Perciò il 3-4 luglio l'insurrezione sarebbe stata un errore: non avremmo potuto conservare il potere né fisicamente né politicamente. Non ne avremmo avuto la forza fisica, perché, quando pure Pietrogrado fosse stata in diversi momenti nelle nostre mani, i nostri operai e i nostri soldati non avrebbero voluto battersi, morire, per conservare Pietrogrado; essi non erano ancora "inferociti" come oggi, non ribollivano di un odio così furibondo contro i Kerenski, e contro gli Tsereteli e i Cernov; e i nostri militanti non erano ancora temprati dall'esperienza della persecuzione contro i bolscevichi, condotta con il concorso dei socialisti-rivoluzionati e dei menscevichi.
Politicamente, il 3-4 luglio non avremmo conservato il potere perché prima dell'avventura di Kornilov l'esercito e la provincia avrebbero potuto marciare e avrebbero marciato contro Pietrogrado.
Oggi il quadro è completamente diverso.
Con noi è la maggioranza della nostra classe, l'avanguardia della rivoluzione, l'avanguardia del popolo, capace di trascinare le masse.
Con noi è la maggioranza del popolo, perché le dimissioni di Cernov sono il sintomo più visibile, più evidente (ma non il solo) che dal blocco dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari (e dagli stessi socialisti-rivolu-zionari) i contadini non avranno la terra. E proprio in questo consiste il carattere generale, popolare, della rivoluzione...
Per noi è la vittoria sicura, perché il popolo è quasi ridotto alla disperazione, e noi additiamo a tutto il popolo la soluzione giusta...8
Questo stralcio altamente istruttivo da un'opera di Lenin rivela quale enorme importanza egli attribuisse alle condizioni politiche dell'insurrezione, quando si tratta di fissare la data. La sua valutazione della situazione di luglio era esatta. Il Partito non aveva ancora dietro di sé la maggioranza del popolo, il nemico non era ancora abbastanza impelagato nelle sue contraddizioni, "gli oppressi potevano ancora vivere come prima, e le classi dominanti potevano ancora governare come prima." Bastarono due mesi e la situazione mutò radicalmente. Il nostro partito aveva già con sé la maggioranza del popolo, e Lenin decise in senso positivo la questione dell'insurrezione. S'ingannavano grossolanamente coloro i quali, come Zinov'ev e Kamenev e altri, ritenevano che egli avrebbe così soffocato la rivoluzione russa e, con essa, la rivoluzione internazionale.
Nel settembre Lenin vedeva chiaramente come la maggioranza del popolo seguisse il Partito bolscevico; giudicava correttamente la situazione e sapeva ch'era arrivato il momento dell'insurrezione vittoriosa. Sapendo l'enorme responsabilità che incombeva al nostro partito davanti al proletariato, e non soltanto a quello russo, ma a quello internazionale, egli dubitava di lasciarsi sfuggire il momento favorevole all'insurrezione, temeva che la situazione si modificasse radicalmente a favore delle classi dirigenti e che così la presa del potere rischiasse, almeno per il momento, di rientrare. Ecco perché insisteva tanto imperiosamente, tanto categoricamente sull'insurrezione a ottobre: oggi o mai più! Ogni indugio è la morte! La vittoria è sicura, attendere è un delitto al cospetto della rivoluzione!
Ecco perché Lenin, vedendo che il momento era maturo per un'insurrezione vittoriosa, attaccò tanto aspramente Zinov'ev e Kamenev, chiamandoli crumiri e reclamando la loro espulsione dal Partito. Aveva mille volte ragione, poiché Kamenev e Zinov'ev sottovalutavano il grado di maturazione della situazione rivoluzionaria in Russia e in Occidente, sopravvalutavano le forze della controrivoluzione, assumevano una posizione che, in ultima analisi, in nulla era diversa da quella della socialdemocrazia.
Per contro, un esempio negativo di errore di data nel fissare l'insurrezione è quello dell'azione del marzo 1921 in Germania,
0 più esattamente della tattica del Partito comunista tedesco in occasione dei fatti del marzo. L'azione di marzo era teoricamente giustificata da una certa tesi dell'offensiva9 che venne poi condannata dal III congresso dell'I.C. e che Lenin caratterizzò come una teoria di complotto militare. Nel marzo 1921 gli operai dei bacini minerari della Germania centrale si scoprirono più rivo-luzionari di quelli delle altre regioni. Il governo cominciò a prendere contro di loro vari provvedimenti repressivi. Come risposta, il Comitato centrale del Partito comunista chiamò le masse operaie tedesche allo sciopero generale che doveva sfociare nell'insurrezione. Nella Germania centrale la parola d'ordine venne accettata: scoppiò uno sciopero generale che, in certi distretti, degenerò in insurrezione armata. Tuttavia, poiché nel resto del paese il proletariato non sostenne attivamente gli operai della Germania centrale, questi ultimi vennero schiacciati dalle soverchianti forze della controrivoluzione.
Il Comitato centrale del P.C. di G. aveva sopravvalutato il carattere rivoluzionario della situazione, senza capire che "alcune decine di milioni d'uomini non fanno la rivoluzione dietro semplice consiglio di un partito," che "con soltanto un'avanguardia non si può riportare la vittoria," che "decine di milioni d'uomini non fanno la rivoluzione su ordinazione, ma solo il giorno in cui il popolo è stretto con le spalle al muro, in una situazione insostenibile, in cui la spinta generale, la decisione di decine di mi-lioni d'uomini infrangono tutte le vecchie barriere, trovandosi veramente in grado di creare una nuova vita" (Lenin). Il Partito comunista aveva dimenticato che il proletariato tedesco nel suo insieme, avendo subito tante pesanti sconfitte e trovandosi ridotto alla difensiva dopo le giornate del marzo 1920, non poteva rispondere abbastanza attivamente, senza un'adeguata preparazione politica preliminare, alla parola d'ordine dello sciopero generale e dell'insurrezione lanciata dal Partito, cioè all'appello ad azioni di massa decisive per la presa del potere. Il passaggio fu troppo brusco: l'avanguardia, con un piccolo distaccamento della classe operaia, si gettò nella battaglia decisiva senza neppure sapere se sarebbe stata sostenuta dal grosso della classe operaia di tutto il paese o se, invece, la sua iniziativa sarebbe rimasta isolata.
In questo caso, insomma, la data dell'azione decisiva era stata stabilita male dal Comitato centrale del Partito comunista di Germania e l'appello all'offensiva generale era stato prematuro.
Naturalmente, se il momento dell'insurrezione non è stato scelto con oculatezza, non ne consegue affatto la necessaria condanna dell'insurrezione di marzo: non di questo si tratta, bensì di ricercare le cause della sconfitta. All'insurrezione di marzo avevano preso parte le masse operaie di certe regioni della Germania centrale, che si erano battute contro la polizia e contro la truppa. Non è possibile condannare l'insurrezione poiché bisognerebbe non essere dei rivoluzionari per condannare una lotta di masse soltanto perché l'esito non è stato quello voluto. Al tempo stesso, però, dobbiamo criticare il ruolo e la condotta dei dirigenti in tale occasione, senza coprirne gli errori.
A proposito della scelta del momento giusto, vale la pena di soffermarsi sull'insurrezione di Reval del 1° dicembre 1924, alla quale presero parte non più di duecentotrenta o duecentocinquanta persone. Non si ebbero, insomma, come avremo occasione di vedere in seguito, grandi azioni di massa del proletariato, né alla vigilia, né durante, né dopo la sollevazione. Il Partito agì da solo, con uno sparuto manipolo di rivoluzionari, nella speranza di arrecare un primo fiero colpo alle forze governative e di trascinare in seguito dietro di sé le masse proletarie che avrebbero portato a termine l'insurrezione. Gli insorti, invece, a motivo del numero esiguo, vennero repressi prima ancora che le masse potessero entrare in azione.
In questo caso gli errori del Partito comunista d'Estonia sono evidenti. L'esperienza di Reval conferma una volta ancora la giu-stezza del principio leniniano, secondo cui un'avanguardia da sola non ha la possibilità d'agire, per cui l'intervento di questa avanguardia, senza il sostegno attivo della maggioranza della classe operaia, è votato all'insuccesso.
Non è priva d'interesse, infine, la seconda insurrezione di Sciangai del 21 febbraio 1927, sempre dal punto di vista della scelta del giorno dell'insurrezione. La sommossa fu scatenata nel momento in cui lo sciopero generale era già entrato nella fase discendente, cioè quando metà degli scioperanti, sotto l'influsso del terrorismo governativo, era già tornata al lavoro. Due giorni prima il movimento rivoluzionario del proletariato di Sciangai era stato al suo culmine: erano in sciopero circa trecentomila operai. Ma il Partito, in mancanza dell'organizzazione tecnica necessaria, rinviò la data dell'insurrezione. Due giorni andarono perduti in preparativi, e intanto la situazione generale mutò a sfavore del proletariato. Per questo motivo l'insurrezione non poteva riuscire.
L'esempio della seconda insurrezione di Sciangai dimostra come a volte un giorno o due possano avere un'importanza decisiva.
Dopo quanto s'è detto a proposito della scelta del momento opportuno, non ci sarà bisogno di dilungarci sulla questione che a suo tempo (nel 1905, prima dell'insurrezione di dicembre) è stata argomento di discussione tra Lenin e la nuova Iskra (nella persona soprattutto di Martynov), e cioè: si può fissare l'insur-rcxione per una data determinata? Come si sa l'insurrezione di I Retrogrado del 1917 era stata fissata per il 7 novembre, in occasione dell'apertura del II congresso dei Soviet; diverse insurre-xioni proletarie in altri paesi sono state pure stabilite per date ben precise ed eseguite secondo un piano determinato. Indubbiamente è impossibile ordinare per una data fissa la rivoluzione o, comunque, un movimento operaio, "ma stabilire la data dell'insurrezione, se noi l'abbiamo realmente preparata e se la rivoluzione già compiuta nei rapporti sociali la rende possibile, è cosa perfettamente realizzabile... La data dell'insurrezione può essere fissata, purché coloro che la stabiliscono abbiano influenza sulle masse e sappiano valutare con esattezza il momento opportuno.""
L'insurrezione naturalmente non è, nel senso lato della parola, un'operazione puramente militare; è alla base e innanzi tutto un potente movimento rivoluzionario, un potente slancio delle masse proletarie contro le classi dominanti, o almeno della frazione attiva delle masse che può anche non costituire numericamente la maggioranza del proletariato. È una lotta attiva e risoluta, condotta dalla maggioranza attiva al momento decisivo e nel punto decisivo. Le operazioni militari dell'organizzazione tattica devono coincidere con il culmine del movimento del proletariato. Solo a queste condizioni può riuscire l'insurrezione. Anche la più favorevole delle situazioni rivoluzionarie non basta a garantire la vittoria della rivoluzione. L'insurrezione deve essere organizzata da un partito. Il potere non verrà da solo, bisogna impadro-nirsene. "Il vecchio governo, anche in preda alla crisi, non cadrà se non lo si farà cadere." (Lenin).
È proprio in questo senso che Lenin, nel già citato II marxismo e l'insurrezione, dopo l'enumerazione delle condizioni politiche che garantiscono il successo dell'insurrezione, scriveva:

E per trattare l'insurrezione da marxisti, cioè come un'arte, dobbiamo nello stesso tempo, senza perdere un minuto, organizzare uno stato maggiore delle squadre insurrezionali, ripartire le nostre forze, mettere i reggimenti fedeli nei punti più importanti, circondare il Teatro Alessandro, occupare la fortezza di Pietro e Paolo,11 arrestare stato maggiore e go-verno, mandare contro gli allievi ufficiali e contro la "divisione selvaggia" delle squadre pronte a sacrificarsi piuttosto che lasciar entrare il nemico nel centro della città, mobilitare gli operai armati, chiamarli a un'ultima accanita battaglia, occupare simultaneamente il telegrafo e il telefono, installare il nostro stato maggiore insurrezionale nella centrale telefonica, collegarlo col telefono a tutte le officine, a tutti i reggimenti, a tutti i punti dove si svolgerà la lotta armata, ecc.12

Lenin non era soltanto il grande stratega della rivoluzione, ma comprendeva anche meglio di chiunque la tesi di Marx, così ricca di contenuto, "l'insurrezione è un'arte," e la seppe applicare da maestro alla lotta pratica per il potere. Solamente con la valutazione esatta del momento dell'insurrezione e solamente trattando l'insurrezione come un'arte, ossia applicando tutte le misure politiche, tecniche e tattiche necessarie, è stata resa possibile la rivoluzione d'Ottobre.
Per quanto riguarda la preparazione alla lotta decisiva del proletariato per il potere, se si vuole esaminare la questione solo sotto l'aspetto politico generale, è indispensabile sapere quando orientare tutta l'azione politica del Partito alla preparazione pratica diretta (politica e tecnica) dell'insurrezione, quando dare alle masse delle parole d'ordine quali quella del controllo operaio sulla produzione, quella dei comitati contadini per l'occupazione di fondi dei grandi agrari e dello Stato, quella della guardia rossa, dell'armamento del proletariato, del disarmo della borghesia, dell'organizzazione dei Soviet e della presa del potere da parte degli insorti in armi, ecc., cioè sapere quando spostare il centro di gravita dell'agitazione pratica quotidiana verso le parole d'ordine dello scopo ultimo della lotta delle classi lavoratrici, e quando concentrare tutta l'attenzione del Partito sulla mobilitazione delle masse attorno a queste parole d'ordine, che devono diventare, vista la situazione, le parole d'ordine dominanti del momento.
Questo momento è, insomma, l'inizio di una fase nuova della vita del Partito e del proletariato in genere. Determinare con esattezza questo inizio non è meno difficile che determinare l'inizio dell'insurrezione. Se viene fissato troppo presto, cioè quando la situazione generale richiede ancora l'agitazione e la propaganda per le rivendicazioni parziali ordinarie delle masse, quando que-sic ultime sono ancora insufficientemente preparate alle parole d'ordine della lotta finale e alla lotta stessa, senza essere pervase n sufficienza dello spirito rivoluzionario, quando il nemico non e abbastanza sprofondato nelle contraddizioni, allora le parole d'ordine della lotta finale restano inascoltate dalle masse, l'appello al combattimento attraverso queste parole d'ordine risul-inà troppo brusco e inatteso, mentre la decisione del Partito <ircu il mutamento d'orientamento nel senso della preparazione diretta dell'insurrezione, risultando inefficace, non porterà a nes-.ooiiiio sbocco positivo.
D'altro canto ogni manifestazione di "normalismo" sulla questione del mutamento d'orientamento del Partito e della sua azione saranno sempre gravidi di conseguenze che rischiano di rivelarsi pregiudizievoli per la preparazione dell'insurrezione e per tutto l'andamento della sollevazione, oltre al fatto che una dilazione eccessiva può polverizzare la lotta per il potere nel periodo determinato, mentre una buona politica del Partito e una saggia soluzione del problema del mutamento d'orientamento nel senso della preparazione diretta per la presa del potere possono rendere la lotta, oltre che realizzabile, vittoriosa.
Se dell'insurrezione si esamina soltanto l'aspetto militare, è chiaro che, al pari di ogni operazione militare, essa non potrà essere improvvisata, ma richiederà una preparazione lunga, sistematica e completa, con molto anticipo sulla data prestabilita. Se non si considera l'insurrezione come un'arte e se non la si prepara sistematicamente e oculatamente in tutti i suoi aspetti, oltre che dal punto di vista strettamente militare, è inutile sperare nella sua riuscita, quand'anche la situazione politica generale sia favorevole alla presa del potere da parte del proletariato. Tale principio vale per tutti i paesi, ma soprattutto per quelli in cui la borghesia, grazie a un predominio protratto nel tempo, abbia avuto modo di costituire una macchina governativa agile e potente. E quindi, anche partendo da considerazioni strettamente militari, senza parlare degli altri importantissimi elementi politici, è assolutamente indispensabile che il Partito prenda in tempo utile una decisione su questa questione: orientarsi sulla preparazione diretta all'insurrezione, oppure continuare a mobilitare le masse nella lotta per le rivendicazioni quotidiane della classe operaia?
Attraverso un'acuta analisi della situazione del paese, attraverso il collegamento opportuno e diretto con le masse, attraverso la conoscenza della situazione dell'avversario e della direzione della sua politica interna ed estera, il Partito deve trovarsi in grado di prevedere in tempo utile l'approssimarsi d'una situazione rivoluzionaria, orientando tempestivamente tutta la sua opera politica e organizzativa alla preparazione diretta dell'insurrezione.
Una delle cause della sconfitta della rivoluzione tedesca nel 1923 fu che il Partito comunista tedesco si era orientato troppo tardi alla preparazione diretta dell'insurrezione, mentre con una direzione bolscevica nel Partito si sarebbe potuto prevedere l'avvicinarsi della situazione immediatamente rivoluzionaria fin dal momento dell'occupazione (o almeno subito dopo l'occupazione) del Reno e della Ruhr da parte delle truppe francesi. In quel momento, appunto, iniziò in Germania una profonda crisi politica ed economica. Fu in quel momento che, in certe regioni (Sasso-nia, Halle, Merseburgo, ecc.) cominciarono a costituirsi, per iniziativa degli stessi operai, le centurie proletarie di combattimento. Ciò nonostante il Comitato centrale del Partito comunista si orientò all'armamento degli operai e all'insurrezione soltanto all'inizio d'agosto, in occasione dei tre giorni di sciopero generale che portarono al rovesciamento del governo Cuno (nazionalista). Si era perduto troppo tempo: le centurie proletarie si costituirono senza gli opportuni quadri, senza la giusta direzione; presso l'esercito e la polizia il lavoro politico era stato condotto in misura insufficiente; tutto questo, non disgiunto da altri fattori negativi,13 non poteva non influenzare l'esito della crisi rivoluzionaria dell'autunno 1923.
Il Partito comunista tedesco, o più esattamente la sua direzione, non comprese in tempo l'importanza dell'occupazione della Ruhr e del Reno da parte francese, non valutò nella giusta misura le gravi perdite dell'economia tedesca (pari all'80% della produzione siderurgica e al 71% di quella mineraria) e neppure il significato della politica di resistenza "passiva" del governo. Per questi motivi non fu in grado di prevedere in tempo utile la crisi economica che si generò nel seguito della crisi rivoluzionaria.
D'altro canto, se il Partito comunista cinese, subito dopo la sfortunata insurrezione del febbraio 1927 a Sciangai, non avesse compreso che la situazione era ormai favorevole a una nuova insurrezione rivoluzionaria, e se non vi si fosse preparato con tanta energia e a costo di qualsiasi sacrificio, l'insurrezione del 21 marzo, quand'anche fosse comunque riuscita (grazie a condizioni straordinariamente propizie), sarebbe certamente costata ben più di quanto costò essendo stata così accuratamente predisposta.
Altrettanto dicasi per il Partito bolscevico russo nel 1917. Il I ermo orientamento del Partito tutto teso verso la presa del po-icre da parte dei Soviet era stato adottato fin dall'arrivo di Lenin (lesi d'aprile). A partire da quel momento, tutto il lavoro politico e organizzativo del Partito fu coscientemente diretto alla prepara-/ione delle masse per la presa del potere. È agevole immaginarsi die cosa sarebbe accaduto se Lenin avesse esitato su questo punto essenziale, se avesse tardato ad effettuare il mutamento d'orientamento, o se il Partito avesse adottato la posizione che in seguito assunsero Zinov'ev, Kamenev e altri. Naturalmente in questo caso non si sarebbe neppure parlato in ottobre di vittoria, poiché la situazione estremamente favorevole dell'ottobre 1917 non derivava solamente da cause obbiettive (prolungamento della guerra, crisi economica, rivoluzione contadina, ecc.) né si era, per così dire, creata da sola, ma in larga misura era il frutto dell'azione cosciente del Partito bolscevico sugli eventi (educazione rivoluzionaria delle masse, lavoro organizzativo tra il popolo, presso l'esercito, nella flotta, ecc.).
A titolo illustrativo si potrebbero citare molti altri esempi, ma non ce n'è bisogno. L'importanza della questione qui esaminata e la necessità della sua giusta soluzione sono ormai chiare. È un problema non meno importante, per quanto riguarda la preparazione dell'insurrezione, del problema della scelta del momento dell'assalto in presenza d'una situazione rivoluzionaria pervenuta a maturazione.
Piuttosto è opportuno soffermarsi ancora su di una questione di principio, quella delle insurrezioni parziali del proletariato.
La rivoluzione proletaria non segue certamente una linea retta, ma procede attraverso sbalzi e trionfi parziali, a riflussi e a cedimenti temporanei. La vittoria definitiva della rivoluzione non è concepibile senza queste salite e queste discese sul lungo cammino del suo sviluppo. In questa lotta rivoluzionaria prolungata il proletariato si irrobustisce, impara a conoscere le proprie forze, le forze e la politica dell'avversario, giungendo, grazie a questa esperienza, a formarsi una politica e una tattica congeniali, accumulando gli insegnamenti della storia, entrando in combattimento con energia rinnovellata per realizzare i suoi obbiettivi di classe. In tal senso le sconfitte temporanee subite dal proletariato non vanno considerate soltanto come disfatte, poiché ciascuna contiene gli elementi di un trionfo che fatalmente giungerà. Ha detto Engels: "Gli eserciti battuti hanno fatto buona scuola." Queste parole ammirevoli valgono a maggior ragione per gli eserciti rivo-luzionari, reclutati tra le classi progressive (Lenin). Senza la prova generale del 1905, per esempio, non si potrebbe concepire il trionfo del proletariato russo nell'ottobre 1917. Senza una serie di vittorie e di pesanti sconfitte, che costarono innumerevoli sacrifici in questi ultimi anni al proletariato cinese, non si potrebbe spiegare il trionfo conclusivo della rivoluzione proletaria in Cina. Sono fatti incontestabili. È appunto su questo piano che bisogna porre la questione delle insurrezioni, non più generali, bensì parziali, della lotta parziale (non universale) del proletariato e dei paesi oppressi contro le classi dominanti. In La guerra -partigiana Lenin scriveva:

È assolutamente naturale e inevitabile che l'insurrezione assuma una forma più alta e completa, la forma di una guerra civile prolungata che investa tutto il paese, ossia di una lotta armata tra due parti del popolo. Tale guerra potrà essere concepita solamente come una serie di grandi battaglie poco numerose, separate da intervalli molto lunghi e, negli intervalli, una massa di piccole scaramucce. Se così è, come veramente è, la socialdemocrazia deve assolutamente proporsi di creare le organizzazioni più idonee possibili a condurre le masse tanto nelle grandi battaglie quanto, eventualmente, nelle piccole scaramucce.

Questo combattimento, che occupa lunghi intervalli di tempo, non può essere visto come una vittoria continua senza né insuccessi né sconfitte parziali. Capita spesso che il proletariato intervenga, armi in pugno, contro il potere, senza avere possibilità decisive di vittoria, ma comunque costringendo le classi dirigenti a soddisfare questa o quella delle sue rivendicazioni. Non è lecito pensare che l'intervento armato del proletariato sia ammissibile soltanto dietro un'assoluta garanzia di vittoria. Questa è un'illusione. L'insurrezione armata è un'operazione "che poggia sui principi dell'arte militare" e, in quanto tale (come ogni operazione) non può dare una garanzia assoluta di successo. Le sconfitte, motivate da questa o quella circostanza, anche soltanto di natura puramente soggettiva (il proletariato non ha sempre e non avrà sempre dei dirigenti in numero sufficiente o sufficientemente preparati dal punto di vista tecnico e militare) saranno sempre possibili e, anzi, inevitabili.
Marx scriveva a Kugelmann, il quale a proposito della Comune di Parigi si era permesso di esprimere dei dubbi sulle poche probabilità a favore dei Parigini:
"Evidentemente sarebbe molto comodo fare la storia se si intraprendesse la lotta soltanto con possibilità di vittoria assolutamente certe.
"La canaglia borghese di Versailles aveva posto ai Parigini questa alternativa: raccogliere la sfida o arrendersi senza combattere. In questo secondo caso la demoralizzazione della classe operaia sarebbe stata una sfortuna ben più grave della perdita di tutti i capi che volete."14
Anche nella nostra epoca, non possono forse verificarsi (e anzi si verificano) situazioni del genere, per cui il proletariato di un dato paese o di un dato centro industriale, senza avere nessuna possibilità di vittoria, si vede comunque costretto da queste o quelle condizioni, e soprattutto per le provocazioni delle classi dirigenti, a impegnarsi nella lotta armata? Non si sono forse visti esempi di sollevazione spontanea (per esempio a Cracovia nel 1923, a Vienna nel 1927, ecc.), in cui il proletariato, senza darsi pensiero dell'esito della battaglia, ha preso le armi, entrando in lizza? Potrà mai il partito proletario rifiutarsi di partecipare alla lotta delle masse, rifiutarsi di guidarla, condannarla, dichiararsi neutrale? Un partito del genere cesserebbe d'essere il partito del proletariato, ben meritando di vedere le masse voltargli le spalle con disprezzo.
Il Partito comunista prende parte accesissima a qualsiasi lotta delle masse, a qualsiasi scontro armato, si mette alla testa delle masse, le guida, indipendentemente dalle condizioni nelle quali la lotta ha luogo, sia con il 100% di probabilità di vittoria sia senza alcuna speranza. Il Partito, in quanto avanguardia della classe, ha il dovere di decidere dell'utilità o dell'inutilità dell'azione prima che abbia inizio la battaglia, e di operare di conseguenza la propria agitazione tra le masse. Ma una volta impe-gnata la lotta armata, non può più avere esitazione alcuna su ciò che deve fare, cioè sostenerla e guidarla. In casi del genere il Partito deve comportarsi come si comportò Marx durante la Comune di Parigi, come si comportò Lenin durante le giornate del luglio a Pietrogrado. Fin dal settembre 1870 Marx ammonì i Parigini contro l'insurrezione, da lui giudicata una follia, ma una volta scoppiata la sommossa, si schierò a fianco degli insorti. Scriveva Marx durante la lotta del proletariato parigino:
Qualunque cosa accada dell'insurrezione parigina, se anche viene schiacciata dai lupi, dai porci e dai cani repugnanti della vecchia società, pure essa resterà l'impresa più gloriosa del nostro partito dopo l'insurrezione di giugno.15
Come sì sa, Lenin era contrario all'insurrezione di luglio, e avvertiva: "Non è ancora venuto il momento." Ma dopo che le masse furono scese nelle piazze, egli si trovò con loro.
Vi sono diversi tipi d'insurrezione: le insurrezioni vittoriose, le insurrezioni di massa che però finiscono nell'insuccesso, la piccola guerra per bande (scontri armati limitati), le insurrezioni-putsch, cioè quelle organizzate semplicemente da un partito o da un'organizzazione qualsiasi senza la partecipazione delle masse.
II criterio principale dell'atteggiamento del Partito nei confronti di questi tipi diversi d'insurrezione è questo: vi prendono o non vi prendono parte le masse? Il partito ripudia i putsch, i colpi di mano, in quanto manifestazione d'avventurismo piccolo borghese. Il Partito sostiene e dirige invece ogni lotta di massa, comprese le piccole scaramucce o le operazioni partigiane, purché le masse vi prendano realmente parte.
Sarebbe però errore grave e grossolano trame la conclusione che, se questo o quel settore del proletariato è disposto a scendere in lotta contro il suo nemico di classe, il Partito sia costretto, indipendentemente dalle circostanze generali e locali, a lanciare l'appello all'insurrezione. Un partito del genere sarebbe indegno del nome di dirigente della classe d'avanguardia.
Insurrezione - diceva Lenin nel 1905 - è una parola grossa. L'appello all'insurrezione è una faccenda estremamente seria. Quanto più si complica l'ordinamento sociale, quanto più è perfetta l'organizzazione al potere, quanto più è raffinata la tecnica militare, tanto più è imperdonabile il ricorso a cuor leggero a una simile parola d'ordine.
Quando chiama le masse all'insurrezione, il Partito deve sempre tener conto dei risultati. Deve sapere che delle sollevazioni isolate non possono registrare il successo decisivo. Suo compito è chiamare le masse all'insurrezione nel momento in cui la congiuntura locale e generale sia più favorevole al successo, in cui il rapporto delle forze è a favore della rivoluzione, in cui esiste la fondata speranza di impadronirsi del potere, se non in tutto il paese contemporaneamente, almeno in quei centri idonei a servire da piattaforma per lo sviluppo ulteriore della rivoluzione.
A titolo esemplificativo del modo in cui non ci si deve comportare in fatto di appello all'insurrezione, si possono citare alcune esperienze di certe organizzazioni del Partito comunista cinese. In diverse province (Petcili, Hunan, ecc.) le organizzazioni comuniste, a cavallo tra il 1927 e il 1928, costatata la presenza di una situazione immediatamente rivoluzionaria, chiamarono ripe-tutamente all'insurrezione le masse proletarie, senza chiedersi se queste insurrezioni avessero qualche probabilità di riuscita, se avrebbero rafforzato o indebolito le posizioni del proletariato. In questi appelli, in questi tentativi d'organizzare l'insurrezione si rispecchiava la mentalità d'estrema sinistra tipica di una certa frazione del Partito comunista cinese.
Il Partito sostiene qualsiasi insurrezione di massa. Tuttavia, se l'insurrezione non esplode spontaneamente, ma è organizzata dal Partito, se le masse scendono in lotta armata su invito del Partito, quest'ultimo ha la responsabilità della scelta del momento e della condotta della lotta.

L'insurrezione è un'arte, come la guerra, o come qualsiasi altra arte, ed è soggetta a certe norme, la cui mancata osservanza comporta la rovina del Partito che se ne renda colpevole. Queste regole, che sono delle deduzioni circa la natura dei partiti e delle circostanze da considerare, sono talmente chiare e semplici che per impararle è bastata ai Tedeschi la breve esperienza del 1848. In primo luogo non giocare mai con l'insurrezione, se non si è decisi ad affrontare tutte le conseguenze del gioco. L'insurrezione è un calcolo che presenta grandezze incognite, il cui valore può mutare da un giorno all'altro; le forze che si combattono hanno il vantaggio dell'organizzazione, della disciplina e dell'autorità tradizionale. Se non si è in grado di opporre ad esse delle forze superiori, si è sconfitti, si è perduti. In secondo luogo, una volta scelta la via rivoluzionaria, si agisca con la massima determinazione e si prenda l'offensiva; la difensiva è la morte di ogni sollevazione armata: è la fine, prima ancora di scendere in campo contro il nemico. Si attacchino gli awersari alla sprovvista, mentre le sue truppe sono disperse; si faccia in modo di registrare ogni giorno nuovi successi, anche se esigui; si mantenga l'ascendente morale che ha portato alla prima sollevazione vittoriosa; si raccolgano gli elementi che seguono sempre la spinta più possente e che si schierano sempre dalla parte più sicura; si costringa il nemico a battere in ritirata prima di essere riuscito a radunare le proprie forze. Secondo le parole di Danton, il più grande maestro di tattica rivoluzionaria finora conosciuto: de l'audace, de l'audace, encore de l'audace™

Nell'esaminare i problemi dell'insurrezione noi avremo sempre presente, d'ora in poi, questo notevole passo di Marx, così ricco di contenuto e di profondità di pensiero, in base al quale si sono orientati Lenin e il Partito bolscevico nella loro tattica insurrezionale, e che deve servire da fio conduttore a tutti i partiti comunisti nella preparazione e nella condotta della lotta armata per il potere.
Nel mettere in luce le caratteristiche delle diverse insurrezioni nei vari Paesi, dedicheremo la nostra attenzione non soltanto ai problemi di principio, ma anche, ovunque ciò sia possibile (nella misura in cui disporremo di dati precisi), ai dettagli concernenti le questioni d'organizzazione tecnica e di tattica militare nei preparativi d'insurrezione e in occasione dell'insurrezione vera e propria.
Un esame, per quanto completo possibile, dei vari esempi d'insurrezione offerti dalla storia ci fornirà del materiale che ci consentirà di trarre certe conclusioni generali in fatto d'organizzazione e di condotta della lotta armata del proletariato.
La storia della lotta di classe del proletariato internazionale nel XX secolo è già estremamente ricca di esempi di lotta armata. Il nostro compito non comporta l'esame di tutte le insurrezioni proletarie e neppure delle più importanti. Ci limiteremo ad analizzare gli esempi più caratteristici, che sono poi i più istruttivi tanto dal punto di vista dei principi politici, ossia della valutazione delle condizioni sociali e politiche e della scelta del momento dell'insurrezione, quanto dal punto di vista della preparazione e della condotta militare dell'insurrezione stessa.

1 LENIN, Le opere, Gli insegnamenti dell'insurrezione di Mosca, Editori Riuniti, 1970, p. 437.
2 II blanquismo è una dottrina rivoluzionaria che deve la sua origine al comunista rivoluzionario francese Auguste Blanqui (1805-1881). La dottrina di Blanqui è a contatto diretto, su molte questioni sociali e politiche di fondo, con il marxismo moderno, di cui è stata, anzi, l'immediata precorritrice. Blanqui era comunista e materialista, però non dialettico. Era partigiano dichiarato della lotta di classe e della dittatura di un partito proletario centralizzato. Credeva fermamente nel ruolo creatore della violenza
nel processo storico.
Come dice Engels, Blanqui era "un rivoluzionario della vecchia generazione." Paul Froelich (si veda il suo brillante articolo sul blanquismo nella rivista "L'Internazionale comunista," 1925, n. 12) dimostra l'esattezza di tale definizione e aggiunge: "È l'espressione più viva, il rappresentante classico dell'epoca delle rivoluzioni che segna il passaggio tra l'epoca borghese e l'epoca proletaria, cioè del momento in cui portavoce cosciente della rivoluzione era ancora la borghesia, ma era già anche il proletariato. In qualità di rappresentante di quell'epoca, per la sua origine come per la sua attività, egli servì da anello di collegamento tra il giacobinismo e il comunismo moderno." Froelich ha
perfettamente ragione.
La tattica di Blanqui consisteva nell'effettuare una rivoluzione, nell'aprire una breccia nel regime borghese, nell'impadronirsi al momento buono del potere, servendosi di un'organizzazione armata segreta, fortemente inquadrata e centralizzata, per trascinare poi dietro di sé il proletariato. Blanqui non comprendeva, né poteva comprendere, la necessità di certe condizioni senza le quali l'insurrezione non può essere vittoriosa. Tutti i tentativi d'insurrezione preparati da lui stesso e dai suoi discepoli fallirono. Il proletariato, rappresentato da Blanqui, non aveva ancora compiutamente preso coscienza di sé come classe, non si era ancora abbastanza cristallizzato, apparteneva ancora alla piccola borghesia. Rapporti sociali non ancora maturi diedero vita a una teoria non
ancora matura.
Il marxismo-leninismo ha ereditato dal blanquismo la necessità di organizzare e di preparare la rivoluzione, la necessità e la fatalità di un'implacabile lotta armata contro il potere costituito, però non ha potuto accettare le idee del "rivoluzionario della vecchia generazione" intorno alla tecnica del complotto. A lato della preparazione sistematica della rivoluzione, Marx e Lenin allineano la necessità delle premesse economiche e sociali dell'insurrezione (possente balzo rivoluzionario del proletariato), senza le quali è impossibile concepir vittoria.
Bernstein accusava a sua volta Marx di blanquismo. Oggi è tutta la Seconda Internazionale che accusa l'Internazionale comunista di blanquismo, ponendo sullo_ stesso piano blanquismo e comunismo. Nel calunniare così i comunisti, i socialdemocratici rappresentano il rivoluzionario convinto del passato, Blanqui, come un fanatico piccolo-borghese.
3 LENIN, Le opere, II marxismo e l'insurrezione, Editori Riuniti, 1970, pp. 949-950.
4 LENIN, Le opere, Editori Riuniti, 1970, p. 197
5 LENIN e ZINOV'EV, Cantre le courant, t. I, pp. 148-149, Bureau d'Éditions, Paris.
6 Si veda nel libro La malattìa infantile del comunismo la battaglia di Leniti contro i dottrinar! d'estrema sinistra al III Congresso dell'I.C., e, in particolare, i suoi articoli e discorsi del settembre-ottobre 1917.
7 Programma dell'I.C., capitolo VI.
8 LENIN, Le opere, II marxismo e l'insurrezione, cit., pp. 950-951
9 Certi "teorici" del comunismo tedesco vararono in quella occasione la "teoria dell'offensiva," ossia la teoria dell'assalto rivoluzionario, in base al seguente ragionamento: poiché la guerra imperialista del '14-'18 e la rivoluzione d'Ottobre hanno inaugurato l'era delle rivoluzioni proletarie, la sola tattica giusta dell'I.C. deve essere quella dell'assalto rivoluzionario per rovesciare la borghesia. Questi "teorici" non facevano però
1 conti con il principio leninista secondo cui il capitalismo, nell'epoca della sua dissoluzione, è ancora capace di sussulti temporanei, nel corso dei quali la tattica dell'assalto rivoluzionario deve essere sostituita da un'altra, più conveniente, ma non per questo meno rivoluzionaria.
10 LENIN, Le opere, Due tattiche, Editori Riuniti, 1970, pp. 432-433.
11 Al Teatro Alessandro di Pietrogrado teneva le sue riunioni la Conferenza democratica. La fortezza di Pietro e Paolo, sulla Neva, di fronte al Palazzo d'Inverno, serviva da carcere per i prigionieri politici, aveva un grande arsenale e rappresentava un importante punto strategico.
12 LENIN, Le opere, II marxismo e l'insurrezione, cit., pp. 953-954.
13 Trascuriamo di parlare, in questa sede, degli errori opportunisti del Comitato i mirale del P.C. tedesco su diversi punti, errori che hanno avuto un peso preponde-iMute sulla disfatta della rivoluzione del 1923. Di questo argomento si è occupato a l" "n. Io il V Congresso dell'I.C. Qui ci riferiamo soltanto a certi fattori di natura politico-imi ilaiv.
14 lettere di Marx a Kugelmann, citazione da Lenin.
15 Lettere di Marx a Kugelmann, citazione da Lenin.
16 Questa traduzione italiana è fedele al testo francese originale. Comunque è Lenin che, in Consigli ài un assente, cita da Marx. Cfr. K. MARX-F. ENGELS, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, in II 1848 in Germania e in Francia, Roma, Edizioni Rinascita, 1948, p. 99.
 
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