Comunismo - Scintilla Rossa

L'insurrezione armata, A. Neuberg

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Public Enemy
view post Posted on 29/11/2012, 16:20 by: Public Enemy




La Seconda Internazionale e l'insurrezione

L'insurrezione armata, in quanto una delle forme della lotta di classe del proletariato, è al centro del sistema di Marx ed Engels. La necessità assoluta, la fatalità del ricorso da parte proletaria a questa forma di lotta, in uno stadio storico determinato dell'evoluzione della lotta di classe in una data nazione, discendono direttamente da tutta la concezione marxista dello sviluppo delle forme sociali, del ruolo rivoluzionario della violenza nella storia, del ruolo dello Stato come strumento del dominio di una classe e, infine, della dittatura del proletariato. Negare la necessità e la fatalità dell'insurrezione armata e, in generale, della lotta armata del -proletariato contro le classi dominanti, significa ine-vitabilmente negare la lotta di classe nel suo insieme, negare la dittatura del -proletariato e, al tempo stesso, alterare i fondamenti stessi del marxismo rivoluzionano, riducendolo a una ripugnante dottrina di non resistenza.
Non riconoscere nella dittatura del proletariato la sola transizione possibile dal capitalismo al socialismo significa, praticamente, non ammettere la rivoluzione proletaria in generale. Tutte le altre concezioni che si sforzano di dimostrare la possibilità e la necessità di una diversa via, non violenta, cioè non rivoluzionaria, del passaggio dal capitalismo al socialismo, negano il ruolo storico del proletariato come avanguardia della società, ricacciandolo in una situazione subordinata rispetto alle altre classi.
Fondandosi sulla dottrina di Marx e Engels, Lenin ha genialmente dimostrato nelle sue opere, e soprattutto nell'importante suo scritto Stato e rivoluzione, l'inoppugnabilità di queste tesi essenziali del marxismo rivoluzionario, tuttavia sistematicamente ignorate, deformate e rese irriconoscibili dagli opportunisti. D'altro canto, la storia e il vergognoso fallimento ideologico della Seconda Internazionale, e in particolare della socialdemocrazia tedesca, l'atteggiamento di quest'ultima verso le questioni fondamentali (lo Stato, la dittatura, l'insurrezione) del socialismo scientifico, hanno confermato categoricamente, anche nella pratica, la fondatezza delle tesi di Marx e di Engels, giustificate e completate da Lenin in base a fatti storici nuovi.
Il ruolo di propagatore della deformazione opportunista del marxismo su questi problemi essenziali (dittatura del proletariato, lotta armata della classe operaia per il potere, annientamento dello Stato borghese e costituzione, sulle sue rovine, di un apparato governativo proletario e tutte le altre questioni di principio del marxismo rivoluzionario) appartiene, come si sa, alla socialdemocrazia tedesca. Mentre per Marx "la forza è sempre stata nella storia la puerpera dell'antico regime, portatrice di un re-gime nuovo"; mentre "tra società capitalista e società comunista intercorre il periodo della trasformazione rivoluzionaria della prima nella seconda... e lo Stato in questo periodo può essere sol-tanto la dittatura rivoluzionaria del proletariato;"1 mentre "la rivoluzione è un atto in cui una parte della popolazione impone all'altra la propria volontà, ricorrendo ai fucili, alle baionette e ai cannoni... e in cui il partito vittorioso è costretto necessariamente a conservare il proprio dominio con la paura che le sue armi incutono ai reazionari" (Engels); mentre, secondo Marx, "il proletariato crea le fondamenta del proprio dominio, rovesciando con la violenza la borghesia"2 e "soprattutto la Comune ha dimostrato che la classe operaia non può puramente e semplicemente impadronirsi della macchina dello Stato e farla funzionare ai propri fini,"3 ma deve "frantumarla, condizione prima di ogni rivoluzione autenticamente popolare sul continente,"4 la socialdemocrazia tedesca ha invece sempre sostenuto, e continua a sostenere, la tesi secondo cui il passaggio dal regime capitalista al regime socialista si compirà in modo pacifico, senza spargimento di sangue, senza la distruzione dell'apparato governativo della borghesia, senza l'istituzione della dittatura del proletariato.
Nel 1875 la socialdemocrazia tedesca, nella sua bozza di programma sulla questione dello Stato, non preconizzava affatto, nonostante l'esperienza della Comune di Parigi e il giudizio datone da Marx, la dittatura del proletariato (e la necessità del rovesciamento violento della vecchia macchina statale borghese), bensì "uno Stato libero popolare da sostituire all'attuale Stato prussiano fondato sul dominio di classe." Sappiamo che Marx e soprattutto Engels si beffarono impietosamente di questo articolo del programma di Gotha, definendolo "ciarlataneria" "da respingere, soprattutto dopo la Comune di Parigi," e aggiungendo che parlare di Stato popolare libero era un "nonsenso."5
Naturalmente, con un'idea così radicalmente falsa sulla natura dello Stato, il programma di Gotha evitava di porre la questione della dittatura e della lotta armata per la dittatura del proletariato.
E di tali problemi non si parlava minimamente nel vangelo della Seconda Internazionale, il programma di Erfurt adottato nel 1891. Invano vi si cercherebbe un accenno non solo alla dittatura del proletariato, ma persino alla Repubblica democratica, "ultima forma di governo della società borghese, sotto la quale si deve sviluppare la battaglia conclusiva" (Marx).
Nel commentario ufficiale del programma di Erfurt, Kautsky, l'apostolo della Seconda Internazionale, tentò nel 1892 di porre la questione della transizione da un regime sociale all'altro, ma la risolse in uno spirito prettamente opportunista:
Questa rivoluzione - ossia la presa del potere politico da parte del proletariato - può assumere le forme più svariate, a seconda delle condizioni in cui si compie. Non è affatto inseparabile dalla violenza e dallo spargimento di sangue? Si sono già viste nella storia universale delle classi sufficientemente perspicaci, sufficientemente deboli o sufficientemente codarde da arrendersi spontaneamente alla necessità dei fatti.7
Vediamo qui profilarsi nettamente la posizione opportunista della socialdemocrazia tedesca sulla questione della natura del passaggio del potere dalla borghesia al proletariato, passaggio concepito da Kautsky e dalla socialdemocrazia in genere non come frutto di una lotta di classe trasformatasi, a un dato momento, in lotta armata, accanita, delle classi oppresse contro la borghesia e le classi dominanti, non come dittatura del proletariato, insomma, bensì come sbocco d'una evoluzione pacifica e senza scosse, cedimento volontario delle posizioni sociali tenute dai borghesi.
Chissà poi qual era il caso concreto della storia universale che Kautsky aveva in mente a questo proposito. Lui non ce lo dice, né del resto avrebbe mai potuto dircelo, poiché sa perfettamente che nella storia universale non si conosce un solo esempio di classi dominanti che abbiano spontaneamente ceduto di fronte alla necessità. L'esperienza, anzi, insegna il contrario: nessun regime sociale né alcuna classe che incarnasse un ordinamento sociale qualsiasi hanno mai lasciato il passo volontariamente alla nuova classe sociale in ascesa, hanno mai abbandonato l'arengo della storia senza una lotta cruenta.
Tipica di questo punto di vista è la dichiarazione resa da Wilhelm Liebknecht al congresso di Erfurt:
Veramente rivoluzionari non sono i mezzi, bensì i fini. La violenza è sempre stata, nell'eternità, un elemento reazionario.8
Nel suo ultimo libro, La concezione materialista della storia, così si è espresso Kautsky a proposito della lotta armata e dello sciopero:
Con uno Stato democratico - l'attuale Stato borghese -, con una democrazia consolidata, la lotta armata non ha più alcuna funzione nella soluzione dei conflitti sociali, conflitti che si risolvono con mezzi pacifici, con la propaganda e il voto. Per-sino lo sciopero di massa, come mezzo di pressione della classe operaia, trova sempre meno motivo d'impiego.9
Ecco dunque, secondo Kautsky, la "via del potere," ecco il suo orientamento per quanto riguarda la lotta armata del proletariato contro la borghesia e lo sciopero come forma di lotta di classe e modo di soluzione dei conflitti sociali negli Stati capitalisti moderni! È il contrario dei principi marxiani sulle medesime questioni.
Però Kautsky, lungi dal limitarsi a rinnegare la necessità del ricorso alla violenza da parte del proletariato contro i suoi nemici di classe, assicura che la stessa borghesia si asterrà dalla lotta armata contro la classe operaia:

Dato il rapido sviluppo dell'industria, non sono più i mezzi militari, bensì i procedimenti economici ad assumere un peso decisivo nello Stato.
I capitalisti non dominano le masse come un tempo facevano i feu-datari, cioè tramite la superiorità militare... Finora hanno conservato il potere grazie alle loro ricchezze e all'importanza delle loro funzioni econo-miche nell'attuale processo produttivo. Lo conserveranno fino a quando le masse oppresse e sfruttate non comprenderanno la necessità di mettersi al posto dei capitalisti e delle organizzazioni che da essi dipendono, con organizzazioni appartenenti alla classe operaia e compiendo le stesse funzioni altrettanto bene, se non meglio.
È la necessità economica, non la superiorità militare, l'arma che i capitalisti opporranno al regime democratico delle classi lavoratoci.10

Dopo tale affermazione "teorica" circa la fonte del potere borghese, Kautsky assicura che la borghesia, al momento in cui i mezzi di produzione passeranno dalle sue mani a quelle della democrazia, non si sognerà nemmeno di opporsi con la resistenza armata.
Il programma di Heidelberg, adottato nel 1925 dalla socialdemocrazia tedesca, sanziona, a proposito dello Stato, l'atteggiamento di fatto della socialdemocrazia, quell'atteggiamento che essa ha sempre tenuto e che continua a tenere rispetto alla Repubblica borghese fin dalla rivoluzione del novembre 1918. Nell'attuale sistema repubblicano (in Germania così come in molti altri paesi, Austria, Svizzera, ecc.) la socialdemocrazia vede uno stadio transitorio che condurrebbe al socialismo, e si assume quindi categoricamente la difesa di questo regime. L'esperienza della guerra e del dopoguerra ha dimostrato con chiarezza evidente come i capi della socialdemocrazia tedesca siano davvero pronti ad ogni sacrificio per difendere la Repubblica borghese contro il proletariato rivoluzionario, accettando con grande entusiasmo il compito di cani da guardia e assolvendolo con il massimo zelo.
I ragionamenti di Kautsky del 1892 e del 1926, quelli di Liebknecht del 1891 e quelli degli altri teorici socialdemocratici sulla questione della violenza dei tempi recentissimi (si pensi a T. Haubach) si rassomigliano come gocce d'acqua. Ecco Haubach dichiarare gravemente:

Esiste un nesso tra il fine e i mezzi, come vuole la saggezza dei gesuiti. Ogni mezzo è al tempo stesso un fine, dice Hegel, e la saggezza delle nazioni ritiene che sia impossibile scacciare il diavolo col diavolo. Dunque il problema della violenza, in ogni fase dell'evoluzione, dipende dall'idea che ci si fa del fine ultimo del socialismo. Se si crede che questo fine ultimo, il socialismo, comporti l'assenza della violenza come sua condizione imprescindibile, allora e in ogni caso, si dovrà rispettare il principio della non violenza... per conseguire lo scopo finale.11

Oggi non trovereste un solo teorico socialdemocratico, neppure tra quelli cosiddetti di sinistra, che non solidarizzi in pieno con la formula già citata di Kautsky e degli altri leader della socialdemocrazia.
Seppure certi socialdemocratici, come Julius Deutsh12 in Germania, il socialdemocratico di sinistra Bruno Kalninch in Lettonia" ed altri ancora, pervengano talvolta, nelle loro opere teoriche, alla conclusione che, in certe condizioni particolari, il proletariato potrebbe anche far ricorso a metodi di costrizione nei confronti della borghesia, ciò non sposta minimamente il fondo delle cose. Kautsky e i suoi accoliti non avrebbero nulla da rimproverare loro in fatto di rispetto dei principi socialdemocratici. Le parole dure usate dai socialdemocratici di sinistra sulla possibilità di impiegare la violenza contro la borghesia sono indispensabili per mantenere in cattività ideologica quegli elementi pro-letari che non avessero ancora rinunciato a considerare la socialdemocrazia internazionale un partito operaio. È tuttavia evidente a chiunque che, finché la socialdemocrazia resterà fedele alla sua concezione dello Stato, negando la dittatura del proletariato e vedendo nella Repubblica borghese attuale una conquista della classe operaia da difendere contro i nemici all'interno (il proletariato rivoluzionario) e all'esterno, le sarà assolutamente impossibile chiamare veramente alle armi le masse lavoratrici per rovesciare la borghesia.
Gli autori del socialismo scientifico non hanno mai tradito i loro principi sul ruolo della violenza e dell'insurrezione proletaria. È una leggenda che Engels, nella sua prefazione alla Guerra civile in Francia di Marx, scritta immediatamente alla vigilia della morte (1895), avrebbe tradito le sue antiche idee sull'insurrezione, rinunciando ai metodi del 1848 e del 1871 e preconizzando l'evoluzione pacifica. È una leggenda propagata dai riformisti della socialdemocrazia tedesca da trent'anni a questa parte, ma ora che Rjazanov è riuscito a farsi consegnare da Bernstein il testo autografo di Engels, non vi sarà più spazio per l'inganno.
Oggi sappiamo che i redattori del Comitato centrale del Partito socialdemocratico, pubblicando la prefazione di Engels, ne stralciarono tutti i passi che accennassero ai fini storici (mobilitazione ed educazione rivoluzionaria delle masse, organizzazione ed educazione del Partito, ecc.) che erano quelli dei rivoluzionari tedeschi attorno al 1895, e alla necessità di ricorrere per il futuro alla lotta armata per la conquista del potere.
Le idee autentiche di Engels circa l'impiego della violenza traspaiono da un brano della lettera a Lafargue del 3 aprile 1895, nella quale l'autore protesta energicamente per la deformazione della sua prefazione al libro di Marx. Ecco quanto Engels scriveva in quella lettera:
X14 mi ha giocato un tiro mancino: nella mia introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-50 egli ha messo in risalto tutto ciò che poteva servire a sostenere la tattica contraria alla violenza e di pacifismo ad ogni costo, quella tattica che da qualche tempo egli ama tanto predicare, soprattutto ora che si preparano a Berlino le leggi eccezionali. Io, invece, raccomando questa tattica - di temporanea rinuncia alla lotta armata - soltanto per la Germania nell'epoca attuale, e sempre con grave riserva. In Francia, in Belgio, in Italia e in Austria non deve essere seguita inte-ramente; nella stessa Germania potrebbe rivelarsi inapplicabile nel prossimo futuro.15
Dalla prefazione di Engels, come oggi sappiamo, grazie al lavoro di Rjazanov, era stato soppresso per esempio il seguente paragrafo, che pure caratterizza le idee engelsiane sui combattimenti urbani:
Ne consegue allora che in futuro la battaglia per le strade non dovrebbe avere più il suo ruolo? Neanche per idea! Ne consegue semplicemente che, dal 1848 in poi, le condizioni si sono fatte meno favorevoli agli insorti civili e più favorevoli all'esercito. In futuro, quindi, ogni combattimento urbano potrà trionfare solamente se questo svantaggio della situazione sarà meno marcato durante la prima fase della rivoluzione sociale che non nelle fasi successive, e qualora il combattimento sia impegnato con forze più consistenti. Ma allora si preferirà, come durante tutta la grande Rivoluzione francese, o il 4 settembre e il 31 ottobre a Parigi, l'offensiva dichiarata alla tattica passiva delle barricate.16
Questo passo della prefazione di Engels, soppresso da Bern-stein all'atto della pubblicazione, nonché il brano sopra citato della lettera a Lafargue, costituiscono uno schiacciante atto d'accusa contro l'intera frazione dirigente della socialdemocrazia tedesca e, soprattutto, contro Bernstein, il quale tentava così di far passare Engels, agli occhi del Partito e di tutto il proletariato, per un rivoluzionario piccolo-borghese pentito dei peccati rivoluzionar!
di gioventù.
A tale proposito è interessante citare ancora un brano poco noto di Marx, in cui l'autore mette in rilievo le sue idee sulla violenza e sulla dittatura non più di due anni prima della morte. In una lettera al socialdemocratico olandese Domela Nieuwenhuys, così scriveva Marx il 22 febbraio 1881:
Un governo socialista non può mettersi a capo di un paese se non esistono le condizioni sufficienti perché possa anche prendere i provvedimenti voluti e spaventare la borghesia in modo da realizzare le condizioni preliminari di una politica conseguente.17
Credere di intimorire la borghesia con altri mezzi che non siano la violenza è un'illusione di cui soltanto la controrivoluzione
può approfittare.
Eppure la socialdemocrazia tedesca giudica altrimenti: lungi l'idea di spaventare in alcun modo la borghesia. Ecco quel che dice un'autorità di questa socialdemocrazia e di tutta la Seconda Internazionale, R. Hilferding:

La definizione data da Marx [lo Stato come mezzo di costrizione nelle mani delle classi dirigenti] non è una teoria dello Stato, per il semplice motivo che si riferisce a tutte le formazioni politiche dall'origine della società in poi...
Noi socialisti dobbiamo comprendere che l'organizzazione è costituita da aderenti, da dirigenti e da un apparato, il che significa che lo Stato, dal punto di vista politico, altro non è che il governo, apparato direttivo, e i cittadini che fan parte dello Stato...
D'altro canto, ne consegue che l'elemento essenziale di ogni Stato moderno sono i partiti, poiché l'individuo è in grado di manifestare la propria volontà solamente tramite un partito. Pertanto tutti i partiti sono essi stessi elemento dello Stato, non meno indispensabile del governo e dell'apparato amministrativo.18

Questa la definizione di Stato offertaci dall'autore del Capitale finanziario. Naturalmente, visto e considerato che lo Stato non è lo strumento di dominio di una classe, bensì "il governo, apparato direttivo, i cittadini e i partiti" (per cui il Partito comunista di Germania sarebbe "elemento indispensabile" dello Stato borghese), ne segue che in Germania e altrove il potere non è affatto nelle mani della borghesia, ma di tutte le classi e di tutti i partiti, nelle mani di tutti i cittadini che fan parte dello Stato. Se così è, però, lungi dal combattere lo Stato, conviene sforzarsi di occuparvi un posto adatto. In pratica ciò si manifesta nella formazione dei governi di coalizione, nei quali la social-democrazia si associa ai partiti borghesi, e in un'aspra lotta contro il proletariato rivoluzionario e la sua avanguardia, il Partito comunista, i quali si battono contemporaneamente con la borghesia e con i dirigenti socialdemocratici per instaurare la dittatura del proletariato. Tale fondamento teorico della già citata tesi controrivoluzionaria kautskiana intorno alla lotta armata e alla soluzione degli antagonismi sociali, significa che la socialdemocrazia tedesca (e non soltanto quella tedesca) crede d'aver già realizzato il sogno dello Stato popolare libero che accarezzava nel 1875, convinta che ormai non resti altro da fare che democratizzare prima questo Stato, poi democratizzare la Società delle Nazioni e, finalmente, entrare pacificamente, senza rivoluzione né dittatura né spargimento di sangue, nel socialismo.
Kautsky giustifica tale tesi ancor più nettamente. Ecco come parla dello Stato nel suo libro già citato sulla Concezione materialista della storia:

Dopo le ultime dichiarazioni di Engels sullo Stato è trascorsa più d'una generazione e il tempo non ha lasciato intatto il carattere dello Stato moderno. Se la definizione di Stato data da Marx e Engels, assolutamente esatta ai tempi loro, conservi o non conservi oggi tutta la sua importanza, questa è una cosa che richiede un approfondimento.19

Nel prosieguo del saggio, Kautsky si accanisce a dimostrare, con abilità sorprendente, come lo Stato dell'epoca del capitale finanziario abbia un carattere completamente diverso da quello di Marx e di Engels: non è più uno strumento d'oppressione di classe.
[Scrive a p. 599]: Lo Stato democratico moderno si distingue dai tipi precedenti in quanto l'utilizzazione dell'apparato governativo da parte delle classi sfruttatici non ne condivide l'essenza, non ne è inseparabile. Anzi, lo Stato democratico tende a non essere l'organo di una minoranza, come accadeva sotto i regimi precedenti, bensì quello della maggioranza della popolazione, cioè delle classi lavoratrici. Pertanto, se diventa organo d'una minoranza di sfruttatori, la causa non va ricercata nella sua natura intrinseca, bensì nelle classi lavoratrici, le quali mancano di unità, di conoscenza, d'indipendenza o di attitudine al combattimento, caratteristiche che, a loro volta, sono la conseguenza delle condizioni in cui queste classi vivono.
La democrazia offre la possibilità di annientare la potenza politica degli sfruttatori, circostanza che al giorno d'oggi, con il costante incremento numerico degli operai, si verifica effettivamente sempre più spesso.
Quanto più si allarga questa situazione, tanto più lo Stato democratico cessa di essere semplice strumento manovrato dalle classi sfruttatela. L'apparato governativo già comincia, in certe condizioni, a rivolgersi contro gli sfruttatori, cioè a funzionare in senso contrario a quello in cui funzionava finora. Da strumento d'oppressione, esso comincia a mutarsi in strumento d'emancipazione dei lavoratori.20
Ogni commento sarebbe superfluo. Il governo del capitale consorziato non è uno strumento nelle mani delle classi possidenti: è lo Stato che conduce il proletariato alla sua emancipazione.
Se a tutto questo si aggiungono gli attacchi sfrontati di Kautsky all'Unione sovietica, contro la quale egli si scatena cinicamente in vari brani della sua opera, i ditirambi in onore della Società delle nazioni, strumento di pace e paladina della democrazia, e le assicurazioni secondo cui le classi dominanti non impiegheranno mai le armi contro la democrazia; se ci si rammenta, infine, della condotta della socialdemocrazia tedesca nel dopoguerra, soprattutto nel 1918, '19, '20, '21 e '23, balza evidente agli occhi il motivo per cui Kautsky si è visto costretto a rivedere in modo tanto grossolano la dottrina di Marx e Engels sullo Stato.
A proposito della forza militare ed economica dello Stato moderno, Kautsky perviene alla seguente conclusione:
II valore internazionale che la Repubblica tedesca ha riacquistato mostra come la forza d'una nazione sia determinata molto più dai suoi progressi culturali ed economici, che non dall'importanza del suo esercito. Oggi, infatti, in pieno sviluppo democratico, uno Stato circondato da democrazie e che non persegua mire aggressive quasi non ha bisogno di un esercito per difendersi, dal momento che la Società delle nazioni è organizzata razionalmente. Se la Russia possedesse un regime democratico ed entrasse a far parte della Società delle nazioni, verrebbe a mancare uno dei principali ostacoli al disarmo generale.21
La Società delle nazioni, strumento di pace! L'URSS, strumento di guerra! Fino a che punto può giungere la sfacciataggine.
La falsificazione della prefazione di Engels, la deformazione del marxismo in tutti i punti essenziali, ecco che cosa era necessario ai riformisti per portare avanti il loro sporco lavoro opportunista al riparo del nome di Engels. Ne è dimostrazione lampante tutta la prassi socialdemocratica degli ultimi quindici anni, prassi sulla quale sarebbe inutile insistere (già da tempo si è chiarito il posto che occupa la socialdemocrazia nel sistema difensivo del regime borghese). Oggi tutti possono vedere come la socialdemocrazia, nella pratica come nella teoria, sia contro la violenza del proletariato ai danni della borghesia, ma a favore della violenza della borghesia ai danni del proletariato.
Da quanto è stato detto fin qui risulta che la socialdemocrazia tedesca, e tutta la Seconda Internazionale dietro di lei, non è mai stata veramente e fino in fondo marxista sui problemi fon-damentali del marxismo. La genesi del riformismo, la vergognosa resa ideologica della socialdemocrazia tedesca hanno cominciato a vedere la luce al tempo di Gotha e di Erfurt, passando per la falsificazione delle opere di Marx e di Engels sulla dittatura, sulla lotta armata del proletariato e sulla lotta di classe in genere, problemi decisivi che segnano la linea di demarcazione tra gli auten-tici rivoluzionari e tutto ciò che è estraneo alla rivoluzione. È a questo che si riferiva Lenin quando diceva:

L'elemento essenziale della dottrina di Marx è la lotta di classe. Cosi si dice e si scrive molto spesso. Ma questo non è vero e da questa affermazione errata deriva, di solito, una deformazione opportunista del marxismo, un travestimento del marxismo nel senso di renderlo accettabile alla borghesia. Perché la dottrina della lotta di classe non è stata creata da Marx, ma dalla borghesia prima di Marx, e può, in generale, essere accettata. dalla borghesia. Colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non è ancora un marxista, e può darsi benissimo che egli non esca dai limiti del pensiero borghese e dalla politica borghese. Ridurre il marxismo alla dottrina della lotta delle classi, vuoi dire mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare. Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e anche il grande). È questo il punto attorno al quale bisogna mettere alla prova la comprensione e il riconoscimento effettivi del marxismo. E non vi è da meravigliarsi che, nel momento in cui la storia dell'Europa ha condotto la classe operaia a porsi praticamente questa questione, non solo tutti gli opportunisti e i riformisti, ma anche tutti i "kautskiani" (gente che oscilla tra il riformismo e il marxismo) abbiano rivelato di essere dei miserabili filistei e dei democratici piccolo-borghesi che negano la dittatura del proletariato...
L'opportunismo non porta il riconoscimento della lotta di classe sino al punto precisamente essenziale, sino al passaggio dal capitalismo al comunismo, sino al periodo ó&W abbattimento della borghesia e del suo annientamento completo. In realtà, questo periodo è inevitabilmente un periodo di lotta di classe di un'asprezza inaudita, un periodo in cui le forme di questa lotta diventano quanto mai acute, e quindi anche lo Stato di questo periodo deve essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e i non possidenti in generale), e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia)... I socialdemocratici tedeschi, rifiutando i principi di Marx e di Engels sulla dittatura del proletariato e sul ruolo dello Stato, non hanno mai potuto porre convenientemente nella teoria (senza parlare di risoluzione pratica) la questione dell'insurrezione armata?2

Se abbiamo indugiato così a lungo sulla socialdemocrazia tedesca è perché essa rimane tuttora la guida morale della Seconda Internazionale. Tutto ciò che abbiamo detto a suo riguardo si riferisce del pari a tutti i partiti aderenti a questa Internazionale.
1 KARL MARX, Critica al programma di Gotha.
2 MARX e ENGELS, Manifesto del Partito comunista.
3 MARX e ENGELS, Prefazione al Manifesto del Partito comunista, edizione 1872.
4 MARX, Lettere a Kugelmann.
5 Lettera di Engels del 18-28 marzo 1875 a Bebel.
6 II corsivo è nostro.
7 KAUTSKY, II programma di Erfurt.
8 Citato dall'articolo di CH. RAPPOPORT, Ricordi di Engels, in Annali del marxismo.
9 KAUTSKY, La concezione materialista della storia, Ed. tedesca, tomo II, pp. 431-432.
10 KAUTSKY, ibidem, tomo II, p. 474.
II THÉODORE HAUBACH, II socialismo e la questione degli armamenti, in "Die Gesell-schaft," n. 2, anno III, p. 122.
12 V. JULIUS DEUTSCH, La forza armata e la socialdemocrazia, Berlino, p. 110. Deutsch rileva che in certi casi la borghesia applica la forza bruta contro il proletariato. In questi casi il proletariato "se non vuoi essere battuto senza combattere, non dovrà passivamente rinunciare al proprio futuro, e non gli resterà che far ricorso all'arma suprema della lotta di classe e rispondere con la forza alla forza."
13 BRUNO KALNINCH, La politica di guerra della socialdemocrazia, Riga 1928. L'autore scrive: "L'Internazionale operaia socialdemocratica ha adottato nel suo congresso di Bruxelles del 1928 un programma militare che, a proposito della limitazione degli armamenti, reclama: 1) l'interdizione della guerra chimica e batteriologica; 2) la limitazione dell'artiglieria pesante, dei carri armati, degli aerei e delle unità navali; 3) la riduzione dei bilanci della guerra; 4) il controllo internazionale sulla fabbricazione e sul traffico delle armi; 5) la soppressione delle leggi contro la pubblicazione di notizie sulle armi segrete. Queste decisioni devono essere applicate tramite accordi internazionali tra tutti i paesi. Il controllo sarà demandato alla Società delle Nazioni."
L'Internazionale ritiene che "la campagna per la limitazione internazionale degli armamenti potrà avere successo soltanto nella misura in cui si arriverà ad ottenere la soluzione pacifica dei conflitti internazionali." Per tale motivo l'Internazionale esige "il rinvio di ogni controversia internazionale a dei tribunali di arbitrato. La Società delle nazioni deve elaborare un trattato d'arbitrato vincolante per tutti e che tutti i governi dovranno sottoscrìvere. "
L'Internazionale fa obbligo a tutti i partiti socialisti di ottenere una legge che vieti la dichiarazione della mobilitazione generale prima che la controversia sia stata sottoposta alla Società delle nazioni in vista della soluzione pacifica. Contro i governi che rifiutino di demandare la controversia internazionale ai tribunali d'arbitrato e che intraprendano la guerra, l'Internazionale suggerisce l'impiego dei mezzi più radicali, "senza escludere neppure l'impiego della lotta violenta e delle azioni rivoluzionarie."
Ecco dunque l'atteggiamento della Seconda Internazionale sulla questione della guerra e del disarmo. Non è contro la guerra, ma soltanto contro la guerra chimico-batteriologica; non è contro gli armamenti in genere, ma soltanto contro gli armamenti illimitati. La guerra in genere è ammissibile e possibile, purché sia autorizzata dalla Società delle Nazioni imperialiste. Quanto alle minacce di Kalninch e di Deutsch a proposito dell'applicazione dei metodi rivoluzionari rivolte ai governi borghesi, si tratta di buffo-nate: le famose mozioni dei congressi di Stoccarda e di Basilea del 1907 e del 1912 erano più rivoluzionarie delle attuali gesta della socialdemocrazia, eppure non contarono più di un pezzo di carta straccia in occasione della guerra imperialista del 1914-18. Ricordiamo la guerra in Marocco e in Siria, gli interventi imperialisti in URSS e in Cina, quello degli Stati Uniti in America latina; ricordiamo anche le molteplici insurrezioni proletarie in vari paesi, gli scioperi operai, il ruolo e la condotta della socialdemocrazia in queste occasioni, e avremo finalmente chiara davanti agli occhi l'ipocrisia dei dirigenti "di sinistra" sulla questione della guerra, del disarmo e della lotta rivoluzionaria contro la borghesia.
14 Engels aveva in mente Bernstein.
15 La citazione è tratta dagli Archivi Marx-Engels, tomo II, 2a ed., p. 25. I corsivi sono dello stesso Engels.
w Ibidem, p. 259. Il corsivo è nostro.
17 MARX. Lettera a Domela Nieuwenhuys del 22 febbraio 1881, nella "Pravda" del 14 marzo 1928. Il corsivo è nostro.
18 HILFERBING, II Congresso socialdemocratico di Kiel del 1927. Citato dall'articolo di A. SLIEPKOV, II volto del traditore, in "Bolscevik," n. 8, 1928, p. 16.
22 LENIN, Le opere, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti, 1970, pp. 875-876.
 
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