Comunismo - Scintilla Rossa

Gramsci e Bordiga

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Psilocibe
view post Posted on 19/6/2012, 10:16




Ho trovato su internet la storia della nascita del PCd'I di Livorno di Giorgio Amico (che sinceramente non conosco e non so chi è). Sul rapporto tra Gramsci e Bordiga ho trovato cose interessanti: l'accusa di troschismo verso Bordiga ma dall'altra parte,se ho capito bene, il rifiuto dello stesso (Bordiga) dell'indicazione (da parte di Mosca) del Fronte Unito con i socialisti.

Insomma non comprendo bene l'accusa di troschismo che pare giustificata solo dalla "ortodossia" di un Bordiga (che se non erro stava in carcere in qual momento) che non voleva accettare la strategia dell'unione con i riformisti.

Scusate se la domanda vi pare idiota ma non conoscevo assolutamente il ruolo del rivoluzionario napoletano nella fondazione del partito comunista.

Copio da (http://www.ecn.org/reds/formazione/storias...05gramsci3.html)

Bordiga, Gramsci, l'Internazionale e la "questione italiana"

Le vicende del Partito comunista italiano e del suo gruppo dirigente non possono essere analizzate in modo avulso dal contesto internazionale. Il PCd'I nasce a Livorno come sezione italiana dell'Internazionale Comunista, vero e proprio partito mondiale della rivoluzione, ragion per cui è solo nel quadro dell'evoluzione del Comintern e della sua sezione guida, il Partito comunista russo, che si possono comprendere le convulsioni che scuotono il partito italiano e che porteranno nel giro di pochi anni al tramonto della leadership bordighiana e alla formazione di un nuovo gruppo dirigente attorno alla figura di Gramsci. E' un percorso quello dei rapporti fra il PCd'I e l'Internazionale assolutamente non lineare, segnato fin dalle origini da incomprensioni e sospetti derivanti dalla vecchia polemica sull'astensionismo tra Bordiga e Lenin, aggravati dalla scarsa manovrabilità del gruppo dirigente italiano che pure non perde occasione per dichiararsi interprete fedele del bolscevismo(15). Nell'estate del 1921, a pochi mesi dalla scissione di Livorno, l'Internazionale Comunista tiene il suo Terzo Congresso in cui di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria si inizia a riconsiderare la questione dei tempi della rivoluzione in Occidente. La risposta verrà trovata nella tattica del fronte unito, vigorosamente caldeggiata da Trotsky(16). Lo sconcerto è enorme. Terracini ricorda come i delegati italiani fossero colti di sorpresa dalla relazione introduttiva di Radek. "Ci sembrò una richiesta assurda, stupefacente. Riunii la delegazione, che presiedevo come membro dell'Esecutivo del Partito, e fummo tutti d'accordo nell'opporre il nostro rifiuto"(17). Il fatto è che la svolta è vissuta come una sconfessione implicita della scissione di Livorno, come una manifestazione di pentimento che pare giovare solo ai serratiani o a chi, come Tasca, dentro al partito non ha mai accettato la scissione come un fatto definitivo. La risposta di Bordiga e, bisogna dirlo, di larghissima parte del nucleo dirigente italiano, consisterà nelle Tesi di Roma, documento base del Secondo Congresso del PCd'I (Roma marzo 1922). E' la nascita di una "questione italiana" che si protrarrà per l'intero arco degli anni '20 per chiudersi solo nel 1930 con l'espulsione dei "Tre" e la definitiva stalinizzazione del partito(18).

La questione Trotsky nel partito e nell'Internazionale

L'esplodere alla luce del sole della lotta di frazione nel partito russo segna un salto di qualità nella crisi di direzione del partito italiano. Il problema rappresentato da un Bordiga volontariamente ai margini ma con ancora un largo seguito si va inevitabilmente ad intrecciare con quella che ormai apertamente viene definita la "questione Trotsky". Superato un iniziale momento di sconcerto, Gramsci andrà via via allineandosi con il gruppo dirigente del Partito russo e dell'Internazionale, dove le sue simpatie vanno spostandosi sempre più da Zinov'ev a Bucharin.(1) E' un Gramsci che non riesce a cogliere la portata storica della battaglia ingaggiata da Trotsky. Pur parlandone con rispetto, Trotsky ai suoi occhi resta l'avversario della politica di apertura ai contadini, l'uomo della guerra di movimento, il potenziale affossatore di quella NEP che gli appare sempre più come l'unica via praticabile per il consolidamento del potere sovietico. Questa incomprensione segna l'intero atteggiamento di Gramsci e spiega sia l'assimilazione forzata che egli compie di Bordiga a Trotsky sia i metodi amministrativi con cui, come vedremo, verrà liquidato il dissenso interno. Egli è realmente convinto che le critiche di Trotsky rappresentino una minaccia per la stabilità del potere sovietico, di conseguenza anche il dissenso bordighiano non può più essere tollerato. Nel suo intervento alla conferenza di Como(2) Gramsci per la prima volta accomuna apertamente Bordiga a Trotsky: "Quanto è accaduto recentemente in seno al PC russo - dichiara - deve avere per noi valore di esperienza. L'atteggiamento di Trotsky in un primo periodo può essere paragonato a quello attuale del compagno Bordiga. Trotsky, pur partecipando "disciplinatamente" ai lavori del Partito, aveva col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile a quello di Bordiga - creato un senso di malessere in tutto il partito il quale non poteva non avere sentore di questa situazione. Ne è risultata una crisi che è durata parecchi mesi e che oggi soltanto può dirsi superata. Ciò dimostra che una opposizione - anche se mantenuta nei limiti di una disciplina formale - da parte di spiccate personalità del movimento operaio, può non solo impedire lo sviluppo della situazione rivoluzionaria ma può mettere in pericolo le stesse conquiste della Rivoluzione".(3)

Posto in questi termini il confronto non può non assumere via via toni sempre più duri. Il 6 febbraio 1925 il C.C. approva, nonostante forti resistenze da parte dei rappresentanti della federazione giovanile, una mozione di condanna che nel colpire Trotsky mira in realtà ad assestare un duro colpo alla sinistra. "E' evidente - si afferma nella mozione con trasparente riferimento a Bordiga - che deve essere considerato come controrivoluzionario ogni atteggiamento che tenda a diffondere nel Partito una generica sfiducia negli organismi dirigenti della Internazionale e del Partito russo, sia travisando a questo scopo la questione Trotzky, sia ritornando sopra questioni definite dal V Congresso".(4) Alla durissima presa di posizione del CC segue il 18 febbraio un rapporto di Togliatti con il quale si informa la Segreteria del Comintern che all'interno del PC permane una forte corrente filo-trotskista animata dai bordighisti. Al rapporto Togliatti allega un articolo dello stesso Bordiga su "La questione Trotsky", in cui Bordiga difende vigorosamente il capo dell'Armata Rossa, denunciando gli argomenti e i metodi denigratori usati dalla maggioranza del partito russo.(5) E' da Mosca che arriva agli italiani l'ordine di mettere da parte ogni riguardo nei confronti dell'opposizione di sinistra. Nel corso della Quinta sessione dell'Esecutivo allargato dell'IC Stalin in persona chiede al delegato italiano Scoccimarro di rompere gli indugi e di unirsi apertamente al linciaggio di Trotsky. Mentre Gramsci significativamente tace, il 3 aprile Scoccimarro prende la parola per denunciare la "deviazione" trotskista divenuta sintesi di "tutte le deviazioni antibolsceviche". La lotta nel PCd'I contro Bordiga e la sinistra è ormai inseparabile dalla più generale campagna nel partito russo e nel Comintern per la liquidazione definitiva di Trotsky e della sinistra internazionale. E', infatti, impossibile spiegare il durissimo contrasto che nel '25-'26 lacera il partito esclusivamente in base alle divergenze fra Bordiga e Gramsci sulla organizzazione comunista (sezioni territoriali o cellule), sulla politica sindacale (comitati operai invece che ricostruzione dei sindacati) o sulla tattica aventiniana. Ma non è solo Stalin a pensare che la questione italiana sia solo uno dei terreni della più generale battaglia per il pieno controllo del Comintern. Anche per Bordiga il contrasto è di fondo e parte da una profonda sfiducia nella direzione del Comintern, per cui in mancanza di una vera svolta nella dirigenza o nella linea del partito mondiale, il PCd'I semplice sezione nazionale, non potrà fare che una politica oscillante e perdente. Su queste basi, nel contesto di un'Internazionale ridotta sempre più a mera appendice dello Stato russo, quella di Bordiga è una sconfitta annunciata.

Resta ancora oggi poco chiaro quale conoscenza Bordiga avesse della battaglia in corso nel partito russo e nel Comintern e quanto ciò contribuisse a determinare un atteggiamento "aventiniano" che gli aliena molte simpatie e offre argomenti preziosi ai suoi denigratori. Di sicuro Bordiga nutre la ferma convinzione che a Mosca la partita non sia chiusa e che la situazione dei rapporti di classe a livello mondiale possa ancora evolversi positivamente fino a determinare un radicale cambiamento di prospettiva per l'Internazionale. Ragion per cui ai rivoluzionari basta porsi in posizione d'attesa, mantenendo nel contempo le mani libere nei confronti di una politica destinata a sicura sconfitta. Uno dei principali esponenti della sinistra, Bruno Fortichiari, ha accennato a contatti con esponenti dell'Internazionale che Bordiga avrebbe avuto immediatamente prima di Lione. "Forse - scrive Fortichiari - egli da Mosca ha riportato questa convinzione, che ci fossero delle possibilità di azione, se non immediate almeno col tempo. Ha avuto questa convinzione che contrastava con la nostra convinzione, mia, di Damen e di Repossi, che non abbiamo mai avuto questa speranza. Per noi la rottura c'era e c'era poco da fare, e interessava secondo noi affermare pubblicamente la rottura cioè quasi sfidare la direzione minoritaria del partito ad un provvedimento".(6) Al di là delle possibili interpretazioni, resta il fatto che la sinistra e in particolare un Bordiga prigioniero di una visione astrattamente oggettivistica dell'azione politica, giocano male le carte ancora rilevanti di cui dispongono,(7) il tutto aggravato dal mutamento in atto nel partito che non è più per composizione lo stesso di Livorno e del 1921-1923. Un partito passato dopo gli sbandamenti dovuti alla vittoria della controrivoluzione fascista, da 9 a 30 mila iscritti, in gran parte giovani proletari senza "memoria politica" e quindi privi di timori reverenziali nei confronti del "padre fondatore". Giovani, affamati d'azione, speranzosi in una possibile rivincita, a cui l'attendismo meccanicistico di Bordiga non può che risultare incomprensibile. Una leva di militanti conquistati al Partito dall'attivismo gramsciano, dalla sua visione, in questo compiutamente leninista, della centralità della politica come continuo sforzo di definizione di obiettivi transitori praticabili a livello delle più larghe masse. Quanto ai quadri dirigenti, nazionali e locali, del partito risulta determinante nello spiegare il quasi generale abbandono delle suggestioni bordighiane lo sconcerto prima, l'aperta irritazione poi nei confronti di un atteggiamento considerato quasi una diserzione dalle responsabilità proprie di un dirigente rivoluzionario. Non va, tuttavia, sottaciuto che la sconfitta di Bordiga è anche il frutto dell''uso sistematico nel dibattito interno al partito di metodi amministrativi e intimidatori nei confronti della minoranza a partire almeno dalla campagna contro il cosiddetto "Comitato d'Intesa".(8) E' questa una pagina oscura nella storia politica di Antonio Gramsci che nella lotta contro la sinistra tollera l'uso di "toni da caccia alle streghe contro il 'frazionismo', una interpretazione poliziesca delle differenziazioni politiche, una predisposizione ad accettare espulsioni con eccessiva disinvoltura, un giudizio favorevole sui voti unanimi alla direzione dell'Internazionale".

 
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