Comunismo - Scintilla Rossa

Scritti di Sandro Pertini sull'URSS e Stalin

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-Bardo-
view post Posted on 25/8/2011, 15:11 by: -Bardo-




« Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto. Costernati siamo perchè tutti avvertiamo il vuoto che Egli lascia tra il suo popolo e nell'umanità intera. »
(Commemorazione di Stalin al Senato, da «l'Unità» del 7 marzo 1953)

Brani tratti da:
Il libretto rosso di Pertini, a cura di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino, Edizioni Purple Press, 2011

Giuseppe Stalin

Oggi Giuseppe Stalin compie settant'anni . Quest'avvenimento non riguarda esclusivamente l'URSS, bensì pure le masse lavoratrici di tutti i paesi, perché Giuseppe Stalin - rivoluzionario indomito, da cinquant'anni al suo posto di lotta, senza mai deflettere - si è battuto e si batte per il suo popolo e per l'umanità intera. Riguardando in prospettiva tutta questa vita spesa per un'idea, appare subito evidente come Giuseppe Stalin abbia sempre avuto chiara dinanzi alla sua mente la visione della meta cui voleva tendere. A questa meta egli ha decisamente puntato fin dal primo istante della sua lotta, duro con se stesso e con gli altri, implacabile contro chiunque - nemico o compagno - tentasse di farlo deviare o di trattenerlo, sicuro che giusta era la strada presa: la strada indicata da Lenin. Compiuta la Rivoluzione d'Ottobre, ha costruito il socialismo nella sua patria e lo ha quindi irradiato nelle patrie altrui , sia nel cuore dell'Europa, sia nell'Estremo Oriente, nell'immensa Cina.
Tutti questi popoli che hanno conquistato la meta suprema e tutti gli altri che stanno per conquistarla guardano all'URSS come alla loro seconda patria e come alla roccaforte del socialismo, contro cui già una volta si è spezzata la rabbiosa prepotenza reazionaria e contro cui si spezzerebbe ogni nuovo assalto delle forze imperialistiche. E guardano a Giuseppe Stalin come una guida del mondo del lavoro. Quest'uomo - capo non solo di un forte Stato, ma di tutto un popolo - seppe in un'ora tragica per la propria patria trasfondere nelle genti sovietiche la sua stessa volontà di lotta, il suo stesso incrollabile coraggio. E dietro lui tutto un popolo si mosse. Fu prima la resistenza tenace, poi la travolgente insurrezione, quindi la splendida vittoria. I proletari del mondo intero - i quali trepidanti avevano trattenuto il respiro durante le tragiche ore di Stalingrado, perché sentivano come la loro sorte fosse legata alla sorte stessa dell'URSS - esultarono. La vittoria dell'Unione Sovietica era anche la loro vittoria. E oggi quest'uomo dall'animo temprato e forte come il suo nome, dal corpo ancora vigoroso, è alla testa non più del solo suo popolo, ma di tutti i popoli lavoratori che vogliono difendere ad ogni costo la pace e che protesi sono verso il proprio riscatto. Per questo da ogni parte del mondo dove vi sono lavoratori ancora oppressi e impegnati in aspre lotte contro la reazione, o dove lavoratori ormai liberi sono intenti a costruire la società socialista si leva il saluto augurale verso Giuseppe Stalin.

(«Lavoro nuovo», 21 dicembre 1949)


Di ritorno dall'URSS

Se ogni mio compagno potesse andare nell'URSS, come fìnalmente vi sono andato io, ritornerebbe tutto preso dalla certezza del trionfo della nostra idea e lascerebbe dietro di sé le perplessità, le delusioni, i dubbi che nel suo animo possono essere stati accumulati dalla nostra grigia vita politica, la quale, spesso deprimente e umiliante, sembra svolgersi in un vaso chiuso. Prendendo contatto con il popolo sovietico, con le sue gigantesche realizzazioni, con la possente volontà di costruire e di lottare senza arrendersi dinami a nessun ostacolo, si ha subito la sensazione di un mondo nuovo. È il mondo che dall'ottobre 1917 avanza inarrestabile come il destino. Il destino dell'umanità. E la nostra idea, che a qualcuno stanco, logorato dalla lunga e dura lotta può ormai apparire solo una «sublime utopia», nell'URSS è una realtà. Milioni di uomini oggi non sognano più il socialismo e ad esso più non guardano come a una lontana meta, ma lo vivono, è per essi la realtà di ogni giorno. E tutte le oziose critiche, le stupide insinuazioni, le interessate calunnie di chi disperatamente si aggrappa a un mondo condannato a perire , appaiono solo fastidiosi ronzii d'api in bugni vuoti, inutili chiacchiere di povere pettegole, oscene smorfie di nani verso l'opera di un gigante. È dall'ottobre 1917che l'odio, l'insulto e la calunnia vengono gettati contro il popolo sovietico, il quale sotto la guida vigorosa e illuminata dei suoi capi ha continuato impassibile per la propria strada, ha raggiunto la meta suprema e la ha saputa difendere, stroncando prima la controrivoluzione e poi le forze dell'imperialismo nazista. E adesso, con le armi al piede, questo popolo è tutto intento a ricostruire nel suo paese ciò che la guerra ha distrutto e a perfezionare la sua grande opera sociale, opera che non appartiene solo al popolo sovietico, ma anche a quanti credono veramente nel socialismo. Perché nell'URSS, ripetiamo, è il socialismo che trionfa.
Esaminiamo un'altra volta in modo più dettagliato le realizzazioni attuate nell'Unione Sovietica, oggi vogliamo solo dare una visione sintetica di questo mondo nuovo. Nell'URSS è stato abolito ogni privilegio ed è stato eliminato lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo; scomparsi sono i mali generati dalla società capitalistica, congeniti alla sua stessa natura e cioè la disoccupazione, la miseria, l'analfabetismo, la prostituzione. E il lavoro che nei regimi capitalistici si risolve in una pena, nell'URSS è divenuto quello che dovrebbe realmente essere per tutti e cioè sorgente di vita, di forza, di gioia. L'operaio e il contadino sovietici mentre lavorano non sono, come i nostr i operai del nord e braccianti del sud, dannati a chiedersi fra una maledizione e l'altra perché mai debbano faticare lunghe ore senza trarre dalla loro fatica l'indispensabile e sfamare se stessi e la propria famiglia e perché solo per soddisfare l'egoismo dell'azionista ingordo e del barone ozioso debbano logorarsi in una fatica bestiale. Nell'Unione Sovietica l'operaio e il contadino sentono che con il proprio lavoro, sia esso il più umile, sono necessari e utili alla collettività, cui essi appartengono, e quindi utili a se stessi; sentono, perciò, di lavorare in ultima analisi per se stessi, in quanto essi sono lo Stato socialista. E dal lavoro di ogni giorno traggono mezzi tali da poter far vivere le loro famiglie senza alcuna preoccupazione materiale. Varcate la soglia della casa d' un contadino russo e saranno il benessere, la tranquillità, la pace a venirvi incontro, non la miseria, la tubercolosi e la malaria come quando varcate l'uscio dei tuguri ove ancora molti contadini dell'Italia meridionale sono costretti a vivere. Visitate i numerosi nidi per bambini e vi persuaderanno come l'infanzia nell'URSS sia protetta. Nei nidi e per la strada visi ridenti di bimbi sani, ben nutriti voi vedete e gli adulti vi si presentano sereni e tranquilli, nessun isterismo bellicista li agita , bensì solo una ferma volontà di lavorare per la patria sovietica li guida, consapevoli di lavorare così anche per l'umanità intera, tanto sono profondamente internazionalisti. È un popolo tutto compatto, non tormentato da interni contrasti, intenti a una comune opera, proteso verso una meta unica. Dal più modesto lavoratore della terra o dell'officina allo scienziato e allo scrittore celebri, dal semplice soldato dell'Armata Rossa al più alto dirigente dello Stato, tutti si sentono uniti da una stessa fede e da un compito comune. Per questo oggi in Russia si può dire sia stata politicamente e spiritualmente realizzata una vera unità nazionale. Naturalmente un tale popolo non può non voler la pace, perché la pace è insita nella sua stessa fede politica e perché gli è necessaria al compimento della sua opera grandiosa. Perciò noi, messaggeri di pace, siamo stati accolti fraternamente nell'URSS, mentre altri messaggeri di pace sono stati respinti dagli imperialisti americani, invasati dalla follia di guerra. Il popolo sovietico è ben deciso a difendere la pace. Di fronte alla follia bellicista degli imperialisti sta la serenità e la fermezza di Stalin e del suo popolo. Nessuna delle molte insensate provocazioni viene accettata dal popolo sovietico e dal suo Capo e questo solo perché la pace sia salva. Il popolo sovietico vuole, dunque, la pace, ma se per dannata ipotesi gli imperialisti osassero aggredirlo, insorgerebbe compatto, deporrebbe gli strumenti della sua quotidiana fatica per impugnare di nuovo le armi e rinnoverebbe il miracolo d'eroismo di Stalingrado, stroncando ancora una volta le forze imperialistiche.
Per tutto questo oggi intorno all'Unione Sovietica, al paese del socialismo, si str ingono, dalla Cina alla Cecoslovacchia, circa cinquecento milioni di uomini finalmente liberi sotto le bandiere della democrazia popolare e milioni di altri lavoratori sparsi per tutto il mondo e oppressi ancora dalle forze della reazione. È questa una solida barriera umana contro cui le forze della guerra si spezzeranno.
Ecco perché tornati in questa nostra Italia, dominata da un governo clerico-conservatore , umile servo verso lo straniero, prepotente aguzzino verso i lavoratori italiani, deciso a trasformarsi in regime con gli ultimi provvedimenti polizieschi, pensiamo con solidarietà e nostalgia ai nostri fratelli dell'Unione Sovietica e con rinnovata speranza guardiamo alle rosse stelle che brillano sul Cremlino.
Anche per noi esse brillano.

(«Avanti!», 19 marzo 1950)


La strada del Socialismo


[...] Nella lotta gigantesca che si sta svolgendo nel campo internazionale, il PSI non ha esitato un solo istante a mettersi dalla parte del Mondo del Socialismo, alla cui testa sta l'Unione Sovietica. Così, senza timori e perplessità, che può nutrire soltanto chi non possiede una chiara e salda coscienza socialista, il nostro Partito ha sostenuto la Cina di Mao Tse-tung, sostiene oggi con lo stesso animo lo sforzo eroico, sublime dell'esercito popolare coreano, il quale si batte per l'indipendenza della sua patria e per il trionfo della classe lavoratrice della libera Corea: e sostiene la lotta tenace dei patrioti annamiti, che sotto la ferma guida di Ho-Chi-Minhn puntano decisi verso il loro riscatto. Questa posizione ha assunto il PSI giustamente consapevole che ogni lotta per la libertà e, per la giustizia, e quindi per il socialismo, è pure la sua lotta. E non può disertarla senza disertare la causa stessa del socialismo [...].

(«Avanti!» e «Lavoro nuovo», 16 gennaio 1951)
 
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