Comunismo - Scintilla Rossa

Palestina

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Klim Voroshilov
view post Posted on 24/10/2011, 21:06




Se Israele fosse veramente socialista, dovrebbe liquidare il colonialismo e l'oppressione verso i Palestinesi. In URSS tutti i popoli prima oppressi dal nazionalismo grande-russo ebbero proprie repubbliche federate o autonome. Un paese socialista che pratica imperialismo è un ossimoro.
 
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Staliznev
view post Posted on 24/10/2011, 21:11




CITAZIONE (Klim Voroshilov @ 24/10/2011, 22:06) 
Se Israele fosse veramente socialista, dovrebbe liquidare il colonialismo e l'oppressione verso i Palestinesi. In URSS tutti i popoli prima oppressi dal nazionalismo grande-russo ebbero proprie repubbliche federate o autonome. Un paese socialista che pratica imperialismo è un ossimoro.

Senza contare che non ha neanche un economia pianificata! E commercia e intrattiene rapporti amichevoli con la potenza capitalista per eccellenza!
 
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Antropius
view post Posted on 24/10/2011, 21:28




CITAZIONE
Il sistema degli ebrei non è da accogliere per noi perché è capitalista

CITAZIONE
il sistema ebraico non esiste, esiste il sistema capitalista che è quello dello stato sionista di israele!

Ma non hai seguito niente della conversazione, eh?
Per sistema ebraico intendevo quello presente nei Kibbutz, ossia dei piccoli villaggi presenti solo in Israele. Se non hai seguito eccoti un riassuntino:
Nei Kibbutz si vive seguendo un modello comunista, in cui ognuno lavora per vedersi dare in cambio il frutto del lavoro degli altri, in sostanza il mio lavoro è in grado di produrre un bene specifico per me e te, ed il tuo un bene specifico diverso anche questo per entrambi.
Gli errori ci sono stati nella diplomazia, infatti gli ebrei, inebriati dal loro aver finalmente ottenuto la "terra promessa", intendevano averne sempre più, ed i palestinesi hanno giustamente reclamato per sé queste terre.
Tuttavia la cecità dei palestinesi non ha loro permesso di vedere che il sistema degli ebrei funzionava e che se avessero iniziato ad usarlo anche loro probabilmente patteggerei per questi ultimi.
Ora mi trovo a dover decidere tra: uno stato che applica il comunismo ma che per farlo deve imporlo ad un popolo,ed un popolo che non sembra avere buone possibilità di diventare socialista ma che ha la ragione almeno sulla questione territoriale.
O si spera in una pace fra i due blocchi, in cui gli ebrei accettano di accogliere i palestinesi nel loro paese ed i palestinesi accettano di seguire il modello filo-comunista di Israele, oppure io mi trovo a tifare per Israele.

E basta dire che Israele ha oppresso i palestinesi o che è colonialista, sembrate gli stessi che anni fa dicevano che l'URSS sbagliava nell'epurarsi e che aveva torto nel tentare di portare il comunismo negli altri paesi.
 
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Klim Voroshilov
view post Posted on 24/10/2011, 21:48




CITAZIONE
E basta dire che Israele ha oppresso i palestinesi o che è colonialista, sembrate gli stessi che anni fa dicevano che l'URSS sbagliava nell'epurarsi e che aveva torto nel tentare di portare il comunismo negli altri paesi.

L'URSS infatti non occupò mai un paese imponendo il socialismo con la forza. Il massimo che può fare un paese socialista per espandere la rivoluzione è l'aiuto militare e\o logistico ai comunisti degli altri paesi.

Sui Kibbutz mi sorgono alcune domande: gli scambi interni avvengono in natura, ma quelli esterni? Come sono organizzate la proprietà e l'usufrutto dei mezzi di produzione?

Sull'imperialismo israeliano: qual è l'operazione più tipica di un paese imperialista verso un paese "colonia"? E' l'esportazione dei capitali verso le fonti di materie prime e, in generale, verso le ricchezze non sfruttate del paese "colonia". Israele pratica una politica simile per quanto riguarda le risorse idriche della Palestina.
 
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Staliznev
view post Posted on 24/10/2011, 21:51




La fonte è uno schifo, ma ciò che dice è importante al di là delle libertà che si prende

Nate in Israele come modelli di vita comune ispirata a valori socialisti e populisti, le comunità agricole sono state costrette ad accogliere il capitalismo per sopravvivere. Persino sotto le sembianze di un McDonald's
I kibbutz israeliani hanno resistito alle guerre, alle siccità, ai tentativi falliti di pace con i palestinesi, ma adesso, circa cento anni dopo la fondazione della prima, molte di queste comunità agricole, stanno per essere spazzate via da qualcosa di meno "idealista": l'economia di mercato.
Un articolo pubblicato dal Wall Street Journal Europe ha raccontato il caso emblematico del kibbutz Gan Shmuel, a Nord di Tel Aviv.

A vederlo da lontano sembra più un centro commerciale, con la stazione di servizio, il supermercato, i negozi e, addirittura, un McDonald's. Ma dietro ci vivono 800 persone. C'è una fabbrica di succhi d'agrumi, un immenso refettorio e, più in là, la fattoria, con gli animali e i campi da coltivare. Attorno, decine di piccoli padiglioni. Cosa è successo, allora, alla sua facciata?

UN MCDONALD'S NEL KIBBUTZ
In seguito alla crisi economica dei primi anni '90, con debiti in aumento e giovani in fuga, le comunità di contadini socialisti hanno deciso di aprirsi alle grandi multinazionali. Risultato: laddove c'erano i campi coltivati collettivamente, sorge ora un fast food della catena americana McDonald's. I servizi e gli alloggi sono ancora gratuiti ma altri cambiamenti appaiono inevitabili.

Gan Shmuel è solo un esempio del cambiamento epocale in corso nei kibbutz dove prima non c'erano salari e proprietà privata, e che invece adesso vedono prosperare le privatizzazioni.
Erano modelli perfetti di vita comune: gli affari servivano a sostenere la comunità fornendo alloggi, cibo, educazione, servizi sanitari e trasporti.

Il Wall Street Journal Europe sottolinea come la svolta sia dovuta al taglio dei tradizionali sussidi decisa negli scorsi anni dal governo israeliano; mossa che ha quindi costretto le comunità collettive a trovare nuovi sistemi di finanziamento. Nei circa 270 kibbutz che ancora esistono in Israele, vivono circa 110.000 persone, in calo dal picco degli anni Novanta quando le comunità socialiste contavano complessivamente 125.000 membri.

VERSO LE PRIVATIZZAZIONI
Adesso molti di questi kibbutz devono essere sostenuti economicamente dagli stessi membri e molti sono quindi diventati aziende per necessità più che per vocazione.



PICCOLA STORIA DEI KIBBUTZ

Cento anni fa in Palestina

Il kibbutz è un esempio, unico, di democrazia diretta del mondo moderno, fondata sulla libertà personale, l'autogoverno, la reciproca responsabilità e, soprattutto, la proprietà collettiva di tutti i beni.

Questi insediamenti sono nati circa cento anni fa in Palestina come idealizzazione della campagna e del lavoro agricolo tipico del populismo; l'idea del collettivo che deriva dal socialismo; la necessità di costruire una Nazione ebraica.

Una società nuova, paritaria, che negava il valore della famiglia (nel senso borghese), voleva raggiungere l'uguaglianza dei sessi, esaltava la necessità dell'educazione collettiva della prole.

Come una grande famiglia il kibbutz giunge a provvedere alle esigenze di tutti i membri, dal cibo all'alloggio, dai capi di vestiario all'istruzione, alla sanità.
Ma il processo di privatizzazione potrebbe andare oltre perché il governo ha intenzione di cedere case e terreni ma non sa ancora se gratis o meno.

Una vera rivoluzione dal momento che il kibbutz e il suo modello di vita è stato alla base della nascita dello stato di Israele.
"Il movimento dei kibbutz ha stabilito la sovranità dello Stato e quindi è giusto che i suoi membri abbiano dei benefici, ora che Israele è diventato uno Stato ricco", dice Ephraim Sneh, uno dei parlamentari che sta sponsorizzando l'atto.
Ma il fatto che si stia pensando a promulgare un atto del genere spiega anche quanto siano cambiati i kibbutz in epoca recente.

Hanno giocato un ruolo fondamentale dopo la guerra d'indipendenza del 1948 fornendo cibo per un'intera popolazione affamata e sicurezza per i confini incerti. Fino a gran parte degli anni Sessanta sono stati il motore della vita economica e sociale e hanno avuto un'incredibile fama all'estero e attirato orde di giovani visitatori europei e americani.

Ma con le nuove terre, conquistate dopo la guerra del 1967, il governo ha rivolto altrove i suoi finanziamenti togliendoli ai kibbutz i quali, continuando ad averne bisogno, li hanno chiesti in prestito alle banche. Quando poi il governo ha alzato gli interessi per affrontare l'inflazione della metà degli anni Ottanta molti kibbutz sono finiti in miseria. Il governo ha cercato di ovviare preparando un piano di risanamento dei debiti ma il danno ormai era fatto.

ORA, QUI, SI PAGA
Ecco perché l'arrivo dell'economia di mercato è stata la manna per molti kibbutz che, attualmente, nel 75% dei casi fanno pagare il cibo, nell'82% l'elettricità, il 25% ha introdotto i salari e il 30% un sussidio per i servizi sanitari. Uno scivolamento dai valori socialisti a quelli materialisti e individualisti.
Così, i membri del kibbutz Hatzarim, nel sud della regione Negev, hanno creato una delle più grandi imprese, Netafim Corp., che produce irrigatori e altri prodotti per l'agricoltura. Impegna 200 dei suoi 420 membri. L'anno scorso l'azienda, con 32 filiali per 100 Paesi, ha fatturato 238 milioni di euro e per il 2005 le previsioni sono anche più rosee.

Altri kibbutz hanno cominciato a fornire servizi secondo lo stesso modello. E così, seguendo l'andamento dell'economia globale e delle mode, alcuni sono diventati centri con spa, piscine, palestre, saloni di bellezza. Tassa di iscrizione annua di 1.000 dollari (800 euro) . Anche per i membri. Il che non risponde esattamente al famoso principio "da ognuno secondo le sue possibilità, ad ognuno secondo i suoi bisogni". Rappresenta semplicemente la necessità di sopravvivere e di adattarsi ai tempi e al mondo.

http://archivio.panorama.it/home/articolo/idA020001031515

Poi c'è anche questo

Sternhell: il socialismo tradito da Israele
I kibbutz servirono soprattutto a conquistare il territorio

D i recente hai scritto un importante lavoro sulla nascita dello Stato israeliano «Nascita d' Israele. Miti, storia, contraddizioni». Come è nato? E come si collega con gli altri tuoi lavori? «Qui c' è un aspetto autobiografico. Quando giunsi in Israele, nel 1951, sentivo sempre parlare di socialismo israeliano. Ma non capivo di che socialismo si trattasse. Non capivo il concetto di comunità di lavoro. Quando andavo a scuola vedevo i contadini della comunità di Magdiel (una delle prime quattro comunità di lavoro ebraiche, moshavot, fondate nel 1924) che andavano a lavorare molto presto alla mattina. Poi, oltre ai contadini proprietari, c' erano anche dei lavoratori salariati che lavoravano altrettanto duramente ma non erano considerati sullo stesso piano. Io non capivo la differenza tra questi due gruppi. Il punto è che il kibbutz originariamente era stato concepito anche come un' entità politica dove realizzare gli ideali socialisti. Infatti, quando dopo la guerra arrivarono nuove ondate di immigrati, nei kibbutz si discuteva sull' importanza del lavoro indipendente, senza assumere forza lavoro dall' esterno. Eppure, al di là della fedeltà al principio teorico-ideologico socialista del non-sfruttamento, c' era la necessità di dar lavoro ai nuovi arrivati. Inoltre, il lavoro è un grande fattore di integrazione. «Nel mio lavoro, che copre il periodo dal 1905 - inizio della seconda immigrazione sionista - al 1948 - fondazione dello Stato di Israele - analizzo le vicende della Confederazione del lavoro, l' Histadrut e poi del partito laburista, il Mapai. Entrambi parlavano di socialismo: ma che tipo di socialismo avevano in mente? Il socialismo era nel kibbutz, che voleva essere una società socialista esemplare. Ma fuori, la società non era diversa da quella borghese; in più, era anche povera. «Il mio interrogativo centrale si rivolgeva al rapporto tra socialismo e nazionalismo. Da un lato volevano costruire una società ebraica che avrebbe potuto costituirsi come Stato, e dall' altro volevano costruire una società giusta, egualitaria e democratica. Ma non riuscirono a mantenere un equilibrio tra i principi del nazionalismo che sono particolari e quelli del socialismo che sono universali. La costruzione dello Stato e la conquista dell' indipendenza si scontrarono con i principi del socialismo. Aaron David Gordon, il pensatore sionista e protosocialista di inizio secolo, diede un significato classico della nazione seguendo l' impostazione organicista e nazionalista. Per Gordon è la nazione che crea l' individuo, la cultura e il linguaggio. Intervenendo dal proprio kibbutz, Degania, il primo ad essere fondato, Gordon sosteneva che i lavoratori ebrei vogliono unirsi con gli ebrei borghesi, e non con i lavoratori di un altro Paese. Non pensava di modificare l' ordine sociale esistente. Non c' era alcuna intenzione di rompere con il capitalismo. «La lotta di classe non era prevista mentre, al contrario, la cooperazione tra le classi era considerata necessaria per la costruzione della nazione. E infatti, negli anni Venti e Trenta si stringe un' alleanza tra il partito socialista e la borghesia. I sindacati non lottano per un mutamento sociale e, in sostanza, accettano il capitalismo, mentre la borghesia «rinuncia» a esercitare direttamente il potere politico lasciando spazio ai laburisti. Ad esempio, Ben Gurion fin dall' inizio degli anni Trenta cerca di eliminare le scuole operaie gestite dall' Histadrut (ci riuscirà completamente solo negli anni Cinquanta). I sostenitori del progetto "nuova educazione", tutti giovani immigrati dall' Urss, volevano scardinare l' impostazione esistente e creare una educazione libera che forgiasse bambini autonomi e consapevoli. Costoro vennero emarginati e indirizzati in kibbutz dove potevano mettere in atto i loro esperimenti». Ma che interpretazione dai del kibbutz? «Pensiamo a 200 giovani donne e uomini che sbarcano da una nave a Jaffa o ad Haifa e si disperdono nel Paese. Queste persone, quando fondano un kibbutz e prendono possesso della terra, diventano un vero e proprio corpo combattente. Il kibbutz diviene una postazione militare. Moltiplichiamo questi 200 per 10, 15 o 20 e si ha il controllo della Galilea, della Valle del Giordano e di altre aree strategiche. In realtà il kibbutz fu uno strumento per la conquista del territorio e la nascita del Paese; non fu uno strumento per il cambiamento dell' ordine sociale. L' unico tentativo per riprodurre il kibbutz fu quello del "battaglione del lavoro" che però venne presto eliminato da Ben Gurion, il quale voleva mantenere il ruolo centrale dell' Histadrut. Un altro progetto egualitario fallì quasi subito. «Negli anni Trenta, quando la situazione economica migliorò, venne introdotto il salario famigliare per finanziare soprattutto le spese mediche e di istruzione. Quest' idea egualitaria venne però abolita poco dopo la nascita di Israele. E questo comportò anche l' abbandono di ogni ipotesi di modifica del sistema capitalistico. Allo stesso tempo si rinunciò anche all' idea di una cooperazione tra i lavoratori arabi e quelli ebrei. Questo problema creava una forte conflittualità tra i vecchi insediamenti ebraici in Galilea, che impiegavano forza lavoro araba, e quelli nuovi, della quarta immigrazione, che impiegavano solo manodopera ebraica. I leader sindacali rinunciarono presto all' egualitarismo perché questo confliggeva con gli interessi nazionali. Il socialismo era concepito per favorire la costruzione dello Stato e della nazione. Il sindacato si identificava con i lavoratori ebraici della terra di Israele e quindi la collaborazione con gli arabi era praticamente inconcepibile. Del resto, nel 1922, lo stesso Ben Gurion disse che erano arrivati in Palestina non per organizzare qualcuno ma per conquistare la terra». Come vedi il futuro dello Stato di Israele? «Nella mia opinione l' acquisizione e occupazione delle terre fino al 1948 fu legittima in quanto necessaria: era una questione di sopravvivenza. Gli ebrei avevano bisogno di un pezzo di terra in cui vivere. Del resto nessuno li voleva. Dopo la Seconda guerra mondiale c' erano 300 mila rifugiati ebrei che non sapevano dove andare. Per questo non ho mai avuto nessun dubbio sulla legittimità del sionismo fino alla nascita dello Stato di Israele; per questo penso che tutto quello che è stato fatto fino al 1949 fosse giusto, nonostante la Nakbah e l' espulsione degli arabi-palestinesi: era un' esigenza vitale. Ma allo stesso tempo credo che tutto quello che è stato fatto dopo il 1967 non sia stato né legittimo né giusto, perché non riguardava alcun interesse vitale. «Tra il 1949 e il 1967 fu chiaro che tutti gli obiettivi del sionismo potevano essere raggiunti all' interno dei confini di allora (la Linea Verde). In precedenza, invece, vi era stata una situazione di guerra più o meno continua tra ebrei e arabi. Gli insediamenti impiantatisi al di là della Linea Verde dopo il 1967 sono la più grande catastrofe nella storia del sionismo, perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quella situazione che il sionismo voleva evitare. La divisione tra lavoratori arabi ed ebrei lastricava la strada verso il colonialismo, e questo fu chiaro dopo il 1967. Pur tenendo conto di tutti i disagi inflitti agli arabi-palestinesi il sionismo salvò più di mezzo milione di ebrei che, se non avessero abbandonato l' Europa, non sarebbero sopravvissuti. Il sionismo però, a mio avviso, si fonda sui diritti naturali dei popoli all' autodeterminazione e all' autogoverno. Ne consegue che questi diritti sono anche propri dei palestinesi. Perciò il sionismo ha diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole precludere ai palestinesi l' esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. «Tutto ciò deve essere messo in pratica e richiede una visione liberale della nazione che non si è mai realizzata praticamente da nessuna parte. I diritti nazionali sono un' estensione dei diritti individuali e per questo sono universali: i diritti degli israeliani non sono differenti da quelli dei palestinesi. Per questa ragione gli insediamenti devono fermarsi e l' unica soluzione logica sia per gli ebrei sia per gli arabi è quella di due Paesi per due popoli. L' ipotesi di un unico Stato non solo porta all' eliminazione dello Stato ebraico ma apre la strada a conflitti sanguinosi per generazioni. Due Paesi, fianco a fianco, fondati su uguali diritti per entrambi i popoli, questa è la strada giusta e necessaria: ogni altra scelta condurrebbe o al colonialismo o alla eliminazione di Israele in uno Stato binazionale». RIPRODUZIONE RISERVATA La rivista Il numero del bimestrale «il Mulino», in uscita domani, pubblica tra l' altro articoli di Valerio Onida («Politica e giustizia») e Massimo Livi Bacci («Mediterraneo e migrazioni») Percorsi L' ideologia fascista e i nemici dei Lumi Intervistato dal suo allievo Mario Sznajder, che con lui ha collaborato al volume Nascita dell' ideologia fascista, Zeev Sternhell, 75 anni, docente di Scienze politiche all' Università di Gerusalemme, considerato uno dei maggiori storici israeliani, affronta tre temi sul numero della rivista «il Mulino» in uscita domani. L' intervista parte con le tesi di Sternhell sulle origini del fascismo, che lui fa risalire alla crisi di fine ' 800 e in particolare ai movimenti irrazionalisti francesi. Temi affrontati in libri come La destra rivoluzionaria e Né destra né sinistra. La seconda parte dell' intervista affronta la questione dei nemici dell' Illuminismo, da Herder a Isaiah Berlin, argomento trattato nel volume Contro l' Illuminismo. La terza parte, che qui anticipiamo, riguarda lo Stato ebraico. Sternhell ha dedicato al suo Paese il volume Nascita di Israele. I testi di Sternhell, a parte La destra rivoluzionaria (Corbaccio), sono editi in Italia da Baldini Castoldi Dalai. * * *

Sznajder Mario

http://archiviostorico.corriere.it/2010/fe...100224055.shtml
 
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view post Posted on 24/10/2011, 22:26
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compagno

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CITAZIONE
Ora mi trovo a dover decidere tra: uno stato che applica il comunismo

Compagno, al fine di evitarti di ripetere stronzate su stronzate, ti invito, ancora una volta, a studiare quale è la concezione dello Stato e quella del "comunismo".
La famosa inchiesta .... (che non si fa su Wikipedia)
 
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view post Posted on 25/10/2011, 00:52
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Abdullah Calahamed (EAU) Vladimir Sevchenko (Belarus)

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babeuf
view post Posted on 25/10/2011, 10:27




Nrgli ultimi anni nello stato d'Israele le diseguaglanze sociali sono aumentate radicalmente, non mi riferisco ai palestinesi che non hanno nessun diritto di cittadinanza, ma agli araboisraeliani e agi ebrei che vengono dall'est europeo o dal medioriente.
Differenze sociali legate anche all'origine etnica , altro che socialismo dei Kibbutz.
So che puo' sembrare utopistico, ma in quell'area la soluzione e' la costituzione di uno stato federale socialista e multietnico.
 
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Antropius
view post Posted on 25/10/2011, 17:55




Se è vero che negli ultimi anni i Kibbutz hanno iniziato le privatizzazioni, e che nello stato di Israele viene applicato quindi un modello imperialista, non posso fare altro che concordare con voi.
Quello che pensavo era che il sistema dei Kibbutz fosse perfetto, e così pare che fosse stato, prima delle privatizzazioni di cui mi parlate.
Siccome io non ne avevo mai sentito parlare, credevo che lasciar vincere i palestinesi equivalesse al cancellare i villaggi, e questo non mi sembrava giusto.
Ma visto che non è così, voi cosa proponete sulla questione palestinese?
Vedete, io non ho ancora un pensiero ben definito, e sarebbe assurdo che io l'abbia vista la mia età, quindi nelle conversazioni che faccio cerco sempre di prendere una posizione contraria a quello che dicono gli altri, spingendoli a dimostrare con la logica o con i fatti storici quello che dicono.
Lo stesso Marx pensava che ad ogni teoria che formuliamo dobbiamo porre tutte le possibili argomentazioni contro di essa, in modo da poter dimostrare se questa è sbagliata o esatte.
In questo forum, vedendo delle persone competenti, ho pensato di cercare di chiarire un mio dubbio, quello sulla questione palestinese.
Per me, tutto quello che sta succedendo altro non è che frutto delle religioni: gli ebrei erano una tribù politeista, e solo sotto il dominio del loro re David hanno iniziato, per tenersi buoni i popoli sottomessi, a venerare un unico dio, che fosse comune a tutti.
La religione, essendo stata creata per motivi nazionalisti, ha fatto inculcare nelle menti degli ebrei che Israele fosse la loro "terra promessa". Ecco spiegato come mai tutto ciò.
Ma è anche vero che l'ebraismo, a differenza delle altre religioni, crede nel cercare di ottenere una società più giusta in questo mondo invece che nell'oltretomba, e questo li ha spinti a teorizzare i Kibbutz.
Qui ho cercato proprio di capire che fare, chi appoggiare e chi no, e sapendo che noi comunisti siamo amici dei popoli arabi e anti-americani ho pensato che molti sarebbero stati contro Israele. Per questo ho detto quanto ho detto, per cercare con la logica di capire chi sostenere.
In fondo un dialogo non ha senso se è fatto da persone che hanno le stesse idee su tutto, per fare un buon dialogo c'è bisogno delle diversità. Prima di conoscere questo forum in cui rafforzare il mio ideale, cercavo in tutti i modi di contestarlo parlando con i fascisti ed i capitalisti, mettendomi contro di loro e bene o male riuscendo a dimostrare la superiorità del modello comunista.
Ora, stando a tutto quello che è stato detto in questa conversazione, chiedo: che fare riguardo la questione palestinese? Perché, come, e soprattutto quali vantaggi potremmo trarre dall'appoggiare i palestinesi?
 
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babeuf
view post Posted on 25/10/2011, 18:24




Non si tratta di individuare vantaggi...i comunisti stanno con le masse oppresse contro l'imperialismo e il capitalismo. Nella specifica situazione israeliana i palestinesi sono gli oppressi mentre Israele e' diventata una piccola Prussia imperialista nel cuore del medioriente.
Per fare avanzare qualsiasi progetto socialista occorre sconfiggere la politica d'Isreale.
Sul futuro ribadisco che sono per lo stato socialista Palestinese multietnico e multiconfessionale..

Edited by babeuf - 25/10/2011, 19:51
 
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Ziggy
view post Posted on 25/10/2011, 18:29




CITAZIONE
Ma visto che non è così, voi cosa proponete sulla questione palestinese?

Uno stato binazionale.

CITAZIONE
Perché, come, e soprattutto quali vantaggi potremmo trarre dall'appoggiare i palestinesi?

Antimperialismo?
 
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Klim Voroshilov
view post Posted on 25/10/2011, 18:30




Una prima soluzione potrebbe essere la creazione di uno Stato palestinese indipendente e la fine dello sfruttamento dei territori palestinesi da parte di Israele. In seguito sarebbe più facile stabilire legami tra i comunisti dei due paesi per cercare di combattere l'imperialismo USA. Tutto questo sarebbe però molto difficile, visto che Israele costituisce una delle più importanti, se non la più importante, piazzaforte dell'imperialismo americano vicina ai paesi arabi e, di conseguenza, alla fonti di materie prime.

Se possono interessarti le soluzioni proposte dall'URSS, puoi consultare il Dossier Gromiko.
 
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view post Posted on 25/10/2011, 18:33
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Intanto bentornato a Kiggy.

CITAZIONE
Per me, tutto quello che sta succedendo altro non è che frutto delle religioni

:woot:
E'esattamente quello che ci vuiol far credere la borghesia imperialista
A questa tua affermazione credo che Marx si stia rivoltando nella tomba.
 
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Ziggy
view post Posted on 25/10/2011, 18:38




CITAZIONE
Intanto bentornato a Kiggy.

Grazie carre, però Kiggy non l'avevo mai sentito.
 
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view post Posted on 25/10/2011, 18:39
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Perdonami. Sai con l'età si fanno di questi sbagli. Ed anche di peggiori ....
 
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579 replies since 27/6/2011, 17:01   11533 views
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