Comunismo - Scintilla Rossa

La scienza economica (intero), storia del pensiero politico e filosofico di L.Geymonat

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Platon
view post Posted on 29/6/2011, 19:35




La scienza economica


tratta da: storia del pensiero politico e filosofico
di Ludovico Geymonat




Sia nel capitale che per la critica, Marx principia l'indagine scientifica con l'analisi della merce, forma elementare, cellula della ricchezza nelle società basate sui rapporti capitalistici di produzione. "la merce è ,in primo luogo, un oggetto esterno, una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di qualsiasi tipo"; essa è dunque utile, cioè valore d'uso che in quanto tale si realizza nel consumo. Se è merce, tale valore d'uso è nel con tempo valore di scambio, che si presenta in primo luogo come rapporto quantitativo , secondo cui valori d'uso di un tipo sono scambiati con valore d'uso di un altro tipo. Se si scambiano secondo un rapporto quantitativo delle merci, significa che in esse vi è qualche cosa di comune, pur essendo qualitativamente differenti. Si pensi ad uno scambio qualsiasi, ad esempio un moggio di grano = un quintale di ferro: grano e ferro non hanno niente in comune se non l'essere frutto del lavoro umano, prodotti del lavoro umano. Lavoro agricolo e mettallurgico sono differenti, ma scambiando grano contro ferro, i produttori riconoscono e sanzionano un rapporto di equivalenza tra i due lavori, ridotti entrambi a lavoro astrattamente umano, articolazioni della divisione sociale del lavoro. Si ha quindi produzione di merci quando esiste "un sistema di rapporto sociale nel quale i singoli produttori creano prodotti di qualità diversa (divisione sociale del lavoro), e tutti questi prodotti sono resi uguali l'uno all'altro mediante lo scambio (Lenin).

Dal punto di vista della determinazione del valore, il lavoro umano và considerato astrattamente perchè scambiare, ad esempio, grano contro ferro, significa evidentemente prescindere dalle qualità specifiche sia del lavoro agricolo sia del lavoro metallurgico e considerare solo che in entrambi i casi ha luogo solo dispendio di una certa quantità -misurabile col tempo-di lavoro generalmente umano. "Questa astrazione del lavoro generalmente umano esiste nel lavoro medio che ogni individuo medio può compiere in una data società, è un determinato dispendio produttivo di muscoli, nervi, cervello ecc., umani. Lavoro semplice al quale ogni individuo medio può essere addestrato e che esso deve compiere in una forma o nell'altra."Merci nella quali sono contenute eguali quantità di lavoro, ossia merci che possono venir prodotte nello stesso tempo di lavoro, hanno quindi la stessa grandezza di valore. Potrebbe sembrare allora che quanto più inabile e pigro sia il produttore, di tanto maggior valore sia la sua merce: supponiamo che un calzolaio inesperto impieghi due giorni per confezionare un paio di scarpe che di norma inpega un giorno di lavoro, forse che per questo quel paio di scarpe è scambialbile (cioè vale) con il prodotto di due giorni di lavoro agricolo, mentre quelle del calzolaio esperto e solerte con un solo giorno? Evidentemente no; ogni forza lavoro individuale produce valori, nella misura i cui rispetta la quantità di tempo socialmente necessaria alla produzione di una determinata merce. Constatiamo qui ancora che l'analisi di Marx e le categorie scientifiche da lui scoperte ed elaborate sono imbevute di storicità, cioè sono sempre storicamente determinate e con ciò stesso realmente universali. Certo la forza lavoro che viene spesa è, ad esempio, quella del singolo tessitore, calzolaio, tornitore, ma nella determinazione scientifica della quantità reale di valore che il singolo produttore crea, ci avverte Marx, ongni produttore conta non nella sua nuda e cruda nella sua empiricità atomisticamente intesa, bensì, in guisa concretamente universale, per come egli è effettivamente inserito nella realtà concreta di tutti i nessi storici e sociali. Così non basta affermare che la singola forza lavoro del tessitore crea valore; occore precisare che cra valore in quanto opera come forza lavoro sociale media, e dunque abbisogna, nella produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessari. Tempo di lavoro necessario è il tempo di lavoro richiesto per produrre una merca nelle conmdizioni storicamente esistenti, socialmente normali, di produzione e con grado sociale medio di abilità ed intensità di lavoro.Per esempio ,dopo l'introduzione del telaio a vapore in Inghilterra, è bastata forse la metà del tempo prima necessario per trasformare in tessuto una data quantità di filato. Il tessitore inglese aveva di fatto bisogno, per il telaio a mano, dello stesos tempo di lavoro, prima e dopo, per questa trasformazione: ma il prodotto della sua ora lavorativa individuale rappresentava ormai, dopo l'introduzione del telaio meccanico, soltanto una mezza ora lavorativa sociale, e quindi scese alla metà del suo valore precedente.

Dal carettere storicamente determinato delle categorie lavoro, valore ecc. Come di tutte le altre categorie marxiste, discende che la grandezza di valore di una merce varia direttamente con il variare della quantità di lavoro che contiene ed inversamente con il variare della sua forza produttiva. Il valore si manifesta dunque nello scambio, che ne costituisce la forma fenomenica. Marx analizza questo fenomeno sociale estremamente complesso a partire dalla sua forma più semplice, lo scambio accidentale di due merci qualsiasi (X merca=A; y=B, venti braccia di tela= un abito). Tale forma è la più elementare sia dal punto di vista logico, sia dal punto di vista storico(la più semplice e antica perciò).Sviluppandola ed analizzandola dialetticamente, Marx mostra come questa forma elementare contenga in sè le potenzialità logica e storica della forma più generale e complessa del valore: Il denaro. L'analisi di Marx esprime una mirabile fusione di indagine, logica, storica e scientifica. (particolarmente importante notare come la forma di esposizione astratta e talvolta, in apparenza, puramente deduttiva, fornisce in realtà una documentazione veramente ricca per la storia dello sviluppo, dello scambio e della produzione mercantile) (Lenin). Quella marxista non è una identificazione metafisica, di tipo hegeliano, tra logica e storia, bensì un indagine scientifica condotta alla luce dei loro nessi reali. L'indagine sull'oggetto economico e la disamina critica dei presupposti teorici delle scuole di economia politica, poteva essere intrapresa in due modi: storcamente o logicamente. Poichè nella storia, come nel suo riflesso letterario, l'evoluzione và pure, in sostanza, dai rapporti più semplici ai rapporti più complessi, lo svulippo storico letterario dell'economia politica offriva un filo conduttore naturale a cui la critica poteva aggrapparsi, e in sostanza le categorie storiche sarebbero apparse anche in questo caso nello stesso ordine che nello sviluppo logico. (Engels). Dopo avere sviluppato alla luce di questa concezione materialistica della logica le latenze contenute nella forma semplice di valore sino a giungere al denaro, Marx conclude con una riflessione critica sulla difficoltà epistemologica di una trattazione dell'economia politica; difficoltà che si manifesta sin dall'inizio, nell'indagine sulla merce: A prima vista, una merce, sembra una cosa trivilale, ovvia. Dalla sua analisi ne risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottiglezza metafisica e di capricci teologici(Marx).Questo carattere misterioso, per cui la merce è diversa da quel che appare ed appare diversamente da quel che è, costituisce il carattere di feticcio della merce, che non dipende evidentemente dal suo valore d'uso: l'utilità, il consumo di una merce non è una cosa misteriosa. Il carattere di feticcio non dipende nemmeno dal valore, perchè non è una cosa nè difficile nè misteriosa che questo sia espressione del lavoro umano.Di dove sorge, dunque, il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume la forma di merce? Evidentemente priprio da tale forma (Marx). In quanto tavolo, ad esempio, un tavolo assume valore d'uso che soddisfa certi bisogni umani, ha qualità specifiche: quattro gambe ecc. In quanto valore contiene una determinata quantità di lavoro. Ma nè l'utilità nè il lavoro bastano a farne merce. Pensiamo a Robinson che nella sua isola lavora per fabbricarsi un tavolo che poi usa, dunque gli è utile: non per questo quel tavolo diviene merce.

Se non avviene uno scambio nessun prodotto del lavoro umano è merce; ma scambiare significa che un produttore entra in rapporto con un altro produttore, che produce una merce diversa che l'altro deve procurarsi per il consumo, sicchè è un prodotto. Merce è soltanto per il fatto che alla cosa , al prodotto, si collega un rapporto tra due persone o comunità, il rapporto tra il produttore ed il consumatore. Abbiamo qui un esempio sin d'allinizzio di un fatto particolare, che penetra tutta l'economia e ha creato nelle teste degli economisti una confusione terribile. L'economia non tratta di cose, ma di rapporti tra persone e, in ultima istanza, tra classi; questi rapporti sono legati a delle cose e appaiono come delle cose, ma non lo sono. (Engels)Il feticismo delle merci deriva proprio da questo quid pro quo: che, quando scambio grano con ferro, compro una casa con un tot di euro, sembra un rapporto tra cose, am in realtà è un rapporto tra produttori, tra persone, e dunque un rapporto sociale, come tale sovrasensibile rispetto alle cose: "Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrassensibili, cioè cose sociali.Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose è soltanto il rapporto sociale che sid etermina tra uomini stessi. Quindi per trovare un analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano appaiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto tra loro e con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo si chiama il feticismo che s'appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotte come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.


In una società (cioè un sistema articolato di divisione del lavoro) in cui i produttori privati si scambiano i propri prodotti come merci, accadrà che, ad esempio, un tessitore scambierà della tela
per altri beni che gli servono per il consumo, cioè da consumare. Il nostro tessitore vende, poniamo, 20 braccia di tela a 2 sterline, e con queste stesse 2 sterline compra una Bibbia per edificarsi spiritualmente. Il tessitore trasforma la merce da lui prodotta (tela) in denaro, e poi ritrasforma il denaro in merce(Bibbia), cioè vende per comprare. In tal modo si realizza una circolazione delle merci che sottoforma di schema risulta essere: M-D-M cioè merce-denaro-merce. Tale circolazione di merci è il punto di partenza del capitale. La produzione delle merci e la circolazione sviluppata delle merci, cioè il commercio, costituiscono i presupposti storici del suo nascere. Ma accanto a questa forma ne trovianmo un altra, che si realizza quando si compra per vendere: si investe del denaro in merce con lo scopo non di consumarla, ma di rivenderla; è la forma denaro-merce-denaro cioè la ritrasformazione della merce in denaro: D-M-D. "Il denaro che nel suo movimento descrive quest'ultimo ciclo, si trasforma in capitale, diventa capitale, ed è già capitale per sua destinazione. (Marx). Per stare al nostro esempio, quando il tessitore vende 20 braccia di tela per comprare una Bibbia, lo scambio in ultima analisi è di merce contro merce (M-M) e si regge sul presupposto che i due estremi siano qualitativamente diversi ma abbiano la stessa quantità di valore. La circolazione del capitale si riduce ,in ultima analisi , a uno scambio di denaro contro denaro (D-D) che hanno la stessa qualità e che differiscono solo per quantità. I due estremi quindi devono differire necessariamente solo per quantità, dato che non avrebbe senso che un capitalista investa, ad esempio, 100 sterline in 4000 braccia di tela per riguadagnarne 100 perchè comporterebbe un rischio inutile. Al momento del suo intento quindi è quello di guadagnare più denaro di quello acquistato, esempio 110. Viene sottratto alla circolazione più denaro di quanto ve ne sia stato gettato al momento iniziale. La formula sarebbe quindi D-M-D', dove D'=D+yD, cioè è uguale alla somma di denaro originale più un incremento. "Chiamiamo plusvalore questa eccedenza sul valore originario. Alla circolazione, quindi, il valore originario non solo si conserva, ma altera la propria grandezza di valore, aggiunge un plusvalore, ossia si valorizza. Questo movimento lo trasforma in capitale." (Marx).

Il problema diviene dunque questo: da dove deriva il plusvalore?Non può sorgere dalla circlazioni delle merci perchè in essa gli scambi avvengono sempre tra valori equivalenti, e quindi tra estremi che restano di uguale valore.Il plusvalore non può derivare infatti nè da un aumento unilaterale dei prezzi da parte dei venditori (vendere le merci a più del loro valore), nè da una loro diminuzione unilaterale da parte dei compratori (comprare le merci a meno del loro valore). Ogni capitalista, infatti, è alternativamente compratore e venditore, sicchè riperderebbe da un lato ciò che ha guadagnato dall'altro. Per ottenere realmente plusvalore, valorizzazione del denaro investito come capitale, il capitalista deve comprare sul mercato una merce che, consumandosi, gli produca valore "Per estrarre valore dal consumo della merce, il nostro posserrore del denaro dovrebbe essere tanto fortunato da scoprire, all'interno della sfera di circolazione, cioè sul mercato, una merce in cui il valore d'uso stesso possedesse la peculiare qualità di essere fonte di valore; tale ,dunque, che il suo consumo reale fosse, esso stesso, oggettivizzazione del lavoro, e quindi creazione di valore. Il possessore di denaro trova sul mercato tale merce specifica: è la capacità di lavoro, ossia la forza-lavoro."Ecco come vanno la cose: assumendo l'operaio, il capitalista compra la sua forza-lavoro come merce; subito immette l'operaio nella produzione, ad esempio, comandandogli di azionare un fuso meccanico per azionare il filamento del refe. Facendo lavorare l'operaio, il capitalista consuma la sua forza-lavoro, cioè la merce che ha comprato sul mercato assumendolo. Come sappiamo il lavoro genera valore, e quindi il nostro capitalista ha risolto il rebus: ha comprato sul mercato una merce che, consumata, produce valore. Per spiegare la formazione del plusvalore capitalistico, derivante dallo sfruttamento della forza-lavoro, non è dunque necessario ipotizzare che il singolo capitalista defraudi l'operaio del suo "giusto" salario.La formazione di plusvalore viene anzi studiata da Marx supponendo esplicitamente che abbiano luogo solo scambi equivalenti di valori, cioè che ci sia un giusto prezzo per la forza-lavoro dell'operaio. Lo sfruttamento non deriva, neanche, dalla maggiore o minore rettitudine soggettiva del capitalista, ma dall'oggetività dei rapporti capitalistici di produzione. Sappiamo infatti che il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessaria a produrla: ciò vale evidentemente anche per la merce forza-lavoro, ossia: Il falore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro. Cibo, vestiario, alloggio per il proletario & famiglia.

Supponiamo che per una giornata lavorativa di 12 ore questo valore sia pari a 3 scellini; somma che dunque corrisponde al valore dei mezzi di sussistenza necessari per mantenere in vita il lavoratore per un giorno.Supponiamo inoltre che per produrre tali mezzi di sussistenza, siano necessarie 6 ore di lavoro sociale medio, il che è come dire: 6 ore di lavoro producono i mezzi necessari- acquistabili con 3 scellini- per mantenere l'operaio in vita per una giornata, oppure anche: in 6 ore di lavoro sociale medio, si produce una massa di valore che, espressa in denaro è pari a 3 scellini. Supponiamo dunque che il nostro capitalista voglia produrre refe. In primo luogo gli occorrerà la materia prima, cioè cotone: ne compra al mercato 10 libbre al loro valore: supponiamo che sia di uno scellino alla libbra. Occore inoltre un fuso meccanico e supponiamo che lavorando si logori di un valore pari a 2 scellini. Alla fine la mano d'opera: 3 scellini e assume l'operaio. Ora per la vendita della forza-lavoro si era presupposto che il suo valore giornaliero fosse eguale a 3 scellini, in cui vi fossero incorporate 6 ore lavorative, e quindi questa sarebbe la somma media per produrre i mezzim di sussistenza giornalieri di tale lavoratore, e che questa fosse la quantità di lavoro richiesta. Se il nostro lavoratore trasformerà, in un ora, una libbra e due terzi di cotone in una e due terzi di refe, in 6 ore ne trasformerà 10 libbre di cotone in 10 di refe. Quindi durante li processo di filatura il cotone assorbe 6 ore lavorative. Questo tempo di lavoro è rappresentato da una quantità pari a 3 scellini. Dunque mediante la filatura stessa viene aggiunto un valore di 3 scellini al cotone. E poiche sappiamo che il valore altro non è che il lavoro oggettivato in merce, possiamo esprimere il valore delle 10 libbre dim refe in tempo lavoro: nelle 10 libbre di refe sono oggettivate 2 giornate lavorative e mezza, suddivise in modo che: i 3 scellini del salario sono pari al prodotto(valore oggettivato) di mezza giornata lavorativa; 10 scellini del cotone più 2 dei fusi logoratisi, per un totale di 12 scellini che sono pari a 4 mezze giornate; totale 2 giornate e mezza. Tenendo sempre presente i 3 scellini che sono prodotti da una giornata e mezza, ne consegue che 2 giornate e mezza sono pari a 15 scellini, tanto valgono dunque le 10 libbre di refe. Il nostro capitalista per produrle ha perciò anticipato 15 scellini: 10 in cotone, 2 in fusi, 3 in salario. Fin qui ha fatto un cattivo affare, poichè il valore del prodotto è uguale al valore del capitale anticipato.Il valore anticipato non si è valorizzato, non ha generato plusvalore, il denaro non si è trasfromato in capitale. Ma esaminiamo da vicino la voce "salario": il valore della forza lavoro, ricapitoliamo, equivaleva a 3 scellini perchè in esso è oggettivata una mezza giornata lavorativa, cioè perchè i mezzi di sussistenza necessari giornalmente alla produzione della forza-lavoro costano una mezza giornata lavorativa. Ma il lavoro trapassato, oggettivato nella merce(merce=forza lavoro in questo caso), ed il lavoro in atto sono due cose del tutto diverse: Una cosa ,è infatti, che per mantenere un operaio occorrano mezzi di sussistenza producibili in mezza giornata di lavoro sociale medio, altra è quanto può produrre un operaio lavorando durante tutta la giornata per la quale gli viene corrisposto il salario: i costi giornalieri di mantenimento della forza-lavoro e il dispendio giornaliero di questa sono due grandezze del tutto distine. La prima determina il suo valore di scambio, l'altra il suo valore d'uso. Che sia necessaria una mezza giornata lavorativa per tenerlo in vita per 24 ore, non impedisce affatto all'operaio di lavorare per un intera giornata. Dunque il valore della forza-lavoro e la sua valorizzazione nel processo lavorativo sono due grandezze differenti. Cosa fà dunque l'operaio quando vende per una giornata l'unica merce di cui dispone, cioè la forza-lavoro?


Di fatto, il venditore della forza-lavoro realizza il suo valore di scambio e aliena il suo valore d'uso, come il venditore di qualsiasi altra merce. Non può ottenre l'uno senza cedere l'altroIl valore d'uso della forza-lavoro, il lavoro stesso, non appartiene affatto al venditore di essa, come al negoziante d'olio non appartiene il valore d'uso dell'olio da lui venduto. Reciprocamente: l'acquirente paga il valore di scambio dell'olio, e con ciò acquisisce il diritto di usarlo a proprio profitto; analogalmente, "Il possessore di denaro ha pagato il valore giornaliero della forza-lavoro; quindi ma lui appartiene l'uso di essa durante la giornata, il valore di tutt'un giorno". E poichè, sappiamo, la merce forza-lavoro consumandosi , cioè lavorando, produce valore, è risolto l'enigma: il mantenimento della forza-lavoro costa una mezza giornata lavorativa (3 scellini) ma essa eroga lavoro (cioè valore) per una giornata lavorativa intera, cioè per 12 ore. Se dopo mezza giornata di consumo della forza lavorativa, l'operaio lavorando ha prodotto un valore pari a 3 scellini, cioè ha reintegrato nelle tasche del capitalista la somma anticipata come salario(cioè il valore dis cambio della forza-lavoro), ciò non priva affatto il capitalista stesso del diritto di consumare il valore d'uso della forza-lavoro durante la mezza giornata lavorativa residua. Il nostro capitalista ha preveduto questo caso e se ne rallegra. Quindi il lavoratore trova nell'officina
non solo i mezzim di produzione necessari per un processo lavorativo di 6 ore, ma per 12. Se 10 libbre di cotone hanno assorbito 6 ore lavorative e si sono trasformate in 10 libbre di refe, 20 libbre di cotone assorbiranno 12 ore di lavoro e si trasformeranno in 20 libbre di refe." Nella massa del refe prodotto (20 libbre) sono ora oggettivate 5 giornate laviorative: 4 nella massa della meteria prima (20 scellini di cotone) e dei fusi logoratisi (4 scellini; in totale dunque 24 scellini); una, assorbita dal cotone nel processo di filatura per essere trasformato in refe. Ma noi sappiamo che mezza giornata lavorativa produce una massa di valore pari a 3 scellini, sicchè il valore del prodotto di 5 giornate lavorative intere sarà di 30 scellini. Ma il totale del valore delle merci immesse nel processo ammontava a 27 scellini: 3 in salario; 20 in cotone; 4 in logoramento dei fusi per filare 10 libbre di refe: totale che costituiscono il capitale immesso in anticipo nell'investimento, cioè 27 scellini. Il valore finale di 20 libbre di refe ammonta a 30 scellini. " Il valore del prodotto è cresciuto rispetto al valore anticipato per la produzione. 27 scellini si sono trasformati in 30. Hanno deposto un plusvalore di 3 scellini. Il denaro è strasfromato in capitale! Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato equivalente per equivalente ; il capitalista, come compratore, ha pagato ogni merce al suo valore, cotne, massa dei fusi, forza lavoro; poi ha fatto quel che fa ogni altro compratore di merci: ha consumato il loro valore d'uso. Il processo di consumo della forza-lavoro, che insieme è processo di produzione della merce, ha reso un prodotto di 20 libbre di refe del valore di 30 scellini. Il capitalista torna ora sul mercato e vende merce, dopo aver comprato merce. Vende la libbra di refe ad 1 scellino e 6 centesimi, non un soldo in più o in meno del suo valore.Eppure trae dalla circolazione 3 scellini in più di quelli che vi ha immesso inizialmente.Il profitto capitalistico deriva direttamente dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Non si tratta però di uno sfruttamento individuale, opera di un singolo capitalista "cattivo": si tratta di uno sfruttamento che sovrasta completamente le intenzioni più o meno benevole del singolo capitalista; di uno sfruttamento dle tutto oggettivo, insito dei rapporti stessi di produzione basati sull'acquisto della forza-lavoro come merce. Marx è dunque risolutamente contrario a critiche moralistiche o ad appelli dolciastri al "senso di giustizia" dei capitalisti. Lo sfruttamento capitalistico dell'uomo sull'uomo non può essere abolito fuorchè abbattendo il regime capitalistico di produzione. Dall'esempio che abbiamo appena esaminato appare chiaramente quale sia la differenza tra capitale costante e capitale variabile.Una parte dei 27 scellini viene investita in grandezze di valore che restano costanti durante tutto il processo; un altra parte, viene invece investita in grandezze di valore che si incrementano, variano. Infatti il valore della materia prima (cotone) e dei mezzi di produzione(fusi) viene ntrasferito al prodotto finito, ma rimandendo costante all'inizio e alla fine del processo di produzione: il valore delle 20 libbre di cotone viene trasferito inalterato nel suo valore del refe in cui è contenuto; analogalmente per il logoramento dei fusi. Invece il capitale investito nella forza-lavoro subisce una variazione di grandezza: si investono 3 scellini e se ne ricavano 6 in valore prodotto dal consumo della merce forza-lavoro. Il capitale (C) s scinde in due parti: una somma di denaro (c) anticipata in messi di produzione e un'altra somma di denaro (v) anticipatam in forza lavoro, sicchè la sua composizione risulta essere C=c+v. Chiamando p il plusvalore, alla fine del processo di produzione capitalistica, con la trasformazione di C(27 scellini) in C'(30 scellini), avremo C'=(c+v)+p. Quanto è in C' il valore creato ex novo? Poichè il valore di c non fa che trasferirsi, restando costante, da C in C', il valore del prodotto nel corso della filatura non è, come parrebbe a prima vista, (24 scellini + 3 scellini)+3 scellini=30 scellini), bensì v+p (ossia 3 scellini+3 scellini=6scellini).

Restando "c" costante, per calcolare l'incremento di v, possiamo eguagliare c a zero. Il capitale anticipato, investito, si ridurrà quindi, per il nostro calcolo, da c+v a v, mentre il valore prodotto dal processo capitalistico sarà v+p. La cifra di tre scellini (p), ossia l'eccedenza di C' rispetto a C, esprimerà allora la grandezza assoluta del plusvalore prodotto. "Ma la grandezza proporzionale di questo, cioè la proporzione in cui si è valorizzato il capitale variabile, è espresso dalla formula p : v. Marx chiama questa grandezza saggio del plusvalore. Evidentemente il saggio del plusvalore coincide con il grado di sfruttamento della forza lavoro: nel nostro esempio, pur rappresentando 3 scellini l'incremento di 1/9 del capitale anticipato (27 scellini), e pur rappresentando essi solo 1/10 del valore finale del refe (30), esprimono un incremento del capitale variabile v pari a 3 scellini su tre, e quindi del 100%. Ovviamente il capitalista tende ad aumentare il saggio del plusvalore, e ciò è possibile mediante il prolungamento della giornata lavorativa (plusvalore assoluto; nel nostro esempio, se l'operaio è costretto a lavorare anzicchè 12, poniamo 15 ore, il saggio del plusvalore diviene del 150%) o mediante la riduzione della giornata lavorativa necessaria a reintegrare la somma anticipata in salario, cioè v; sicché c'è un aumento del 150% del saggio del plusvalore (che in tal caso dicesi plusvalore relativo) si ha così, fermo restando la durata di 12 ore della giornata lavorativa, riducendo ad esempio da 6 a 3 (grazie all'aumento della produttività del lavoro) le ore necessarie a filare 10 libbre di refe.

In una società capitalistica sviluppata l'aumento del saggio del plusvalore passa sopratutto attraverso l'incremento del plusvalore relativo, cioè della produttività del lavoro. Le fasi storiche fondamentali della produzione del plusvalore relativo sono

1)la cooperazione semplice
2)la divisione del lavoro e la manifattura
3)la grande industria moderna e le macchine

Concretamente ,le origini del sistema capitalistico di produzione si hanno quando si verifica l'operare di un numero piuttosto considerevole di operai, allo stesso tempo e nello stesso luogo, per la produzione dello stesso genere di merci sotto il comando dello stesso capitalista. Ha luogo allora la cooperazione, cioè la "forma del lavoro di molte persone che lavorano l'una accanto all'altra e l'una insieme all'altra secondo un piano, in uno stesso processo di produzione, o in processi di produzione differenti ma connessi". Inizialmente, l'innovazione causata dalla cooperazione capitalistica rispetto alla produzione artigianale è solo quantitativa : se il singolo tessitore indipendente produceva in una giornata lavorativa di 12 ore una massa di valore pari a sei scellini, inizialmente 12 tessitori salariati produzono 72 scellini al giorno. Ma già riunire sotto l'imperio di uno stesso capitale 12 salariati produce modificazioni che da quantitative divengono qualitative: abbiamo visto infatti che "il lavoro oggettivato in valore è lavoro di qualità sociale media; dunque applicazione di una forza lavoro media. Ma una grandezza media esiste sempre e soltanto come media di molte differenti grandezze individuali dello stesso genere. In ogni ramo d'industria l'operaio individuale, Sempronio o Caio, s'allontama più o meno dall'operaio medio. Queste differenze individuali, che in matematica si chiamano "errori", si compensano e scompaiono appena si riunisca un numero piuttosto considerevole di operai". Quando dunque si abbiano 12 operai che fanno una giornata lavorativa di 12 ore , la loro giornata lavorativa complessiva sarà di 144 ore, e "benchè il lavoro di ognuno di quei 12 operai possa differire meno dal lavoro sociale medio e quindi benché il singolo possa abbisognare di più o meno tempo per la stessa operazione, tuttavia la giornata lavorativa di ogni singolo possiede la qualità media sociale, in quanto è un dodicesimo della giornata lavorativa complessiva di quei dodici operai. La giornata lavorativa di ogni singolo esiste come parte aliquota della giornata lavorativa complessiva". Se invece quegli stessi 12 operai venissero occupati a due per volta come garzoni da un maestro artigiano, le differenze di prduttività avrebbero peso, e diverrebbe rpaticamente impossibile che sei maestri artigiani nelle loro sei botteghe abbiano la stessa produzione giornaliera. "Dunque, la legge della valorizzazione, in genere, si realizza completamente per il singolo produttore soltanto quando egli produce come capitalista, impiega molti operai nello stesso tempo, e quindi mette in moto sin da principio lavoro sociale medio.

 
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