Comunismo - Scintilla Rossa

The Great Conspiracy. The Secret War Against Soviet Russia, M. Sayers, A. E. Kahn

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view post Posted on 14/2/2011, 18:54
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compagno

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Chi si propone per la traduzione (coi controcazzi s'intende!) di questo testo?

http://lanostralotta.org/?p=169

Poi potremmo metterlo in rete come ScintillaRossa - WebEdizioni


Edited by Sandor_Krasna - 13/12/2014, 17:52
 
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MDCCXCIII
view post Posted on 14/2/2011, 19:26




Non credo che siamo in grado.

Da mie fonti -non posso garantirne la veridicità- sapevo che Tukachevsky non solo non faceva parte della claque filo tedesca, ma anzi agiva per conto degli anglo-francesi, spingendo per muovere l'URSS alla guerra contro la Germania e per questo motivo fu incastrato dalla Gestapo tramite i propri agenti, producendo falsi documenti autentici e altri merletti.
In ogni caso ha meritato la sua fine.
 
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view post Posted on 3/3/2011, 17:15
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compagno

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Insomma nessuno si è offerto.
Eppure, ve lo assicuro, il testo merita veramente. E molte delle citazioni storiche effettuate su SR in questi anni, lì sono riportate con dovizia di particolari.

Inoltre vi sono descritte le forme delle cospirazioni controrivoluzionarie, molte delle quali in uso ancor oggi, quindi piuttosto istruttive per comprendere anche gli avvenimenti contemporanei.
 
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-Bardo-
view post Posted on 22/3/2011, 13:18




Ciao a tutti!
Innanzitutto complimenti per il forum, ho potuto trovare molti testi e molte discussioni interessanti.

Per questo libro volevo dirvi che esiste un'edizione italiana dell'Einaudi del 1948 intitolata "La grande congiura" e ne ho una copia!
Cerchero' di scansionarla il prima possibile di modo da condividerla con voi. :)
 
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view post Posted on 22/3/2011, 19:59
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Avrai tutta la mia gratitudine.
In cambio potrei regalarti qualche libro doppione che ho.
 
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- Kekke! -
view post Posted on 22/3/2011, 20:17




L'ho appena ordinato su Maremagnum.
Appena mi arriva lo trascriverò un pò per volta in questo post (ho la stampante fuori uso).
 
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-Bardo-
view post Posted on 23/3/2011, 02:09




Ok! io ho iniziato la scansione e con l'aiuto del'OCR di Acrobat ho gia' il primo capitolo.
Magari poi possiamo fare un po' io e Kekke! per fare piu' veloci.
Carre ti ringrazio anticipatamente per la disponibilita'. :)

Intanto ecco il primo cap.

Titolo originale: The Great Conspiracy
Boni and Gaer, New York

Michael Sayers e Albert E. Kahn
La grande congiura
1948 Giulio Einaudi edìtore.


Copyright 1948 by Giulio Einaudi editore

Prefazione

Non mi è noto che sia stato recato un maggior contributo alla causa della pace mondiale, per mezzo di una migliore comprensione internazionale della Russia , e del suo presente in quanto sviluppo del suo passato, di quello dato da Alberi E. Kahn e da Michael Sayers col loro ottimo libro La grande congiura contro la Russia.
Se la Russia da una parte e la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dall'altra riusciranno a comprendersi, allora vi sarà una pace veramente duratura . Noi, del mondo occidentale, conosciamo il nostro passato e lo giudichiamo naturalmente alla luce della nostra esperienza.
Ma pochi fra noi conoscono veramente qual è stata l'esperienza del popolo russo; quindi per lo piu non ci rendiamo conto perché esso debba avere le opinioni che ha.
Ciò che gli autori di questo libro hanno fatto è di richiamarsi al periodo che ha inizio con la rivoluzione russa e di farci un po' vedere il mondo attraverso l'esperienza russa. In breve, essi sono dotati di quel raro dono ambito dal poeta Burns, di farci vedere noi stessi come i Russi ci vedono alla luce della loro esperienza.
Una continuazione di quella politica disastrosa di intrigo antisovietico descritta con tanta vivezza in questo libro condurrebbe inevitabilmente a una terza guerra mondiale. Ecco perché questo libro dovrebbe essere letto e studiato da tutti coloro cui sta a cuore di vedere la pace consolidarsi durevolmente nel mondo. È un'opera che dovrebbe essere letta da ogni uomo politico americano ed inglese, e, per questa stessa ragione, da ogni cittadino di entrambi i paesi.
Senza dubbio se i popoli e le nazioni più influenti della Terra guarderanno l'uno all'altro con simpatia e sforzo sincero di comprensione, noi possiamo avere per una pace durevole una speranza più viva di quella che mai l'umanità abbia nutrito nel suo cuore.
Tutti noi siamo debitori al signor Kahn e al signor Sayers per averci narrato una storia cosi emozionante e drammatica.


CLAUDE PEPPER

Senatore americano per la Florida


Nessuno degli avvenimenti o dei dialoghi riportati ne La grande congiura è stato inventato dagli autori. Il materiale è stato tratto da varie fonti documentarie indicate nel testo.

Libro primo
Rivoluzione e Controrivoluzione


Capitolo primo
Sorge il governo sovietico


I. Missione a Pietrogrado.

Verso la metà del fatale 1917, mentre il vulcano rivoluzionario ribolliva e rumoreggiava in Russia, giungeva a Pietrogrado, con una missione segreta della massima importanza, il maggiore americano Raymond Robins. Ufficialmente giungeva con il grado di assistente capo della Croce Rossa americana. In realtà era al servizio dell'Ufficio informazioni dell'esercito americano. Aveva l'incarico di aiutare a mantenere la Russia in stato di guerra contro la Germania.
La situazione sul fronte orientale era disperata. L'esercito russo, mal guidato, miseramente equipaggiato, era stato fatto letteralmente a pezzi dai Tedeschi. Sotto l'urto violento della guerra, il vacillante regime feudale zarista , già internamente imputridito, era caduto. Il 15 marzo lo zar Nicola II era stato costretto ad abdicare e si era costituito un governo provvisorio. Il grido rivoluzionario di Pane, pace, terra!, che riassumeva i bisogni immediati e le antiche aspirazioni di milioni di Russi stanchi della guerra, affamati, espropriati, risonava in tutto il paese.
Gli alleati della Russia - l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti - paventavano l'imminente collasso dell'esercito russo. Da un momento all'altro, un milione di soldati tedeschi potevano essere ritirati improvvisamente dal fronte orientale e gettati a occidente contro le truppe alleate ormai stanche. Non meno allarmante era la prospettiva che il grano dell'Ucraina, il carbone del Donets, il petrolio del Caucaso e tutte le altre inesauribili
risorse del suolo russo cadessero nelle rapaci mani della Germania imperiale .
Gli Alleati si affannavano a mantenere la Russia in stato di guerra, almeno fino a quando i rinforzi americani avessero raggiunto il fronte occidentale. Il maggiore Robins era uno dei numerosi diplomatici militari, agenti dell'Ufficio Informazioni inviati a Pietrogrado con l'incarico di fare tutto il possibile per far si che la Russia restasse nella lotta .
Quarantatreenne, con i capelli nerissimi, i lineamenti aquilini fortemente marcati, dotato di un'energia illimitata, di un'eloquenza straordinaria e di un grande fascino personale, Raymond Robins era una personalità di primo piano, notissima al pubblico americano. Aveva rinunciato a una carriera di uomo d'affari già coronata dal successo a Chicago per dedicarsi alla filantropia e all'assistenza sociale. In politica era un « uomo di Roosevelt». Aveva svolto un'azione di primo piano nella famosa campagna elettorale del 1912, allorché il suo eroe, Theodore Roosevelt, aveva tentato di ritornare alla presidenza. Era un liberale militante, un instancabile e pittoresco crociato di ogni causa avversa alla reazione.
- Che? Raymond Robins? Quella testa calda? Quel rooseveltiano arrabbiato? Che ci sta a fare nella nostra missione? - esclamò il colonnello William Boyce Thompson, quando seppe che Robins era stato nominato suo primo assistente. Il colonnello Thompson era repubblicano e conservatore convinto . Era interessato personalmente in modo considerevole negli affari russi, nelle miniere russe di manganese e di ' rame. Ma era anche un osservatore realista e perspicace. Nel suo intimo aveva la convinzione che la politica conservatrice del Dipartimento di Stato americano nei riguardi della Russia in fermento, nori sarebbe approdata a nulla.
L'ambasciatore americano in Russia, David Francis, ex governatore del Missouri, banchiere di St. Louis, anziano, ostinato, accanito giocatore di poker, con i suoi capelli bianchi, il suo solino rigido e la sua giacca nera fuori moda, era una figura anacronistica nell'atmosfera arroventata della Pietrogrado rivoluzionaria.
- Il vecchio Francis - aveva detto un diplomatico britannico - non distingue un socialrivoluzionario da una patata!
Ma, quel che gli mancava in fatto di conoscenza della politica russa, l'ambasciatore Francis lo compensava con la forza delle sue opinioni. Egli le ricavava soprattutto dai sensazionali pettegolezzi dei generali e dei milionari zaristi che affluivano numerosi all'ambasciata americana di Pietrogrado.
Francis era fermamente convinto che il fermento russo altro non fosse che il risultato di un complotto tedesco e che tutti i rivoluzionari russi fossero agenti stranieri. A ogni modo - pensava - tutta la faccenda sarebbe finita prestissimo.
Il 21 aprile 1917, l'ambasciatore Francis aveva inviato al Segretario di Stato Robert Lansing, un telegramma riservato così concepito:

SOCIALISTA ESTREMISTA RIVOLUZIONARIO O ANARCHICO DI NOME LENIN
TIENE VIOLENTI DISCORSI RAFFORZANDO DI CONSEGUENZA IL GOVERNO.
DI PROPOSITO GLI VIEN LASCIATA MANO LIBERA.
SARÀ TEMPESTIVAMENTE DEPORTATO.

Ma la rivoluzione russa, anziché placarsi dopo l'abbattimento dello zar, era solo all'inizio. L'esercito russo si andava sfasciando e sembrava che in Russia nessuno più avesse il potere di arrestarne la disgregazione. Aleksander Kèrenskij, l'ambizioso capo del governo provvisorio, aveva visitato il fronte tenendo eloquenti discorsi alle truppe, assicurandole che « vittoria, democrazia e pace» erano a portata di mano. Per nulla impressionati, i soldati russi, affamati e ribelli, continuavano a disertare a decine di migliaia. In colonne interminabili, con le uniformi sudice e a brandelli, essi vagavano nelle campagne, attraverso i campi inzuppati dalla pioggia, le strade melmose, i villaggi, le città...
Nelle retrovie, i soldati incontravano gli operai e i contadini rivoluzionari. In ogni località soldati, operai e contadini costituivano spontaneamente i loro comitati rivoluzionari o « Soviet », come essi li chiamavano, ed eleggevano i loro delegati, che dovevano portare le loro esigenze di Pane, pace, terra! a Pietrogrado, al governo.
Quando il maggiore Raymond Robins giunse a Pietrogrado, masse affamate di popolo, simili a una nera marea dilagante, circolavano nel paese. La capitale brulicava di delegazioni di soldati, reduci dal fango delle trincee, i quali chiedevano che si mettesse fine alla guerra. Le agitazioni per il pane erano all'ordine del giorno. Il partito bolscevico di Lenin - l'organizzazione dei comunisti che Kèrenskij aveva ricacciato nell'illegalità - stava acquistando rapidamente autorità e prestigio.
Raymond Robins rifiutò di accettare come verità le opinioni dell'ambasciatore Francis e dei suoi amici zaristi sulla Russia. Sprecò poco tempo nei saloni di Pietrogrado, ma scese « in campo», per usare la sua espressione, per vedere le cose con i propri occhi. Robins aveva. una fiducia illimitata in quella che definiva « la mentalità aperta », quel certo che è proprio degli uomini d'affari americani: una mentalità che non si accontenta delle chiacchiere, ma è costantemente alla ricerca dei fatti. Viaggiò per il paese, frequentò riunioni sindacali, visitò fabbriche, baraccamenti militari e persino le trincee infestate dai pidocchi del fronte orientale. Per rendersi conto di quel che stava capitando in Russia Robins andò tra il popolo russo.
Tutta la Russia si presentava quell'anno come un'immensa società impegnata in tumultuosi dibattiti. Dopo secoli di silenzio forzato, la gente aveva ritrovato la lingua. Si tenevano dovunque comizi. Ognuno diceva quel che aveva da dire. Funzionari del governo, propagandisti pro-alleati, bolscevichi, anarchici socialisti rivoluzionari, menscevichi, tutti quanti parlavano. I bolscevichi erano gli oratori più popolari. Soldati, operai e contadini si ripetevano instancabilmente le loro parole.
- Ditemi: per che cosa combatto? - chiedeva un soldato russo in uno di quei burrascosi comizi di massa - Per Costantinopoli o per liberare la Russia? Per la democrazia o per i briganti capitalisti? Se potete provarmi che difendo la Rivoluzione, allora andrò a combattere anche senza la minaccia della pena capitale. Quando la terra sarà dei contadini e le fabbriche degli operai e il potere del Soviet, allora noi sapremo di avere veramente qualcosa per cui combattere e combatteremo!
In questa atmosfera Robins si trovava a suo agio. Noto comiziante egli stesso, aveva sostenuto in patria più di un dibattito con i marxisti americani; perché non avrebbe dovuto farlo con i bolscevichi russi? Robins chiedeva spesso il permesso di replicare agli oratori bolscevichi. Nelle fabbriche e nelle trincee, tra la densa folla, l'Americano dalle spalle quadrate e dagli occhi neri si alzava e parlava. Per mezzo, del suo interprete, Robins parlava ai suoi ascoltatori russi della democrazia americana e della minaccia del militarismo prussiano. Invariabilmente, applausi tumultuosi salutavano le sue parole.
Al tempo stesso Robins non trascurava il suo lavoro alla Croce Rossa. Era suo còmpito fornire di viveri le città affamate. Nella valle del Volga scoprì immensi depositi di grano che marciva nei magazzini. Mancavano i trasporti per distribuirlo. Per colpa del regime zarista, irrimediabilmente disorganizzato, il sistema dei trasporti era andato a catafascio e Kèrenskij non aveva fatto nulla per rimediare alla situazione. Robins propose di raccogliere sul Volga una flottiglia di barconi per spedire il grano. I funzionari di Kèrenskij gli risposero che non era possibile. Un contadino si presentò a Robins; gli disse che i barconi sarebbero stati a sua disposizione. La mattina seguente il grano cominciò a risalire il fiume verso Mosca e Pietrogrado.
Robins ebbe ovunque la prova della confusione e dell'inettitudine del governo di Kèrenskij in contrasto con l'organizzazione e la determinazione dei Soviet rivoluzionari. Quando il presidente di un Soviet diceva che una cosa sarebbe stata fatta, era fatta.
La prima volta che Robins giunse in un villaggio russo e chiese di vedere le autorità locali, i contadini avevano sorriso: - Sarebbe meglio che vedeste il presidente del Soviet, - gli dissero.
- Che cosa è codesto Soviet? - chiese Robins,
- I delegati degli operai, dei soldati e dei contadini.
- Ma questa è una specie di organizzazione rivoluzionaria - protestò Robins. - lo voglio l'organizzazione civile, l'autorità regolare civile.
I contadini risero: - Quella? quella non conta nulla. Fareste meglio a vedere il presidente del Soviet!
Ritornato a Pietrogrado, dopo il suo giro di ispezione, Robins fece una relazione preliminare al colonnello Thompson. - Il governo provvisorio di Kèrenskij - disse - era « una specie di castello di carte, privo di qualsiasi base nel paese e sostenuto dalle baionette a Pietrogrado, a Mosca e in alcune altre località » -.
Il vero governo del paese era esercitato dai Soviet, Però Kèrenskij era per la continuazione della guerra contro la Germania, e per questa ragione Robins credeva che dovesse essere mantenuto al potere. E, se gli Alleati volevano lmpedire che la Russia precipitasse completamente nel caos e quindi sotto la dominazione tedesca, essi dovevano far uso di tutta la loro influenza per convincere Kèrenskij a riconoscere i Soviet e ad accordarsi con essi.
Il governo degli Stati Uniti doveva essere informato della situazione prima che fosse troppo tardi.
Robins faceva una proposta audace: l'immediato lancio dì una campagna propagandistica, gigantesca, stringente, per convincere il popolo russo che la vera minaccia alla rivoluzione veniva dalla Germania.
Con gran stupore di Robins, il colonnello Thompson si dichiarò pienamente d'accordo sulla relazione e la proposta. Disse a Robins che avrebbe trasmesso telegraficamente a Washmgton un abbozzo del suo schema propagandistico e avrebbe richiesto l'autorità e i fondi necessari per effettuarlo. Frattanto, poiché il tempo era prezioso, Robins poteva mettersi all'opera.
- Ma dove prendere il 'denaro? - chiese Robins.
Robins poteva liberamente attingere dal deposito bancario del colonnello a Pietrogrado.
- L'essenziale - disse Thompson - era di tener fermo l'esercito russo sul fronte orientale e d'impedire alla Germania di entrare in Russia.
Al tempo stesso, il colonnello era pienamente consapevole dei pericoli che correva intervenendo così attivamente e personalmente nelle faccende russe.
- Sapete quel che significa, Robins? - chiese.
- Credo che significhi l'unica possibilità di salvare la situazione, colonnello - rispose Robins.
- No, voglio dire se sapete quel che significa per voi?
- Che volete dire?
- Che se non riuscirete, sarete fucilato.
Robins scrollò le spalle. - Uomini migliori, uomini più giovani vengono uccisi ogni giorno sul fronte occidentale -. Poi aggiunse dopo una pausa: - Colonnello, se io sarò fucilato, voi sarete impiccato.
- Non mi stupirei che aveste ragione al cento per cento -, fu la risposta del colonnello Thompson.

2. Controrivoluzione.

I venti autunnali soffiavano umidi e gelidi dal Baltico, nuvole nere e minacciose gonfie d'acqua incombevano sulla città, quando a Pietrogrado gli eventi precipitarono verso il loro storico epilogo.
Pallido e nervoso, chiuso nell'uniforme marrone accuratamente abbottonata, gli occhi sporgenti, il braccio destro incurvato napoleonicamente, Alexander Kèrenskij, capo del governo provvisorio, percorreva su e giù la sua stanza nel Palazzo d'Inverno.
- Che cosa si aspettano da me? - gridava a Raymond Robins - metà del tempo devo parlare come un liberale occidentale per far piacere agli Alleati e l'altra metà come un socialista russo per mantenermi in vita.
Kèrenskij aveva ragione di essere scosso. Alle sue spalle, i suoi principali sostenitori, i milionari russi e gli stessi alleati anglo-francesi, già cospiravano per togliergli il potere.
I milionari russi minacciavano apertamente di rivolgersi ai Tedeschi, se l'Inghilterra e la Francia si fossero rifiutate di intervenire per arrestare la Rivoluzione.
- La rivoluzione è una malattia - diceva Stepan Georgevic Liazanov, il « Rockefeller russo », al corrispondente americano John Reed. - Presto o tardi le potenze straniere dovranno intervenire come si interviene per curare un bambino invalido, per insegnargli a camminare.
Un altro milionario russo, Riabushinskij, dichiarava che l'unica soluzione era « di stringere alla gola con la mano spettrale della fame, dell'estrema miseria, i falsi amici del popolo: i Soviet e i Comitati democratici!»
Sir Samuel Hoare, capo del Servizio d'informazioni diplomatico in Russia, dopo aver conferito con i milionari russi, era tornato a Londra, dove aveva dichiarato che la dittatura militare era la miglior soluzione del problema russo. Secondo Hoare, i candidati più idonei al posto di dittatore erano l'ammiraglio Kolciàk - il quale, diceva Hoare, era quel che di più prossimo al « gentleman inglese» aveva potuto trovare in Russia - e il generale Larr Kornilov, il massiccio e barbuto cosacco, comandante in capo dell'esercito russo.
I governi francese e britannico decisero di appoggiare il generale Kornilov. Sarebbe stato' l'uomo forte che avrebbe tenuto la Russia in guerra e al tempo stesso schiacciato la rivoluzione e protetto gli interessi finanziari anglo-francesi in Russia.
Il putsch ebbe luogo la mattina dell'8 settembre 1917. Cominciò con un proclama, promulgato da Kornilov nella sua qualità di comandante in capo dell'esercito, chiedente il rovesciamento del governo provvisorio e il ritorno alla « disciplina e all'ordine ». Migliaia di opuscoli intitolati. Kornilov, l'eroe russo, comparirono d'improvviso nelle strade di Mosca e Pietrogrado. Anni dopo, Kèrenskij rivelò nel suo libro La catastrofe che « questi opuscoli erano stati stampati a spese della missione militare britannica ed erano stati inviati a Mosca dall'ambasciata britannica di Pietrogrado nella carrozza ferroviaria riservata del generale Knox, addetto militare britannico ». . Kornilov diede ordine a 20 mila soldati di .avanzare su Pietrogrado. Ufficiali francesi e britannici in uniforme russa marciavano con le truppe di Kornilov.
Kèrenskij fu atterrito dal tradimento. A Londra e a Parigi era ancora acclamato come un « gran democratico » e come « l'eroe delle masse russe». E proprio qui in Russia i rappresentanti alleati cercavano di rovesciarlo! Kèrenskij si chiedeva disperatamente che cosa fare, e non fece nulla.
Il Soviet di Pietrogrado controllato dal bolscevichi ordinò, di propria iniziativa, la mobilitazione immediata. Agli operai armati si unirono marinai rivoluzionari della flotta del Baltico e soldati provenienti dal fronte. Barricate e cavalli di frisia sorsero nelle vie della città. Pezzi d'artiglieria e mitragliatrici comparvero nei punti strategici. Pattuglie di guardie rosse - operai in berretto e giacche di cuoio, armati di fucili e di bombe a mano - percorrevano le vie fangose.
In quattro giorni -l'esercito di Kornilov si disgregò. Lo stesso generale fu arrestato dal Comitato di soldati che si era costituito segretamente nel suo stesso esercito. Una quarantina di generali del vecchio regime, coinvolti nella cospirazione di Kornilov, furono arrestati all'Hotel Astoria di Pietrogrado, dove stavano attendendo la notizia del trionfo di Kornilov. Il sottosegretario alla guerra di Kèrenskij, Boris Sàvinkov, fu cacciato dal suo ufficio a furore di popolo per aver partecipato alla congiura. Il governo provvisorio precipitò.
Il putsch aveva provocato esattamente quel che avrebbe dovuto evitare: un trionfo dei bolscevichi e una dimostrazione della forza dei Soviet.
Il potere era nelle mani dei Soviet, non di Kèrenskij.
- L'ascesa dei Soviet - disse Raymond Robins - compì I'opera senza ricorrere alla forza... ; questo fu il potere che sconfisse Kornilov.
L'ambasciatore Francis, da parte sua, telegrafava al Dipartimento di Stato americano:

FALLIMENTO DI KORNILOV IMPUTABILE A CATTIVI CONSIGLI?
ERRATE INFORMAZIONI METODI INADATTI. INOPPORTUNITÀ.
BUON SOLDATO PATRIOTA ALTRIMENTI INESPERTO.
GOVERNO SERIAMENTE SPAVENTATO IMPARERÀ DALLA ESPERIENZA.

3. Rivoluzione.

Gli avvenimenti si succedevano con rapidità vertiginosa. Da Lenin, tuttora fuorilegge, era pervenuta la nuova parola d'ordine della rivoluzione: « Tutto il potere ai Sovietl Abbasso il governo provvisorio! »
Il 7 ottobre il colonnello Thompson telegrafava allarmato a Washington:

MASSIMALISTI (BOLSCEVICHI) CERCANO ATTIVAMENTE DI CONTROLLARE
IL CONGRESSO PANRUSSO DEI DEPUTATI OPERAI E SOLDATI CHE AVRÀ
LUOGO QUESTO MESE. SE RIUSCIRANNO FORMERANNO NUOVO GOVERNO
CON RISULTATI DISASTROSI CHE CONDURRANNO PROBABILMENTE ALLA
PACE SEPARATA. STIAMO IMPIEGANDO TUTTE LE NOSTRE RISORSE MA
DOBBIAMO AVERE IMMEDIATO APPOGGIO O SARÀ TROPPO TARDI.

Il 3 novembre si tenne nell'ufficio del colonnello Thompson una riunione segreta dei capi militari alleati in Russia. Che cosa fare per fermare i bolscevichi ? Il generale Niessel, capo della Missione militare francese, denunciò rabbiosamente il governo provvisorio per la sua inettitudine e chiamò i soldati russi « cani gialli ». A questo punto uno dei generali russi, rosso di collera, abbandonò la camera.
Il generale Alfred Knox, addetto militare britannico e capo della Missione britannica a Pietrogrado, rinfacciò agli Americani di non aver sostenuto Kornilov.
- Non è mio interesse rendere più stabile la posizione di Kèrenskij e del suo governo - urlò Knox a Robins. - È incompetente e incapace, e non vale un soldo. Voi avreste dovuto essere dalla parte di Kornilov!
- Ebbene, generale, - rispose Robins, - voi eravate con Kornilov »,
Il generale britannico diventò di fuoco. - In Russia non resta altro che arrivare a una dittatura militare - disse. - È necessaria per questa gente!
- Generale! - intervenne Robins - potreste arrivare a una dittatura di tipo ben diverso.
- Volete dire questo pasticcio bolscevico Trotskij-Lenin, questo pasticcio di piazza?
- Proprio così.
- Robins - disse il generale Knox - voi non siete un militare; voi non capite nulla di cose militari. Noi militari sappiamo come comportarci in questi casi. Li mettiamo con le spalle al muro, e spariamo.
- Certo, se riuscite ad acciuffarli, lo fate - replicò Robins.
- Lo ammetto, generale, non m'intendo affatto di cose militari, ma m'intendo un po' di uomini, ho lavorato con loro tutta la mia vita. Sono stato tra gli uomini in Russia e so che ci troviamo di fronte a una situazione creata da uomini.
Il 7 novembre 1917, quattro giorni , dopo questa conferenza , nell'ufficio del colonnello Thompson, i bolscevichi, si impadronirono del potere.
La rivoluzione bolscevica, con le sue ripercussioni mondiali, si compì in modo strano, e passò da principio quasi inosservata. Fu la rivoluzione più pacifica che la storia ricordi. Piccoli drappelli di soldati e marinai si aggiravano nella capitale. Furono sparati colpi sporadici, dispersi. Uomini e donne si raccoglievano nelle vie gelide, discutendo, gesticolando, leggendo gli ultimi proclami ed appelli. Corsero le solite voci contraddittorie. I tram andavano su e giù lungo la Neva. Le massaie entravano e uscivano dai negozi. I giornali conservatori di Pietrogrado, che uscirono come al solito, ignorarono persino la rivoluzione.
Dopo aver sopraffatto facilmente una debolissima resistenza, i bolscevichi occuparono il telefono, il telegrafo, la Banca di Stato e i ministeri. Il Palazzo d'Inverno, sede del governo provvisorio di Kèrenskij, fu accerchiato ed isolato.
Quel pomeriggio stesso Kèrenskij si diede alla fuga in una veloce auto fornita dall'Ambasciata americana. In gran fretta, al momento di partire, Kèrenskij assicurò l'ambasciatore Francis che sarebbe ritornato alla testa delle truppe combattenti e che avrebbe « liquidato la situazione in cinque giorni ».
Alle 6 pomeridiane l'ambasciatore Francis telegrafava al segretario di stato Lansing :

APPARENTEMENTE I BOLSCEVICHI HANNO PRESO IL CONTROLLO DOVUNQUE.
IMPOSSIBILE PRENDERE CONTATTO CON I MINISTRI.

In quella notte umida e fredda le strade fangose erano percorse da autocarri. Alle sentinelle che sostavano accanto ai falò venivano lanciati grandi pacchi bianchi con dentro il seguente proclama:

« Ai cittadini della Russia!
Il Governo provvisorio è deposto. Il potere dello Stato è passato nelle mani dell'organo del Soviet di Pietrogrado dei deputati operai e contadini : il Comitato rivoluzionario militare che dirige il proletariato e la guarnigione di Pietrogrado.
La causa per cui si è battuto il popolo - proposta immediata di una pace democratica, abolizione dei diritti di proprietà dei proprietari fondiari sulla terra, controllo operaio della produzione, creazione di un governo sovietico - questa causa ha vinto.
Evviva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini!
Il Comitato rivoluzionario militare del Soviet di Pietrogrado dei deputati operai ,e contadini ».

Alle 22,45 della notte del 7 novembre, il Congresso panrusso dei Soviet dei deputati operai e contadini tenne la seduta d'apertura nella sala da ballo dell'Istituto Smolnyj, già scuola elegante per le figlie dell'aristocrazia zarista. L'immenso salone, pieno di fumo, con le sue colonne di marmo, i candelabri candidi, i pavimenti intarsiati, ospitava ora i rappresentanti eletti dei soldati e degli operai russi. Sporchi, stanchi, con le barbe lunghe, i deputati dei Soviet - soldati con le uniformi incrostate di fango delle trincee, operai in berretto e giubba nera da lavoro, marinai in blusa a righe e berrettino tondo adornato di nastri - ascoltavano instancabili mentre, l'uno dopo l'altro, salivano alla tribuna i membri del Comitato esecutivo centrale.
Il congresso durò due giorni. Un grande applauso scoppiò la sera del secondo giorno, quando un uomo piccolo e robusto, che indossava un vestito logoro, si presentò alla tribuna, la testa calva rilucente, un foglio di carta in mano.
Il tumulto durò parecchi minuti. Poi, piegandosi leggermente in avanti l'oratore disse: « Ora procederemo alla costruzione dell'ordine socialista!»
L'oratore era Lenin.
Il congresso elesse il primo governo sovietico, il consiglio dei commissari del popolo, con alla testa Vladimir Ilic Lenin.

4. Non riconosciuto.

La mattina dopo, l'ambasciatore Francis telegrafava a Washington che il nuovo regime sovietico avrebbe avuto al massimo qualche giorno di vita. Consigliava il Dipartimento di Stato a non riconoscere il governo russo, finché i bolscevichi non fossero stati rovesciati e il loro posto occupato da « patrioti russi ».
Quella stessa mattina Raymond Robbins entrò nell'ufficio del colonnello Thomson nella sede della Croce Rossa americana di Pietrogrado.
- Colonnello - esclamò - dobbiamo agire d'urgenzal L'idea che Kèrenskij sta formando un esercito, che i cosacchi stanno arrivando dal Don e che le guardie bianche stanno scendendo dalla Finlandia, è inventata di sana pianta! Non arriveranno mai fin qui. Fra loro e noi ci sono i fucili di troppi contadini! No, gli uomini che ora dirigono la commedia da Smolnyj son destinati a farlo per un pezzo!
Robins chiedeva al suo capo il permesso di recarsi immediatamente a Smolnyj per avere un colloquio con Lenin. « Son per lo più persone degne di rispetto e cortesi - diceva Robins alludendo ai bolscevichi. - Noi abbiamo avuto a. che fare con i nostri politicanti: ebbene, se a Smolnyj ci sono individui più corrotti e peggiori dei nostri imbroglioni, questo vuol dire che anche qui ci sono imbroglioni!»
Per tutta risposta, il colonnello Thompson mostrò a Robins gli ordini che aveva ricevuti proprio allora da Washington. Doveva ritornare immediatamente in America per consultazioni. Personalmente, era d'accordo con Robins che i bolscevichi rappresentavano le masse del popolo russo, e non appena giunto negli Stati Uniti avrebbe cercato di convincerne anche il Dipartimento di Stato. Frattanto Robins, promosso al grado di colonnello, doveva assumere la direzione della missione americana della Croce Rossa in Russia. Il colonnello Thompson strinse la mano al suo ex aiutante e gli augurò buona fortuna.
Robins non perse tempo. Si recò all'Istituto Smolnyj e chiese di parlare con Lenin.
- Ero per Kèrenskij - dichiarò francamente - ma non sono cieco: considero il governo provvisorio come morto e sepolto. Desidero sapere come la Croce Rossa americana può essere utile al popolo russo senza ledere i nostri interessi nazionali. Sono contro il vostro programma di politica interna, ma non è affar mio quel che càpita all'interno. Se Kornilov o lo zar o chiunque altro avesse il potere, tratterei con lui!
A Lenin quell'Americano franco, dinamico piacque immediatamente. Cercò di spiegare a Robins il carattere del nuovo regime.
- Dicono che sono un dittatore - dichiarò Lenin -, per il momento sono tale. Sono un dittatore perché ho dietro di me la volontà delle masse dei contadini e degli operai . Il momento in cui cessassi di interpretare la loro volontà, mi toglierebbero il potere e sarei impotente quanto lo zar.
Riguardo al programma economico sovietico, Lenin continuò:
- Noi lanceremo una sfida al mondo con una repubblica di produttori. Non mettiamo nei Soviet chiunque possegga azioni o che sia comunque un possidente. Ci mettiamo i produttori. Il bacino carbonifero del Donets sarà rappresentato dai produttori di carbone; le ferrovie dai produttori dei trasporti; il sistema postale dai suoi produttori, e così via.
Lenin descrisse quindi a Robins un'altra fase essenziale del programma bolscevico: la soluzione del « problema nazionale ».
Sotto gli zar, i numerosi gruppi nazionali della Russia erano stati spietatamente oppressi e ridotti al grado di popoli soggetti. Tutto ciò - disse Lenin - doveva cambiare. L'antisemitismo e gli altri pregiudizi della stessa sorta sfruttati dallo zarismo per aizzare un gruppo contro l'altro sarebbero stati spazzati via. Ogni nazionalità e ogni minoranza nazionale in Russia sarebbe stata completamente emancipata, avrebbe ricevuto parità di diritti e autonomia regionale e culturale. Lenin disse a Robins che l'uomo il quale avrebbe affrontato questo problema complesso e di importanza capitale era la personalità bolscevica piti versata nella questione delle nazionalità, Josif Stalin. .
Quali le probabilità che la Russia restasse in guerra con la Germania?
Lenin rispose con estrema sincerità. La Russia era ormai uscita dalla guerra. La Russia non poteva opporsi alla Germania, finché non si fosse costituito un nuovo esercito: l'esercito rosso. Ciò esigeva tempo. L'intera struttura dell'industria e dei trasporti, marcia fino al midollo, doveva essere riorganizzata da capo a fondo.
Il governo sovietico - proseguì Lenin - desiderava il riconoscimento e l'amicizia degli Stati Uniti. Era perfettamente informato dei pregiudizi correnti contro il suo regime. Offriva a Robins un programma minimo di cooperazione pratica. In cambio dell'assistenza tecnica americana, il governo sovietico avrebbe provveduto a mettere in salvo tutto l'equipaggiamento bellico dal fronte orientale, laddove non si poteva impedire in alcun modo che cadesse nelle mani dei Tedeschi.
Robins trasmise al generale William Judson, addetto militare americano e capo della missione militare americana in Russia, la proposta di Lenin; e il generale Judson si recò all'Istituto Smolnyj per precisare i particolari dell'accordo .
Il generale Judson informò l'ambasciatore Francis che sarebbe stato nell'interesse degli Stati Uniti di riconoscere il governo sovietico.
- Il Soviet è il governo de facto, e bisogna stabilire relazioni con questo governo - disse il general Judson,
Ma l'ambasciatore americano era di tutt'altro avviso, e già l'aveva comunicato a Washington.
Pochi giorni dopo, un telegramma del Segretario di Stato Lansing comunicava all'ambasciatore Francis che i rappresentanti degli Stati Uniti dovevano « evitare ogni contatto diretto .con il governo bolscevico». Il telegramma aggiungeva: « Avvertitene Judson ».
Un secondo telegramma a brevissima distanza richiamò in patria il generale Judson.
Robins pensò di dimettersi, in segno di protesta contro la politica del Dipartimento di Stato. Con sua grande sorpresa, l'ambasciatore Francis gli consigliò di stare al suo posto e di mantenere i contatti con il governo sovietico.
- Credo che sarebbe poco saggio da parte vostra rompere le vostre relazioni in modo brutale e definitivo, vale a dire cessare di recarvi all'Istituto Smolnyj - disse. - Inoltre, desidero sapere quello che fanno e io starò tra voi ed il fuoco.
Robins non lo sapeva, ma l'ambasciatore Francis desiderava tutte le informazioni che poteva avere sul conto del governo sovietico, per ragioni sue particolari.

5. Diplomazia segreta.

Il 2 dicembre 1917, l'ambasciatore Francis inviava a Washington il suo primo rapporto confidenziale sulle attività del generale Alexis Kalèdin, ataman dei cosacchi del Don. Francis descriveva il generale come « Kalèdin, comandante in capo di 200 mila cosacchi». Il generale Kalèdin aveva organizzato un esercito bianco controrivoluzionario fra i cosacchi nella Russia meridionale, aveva proclamato « l'indipendenza del Don» e si preparava a marciare su Mosca per rovesciare il governo sovietico. Clandestinamente, a Mosca ed a Pietrogrado, gruppi di ufficiali zaristi agivano come spie antisovietiche per conto di Kalèdin e si tenevano in contatto con l'ambasciatore Francis.
Su richiesta di Francis, una relazione più particolareggiata sulle forze del generale Kalèdin fu inviata al Dipartimento di Stato alcuni giorni dopo da Maddin Summers, console generale americano a Mosca. Summers, che aveva sposato la figlia di un ricco nobile zarista, era ostile ai Soviet ancor più dello stesso ambasciatore. Secondo il rapporto Summers, Kalèdin aveva già raggruppato intorno a sé tutti gli elementi « leali » e « onesti » della Russia meridionale.
Il Segretario di Stato Lansing consigliava, in un telegramma all'ambasciata americana di Londra, di stanziare un fondo segreto per finanziare la causa di Kalèdin. Questo fondo - specificava il segretario - dovrà essere fornito tramite il governo britannico o quello francese.
« Non ho bisogno di insistere con voi - aggiungeva Lansing sulla necessità di agire rapidamente e di far capire a quelli con cui parlate l'importanza di non palesare che gli Stati Uniti simpatizzano per il movimento di Kalèdin, e tanto meno che lo aiutano finanziariamente ».
A Francis si consigliava di far uso della più grande discrezione nel trattare con gli agenti di Kalèdin a Pietrogrado in modo da non insospettire i bolscevichi.
Nonostante queste accurate precauzioni, la trama fu scoperta dal governo sovietico, il quale stava in guardia contro ogni possibilità di intervento alleato in Russia. Verso la metà di dicembre la stampa sovietica accusò l'ambasciatore americano di congiurare segretamente con Kalèdin. Francis negò blandamente di conoscere l'esistenza del capo cosacco...
« Sto facendo una dichiarazione alla stampa - telegrafò Francis al Lansing il 22 dicembre - in cui smentisco di essere in qualche modo a partecipazione .o a conoscenza dei piani di Kalèdin, dichiarando che mi attengo scrupolosamente alle vostre precise istruzioni di non intervenire negli affari interni del paese ».
Isolato dell'ostilità alleata e troppo debole per affrontare da solo la potente macchina bellica tedesca, il governo sovietico doveva proteggersi nel miglior modo possibile. La Germania costituiva la minaccia più immediata.
Per salvare la nuova Russia, per guadagnar tempo, per poter compiere un lavoro riorganizzativo efficace e creare l'esercito rosso, Lenin propose di firmare una pace immediata sul fronte orientale.
« Dovremo concludere la pace in ogni modo - disse ai suoi collaboratori, dopo aver passato in rassegna le spaventose condizioni dei trasporti, dell'industria e dell'esercito russo. - Dobbiamo diventare forti... Se i Tedeschi cominciassero ad avanzare, saremmo forzati a concludere la pace a qualsiasi condizione, e la pace sarebbe allora più dura».
Per insistenza di Lenin, una delegazione sovietica parti d'urgenza per Brest-Litòvsk, il quartier generale dell'armata tedesca meridionale, per chiedere le condizioni di pace.
Il 23 dicembre 1917, il giorno dopo la prima seduta della conferenza preliminare per la pace di Brest-Litòvsk, i rappresentanti della Gran Bretagna e della Francia si incontrarono a Parigi e concludevano un accordo segreto per smembrare la Russia sovietica. In base a quest'accordo, chiamato L'Accord français-anglais du 23 décembre I9I7, définissant les zones d'action françaises et anglaises, l'Inghilterra avrebbe ottenuto in Russia una « zona d'influenza » che le avrebbe dato il petrolio del Caucaso e il controllo delle province baltiche; dalla « zona » attribuitale la Francia avrebbe avuto il ferro e il carbone del bacino del Donets e il controllo della Crimea.
Questo trattato segreto anglo-francese non era che il punto di partenza della politica che le due nazioni avrebbero seguito nei riguardi della Russia per molti anni a venire.
 
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view post Posted on 23/3/2011, 16:59
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Grazie.
 
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-Bardo-
view post Posted on 26/3/2011, 02:31




Secondo capitolo del libro primo.
Ci sono parecchie cose interessanti su Trotsky.
Inoltre possiamo osservare ancora una volta esplicito il carattere di classe dei governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per i quali il vero pericolo, il vero nemico, non è la Germania imperialista bensì il bolscevismo.

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Capitolo secondo
Contrappunto


1. Un agente britannico.

Verso la mezzanotte di quel gelido 18 gennaio 1918, un giovane Scozzese, dalla figura aitante, avvolto in pellicce, cercava faticosamente la strada alla luce di una lanterna attraverso il ponte semidistrutto che unisce la Finlandia alla Russia. La guerra civile infuriava in Finlandia e il traffico ferroviario attraverso il ponte era stato interrotto. Il governo rosso finlandese aveva fornito il giovane Scozzese di una scorta che doveva accompagnare lui e i suoi bagagli oltre la frontiera, dove un treno lo attendeva per portarlo a Pietrogrado. Il viaggiatore era R. H. Bruce Lockhart, agente speciale del ministero della Guerra britannico.
Esemplare perfetto del sistema privilegiato della « scuola pubblica » inglese, Bruce Lockhart era entrato nel servizio diplomatico all'età di ventun anni. Bello e intelligente, non aveva tardato a rivelarsi come uno dei giovani più capaci e promettenti del Foreign Office. A trent'anni era vice-console britannico a Mosca. Parlava russo correntemente, conosceva a fondo la politica e gli intrighi russi. Era stato chiamato a Londra proprio sei settimane prima della rivoluzione sovietica.
Ora veniva rinviato in Russia su richiesta personale del primo ministro Lloyd George, il quale era stato profondamente colpito da quello che sulla Russia aveva saputo dal colonnello Thompson. L'ex capo di Robins aveva aspramente criticato il rifiuto alleato di riconoscere il regime sovietico. In seguito al colloquio di Thompson con Lloyd George, si era deciso di inviare in Russia Lockhart per stabilire relazioni di qualche specie - in mancanza di un riconoscimento formale - con il regime sovietico.
Ma l'avvenente Scozzese era anche un agente del Servizio di spionaggio diplomatico britannico. Aveva l'incarico, non ufficiale, di sfruttare a pro degli Inglesi i movimenti, d'opposizione già manifestatisi in seno al governo sovietico.
L'opposizione a Lenin era capeggiata dall'ambizioso commissario sovietico per gli Esteri, Lev Trotskij, che si considerava l'inevitabile successore di Lenin. Per quattordici anni Trotskij aveva avversato fieramente i bolscevichi; poi, nell'agosto del '17, pochi mesi prima della rivoluzione bolscevica, era entrato nel partito di Lenin e ne aveva accompagnato l'ascesa al potere. Entro il partito bolscevico, Trotskij stava organizzando contro Lenin l'opposizione di sinistra.
Quando al principio del 1918 Lockhart raggiunse Pietrogrado, il commissario Trotskij era a Brest-Litòvsk a capo della delegazione di pace sovietica.
Trotskij era stato inviato a Brest-Litòvsk da Lenin col preciso incanco di firmare la pace. Invece di seguire le istruzioni ricevute, Trotskij, in una seriedi appelli incendiari, incitava il
proletariato europeo a sollevarsi e a rovesciare i rispettivi governi. Per nessuna ragione - egli dichiarava - il governo sovietico avrebbe concluso la pace con i regimi capitalisti. « Né pace né guerra!»; gridava Trotskij. Diceva ai Tedeschi che l'esercito russo non era più in grado di combattere, che avrebbe continuato la smobilitazione, ma che non avrebbe concluso la pace.
Lenin bollò il comportamento e le proposte di Trotskij a Brest-Litòvsk - « cessazione della guerra, rifiuto di firmare la pace, smobilitazione dell'esercito » - come « pazzia, se non peggio ».
Il Foreign Office, come Lockhart rivelò poi nelle sue memorie intitolate British Agent (Agente britannico), si interessò enormemente a questi « dissensi tra Lenin e Trotskij, dissensi da cui il nostro governo spera di ottener molto ».
Come risultato del comportamento di Trotskij, i negoziati di pace a Brest-Litòvsk fallirono. Il comando supremo tedesco non voleva in primo luogo trattare con i bolscevichi. Trotskij - secondo Lenin - si prestò al loro giuoco e « aiutò di fatto gli imperialisti tedeschi ». Nel bel mezzo di uno dei discorsi di Trotskij a Brest-Litòvsk, il generale tedesco Max Hoffmann batté il pugno sulla tavola della conferenza e invitò i delegati sovietici a tornarsene a casa.
Trotskij tornò a Pietrogrado, e alle rimostranze di Lenin ribatté: « I Tedeschi non oseranno avanzare!»
Dieci giorni dopo la rottura dei negoziati di pace, il comando tedesco sferrò una offensiva in grande stile lungo tutto il fronti: orientale, dal Baltico al Mar Nero. Nel sud le orde tedesche invasero le pianure ucraine. Nel centro l'offensiva puntò su Mosca attraverso la Polonia. Nel nord, Narva cadde e Pietrogrado fu minacciata. Dovunque, lungo il fronte i resti del vecchio esercito russo cedettero e si disgregarono.
Il disastro incombeva su tutta la Russia.
Emergendo dalle città dove erano stati mobilitati in tutta fretta dai loro capi bolscevichi, gli operai armati e le guardie rosse costituirono reggim enti per arginare l'avanzata tedesca. Le prime unità dell'esercito rosso entrarono in azione. A Pskov, il 23 febbraio, i Tedeschi furono fermati. Per qualche tempo Pietrogrado era salva.
Una seconda delegazione, questa volta senza Trotskij, si affrettò alla volta di Brest-Litòvsk, per trattare la pace.
Come prezzo della pace, i Tedeschi chiesero questa volta l'Ucraina, la Finlandia, la Polonia, il Caucaso, enormi indennità di oro, grano, petrolio, carbone e minerali.
Un'ondata di indignazione contro i « briganti imperialisti tedeschi » percorse la Russia sovietica quando furono resi pubblici questi termini della pace. Il comando supremo tedesco - dichiarò Lenin - sperava con questa « pace da briganti» di smembrare la Russia sovietica e spezzare il regime sovietico.
Era. convinzione di Bruce Lockhart che l'unica cosa ragionevole che gli Alleati potessero fare era di sostenere la Russia contro la Germania. Il governo sovietico non tentava neanche di nascondere la sua riluttanza a ratificare la pace di Brest-Litòvsk. Secondo Lockhart, i bolscevichi si chiedevano: Che cosa faranno gli alleati? Riconosceranno il governo sovietico e verranno in suo aiuto o lasceranno che i Tedeschi impongano la loro « pace da briganti » alla Russia?
Da principio, Lockhart era incline a ritenere che gli interessi britannici in Russia consigliassero di trattare con Trotskij contro Lenin. Trotskij e i suoi seguaci attaccavano Lenin, sostenendo che la sua politica di pace aveva portato a un « tradimento della Rivoluzione ». Trotskij cercava di scatenare quella che Lockhart definiva una « guerra santa » in seno al Partito bolscevico per guadagnarsi l'appoggio degli Alleati e togliere il potere a Lenin.
L'agente britannico e il commissario sovietico agli Esteri non tardarono a far lega. Lockhart chiamava Trotskij familiarmente « Lev Davidovic » e sognava - come ebbe a dire poi - di « fare un grosso colpo con Trotskij ». Ma Lockhart a malincuore dovette giungere alla conclusione che Trotskij mancava, semplicemente, del potere di prendere il posto di Lenin. Lockhart si esprime come segue in British Agent:
« Trotskij era un grande organizzatore e un uomo di immenso coraggio fisico. Ma, moralmente, era incapace di tener testa a Lenin, così come una mosca non può tener testa a un elefante. Nel consiglio dei commissari ciascuno si considerava l'eguale di Trotskij. Ma non c'era un solo commissario che non considerasse Lenin come un semidio, le cui decisioni si dovessero accettare senza discussione ».
Se qualcosa si poteva fare in Russia, doveva essere fatto attraverso Lenin. Questa conclusione era condivisa da Raymond Robins. - Personalmente Trotskij è sempre stato un problema per me: un problema quello che farà, dove sarà in certi momenti e in certi luoghi, causa il suo estremo egocentrismo e la arroganza, se così si può dire, insita nella sua personalità - diceva Robins.
Lockhart aveva incontrato Robins poco dopo il suo arrivo a Pietrogrado. Era stato subito colpito dal modo diretto con cui l'Americano affrontava il problema russo. Robins non condivideva i vari argomenti addotti dagli Alleati contro il riconoscimento. Si beffava. dell'assurda teoria, alimentata dagli agenti zaristi, che i bolscevlchi auspicassero una vittoria tedesca. Con grande eloquenza descriveva a Lockhart le condizioni spaventose della vecchia Russia e la mirabile insurrezione di milioni di oppressi sotto la guida dei bolscevichi.
Per completare il quadro, Robins condusse Lockhart all'Istituto Smolnyj per vedere in azione il nuovo regime. Mentre tornavano a Pietrogrado sotto la neve, Robins dichiarò che le ambasciate alleate, con le loro congiure segrete contro il governo sovietico, facevano « Il giuoco del Tedeschi contro la Russia », Il governo sovietico era solidamente stabilito; e quanto prima gli Alleati avrebbero riconosciuto questo fatto, tanto meglio sarebbe stato.
I due uomini diventarono ben presto amici, quasi inseparabili. Si incontravano alla pnma colazione ogni mattina e facevano insieme i loro piani d'azione per la giornata. Il loro scopo comune era di riconoscere la Russia sovietica e di impedire una vittoria tedesca sul fronte orientale.

2. Ora zero.

All'inizio della primavera del '18 il governo sovietico si trovava nelle seguenti condizioni. La Germania era pronta a rovesciare il governo sovietico con la forza se i Russi si fossero rifiutati di ratificare la pace di Brest-Litòvsk; l'Inghilterra e la Francia appoggiavano segretamente le forze controrivoluzionarie che si ammassavano ad Arcangelo, a Murmansk e sul Don; i Giapponesi, con l'approvazione degli Alleati, si preparavano a impadronirsi di Vladivostòk e a invadere la Siberia.
In un'intervista con Lockhart, Lenin disse all'agente britannico che il governo sovietico si sarebbe trasferito a Mosca, in previsione di un attacco tedesco contro Pietrogrado. I bolscevichi avrebbero continuato a combattere, se necessario, anche se si fossero dovuti ritirare sul Volga e sugli Urali. Ma avrebbero combattuto secondo i propri piani. Non avevano intenzione di « togliere le castagne dal fuoco » per gli Alleati. Se gli Alleati lo capivano, le possibilità di cooperare erano eccellenti. La Russia sovietica aveva disperatamente bisogno di aiuto per resistere ai Tedeschi.
- Peraltro - disse risolutamente Lenin - sono convinto che il vostro governo si rifiuterà di considerare le cose sotto questa luce. È un governo reazionario. Collaborerà con i reazionari russi.
Lockhart telegrafò il nocciolo di ques.ta intervista al Foreign
Office. Alcuni giorni dopo ricevette un messaggio cifrato da Londra.
In tutta fretta lo trascrisse. Il messaggio riportava il parere di un « esperto militare » secondo cui sarebbe bastato in Russia « un piccolo ma risoluto nucleo di ufficiali britannici » per dirigere « i Russi leali » e farla finita in breve tempo col bolscevismo.
L'ambasciatore Francis, il 23 febbraio, aveva scritto in una lettera al figlio:
« Il mio piano è di restare in Russia quanto più mi sarà possibile. Se sarà conclusa una pace separata, come credo, non correrò il pericolo di essere catturato dai Tedeschi. Questa pace separata, tuttavia, sarebbe un grave colpo per gli Alleati; e se una qualche parte della Russia si rifiuterà di riconoscere al governo bolscevico l'autorità di concludere questa pace, cercherò di stabilirmi in quella parte e di incoraggiare la ribellione ».
Scritta questa lettera, l'ambasciatore Francis aveva raggiunto l'ambasciatore francese Noulens e altri diplomatici alleati nella cittadina di Vologda, tra Mosca e Arcangelo. Era chiaro che i governi alleati avevano ormai deciso di non collaborare in nessun modo con il regime sovietico.
Su urgente richiesta di Robins, Lenin accettò di inviare una nota ufficiale al governo degli Stati Uniti. Aveva scarsa speranza di ricevere una risposta favorevole, ma non si rifiutò di tentare.
La nota fu consegnata a Robins perché la trasmettesse al governo americano. Fra l'altro vi si diceva:
« Nel caso in cui (a) ,il Congresso Panrusso dei Soviet si rifiutasse di ratificare il trattato di pace con la Germania o (b) se il governo tedesco, tradendo il trattato di pace, riprendesse l'offensiva per continuare le loro scorrerie da predoni...
1) può il governo sovietico far conto sull'appoggio degli Stati Uniti d'America, della Gran Bretagna e della Francia nella sua lotta contro la Germania?
2) quale appoggio poteva essere fornito nel prossimo futuro e a quali condizioni: equipaggiamento militare, mezzi di trasporto, rifornimenti di prima necessità?
3) quale appoggio in particolare poteva essere fornito dagli Stati Uniti? »
Il 5 marzo 1918 Lockhart inviava al Foreign Office un ultimo telegramma in cui sollecitava il pronto riconoscimento del governo sovietico. I Tedeschi hanno offerto agli Alleati un occasione senza precedenti, dallo scoppio della rivoluzione, imponendo alla Russia condizioni di pace esorbitanti... Se non è desiderio del Governo di Sua Maestà vedere la Germania installarsi in Russia, vi esorto a non lasciarvi sfuggire questa occasione ».
Da Londra non gli pervenne nessuna risposta, ma soltanto una lettera di sua moglie, che lo supplicava di esser prudente e lo avvertiva che nel Foreign Office circolava la voce che egli fosse diventato un « rosso ».
Il 14 marzo, il Congresso Panrusso sovietico si radunava a Mosca. Due giorni e due notti i delegati discussero la questione se ratificare o no il trattato di Brest-Litòvsk, L'opposizione trotskista fu esplicita e vigorosa nel tentativo di sfruttare ai propri fini l'impopolare trattato di pace, ma. lo stesso Trotskij, come scrisse Robins, « teneva il broncio a Pietrogrado, e si rifiutò di intervenire ».
Un'ora prima della mezzanotte, durante la seconda seduta notturna del Congresso, Lenin si diresse a Robins che sedeva sullo scalino posto sotto la tribuna.
- Che notizie dal vostro governo?
- Nessuna.
- Che notizie ha ricevuto Lockhart?
- Nessuna.
Lenin scrollò le spalle. - Salgo alla tribuna - disse a Robins. - Parlerò per la ratifica del trattato. Verrà ratificato.
Lenin parlò per un'ora. Non fece nessun sforzo per nascondere che il trattato rappresentava una catastrofe per la Russia.
Con paziente logica rilevò che per il governo sovietico, isolato e minacciato da ogni parte, era necessario assicurarsi ad ogni costo « un periodo di respiro». .
Il trattato di Brest-Litòvsk fu ratificato.
Un manifesto diramato dal Congresso dichiarava:
« Nelle condizioni attuali, il governo sovietico della Repubblica russa, potendo contare soltanto sulle proprie forze, non ha la possibilità di opporsi alla offensiva armata dell'imperialismo tedesco, ed è obbligato, per salvare la Russia rivoluzionaria, ad accettare le condizioni che gli son state imposte».

3. Fine della missione.

Il 2 maggio l'ambasciatore Francis telegrafò al Dipartimento di Stato: « Robins e probabilmente Lockhart si sono sempre dichiarati favorevoli al riconoscimento del governo sovietico, ma voi e gli Alleati vi siete sempre opposti ed io, costantemente, mi sono rifiutato di proporlo, né credo di aver errato in proposito ».
Poche settimane dopo Robins riceveva un telegramma del segretario di stato Lansing: « Si ritiene assolutamente desiderabile il vostro ritorno per consultazioni».
Durante il suo viaggio attraverso la Russia sulla Transiberiana, per andare a imbarcarsi a Vladivostòk, Robins ricevette tre messaggi dal Dipartimento di Stato, ciascuno dei quali conteneva le stesse istruzioni: astenersi da dichiarazioni di ogni sorta.
Di ritorno a Washington, Robins presentò al Segretario di Stato Lansing una relazione in cui condannava energicamente ogni intervento alleato contro la Russia sovietica. Alla relazione Robins aveva aggiunto un programma particolareggiato di sviluppo delle relazioni commerciali russo-americane. Lenin aveva consegnato personalmente a Robins questo programma prima della sua partenza, perché lo trasmettesse al Presidente Woodrow Wilson.
Il programma di Lenin non pervenne mai a Wilson.
Robins stesso cercò vanamente di vedere il Presidente. Ogni volta gli fu sbarrata la strada. Cercò di far pubblicare la sua relazione nei giornali. Ma la stampa la ignorò o ne svisò il contenuto.
Robins, dovette difendersi davanti a una Commissione Senatoriale che investigava sul « bolscevismo» e sulla « propaganda tedesca ».
- Se ho detto la verità, se non ho mentito, se non ho calunniato, se non ho detto che sono agenti tedeschi, e ladri, e assassini, e criminali, allora sono un bolscevico anch'io! - dichiarò Robins. - Ma mi trovavo, tra tutti i rappresentanti alleati in Russia, nella miglior posizione per vedere quello che accadeva e ho sempre cercato di restare solidamente coi piedi in terra. Vorrei dire la verità sugli uomini e sugli avvenimenti senza passione e senza risentimento, anche se non ero d'accordo con loro... È mia convinzione che il popolo russo deve avere la forma di governo che più gli piace, anche se a me personalmente non garba, anche se non si accorda con i miei principi... Credo che sia della massima importanza sapere quanto avviene realmente in Russia e noi e il nostro paese dovremmo condurre le trattative onestamente e in buona fede, piuttosto che con accessi di rabbia o con dichiarazioni false... Non credo che le idee si possano sopprimere con le baionette... Una vita umana migliore è la sola risposta che si può dare all'ardente aspirazione a un'umanità migliore ».
Ma la voce onesta di Robins fu sommersa nella marea ascendente delle calunnie e dei pregiudizi.
Nell'estate del 1918, benché gli Stati Uniti fossero in guerra con la Germania e non con la Russia, il « New York Times» descriveva già i bolscevichi come « i nostri più accaniti nemici» e come « animali da preda». I dirigenti bolscevichi erano universalmente denunciati dalla stampa americana come agenti prezzolati dei Tedeschi.
« Squartatori », «assassini e pazzi », « criminali assetati di sangue », « feccia umana »: erano i termini tipici con cui i giornali americani indicavano Lenin ed i suoi seguaci. In Congresso erano chiamati « quelle bestie dannate ».
L'ambasciatore Francis restò in Russia fino al luglio del '18. Sistematicamente diramava proclami e dichiarazioni in cui sollecitava il popolo russo ad abbattere il governo sovietico.
Anche Bruce Lockhart rimase in Russia. - Mi sarei dovuto dimettere e tornare a casa - dichiarò poi. Invece, rimase al suo posto come agente britannico.
- Prima ancora che me ne rendessi conto - Lockhart confessò più tardi in British Agent - mi trovai coinvolto in un movimento che, qualunque fosse il suo assunto originario, era diretto non contro la Germania, ma contro il governo de facto della Russia.
 
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-Bardo-
view post Posted on 28/3/2011, 00:12




Terzo capitolo.
Purtroppo mi sono accorto ora che nell'edizione italiana mancano le Note Bibliografiche, per quelle tocchera' tradurre dall'inglese...

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Capitolo terzo
Il grande spione


1. Compare M. Massino.

La Pietrogrado rivoluzionaria, assediata dai nemici stranieri, minacciata all'interno da complotti controrivoluzionari, era una città terribile nel 1918. Il vitto scarso, niente riscaldamento, niente trasporti. File interminabili di uomini e donne, cenciosi e tremanti, facevano la coda davanti ai fornai nelle strade lugubri, non spazzate. Le lunghe notti grige erano turbate dalle cannonate. Bande di criminali, in sfida al regime sovietico, vagavano per la città, derubando e terrorizzando la popolazione. Distaccamenti di operai armati rovistavano un edificio dopo l'altro alla ricerca dei depositi di viveri nascosti dagli speculatori, arrestavano rapinatori e terroristi ...
Quella primavera comparve a Pietrogrado un certo M. Massino. Si presentava come « un mercante turco e orientale ». Era un uomo sulla quarantina, pallido, dal viso allungato, l'aspetto fosco, un'ampia fronte sfuggente, occhi neri inquieti e labbra sensuali. Camminava dritto, quasi con andatura militare, con passo rapido bizzarramente silenzioso. Sembrava assai ricco. Le donne lo giudicavano interessante. Nell'atmosfera inquieta della capitale sovietica provvisoria, M., Massino attendeva ai suoi affari con un à plomb particolare.
La sera, M. Massino era un assiduo del piccolo e affumicato Caffè Balkòv, il covo favorito degli elementi antisovietici di Pietrogrado. Il proprietario, Serghjéj Balkòv, lo salutava con deferenza. In una stanza privata nel retrobottega, M. Massino si intratteneva a voce bassa con uomini e donne misteriosi. Alcuni gli parlavano russo; altri, francese o inglese. M. Massino conosceva molte lingue.
Il giovane governo sovietico stava lottando per far ordine nel caos. I suoi còmpiti organizzativi, già di per sé smisurati, erano ulteriormente complicati dalla minaccia onnipresente della controrivoluzione. « La borghesia, i proprietari fondiari e le classi ricche stanno facendo sforzi disperati per scalzare la rivoluzione » scriveva Lenin. Fu istituita, su proposta di Lenin, una speciale organizzazione di controsabotaggio e controspionaggio, per combattere i nemici esterni ed interni. Fu chiamata Commissione Straordinaria per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio.Secondo le iniziali russe fu detta Ceka [1].
Nell'estate del '18, quando il governo sovietico, in previsione di un attacco tedesco, si trasferì a Mosca, M. Massino lo seguì. Ma a Mosca il mellifluo e ricco mercante levantino cambiò stranamente d' aspetto. Indossava ora una giacca di cuoio e un berretto da operaio. Egli visitò il Cremlino . Fermato ai cancelli da una delle giovani guardie comuniste lettoni, del corpo scelto che montava la guardia al governo, l'ex M. Massino presentò un documento sovietico ufficiale. In esso era qualificato come Sidney Georgevic Relinskij, agente della Divisione Criminali della Ceka di Pietrogrado.
- Entra, compagno Relinskij ! - disse la guardia lettone.
In un altro quartiere di Mosca, nel lussuoso appartamento della popolare ballerina Dagmara K., M. Massimo, alias compagno Relinskij della Ceka, era noto come Monsieur Constantine, agente
del Servizio segreto britannico.
All'Ambasciata britannica, Bruce Lockhart conosceva la sua vera identità: « Sidney Reilly, l'uomo-mistero del Servizio segreto britannico e noto come la spia per eccellenza dell'Inghilterra ».

[1] Nel 1919 la Ceka fu soppressa e sostituita con la DGPU (Direzione generale politica dello Stato), sostituita poi a sua volta nel 1934 dalla NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni).


2. Sidney Reilly.

Di tutti gli avventurieri emersi dai bassifondi della Russia zarista durante la prima guerra mondiale per condurre la grande crociata contro il bolscevismo, il più caratteristico e straordinario fu il capitano Sidney George Reilly del Servizio segreto britannico.« Un uomo di tempra napoleonica! », dichiara Bruce Lockhart, che era destinato ad essere coinvolto da Reilly in una delle imprese più pericolose e fantastiche della storia europea .
II modo come Reilly entrò nel Servizio segreto britannico rimane uno dei molti misteri che circondano quest'organizzazione spionistica misteriosa e potente. Sidney Reilly, nato nella Russia zarista, da un capitano di marina irlandese e da una russa, era cresciuto nel porto di Odessa. Avanti la prima guerra mondiale, aveva lavorato nella grande industria zarista di armamenti navali di Mandrochovic e del conte Tchubertskij di Pietroburgo. Anche allora svolgeva un'attività di carattere strettamente riservato. Faceva da agente di collegamento tra l'industria russa e certi interessi industriali e finanziari tedeschi, tra cui i famosi cantieri Bluhm e Voss di Amburgo. Proprio avanti lo scoppio della prima guerra mondiale, cominciarono ad affluire regolarmente all'Ammiragliato britannico preziosissime informazioni sui sottomarini e sul programma di costruzioni navali dei Tedeschi. Venivano da Sidney Reilly.
Nel 1914 Reilly comparve in Giappone come « rappresentante con incarichi riservati » della Banca russo-asiatica. Dal Giappone faceva frequenti viaggi negli Stati Uniti, dove conferiva con banchieri americani e fabbricanti di munizioni. Negli archivi del Servizio segreto britannico, Sidney Reilly era designato con la sigla I Esti ed era noto come un agente segreto di audacia e abilità non comuni.
Reilly - che poteva esprimersi con facilità in sette lingue fu quindi richiamato dagli Stati Uniti per affidargli importanti incarichi in Europa. Nel 1916 attraversava la frontiera svizzera ed entrava in Germania. Facendosi passare per un ufficiale della marina tedesca, entrava nella sede dell'Ammiragliato tedesco, dove si impadroniva, per spedirlo a Londra, di una copia del codice cifrato della marina tedesca. Fu questo probabilmente il maggior colpo compiuto dallo spionaggio nella prima guerra mondiale.
Al principio del 1918 il capitano Reilly fu trasferito in Russia a dirigere le operazioni del corpo di spionaggio britannico. I suoi numerosi amici personali, le sue vaste relazioni d'affari, la sua conoscenza minuziosa dei circoli più autorevoli della controrivoluzione, lo rendevano l'uomo più adatto per questo lavoro. Ma l'incarico in Russia aveva anche, per Reilly, un profondo significato personale: nutriva per i bolscevichi e per tutta quanta la rivoluzione russa un odio profondo . Né nascondeva i suoi scopi controrivoluzionari. « I Tedeschi sono degli esseri umani. Noi possiamo anche permetterci di essere sconfitti da loro. Ma qui a Mosca sta maturando l'arcinemico della razza umana. Se la civiltà non si mette in moto per schiacciare il mostro, finché è ancora tempo, il mostro finirà col sopraffare la civiltà ».
Nei suoi rapporti alla centrale londinese del Servizio Segreto britannico Reilly sollecitò ripetutamente la pace immediata con la Germania e un'alleanza con il Kaiser contro la minaccia bolscevica.
« Ad ogni costo - esclamava - la folle oscenità che s'è manifestata in Russia deve scomparire. Pace con la Germania: si, pace con la Germania, pace con chiunque! C'è un nemico solo. L'umanità deve unirsi in una Santa Alleanza contro questo tenebroso terrore! »
Dal momento del suo arrivo in Russia, Reilly si gettò nella cospirazione antisovietica. Il suo scopo dichiarato era di abbattere il governo sovietico.

3. Delitto e denaro.

In Russia, nel 1918, il partito antibolscevico più forte era il partito socialista-rivoluzionario che sosteneva un programma di socialismo agrario. Diretti da Boris Sàvinkov, ex ministro della guerra di Kèrenskij, che aveva partecipato al fallito putsch di Kornilov, i socialisti-rivoluzionari erano diventati il pernio dell'antibolscevismo. I loro sistemi e la loro propaganda estremisti avevano incontrato il favore dei molti elementi anarchici che generazioni di oppressione zarista avevano suscitato in Russia. I socialisti-rivoluzionari si erano serviti dell'arma del terrorismo contro
gli zar. Ed ora si preparavano a volgere quest'arma contro i bolscevichi.
I socialisti-rivoluzionari ricevevano aiuti finanziari dal servizio di spionaggio francese. Con i fondi forniti dall'ambasciatore francese Noulens, Boris Sàvinkov aveva ricostituito a Mosca il vecchio centro socialista-rivoluzionario sotto il nome di « Lega per la rigenerazione della Russia». Il suo scopo era di preparare l'assassinio di Lenin e di altri capi sovietici. Su proposta di Sidney Reilly, il Servizio di spionaggio britannico cominciò a finanziare Sàvinkov per armare e addestrare i suoi terroristi.
Ma non era intenzione di Reilly, fanatico zarista, affidare ai socialisti-rivoluzionari la formazione del nuovo governo russo che avrebbe rimpiazzato il regime sovietico. Eccettuato Sàvinkov, nel quale aveva completa fiducia, Reilly considerava i socialisti-rivoluzionari come una forza radicale pericolosa. Era noto che alcuni di essi avevano legami con i bolscevichi dell'opposizione trotskista. Reilly era disposto a servirsi di questa gente per i propri fini, ma era egualmente deciso a spazzar via dalla Russia ogni forma di radicalismo. Auspicava una dittatura militare come primo passo verso la restaurazione dello zarismo. Perciò, pur continuando a finanziare ed incoraggiarè i terroristi socialisti-rivoluzionari e altri gruppi radicali antisovietici, la spia britannica attendeva a creare per conto proprio un minuzioso apparato cospirativo.
Le organizzazioni di Reilly non tardarono a spuntare numerose a Mosca ed a Pietrogrado.
Stabiliti legami con l'Unione degli ufficiali zaristi, con i residui della vecchia polizia segreta zarista - la sinistra Ocrana, - con i terroristi di Sàvinkov e altri elementi controrivoluzionari, le organizzazioni di Sàvinkov si moltiplicarono in breve tempo. Un gruppo di vecchi amici di Reilly, conoscenze dei tempi zaristi, si unirono a lui e si dimostrarono di grande utilità.
Costoro e altri agenti, che riuscirono persino ad entrare nel Cremlino e nello stato maggiore dell'esercito rosso, tenevano Reilly perfettamente informato di ogni iniziativa del governo sovietico. La spia britannica si vantava che gli ordini sigillati dell'esercito rosso « erano letti a Londra prima ancora di essere aperti a Mosca».
Somme ingenti di danaro, ammontanti a milioni di rubli, per finanziare le attività di Reilly erano nascoste a Mosca nell'appartamento della ballerina Dagmara. Il denaro era raccolto da Bruce Lockhart e consegnato a Reilly tramite il capitano Hicks del Servizio segreto britannico. Lockhart, che Reilly coinvolse in quest'affare, rivelò in seguito in British Agent come veniva raccolto il denaro:
« Numerosi erano i Russi i quali avevano depositi segreti di rubli e non chiedevano di meglio che affidarceli in cambio di una cambiale esigibile a Londra... I rubli venivano consegnati al consolato generale americano e affidati a Hicks, che li faceva pervenire ai destinatari».
Finalmente, senza trascurare neppure un particolare, la spia britannica descrisse in un piano minutissimo il tipo di governo che avrebbe dovuto prendere il potere non appena il governo sovietico fosse stato rovesciato.
I primi colpi della campagna antisovietica furono vibrati dai terroristi di Sàvinkov.
Il 21 giugno 1918 il Commissario sovietico per la Stampa, Volodarskij, fu assassinato da un terrorista socialista-rivoluzionario, Serghejev, mentre usciva dalla fabbrica Obuchov, dove aveva partecipato a un comizio di operai. Due settimane dopo, il 6 luglio, l'ambasciatore tedesco a Mosca, conte Mirbach, veniva assassinato da un terrorista socialista-rivoluzionario di. nome Bljumkin. Lo scopo dei socialisti-rivoluzionari , era di gettare il terrore nelle file dei bolscevichi e simultaneamente di provocare un attacco tedesco che, a parer loro, avrebbe segnato la fine del bolscevismo.
Il giorno in cui l'ambasciatore tedesco fu ucciso, il quinto Congresso sovietico panrusso era riunito nel teatro dell'opera di Mosca. Gli osservatori alleati seguivano dai palchi dorati i discorsi dei delegati sovietici. L'atmosfera era tesa. Bruce Lockhart, che sedeva in un palco con altri agenti e diplomatici alleati, comprese che era accaduto qualcosa di grave quando vide entrare Sidney Reilly, pallido ed agitato. Con un rapido bisbiglio Rei1ly mise Lockhart a parte dell'accaduto.
Il colpo che aveva ucciso Mirbach sarebbe dovuto essere il segnale di un'insurrezione generale in tutto il paese da parte dei socialisti-rivoluzionari, appoggiati dagli elementi bolscevichi dissidenti. Socialisti-rivoluzionari armati sarebbero dovuti entrare nel teatro e arrestare i delegati sovietici. Ma qualcosa non aveva funzionato. Il teatro dell'opera era invece accerchiato dai soldati dell'esercito rosso. Si sparava nelle strade, ma era chiaro che il governo sovietico dominava saldamente la situazione.
Mentre parlava, Rei1ly frugava le sue tasche per cercarvi documenti compromettenti. Ne trovò uno, lo fece a pezzetti e lo inghiottì. Un agente segreto francese, che sedeva vicino a Lockhart, lo imitò.
Poche ore dopo, un oratore dal palcoscenico dell'opera annunciava che l'esercito rosso e la Ceka avevano rapidamente avuto ragione di un putsch antisovietico, mirante ad abbattere il governo bolscevico con la forza delle armi. La popolazione non aveva dato il minimo aiuto ai putschisti. Decine di socialisti-rivoluzionari armati di bombe, fucili e mitragliatrici erano stati fermati e arrestati. Molti erano stati uccisi. I loro capi erano o morti, o nascosti o in fuga.
Si annunciava ai rappresentanti alleati che potevano rientrare alle rispettive ambasciate senza correre nessun pericolo. La calma regnava nelle strade.
Più tardi giunse la notizia che anche a Jaroslàvl un tentativo insurrezionale, che sarebbe dovuto coincidere con il putsch di Mosca, era stato represso dall'esercito sovietico. Il capo socialista-rivoluzionario, Boris Sàvinkov, che aveva diretto personalmente il tentativo di Jaroslàvl, si era sottratto a malapena alla cattura.
Reilly era furente e deluso. I socialisti-rivoluzionari avevano agito con intempestività e stupidità tipiche! Tuttavia - egli dichiarò - non era sbagliato il loro piano di vibrare un colpo nel momento in cui molti dirigenti sovietici presenziavano un congresso o un comizio in un unico posto. Il pensiero di catturare tutti i capi bolscevichi in un solo colpo piaceva all'immaginazione napoleonica di Reilly.
Ed egli si mise seriamente al lavoro per realizzare questo piano.

4. La cospirazione lettone.

Nell'agosto 1918 i piani segreti per l'intervento alleato in Russia si rivelarono improvvisamente. Il 2 agosto le truppe britanniche sbarcarono ad Arcangelo con lo scopo dichiarato di impedire che « i rifornimenti bellici cadessero in mano dei Tedeschi». Il 4, gli Inglesi occupavano il centro petrolifero di Bakù nel Caucaso. Pochi giorni dopo, contingenti inglesi e francesi sbarcavano a Vladivostòk. Il 12 agosto li seguiva una divisione giapponese, e il 15 e il 16 due reggimenti americani ritirati poco prima dalle Filippine.
Vasti settori della Siberia erano già nelle mani delle forze antisovietiche. In Ucraina, il generale zarista Krasnòv, appoggiato dai Tedeschi, conduceva un'accanita campagna antisovietica. A Kiev il generale Skoropadskij, strumento tedesco divenuto hetman dell'Ucraina, aveva incominciato massacri in massa di ebrei e di comunisti.
Da ogni parte i nemici si preparavano a convergere sulla nuova Mosca.
I pochi rappresentanti alleati che si trovavano ancora colà cominciarono a far le valige, senza neanche informare il governo sovietico. Anni dopo, in British Agent, Bruce Lockhart, scrisse: « Era una situazione senza precedenti. Non c'era stata nessuna dichiarazione di guerra e tuttavia si combatteva lungo un fronte che si stendeva dalla Dvina al Caucaso... Ho avuto varie discussioni con Reilly, che ha deciso di restare a Mosca dopo la nostra partenza ».
Verso la fine dell'agosto 1918, un piccolo gruppo di rappresentanti alleati si raccoglieva per un colloquio di carattere riservato in una sala del Consolato generale americano a Mosca. Avevano scelto il Consolato americano, perché tutti gli altri centri alleati erano sorvegliati dai sovietici. Nonostante gli sbarchi alleati in Siberia, il governo sovietico manteneva ancora un atteggiamento amichevole verso gli Stati Uniti. In tutta Mosca erano affissi ben in vista i manifesti con i 14 punti di Wilson. Un articolo di fondo nelle «Izvestia» aveva dichiarato che « soltanto gli Americani sanno trattare i bolscevichi con dignità ». Ancora non era spenta del tutto l'eco della missione di Raymond Robins.
Al Consolato americano l'assemblea era presieduta dal console francese Grénard. Gli Inglesi erano rappresentati da Reilly e dal capitano George Hill, un ufficiale del Servizio segreto britannico, incaricato di lavorare con Reilly [2]. Inoltre erano presenti alcuni agenti dei servizi diplomatici e segreti alleati, tra cui il giornalista francese René Marchand, corrispondente a Mosca del « Figaro» di Parigi.
Sidney Reilly aveva convocato l'assemblea - come dichiarò più tardi egli stesso nelle sue memorie - per informare gli intervenuti delle sue attività antisovietiche. Informò i rappresentanti alleati di aver « comperato il colonnello Berzin, comandante la guardia del Cremlino ». Per il colonnello aveva dovuto sborsare « due milioni di rubli »; 500 mila rubli in contanti erano stati versati al colonnello Berzin da Reilly; il resto doveva essere versato in sterline inglesi, non appena Berzin avesse compiuto certi determinati servizi e avesse passato le linee inglesi ad Arcangelo.
« La nostra organizzazione è ora straordinariamente forte - dichiarò Reilly - i Lettoni sono dalla nostra parte, e il popolo sarà con noi non appena si sparerà il primo colpo! »
Reilly annunciò quindi che una riunione speciale del Comitato centrale bolscevico sarebbe stata tenuta prossimamente nel gran teatro di Mosca. Nello stesso edificio si sarebbero trovati raccolti tutti i dirigenti dello Stato sovietico. Il piano di Reilly era audace ma semplice.
Come era loro còmpito, le guardie lettoni avrebbero montato la guardia a tutte le uscite ed entrate del teatro durante lo svolgimento dei lavori. Il colonnello Berzin avrebbe scelto per l'occasione uommi « assolutamente fedeli e devoti alla nostra causa ».
A un dato segnale le guardie di Berzin avrebbero chiuso le porte e spianato i loro fucili sul pubblico. Quindi, un « distaccamento speciale », composto dello stesso Reilly e del « circolo più ristretto dei cospiratori », sarebbe salito sul palcoscenico e avrebbe arrestato il Comitato centrale del Partito bolscevico.
Lenin e gli altri dirigenti sarebbero stati fucilati. Prima della loro esecuzione, tuttavia, sarebbero stati fatti sfilare nelle vie di Mosca, « cosicché ciascuno si potesse rendere conto con i propri occhi che i tiranni della Russia erano prigionieri! »
Tolti di mezzo Lenin e i suoi compagni, il regime sovietico sarebbe crollato come un castello di carte. C'erano a Mosca « sessantarnila ufficiali - disse Reilly - pronti a entrare in azione appena dato il segnale» e a formare un esercito per colpire nell'interno della città, mentre le forze alleate avrebbero attaccato dall'esterno. L'uomo che avrebbe diretto questo esercito segreto antisovietico era il « ben noto ufficiale zarista, il generale Judènič ». Un secondo esercito, al comando del « generale » Sàvinkov, sarebbe stato costituito nel nord « e quel che ancora fosse restato dei bolscevichi sarebbe stato schiacciato tra due macine».
Tale il piano di Reilly. Aveva l'appoggio dei Servizi segreti britannico e francese. Gli Inglesi erano in costante contatto con il generale Judènič e si preparavano a fornirgli armi ed equipaggiamento. I Francesi appoggiavano Sàvinkov.
Ai rappresentanti alleati adunati nel Consolato generale americano si disse che potevano aiutare la cospirazione con lo spionaggio, con la propaganda e provvedendo a far saltare i ponti ferroviari strategici intorno a Mosca e a Pietrogrado per impedire che il governo sovietico ricevesse aiuto dall'esercito rosso da altri settori del paese.
Avvicinandosi il giorno del colpo armato, Reilly s'incontrava regolarmente con il colonnello Berzin per elaborare accuratamente ogni particolare del complotto e per tenersi pronto per ogni eventualità. Infine Reilly decise di andare a Pietrogrado per ispezionare ancora una volta i preparativi in quella città.
Munito del falso passaporto che lo identificava come Sidney Georgevic Relinskij, agente della Ceka, Reilly partì da Mosca alla volta di Pietrogrado.

[2] Al suo ritorno in Inghilterra nel 1919 il capitano George Hill fu incaricato dal servizio di spionaggio inglese di svolgere attività come ufficiale di collegamento con le truppe bianche del generale Anton Denikin durante la campagna di intervento in Russia. In seguito Hill passò al servizio, come agente particolare, di sir Henri Detering, il famoso magnate europeo del petrolio, che era ossessionato dall'idea di distruggere l'Unione sovietica e che col suo aiuto finanziario favori l'ascesa al potere di Hitler. In seguito il governo britannico si servi di G. Hill per importanti attività « diplomatiche » nell'Europa orientale. Nel 1932, in un libro pubblicato a Londra , Go spy the land , being the adventures of I.K.8 of the British Secret Service, Hill descrisse alcune delle sue avventure come spia nella Russia sovietica.
Nella primavera del 1945 il governo Churchill inviò George Hill, divenuto brigadiere dell'esercito britannico, in Polonia, come osservatore per studiare la confusa situazione polacca. Ma il governo di Varsavia si rifiutò di concedere al brigadiere Hill l'accesso in Polonia.


5. « Exit» Sidney Reilly.

A Pietrogrado, Reilly si recò subito all'ambasciata britannica e si presentò al capitano Cromie, l'addetto navale britannico. Gli descrisse rapidamente la situazione a Mosca e gli espose il piano della sollevazione. - Mosca è nelle nostre mani! - esclamò. Cromie fu entusiasta. Reilly promise di scrivere una relazione completa da spedire a Londra.
La mattina seguente Reilly si mise in contatto con i capi della macchinazione a Pietrogrado. A mezzogiorno telefonò all'ex agente dell'Ocrana, Grammatikov.
- Sono Relinskij - disse Reilly.
- Chi? - chiese Grammatikov.
Reilly ripeté il suo pseudonimo.
- C'è qui con me qualcuno che ha portato cattive notizie - disse di colpo Grammatikov. - I dottori hanno fatto l'operazione troppo presto. Le condizioni del paziente sono gravi. Venite subito se volete vedermi.
Reilly si precipitò alla casa di Grammatikov. Trovò Grammatikov che stava vuotando febbrilmente i cassetti della sua scrivania e bruciando documenti nella stufa.
- Quegli stupidi hanno cominciato troppo presto - gridò Grammatikov non appena Reilly entrò nella stanza . - Uritskij è stato assassinato nel suo ufficio stamane alle undici!
Mentre parlava, Grammatikov continuava a stracciare documenti e a bruciarli. - È terribilmente pericoloso per voi fermarvi qui. Si sospetta già di me. Se si scopre ancora qualcosa, saranno fatti il mio nome e il vostro.
Reilly decise di correre ancora una volta il rischio di presentarsi all'ambasciata britannica.
Sulla Prospettiva Vlademirovskij vide uomini e donne che correvano a rifugiarsi negli androni e nelle vie laterali. Si sentì il rombo di potenti motori. Come un razzo passò un'auto piena di soldati rossi, poi un'altra, poi un'altra ancora.
Reilly affrettò il passo. Correva quasi quando svoltò nella strada dove si trovava l'ambasciata britannica. Si fermò di colpo. Di fronte all'ambasciata giacevano parecchi cadaveri: erano funzionari sovietici morti. Quattro auto formavano una barriera di fronte all'ambasciata e dall'altro lato della strada c'era un doppio cordone di soldati rossi.
- Bene, compagno Relinskij, siete venuto ad assistere al nostro carnevale!
Reilly si voltò e vide un giovane soldato rosso che aveva incontrato parecchie volte sotto le false spoglie di compagno Relinskij della Ceka. - Che mai succede, compagno? - chiese rapidamente.
- La Ceka stava cercando un tale di nome Sidney Reilly - rispose il soldato.
Reilly seppe più tardi che cos'era accaduto. Dopo l'assassinio di Uritskij, capo della Ceka di Pietrogrado, per mano di un giovane ufficiale chiamato Kenigiessev, le autorità sovietiche di Pietrogrado avevano inviato agenti della Ceka ad accerchiare l'ambasciata britannica. All'interno dell'ambasciata gli impiegati stavano bruciando documenti sotto la direzione dell'addetto navale capitano Cromie. Il capitano Cromie si precipitò giù e sbarrò la porta in faccia agli agenti sovietici. Questi sfondarono la porta; l'agente britannico li accolse dall' alto della scala con una Browning automatica in ciascuna mano. Cromie sparò e uccise un commissario e parecchi altri funzionari. Gli agenti della Ceka risposero.
Cromie cadde con una pallottola nella testa...
Reilly passò il resto della notte in casa di un terrorista socialista-rivoluzionario, di nome Serghjéj Dornoskij. La mattina inviò Dornoskij a esplorare il terreno. Egli ritornò con parecchie copie della « Pravda ». « Il sangue correrà per le strade - disse. - Qualcuno ha colpito Lenin a Mosca. Disgraziatamente ha fallito il colpo! » Porse a Reilly il giornale che annunciava, a caratteri cubitali, l'attentato contro Lenin.
La sera precedente, la terrorista Fanja Kaplàn aveva tirato due colpi a bruciapelo. contro Lenin nel momento in cui questi usciva dalle officine Michelson dove aveva tenuto un comizio. I proiettili erano stati dentellati e avvelenati. Uno di essi era penetrato nel polmone di Lenin sopra il cuore. L'altro nel collo presso la grande arteria. Lenin non era stato ucciso, ma la sua vita era sospesa a un filo.
La pistola che aveva colpito Lenin era stata fornita a Fanja Kaplàn dal complice di Reilly, Boris Sàvinkov. Sàvinkov rivelò questo particolare nelle sue Memorie di un terrorista.
Con una piccola pistola automatica assicurata sotto il braccio Reilly parti immediatamente per Mosca. Durante il viaggio, il giorno dopo, comprò un giornale alla stazione di Klin. Le notizie erano le peggiori che potesse immaginare. Veniva esposta in tutti i suoi particolari la congiura di Rei1ly: il piano di assassinare Lenin e altri capi sovietici, di impadronirsi di Mosca e di Pietrogado e di stabilire una dittatura militare sotto Sàvinkov e Judènič.
Rei1ly leggeva e sudava freddo. René Marchand, il giornalista francese che era stato presente alla riunione nel Consolato americano, aveva informato i bolscevichi di quanto vi era stato detto.
Ma il colpo finale doveva ancora venire.
Il colonnello Berzin, comandante delle guardie lettoni, aveva fatto il nome del capitano Sidney Rei1ly come dell'agente che gli aveva offerto due milioni di rubli per indurlo a partecipare a una congiura che aveva lo scopo di sopprimere i dirigenti sovietici. La stampa sovietica pubblicava anche una lettera che Bruce Lockhart aveva dato a Berzin perché la portasse ad Arcangelo oltre le linee britanniche.
Lockhart era stato arrestato a Mosca dalla Ceka. Altri funzionari e agenti alleati venivano fermati ed arrestati.
I muri di Mosca erano coperti di manifesti che descrivevano Reilly. Veniva dichiarato fuorilegge e venivano elencati tutti i suoi vari pseudonimi: Massino, Constantine, Relinskij. La caccia era cominciata.
Sfidando il pericolo Reilly proseguì per Mosca. Trovò la ballerina Dagmara nell'appartamento di una donna, Vera Petrovna, complice di Fanja Kaplàn, l'autrice dell'attentato contro Lenin.
Dagmara disse a Reilly che il suo appartamento era stato perquisito parecchi giorni prima dalla Ceka. Essa era riuscita a nascondere due milioni di rubli in biglietti da mille rubli l'uno, parte del prezzo della cospirazione versato a Reilly. Gli agenti della Ceka non l'avevano arrestata: essa ne ignorava il perché. Forse credevano, sulle sue piste, di rintracciare Rei1ly.
L'impresa non era facile per Reilly, con soltanto i due milioni di Dagmara a sua disposizione. Travestito ora da mercante greco, ora da ex ufficiale zarista, ora da funzionario sovietico, da operaio comunista, era continuamente in moto per eludere la Ceka.
Reilly rimase in Russia ancora parecchie settimane per raccogliere materiale, consigliare ed incoraggiare gli elementi antisovietici che ancora tenevano duro. Poi, dopo esser più volte sfuggito miracolosamente alla cattura, riuscì infine, munito di un passaporto tedesco falso, a raggiungere Bergen in Norvegia, dove si imbarcò per l'Inghilterra.
Di ritorno a Londra, il capitano Reilly si presentò ai suoi
superiori del Servizio Segreto britannico. Era pieno di rimpianti per le occasioni perdute: « Se René Marchand non fosse stato un traditore..., se a Berzin non fosse mancato il coraggio..., se il corpo di spedizione avesse fatto una rapida avanzata su Vologda..., se avesse potuto accordarsi con Sàvinkov... »
Ma di una cosa Reilly era sicuro. Il fatto che l'Inghilterra fosse ancora in guerra con la Germania costituiva un errore. Bisognava metter immediatamente fine alle ostilità sul fronte orientale e formare una coalizione contro il bolscevismo. Il grido di guerra del capitano Sidney George Reilly era: « Pace, pace ad ogni costo; e poi un fronte unico contro i veri nemici dell'umanità! »
 
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-Bardo-
view post Posted on 30/3/2011, 15:00




Quarto e quinto capitolo.
Leggendo specialmente il quinto si puo' dire che da allora il ruolo dei grandi quotidiani nel fare propaganda sporca e nel diffondere notizie false non e' cambiato per nulla...

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Capitolo quarto
Avventura siberiana


1. « Aide-mémoire »

Il 2 agosto 1918, il giorno in cui le truppe britanniche sbarcavano ad Arcangelo, il generale americano William S. Graves, comandante della 8a divisione di Camp Fremont, Palo Alto, California, riceveva un messaggio cifrato dal Dipartimento di Stato di Washington. La prima frase diceva:
« Non dovete rivelare a nessun membro del vostro stato maggiore e a nessun altro il contenuto di questo messaggio».
Il messaggio ordinava quindi al generale Graves di « prendere il primo rapido in partenza da San Francisco per Kansas City, e qui di recarsi all'Hotel Baltimore dove avrebbe incontrato il Segretario di Stato». Il messaggio non dava ragione né del perché di tale urgenza, né della durata dell'assenza.
Il generale Graves, vecchio soldato provato, non era abituato a fare domande alle quali non sarebbe stato risposto. Cacciò pochi indumenti in una valigetta, e due ore dopo era sul treno Santa Fé-San Francisco.
Quando giunse a Kansas City trovò ad aspettarlo alla stazione Newton D. Baker, Segretario alla Guerra.
Il Segretario aveva fretta. Doveva prendere il treno subito, disse. In due parole spiegò a Graves la ragione del misterioso incontro. Il Dipartimento di Stato aveva deciso di affidare a Graves il comando del corpo di spedizione americano in procinto di partire per la Siberia.
Il segretario Baker porse quindi a Graves una busta sigillata : « Qui troverete le direttive della politica degli Stati Uniti in Russia a cui dovrete attenervi. Fate attenzione: camminerete su uova cariche di dinamite. Dio vi benedica e addio».
Quella notte, solo nella sua stanza d'albergo a Kansas City, il generale Graves aprì la busta sigillata. Conteneva un memorandum intitolato Aide-mémoire, non firmato e così contrassegnato in calce: Dipartimento di Stato, Washington, D. C., 17 luglio 1918.
Cominciava con alcune generalità circa « il cuore di tutto il popolo americano» impegnato a « vincere la guerra». Era necessario continuava il documento che gli Stati Uniti « collaborassero senza riserve» in ogni modo possibile, con gli Alleati contro la Germania. E infine il memorandum giungeva al nocciolo della questione :
« Il governo degli Stati Uniti ha la convinzione precisa e definitiva, maturata dopo un accuratissimo esame dell'intera situazione in Russia, che un intervento militare in questo paese non farebbe che accrescere la confusione piuttosto che diminuirla, sarebbe dannoso anziché conveniente e non favorirebbe il raggiungimento del nostro scopo principale, che è di vincere la guerra contro la Germania. Detto governo non può quindi, per principio, prendere parte a tale intervento o sanzionarlo ».
Con questa chiara e precisa dichiarazione di principi il generale Graves si trovava in pieno accordo. Ma perché mai dunque gli veniva affidato il comando delle truppe americane in territorio russo? Sconcertato il generale proseguì la lettura :
« Un'azione militare in Russia è ammissibile, dal punto di vista del governo degli Stati Uniti, unicamente per aiutare i Cecoslovacchi a consolidare le loro forze e a cooperare con successo con loro fratelli slavi »,
Cecoslovacchi? In Russia?
- Andai a letto - scrisse più tardi il generale Graves nel suo libro, American-Siberian Adventure, - ma non mi riusciva di prender sonno. Continuavo a chiedermi che cosa facevano le altre nazioni e perché non mi si dava qualche informazione su quanto accadeva in Siberia.
Se il generale Graves avesse conosciuto la risposta alle domande che lo tenevano sveglio, sarebbe stato assai più turbato di quel che già non fosse, quella notte d'estate, a Kansas City.

2 . Intrighi a Vladivostòk.

Verso l'inizio dell'estate del 1918, mentre viaggiava sulla Transiberiana, diretto verso est, Raymond Robins aveva scorto fermi sui binari di smistamento vagoni carichi di soldati cecoslovacchi. I Cèchi, obbligati contro la loro volontà a servire nell'esercito austro-ungarico, avevan disertato in largo numero ed erano passati nelle linee russe prima ancora della Rivoluzione. L'alto comando imperiale russo li aveva inquadrati in un esercito cèco che combatteva a fianco dei Russi contro le forze austro-tedesche. Caduto Kèrenskij, il governo sovietico aveva accettato la proposta alleata di trasportare le truppe ceche a Vladivostòk, dove sarebbero state imbarcate per raggiungere - dopo, un viaggio intorno al globo - le forze alleate sul fronte occidentale. Più di 50 mila soldati cèchi erano sparpagliati lungo le 5 mila miglia (8300 chilometri) ,della ferrovia Kazàn-Vladivostòk.
I soldati cèchi credevano di andare in Europa a combattere per l'indipendenza della Cecoslovacchia; ma i loro capi - i generali reazionari Gajda e Sirovy - avevano altri piani. In combutta con alcuni uomini di stato alleati, macchinavano di servirsi delle truppe cèche per rovesciare il governo sovietico.
In base agli accordi tra gli alleati e il governo sovietico, i Cèchi avrebbero dovuto consegnare le loro armi alle autorità sovietiche durante la traversata del territorio sovietico. Ma, il 4 giugno 1918, l'ambasciatore David R. Francis aveva avvertito confidenzialmente suo figlio che stava «elaborando un piano per impedire, se possibile », il disarmo dei Cèchi, L'ambasciatore americano aggiungeva:
«Non ho da Washington né istruzioni né autorità per incoraggiare questi uomini a disobbedire agli ordini del governo sovietico, a parte un'espressione di simpatia da parte del Dipartimento di Stato. Ma non è la prima volta che mi assumo delle responsabilità »,
Obbedendo agli ordini dei generali Gajda e Sirovy, i Cèchi rifiutarono di consegnare il loro equipaggiamento militare alle autorità sovietiche. Simultaneamente, lungo tutta la Transiberiana scoppiarono tumulti. Le truppe cèche, ben addestrate e abbondantemente equipaggiate, s'impadronirono di molte delle località in cui erano dislocate, rovesciando i Soviet locali e li sostituirono con amministrazioni antisovietiche.
Durante la prima settimana di luglio, con l'aiuto di controrivoluzionari russi, il generale Gajda inscenò un colpo di forza a Vladivostòk e istituì in quella città un regime antisovietico. Le strade erano coperte di manifesti firmati dall'ammiraglio Knight della marina americana, dal vice-ammiraglio Kato della marina giapponese, dal colonnello Pons della Missione francese e dal capitano Badiura dell'esercito cecoslovacco, che era diventato il comandante della città occupata. Il proclama informava la popolazione che l'intervento delle potenze alleate avveniva « in uno spirito di amicizia e simpatia per il popolo russo ».
Il 22 luglio 1918, cinque giorni dopo che il Dipartimento di Stato americano aveva parafato il suo Aide-mémoire sulla necessità di inviare le truppe americane in Siberia per aiutare le truppe cèche, il console americano a Mosca, De Witt Clinton Pole, inviava al console americano ad Omsk il seguente telegramma cifrato:
« Potete informare confidenzialmente i capi cecoslovacchi che, in attesa di ulteriori notizie, sarebbe desiderio degli Alleati, dal punto di vista politico, che essi mantenes sero le loro posizioni attuali. D'altra parte, essi non debbono esitare di fronte alle esigenze militari. È desiderabile in primo luogo che essi si assicurino il controllo della Transiberiana, e quindi, se possibile, che mantengano il controllo sul territorio in loro possesso. Informate i rappresentanti francesi che il console generale francese si associa a queste istruzioni » [1].
Il pretesto addotto dalle potenze alleate per giustificare l'invasione della Siberia nell'estate del 1918 fu quello di salvare i Cèchi dagli attacchi non provocati delle truppe rosse dei prigionieri di guerra tedeschi armati dai bolscevichi. Tutta la primavera e l'inverno i giornali inglesi, francesi e americani furono pieni della sensazionale notizia che i bolscevichi stavano armando « decine di migliaia di prigionieri tedeschi e austriaci in Siberia » per combattere i Cèchi. Il « New York Times » riferì che nella sola città di Tomsk 60 mila Tedeschi erano stati equipaggiati dai Rossi.
Il capitano Hicks del Servizio di spionaggio americano, il capitano Webster della Missione americana della Croce Rossa, il maggiore Drysdale, addetto militare americano a Pechino, si recarono in Siberia, con il permesso delle autorità sovietiche, per compiere un'inchiesta . Dopo settimane di accurate indagini, i tre uomini giunsero alla stessa conclusione: che in Siberia non c'erano né prigionieri tedeschi né austriaci. Le accuse, dichiararono i tre ufficiali, erano montature propagandistiche della più bell'acqua, ispirantisi al deliberato proposito di coinvolgere gli Alleati in una guerra contro la Russia sovietica [2].
Il 3 agosto 1918 le truppe britanniche sbarcarono a Vladivostòk,
« Noi veniamo - dichiarava 1'8 agosto il governo britannico al popolo russo - per impedire il vostro smembramento e la vostra distruzione da parte della Germania... Vi assicuriamo solennemente che non occuperemo un pollice del vostro territorio. I destini della Russia sono nelle mani del popolo russo. Sta a lui, e a lui soltanto, di decidere sulla propria forma di governo e di trovare una soluzione per i propri problemi sociali ».
Il 16 agosto sbarcava il ,primo distaccamento americano:
« Un'azione militare in Russia è ammissibile ora - dichiarava Washington - soltanto per proteggere e aiutare nei limiti delle nostre possibilità i Cecoslovacchi contro i prigionieri armati tedeschi e austriaci che li attaccano, e per appoggiare ogni tentativo di autogoverno e di autodifesa per cui gli stessi Russi siano disposti ad accettare il nostro aiuto ».
I Giapponesi sbarcarono altre forze quello stesso mese.
« Nel seguire questa politica - annunciava Tokio - il governo giapponese seconda il suo desiderio di promuovere relazioni di amicizia duratura e riafferma la sua politica di rispettare l'integrità territoriale della Russia e di astenersi da ogni ingerenza nella sua politica nazionale ».
I soldati giapponesi in Siberia erano stati previdentemente provvisti dallo Stato maggiore giapponese di piccoli dizionari russi in cui la parola « Bolscevico » tradotta con Barsuk (tasso o animale selvatico), era seguita dalla nota: « da sterminarsi ».

[1] De Witt Clinton Pale divenne poi Capo della divisione per gli affari russi del Dipartimento di Stato.
[2] I risultati dell'inchiesta non furono resi pubblici. Il capitano Hicks ricevette un secco ordine di ritornare a Londra dove gli fu affidato un incarico a fianco di Sidney Reilly. Il Dipartimento di stato americano scppellì negli archivi le relazioni del capitano Webster e del maggiore Drysdale.


3. Terrore in Oriente.

Il 1 settembre 1918, il generale Graves giun geva a Vladivostòk per assumere il comando del corpo di spedizione americano in Siberia.
« Sbarcai in Siberia - scrisse più tardi il generale nel volume American Siberian Adventure - senza nessun'idea preformata di quanto si dovesse o non si dovesse fare. Non nutrivo nessun preconcetto nei confronti di nessuna delle fazioni russe ed ero sicuro che sarei riuscito a lavorare in perfetta armonia con tutti gli Alleati ».
Le istruzioni impartite al generale Graves nell'Aide-mémoire erano di proteggere la Transiberiana, di aiutare le truppe cecoslovacche a imbarcarsi a Vladivostòk e ad astenersi dall'intervenire negli affari interni della Russia.
Aveva appena preso possesso del suo quartier generale, quando ricevette una visita del generale cèco Gajda che lo mise al corrente della situazione russa. I Russi - gli disse Gajda - « non potevano essere governati con la cortesia e la persuasione, ma soltanto con la frusta o con la baionetta ». Per salvare il paese dal caos era necessario spazzar via il bolscevismo e istituire una dittatura militare. Gajda aggiunse di conoscere l'uomo adatto: l'ammiraglio Aleksander Vassilievic Kolciàk, ex comandante navale zarista, il quale era giunto allora dal Giappone per organizzare un esercito antisovietico e aveva già raccolto intorno a sé, nella Siberia, considerevoli forze. Frattanto, il generale Graves avrebbe aiutato i Cèchi e le altre truppe antisovietiche a combattere i bolscevichi.
Gajda presentò a Graves un piano di avanzata immediata sul Volga e di attacco contro Mosca dall'est. Questo piano - rivelò Gajda - era stato approvato dagli esperti francese e britannico e dai rappresentanti del Dipartimento di Stato americano.
Graves replicò riferendo gli ordini che aveva ricevuti dal suo governo e dichiarò che si sarebbe attenuto ad essi. Aggiunse che, finché il comando sarebbe stato nelle sue mani, nessun soldato americano sarebbe stato usato contro i bolscevichi o sarebbe intervenuto in altro modo negli affari interni russi.
Gajda si congedò furente . Poco dopo Graves ricevette un'altra visita importante. Si trattava questa volta del generale Knox, l'ex sostenitore di Kornilov, ora comandante delle forze britanniche in Siberia.
- Vi state facendo la riputazione di essere un amico dei poveri - ammonì Knox. - Non sapete che sono dei porci?
Il generale Graves aveva quello che Raymond Robins chiamava una mente aperta. Era un uomo cui piaceva rendersi conto delle cose con i propri occhi. Decise di informarsi direttamente di quel che stava accadendo in Siberia. I suoi ufficiali del servizio d'informazioni furono inviati in giro per il paese e ritornarono con lunghe e particolareggiate relazioni. Graves giunse ben presto alla conclusione che la parola « bolscevico», qual era usata in Siberia, designava la maggioranza del popolo russo e che servirsi delle truppe per combattere i bolscevichi o armare o equipaggiare, nutrire o pagare Russi bianchi per combatterli era assolutamente in contraddizione con la « non ingerenza negli affari interni della Russia ».
Nell'autunno 1918 c'eran già più di settemila soldati inglesi nella Siberia settentrionale. Altri settemila tecnici, ufficiali e soldati inglesi collaboravano con l'ammiraglio Kolciàk ad addestrare ed equipaggiare il suo esercito antisovietico di Russi bianchi. Millecinquecento Italiani aiutavano gli Inglesi e i Francesi. C'erano circa ottomila soldati americani al comando del generale Graves. La forza di gran lunga più numerosa in Siberia era quella dei Giapponesi (più di 70 mila uomini), i quali carezzavano l'idea di prendersi la Siberia.
In novembre l'ammiraglio Kolciàk, aiutato dagli Inglesi e dai Francesi, si proclamò dittatore della Siberia. L'ammiraglio, un ometto eccitabile descritto da uno dei suoi colleghi come « un bambino ammalato... indubbiamente nevrastenico..., sempre sotto l'influenza altrui », stabilì il suo quartier generale a Omsk e si conferì il titolo di « comandante supremo della Russia ». Salutando Kolciàk come il « Washington russo », l'ex ministro zarista Sazonov si affrettò ad autonominarsi suo rappresentante ufficiale a Parigi. Londra e Parigi risonavano di inni elogiativi a Kolciàk. Sir Samuel Hoare ripeteva che Kolciàk era « un gentleman ». Winston Churchill lo descriveva come « onesto », « incorruttibile », « intelligente » e « patriota ». Il « New York Times » vedeva in lui « un uomo forte ed onesto » con « un governo stabile e pressoché rappresentativo».
Il regime di Kolciàk era generosamente rifornito dagli Alleati, particolarmente dagli Inglesi, di munizioni, armi e denari. « Abbiamo inviato in Siberia - annunciava con orgoglio Knox - centinaia di migliaia di fucili, centinaia di milioni di cartucce, centinaia di migliaia di uniformi e di giberne, ecc. Ogni pallottola sparata contro i bolscevichi dai soldati russi nel corso di quell'anno era stata fabbricata in Inghilterra da operai britannici con materiale britannico e spedito a Vladivostòk in stive britanniche ».
Un'aria popolare russa dell'epoca diceva:

Uniformi inglesi,
Spalline francesi,
Tabacco giapponese,
Kolciàk dirige il ballo!


Il generale Graves non condivideva l'entusiasmo degli Alleati per Kolciàk e il suo governo. Ogni giorno i suoi informatori gli portavano nuove notizie del regno del terrore instaurato da Kolciàk. L'esercito dell'ammiraglio contava 100 mila uomini e altre migliaia dovevano arruolarsi, sotto pena la fucilazione. Le prigioni e i campi di concentramento erano strabocchevolmente pieni. Centinaia di Russi, che avevano avuto la temerità di opporsi al nuovo dittatore, pendevano dai pali del telegrafo e dagli alberi lungo la Transiberiana. Molti altri dormivano l'eterno sonno nelle fosse comuni che avevano dovuto scavare colle proprie mani prima che le mitragliatrici dei boia di Kolciàk li abbattessero. Violenze, assassinî, rapine erano all'ordine del giorno.
Insieme alle truppe di Kolciàk, bande di terroristi, finanziate dai Giapponesi, saccheggiavano le campagne. I loro principali capi erano gli atamany Semjonov e Kalmykòv.
Il colonnello Morrow, comandante delle truppe americane nel settore transbaicalico, riferì che in un villaggio occupato dalle truppe di Semjonov, erano stati assassinati tutti gli abitanti: uomini, donne, bambini. La maggioranza degli abitanti - riferiva il colonnello - erano stati abbattuti « come conigli» mentre fuggivano dalle loro case. Venivan bruciati vivi gli uomini.
« I soldati di Semjonov e di Kalmykòv, - riferiva il generale Graves, - sotto la protezione delle truppe giapponesi, vagavano per la campagna come bestie da preda, uccidendo e derubando la gente ... Se si chiedeva loro ragione di questi brutali assassinî, veniva risposto che gli uccisi erano bolscevichi e questa spiegazione, a quanto pareva, era sufficiente a soddisfare tutti ».
Il generale Graves espresse esplicitamente il suo orrore per le atrocità compiute ,dalle forze antisovietiche in Siberia. Il suo atteggiamento gli attirò l'ostilità dei dirigenti russi-bianchi, inglesi, francesi e giapponesi.
L'ambasciatore americano in Giappone, Morris, nel corso di un viaggio in Siberia, riferì al generale Graves di aver ricevuto dal Dipartimento di Stato un telegramma ove era scritto che la politica americana in Siberia esigeva l'appoggio di Kolciàk.
- Ora, generale - concluse Morris - dovrete appoggiare Kolciàk.
Graves rispose di non aver ricevuto nessun ordine in proposito dal ministero della Guerra.
- È il Dipartimento di Stato, non quello della Guerra, che dirige questa faccenda - replicò Morris.
- Il Dipartimento di Stato non dirige me - fu la risposta di Graves.
Mentre questa guerra civile dilagava e aveva luogo l'intervento in Siberia e in tutta la Russia sovietica, si verificarono in Europa avvenimenti sorprendenti. Il 9 novembre 1918, i marinai tedeschi si ammutinarono a Kiel, uccisero i loro ufficiali e innalzarono la bandiera rossa. Dimostrazioni per la pace si ebbero in tutta la Germania. Sul fronte occidentale, i soldati alleati e tedeschi fraternizzavano nelle trincee. Il comando tedesco chiese un armistizio. L'imperatore Guglielmo II riparò in Olanda, consegnando alla frontiera la sua spada a un giovane doganiere olandese stupefatto. L'11 novembre, veniva firmato l'armistizio.
La prima guerra mondiale era terminata.

Capitolo quinto
Pace e guerra


1. Pace in Occidente.

La prima guerra mondiale era finita d'improvviso. Come disse il capitano tedesco Ernst Roehm: « Scoppiò la pace ». A Berlino, ad Amburgo e in tutta la Russia si costituirono Soviet. Nelle strade di Parigi, di Londra e di Roma, gli operai facevano dimostrazioni per la pace e la democrazia. L'Ungheria era in preda alla rivoluzione. I Balcani erano sconvolti dalle agitazioni contadine. Dopo quattro terribili anni di guerra, le stesse parole appassionate erano sulla bocca di tutti: « No more war! Nie wieder Krieg! Jamais plus de guerre! Mai più la guerra! »
« Lo spirito della rivoluzione permea di sé tutta l'Europa - osservava David Lloyd George nel suo memorandum riservato del marzo 1919 per la Conferenza della pace di Parigi. - Esiste tra i lavoratori una sensazione profonda non solo di malcontento, ma di rabbia e di rivolta, contro le condizioni prebelliche. Da un capo all'altro dell'Europa le masse europee fanno il processo a tutto l'ordine esistente, nei suoi aspetti politici, sociali ed economici ».
Dieci milioni di uomini erano morti sul campo di battaglia; venti milioni erano invalidi e mutilati; tredici milioni di civili erano morti di fame e di epidemie; altri milioni vagavano abbandonati e senza tetto fra le rovine fumanti dell'Europa. Ma ora finalmente la guerra era terminata, e il mondo prestava orecchio alle parole di pace.
- Il mio concetto della Società delle Nazioni è il seguente: essa dovrà avere la funzione di una forza morale operante tra gli uomini di tutto il mondo -, diceva Woodrow Wilson.
AI principio del gennaio del 1919 i quattro Grandi - Woodrow Wilson, David Lloyd George, Georges Clemenceau e Vittorio Emanuele Orlando - iniziavano al Quai d'Orsay le trattative per
la pace.
Ma un sesto della terra non era rappresentato alla Conferenza.
Mentre gli statisti discutevano, decine di migliaia di soldati alleati stavano conducendo una cruenta guerra non dichiarata contro la Russia sovietica - A fianco dei controrivoluzionari bianchi comandati da Kolciàk e da Deníkin, le truppe alleate combattevano il giovine esercito sovietico lungo un immenso fronte che si stendeva dalle desolate regioni artiche sino al Mar Nero, e dai campi di frumento dell'Ucraina alle montagne e alle steppe della Siberia.
Una violenta e fantastica campagna di propaganda antisovietica si scatenava in quella primavera del 1919 in tutta l'Europa e l'America. Il « London Daily Telegraph » dava notizia di un « regno del terrore » ad Odessa accompagnato da una « settimana del libero amore ». Il « New York Sun » riportava a caratteri cubitali: « Feriti americani mutilati dai rossi con le scuri ». E il « New York Times » gli teneva bordone: « Un gigantesco bordello la Russia rossa... Vittime scampate testimoniano di rabbiose cacce all'uomo nelle vie di Mosca... Si contendono le carogne ai cani ». La stampa mondiale, sia tedesca che alleata, pubblicava « documenti autentici », nei quali si dichiarava che in Russia « giovani donne e ragazze della borghesia » venivano trascinate a forza nelle baracche alla mercé dei reggimenti di artiglieria!
Resoconti onesti sulle reali condizioni della Russia sia che venissero da giornalisti, agenti segreti, diplomatici o persino da generali come Judson e Graves, venivano soppressi o ignorati. Chiunque si arrischiasse a discutere la campagna antisovietica, veniva automaticamente denunciato come « bolscevico ».
Due mesi appena dopo l'armistizio, sembrava che i capi alleati avessero dimenticato lo scopo per cui si era combattuto il grande conflitto. La « minaccia del bolscevismo » aveva messo da parte ogni altra considerazione. Essa dominava la Conferenza della pace di Parigi.
Il comandante in capo degli eserciti alleati, il maresciallo Ferdinand Foch, si presentò a una riunione segreta della Conferenza della pace per chiedere un accordo immediato con la Germania, affinché gli Alleati potessero unire tutti i loro mezzi per gettarli contro la Russia Sovietica. Il maresciallo Foch difese la causa del mortale nemico della Francia, la Germania.
« È ben nota - disse Foch - la difficile situazione attuale del governo tedesco. A Mannheim, a Karlsruhe, a Baden e a Dusseldorf, il movimento sovietico sta guadagnando rapidamente terreno. In questo momento il governo tedesco accetterebbe qualsiasi offerta di pace fatta daglì Alleati. Il governo tedesco non ha che un desiderio: concludere la pace. È l'unica cosa che soddisferebbe il popolo e permetterebbe al governo di dominare la situazione ».
Per domare la rivoluzione tedesca, si sarebbe dovuto permettere al comando tedesco di conservare un esercito di 100 mila ufficiali e uomini, e la cosiddetta « Relchswehr nera » composta dei soldati meglio addestrati e più imbevuti di spirito teutonico. Inoltre, il comando supremo tedesco aveva l'autorizzazione di sovvenzionare le leghe e le società terroristiche clandestine affinché queste uccidessero, torturassero e demoralizzassero i democratici tedeschi. Tutto questo era fatto per « salvare la Germania dal bolscevismo... »
L'ex comandante delle truppe tedesche del fronte orientale, il generale Max Hoffmann, 1'« eroe di Brest-Litòvsk », si abboccò con il suo nemico della vigilia, il maresciallo Foch, per sottoporgli un piano in base al quale l'esercito tedesco avrebbe marciato su Mosca per soffocare « nella culla » il bolscevismo. Foch approvò il piano, ma propose che l'attacco fosse sferrato dall'esercito francese piuttosto che da quello tedesco. Foch voleva mobilitare tutta l'Europa occidentale contro la Russia sovietica.
« In Russia - dichiarò Foch alla Conferenza di Parigi - regnano oggi il bolscevismo e l'anarchia completa. Il mio piano è di sistemare tutte le questioni più importanti in Occidente per permettere così agli Alleati di servirsi dei mezzi disponibili per risolvere la questione orientale... Le truppe polacche potranno tener testa ai Russi, purché vengano rifornite di materiale bellico moderno. Occorreranno molte truppe, che si potranno ottenere mobilitando Finlandesi, Polacchi, Cèchi, Rumeni e Greci, e gli elementi russi tuttora pro-Alleati... Se questo sarà fatto, il 1919 vedrà la fine del bolscevismo! »

2 . La Conferenza della pace.

Nelle sedute preliminari della Conferenza della pace di Parigi il primo ministro britannico, David Lloyd George, mosse una serie di violenti asperrimi attacchi contro i piani antisovietici di Foch e del presidente del Consiglio francese Georges Clemenceau.
« I Tedeschi - dichiarava Lloyd George - quando avevano bisogno di ogni uomo disponibile per rinforzare la loro offensiva sul fronte occidentale, furono obbligati a immobilizzare circa un milione di uomini per tenere poche province russe, che costituivano soltanto il margine del paese. E allora per di più il bolscevismo era debole e disorganizzato. Ora è forte e dispone di un esercito formidabile. Quale degli alleati occidentali è pronto a mandare un milione di uomini in Russia? Se io proponessi di inviare altri mille soldati inglesi in Russia per questo scopo, l'esercito si ammutinerebbe! Lo stesso vale per le truppe americane in Siberia, per i Canadesi e i Francesi. L'idea di schiacciare il bolscevismo con la forza militare è pura pazzia. Ammettendo che sia possibile, chi occuperà la Russia? »
II primo ministro britannico non era mosso da considerazioni idealistiche. Temeva la rivoluzione in Europa ed in Asia, e, da vecchio politicante, la « volpe » gallese era estremamente sensibile agli umori del popolo inglese, ostile a ogni ulteriore intervento in Russia. C'era una ragione ancora più urgente che lo spingeva a opporsi ai piani di Foch. Sir Henry Wilson, capo di stato maggiore britannico, in un recente rapporto segreto al ministero della Guerra aveva dichiarato che l'Inghilterra doveva attenersi alla linea politica di « ritirare le truppe dall'Europa e dalla Russia e di concentrare tutta la nostra forza nei nostri futuri focolai di rivolta: Inghilterra, Irlanda, Egitto e India ». Lloyd George temeva che Foch e Clemenceau volessero tentare di stabilire l'egemonia francese in Russia, mentre l'Inghilterra era impegnata altrove.
Cosicché l'astuto primo ministro britannico, convinto che avrebbe potuto raggiungere il suo scopo semplicemente abbandonando per qualche tempo la Russia a lei stessa, appoggiava il presidente degli Stati Uniti, Wilson, che chiedeva di entrare in trattative con i bolscevichi. Alle sessioni segrete della Conferenza sulla pace, Lloyd George fu esplicito.
« I contadini hanno accettato il bolscevismo - dichiarò - per la stessa ragione per cui i contadini accettarono la Rivoluzione francese, perché ha dato loro la terra. I bolscevichi sono il governo de facto. Noi abbiamo riconosciuto il governo dello zar benché sapessimo che era completamente marcio. Lo facemmo perché era il governo de facto... Ma noi rifiutiamo di riconoscere i bolscevichi! Dire che spetta a noi la scelta dei rappresentanti di un grande popolo è contrario a ogni principio per cui abbiamo combattuto ».
II presidente Wilson dichiarò che non era possibile non riconoscere la verità di quel che aveva detto Lloyd George. Proponeva da parte sua di indire una conferenza nell'isola di Prinkipo o in qualche altro luogo « di facile accesso » per studiare le possibilità di pace della Russia. Per dovere di imparzialità, sarebbero stati invitati i delegati tanto del governo sovietico come dei gruppi antisovietici.
II « Tigre » francese, Georges Clemenceau, portavoce degli azionisti di imprese zariste e dello stato maggiore, prese la parola a favore dell'intervento. Clemenceau sapeva che l'astuta politica di Lloyd George non avrebbe incontrato il favore dei circoli dirigenti britannici dove i militaristi e l'Intelligence Service erano già impegnati in una guerra antisovietica. Al tempo stesso, Clemenceau sapeva che di fronte a Wilson era necessario confutare gli argomenti di Lloyd George con una decisa dichiarazione sulla minaccia rappresentata dal bolscevismo.
In linea di principio - cominciò Clemenceau - non sono favorevole a entrare in trattative con i bolscevichi, non perché sono criminali, ma perché li alzeremmo al nostro livello, ammettendo che sono degni di trattare con noi. II primo ministro britannico e il presidente degli Stati Uniti, se era permesso al primo ministro francese di esprimersi così, stavano assumendo un atteggiamento troppo accademico e dottrinario rispetto al problema del bolscevismo. « II pericolo bolscevico è immenso in questo momento - dichiarò Clemenceau. - II bolscevismo si diffonde. Ha invaso le province baltiche e la Polonia e proprio stamane abbiamo ricevuto la cattiva notizia della sua diffusione a Budapest e a Vienna. Anche l'Italia è in pericolo. Là il pericolo è probabilmente maggiore che in Francia. Se il bolscevismo, dopo aver invaso la Germania, dovesse attraversare l'Austria e l'Ungheria e raggiungere l'Italia, l'Europa si troverebbe di fronte a un pericolo smisurato. Perciò bisogna fare qualcosa contro il bolscevismo! »
II piano di pace di Wilson, secondato da Lloyd George, parve per un momento trionfare, malgrado Clemenceau e Foch. Wilson redasse una nota con un abbozzo delle sue proposte e la inviò al governo sovietico e ai vari gruppi di Russi bianchi. II governo sovietico accettò subito il piano di Wilson e si preparò a inviare una delegazione a Prinkipo. Ma - come disse più tardi Winston Churchill - « il momento non era propizio » alla pace con la Russia. La maggioranza dei capi alleati erano convinti che il regime sovietico sarebbe stato abbattuto. Su consiglio degli Alleati che li finanziavano i vari gruppi bianchi rifiutarono di incontrare i delegati sovietici a Prinkipo.
Alla Conferenza della pace, l'atmosfera cambiò improvvisamente. Lloyd George, comprendendo di trovarsi davanti a un fallimento, ritornò improvvisamente a Londra. Al suo posto fu inviato d'urgenza a Parigi, per sostenere la causa degli estremisti antibolscevichi, il giovine ministro della Guerra e dell'Aviazione, Winston Churchill [1].
Era il 14 febbraio 1919, il giorno prima che Wilson tornasse in America per affrontare il blocco degli isolazionisti al Congresso, capeggiato dal senatore Lodge, che aveva sabotato tutti i suoi tentativi di creare un sistema di cooperazione e sicurezza mondiale. Wilson sapeva d'aver fatto fiasco in Europa e temeva di farlo anche negli Stati Uniti. Era deluso, stanco e profondamente scoraggiato.
Winston Churchill fu presentato al presidente Wilson dal ministro degli Esteri inglese A. J. Balfour il quale dichiarò che il ministro inglese della Guerra era venuto a Parigi per spiegare l'attuale punto di vista del governo inglese sulla questione della Russia. Churchill immediatamente si lasciò andare a un attacco contro il piano proposto da Wilson per la conferenza della pace di Prinkipo.
- C'è stata una seduta di gabinetto, ieri a Londra - disse Churchill - nella quale è stata manifestata una grave ansia riguardo alla situazione russa, particolarmente rispetto alla Conferenza di Prinkipo... Se soltanto i bolscevichi interverranno alla Conferenza, c'è da aspettarsene poco di buono. Bisogna considerare l'aspetto militare della questione. La Gran Bretagna ha in Russia dei soldati che ogni giorno vengono uccisi sui campo.
Wilson rispose a Churchill: « Dato che il signor Churchill è arrivato da Londra apposta per anticipare la mia partenza, mi sembra di dover esprimere il mio parere personale sulla questione, tra le molte incertezze connesse al problema russo, io possiedo una opinione molto chiara su due punti: il primo è che le truppe delle potenze associate non stanno facendo niente di buono in Russia. Non sanno per chi o per cosa esse stanno combattendo, non vedono compiersi nessuno sforzo promettente per stabilire l'ordine in qualche parte della Russia. Si assiste solo a movimenti locali, come per esempio quello dei Cosacchi che non può certo espandersi al di fuori del proprio ambiente. La mia conclusione perciò è che gli Alleati e le potenze alleate dovrebbero ritirare le loro truppe da ogni parte del territorio russo ».
Quando il presidente americano ebbe finito di parlare, Churchill replicò:
- Un ritiro completo di tutte le truppe alleate è una politica logica e chiara, ma la sua conseguenza sarebbe la distruzione di tutte le armate non bolsceviche in Russia. Queste contano ora circa 500.000 uomini e, sebbene la loro qualità non sia delle migliori, i loro effettivi stanno ciò nondimeno aumentando. Una tale politica equivarrebbe a scardinare l'intera macchina di guerra. Non vi sarebbe più nessuna resistenza armata contro i bolscevichi, e una prospettiva interminabile di violenza e miseria sarebbe tutto quello che rimarrebbe dell'intera Russia.
- Ma in qualche settore queste forze e questi aiuti verrebbero certamente a sostenere i reazionari - obiettò Wilson. - Conseguentemente, se agli Alleati si chiede quale causa essi stanno sostenendo in Russia, sarebbero costretti a rispondere che non lo sanno!
Churchill stette ad ascoltare cortesemente. - Mi piacerebbe sapere - disse - se, nel caso che il Consiglio approvasse di armare le forze antibolsceviche in Russia, la conferenza di Prinkipo risulterebbe un fallimento.
Scoraggiato, ammalato, abbandonato da Lloyde George, Wilson comprese che egli era solo in mezzo a una compagnia di persone decise ognuna a continuare la sua strada.
- Ho spiegato al Consiglio come agirei se io fossi solo - disse il Presidente degli Stati Uniti - comunque, accetto la mia sorte -. Wilson tornò negli Stati Uniti a combattere la sua tragica, impari battaglia contro la reazione americana. Il Segretario di Stato Lansing prese il suo posto alla çonferenza di Parigi e nel tono della discussione subentrò un notevole cambiamento. I rappresentanti degli Alleati non sentirono più il bisogno di nascondere quello che avevano in mente.
- È necessario - dichiarò il ministro degli Esteri inglese Balfour - far passi per mettere i bolscevichi dalla parte del torto, non solo di fronte alla pubblica opinione, ma anche di fronte a coloro che pensano che il bolscevismo sia una forma deviata di democrazia con parecchi elementi buoni -. Quindi la Conferenza tenne una prolungata discussione sui mezzi migliori per aiutare le armate bianche russe contro il governo sovietico.
Churchill, che aveva sostituito Lloyd George al tavolo della Conferenza, propose l'immediata istituzione di un Consiglio Supremo Alleato per gli Affari Russi, con sezioni politica, economica e militare. La sezione militare doveva « mettersi al lavoro subito » per tracciare i particolari di un largo programma di intervento armato.
Con Churchill riconosciuto comandante in capo, anche se non ufficialmente, delle armate alleate antisovietiche, la scena si spostò a Londra dove, durante quella primavera e quell'estate, vi fu un andirivieni di emissari speciali dei Russi bianchi agli uffici del governo inglese a Whitehall. Venivano come rappresentanti dell'ammiraglio Kolciàk, del generale Deníkin, e di altri capi russi bianchi per dare i ritocchi finali per un colpo decisivo contro i sovieti. I loro segretissimi negoziati furono trattati in gran parte con Winston Churchill e con Sir Samuel Hoare. Churchill, come ministro della Guerra, s'impegnò a equipaggiare le armate bianche col materiale dei rifornimenti bellici inglesi. Hoare sovrintese a questi complicati intrighi diplomatici.

[1] Per molti anni a venire, Winston Churchill doveva essere il principale portavoce dei Tories antisovietici. Churchill paventava il diffondersi delle idee rivoluzionarie russe nelle regioni orientali dell'impero britannico.
René Kraus, nella sua biografia Winston Churchill, scrive: « I cinque Grandi a Parigi avevano deciso di appoggiare la controrivoluzione. A Churchill fu affidata l'esecuzione di un'azione per la quale non era responsabile... Insieme con il capo di stato maggiore, sir Henry Wilson, elaborò un programma per equipaggiare e armare le varie armate bianche e per fornirle di ufficiali e istruttori esperti.
Dopo l'ascesa al potere di ,Hitler, Churchill riconobbe che il nazismo costituiva la minaccia reale per gli interessi britannici in Europa e nel mondo. Senza esitare, rovesciò la sua posizione e propugnò un'alleanza tra Gran Bretagna, Francia e Russia sovietica per fermare la marcia dell'aggressione nazista. Quando la Germania nazista, nel 1941, invase la Russia sovietica, Churchill fu il primo a dichiarare al mondo intero che la lotta della Russia era la lotta di tutti i popoli liberi e che. come tale avrebbe avuto l'appoggio dell'Inghilterra. Terminata la seconda guerra mondiale, Churchill alzò di nuovo il grido d'allarme della minaccia del comunismo ».

 
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JöŠìF™
view post Posted on 30/3/2011, 15:14




complimenti, sei un grande.
 
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-Bardo-
view post Posted on 2/4/2011, 00:54




Grazie Josif! :)

Proseguo con i capitoli dal 6 al 9.
Si parla di importanti collegamenti in funzione antisovietica tra il nascente nazismo, Mussolini, grandi capitalisti (Fritz Thyssen, da cui viene la ThyssenKrupp famosa per l'incidente del 2007 in cui morirono sette operai; Deterding della Shell petroli; Henry Ford), Churchill, e russi antibolscevichi (in particolare Sàvinkov, ex socialista-rivoluzionario).

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Capitolo sesto
L'intervento


Nell 'estate del 1919, senza dichiarazione di guerra, le forze armate di quattordici stati invadevano il territorio della Russia Sovietica. Questi stati erano la Gran Bretagna, la Francia, il Giappone, la Germania, l'Italia, gli Stati Uniti, la Cecoslovacchia, la Serbia, la Cina, la Finlandia, la Grecia, la Polonia, la Romania e la Turchia.
A fianco degli invasori antisovietici combattevano gli eserciti bianchi controrivoluzionari, guidati da ex generali zaristi, i quali volevano restaurare quell'aristocrazia feudale che il popolo sovietico aveva rovesciata.
I piani strategici degli attaccanti erano ambiziosi. Gli eserciti dei generali bianchi, congiuntisi alle truppe interventiste, dovevano convergere su Mosca dal nord, dal sud, dall'est e dall'ovest.
A nord e a nord-ovest, ad Arcangelo, a Murmànsk e negli Stati baltici, le forze britanniche erano in approntamento insieme con le truppe bianche del generale Judénič.
Al sud, nelle basi caucasiche e lungo il Mar Nero si trovavano le truppe bianche del generale Deníkin, ampiamente rifornite e rafforzate dai Francesi.
All'est, le forze di Kolciàk, dirette da esperti militari britannici, erano accampate lungo gli Urali.
A ovest, sotto il comando di ufficiali francesi, si trovava l'esercito polacco di Pilsudski, appena organizzato.
Varie erano le ragioni addotte dagli statisti alleati per giustificare la presenza delle loro truppe in Russia. Quando i loro soldati erano sbarcati a Murmànsk e Arcangelo nella primavera e nell'estate del '18, i governi alleati avevano dichiarato che le loro truppe dovevano impedire ai Tedeschi di impadronirsi di materiale bellico. Più tardi, avevan dichiarato che le loro truppe si trovavano in Siberia per aiutare le forze cèche a ritirarsi dalla Russia. A queste aggiunsero poi il pretesto di voler aiutare i Russi a « ristabilire l'ordine».
Gli statisti alleati negarono ripetutamente di avere l'intenzione di voler un intervento armato contro la Russia o di volersi ingerire negli affari interni della Russia. « Noi non vogliamo ingerirci nella politica interna della Russia - dichiarava nell'agosto del '18 Arthur Balfour, ministro britannico degli Esteri -; spetta alla Russia regolare le proprie faccende ».
Il caustico e dinamico Winston Churchill, che diresse di persona la campagna alleata contro l'Unione Sovietica, scrisse in seguito nel suo libro T he world Crisis: the Aftermath :
« Eran forse (gli Alleati) in guerra contro la Russia? Certamente no. Ma facevano fuoco a bruciapelo contro i Russi sovietici. Avevano invaso il suolo russo. Armavano i nemici del governo sovietico. Bloccavano i suoi porti e affondavano le sue navi. Ne auspicavano e preparavano seriamente la caduta. Ma la guerra, orrore! L'intervento, vergogna! Per essi, asserivano, era completamente indifferente il modo in cui i Russi sistemavano i loro affari. Erano imparziali - bum! »
Il giovine governo sovietico si batteva per la propria esistenza in condizioni di disperata inferiorità. Il paese era uscito dalla guerra devastato ed esausto. Gli affamati e i miserabili erano milioni. Le fabbriche erano vuote, le terre incolte, i trasporti fermi. Pareva impossibile che il paese potesse sopravvivere all'assalto violentissimo di un nemico che disponeva di eserciti numerosi e ben equipaggiati, di vaste risorse finanziarie, di abbondanti vettovaglie.
Assediato da ogni parte dagli invasori stranieri, minacciato da cospirazioni senza fine all'interno, l'esercito rosso si ritirava lentamente attraverso il paese, combattendo senza tregua. Il territorio controllato da Mosca era ridotto a un sedicesimo della superficie totale della Russia. Era un'isola sovietica in un mare antisovietico.
Il 5 settembre 1919, il senatore americano Borah si alzò a parlare:
« Signor Presidente, - disse, - non siamo in guerra con la Russia; il Congresso non ha dichiarato guerra al governo russo o al popolo russo. Il popolo degli Stati Uniti non desidera essere in guerra con la Russia... E tuttavia, pur non essendo in guerra con la Russia, mentre il Congresso non ha fatto nessuna dichiarazione di guerra, noi combattiamo contro il popolo russo. Abbiamo un esercito in Russia; riforniamo di munizioni e di materiale altre forze armate in quel paese, e siamo impegnati in un conflitto come se si fosse fatto appello ad un'autorità costituita, come se si fosse fatta una dichiarazione di guerra e la nazione fosse stata mobilitata per questo scopo... Non esiste nessuna giustificazione né legale né morale per sacrificare queste vite umane. E una violazione dei principî elementari del libero governo ».
Ma la guerra non dichiarata contro la Russia continuava...
I due anni e mezzo di intervento sanguinoso e di guerra civile furono responsabili della morte - in battaglia, per fame o epidemie - di sette milioni di Russi, uomini, donne e bambini. Le perdite materiali furono poi calcolate dal governo sovietico in 60 milioni di dollari; una somma che superava di molto il debito contratto dallo zar con gli Alleati. Gli invasori non pagarono riparazioni di sorta.
Poche cifre ufficiali furono date sul costo della guerra contro la Russia. Secondo il memorandum pubblicato da Winston Churchill il 15 settembre 1919, la Gran Bretagna, fino a quel giorno, aveva speso circa 1oo milioni di sterline e la Francia dai 30 ai 40 milioni di sterline soltanto per sostenere il generale Deníkin. La campagna britannica nel Nord era costata 18 milioni di sterline. I Giapponesi ammisero di aver speso 900 milioni di yen per le loro truppe in Siberia.
Quali i reconditi motivi di questa futile costosa guerra non dichiarata?
I generali bianchi combattevano in buona fede per la restaurazione della loro Grande Russia, per le loro proprietà fondiarie, per i loro profitti, i loro privilegi di classe e le loro spalline. C'erano tra loro alcuni nazionalisti sinceri, ma gli eserciti bianchi erano dominati soprattutto da reazionari, che erano i prototipi degli ufficiali fascisti e dagli avventurieri che più tardi dovevano far la loro comparsa nell'Europa centrale.
Meno chiari erano gli scopi bellici degli Alleati.
L'intervento era stato presentato al mondo dai portavoce alleati - nei limiti in cui i motivi ne furon resi pubblici - come una crociata politica contro il bolscevismo.
Il realtà « l'antibolscevismo » c'entrava di seconda mano. V'erano fattori che avevano un peso assai maggiore: come il legname della Russia settentrionale, il carbone del Donetz, l'oro della Siberia e il petrolio del Caucaso. C'entravano anche interessi di più vasta portata, come il piano britannico di costituire una federazione transcaucasica per separare l'India dalla Russia e dare agli Inglesi l'esclusivo dominio dei pozzi petroliferi del vicino Oriente; il piano giapponese di conquistare e colonizzare la Siberia; il piano francese di assicurarsi il controllo nelle zone del Donets e del Mar Nero; e gli ambiziosi e lungimiranti piani tedeschi di impossessarsi degli stati baltici e dell'Ucraina.
Un membro del Parlamento britannico, il tenente colonnello Cecil L'Estrange Malone, così si esprimeva alla Camera dei Comuni nel 1920, durante un vivace dibattito sulla politica alleata in Russia:
« Ci sono gruppi e individui nel nostro paese che hanno denaro e azioni in Russia, e questa è la gente che sta lavorando e intrigando per rovesciare il regime bolscevico... Ai tempi del vecchio regime era possibile partecipare in ragione del dieci o venti per cento allo sfruttamento degli operai e dei contadini russi, ma in regime socialista non si otterrà praticamente nulla, e noi constatiamo che ogni interesse nel nostro paese è in un modo o nell'altro legato con la Russia sovietica».
Il Russian Year Book del 1918 - proseguiva l'oratore - aveva calcolato che gli investimenti franco-britannici in Russia ammontavano a circa 1 miliardo e 600 milioni di sterline o approssimativamente a 8 miliardi di dollari.
C'era la Royal Dutch Shell Oil Company, i cui interessi russi coinvolgevano quelli della Ural Caspian Oil Company, della North Caucasian Oilfield, della New Schibarev Petroleum Company e di molte altre imprese petrolifere; c'era il grande trust di armamenti della Metro-Vickers che, insieme alla Schneider-Creusot francese e alla Krupp tedesca, avevano virtualmente controllato l'industria zarista delle munizioni; c'erano le grandi case bancarie dell'Inghilterra e della Francia: gli Hoares, Baring Brothers, Hambros, Crédit Lyonnais, Société Générale Rothschild e Comptoir National d'Escompte di Parigi, che tutti avevano investito immense somme di denaro in Russia sotto il regime zarista ...
« Tutti questi interessi - spiegava il colonnello Malone alla Camera dei Comuni - si intrecciano l'un con l'altro. Sono tutti interessati a prolungare la guerra in Russia... Dietro a questi interessi e dietro ai finanzieri ci sono i giornali e gli altri che servono a influenzare e a formare l'opinione pubblica nel paese ».
Tra gli Americani colui che aveva un'importanza maggiore e un interesse più diretto alla guerra in Russia era Herbert Hoover, futuro Presidente degli Stati Uniti e allora Commissario all'alimentazione.
Già ingegnere minerario impiegato da ditte britanniche, prima della guerra Hoover aveva cospicui investimenti nelle miniere e nei pozzi petroliferi russi. Il corrotto regime zarista pullulava di alti funzionari e di aristocratici terrieri pronti a barattare le ricchezze del loro paese e la sua forza-lavoro con « compensi » stranieri o con una parte del bottino. Hoover si era interessato del petrolio russo sin dal 1909, quando erano stati aperti i primi pozzi a Maikop. In un anno si era assicurato partecipazioni in non meno di undici compagnie petrolifere russe:

Maikop Neftyanoij Syndicate,
Maikop Scirvanskij Oil Company,
Maikop Apsheron Oil Company,
Maikop and General Petroleum Trust,
Maikop Oil and Petroleum Products,
Maikop Areas Oil Company,
Maikop Valley Oil Company
Maikop Mutual Oil Company,
Maikop Hadijenskij Syndicate,
Maikop New Producers Company,
Amalgamated Maikop Oilfields.

Già nel 1912 l'ex ingegnere minerario era socio del famoso multimilionario britannico Leslie Urquhart in tre nuove compagnie che erano state create per sfruttare le concessioni di legname e di minerali negli Urali e in Siberia. Urquhart rimise a galla il cartello russo-asiatico e fece, con due banche zariste, un contratto in base al quale questo cartello avrebbe manipolato tutti i progetti minerari in quelle zone. Le azioni russo-asiatiche da $ 16.25 nel 1913 salirono a $ 47.50 nel 1914. Quello stesso anno il cartello ottenne dal regime zarista tre nuove concessioni che comprendevano 2.500.000 acri di terra, tra cui incluse vaste foreste, forze idriche; riserve di oro, rame, argento e zinco per un ammontare approssimativo di 7.262.000 tonnellate, 12 miniere in pieno sfruttamento, 2 fonderie di rame, 20 segherie, 250 miglia di ferrovie, altiforni, laminatoi, fabbriche di acido solforico, raffinerie d'oro, immense riserve di carbone.
Il valore totale di questi beni era valutato a 1 miliardo di dollari.
Fin dal 1917 Hoover si era ritirato dal «cartello» russo-asiatico e aveva venduto le sue azioni di compartecipazione russe. Dopo la rivoluzione bolscevica tutte le concessioni in cui Hoover era stato un tempo associato furono abrogate e le miniere confiscate dal governo sovietico.
« Il bolscevismo - disse Herbert Hoover alla Conferenza della pace di Parigi - è peggiore della guerra».
Egli rimase infatti uno dei nemici più accaniti del governo sovietico per il resto della sua vita. È un fatto che, qualunque possa essere stato il movente personale, sotto il suo controllo i viveri americani sostennero i Russi bianchi e alimentarono le truppe d'assalto dei regimi più reazionari d'Europa, impegnati a respingere l'ondata democratica dopo la prima guerra mondiale. Così l'aiuto americano divenne un'arma diretta contro i movimenti popolari in Europa.
« La sostanza della politica americana durante la liquidazione dell'armistizio fu di dare il massimo contributo per impedire che l'Europa diventasse bolscevica o fosse sopraffatta dai loro eserciti », dichiarò più tardi Hoover in una lettera a Oswald Garrison Villard del 17 agosto 1921. La sua definizione del « bolscevismo » coincideva con quella di Foch, Pétain, Knox, Reilly e Tanaka. Come Segretario del Commercio, come Presidente degli Stati Uniti e successivamente come leader dell'ala isolazionistica del partito repubblicano, Hoover si batté instancabilmente per impedire che venissero stabiliti rapporti amichevoli, commerciali e diplomatici, tra l'America e il più potente alleato dell'America contro il fascismo mondiale: l'Unione Sovietica.

L'intervento armato fallì in Russia non soltanto grazie alla solidarietà e all'eroismo senza precedenti dei popoli Sovietici, i quali combattevano per difendere la libertà appena conquistata, ma anche grazie al valido appoggio dato alla giovane Repubblica sovietica dai popoli democratici di tutto il mondo. In Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti l'opinione pubblica si era sollevata e vigorosamente opposta all'invio di uomini, di armi, viveri e danari agli eserciti antisovietici in Russia. « Giù le mani dalla Russia! »: era la parola d'ordine dei comitati che s'andavano costituendo. I lavoratori scioperavano e i soldati si ribellavano contro la politica d'intervento degli stati maggiori. Statisti democratici, giornalisti, insegnanti e numerosi uomini d'affari protestavano contro l'attacco non dichiarato e non provocato contro l'Unione Sovietica.
Sir Henry Wilson, capo di stato maggiore britannico, ammise francamente la mancanza di appoggio da parte dell'opinione pubblica alla politica d'intervento. Il 1O dicembre 1919, nel Libro azzurro ufficiale britannico, il capo di stato maggiore scriveva:
« Le difficoltà dell'Intesa nel formulare una politica russa si sono rivelate davvero insormontabili, poiché in nessun paese alleato vi è stato un sufficiente peso dell'opinione pubblica per giustificare l'intervento armato contro i bolscevichi su scala decisiva, con l'inevitabile risultato che le operazioni militari hanno mancato di coesione e di uno scopo ben definito ».
La vittoria dell'esercito rosso sui suoi nemici rappresentava così in pari tempo una vittoria internazionale dei popoli democratici di tutti i paesi.
Un'ultima ragione del fallimento dell'intervento fu la mancanza di unità tra gli invasori. Gli istigatori dell'intervento rappresentavano una coalizione della reazione mondiale, ma era una coalizione cui faceva difetto la sincera intenzione di cooperare. Le rivalità imperialistiche spezzarono il blocco imperialistico. Gli Inglesi temevano le mire francesi sul Mar Nero, e quelle tedesche sulla zona baltica. Gli Americani ritenevano di dover frustrare le mire giapponesi in Siberia. I generali bianchi litigavano fra loro per il bottino.
La guerra d'intervento, cominciata nel segreto e nella disonestà, finì in un vergognoso disastro.
Il suo retaggio d'odio e di malafede doveva avvelenare l'atmosfera dell'Europa nel successivo quarto di secolo.


Libro secondo
Segreti del cordone sanitario


Capitolo settimo
La crociata bianca


1. Dopoguerra agitato.

La prima fase della guerra contro l'Unione Sovietica era finita pressoché in un fallimento. Il governo sovietico aveva il controllo indiscusso della maggior parte dei suoi territori; ma era al bando delle altre nazioni, accerchiato da un cordone sanitario di stati-fantocci ostili, tagliato fuori dalle normali relazioni politiche e commerciali con il resto del mondo. Ufficialmente il sesto del globo terrestre sotto i Soviet non esisteva, non era « riconosciuto ».
All'interno, il governo sovietico si trovava di fronte al caos economico: officine ridotte in macerie, miniere allagate, agricoltura rovinata, trasporti distrutti, malattie, fame e analfabetismo quasi universale. Alla bancarotta ereditata dal regime feudale zarista si aggiungevano le rovine dovute a sette anni di guerre incessanti, di rivoluzione, di controrivoluzione e di invasione straniera.
Al di là dei confini sovietici il mondo cercava ancora la pace e non la trovava. Lo statista inglese Bonar Law, quattro anni dopo la pace di Versailles, in una relazione sulle condizioni del mondo alla Camera dei Comuni, dichiarava che ben 23 guerre venivano combattute in diverse parti del mondo. Il Giappone aveva occupato regioni della Cina e soppresso brutalmente il movimento di indipendenza della Corea; le truppe britanniche domavano insurrezioni popolari in Irlanda, nell'Afganistan, in Egitto e in India; in Siria, i Francesi erano in guerra aperta con le tribù dei Drusi, le quali, con gran dispetto dei Francesi, erano armate di mitragliatrici provenienti dalle officine britanniche Metro-Vickers; lo stato maggiore tedesco, dietro la facciata della repubblica di Weimar, stava cospirando per spazzare via gli elementi democratici del Reich e far risorgere la Germania imperialistica.
Ogni paese d'Europa era in fermento: cospirazioni e controcospirazioni di fascisti, nazionalisti, militaristi e monarchici, tutti perseguenti i loro fini particolari sotto la stessa maschera dell'« antibolscevismo ».
Nonostante l'inquietudine, la stanchezza della guerra e l'anarchia economica che dominavano in Europa, nuovi piani di invasione militare della Russia sovietica venivano elaborati e assiduamente studiati dai comandi supremi della Polonia, Finlandia. Romania, Jugoslavia, Francia, Inghilterra e Germania.
La frenetica propaganda antisovietica proseguiva.
Quattro anni dopo la grande guerra, che avrebbe dovuto segnare la fine di tutte le guerre, esistevano tutte le premesse necessarie per una seconda guerra mondiale, che doveva essere sferrata contro la democrazia mondiale sotto l'insegna dell'« antibolscevismo ».

2. Un « gentleman » di Reval.

Nel giugno del 1921 un gruppo di ex ufficiali, industriali e aristocratici zaristi tenne una conferenza antisovietica nella Reichenhalle in Baviera. La conferenza, a cui parteciparono rappresentanti delle organizzazioni antisovietiche di tutta l'Europa, elaborò i piani per una campagna mondiale di agitazione contro la Russia sovietica.
La conferenza elesse un « Consiglio monarchico supremo », che aveva la funzione di lavorare per la « restaurazione della monarchia capeggiata dal sovrano legittimo della casa Romanov, secondo le leggi fondamentali dell'Impero russo ».
Il partito nazionalsocialista tedesco, ancora in fasce, inviò un delegato alla conferenza. Si chiamava Alfred Rosenberg.
Giovane, esile, con un lungo viso pallido, labbra sottili, capelli neri, l'espressione stanca e imbronciata, Alfred Rosenberg aveva incominciato a frequentare le birrerie di Monaco nell'estate del 1919. Lo si poteva trovare abitualmente alla Augustinerbrau o alla Franziskanerbrau, dove sedeva solo per ore e ore a un tavolo in un angolo. Talvolta alcuni amici lo raggiungevano e allora, benché li salutasse con poco calore, si animava e i suoi occhi neri si ravvivavano e brillavano nel suo viso pallidissimo mentre incominciava a parlare a bassa voce animatamente. Parlava russo e tedesco perfettamente.
Alfred Rosenberg era figlio di un latifondista baltico che possedeva una vasta proprietà vicino al porto zarista di Reval. Suo padre si vantava di discendere dai cavalieri dell'Ordine teutonico, che avevano invaso nel medioevo le province baltiche; e il giovine Rosenberg si considerava con orgoglio come Tedesco. Prima della Rivoluzione, aveva studiato architettura al Politecnico di Mosca. Era fuggito dal territorio sovietico quando i bolscevichi si erano impadroniti del potere e si era unito ai terroristi della Guardia bianca che combattevano agli ordini del generale conte Rudiger von der Goltz nella zona baltica. Nel 1919 Rosenberg era comparso a Monaco, tutto imbevuto delle dottrine antidemocratiche e antisemitiche delle « Centurie nere » zaristiche.
Un piccolo gruppo di Guardie bianche emigrate e di baroni baltici spodestati incominciarono a raccogliersi regolarmente a Monaco per ascoltare le appassionate e velenose tirate di Rosenberg contro i comunisti e gli ebrei. Condividevano tutti le idee « centurie-nere » di Rosenberg sulla decadenza della democrazia e sulla cospirazione internazionale degli ebrei.
« Nel suo intimo ogni ebreo è un bolscevico! »: tale il tema inesauribile delle tirate di Rosenberg.
Dalla tenebrosa torturata mente di Alfred Rosenherg, dal suo odio patologico contro gli ebrei e dalla frenetica ostilità contro l'Unione Sovietica, si sprigionava gradualmente una filosofia mondiale controrivoluzionaria, una mistura dei pregiudizi fanatici della Russia zarista con le ambizioni imperialiste della Germania. Per salvare il mondo dalla « decadenza democratica giudaica e dal bolscevismo » - scrisse Rosenberg nel suo Der Mythus des 20. Jahrunderts - occorreva iniziare « in Germania » la creazione di un nuovo stato tedesco. « È dovere del fondatore del nuovo stato - aggiungeva - costituire un'associazione di uomini sul tipo dell'Ordine teutonico ».
L'idea di una crociata contro la Russia sovietica domina tutti gli scritti di Rosenberg. Egli sognava quel giorno apocalittico in Cui gli eserciti potenti del nuovo « Ordine teutonico » avrebbero varcato i confini russi e schiacciato gli odiati bolscevici.
« Da ovest a est, - dichiarava - dal Reno alla Vistola, da Mosca a Tomsk, si leva il grido di guerra ».
La Germania attraversava il periodo della dura crisi postbellica, della disoccupazione in massa, di una inflazione senza precedenti, di una fame dilagante. Dietro la facciata democratica della repubblica di Weimar, instaurata d'accordo con lo stato maggiore tedesco dopo la cruenta soppressione dei Soviet degli operai e dei contadini, una cricca di militaristi prussiani, Junker e magnati della industria preparavano in segreto la rinascita e l'espansione della Germania imperiale. Sconosciuto al resto del mondo, il futuro programma di riarmo della Germania veniva accuratamente elaborato da centinaia di ingegneri, di disegnatori e di tecnici specializzati, che lavoravano sotto il controllo del comando supremo tedesco in un laboratorio clandestino costruito dalla ditta Borsig in una foresta fuori Berlino.
I piani per la nuova guerra della Germania venivano preparati diligentemente ed elaboratamente.
Tra i principali contribuenti finanziari della campagna segreta per ringiovanire l'imperialismo tedesco c'era un mellifluo ma energico industriale, Arnold Rechberg. Ex aiutante del Kronprinz e amico intimo di molti membri del comando supremo imperiale, Rechberg aveva interessi nel grande trust tedesco del potassio.
Rechberg volle conoscere Rosenberg. Colto da subita simpatia per il fanatico controrivoluzionario di Reval, Rechberg lo presentò a un altro dei suoi protetti, un demagogo austriaco trentenne e spia della Reichswehr: Adolf Hitler.
Rechberg già provvedeva fondi per acquistare le uniformi e sosteneva altre spese per il partito nazista di Adolf Hitler. Poi Rosenberg e i suoi ricchi amici acquistarono un oscuro giornale, il « Vòlkischer Beobachter» e lo affidarono al movimento nazista. Il giornale diventò l'organo ufficiale del Partito nazista. Hitler ne nominò direttore Alfred Rosenberg.

3. Il piano Hoffmann.

Era còmpito di Alfred Rosenberg fornire il partito nazista tedesco di un 'ideologia politica. Un altro degli amici di Rechberg, il generale Max Hoffmann, ebbe quello di studiare la strategia militare.
All'inizio della prima guerra mondiale, Hoffmann era stato nominato comandante in capo delle operazioni dell'ottava armata tedesca dislocata nella Prussia orientale con l'ordine di prevenire l'atteso attacco russo. La strategia che portò al disastro zarista di Tannenberg fu più tardi attribuita dalle autorità militari non a Hindenburg o a Ludendorff, ma a Hoffmann. Dopo Tannenberg, Hoffmann diventò comandante delle forze tedesche sul fronte orientale. A Brest-Litòvsk Hoffmann dettò i termini della pace alla delegazione sovietica.
All'inizio della primavera del 1919, il generale Hoffmann si era presentato alla Conferenza della pace di Parigi con un piano di attacco contro Mosca, che avrebbe dovuto essere diretto dall'esercito tedesco. Secondo Hoffmann, il suo piano presentava un doppio vantaggio: non soltanto avrebbe « salvato l'Europa dal bolscevismo »: avrebbe al tempo stesso salvato l'esercito imperiale tedesco e impedito la sua dissoluzione. Una versione modificata del piano Hoffmann era stata approvata dal maresciallo Foch.
Dopo aver visitato a Berlino il generale Hoffmann nel 1923, l'ambasciatore britannico lord D'Abernon scrisse nel suo diario diplomatico:
« Tutte le sue opinioni sono dominate dal concetto generale che nulla andrà per il suo verso nel mondo finché tutte le potenze civili dell'Occidente non si associano per impiccare il governo sovietico... Richiesto se credeva nella possibilità di un tale accordo tra Francia, Germania e Inghilterra per attaccare la Russia, replicò: - Se è necessario, si deve fare! »
Negli anni del dopoguerra, in seguito al fallimento dell'intervento armato contro la Russia sovietica, Hoffmann rielaborò il suo piano e lo fece circolare tra gli stati maggiori d'Europa sotto forma di memorandum riservatissimo. Il memorandum suscitò immediatamente molto interesse nei circoli filofascisti d'Europa. Il maresciallo Foch e il suo capo di stato maggiore Pétain, entrambi amici intimi di Hoffmann, espressero la loro calda approvazione per la versione riveduta del piano. Tra le altre personalità che condivisero il piano c'erano Franz von Papen, il generale barone Karl von Mannerheim, l'ammiraglio Horthy e il capo del Servizio d'informazioni della marina britannica, ammiraglio Sir Barry Domvile.
L'ultima versione del piano Hoffmann ebbe l'appoggio di un vasto e influente settore dello stato maggiore tedesco, benché rappresentasse chiaramente un distacco radicale dalla strategia militare e politica della tradizionale scuola bismarckiana. Il nuovo piano Hoffmann progettava un'alleanza tra la Germania, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra e la Polonia contro l'Unione Sovietica. Strategicamente, - secondo le parole di un preveggente commentatore europeo, Ernst Henri (nel libro Hitler over Russia) - il piano proponeva la concentrazione di nuovi eserciti sulla Vistola e sulla Dvina secondo il modello napoleonico; una marcia fulminea, diretta dal comando tedesco, contro le orde bolsceviche in ritirata; l'occupazione di Leningrado e di Mosca nel corso di poche settimane; un rastrellamento definitivo del paese fino agli Urali; e quindi la salvezza di una civiltà esausta per mezzo della conquista di mezzo continente.
Tutta l'Europa, con la Germania alla testa, sarebbe dovuta essere mobilitata e scaraventata contro l'Unione Sovietica.


Capitolo ottavo
Singolare carriera di un terrorista


1. Ricompare Sidney Reilly.

Berlino, dicembre 1922. Un ufficiale della marina tedesca e un ufficiale del Servizio segreto britannico stavano chiacchierando nella hall affollata del famoso Hotel Adlon con una donna giovane, graziosa, elegante. Era Pepita Bobadilla, una stella dell'operetta londinese, altrimenti conosciuta come la signora Chambers, vedova del noto drammaturgo inglese, Haddon Chambers. Si parlava di spionaggio. L'Inglese incominciò a parlare delle gesta incredibili compiute nella Russia sovietica da un agente segreto britannico che egli designava come Mr. C. La fama di Mr. C era giunta alle orecchie del Tedesco. Fu una gara di aneddoti sulle favolose avventure di Mr. C. Finalmente, incapace di trattenere pili a lungo la sua curiosità, la signora Chambers chiese: - Ma chi è codesto Mr. C?
- E chi non è piuttosto? - replicò l'Inglese. - Vi dirò, signora Chambers, che questo signor C. è un uomo misterioso. È' l'uomo più misterioso d'Europa. E, incidentalmente, potrei aggiungere che c'è sul suo capo la taglia più grossa che mai ci sia stata sulla testa di qualsiasi vivente. I bolscevichi darebbero una provincia per averlo tra le mani, vivo o morto.... È un uomo che vive in perpetuo pericolo. Più volte è stato per noi in Russia, tutt'occhi e orecchie, e, sia detto tra noi, è a lui che dobbiamo se il bolscevismo non costituisce oggi per la nostra civiltà un pericolo ancor maggiore di quello che è realmente.
La signora Chambers moriva dalla voglia di saperne di più sul conto del misterioso Mr. C. Il suo interlocutore sorrise. - L'ho visto oggi - aggiunse l'Inglese - sta qui all'Adlon Hotel.
Quella sera la signora Chambers incontrò per la prima volta Mr. C.: era - scrisse ella poi - « un uomo dall'aria distinta e correttamente vestito» con « un viso magro piuttosto truce », con « un fare che potrebbe dirsi sardonico e l'espressione di chi non una volta sola, ma parecchie ha visto in faccia la morte ».. La signora Chambers se ne innamorò al primo incontro.
Furono presentati l'uno all'altra. Mr. C. parlò quella sera alla signora Chambers « dello stato dell'Europa, della Russia, della Ceka » e, soprattutto, « della minaccia del bolscevismo ». Rivelò alla signora Chambers il suo vero nome: capitano Sidney George Reilly.
Dopo il fallimento della sua congiura del 1918 contro i Soviet, Sidney Reilly era stato rimandato in Russia dal ministro della Guerra Winston Churchill, a organizzare il servizio di spionaggio per conto del generale Deníkin. Reilly faceva anche da organo di collegamento tra Deníkin e i suoi vari alleati antisovietici europei. Nel 1919 e nel 1920, la spia britannica aveva svolto la sua attività a Parigi, Varsavia, Praga, organizzando eserciti antisovietici e agenzie di spionaggio e sabotaggio. Poi, era stato agen te semi-ufficiale per alcuni milionari zaristi emigrati, tra cui il suo vecchio amico e padrone conte Tchuberskij. Uno dei più ambiziosi progetti varati da Reilly in quel periodo fu il Torgprom, il cartello degli industriali emigrati zaristi e dei loro soci anglofrancesi e tedeschi.
Quale risultato delle sue operazioni finanziarie, Reilly aveva ammassato un considerevole patrimonio personale ed era direttore di numerose aziende, in passato legate all'alta finanza russa. Aveva coltivato importanti contatti internazionali e fra i suoi amici personali contava Winston Churchill, il generale Hoffmann e il capo di stato maggiore finlandese Wallenius.
L'odio fanatico contro la Russia sovietica non era diminuito nella spia britannica. L'annientamento del bolscevismo era adesso il motivo dominante della sua vita. Il suo entusiasmo per Napoleone, il conquistatore in spe della Russia, lo aveva reso un collezionista di cimeli napoleonici fra i più appassionati del mondo. La sua collezione valeva decine di migliaia di dollari. La figura del dittatore còrso lo affascinava.
« Un tenente di artiglieria còrso disperse le ceneri ancora calde della Rivoluzione francese - diceva Sidney Reilly. - E perché mai un agente dello spionaggio britannico con tante carte in mano non potrebbe diventare padrone di Mosca? »
Il 18 maggio 1923 la signora Chambers e il capitano Sidney Reilly si sposavano a Londra, nell'Ufficio di stato civile di Henrietta Street, Covent Garden. Fece da testimonio il capitano George Hill, il vecchio complice di Reilly a Mosca.
La signora Chambers non tardò a essere coinvolta nei fantastici intrighi della vita di suo marito. Essa scrisse più tardi:
« Gradualmente fui iniziata agli strani maneggi che si svolgevano dietro le scene della politica europea. Imparai che sotto la superficie di ogni capitale europea covava il fuoco della cospirazione degli esiliati contro i tiranni attuali del loro paese. A Berlno, a Pangi, a Praga, a Londra, piccoli gruppi di esiliati si riunivano, cospiravano, facevano piani. Helsingfors poi era perpetuamente agitata dalle cospirazioni che erano finanziate e secondate da parecchi governi europei. Sidney era appassionatamente interessato a tutto il movimento e gli dedicava molto tempo e denaro ».
Un giorno, un misterioso visitatore si presentò nell'appartamento londinese di Sidney Rei1ly. Dapprima si presentò come « Mr. Warner ». Aveva una gran barba nera che nascondeva quasi tutta la faccia, zigomi sporgenti e occhi freddi azzurro acciaio. Era di statura gigantesca e le sue lunghe braccia raggiungevano quasi i suoi ginocchi. Presentò le sue credenziali: un passaporto britannico, un documento d'identificazione scritto e firmato dal capo socialista-rivoluzionario Boris Sàvinkov a Parigi, e una lettera di presentazione di un eminente uomo politico britannico.
- Sarò a Londra per una settimana - disse il visitatore a Reilly - e conferirò col vostro Foreign Office.
« Mr. Warner » rivelò quindi il suo vero nome : Drebkov, già capo di uno dei gruppi « dei Cinque » nell'organizzazione cospirativa antisovietica organizzata da Rei1ly nel 1918 a Mosca. Adesso era un capo dell'organizzazione clandestina bianca a Mosca.
Drebkov venne quindi allo scopo della sua visita. - Abbiamo bisogno di un uomo in Russia, capitano Reilly - egli disse - un uomo che possa dar ordini e essere obbedito, ai cui ordini non si discuta, un uomo che sia un capo, un dittatore, se volete, come Mussolini in Italia , un uomo che con mano ferrea possa comporre i dissidi che dividono i nostri amici e faccia di noi lo strumento che colpirà dritto al cuore i tiranni della Russia!
- Perché non Sàvinkov ? - chiese Sidney Reilly. - Si trova a Parigi , è l'uomo che ci vuole per voi, una grande personalità, un vero grand'uomo, un capo, un organizzatore!

2 . « Un affare come un altro! »

Boris Sàvinkov, l'uomo a cui nel 1924 i più autorevoli circoli politici di Downing Street e del Quai d'Orsay guardavano come al futuro dittatore della Russia, era sotto molti aspetti uno degli uomini più notevoli emersi dal crollo della vecchia Russia. Sottile, pallido, calvo, con la voce bassa, sempre impeccabilmente vestito con la giacca a coda e le scarpe di vernice, Sàvinkov aveva più l'aspetto di un « direttore di banca », - come disse una volta il romanziere Somerset Maugham -, che del famoso terrorista e spietato controrivoluzionario che era in realtà. Aveva un ingegno multiforme e duttile. Winston Churchill, a cui Sàvinkov era stato presentato da Sidney Reilly, descrisse poi il terrorista russo nel suo libro Great Contemporaries come un uomo che univa « alla saggezza dell'uomo di Stato, le qualità di un comandante, il coraggio di un eroe, e la pazienza di un martire. L'intera vita di Sàvinkov - aggiunge Churchill - era trascorsa nella cospirazione ».
Da giovine, nella Russia zarista, Sàvinkov era stato uno dei dirigenti più in vista del Partito socialista-rivoluzionario. Insieme con quattro altri capi dirigeva l'Organizzazione di lotta del partito, un comitato di terroristi responsabile dell'organizzazione delle uccisioni dei funzionari zaristi. Il granduca Serghjéj, zio dello zar, e il ministro dell'Interno, V. K. Plehve, erano stati uccisi da tale organizzazione nei primi anni del secolo.
Fallito il primo tentativo di rovesciare lo zarismo nel 1905, Boris Sàvinkov si stancò della esistenza di rivoluzionario. Si dedicò alla letteratura. Scrisse un romanzo autobiografico sensazionale, Il cavallo pallido, in cui descriveva la parte avuta nell'assassinio di Plehve e del granduca Serghjéj. Vi raccontava come, travestito da agente britannico, fosse stato per intere giornate appostato in una casetta, in una strada secondaria, con un falso passaporto britannico in tasca e « tre chilogrammi di dinamite sotto la tavola », nell'attesa che la carrozza del granduca transitasse per quella strada.
Anni dopo, durante la guerra, il romanziere inglese Somerset Maugham, inviato in Russia dal Servizio segreto britannico per stabilire contatti con Sàvinkov, chiese al terrorista russo se non occorreva grande coraggio per compiere questi , assassinî. Sàvinkov replicò: - Niente affatto, credetemi. È un affare come un altro. Ci si abitua a queste cose.
Nel giugno del 1917, Boris Sàvinkov, assassino di professione e romanziere, fu nominato da Kèrenskij, dietro suggerimento dei consulenti alleati, Commissario politico della 7a armata sul fronte galiziano. Su insistenza di Sàvinkov, Kèrenskij nominò il generale Kornílov comandante in capo delle armate russe. Sàvinkov stesso fu nominato vice-ministro alla guerra. Egli era agente segreto per conto del governo francese e stava cospirando per rovesciare il regime di Kèrenskij e istituire una dittatura militare sotto Kornílov.
Dopo la rivoluzione bolscevica, Sàvinkov diresse la sollevazione antibolscevica di Jaroslavl, finanziata segretamente dai Francesi, che sarebbe dovuta coincidere con il fallito colpo di Stato di Reilly a Mosca. Le forze di Sàvinkov furono sbaragliate dall'esercito rosso ed egli stesso sfuggì alla cattura per puro miracolo. Lasciò il paese e diventò uno dei rappresentanti diplomatici dei Russi bianchi in Europa. Winston Churchill dice di lui nel volume Great Contemporaries: « Responsabile di tutte le relazioni con gli Alleati e con quegli stati baltici e confinanti, i quali non erano meno importanti e formavano allora il "cordone sanitario " dell'Occidente, l'ex nichilista diede prova di grandi capacità, sia di comando che di intrigo ».
Nel 1920 Sàvinkov si recò in Polonia. Con l'aiuto del suo buon amico, maresciallo Pilsudski, mise insieme circa 10 mila uomini , ufficiali e soldati, li armò e incominciò ad addestrarli per un altro attacco contro la Russia sovietica.
In seguito Sàvinkov trasferì il suo quartier generale a Praga. Agendo in stretto collegamento con il generale fascista Gajda, Sàvinkov creò un'organizzazione conosciuta col nome di « Guardie Verdi », composta per lo più di ex ufficiali zaristi e di terroristi controrivoluzionari. Le « Guardie Verdi » effettuarono una serie di colpi di mano attraverso la frontiera sovietica, derubando, saccheggiando, bruciando fattorie, massacrando operai e contadini e assassinando i funzionari sovietici locali. Per svolgere questa attività Sàvinkov si valeva della stretta collaborazione di varie agenzie di spionaggio europee.
I sistemi spietati di Sàvinkov, la sua personalità magnetica, le sue capacità organizzative veramente eccezionali esercitavano un fascino senza pari sugli emigrati bianchi e gli statisti europei antisovietici che ancora sognavano di rovesciare il governo sovietico. Talvolta, tuttavia, il passato di Sàvinkov poneva queste persone in una posizione imbarazzante. Nel 1919, a Parigi, quando Winston Churchill stava negoziando con l'ex primo ministro zarista Sazonov, venne fuori la questione Sàvinkov. Churchill così descrive l'incidente nel suo libro Great Contemporaries:
- Come ve l'intendete con Sàvinkov? - chiese Churchill.
L'ex primo ministro zarista fece un gesto di sconforto con le mani: - È un assassino! Non mi do pace di dover lavorare con lui! Ma che cosa si può fare? È un uomo competente, pieno di risorse, deciso. Nessun altro ha le sue doti.
Per Churchill la personalità di questo « assassino letterato », come egli lo chiamava, era stata per lungo tempo un interrogativo. D'accordo con Reilly che Sàvinkov era un uomo « cui si poteva affidare la direzione di grandi imprese », Churchill decise di presentarlo al primo ministro britannico, Lloyd George. Fu combinato un incontro molto riservato, a Chequers, residenza campestre del primo ministro inglese.
La stessa auto portò Churchill e Sàvinkov a Chequers. « Era domenica - racconta Churchill in Great Contemporaries. - Il primo ministro stava intrattenendo parecchi pastori della Chiesa libera ed era circondato da un coro di cantori gallesi i quali erano giunti dalla loro terra natale per rendergli omaggi canori. Per parecchie ore essi cantarono graziosamente degli inni gallesi: Dopo avvenne il nostro colloquio ».
Ma a Lloyd George non andava a genio che sul governo britannico cadesse la responsabilità di appoggiare Boris Sàvinkov. Secondo Lloyd George, il « peggio era passato » in Russia. L'esperimento bolscevico - controllo socialista dell'industrie - era, naturalmente, destinato al fallimento. I capi bolscevichi « di fronte alle responsabilità reali del governo » avrebbero abbandonato le loro teorie comuniste o « come Robespierre e Saint-Just avrebbero finito col prendersi per i capelli fra loro e perdere il potere.
Quanto alla « minaccia mondiale del comunismo » - di cui Churchill e l'Intelligence Service sembravano così preoccupati essa non esisteva, aggiunse Lloyd George...
- Signor primo ministro - osservò Sàvinkov col suo fare grave, cerimonioso, quando Lloyd George ebbe finito - voi mi concederete l'onore di osservare che dopo la caduta dell'Impero romano ci fu il Medioevo!

3. Il processo di Mosca, 1924.

Il 21 gennaio del 1924, la morte di Lenin risvegliò in Reilly nuove ardenti speranze. Dalla Russia i suoi agenti lo informavano che gli elementi all'opposizione stavano intensificando i loro sforzi per impadronirsi del potere. Entro lo stesso Partito bolscevico si stavano manifestando profondi dissensi e pareva che sorgesse la possibilità di trarre vantaggio da una seria scissione. Secondo Reilly il momento era adatto per vibrare il colpo.
Reilly si era convinto che i suoi vecchi piani di restaurare lo zarismo avevano fatto il loro tempo. La Russia si era allontanata dallo zarismo. Reilly credeva che si dovesse stabilire una dittatura poggiante sui contadini ricchi (kulaki) e sulle altre forze militari e politiche ostili al governo sovietico. Era convinto che Boris Sàvinkov fosse l'uomo ideale per instaurare in Russia il tipo di regime instaurato in Italia da Mussolini. La spia britannica viaggiava da una capitale d'Europa all'altra cercando di persuadere i servizi segreti e gli stati maggiori ad appoggiare la causa di Sàvinkov.
Una delle personalità più in vista che in quei giorni si unirono alla campagna antisovietica fu sir Henry Wilhelm August Deterding, di origine olandese, cavaliere dell'Impero britannico e capo del grande cartello internazionale del petrolio Royal Dutch Shell. Deterding era destinato a diventare il principale finanziatore e il portavoce dell'alta finanza della causa antibolscevica.
Grazie agli sforzi di Reilly, il re del petrolio americano divenne interessato nel Torgprom, l'organizzazione dei milionari zaristi emigrati. Da Liazanov e Mantascev a Parigi e da altri membri europei del Torgprom, molto abilmente Deterding fece regolare atto d'acquisto di alcune delle più importanti zone petrolifere della Russia sovietica. Al principio del 1924 il re del petrolio britannico, non essendo riuscito di assicurarsi il controllodel petrolio sovietico con la pressione diplomatica, si dichiarò « proprietario» del petrolio russo e denunciò il governo sovietico come illegale e al bando del mondo civile. Valendosi delle immense risorse della sua ricchezza, della sua influenza e dei suoi innumerevoli agenti segreti, sir Henry Deterding dichiarò guerra alla Russia sovietica, con la manifesta intenzione di assicurarsi il possesso dei ricchi pozzi petroliferi del Caucaso.
L'intervento di Deterding accentuò l'importanza della campagna di Sidney Reilly. La spia britannica stese rapidamente un piano concreto di attacco contro la Russia sovietica e lo sottopose ai membri interessati dei vari stati maggiori europei. Il piano - una variante del piano Hoffmann - prevedeva una doppia azione, politica e militare.
Il piano di Reilly ebbe l'approvazione e l'appoggio dei dirigenti antibolscevichi degli stati maggiori della Francia, Polonia, Finlandia e Romania. Il Foreign Office dimostrò un interesse speciale per la proposta di separare il Caucaso dalla Russia. Il dittatore fascista Mussolini invitò a uno speciale colloquio a Roma Boris Sàvinkov. Mussolini desiderava conoscere Il « dittatore russo ». Offrì di fornire passaporti italiani agli agenti di Sàvinkov per facilitar loro il passaggio della frontiera russa durante la preparazione dell'attacco. Il duce accettò inoltre di raccomandare alle sue legazioni estere e alla sua polizia segreta, l'Ovra di assistere Sàvinkov in ogni modo.
Secondo le parole di Reilly « una grande cospirazione controrivoluzionaria era prossima alla maturazione ».
Il 10 agosto 1924, dopo una lunga discussione finale con Reilly, Boris Sàvinkov, munito di passaporto italiano, partì per la Russia. Era accompagnato da pochi aiutanti ed elementi fidati delle sue Guardie Verdi. Passato il confine sovietico avrebbe dovuto preparare gli ultimi particolari per la insurrezione generale. Era stata presa ogni precauzione per impedire che Sàvinkov fosse identificato. Appena entrato nel territorio sovietico avrebbe dovuto incontrarsi con rappresentanti del movimento bianco clandestino, che si erano assicurati la complicità del funzionari sovietici nelle città di confine. Sàvinkov avrebbe dovuto inviare un messaggio, a mezzo di un corriere segreto, a Rellly, per annunciargli di essere arrivato in Russia sano e salvo.
Passavano i giorni e Sàvinkov non si faceva vivo. A Parigi, Reilly attendeva con impazienza e apprensione crescenti, impossibilitato di agire finché il corriere non fosse giunto. Passò una settimana, una seconda...
E infine Reilly scoprì quel che era accaduto a Boris Sàvinkov.
Il 29 agosto 1924 il giornale sovietico « Izvestia » annunciò che « l'ex terrorista e controrivoluzionario Boris Sàvinkov » era stato arrestato dalle autorità sovietiche « dopo aver passato clandestinamente la frontiera sovietica ».
Sàvinkov e i suoi aiutanti avevano attraversato la frontiera in Polonia. Sul suolo sovietico erano stati ricevuti da un gruppo di uomini che essi credettero cospiratori e condotti in una casa a Minsk. Appena giunti era comparso un ufficiale sovietico armato ad annunciare che la casa era accerchiata. Sàvinkov e i suoi compagni erano caduti in una trappola. .
L'arresto di Sàvinkov e il fallimento della congiura costituivano già di per sé un'amara pillola per Sidney Reilly e per i suoi amici; ma il processo pubblico di Sàvinkov, che fu tenuto poco dopo a Mosca, fu un colpo ancora più duro. Tra l'orrore e lo stupore delle molte personalità di primo plano implicate nella faccenda, Boris Sàvinkov cominciò a esporre per filo e per segno i particolari della cospirazione. Con grande calma, incominciò coll'informare il tribunale che, fin da quando aveva attraversato il confine sovietico, sapeva che sarebbe caduto in una trappola. « Avete fatto un buon colpo mettendomi dentro - Sàvinkov aveva dichiarato all'ufficiale sovietico che l'aveva arrestato. - A dire il vero, io fiutavo un tranello. Ma decisi di venire in Russia ad ogni costo. E vi dirò il perché... Avevo deciso di non più lottare contro di voi! »
Sàvinkov dichiarò di aver finalmente aperto gli occhi e di aver capito che il movimento antisovietico era futile e sbagliato. Si descrisse davanti al tribunale come un patriota onesto ma sviato, che a poco a poco aveva perduto fiducia nel carattere e negli scopi dei suoi soci.
Sàvinkov aggiunse che gli elementi antisovietici all'estero non si interessavano del movimento in sé, ma unicamente di ottenere i pozzi petroliferi russi e altre ricchezze minerarie. - Mi hanno parlato sovente e insistentemente - disse, a proposito dei suoi consiglieri inglesi - dell'opportunità di costituire una federazione sud-orientale formata dal Caucaso meridionale e dalla Transcaucasia. Questa Federazione, secondo loro, sarebbe stato soltanto il principio: l'Azerbagian e la Georgia ne avrebbero dovutofar parte in un secondo tempo. Qui si poteva sentire l'odor del petrolio!
Sàvinkov descrisse quindi le trattative con Churchill:
- Churchill mi ha mostrato una volta la carta della Russia meridionale in cui le posizioni di Deníkin e del vostro esercito erano segnate con bandierine. Ricordo ancora la mia indignazione quando andai a trovarlo ed egli mi disse d'improvviso, indicandole bandierine di Deníkin : « Ecco il mio esercito! » Non risposi: mi sentivo come inchiodato al suolo. Stavo per uscire dalla stanza, ma poi pensai che se avessi fatto uno scandalo e sbattuto la porta dietro di me, i nostri soldati in Russia sarebbero rimasti senza scarpe.
- Per qual ragione gli Inglesi e i Francesi vi rifornirono di scarpe, munizioni, mitragliatrici e cosi via? - chiese il presidente del tribunale.
- Ufficialmente, i loro scopi erano molto nobili - replicò Sàvinkov. - Noi eravamo alleati fedeli, voi eravate i traditori, eccetera. Ma nello sfondo ecco quello che c'era : al minimo, petrolio che è una cosa di indubbio valore. Tutt'al più, lasciate che i Russi si accapiglino tra loro: meno ne rimangono vivi, tanto meglio per noi. Tanto più debole rimarrà la Russia.
La sensazionale deposizione di Sàvinkov durò due giorni. Egli raccontò tutta la sua carriera di cospiratore. Fece i nomi dei più noti statisti e finanzieri in Inghilterra, Francia e altri paesi europei che lo avevano aiutato. Dichiarò di esserne diventato lo strumento, contro la propria volontà.
Il tribunale sovietico condannò Boris Sàvinkov a morte come traditore della patria, ma, grazie alla sua completa e sincera confessione, la pena fu tramutata in dieci anni di carcere [1].
Appena la notizia dell'arresto di Sàvinkov era giunta a Parigi, insieme a quella ancora più sorprendente del suo atto di contrizione, Sidney Reilly era ritornato precipitosamente a Londra per conferire con i suoi superiori. L'8 settembre 1924, il « Morning Post », organo dei Tories antibolscevici, pubblicava una lunga e sensazionale dichiarazione di Reilly. Reilly dichiarava che il processo di Sàvinkov a Mosca non c'era mai stato. Affermava categoricamente che Sàvinkov era stato ucciso mentre attraversava la frontiera sovietica e che il processo era una frode colossale: « Sàvinkov è stato ucciso mentre tentava di attraversare la frontiera russa, ed una parodia di processo a porte chiuse è stata inscenata dalla Ceka a Mosca » [2].
Reilly difendeva vigorosamente l'onestà di Sàvinkov come cospiratore antisovietico:
« Mi dichiaro onorato di essere stato uno dei suoi amici più intimi e suo seguace devoto, e su me ricade il sacro dovere di difendere il suo onore... Ho trascorso con Sàvinkov i giorni precedenti alla sua partenza per l'Unione Sovietica. Godevo della sua piena fiducia e i suoi piani erano stati elaborati con me di comune accordo »,
La dichiarazione di Reilly terminava con un appello al redattore del « Morning Post »: « Sir, mi appello a voi, il cui giornale è sempre stato il campione dichiarato dell'antibolscevismo e dell'anticomunismo, pregandovi di aiutarmi a difendere il nome e l'onore di Borir Sàvinkov! »
Contemporaneamente Reilly inviava a Churchill una lettera riservata, di cui ogni parola era stata accuratamente pesata:

« Caro Signor Churchill:
« La sciagura toccata a Boris Sàvinkov ha sicuramente prodotto un'impressione estremamente dolorosa su di voi. Né io né alcuno dei suoi più intimi amici e collaboratori siamo sin qui riusciti ad avere notizie veramente attendibili sulla sua sorte. È nostra convinzione che egli sia caduto vittima di uno dei più bassi e più audaci intrighi che la Ceka abbia mai inscenato. La nostra opinione è espressa nella lettera che mando oggi stesso al « Morning Post ». Conoscendo il vostro cortese interesse mi prendo la libertà di unirvene una copia per vostra conoscenza.
« Rimango, mio caro signor Churchill,
il vostro SIDNEY REILLY »

L'autenticità del processo non tardò però ad essere comprovata e Reilly fu obbligato a inviare un'altra lettera al « Morning Post ».
La lettera diceva:

« I comunicati stampa, particolareggiati e spesso stenografati, del processo Sàvinkov, convalidati dalla testimonianza di testimoni oculari degni di fede e imparziali, hanno provato senza possibilità di dubbio il tradimento di Sàvinkov. Non soltanto egli ha tradito i suoi amici, la sua organizzazione e la sua causa, ma è deliberatamente e completamente passato dalla parte dei suoi ex nemici... Con il suo atto Sàvinkov ha cancellato per sempre il suo nome dall'albo d'onore del movimento anticomunista.
« I suoi vecchi amici e seguaci deplorano la sua tragica e ingloriosa fine, ma coloro che mai per nessuna ragione verranno a patti con i nemici dell'umanità rimangono incrollabili. Il suicidio morale del loro ex capo è per loro un incentivo a stringere le loro file e a " continuare la lotta ".
Vostro, ecc. SIDNEY REILLY »

Poco dopo, Reilly riceveva un prudente biglietto di Churchill:

CHARTWELL MANOR
Westerham, Kent
15 setternbre 1924
« Caro signor Reilly,
« La vostra lettera mi ha molto interessato. Gli avvenimenti hanno preso la piega che mi attendevo. Non credo che voi dobbiate giudicare Sàvinkov con eccessiva severità. Egli si trovava in una situazione terribile; e soltanto coloro che hanno superato vittoriosamente una tale prova hanno il diritto di condannarlo. A ogni modo, attendo di conoscere la fine della storia prima di cambiare la mia opinione su Sàvinkov.
Vostro W. S. CHURCHILL »

La pubblicazione della confessione e della testimonianza di Sàvinkov imbarazzò oltre ogni dire coloro che avevano secondato la sua causa in Inghilterra. Nel bel mezzo dello scandalo, Reilly fu spedito in tutta fretta negli Stati Uniti. Churchill si ritirò temporaneamente nella sua residenza di campagna nel Kent. Il Foreign Office britannico si chiuse in un discreto silenzio.
Ma l'epilogo sensazionale doveva ancora venire.
Verso la fine dell'ottobre del 1924, pochi giorni prima delle elezioni generali in Inghilterra, nel « Daily Mail » di Lord Rothermere veniva annunciato a caratteri cubitali che Scotland Yard aveva scoperto un sinistro complotto sovietico contro l'Inghilterra. Come prova documentata della congiura il « Daily Mail » pubblicava la nota « lettera di Zinoviev », cioè le pretese istruzioni di Grigori Zinoviev, capo russo del Comintern, ai comunisti inglesi sul modo di sconfiggere i Tories nelle imminenti elezioni.
Era la risposta dei Tories alla confessione di Sàvinkov; ed ebbe il suo effetto. I conservatori vinsero le elezioni ponendosi su una piattaforma violentemente antibolscevica.
Parecchi anni dopo, Sir Wyndham Childs di Scotland Yard rivelava che in realtà non c'era mai stata nessuna lettera di Zinoviev. Il documento era un falso e vari agenti stranieri erano implicati nella sua compilazione. Per le origini occorreva risalire nell'ufficio di Berlino del colonnello Walther Nicolaï, ex capo dell'Ufficio Informazioni della Germania imperiale, che ora lavorava in stretta intesa con il Partito nazista. Sotto la direzione di Nicolaï, una Guardia bianca baltica, il barone Uexhuell - che fù poi alla testa dei servizi stampa nazisti aveva creato nella capitale tedesca un ufficio speciale dove si fabbricavano documenti antisovietici e si dava a queste falsificazioni la diffusione più ampia e la pubblicità più clamorosa.
La consegna della falsa lettera di Zinoviev al Foreign Office e, quindi, al « Daily Mail » era stata effettuata, a quanto si diceva, da George Bell, un misterioso agente internazionale. Bell era al soldo del magnate del petrolio anglo-americano, Sir Henry Deterding.

[1] Sàvinkov si ebbe un trattamento particolarmente benevolo da parte delle autorità sovietiche durante la sua prigionia. Godeva di particolari privilegi, otteneva tutti i libri che desiderava, era libero di scrivere. Ma egli bramava la libertà. Il 7 maggio 1925 rivolse una lunga supplica a Felice Dzerzinskij, capo della Ceka, implorando il condono e dichiarandosi pronto a fare tutto quel che il governo sovietico gli avrebbe chiesto. Il ricorso fu respinto. Poco dopo Sàvinkov si uccideva gettandosi dalla finestra della prigione.
[2] Questa è la prima delle molte stravaganti « spiegazioni » che furono date dai nemici dell'Unione Sovietica negli anni che seguirono la rivoluzione in un tentativo di screditare le ammissioni dei cospiratori stranieri e dei traditori russi nei tribunali sovietici. Queste « spiegazioni » raggiunsero la fase acuta durante i cosiddetti processi di Mosca (1936-1938). V. libro III.


Capitolo nono
Alla frontiera finlandese


1. Antibolscevismo a Broadway.

Una delegazione di Russi bianchi si trovava sulla banchina del Nieuw Amsterdam per dare il benvenuto a Sidney Reilly e a sua moglie al loro arrivo in America nell'autunno del 1924. Fiori, champagne e discorsi infiammati accolsero l'« eroe della crociata antibolscevica ». Reilly non tardò a trovarsi di casa negli Stati Uniti. Aprì un ufficio in Broadway, che diventò ben presto il quartier generale dei cospiratori antisovietici e Russi bianchi negli Stati Uniti. Una voluminosa propaganda antisovietica proveniente dall'ufficio di Reilly incominciò a circolare negli Stati Uniti, a raggiungere influenti case editrici, giornalisti, insegnanti, uomini politici e d'affari. Reilly intraprese un giro di conferenze per informare il pubblico americano delia « minaccia del bolscevismo, il pericolo che rappresentava per la civiltà e il commercio del mondo intero ». Ebbe numerosi « colloqui confidenziali » con piccoli gruppi scelti di uomini di Wall Street e con industriali facoltosi in varie città americane.
Lo scopo di Reilly era di creare sul suolo americano un ramo della Lega Internazionale Antibolscevica, che avrebbe dovuto appoggiare potentemente le diverse congiure antisovietiche che egli andava tramando in Europa e in Russia. Altre sezioni della Lega di Reilly erano già all'opera a Berlino, Londra, Parigi e Roma e così pure lungo tutto il cordone sanitario degli Stati baltici e balcanici. In Estremo Oriente, a Harbin, in Manciuria, era sorta una sezione della Lega finanziata dal Giappone, diretta dal noto terrorista cosacco, l'ataman Semjonov. Negli Stati Uniti non esisteva ancora un'organizzazione di tal fatta. Ma esisteva però un'ottima materia prima con cui crearla...
I Russi bianchi amici di Reilly presentarono quest'ultimo ai loro finanziatori americani più autorevoli e più ricchi, da cui si attendevano larghi contributi di denaro per finanziare il movimento antisovietico.
« Per quel che riguarda il denaro, il mercato per questa specie di imprese si trova qui e soltanto qui - Reilly scriveva quell'anno in una lettera riservata a uno dei suoi agenti in Europa -. Ma, per ottenere denaro, occorre esser qui con un programma molto preciso e convincente e con prove inconfutabili che la minoranza interessata ha la possibilità di intraprendere e di effettuare entro un ragionevole periodo di tempo la riorganizzazione dell'affare ».
La « minoranza interessata » a cui Reilly si riferiva nel suo linguaggio cifrato era il movimento antisovietico in Russia, la « riorganizzazione dell 'affare » il rovesciamento del governo sovietico. Reilly aggiungeva:
« Con tali premesse, sarebbe possibile avvicinare per primo il più grande produttore di automobili, che potrebbe essere interessato nei brevetti purché gli si dia prova (e non chiacchiere soltanto) che i brevetti hanno possibilità di successo. Una volta conquistato il suo interesse, la questione denaro si può considerare risolta ».
Secondo le memorie della signora Reilly, il marito si riferiva a Henry Ford.
Come Henry Deterding in Inghilterra e Fritz Thyssen in Germania, il re americano dell'automobile Henry Ford, si era immedesimato con l'antibolscevismo mondiale e con il fenomeno fascista in rapido sviluppo. Secondo il « New York Times » del1'8 febbraio 1923, il vice-presidente della Dieta bavarese, Auer, aveva dichiarato pubblicamente:
« La Dieta bavarese è da lungo tempo informata che il movimento di Hitler è stato in parte finanziato da un dirigente antisemita americano, Henry Ford. L'interessamento di Ford pel movimento antisemita bavarese è incominciato un anno fa quando gli agenti di Ford presero contatto con il noto pangermanista Dietrich Eckart... L'agente fece ritorno in America e immediatamente il denaro del signor Ford cominciò ad affluire a Monaco. Hitler si vanta apertamente dell' appoggio di Ford ed elogia Ford non come un grande individualista, ma come un grande antisemita ».
Nel piccolo modesto ufficio di Via Cornelius a Monaco, dove Adolf Hitler aveva il suo quartier generale, una sola fotografia incorniciata era appesa al muro: era il ritratto di Henry Ford.

2. Fine di Sidney Reilly.

Grazie agli sforzi di Reillv, si stabilirono contatti tra il movimento antisemita e antidemocratico degli Stati Uniti e i rami europei ed asiatici della Lega Internazionale antibolscevica. Fin dalla primavera del 1925 il terreno era preparato per un'organizzazione internazionale di propaganda fascista e per un centro di spionaggio operante sotto la maschera dell' « antibolscevismo ».
Frattanto, Reilly si manteneva in stretto contatto con i suoi agenti in Europa. Riceveva messaggi regolarmente da Reval, da Helsinki, da Roma; Berlino e da altri centri di intrighi antisovietici. La maggior parte di queste lettere indirizzate all'ufficio di Reilly a New York erano cifrate o scritte con inchiostro simpatico sul retro di lettere d' affari dall'apparenza innocua.
Al principio di quella primavera, Reilly ricevette una lettera proveniente da Reval in Estonia che lo turbò profondamente. La lettera, cifrata, era di un vecchio amico, il comandante E., che aveva prestato servizio con Reilly nell'lnteIIigence Service britannico durante la guerra e che ora era impiegato presso il consolato britannico di uno dei paesi baltici. La lettera datata 24 gennaio 1925 incominciava:

« Caro Sidney,
« Due persone mandate da me, i coniugi Krashnoshtanov, verranno probabilmente a trovarvi a Parigi. Vi diranno di avere un messaggio per voi dalla California e vi daranno una nota consistente in un poemetto di Ornar Khayyam (sic) che voi ricorderete. Se volete conoscer meglio i loro affari, potete chieder loro di rimanere. Se la faccenda non vi interessa direte loro: " Mille grazie. Addio " ».

Nel codice usato dal comandante E. e da Reilly « Krashnoshtanov » significava un agente antisovietico di nome Schultz e sua moglie; « California » significava l'Unione Sovietica e il « poemetto di Ornar Khayyam » uno speciale messaggio cifrato. La lettera del Comandante E. continuava come segue:
« E ora veniamo ai loro affari. Essi rappresentano una ditta che probabilmente avrà in futuro una grande influenza sul mercato europeo e su quello americano. Essi ritengono che il loro giro d'affari potrà avere pieno sviluppo in non meno di due anni, ma si potrebbero produrre circostanze che diano loro lo slancio desiderato nel prossimo futuro. Si tratta di un affare veramente importante e intorno al quale non serve far chiacchiere... »
Il comandante E. proseguiva dicendo che un « gruppo tedesco » era molto interessato alla partecipazione all'« affare » e che un « gruppo francese » e un « gruppo inglese » stavano per entrarvi attivamente.
Riferendosi di nuovo alla « ditta » che, secondo le sue indicazioni, operava in Russia, il comandante E. scriveva:
« Per il momento essi rifiutano di rivelare a chiunque il nome dell'uomo che è nello sfondo di quest'impresa . Posso dirvi solo questo: che alcuni dei personaggi principali sono membri dei gruppi d'opposizione. Perciò, capirete pienamente la necessità della segretezza... Io vi presento questo schema pensando che potrà forse sostituire l'altro grande schema sul quale voi lavoravate, ma che è fallito in maniera cosi disastrosa ».
Sidney Reilly e sua moglie lasciarono New York il 6 agosto 1925. Nel mese seguente arrivarono a Parigi e Reilly cercò subito contatti con gli Schultz, dei quali il comandante E. gli aveva scritto. Essi descrissero la situazione in Russia, dove, dopo la morte di Lenin, il movimento d'opposizione alleatosi con Lev Trotskij era stato organizzato in un vasto apparato clandestino, mirante a rovesciare il regime staliniano.
Reilly si convinse presto della primaria importanza dei nuovi sviluppi della situazione. Cercò ansiosamente di entrare nel più breve tempo in contatti personali con i dirigenti della fazione anti-staliniana in Russia. Furono scambiati messaggi attraverso agenti segreti. Infine, si concordò che Reilly doveva incontrarsi alla frontiera sovietica con un rappresentante importante del movimento. ReiIly andò a Helsinki per vedere il capo di stato maggiore dell'esercito finlandese, suo stretto amico personale e membro della sua Lega antibolscevica, il quale doveva prendere le disposizioni necessarie per far varcare a Reilly la frontiera sovietica.
Poco dopo, Reilly scrisse alla moglie, rimasta a Parigi:
« In Russia si sta preparando realmente qualche cosa di completamente nuovo, di grandioso, e di fronte al quale non possiamo restare inattivi ».
Una settimana dopo, il 25 settembre 1925, Reilly inviò a sua moglie da Viborg, in Finlandia, un biglietto scritto in fretta in cui diceva: « È assolutamente necessario che io vada per tre giorni a Pietrogrado e a Mosca. Parto stanotte e sarò di ritorno qui la mattina di martedì ».
Fu questa l'ultima lettera scritta dal capitano Sidney Reilly dell'lntelligence Service inglese.
Dopo alcune settimane, non avendo ancora ricevuto notizie dal marito, la signora Reilly si mise in contatto con Marie Schultz, complice di Reilly a Parigi. La signora Reilly riferì più tardi nelle sue memorie la loro conversazione.
- Quando vostro marito arrivò qui - le disse la signora Schultz - gli spiegai esattamente lo stato delle cose circa la nostra organizzazione. Abbiamo dalla nostra parte alcuni dei più importanti funzionari bolscevichi di Mosca, che bramano di farla finita con l'attuale regime, purché possa essere garantita la loro sicurezza.
- Il capitano Reilly - continuò la signora Schultz - era stato da principio piuttosto scettico. Disse che l'aiuto estero per una nuova avventura contro la Russia sovietica poteva essere cercato soltanto se il gruppo dei cospiratori all'interno del paese avesse una certa forza reale. Gli assicurai che la nostra organizzazione in Russia era potente, influente e ben collegata.
La signora Schultz proseguì riferendo che l'incontro fra Reilly e i rappresentanti dell'organizzazione cospirativa russa era stato fissato a Viborg, in Finlandia: - Al capitano Reilly, costoro fecero una profonda impressione - disse la signora Schultz -, specialmente il loro capo, un altissimo funzionario bolscevico, il quale cela sotto il manto del suo ufficio la più ardente ostilità verso l'attuale regime.
Il giorno seguente, accompagnato dalle guardie di pattuglia finlandesi, Reilly e i cospiratori russi si erano incamminati verso la frontiera. - Personalmente - disse la signora Schultz - andai solo fino alla frontiera per augurar loro buon viaggio. - Rimasero in una capanna finlandese sulla riva del fiume fino al cader della notte. - Aspettammo a lungo mentre i Finlandesi stavano ansiosamente in ascolto della pattuglia rossa, ma tutto era tranquillo. Infine uno dei Finlandesi scese cautamente nell'acqua e, un po' nuotando, un po' camminando, attraversò il fiume. Vostro marito lo seguì...
Fu questa l'ultima volta che la signora Schultz vide il capitano Reilly.
Finito il suo racconto, la signora Schultz porse alla signora Reilly il ritaglio di un giornale russo, le « Izvestia». Diceva:
« Nella notte del 28-29 settembre, quattro contrabbandieri tentarono di oltrepassare la frontiera finlandese: due furono uccisi, uno, un soldato finlandese, fatto prigioniero e il quarto ferito a morte ... »
I fatti, come vennero precisati più tardi, furono questi. Reilly aveva passato felicemente la frontiera sovietica e parlato con alcuni membri dell'opposizione russa antistaliniana. Si trovava sulla via del ritorno e in prossimità della frontiera finlandese, quando, insieme alle sue guardie del corpo, fu improvvisamente avvicinato da un'unità delle guardie di confine sovietiche. Reilly e gli altri tentarono di fuggire. Le guardie fecero fuoco. Una pallottola colpì Reilly in fronte, uccidendolo sull'istante.
Solo diversi giorni dopo, le autorità sovietiche identificarono il « contrabbandiere » che avevano ucciso. Dopo l'identificazione annunziarono formalmente la morte del capitano Sidney George Reilly dell'lntelligence Service inglese.
Il « Times» di Londra pubblicò un necrologio di due righe: Sidney Reilly ucciso il 28 settembre nel villaggio di Allekul, in Russia, da truppe della Ghepeú.
 
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- Kekke! -
view post Posted on 5/4/2011, 13:39




Mi è finalmente arrivato il libro, ma dato che non ho la stampante ( o meglio, ce l'ho ma è fuori uso) se riesci a postarlo tutto tu mi fai un favore.
 
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view post Posted on 5/4/2011, 20:38

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ma ci vuole lo scanner e ocr no la stampante... :)
 
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